DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DEI CONTRATTI
Università degli Studi di Cagliari
DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DEI CONTRATTI
Ciclo XXVII
Contratto e reato
(L’angolo di osservazione del civilista)
Settore scientifico disciplinare di afferenza
IUS/01
Presentata da: Dott.ssa Xxxxxxx Xxxxxx
Coordinatore Dottorato: Xxxxx.xx Prof.ssa Xxxxxxx Xxxxxxx
Tutor: Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx
Esame finale anno accademico 2014 – 2015
La presente tesi è stata prodotta durante la frequenza del corso di dottorato in Diritto dei contratti dell’Università degli Studi di Cagliari,
a.a. 2014/2015 - XXVII ciclo, con il supporto di una borsa di studio finanziata con le risorse del P.O.R. SARDEGNA F.S.E. 2007-2013 - Obiettivo competitività regionale e occupazione, Asse IV Capitale umano, Linea di Attività l.3.1 “Finanziamento di corsi di dottorato finalizzati alla formazione di capitale umano altamente specializzato, in particolare per i settori dell’ICT, delle nanotecnologie e delle biotecnologie, dell’energia e dello sviluppo sostenibile, dell’agroalimentare e dei materiali tradizionali”.
Xxxxxxx Xxxxxx gratefully acknowledges Sardinia Regional Government for the financial support of her PhD scholarship (P.O.R. Sardegna F.S.E. Operational Programme of the Autonomous Region of Sardinia, European Social Fund 2007-2013 - Axis IV Human Resources, Objective l.3, Line of Activity l.3.1.)”.
CONTRATTO E REATO
(L’ANGOLO DI OSSERVAZIONE DEL CIVILISTA)
Indice
CAPITOLO 1
Interferenze tra contratto e reato
pag.
1. I termini della questione 6
2. I reati plurisoggettivi 10
3. Riflessioni sulla rilevanza della patologia contrattuale in ordine alla consumazione del reato 13
4. L’impostazione del problema civilistico 18
5. (Segue) La sanzione penale e le reazioni civili 19
CAPITOLO 2
La nullità virtuale
pag.
1. La nullità virtuale: analisi storica 22
2. Ambito di applicazione dell’art. 1418, comma 1, c.c. 27
3. (Segue) Contratto illecito e contratto illegale: nozione e
differenze 32
4. (Segue) Criteri di distinzione tra contratto illecito e
contratto illegale 39
5. La nozione di norma imperativa e le costruzioni della
dottrina sul punto 43
6. L’inciso finale dell’art. 1418, comma 1, c.c.: costruzioni
dottrinali e giurisprudenziali 50
7. Conclusioni: la norma penale come norma imperativa 54
8. (Segue) Violazione della norma penale e conseguenze sul
versante civilistico 56
CAPITOLO 3
Reati contratto e reati in contratto
1. Nozione, distinzione e fondamento 59
2. I reati contratto: elementi strutturali 61
3. I reati in contratto: elementi strutturali 63
4. Le conseguenze civilistiche della distinzione tra reati
contratto e reati in contratto 66
5. Reati contratto e ipotesi applicative: in particolare, il reato
di usura. Costruzioni dottrinali e giurisprudenziali 72
6. I reati in contratto: ipotesi applicative, conseguenze e costruzioni dottrinali e giurisprudenziali. In particolare, la truffa
e la circonvenzione di incapace 86
7. (Segue) La concussione e l'induzione indebita 96
CAPITOLO 4
La rilevanza dei comportamenti:
Regole di validità e regole di comportamento
pag.
1. La rilevanza dei comportamenti nell’ambito dei rapporti tra contratto e reato 102
2. Regole di validità e regole di comportamento 105
3. La tesi tradizionale: premessa e brevi cenni sulla buona fede oggettiva 110
4. (Segue) La tesi tradizionale: la ratio, il fondamento e le conseguenze della distinzione tra le due tipologie di regole 113
5. La tesi che propone il superamento della distinzione tra regole
di validità e di comportamento 118
6. (Segue) I possibili corollari della tesi che propone il superamento del principio di non interferenza 130
BIBLIOGRAFIA
Alla mia famiglia, nella quale ora c’è anche Xxxxx
CAPITOLO 1 INTERFERENZE TRA CONTRATTO E REATO
1. I termini della questione
Le norme civili e penali si occupano talvolta della «stessa materia»1, prendendo in esame aspetti e problematiche differenti e valutando il fatto sotto differenti profili, fino a esaurirne la rilevanza giuridica. Di conseguenza, il concorso tra tali norme sarà reale, e non meramente apparente, e condurrà alla «integrale valutazione giuridica del fatto»2.
Ovviamente, affinché sussista un concorso tra norme, occorre che le stesse contemplino fattispecie identiche3 e che, quindi, siano tra loro in rapporto di specialità, univoca o bilaterale. A tal proposito, si deve evidenziare fin d’ora che una norma è speciale rispetto ad un’altra generale, quando la prima (speciale) contiene tutti gli elementi della seconda (generale) e un ulteriore elemento, detto specializzante. La specialità – che può atteggiarsi sia nella forma della specialità per aggiunta sia in quella della specialità per specificazione – può essere unilaterale o reciproca.
