REPUBBLICA ITALIANA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI MANTOVA SEZIONE PRIMA CIVILE
in persona del Dottor Xxxxx Xxxxxxxx in funzione di giudice unico ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 1315 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 1999
e vertente tra
Alfa Costruzioni di Xxxxx Xxxxxxx & c sas (già Alfa Costruzioni di Xxxxxxx Xxxxxx & c sas)
e
Banca di Roma spa
- opponente-
- opposto-
Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo n. 150 del 28.4.99;
Conclusioni:
Opponente: “in via principale: 1) acclarato come: a) la banca non abbia dato prova dell’esistenza e dell’ammontare del presunto credito; b) la banca abbia capitalizzato trimestralmente gli interessi dovuti dalla cliente; c) non sia stata approvata specificatamente alcuna clausola attestante il saggio degli interessi dovuti dalla cliente; d) la cessione di quote avvenuta nella società opponente in data 5.5.97 non abbia determinato mutamenti nei rapporti contrattuali intercorsi; f) la banca non abbia prodotto in giudizio tutti gli estratti conto relativi ai rapporti di c/c in essere fra le parti (periodo 21.6.95
– 31-12-96 c/c 650564/53 e cd “conto insoluti n. 1026”); g) la banca non abbia restituito le 29 cambiali indicate nel ricorso introduttivo; dichiarare la nullità della clausola di capitalizzazione degli interessi trimestrale ed in mancanza di espressa approvazione del saggio degli interessi dichiarare come gli stessi siano calcolati, se ed in quanto dovuti, su base annua e nella misura prevista ex art. 1284 c.c.; in forza di quanto sopra rideterminare il credito di parte convenuta opposta eventualmente dovuto; revocare il d.i. opposto; dichiarare l’invalidità ab origine del d.i. opposto; 2) condannare parte convenuta opposta al risarcimento dei danni patiti e/o patiendi subiti dall’opponente in separata sede e/o in via equitativa, in considerazione del fatto che la Banca ha pattiziamente e contra legem calcolato il presunto credito, facendolo aumentare al di fuori da ogni accordo e le ha impedito di esercitare le azioni cambiarie di regresso ad essa spettanti; 3) valutare se il comportamento di parte convenuta opposta sia suscettivo di interpretazione ex art. 96 cpc, con l’emanazione dei provvedimenti del caso; 4) in via istruttoria ordinare la produzione in giudizio alla Banca opposta ex art. 210 cpc in forma leggibile della documentazione contrattuale scritta relativamente al cd “conto insoluti n. 1026” e degli estratti conto relativamente al c/c n. 650564-53 dall’inizio del rapporto datato 21.6.95; in ogni caso: con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa”.
Opposto: “in via principale: previa conferma dell’opposto decreto, respingersi l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 150/99 del Presidente del Tribunale di Mantova in data 28.4.99. Assolvere la Banca di Roma da ogni pretesa attrice. Condannarsi l’opponente al pagamento della somma ingiunta; in via subordinata: riduce la domanda di lire
3.550.570 pari ad euro 1833,72 come da ctu così determinando l’interesse in
regime di capitalizzazione annua al tasso di interesse convenzionale (pagg.
11 e 12 della ctu). Chiede gli interessi al tasso del 9,250 % con capitalizzazione annuale maturati e maturandi dal 8.4.99 al saldo sulle somme liquidande. Si precisa inoltre che l’opposta dichiara di non accettare il contraddittorio su eventuali domande nuove. Respingersi comunque la domanda riconvenzionale ed ogni eccezione avversaria. In ogni caso spese, diritti ed onorari rifusi”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto immediatamente esecutivo n. 150 in data 28.4.99 il Presidente del Tribunale di Mantova ingiungeva alla Alfa Costruzioni di Xxxxx Xxxxxxx e c sas (d’ora in poi, per brevità, Alfa sas) il pagamento a favore della Banca di Roma della somma complessiva di lire 312.618.858, oltre interessi al 9,250 % dall’ 1.1.99 al saldo quanto all’importo di lire 126.489.579 ed interessi al medesimo tasso dall’8.4.99 al saldo sull’importo di lire 189.129.279; in particolare, il primo importo era dovuto a titolo di pagamento del saldo debitore del conto corrente c/c 650564-05 accesso dalla Alfa sas presso la filiale di Mantova della Banca di Roma; il secondo importo, invece, era dovuto a titolo di pagamento di n. 29 cambiali emesse da diversi soggetti a favore della Alfa sas, da questa girate a favore della Banca di Roma e non pagate dagli emittenti alla scadenza; gli importi di dette cambiali, dopo regolare protesto, erano stati registrati a debito della Alfa sas mediante contabilizzazione sul conto corrente insoluti n. 1026; Avverso detto decreto, notificato in data 24.5.99, la Alfa sas proponeva tempestiva opposizione con citazione notificata in data 28.6.99, eccependo l’insufficiente specificazione, nel ricorso per l’emissione del d.i., della denominazione sociale della parte ricorrente, la carenza di legittimazione
processuale in capo ai soggetti firmatari della procura alle liti, nonché l’insufficienza, ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, dei saldaconti prodotti dalla Banca di Roma.
