SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Corte di Cassazione, sentenza n. 4945 del 20 febbraio 2019
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza n. 4874/2013, depositata il 26 agosto 2013, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede aveva respinto le domande proposte da (Omissis) nei confronti di (Omissis) S.p.A. per il pagamento di varie indennità (di preavviso, ex art. 1751 c.c., sostitutiva di clientela): domande conseguenti, nella prospettazione del ricorrente, alla sussistenza di una giusta causa di recesso - comunicato con lettera in data 19/2/2009 dal rapporto di agenzia in essere (dal 2003) con la società e ciò per effetto dell'avvenuta revoca, da parte della preponente, del distinto e ulteriore incarico di district manager conferitogli nel dicembre 2006.
2. A sostegno della propria decisione la Corte rilevava come l'accordo, con il quale era stato conferito tale incarico, prevedesse la facoltà per (Omissis) S.p.A. di revocarlo, a suo insindacabile giudizio, con effetto immediato e senza preavviso; ed inoltre come esso integrasse un contratto accessorio rispetto a quello di agenzia, con la conseguenza che la revoca dell'incarico non avrebbe potuto avere alcun effetto sul rapporto principale e che il recesso dell'appellante non poteva considerarsi in alcun modo giustificato.
3. La Corte di appello confermava altresì il rigetto della domanda di risarcimento danni che il ricorrente assumeva essergli derivati dalle modalità, con cui la revoca dell'incarico era stata comunicata (e cioè in una riunione di promotori, prima della consegna della lettera), rilevando come, anche a voler ritenere un'anticipata comunicazione verbale, non fosse possibile valutare, per il difetto di qualsiasi allegazione sul punto, se essa si fosse realizzata con modalità ingiuriose.
4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza (Omissis) con sei motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito la società con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo viene dedotta omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) per non avere la Corte di appello in alcun modo chiarito se il collegamento esistente fra il contratto di agenzia e quello manageriale fosse semplicemente di natura occasionale o, invece, funzionale (con la conseguenza, in questo caso, che la revoca dell'incarico c.d. accessorio avrebbe avuto l'effetto di travolgere il contratto collegato, determinando per la parte recedente l'obbligo di corrispondere anche le indennità previste per la revoca immotivata del contratto di agenzia), sebbene di tale interdipendenza e connessione reciproca fossero stati offerti riscontri documentali.
2. Con il secondo e con il terzo motivo viene dedotta ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1368 e 1369 x.x., xx xxxxxxxxx xxx'xxx. 0000 x.x., xxxxxx xxxxx artt. 112, 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte di appello affermato la natura accessoria del contratto avente ad oggetto il conferimento dell'incarico manageriale senza tenere in considerazione nè il significato di talune espressioni contenute nella relativa lettera 18/12/2006, nè le prove documentali offerte, così da non consentire neppure l'identificazione del procedimento logico- giuridico seguito per giungere a tale conclusione.
3. Con il quarto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1750 e 1751 c.c., per non avere la Corte valutato che, stante il collegamento funzionale dei due contratti e la loro necessaria sottoposizione ad una medesima disciplina (quella corrispondente all'elemento causale che caratterizzava l'intero rapporto), la revoca ad nutum dell'incarico manageriale avrebbe comportato il diritto del ricorrente alle indennità previste per la risoluzione immotivata del contratto di agenzia.
4. Con il quinto motivo viene dedotto il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento agli artt. 1175, 1375 e 1363 c.c., nonchè il vizio di cui all'art. 360, n. 5, per non avere la Corte territoriale considerato, e comunque per essere incorsa sul punto in un difetto assoluto di motivazione, che il comportamento della società, e cioè la revoca con effetto immediato dell'incarico manageriale, implicando un sacrificio sproporzionato e ingiustificato degli interessi dell'agente, era stato caratterizzato da palese violazione dei principi di correttezza e buona fede.