In particolare, mentre la specialità unilaterale ricorre quando è solo una delle norme a essere speciale rispetto all’altra, la specialità reciproca, invece, si configura quando ogni norma è, al contempo, sia speciale che generale rispetto all’altra, di guisa che entrambe si caratterizzano per la contemporanea presenza di elementi comuni e di elementi specializzanti.
Ciò detto, il diritto penale ben conosce la problematica del concorso di norme, tant’è che il legislatore ha previsto all’art. 15 c.p.
1L’art. 15 c.p., com’è noto, prevede il criterio di specialità e sancisce l’applicabilità della norma speciale rispetto alla norma generale, qualora due o più norme penali regolino la stessa materia. Al medesimo principio, è da ricondurre altresì l’art. 9 l. 689/1981, che prevede l’ipotesi in cui vi sia concorso apparente tra una norma penale e una norma amministrativa.
2Così XXXXXXXX, I rapporti tra contratto, reati-contratto e reati in contratto, in Riv. ital. dir. proc. penale, 1990, p. 999; MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, Bologna, 1966, p. 374.
3Le fattispecie individuate in due norme sono identiche quando vi è totale coincidenza degli elementi strutturali dell’una e dell’altra.
un’apposita disciplina, sulla quale si è concentrata l’attenzione sia della dottrina sia della giurisprudenza. I relativi orientamenti sono decisamente rilevanti anche per l’oggetto della presente indagine (i rapporti tra contratto e reato), atteso che – come accennato precedentemente – anche in questo settore vi è un concorso tra norme. Di conseguenza, è opportuno illustrare brevemente i risultati raggiunti in ambito penale, per poi applicarli anche nel settore multidisciplinare da noi analizzato.
In particolare, occorre segnalare che i penalisti, se da un lato si interrogano su quale sia l’esatto significato da attribuire alla locuzione «stessa materia» contenuta nell’art. 15 c.p., dall’altro si domandano se il principio di specialità debba essere inteso in astratto o in concreto. Con particolare riferimento a tale ultimo profilo, giova rilevare che mentre la specialità in astratto ricorre nei casi in cui una fattispecie (quella speciale) contempli tutti gli elementi strutturali dell’altra (quella generale) ma con l’aggiunta di un ulteriore elemento (specialità per aggiunta) o con una specificazione (specialità per specificazione), la specialità in concreto si configura quando il fatto concreto può essere sussunto sotto due distinte previsioni incriminatrici pur in assenza di un rapporto di genere a specie4.
Forti sono state le critiche avanzate, sia in dottrina che in giurisprudenza, in ordine alla sussistenza di un criterio di specialità in concreto, deducendosi in primis il contrasto con la lettera dell’art. 15 c.p., che enuncia il principio di specialità tra norme, e quindi tra fattispecie astratte. Ancora, si è osservato che un’impostazione improntata sulla specialità in concreto, oltre a creare incertezze nell’applicazione delle norme penali, non sarebbe coerente con il
4Aderisce alla teoria della specialità in concreto, in particolare in relazione all’art. 9
l. 689/1981, tra le altre Cass. Pen., Sez. III, 20 febbraio 1995, n. 3467, in Giust. pen., 1996, II, p. 104; nonché la dottrina tradizionale, tra cui x. XXXXXXXX, Concorso di norme e concorso di reati, in Riv. it. dir. pen., 1934, pp. 108 ss.; XXXXX XXXXXX, Manifestazioni e radunata sediziosa: concorso di reati o concorso apparente di norme, in Riv. it. dir. pen. proc., 1963, p. 881; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale,
p. gen., Milano, 1985, pp. 134 ss.
principio di legalità, specialmente sotto il profilo della necessaria tassatività della previsione legislativa. Di conseguenza, oramai la tesi dominante è orientata a ritenere che il rapporto di specialità (sia ai sensi dell’art. 15 c.p., sia ai sensi dell’art. 9 l. 689/1981) vada visto in astratto e non in concreto, essendo necessario effettuare un’analisi strutturale delle norme5.
5Cfr., tra gli altri, Xxxxx Xxxx., 0 aprile 1987, n. 97, in Riv. pen., 1987, p. 621; Cass. pen., Sez. Un., 26 marzo 2003, n. 25887, in Foro it., 2003, II, p. 586; Cass. pen., Sez. Un., 27 aprile 2007, n. 16568, in Foro it., 2007, 7-8, II, p. 393; Cass.