Nel merito l’opponente contestava l’entità degli importi ingiunti sostenendo la mancata pattuizione per iscritto degli interessi applicati dalla Banca di Roma nel corso dei rapporti, nonché la nullità della clausola contrattuale con cui era stata pattuita la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito della Alfa sas. Più in generale l’opponente sosteneva la scorrettezza del comportamento tenuto dalla Banca di Roma nel corso del rapporto per non essersi attenuta alle norma di comportamento verso il cliente prescritte dal Codice di comportamento del settore bancario e finanziario predisposto dall’Associazione Bancaria Italiana (Abi); sosteneva inoltre l’opponente che l’azione promossa dalla opposta, da ritenersi del tutto temeraria, avrebbe determinato un suo sicuro discredito nell’ambito dei rapporti con i clienti e con le banche, con conseguente grave e ed irreparabile pregiudizio patrimoniale.
Per tali motivi la Alfa sas concludeva chiedendo che, in via pregiudiziale, fosse dichiarata la nullità del ricorso per decreto ingiuntivo, nonché del ricorso stesso, per invalidità della procura ed indeterminatezza del soggetto ricorrente; nel merito chiedeva la revoca del d.i; in via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell’opposta al risarcimento dei danni, anche ai sensi dell’art. 96 cpc.
La Banca di Roma spa, costituitasi in giudizio, contestava in fatto e diritto quanto affermato dall’opponente e concludeva chiedendo il rigetto dell’opposizione e della domanda riconvenzionale, la conferma del d.i. e, in ogni caso, la condanna dell’opponente al pagamento della somma ingiunta.
La causa, istruita documentalmente e mediante ctu contabile, veniva trattenuta in decisione all’udienza del 21.10.03, sulla base delle conclusioni delle parti riportate in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Indeterminatezza della parte ricorrente/opposta - insussistenza
Parte opponente afferma la nullità (evidentemente ex art. 163, c. 2 cpc) del ricorso per emissione del decreto ingiuntivo per non essere stata indicata la natura societaria della ricorrente Banca di Roma.
Secondo il pacifico orientamento della Cassazione, detta nullità può essere pronunciata solo nel caso in cui, operata una complessiva valutazione dell’atto introduttivo del giudizio (nella specie, del ricorso), non sia tuttavia possibile individuare compiutamente e con certezza la parte (in tal senso Cass. 4532/82, Cass. 1037/95).
Nel caso di specie, al di là del fatto che l’opposta è banca di primaria importanza a livello nazionale e che l’opponente non contesta di aver con essa intrattenuto i rapporti contrattuali per cui è causa (il che già esclude ogni incertezza circa l’esatta individuazione della parte ricorrente/opposta), va rilevato che negli estratti di saldaconto prodotti unitamente al ricorso (ed in questo richiamati) è specificamente indicato che la forma societaria dell’opposta è quella della società per azioni.
Va perciò rigettata l’eccezione di nullità sollevata da parte opponente.
2) Difetto di legittimazione processuale in capo ai firmatari del mandato alle liti in nome dell’opposta - insussistenza
Secondo il disposto dell’art. 75, c. 3 c.p.c. “le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge e dello statuto”. L’art. 22 dello statuto sociale della Banca di Roma spa attribuisce la
rappresentanza della società (c.d. rappresentanza organica) al presidente; è quindi evidente che i funzionari Xxxxxx Xxxxx e Xxxxxx Xxxxxxxx, firmatari del mandato alle liti in nome e per conto della banca, non sono legali rappresentanti dalla opposta a norma di statuto.
Tuttavia, ai sensi dell’art. 77 c.p.c. la parte può stare in giudizio anche per mezzo di un rappresentante volontario sempre che siano ad esso stati attribuiti per iscritto poteri rappresentativi sia sostanziali (con riferimento al rapporto giuridico dedotto di giudizio), che processuali.
In proposito il citato art. 22 dello statuto attribuisce al Consiglio di amministrazione della banca il potere di attribuire “la firma sociale a…funzionari…con determinazione dei relativi poteri, dei limiti e delle modalità di esercizio”. Con delibera del consiglio di amministrazione del
17.12.98 (doc. 4 di parte opposta) era stato attribuito ai funzionari della banca (qualifica rivestita dal Riccò e dal Xxxxxxxx: cfr doc. 4 di parte opposta) sia il potere di porre in essere in nome e per conto della banca, disgiuntamente, ogni tipo di atto o operazione afferente in generale all’erogazione del credito (punto 3 della delibera), sia, congiuntamente, il potere di promuovere “cause attive e passive…davanti a qualsiasi giurisdizione civile…nonché atti giudiziali…comprese le rinunce agli atti, all’azione ed ai danni”.
Dal tenore della citata delibera risulta quindi inequivocabilmente che il Riccò ed il Xxxxxxxx avevano sia la rappresentanza sostanziale della banca relativamente ai rapporti creditori dedotti in giudizio (atteso che il punto 3 della delibera conferisce ad essi, disgiuntamente, il potere di porre in essere in rappresentanza della banca tutti gli atti correnti e di ordinaria amministrazione, tra cui devono certamente ricomprendersi la stipulazione e
gestione di un conto corrente bancario, nonché la richiesta di pagamento di somme promesse in pagamento mediante emissione di cambiali), sia, congiuntamente, quella processuale (atteso il chiaro tenore letterale del punto 2 della delibera).