5. Con il sesto motivo viene infine dedotta la violazione ex art. 360, n. 3, artt. 112 e 115 c.p.c., per avere la Corte di appello ritenuto che la domanda di risarcimento danni svolta dal ricorrente dipendesse dall'anticipata comunicazione verbale della revoca dell'incarico o dalle modalità ingiuriose con cui essa era avvenuta, mentre la domanda si era fondata sulle forme ingiustificate e lesive di pubblicità date da (Omissis) S.p.A. al proprio provvedimento di recesso.
6. Il primo motivo risulta inammissibile.
7. Esso, infatti, non si conforma al modello normativo del nuovo vizio "motivazionale", quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, pur a fronte di sentenza depositata il 26 agosto 2013, e, pertanto, in epoca successiva all'entrata in vigore (11 settembre 2012) della novella legislativa.
8. Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l'art. 360, n. 5, come riformulato a seguito della novella del 2012, "introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)"; con la conseguenza che "nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie".
9. Nella specie, il ricorrente censura la sentenza per essersi esclusivamente pronunciata sulla disciplina attinente al recesso dall'incarico accessorio, senza affrontare la questione relativa alla natura del collegamento fra i due contratti (di agenzia e manageriale), e cioè si duole di una sentenza affetta da gravi carenze nella completezza del proprio sviluppo argomentativo, in tal modo formulando una critica che è palesemente estranea all'ambito di applicazione del nuovo vizio "motivazionale".
10. Il secondo e il terzo motivo risultano egualmente inammissibili.
11. In primo luogo, i motivi in esame non si conformano, anche per la loro esposizione cumulativa, al principio, secondo il quale il ricorso per cassazione, oltre a richiedere, per ogni motivo, la rubrica di esso, con la puntuale indicazione delle ragioni per le quali il motivo medesimo (tra quelli previsti dall'art. 360) è dedotto, "esige l'illustrazione del singolo motivo, contenente l'esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l'analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza" (Cass. n. 18421/2009).
12. D'altra parte, risultano logicamente e giuridicamente incompatibili la deduzione del vizio di omessa pronuncia da parte del giudice (art. 112 c.p.c.) e la contestuale deduzione di motivazione apparente (cui sembra ricondurre la denunciata impossibilità di procedere alla stessa identificazione del percorso logico-giuridico posto a sostegno della sentenza impugnata) e di un'erronea interpretazione e ricognizione di norme di diritto nella fattispecie concreta: censure, queste ultime, che presuppongono che il giudice di merito abbia comunque preso in esame la questione oggetto di doglianza e che sono esse stesse fra loro contraddittorie, il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 3, postulando un corredo argomentativo basato su ragioni distintamente individuabili.
13. E' poi da rilevare che l'interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito e che tale indagine, oltre che per violazione dei canoni ermeneutici, è censurabile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame - nel vigore del testo novellato della norma - di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Cass. n. 14355/2016).
14. Anche sotto tale profilo i motivi in esame devono ritenersi inammissibili, essendosi il ricorrente limitato a richiamare le regole di interpretazione, di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., senza specificare i canoni che in concreto la decisione di merito avrebbe violato ed in particolare senza chiarire, alla stregua del criterio dell'interpretazione complessiva (art. 1363), come la proposizione estrapolata dal 3 capoverso potesse comporsi con le altre parti del testo della lettera in data 18/12/2006, là dove le parti hanno espressamente e ripetutamente qualificato come accessorio l'incarico di supervisione (e coerentemente riconosciuto che l'attività di promotore finanziario dovesse mantenere il suo carattere principale); essendosi, inoltre, limitato a dedurre circostanze di fatto, quali risultanti dalla brochure aziendale relativa ad un "Incontro di Area" tenutosi successivamente al conferimento dell'incarico manageriale e dall'estratto cartaceo di essa, senza, tuttavia, dimostrarne la "decisività", nei termini precisati nella giurisprudenza citata sub 8, e ciò anche in relazione all'indicazione, negli stessi documenti prodotti, di un'attività personale puramente "ridotta" del promotore finanziario che avesse contestualmente svolto anche i compiti del district manager.