Pen., Sez. Un., 28 ottobre 2010, n. 1963, in Guida al dir., 2011, 8, p. 100, con nota di XXXXX; Cass. pen., Sez. Un., 28 marzo 2013, n. 37424, in Cass. pen., 2014, 1, p. 38, con nota di CIRAULO; Cass. pen., Sez. Un., 28 marzo 2013, n. 37425, in Cass. pen., 2014, 1, p. 38, con nota di CIRAULO; FIANDACA – MUSCO,
Diritto penale, p. 633 ss.; DE XXXXXXXXX, Concorso apparente di norme, in Dig. it., disc. pen., 1988, pp. 416 ss.; XXXXXXXXX, Il concorso apparente di norme, in xxx.xxxxxx.xx. Tuttavia, il dibattito penalistico non può dirsi ancora sopito, in quanto la sentenza della Corte Edu, nel caso Grande Xxxxxxx e altri contro Italia, depositata il 4 marzo 2014, parrebbe aver risollevato di recente il dibattito. In particolare, la Corte di Strasburgo ha affermato che, in seguito a delle sanzioni amministrative comminate dalla Consob, non è possibile comminare anche una sanzione penale sugli stessi fatti, giacché – così facendo – si violerebbe il principio giuridico del ne bis in idem, previsto dall’art. 4 del Protocollo 7 allegato alla CEDU. Invero, e come osservato da FIDELBO, Il principio del ne bis in idem e la sentenza ‘Grande Xxxxxxx’: pronuncia europea e riflessi nazionali, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, per evitare che un medesimo fatto sia punito due volte, non sarebbe sufficiente la garanzia costituita dal principio di specialità, dato che il sistema italiano prevede l’apertura di una procedura penale in idem dopo l’adozione di una decisione definitiva di condanna per infrazioni formalmente qualificate come amministrative – ma sostanzialmente penali – da parte della giurisdizione competente. La Corte, pertanto, nell’individuare il metodo da adottare per verificare se la norma interna sia o meno compatibile con l'art. 4 del Protocollo
n. 7 cit., ribadisce che ciò che rileva non è verificare se gli elementi costitutivi del fatto tipizzato dalle due norme siano o meno identici, bensì solo se i fatti sussunti in esse e giudicati nei due procedimenti siano o meno i medesimi (cfr. § 224 della sentenza in commento): in questo senso, cfr. XXXXXXX, Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L’Italia condannata per violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione del mercato, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx. Sul punto, è intervenuta la Relazione
n. 35/2014, a cura dell'Ufficio del Massimario e redatta dal Consigliere Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, recante «Considerazioni sul principio del ne bis in idem nella recente giurisprudenza europea: la sentenza 4 marzo 2014, XXX Xxxxxx Xxxxxxx c. Italia», che osserva come l’affermazione della Corte Edu «potrebbe essere letta nel senso che, al di là della qualificazione giuridica utilizzata nei procedimenti dei quali uno chiuso con il passaggio in giudicato e l’altro pendente, ciò che conta è confrontare le condotte specificamente poste in essere dai medesimi soggetti per verificarne la sovrapponibilità (…)», ma potrebbe essere letta «anche in chiave più generale e riferita al concetto di specialità, quasi a volerlo ampliare e declinare in modo sempre più collegato ad una verifica “in concreto”, e non “in astratto” nel confronto tra fattispecie tipiche, con una prospettiva che, in tal caso, aprirebbe spazi di dissonanza rispetto ai canoni interpretativi ordinariamente accolti dalla giurisprudenza costituzionale interna e da quella anche recente delle Sezioni unite della Corte di Cassazione».
Ciò premesso, e venendo ora ai rapporti tra negozio e illecito penale, occorre evidenziare che gli istituti del contratto e del reato sono riconducibili a diversi ambiti dell’ordinamento e rispondono a logiche ed esigenze differenti, ma – ciò nonostante – fra le due fattispecie si possono configurare significative interferenze, sia nell’ottica legislativa, sia nella prassi applicativa. Il legislatore, infatti, talvolta prevede che la stipula di un contratto o il comportamento antecedente alla conclusione dello stesso costituisca illecito penalmente rilevante.
Di conseguenza, «la possibilità di una convergenza tra norme incriminatrici e norme negoziali, ossia della loro contemporanea attitudine a regolare il medesimo fatto, risulta configurabile rispetto ad una vasta serie di incriminazioni, all’interno delle quali la dottrina ha individuato le due categorie dei reati-contratto e reati in contratto»6. Nelle ipotesi contemplate, quindi, vi è un concorso reale tra una norma civile e una penale, e non un mero concorso apparente.
Assodato ciò, si può ora evidenziare che il tema dei rapporti tra contratto e reato – che si inserisce nell’ambito della più ampia problematica delle interferenze del diritto civile e del diritto penale e che è stato finora analizzato principalmente attraverso lo studio delle singole fattispecie criminose, piuttosto che attraverso una visione complessiva7 – pone sostanzialmente due questioni: una di carattere penalistico, l’altra di carattere civilistico.
Sul primo versante, occorre chiedersi se il reato – il quale preveda, all’interno del fatto tipico, la stipula di un contratto – possa
6Così XXXXXXXX, I rapporti tra contratto, reati-contratto e reati in contratto, cit., p. 997. Sull’analisi dei reati-contratto e dei reati in contratto, x. xxxxx, xxx. 0.