Essi pertanto, nella loro qualità di rappresentanti volontari ex art. 77 cpc, erano pienamente legittimati a rappresentare processualmente l’opposta, dovendosi considerare quale mera imprecisione terminologica la loro qualificazione quali legali rappresentanti nel testo del ricorso.
Ne deriva la piena validità della procura alle liti da essi conferita al difensore e la sussistenza in capo a quest’ultimo dello ius postulandi in nome e per conto dell’opposta.
3) Insufficienza del saldaconto ai fini dell’emissione del d.i.
A fondamento della richiesta di emissione del d.i. la Banca di Roma ha prodotto i saldaconto relativi ai c/c 650564-05 e 1026; in detti documenti, come è noto, è indicato semplicemente il saldo ad una certa data del conto corrente, senza alcuna indicazione delle singole operazioni annotate in conto; detta indicazione, invece, caratterizza l’estratto di conto corrente, documento che differisce perciò dal mero saldaconto.
Ciò premesso va rilevato che l’art. 50 del Dlgs 385/93, diversamente da quanto in precedenza stabilito dall’ art. 102 del RDL 375/36 (abrogato dall’art. 161 del Dlgs 385/93), richiede ai fini dell’emissione del d.i. la produzione da parte della banca dell’estratto conto e non, invece, del semplice saldaconto.
Conseguentemente, è evidente che il d.i. opposto non avrebbe dovuto essere emesso per inidoneità della prova fornita dal richiedente; ne deriva la declaratoria di nullità dello stesso.
4) Qualificazione delle domande proposte dalla Banca di Roma spa Come è noto, anche in caso di declaratoria di nullità del d.i. permane tuttavia l’obbligo del giudice dell’opposizione di pronunciare in ordine alla pretesa creditoria fatta valere col ricorso per ingiunzione; la dichiarata nullità del d.i., infatti, comporta solo l’impossibilità di riconoscere all’opposta il rimborso delle spese sostenute nella fase monitoria (ex multis Cass. 7224/87, Cass. 4974/00, Cass. 6663/02).
Ciò premesso va rilevato che l’opposta ha allegato la sussistenza di due distinti crediti nei confronti dell’opponente:
1) quanto al credito di lire 126.489.579, essa ha espressamente specificato che trattasi del saldo passivo del conto corrente 650564-05 stipulato con l’opposta in data 21.6.95; dovrà perciò verificarsi la legittimità delle varie operazioni annotate nel corso del rapporto su tale conto, onde accertare se la opposta abbia effettivamente diritto all’integrale pagamento dell’indicato saldo passivo;
2) quanto al credito di lire 189.129.279, dalla lettura del ricorso, si evince che l’opposta intende ottenere il pagamento degli importi indicati nelle 29 cambiali girate a suo favore dalla Alfa sas e non pagate alla scadenza dagli emittenti; l’opposta non ha però specificato se la domanda proposta è quella cambiaria di regresso nei confronti della girante Alfa sas ex art. 50 L.camb, oppure quella causale ex art 66 L.camb fondata sui rapporti sottostanti che hanno dato luogo alla girata dei titoli.
Si pone quindi un problema di interpretazione della domanda.
In proposito deve rilevarsi che le cambiali, tutte aventi scadenza al 30.11.97 ad eccezione di una scadente il 30.10.97 e due scadenti il 31.12.97, sono state tempestivamente protestate ex art. 51 L. camb, ma che il presente
giudizio è stato instaurato solamente in data 24.5.99 (data di notifica del ricorso ex art. 643, c. 3 cpc), allorchè era già spirato il termine di prescrizione annuale ex art. 94 L. camb relativo all’azione cambiaria di regresso, decorrente dall’elevazione dei protesti (avvenuti in data, rispettivamente, 3.11.97, 3.12.97 e 5.1.98, a seconda della diversa scadenza delle cambiali).
Risultano invece sussistenti tutti i presupposti di ammissibilità dell’azione causale previsti dall’art. 66, c. 3 L.camb, atteso che l’opposta, oltre ad elevare tempestivamente tutti i protesti, ha altresì depositato in cancelleria tutti i titoli in originale in tal modo offrendoli in restituzione al debitore opponente.
Deve perciò escludersi che l’opposta avesse optato per l’azione cambiaria, atteso l’evidente rischio di vedersi rigettata la domanda qualora l’opponente avesse eccepito entro il termine di cui all’art 180, c. 2 cpc l’avvenuta prescrizione. Considerato il complessivo comportamento processuale dell’opposta (integrativo di tutti i presupposti di ammissibilità previsti dall’art. 66 L.camb: protesto tempestivo e deposito dei titoli) deve perciò ritenersi che essa abbia inteso esperire l’azione causale, fondata sui rapporti sottostanti la girata dei titoli.
5) Domanda di pagamento dell’importo di lire 189.129.279 – parziale accoglimento
Come sopra rilevato detto importo è richiesto dall’opposta in adempimento delle obbligazioni pecuniarie assunte dall’opponente in forza dei rapporti sottostanti alla girata delle 29 cambiali depositate (azione causale).