15. Il quarto motivo è da ritenersi anch'esso inammissibile, non prospettando nè l'uno nè l'altro dei due momenti in cui si articola il giudizio di diritto e cioè il momento relativo alla interpretazione della norma regolatrice e quello concernente l'applicazione della stessa al caso concreto, una volta correttamente interpretata, ma riproponendo considerazioni sulla unitarietà della causa, da cui sarebbero stati legati i due contratti, e comunque su di un loro collegamento funzionale, e non meramente occasionale, con la conseguente necessità di una regolamentazione unitaria della fattispecie: collegamento che, invece, la Corte di merito ha escluso, per concludere - sul duplice rilievo dell'accessorietà del contratto manageriale e della legittimità della revoca del relativo incarico
- nel senso dell'assenza delle condizioni che potessero giustificare la risoluzione del rapporto di agenzia da parte dell'appellante e, con essa, dei presupposti per l'attribuzione della indennità sostitutiva del preavviso e di quella ex art. 1751 c.c..
16. Il quinto motivo è inammissibile, nella parte in cui denuncia il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, per le medesime considerazioni già espresse sub 7 e 8.
17. Deve, in ogni caso, rilevarsi come nella sentenza impugnata, diversamente da quanto dedotto, non sia configurabile un difetto assoluto di motivazione.
18. La Corte territoriale si è invero pronunciata, ritenendolo legittimamente esercitato nel caso di specie, sul potere di recesso della società, rilevando come il contratto, di cui alla lettera 18/12/2006, esplicitamente avesse previsto - con specifica clausola, espressione dell'assetto dei contrapposti interessi delle parti - la possibilità di una revoca con effetto immediato e senza formalità dell'incarico (cfr. p. 4: 1, 2 e 3 capoverso).
19. Il motivo deve essere disatteso anche nella parte in cui denuncia, con riferimento agli artt. 1175 e 1375 c.c., il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto.
20. Al riguardo, è da rilevare, in primo luogo, che il ricorrente si limita a formulare rilievi di carattere generale sul rispetto dei doveri di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto; mentre, nell'imputare alla società una condotta non idonea a tutelare gli interessi del proprio collaboratore (per lo sproporzionato e ingiustificato sacrificio che il recesso, con l'inibizione dell'attività agenziale pura e semplice, gli avrebbe procurato), fa dipendere la lesione dei principi di correttezza e buona fede non già da una situazione di abuso del potere contrattuale di recesso ma da una interdipendenza negoziale di cui il giudice di merito, accertando la natura accessoria del contratto "manageriale", ha escluso la sussistenza.
21. Come, infatti, ancora di recente ribadito da questa Corte, in fattispecie analoga alla presente, "il rapporto tra contratto di agenzia ed incarico accessorio di supervisione deve essere ricostruito attraverso lo schema del collegamento negoziale, con vincolo di dipendenza unilaterale. I contratti
accessori, infatti, seguono la sorte dei contratti principali cui accedono, ma non ne mutuano la disciplina, onde ciascuno di essi rimane assoggettato alle proprie regole (legali o convenzionali) ed il vincolo di collegamento, vale a dire l'interdipendenza esistente tra i due rapporti negoziali, rileva solo nel senso che le vicende del rapporto principale si ripercuotono sul rapporto accessorio, condizionandone la validità e l'efficacia. Ne deriva che la revoca dell'incarico accessorio, proprio in quanto riferito ad un rapporto contrattuale distinto da quello di agenzia, non può dispiegare alcun effetto su quest'ultimo, nè sotto il profilo della pretesa inadempienza del preponente revocante agli obblighi discendenti dal contratto di agenzia, nè dall'angolo visuale di una pretesa carenza di interesse del medesimo preponente alla prosecuzione del rapporto di agenzia" (Cass. n. 16940/2018; conforme n. 19678/2005).
22. Il sesto motivo è infondato.
23. La Corte di appello, prendendo in esame l'anticipata comunicazione verbale della revoca dell'incarico (rispetto alla lettera raccomandata del 21/1/2009), per escludere che la stessa potesse, di per sè, rivestire carattere ingiurioso, si è infatti pronunciata proprio sulla fattispecie dedotta, secondo ciò che risulta dalle stesse allegazioni di fatto riportate dal ricorrente a p. 37 del proprio atto.
24. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
25. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 ottobre 2018. Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2019