0Xx xxxx xxxxxx XXXXX, xxxx Negozio illecito, in Enc. giur. Treccani, XX, Roma, 1990, pp. 7 ss.; XXXXXX, Diritto civile, 3, Il Contratto, Milano, 1987, pp. 583 ss., 649 ss.; XXXXXXXXX, Il negozio contrario a norme imperative, in Legisl. Econ. (1979 – 1979), 1981, pp. 270 ss.; X. XXXXXXXX, Dottrina generale del contratto, Milano, 1952, pp.
268 ss. La problematica è complessivamente analizzata da RABITTI, Contratto illecito e norma penale, Milano, 2000; X. XXXXXX, Illiceità penale e invalidità del contratto, Milano, 2002; LEONCINI, op. cit., pp. 997 ss.; DI MARZIO, Contratto illecito e regolazione del mercato, Milano, 2011.
dirsi integrato anche qualora il negozio giuridico sia invalido. Conseguentemente, è necessario verificare quali siano le
«conseguenze delle cause di invalidità del negozio, diverse da quelle connesse alla sua illiceità penale, sulla sussistenza del reato8».
Sul versante civilistico, viceversa, ci si chiede se il contratto, la cui stipulazione è in sé penalmente rilevante o in occasione della cui conclusione è commesso un reato, sia privato dei suoi effetti negoziali, ovvero se possa conservare la duplice qualifica di reato e contratto valido9.
Come si vedrà meglio infra10, per la risoluzione delle problematiche appena enunciate è necessario preliminarmente verificare quali fattispecie criminose possano incidere su un negozio giuridico. In proposito, occorre tenere in considerazione che le condotte delle parti contrattuali si intersecano, ma non sempre e non necessariamente entrambi i contraenti sono sottoposti a pena.
Di conseguenza, è necessario soffermarsi sui reati c.d. plurisoggettivi, atteso che, nei casi rilevanti per la nostra indagine, vi è un contratto – e quindi la compresenza di almeno due soggetti – ma non necessariamente l’illecito è commesso da entrambi i contraenti.
2. I reati plurisoggettivi
I reati cd. plurisoggettivi11 sono quegli illeciti in cui la compresenza di più soggetti è elemento costitutivo del fatto tipico.
8LEONCINI, I rapporti tra contratto, reati-contratto e reati in contratto, cit., p. 999.
9La problematica è affrontata da vari autori: senza pretese di esaustività, x. XXXXXXXX, xxx. op. cit., pp. 1000 ss.; XXXXXXXXX, Diritto penale italiano, II, Milano, 1947, p. 236; XXXXXXXXX, Diritto penale e influenze civilistiche, Milano, 1947, pp.
275 ss.; DOLCE, Considerazioni sul contratto penalmente illecito, in La scuola positiva, 1959, pp. 226 ss.; XXXXXXXXXX, Teoria generale del reato, Padova, 1953, pp. 27 ss.; MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, cit., pp. 378 ss.; ID., Diritto penale, Parte speciale, Delitti contro il patrimonio, Padova, 1989, pp. 53 ss. in particolare nei reati in contratto.
10Cfr. infra, cap. 3, par. 1.
11La denominazione “reati plurisoggettivi” si deve a GRISPIGNI, op. cit., p. 235 e ha incontrato il favore della dottrina. Nello stesso senso, cfr. PISAPIA, Unità e pluralità
Com’è noto, infatti, le norme incriminatrici sono spesso strutturate in chiave plurisoggettiva, richiedendo cioè quale elemento costitutivo della fattispecie la necessaria compartecipazione di più soggetti attivi.
Di regola le norme incriminatrici sono strutturate in forma monosoggettiva, con estensione della punibilità anche in capo a eventuali compartecipi grazie al disposto di cui all’art. 110 c.p. Tuttavia, talvolta il legislatore richiede, ai fini dell’integrazione di un determinato fatto tipico, la partecipazione di più soggetti attivi, escludendo in radice una realizzazione monosoggettiva della fattispecie12. Da ciò discende la summa divisio tra reati necessariamente plurisoggettivi e reati eventualmente plurisoggettivi13: nel primo caso, si è in presenza di un “concorso di persone necessario”; nel secondo, si configura un “concorso di persone eventuale”.
Ancora, si suole distinguere tra reati plurisoggettivi unilaterali, bilaterali e reciproci. Mentre i primi sono quelli nei quali la condotta dei correi è indirizzata verso un unico scopo (a titolo esemplificativo, si consideri l’associazione a delinquere), i secondi sono quelli in cui le condotte sono rivolte l’una verso l’altra (basti pensare al reato di bigamia). Infine, quelli reciproci si caratterizzano per la circostanza
di soggetti attivi nella struttura del reato, in Studi di diritto penale, Padova, 1956, pp. 341 ss.; DELL’ANDRO, La fattispecie plurisoggettiva nel diritto penale, Milano, 1956; FROSALI, Il concorso necessario di persone nel reato (reati plurisoggettivi), in Scritti De Xxxxxxx, Napoli, 1960, I, p. 603; XXXXXXXX, op. cit., pp. 1004 ss.; LIBERATI, Contratto e reato, interferenze tra disciplina civile e disciplina penale, in Fatto & diritto, Milano, 2004, p. 13; MANTOVANI, op. cit., 572 ss.; GAROFOLI, Manuale di diritto penale, parte generale, Roma, 2014, p. 1379.