Come è noto la cambiale contiene la promessa unilaterale dell’emittente e dei giranti di pagare una certa somma, ad una data scadenza, al portatore del
titolo. Ne deriva che ai sensi dell’art. 1988 c.c. il creditore (nella specie la Banca di Roma) che deduca in giudizio il rapporto sottostante la girata dei titoli, producendo quale prova del proprio credito le cambiali girategli dal debitore (nella specie la Alfa sas) è dispensato dall’onere di provare la effettiva sussistenza del rapporto fondamentale sottostante, che si presume esistente fino a prova contraria. Trattasi del noto fenomeno dell’astrazione processuale dalla causa: il creditore non ha diritto alla prestazione per il solo fatto che questa gli sia stata unilateralmente promessa dal creditore, prescindendosi totalmente dall’effettiva sussistenza di una ragione giustificativa dello spostamento patrimoniale (causa); tuttavia, l’esistenza della promessa, in deroga all’art. 2697 c.c., determina dal punto di vista processuale un’inversione dell’onere della prova, con conseguente onere del debitore di dimostrare l’insussistenza, l’estinzione o la modifica del rapporto sottostante; in assenza di detta prova, la domanda del creditore deve perciò essere accolta.
Ciò premesso va detto che l’opposta ha precisato di aver contabilizzato, dopo il protesto, gli importi delle singole cambiali insolute su un apposito conto transitorio (n.1026); trattasi evidentemente di conto aperto unilateralmente dalla banca ad uso interno, senza accordo scritto con l’opponente, all’esclusivo fine di contabilizzare e gestire a parte gli importi dovuti a seguito del mancato pagamento dei titoli; ciò è comprovato dal fatto che né la banca, né l’opponente hanno mai affermato di aver stipulato un contratto di apertura di detto conto; inoltre, dall’estratto prodotto dalla banca (cfr doc. prodotto unitamente alla memoria 28.11.00) risulta come effettivamente su detto conto siano stati solo annotati gli importi delle cambiali, con specificazione della data di scadenza di ognuna;
Sennonché il complessivo importo delle 29 cambiali ammonta a lire 162.160.000, inferiore a quello di lire 189.129.279 di cui si chiede il pagamento.
Dal medesimo estratto risulta che la differenza (lire 26.969.279) è costituita dagli interessi moratori che la banca ha applicato su dette somme successivamente alla loro contabilizzazione nel conto, sino all’emissione del saldaconto prodotto unitamente al ricorso per d.i..
Quanto all’importo di lire 162.160.000, per le ragioni sopra evidenziate, spettava all’opponente dimostrare l’insussistenza e/o estinzione dei rapporti che avevano dato luogo all’emissione delle cambiali; l’opponente non ha però detto né contestato nulla al riguardo; ne deriva che, ai sensi dell’art. 1988 c.c., deve ritenersi provata l’esistenza dei rapporti sottostanti e, quindi, dei crediti da essi derivanti a favore della banca; conseguentemente, deve accogliersi la domanda della banca di pagamento di detto importo.
Quanto, invece, al residuo importo di lire 26.969.279 la banca non ha fornito alcuna prova di aver pattuito per iscritto con il cliente il saggio degli interessi moratori (non potendo essere qualificate quale pattuizioni per iscritto le istruzioni impartite dalla banca alle proprie filiali circa il tasso – prime rate aziendale maggiorato di 3,5 punti - da applicare alle partite incagliate, costituenti documenti unilaterali ad uso interno e neppure destinati ad essere comunicati al cliente: doc. 5 di parte opposta) né che relativamente alle obbligazioni sorte dai rapporti sottostanti la girata dei titoli fosse pattuito un interesse superiore a quello legale. Conseguentemente ex art.1282 c.c. alla opposta spettano i soli interessi legali dalla scadenza delle singole cambiali (giorno in cui il credito è diventato esigibile) alla data del saldaconto (8.4.99); in particolare gli interessi legali sono dovuti:
a) quanto a lire 14.660.000, dal 30.10.97 all’ 8.4.99 ed ammontano a complessive lire 955.912 ;
b) quanto a lire 127.500.000, dal 30.11.97 all’ 8.4.99 ed ammontano a complessive lire 7.772.260;
c) quanto a lire 20.000.000, dal 31.12.97 all’ 8.4.99 ed ammontano a complessive lire 1.134.246;
Il complessivo credito della opposta all’8.4.99 ammontava quindi a lire 136.022.418, pari ad euro 68.184,00 (pari a 126.160.000 + 955.912 +
7.772.260 + 1.134.246); su detta somma, sono dovuti dall’opponente gli interessi legali (e non nella misura del 9,250 %, trattandosi di tasso non pattuito tra le parti) dal 9.4.99 (come richiesto dall’opposta) al saldo;
6) Domanda di pagamento dell’importo di lire 126.489.579
a) – Assenza di pattuizione scritta dell’interesse.