12Esemplificativamente, basti pensare ai reati di rissa (art. 588 c.p.) o associazione a delinquere (art. 416 c.p.). Come sottolineato da XXXXXXXX, op. cit., p. 1379, nt. 932, i reati necessariamente plurisoggettivi si distinguono nettamente dai reati realizzati con il consenso della vittima, in cui quest’ultima è appunto vittima dell’altrui condotta criminosa.
13Così LIBERATI, op. cit., p. 13. Contra ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale, cit., p. 520, che osserva l’inutilità di tali sottocategorie, che non avrebbero alcuna finalità se non quella di “complicare e sminuzzare la materia”, posto che tutti i reati plurisoggettivi (in senso stretto) soggiacciono alle medesime regole e ad identico trattamento penale.
che le condotte sono rivolte l’una contro l’altra, come ad esempio avviene nella rissa.
Ulteriore classificazione che viene effettuata14 è quella tra reati normativamente plurisoggettivi15 e reati naturalisticamente plurisoggettivi ma normativamente monosoggettivi16. Invero, il legislatore talvolta concentra la sua attenzione su una sola condotta, ritenendo comunque necessaria la compartecipazione anche di un altro soggetto, seppure quest’ultimo non venga sottoposto ad alcuna sanzione. Emblematico è – sotto tale profilo – il caso della truffa, nel quale è logicamente necessaria la partecipazione del deceptor, oltre che del deceptus, anche se quest’ultimo non soggiace ad alcuna sanzione da parte dell’ordinamento, proteso a tutelare proprio il suo interesse.
Come già anticipato e come si vedrà meglio infra17, le distinzioni e classificazioni degli illeciti penali presentano dei riflessi particolarmente rilevanti in ordine alle problematiche – penalistiche e civilistiche – dei rapporti tra contratto e reato. Infatti, il contratto è normativamente configurato come un negozio bi o plurilaterale: essendo le parti in posizione paritetica, le volontà di tutti i contraenti e le rispettive obbligazioni hanno pari rilievo.
14La distinzione è formulata da PISAPIA, op. cit., pp. 345 ss., seguita altresì da MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, cit., p. 524, nonché da XXXXXXXX, op. cit.,
p. 1011, e da LIBERATI, op. cit., p. 3.
15Consistono in quei reati in cui il fatto naturalistico e soprattutto la legge implicano la cooperazione di più persone: di conseguenza, sono puniti tutti i coagenti (es.: art. 588 c.p.).
16Essi si configurano qualora per la realizzazione del fatto tipico sia necessaria la cooperazione fisica di almeno due persone, ma il legislatore si limiti a descrivere – e a sanzionare penalmente – soltanto la condotta di uno solo.
17Cfr. infra, cap. 3.
3. Riflessioni sulla rilevanza della patologia contrattuale in ordine alla consumazione del reato
Esaurita l’imprescindibile premessa in ordine ai reati plurisoggettivi18, occorre cercare di comprendere, a questo punto dell’indagine, se e in che modo la sussistenza di una patologia contrattuale impedisca il riconoscimento dell’intervenuta integrazione dell’illecito penale. In altri termini, e fermo restando che la presente analisi è finalizzata a comprendere la problematica dei rapporti civilistici tra contratto e reato, è opportuno stabilire – sotto il profilo penalistico – se la legge penale esiga, per l’integrazione del reato, la stipula di un negozio civilisticamente valido ed efficace19.
Nel dare una soluzione a tale problematica, un’impostazione risalente (cd. concezione autonomistica)20 ritiene che le vicende civilistiche del contratto non abbiano riflessi sul reato, né possano condizionare il riscontro circa l’integrazione della fattispecie criminosa, atteso che il diritto penale – autonomo ed indipendente, nonché libero da condizionamenti e influenze da parte di sistemi normativi esterni a esso – è posto a tutela di interessi collettivi, i quali non possono che differenziarlo dal diritto privato. A ciò si aggiunga che il negozio giuridico sarebbe, per definizione, un atto lecito e pertanto, in presenza di un reato, non vi sarebbe alcuno spazio per l’autonomia negoziale. Vi sarebbe, dunque, una costante
18Tale premessa si pone come necessaria perché – come indicato supra – nell’analisi dei rapporti tra contratto e reato, appare ictu oculi che il settore penale rilevante ai nostri fini è quello in cui si intersecano le condotte di due soggetti, senza la necessità di una sanzione penale per entrambi.
19Esemplificativamente, basti pensare a tutte le ipotesi in cui si sanziona penalmente la vendita o l’acquisto di un determinato bene: esemplificativamente, si veda il d.p.r. 309/1990, o ancora gli artt. 250, 352, 470, 474 e 648 c.p.
20Così ANGELOTTI, Delitti contro il patrimonio, in Trattato del Florian, Milano, 1936,
p. 492; XXXXXXXX, Delitto e contratto, in Arch. Pen., 1953, p. 72; DOLCE, Xxxxx considerazioni sul contratto penalmente illecito, in Scritti giuridici in onore di A. De Xxxxxxx, I, Milano, 1960, p. 235; Cass. Pen., 24 giugno 1966, in Giust. pen., 1967, II, p. 1183; Cass. Pen., Sez. I, 30 aprile 1982, n. 10703, in Cass. pen., 1984, p. 62; Cass. Pen., Sez. I, 6 gennaio 1998, n. 10460, in proc. Ceman; Cass. Pen., Sez. I, 1 giugno 1998, n. 10460, in Cass. Pen., 2000, p. 524, che statuisce la necessità dell’effettiva consegna della sostanza dal venditore all’acquirente, non essendo sufficiente l’accordo verbale tra le parti, ai fini della consumazione del reato di acquisto di sostanze stupefacenti o psicotrope ex art. 73 comma 1 T.U. n. 309/90.
divergenza tra concetti privatistici e penalistici e, conseguentemente, né la nullità né l’annullabilità del contratto osterebbero al perfezionamento del reato21, stante la totale separatezza tra diritto penale e diritto civile.
La teoria in esame è stata sottoposta a critica da parte di chi ha osservato22 che, in quest’ottica, non si potrebbe utilizzare la nozione di contratto, dovendosi ricorrere, viceversa, a un altro concetto, incentrato più genericamente sulla figura dell’accordo. Da ciò discenderebbe un’incertezza nell’individuazione della condotta criminosa, con conseguente disarmonia nella tutela di un medesimo interesse23. Inoltre, vi sono delle ipotesi di patologia contrattuale24, che hanno indubbi riflessi sull’integrazione del reato, visto che fanno venire meno l’elemento soggettivo dell’illecito.
Di segno opposto è l’orientamento (teoria cd. pancivilistica)25 che relega il diritto penale in termini di sostanziale accessorietà rispetto al diritto civile.
Si osserva, infatti, che il diritto penale avrebbe una funzione meramente sanzionatoria e sarebbe previsto dal legislatore come extrema ratio per quei rapporti già compiutamente disciplinati dal diritto civile, con la conseguenza di un’integrale ricezione degli istituti e delle definizioni civilistiche all’interno del diritto penale.
Che questi siano i rapporti tra i due rami dell’ordinamento si evincerebbe, in primis, dall’analisi storica del diritto, essendo il diritto privato certamente più risalente di quello penale, nonché da argomentazioni meramente terminologiche, atteso che, quando il legislatore parla di “contratto”, si riferisce ad un elemento normativo. Inoltre, l’argomento principale su cui si fonda tale tesi sarebbe da
21L’unica ipotesi rilevante sarebbe – per i fautori della teoria in esame – l’assoluta inesistenza del negozio, nel qual caso non si avrebbe quella tipicità richiesta dalla norma incriminatrice.
22LIBERATI, op. cit., p. 15.
23Così, XXXXXXXX, Xxxxx e contratto nei loro reciproci rapporti, Milano, 2006, p. 125. 24Esemplificativamente si può pensare all’ipotesi in cui il contratto sia annullabile per vizio del consenso del truffatore, oltre che del truffato: sul versante penalistico, tale circostanza farebbe venir meno il dolo del reato di truffa.
25GRISPIGNI, op. cit., pp. 235 ss..
rinvenirsi nella logica e coerenza, visto che, interpretando il diritto penale come un diritto accessorio rispetto allo ius privatorum, si otterrebbe il risultato di avvicinare i diversi rami dell’ordinamento e avere un’uniformità di disciplina.
Dunque, aderendo all’impostazione in esame, si avrebbe un accoglimento totale e incondizionato delle nozioni civilistiche all’interno delle fattispecie penali, che si porrebbero in funzione sanzionatoria rispetto a vicende interferenti con l’accordo26. Da tutto quanto sopra – e in particolare dall’accessorietà del diritto penale –, deriva l’attribuzione di rilievo penalistico soltanto alle cause di nullità o di inesistenza (in conseguenza delle quali il reato non si perfezionerebbe)27 e non alle ragioni di annullabilità28.