L’opposta ha prodotto copia del contratto relativo al conto corrente 650564- 53, stipulato in data 21.6.95 con la Alfa costruzioni di Xxxxxxx Xxxxxx e c sas; l’opponente ha in seguito modificato la propria ragione sociale in quella di Alfa costruzioni di Xxxxx Xxxxxxx e c sas. Dalle visure camerali prodotte dall’opposta risulta infatti chiaramente che dal 5.5.97 Xxxxx Xxxxxxx, originariamente estranea alla società, ha acquisito la posizione di socia accomandataria della società al posto di Xxxxxxx Xxxxxx, il quale le ha ceduto parte della sua originaria quota sociale. Conseguentemente, in ottemperanza al disposto dell’art. 2292 c.c., è stata modificata la ragione sociale della società sostituendo il nome del socio accomandatario. Ovviamente la semplice cessione della quota e la modifica della ragione sociale non hanno determinano affatto l’estinzione della società.
E’ quindi evidente che l’attuale opponente corrisponde al soggetto giuridico che aveva stipulato in data 21.6.95 il contratto per cui è causa.
Ciò detto va in primo luogo rilevato che nel contratto prodotto non vi è alcuna pattuizione scritta in merito al tasso debitore e creditore da applicare al rapporto; in particolare, risultano in bianco e non compilati gli appositi spazi del modello contrattuale sottoscritto in cui dovevano essere indicati i tassi di interesse. Né possono essere considerate pattuizioni scritte la periodiche comunicazioni del tasso inviate dalla banca all’opponente, trattandosi con tutta evidenza di atti meramente unilaterali senza alcun valore negoziale.
Non essendo stato rispettato l’obbligo, previsto dall’art. 117, c. 4 Dlgs 385/93, di indicazione nel contratto dei tassi di interesse, all’intero rapporto dovrà applicarsi il tasso sostitutivo indicato dall’art. 117, c. 7 lett a) Dlgs 385/93 (tasso nominale minimo e tasso nominale massimo dei Bot emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente, per le operazioni attive e per quelle passive); in relazione ai criteri di applicazione di detto xxxxx va in primo luogo precisato che per operazioni attive (cui si applica il tasso nominale minimo dei Bot) devono intendersi quelle a favore della banca ed a sfavore del cliente, mentre per operazioni passive (cui si applica il tasso nominale massimo dei Bot) quelle a sfavore della banca ed a favore del cliente; detta interpretazione, certamente più sfavorevole per la banca, appare la più ragionevole in quanto maggiormente in linea con la natura, evidentemente sanzionatoria, della norma;
inoltre, scopo della norma è evidentemente quello di applicare ai rapporti bancari, in assenza di valida pattuizione scritta, un tasso di interesse che sia comunque in linea con il costo del denaro in senso lato e, quindi, con
l’andamento del mercato dei tassi di interesse; sennonché il citato art. 117 fa testuale riferimento ai Bot emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Se si privilegiasse un’ interpretazione della norma secondo il suo tenore letterale si dovrebbe quindi, in caso di rapporti di durata quale quello in esame, applicare rispetto a tutte le operazioni succedutesi nel tempo sempre il medesimo tasso di interesse, calcolato ex art 117 cit. avuto riguardo al momento della stipulazione del contratto; inevitabilmente, col passare del tempo, il tasso non risulterebbe però più in linea con l’andamento del mercato dei tassi di interesse, notoriamente soggetto a continue variazioni.
Ed allora appare più corretta, in quanto maggiormente aderente alla ratio della norma quale sopra evidenziata, la diversa interpretazione secondo cui la misura degli interessi varia nel corso del rapporto, onde rispecchiare l’andamento del mercato dei tassi; conseguentemente la media dei tassi di rendimento dei Bot degli ultimi dodici mesi dovrà essere calcolata non con riferimento alla conclusione del contratto, bensì al momento del compimento delle singole operazioni. Più precisamente, poiché la banca determina contabilmente i saldi sul conto corrente con cadenza trimestrale, appare del tutto ragionevole individuare proprio nelle singole chiusure trimestrali del conto l’esatto momento da prendere a riferimento per la periodica rideterminazione del tasso ex art 117 cit.
b) Nullità della clausola che prevede la capitalizzazione dell’interesse. Questo giudice ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale, inaugurato da Cass. 2374/99, 3096/99 e 12057/99 e da ultimo ribadito da Cass 1281/02, Cass. 4498/02, Cass. 14091/02 e Cass. 2593/03 secondo cui la clausola di un contratto bancario, che preveda la
capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, deve reputarsi nulla.
Ai sensi dell’art. 1283 c.c., norma avente pacificamente carattere imperativo, la capitalizzazione degli interessi (sempre che siano dovuti da almeno sei mesi) è possibile solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, salvo il caso in cui esistano usi contrari.
Neppure prima del revirement giurisprudenziale di cui di è detto si è mai dubitato che gli usi richiamati nella citata norma sono quelli normativi di cui all’art. 1 disp prel al c.c. e non quelli meramente negoziali di cui all’art. 1340 c.c.. Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 8 disp prel al x.x., xxxxxxxxx x’xxx xxxxxxxxx (xx x.x. xxxxxxxxxxxx) x xxxxxx a derogare alla legge, laddove da questa sia richiamato.
Sennonché, come è noto, un uso per essere qualificato normativo deve essere caratterizzato da un elemento oggettivo – consistente nella uniforme e costante ripetizione di un dato comportamento (diuturnitas) - e da un elemento soggettivo – integrato dalla consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica (opinio iuris ac ncessitatis).