Tuttavia, è stato osservato che «se è frequente rinvenire nelle norme incriminatrici descrizioni in cui rientrano facilmente il concetto di accordo o di patrimonialità, ben più raro è trovare tutti gli elementi insieme come esige la disciplina civilistica nella definizione del contratto di cui all’art. 1321 c.c.29». Di conseguenza,
– quando non si può parlare di contratto stricto sensu – la disciplina civilistica dovrebbe allora essere applicata in via analogica. Tuttavia, ragionare in tal modo – ovvero applicare in via analogica lo ius privatorum – sarebbe in contrasto proprio con la ratio su cui si fonda la tesi pancivilistica: infatti, se la ratio è quella di uniformare i diversi rami dell’ordinamento, è evidente che tale armonizzazione si può
26Conseguentemente, nei reati-contratto, alla pluralità delle parti e delle dichiarazioni corrisponderebbe una pluralità di soggetti attivi e di condotte illecite. Ancora, l’elemento oggettivo del reato sarebbe da identificarsi con il mero scambio delle manifestazioni di volontà e, infine, il momento perfezionativo del reato sarebbe completamente equiparato al momento perfezionativo del contratto, con le note differenze a seconda che il contratto sia consensuale o reale.
27Così DOLCE, op. cit., pp. 226 ss., secondo cui, quando le operazioni criminose siano prive civilisticamente di qualsiasi effetto giuridico, mancherebbe l’oggetto dell’incriminazione. Viceversa, secondo XXXXXXXXX, op. cit., p. 157 e 236, laddove il contratto sia nullo o inesistente, il reato sarebbe perfezionato, ma non consumato, essendosi arrestato alla soglia del tentativo punibile.
28Così, XXXXXXXXX, ult. op. cit., p. 236; nello stesso senso SINISCALCO, Circonvenzione di persone incapaci, in Enc. dir., VII, p. 52, il quale aggiunge inoltre l’irrilevanza penalistica delle ipotesi di contratti nulli ma suscettibili di conversione.
29Così LIBERATI, op. cit., p. 32.
ottenere solo mediante un’applicazione diretta della disciplina civilistica e non attraverso il ricorso all’analogia30.
Si è rilevato31, inoltre, che applicare l’intera disciplina del negozio giuridico – ivi comprese le norme in tema di invalidità, risoluzione e rescissione – alle ipotesi criminose in cui vi sia un contratto, significherebbe creare dei vuoti di tutela nella materia penale. In tal caso, invero, vi sarebbero fattispecie criminose non integrate neanche sotto forma di tentativo, giacché il diritto penale – com’è noto – si basa sui principi di legalità e di materialità. Infine, non si terrebbe neanche conto della possibilità che le parti diano esecuzione a un contratto anche se nullo, né della probabile incidenza di una causa di annullabilità negoziale sull’elemento soggettivo del reato.
Sono state proprio le critiche mosse alle teorie succitate a convincere parte della giurisprudenza e della dottrina32 ad aderire a una concezione che si discosti da rigide convinzioni33. In particolare, è risultato preferibile adottare una posizione intermedia, volta ad esaminare la problematica in concreto e caso per caso, così da verificare in che modo ciò che determina la patologia del contratto possa avere rilievo penale, fermo restando che i singoli requisiti – penalistici e privatistici – possono coincidere.
Come suggerito da attenta dottrina34, pertanto, è necessario optare per un approccio di tipo «relativistico», che tenga conto, da un lato, della distinta natura e dei diversi obiettivi della tutela penale e civile – e dunque della non necessaria corrispondenza tra le nozioni privatistiche e penalistiche – e, dall’altro, della possibile coincidenza
30LIBERATI, ult. op. cit., p. 32.
31Cfr. XXXXXXXX, ult. op. cit., p. 33.
32Cfr. XXXXXXXXX, Concorso, cit., p. 378; XXXXXXXX, I rapporti tra contratto, reati- contratto e reati in contratto, cit., p. 1004; XXXXXXX, Contratto illecito, cit., pp. 14 ss.; XXXXXXXX, Xxxxxxxxx e reato, cit., pp. 41 ss.; Cass. Pen., Sez. IV, 10 dicembre 1997, in Guida al Diritto- dossier, gennaio 1999.
33Ovvero, quelle secondo cui il diritto civile non si riflette in alcun modo sul diritto penale (concezione autonomistica), o quella speculare secondo cui il diritto civile si riflette inevitabilmente sul diritto penale (concezione pancivilistica).
34Così MANTOVANI, Concorso, cit., p. 378.
di taluni loro requisiti. In altri termini, occorre prendere le mosse da concezioni privatistiche, posto che il contratto è un istituto proprio del diritto civile, adattando poi – sia nella struttura, che nelle conseguenze applicative – le nozioni civilistiche alle peculiarità proprie del diritto penale.
Di conseguenza, pur dovendosi intendere il contratto nel senso tecnico del termine, occorre contemperare la disciplina civilistica con gli istituti e le esigenze proprie del diritto penale: è necessario, cioè, effettuare uno sforzo interpretativo volto a coordinare le fattispecie criminose con uno schema modellato sulla falsariga di quello previsto dall’art. 1321 c.c., ma elaborato in base alle diverse esigenze pubblicistiche che vengono in rilievo35.