In proposito va in primo luogo detto che tali elementi non possono di certo rinvenirsi nella comune pratica contrattuale di approvazione da parte dei clienti della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale. Come noto, infatti, i contratti bancari sono predisposti su moduli formati unilateralmente dalla banca, senza possibilità di negoziazione individuale. Il cliente, quindi, se vuole accedere ai servizi è di fatto costretto ad accettare anche detta clausola, con atteggiamento psicologico quindi ben lontano da quella
spontanea adesione ad un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste
l’opinio iuris ac necessitatis.
Né può attribuirsi valenza normativa alle cosiddette norme bancarie uniformi predisposte dall'A.B.I. nel 1952 (in cui, alla clausola 6, si prevede espressamente la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del cliente), trattandosi di mere proposte di condizioni generali di contratto indirizzate dall’associazione alle banche stesse e da queste fatte proprie e trasfuse nelle condizioni generali di contratto richiamate nei contratti stipulati con il cliente.
Vi è poi da dire che l’uso normativo, per avere l’efficacia derogatoria attribuitagli dall’art. 1283 c.c., deve essersi formato necessariamente prima dell’entrata in vigore del vigente codice civile. Non può infatti ammettersi che la disciplina imperativa prevista dalla norma sia derogata da una consuetudine formatasi successivamente al momento della sua entrata in vigore e, quindi, inammissibilmente contra legem.
Ebbene nelle raccolte degli usi elaborate dalle Camere di Commercio ai sensi dell’art. 9 disp. prel. al c.c. non si rinvengono rilevazioni attestanti l’esistenza dell’uso della capitalizzazione trimestrale anteriormente al 1942 ed, anzi, in alcune di esse successive al 1952 (anno di elaborazione delle N.B.U.), pur rilevandosi l’effettiva esistenza di detta pratica bancaria, si dà sostanzialmente atto del fatto che essa è conseguenza della semplice adesione delle banche a quanto in proposito proposto dall’Abi nelle citate
N.B.U. (Es: nella delibera della Camera di commercio di Ascoli Xxxxxx si specifica che “in provincia di Ascoli Xxxxxx vengono generalmente applicati gli usi di banca accertati dall’A.B.I.”). Il che dimostra ulteriormente la valenza meramente negoziale dell’uso in questione.
Neppure la Commissione speciale permanente presso il Ministero dell’industria ai sensi del D.Lvo del C.P.S. 27.1.47, n. 152 ha poi mai accertato l’esistenza di un uso normativo generale di contenuto corrispondente a quello di cui si sta discutendo.
A riprova dell’esistenza di un uso normativo antecedente al 1942 è stato da alcuni richiamato il “Testo delle norme che regolano i conti correnti di corrispondenza”, elaborato nel 1929 dalla Confederazione Generale Bancaria Fascista (l’antenata dell’odierna ABI), in cui si prevedeva effettivamente la capitalizzazione trimestrale dell’interesse a debito del cliente.
Sennonché nella missiva del 7.1.29 che accompagnava l’invio delle norme da parte della Confederazione alle banche consociate, veniva espressamente specificato che la Confederazione “ne propone l’adozione da parte delle banche affinché il servizio in parola abbia a svolgersi nei rapporti con la clientela secondo norma uniformi”.
Anche in questo caso, al pari di quanto detto per le NBU del 1952, deve attribuirsi al documento in esame semplice valenza di condizioni generali di contratto che l’associazione di categoria propone agli aderenti di adottare nei rapporti con i clienti, dovendosi quindi escludere che esso avesse valenza ricognitiva di un uso normativo preesistente. Tanto più che se così fosse stato (e cioè se fosse già invalsa nei rapporti tra le banche e i clienti la pattuizione della capitalizzazione trimestrale) non si comprenderebbe l’esigenza di garantire l’uniformità nei rapporti con la clientela sul punto, mediante la redazione e diffusione di detto documento.
Secondo altra tesi, emersa nella giurisprudenza di merito (Trib. Roma 17.12.99, 26.5.99, 14.4.99 e 9.5.01, Trib. Bari 28.2.01, Trib. Vercelli 9.2.01
e Trib. Firenze 8.1.01) l’anatocismo bancario non deriverebbe direttamente dall’esistenza di un uso normativo, bensì costituirebbe conseguenza indiretta o secondaria dell’applicazione al conto corrente bancario di norme quali gli artt. 1823, 1831 e 1832 c.c., previste in materia di conto corrente ordinario. In pratica la capitalizzazione degli interessi a favore della banca conseguirebbe alla periodica chiusura del conto corrente (stabilita trimestralmente dal contratto nel caso di conti correnti con saldo debitore passivo) che, ai sensi dell’art. 1831 c.c., determinerebbe la liquidazione ed esigibilità del saldo per capitale ed interessi. Poiché ai sensi dell’art. 1823 x.x., xx xxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxx xxx xxxxx, questo si considera quale prima rimessa di un nuovo conto, ne deriverebbe che ad ogni chiusura trimestrale del conto gli interessi si sommerebbero al capitale determinando di fatto un effetto analogo a quello previsto dall’art. 1823 c.c.
Sennonché, gli art. 1823 e 1831 c.c. non risultano compresi tra quelli espressamente richiamati dall’art. 1857 c.c. in materia di conto corrente bancario. Deve perciò escludersene l’applicazione diretta a detta, diversa, tipologia contrattuale.
Neppure può affermarsene l’applicazione in via analogica; ciò in a causa della profonda diversità di ratio tra conto corrente bancario, che prevede l’esigibilità a vista del saldo ex art. 1852 c.c. e conto corrente ordinario, che prevede invece l’inesigibilità delle prestazioni ex art. 1823 c.c. Infatti, atteso che il saldo del conto corrente bancario è esigibile in ogni momento, non ha senso applicare l’art. 1831 c.c. che ha proprio lo scopo di rendere esigibile il saldo per il conto corrente ordinario (cfr Cass. 6558/97 e Cass. 14091/02). Ragionando diversamente si perverrebbe perciò ad una surrettizia
introduzione della capitalizzazione dell’interesse, in assenza dei presupposti di cui all’art. 1283 c.c. e, quindi, illegittimamente.
Sulla scorta degli enunciati principi, e vendendo quindi al caso oggetto del presente procedimento, deve perciò affermarsi la nullità della clausola di cui all’art. 7, c. 2 delle condizioni generali richiamate nel contratto stipulato in data 21.6.95 tra Banca di Roma e Alfa sas, che prevede la capitalizzazione trimestrale dell’interesse a debito del cliente.
Ad avviso di questo giudice inoltre alle medesime conclusioni deve pervenirsi anche relativamente alla clausola di cui all’art. 7, c. 1 di dette condizioni generali, che prevede la capitalizzazione annuale dell’ interesse a credito del cliente.
L’art. 1283 c.c. infatti vieta in generale ogni forma di capitalizzazione dell’interesse (al di fuori delle ipotesi contemplate), senza distinguere a seconda della posizione contrattuale, di maggior o minor debolezza, assunta dei contraenti.
Quanto alla sorte degli interessi a debito della Alfa sas, che il ctu ha accertato essere stati capitalizzati con cadenza trimestrale, deve ritenersi che poiché essa è stata conseguenza dell’applicazione di una clausola nulla (per contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c.) e poiché non è previsto un meccanismo integrativo ex art. 1339 c.c., nessuna forma di capitalizzazione può essere attribuita alla Banca di Roma (in tal senso Trib. Brindisi 13.5.02 e Trib. Torino 21.1.02); il ctu, pertanto, dovrà rideterminare l’ammontare del saldo del conto corrente epurandolo da tutti gli addebiti a titolo di anatocismo trimestrale.
Parimenti, qualora dovesse risultare che nel corso del rapporto il conto ha presentato anche momenti in cui il saldo era a favore della Alfa sas e che gli
interessi a credito maturati in detto periodo sono stati successivamente capitalizzati al termine dell’anno, dovrà provvedersi all’epurazione dal saldo finale anche di dette somme.
c) Parziale accoglimento dell’opposizione - rimessione in istruttoria – accoglimento dell’istanza ex art. 210 cpc.
L’espletata ctu ha accertato che la Banca di Roma ha applicato al rapporto per cui è causa la capitalizzazione trimestrale dell’interesse a debito della Imes sas ed ha rideterminato il saldo con capitalizzazione annuale del medesimo interesse.
La somma ingiunta, quindi, è certamente superiore al saldo debitore effettivamente dovuto dalla Alfa sas alla Banca di Roma.
Già in questa sede, quindi, deve pronunciarsi l’accoglimento dell’opposizione formulata dall’opponente rispetto alla richiesta di pagamento dell’importo di lire 126.489.579.
Per accertare l’entità del debito della opponente è però necessario rimettere la causa in istruttoria con separata ordinanza onde provvedere ad un supplemento di ctu volto a rideterminare il saldo del conto corrente con applicazione all’intero rapporto dell’interesse di cui all’art. 117 tub e con esclusione di ogni forma di capitalizzazione.
Ai fini dell’accertamento è però necessario acquisire anche gli estratti conto relativi al periodo intercorrente tra l’apertura del rapporto (21.6.95) ed il 31.12.96, non prodotti dalla Banca di Roma in esecuzione dell’ordine impartito in tal senso dal giudice con ordinanza in data 4.10.00.
Va perciò accolta l’istanza ex art. 210 cpc ribadita in sede di precisazione delle conclusioni dalla opponente.
Si precisa inoltre che al ctu dovrà essere sottoposto il seguente quesito:
“Calcoli il ctu, esaminati gli atti ed i documenti di causa, sentite le parti ed assunte informazioni, nonché acquisiti i documenti necessari all’accertamento, l’esatto ammontare del saldo attivo o passivo del c/c 650564-53, attenendosi ai seguenti criteri:
1) applicazione del tasso di interesse di cui all’art. 117 t.u. in materia bancaria dal 21.6.95 ad oggi, con la precisazione che per operazioni attive devono intendersi quelle a favore della banca ed a sfavore del cliente, mentre per operazioni passive quelle a sfavore della banca ed a favore del cliente, nonché con l’ulteriore precisazione che dovrà applicarsi il tasso nominale medio dei bot annuali emessi nei dodici mesi precedenti ogni chiusura trimestrale del conto;
2) calcolo del saldo con esclusione di ogni forma di capitalizzazione degli interessi sia a favore che a sfavore della banca; ciò anche in riferimento al periodo successivo alla chiusura del conto.”
7) Domande riconvenzionali dell’opponente – rigetto - inammissibilità L’opponente ha chiesto in via riconvenzionale il risarcimento dei danni che le sarebbero derivati in conseguenza dell’azione proposta nei suoi confronti nel presente giudizio dalla Banca di Roma spa.
Al di là del fatto che la Alfa sas non ha affatto provato l’effettivo verificarsi del pregiudizio esposto in atto di citazione (sostanzialmente: diminuzione del proprio volume d’affari e danno patrimoniale conseguente al discredito della propria reputazione commerciale nell’ambito dei rapporti con i clienti e con le banche), va detto che non è possibile considerare quale fatto illecito, produttivo di danno risarcibile ex art. 2043 c.c., il comportamento consistente nella mera proposizione in giudizio di domande volta alla tutela dei propri diritti.
Trattasi con tutta evidenza di comportamento del tutto lecito, esercizio di un diritto costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.) e considerato fondamentale in uno stato di diritto.
Solamente in caso di lite temeraria, cioè quando ai sensi dell’art. 96 cpc la parte abbia agito in mala fede o con colpa grave, è possibile richiedere il risarcimento del danno conseguente all’azione giudiziaria intentata nei propri confronti.
Per l’integrazione della fattispecie è però necessario che la parte sia soccombente ed abbia agito in giudizio nella consapevolezza del proprio torto. Presupposti che con tutta evidenza non ricorrono nella fattispecie, atteso che la Banca di Roma spa ha visto in gran parte riconosciuto il proprio credito fondato sui rapporti sottostanti la girata delle cambiali e che, all’esito della espletanda ctu, è molto probabile che anche relativamente al credito fondato sul conto corrente 650564-53 risulterà comunque un saldo a credito della opposta, attesa l’entità dell’importo certificato nel saldaconto e la breve durata del rapporto contrattuale.
In sede di precisazione delle conclusioni l’opponente ha poi formulato un ulteriore domanda di risarcimento danni allegando, quale causa petendi, l’illegittimità del comportamento dell’opposta per avere addebitato alla Alfa sas nel corso del rapporto somme non dovute e per averle altresì impedito l’esercizio delle azioni cambiarie di regresso ad essa spettanti.
Prescindendosi da ogni valutazione circa l’effettiva fondatezza di detta pretesa risarcitoria, deve rilevarsi l’inammissibilità della domanda, del tutto nuova e rispetto alla quale l’opposta ha espressamente rifiutato il contraddittorio.
6) Spese relative alle domande oggetto di pronuncia definitiva
Tenuto conto che l’opposizione relativa al credito fondato sui rapporti sottostanti la girata delle cambiali è stata accolta solo in parte, considerati il rigetto e la declaratoria di inammissibilità delle domande riconvenzionali proposte dall’opponente, nonché i contrasti giurisprudenziali relativi a molte delle questioni affrontate nel presente giudizio, ritiene questo giudice che sussistono giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le spese relative alle domande oggetto di pronuncia definitiva.
Quanto alle spese di ctu come liquidate dal g.i., per gli stessi motivi, vengono poste definitivamente a carico di entrambe le parti nella misura della giusta metà.
PQM
disattesa e respinta ogni diversa domanda, istanza ed eccezione:
1) definitivamente pronunciando:
- dichiara inammissibile la domanda di risarcimento danni proposta dalla Alfa Costruzioni di Xxxxx Xxxxxx e c sas nei confronti della Banca di Roma spa in sede di precisazione delle conclusioni;
- dichiara la nullità del decreto ingiuntivo n. 150 emesso dal Presidente del Tribunale di Mantova in data 28.4.99;
- condanna la Alfa Costruzioni di Xxxxx Xxxxxxx e c sas a pagare alla Banca di Roma spa la somma di euro 68.184,00, oltre interessi legali dall’9.4.99 al saldo;
- rigetta la domanda di risarcimento danni proposta dalla Alfa Costruzioni di Xxxxx Xxxxxxx e c sas nei confronti della Banca di Roma spa in atto di citazione in opposizione;
- compensa integralmente tra le parti le spese di lite relative alle domande oggetto di pronuncia definitiva;
- pone le spese di ctu, come liquidate dal g.i., a carico di entrambe le parti nella misura della giusta metà.
2) non definitivamente pronunciando:
- accerta la mancata pattuizione per iscritto dell’interesse debitore e dell’interesse creditore nel contratto di conto corrente n. 650564-53 stipulato tra la Banca di Roma spa e la Alfa Costruzioni di Xxxxx Xxxxxxx e c sas (già Alfa Costruzioni di Xxxxxxx Xxxxxx e c) in data 21.6.95;
- dichiara la nullità delle clausole di cui all’art. 7, commi 1 e 2 delle condizioni generali di contratto richiamate nel contratto di conto corrente n. 650564-53 stipulato tra la Banca di Roma spa e la Alfa Costruzioni di Xxxxx Xxxxxxx e c sas (già Alfa Costruzioni di Xxxxxxx Xxxxxx e c) in data 21.6.95;
- dispone con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio. Così deciso in Mantova il 3.2.04
Il giudice
Depositato in cancelleria il