Pertanto, muovendo da una definizione incentrata sull’accordo e rispettosa della patrimonialità, si è ampliato il novero delle ipotesi nelle quali assumono rilievo i rapporti tra contratto (o accordo) e reato, proponendo un inquadramento elastico e privo di posizioni aprioristiche36.
Quindi, individuato il presupposto fondamentale nei termini di cui supra, la problematica si è spostata inevitabilmente sulla disciplina applicabile in questi casi, dovendosi necessariamente verificare in concreto se gli istituti dell’invalidità civilistica condizionino o meno l’aspetto penalistico del fatto e le vicende inerenti la punibilità in concreto dell’autore. Invero, laddove si ritenga che il dato definitorio di partenza sia quello previsto dalla normativa civilistica, ma che essa vada necessariamente riadattata a seconda del singolo reato che venga in esame, la disciplina civilistica non sarà automaticamente applicabile, ma dovrà verificarsi – sempre nel singolo caso – se è applicabile e a quali condizioni: «si tratterà di volta in volta di stabilire quali vizi (indipendentemente dalla loro qualificazione privatistica, ma tenuto conto della possibile identità
35In tal senso, XXXXXXXX, I rapporti tra contratto, reati-contratto e reati in contratto, cit., pp. 1027 ss.
36Così MANTOVANI, ult. op. cit., p. 382 383; XXXXXXXX, op. cit., p. 44.
tra singoli requisiti penalistici e privatistici) incidano, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, sulla tipicità del fatto»37.
4. L’impostazione del problema civilistico
La problematica che maggiormente interessa ai fini della nostra indagine e contrapposta a quella sopra esaminata, è quella di verificare in che modo il reato incida sul contratto. In particolare, occorre chiedersi in primis in quali casi contratto e reato si possano intersecare: sul punto – e come visto precedentemente – si può agevolmente rispondere che i due istituti si intersecano quando si ha un reato plurisoggettivo.
Una volta individuato l’ambito in cui le relazioni e interferenze tra contratto e reato si manifestano, bisogna verificare se sussista e quale sia la reazione dell’ordinamento civilistico dinanzi a un contratto che si raffronta con un reato. Le conseguenti sottodomande, che ci si deve porre, sono tre:
1. se vi sia una reazione da parte dell’ordinamento che incida sul contratto e, in caso di risposta affermativa, quale sia;
2. nel caso in cui si ritenga che la reazione applicabile sia quella della nullità del negozio giuridico, occorre verificare se si tratti di nullità virtuale o di nullità per illiceità e se, conseguentemente, si ricada nella previsione di cui al I comma dell’art. 1418 c.c. o in quella di cui al II comma della medesima norma;
3. infine, qualora la reazione applicabile sia quella della nullità virtuale, si deve verificare se tale figura ricorra sempre e in via automatica solo per il fatto che le parti del contratto (o una di esse) hanno posto in essere condotte criminose.
37Così XXXXXXXX, I rapporti tra contratto, reati-contratto e reati in contratto, cit., p. 1032.
5. (Segue) La sanzione penale e le reazioni civili
Al fine di rispondere a tali quesiti, occorre preliminarmente evidenziare che, a fronte di un fatto illecito, mentre il diritto penale prevede esclusivamente l’irrogazione di una pena, il diritto civile prevede differenti rimedi, tra i quali, in primis, il risarcimento del danno.
Ferme restando le note differenze tra responsabilità civile e responsabilità penale38, occorre evidenziare che la sanzione penale risponde a una triplice finalità. Innanzitutto, vi è l’esigenza repressiva, atteso che l’ordinamento mira a sanzionare e reprimere le condotte antigiuridiche ritenute meritevoli di pena giacché configuranti un comportamento criminoso. Ancora, vi è l’esigenza di prevenzione generale, così da indirizzare le condotte dei consociati e influenzarne di conseguenza le scelte e, infine, vi è l’esigenza di
38Sul punto, e con particolare riferimento alle differenze in tema di causalità civile e penale, si vedano tra gli altri STELLA, Commento agli artt. 40 e 41 c.p., in CRESPI- STELLA-ZUCCA, in Commentario breve al codice penale, Padova, 1999, p. 136; VALCAVI, Sulla causalità giuridica nella responsabilità civile da inadempimento e da illecito, in Riv. dir. civ., 2001, p. 409 ss.; XXXXXXXX, Il nesso di causalità, Padova, 2002; XXXXXXX, La causalità «incerta», Torino, 2007; XXXXXXX, Illiceità penale e illiceità civile, in Contratto e reato, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Napoli, 2014, pp. 81 ss.; XXXXXXX, La regola del «più probabile che non» come regola probatoria e di giudizio del processo civile, in L’unità del sapere giuridico tra diritto penale e processo, Milano, 2005, pp. 49 ss. In giurisprudenza, tra le altre, si rinvia a Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 581, in Danno e resp., 2008, 1011, con nota di XXXXXX; in Resp. civ., 2008, p. 984, con nota di XXXXX, in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 623, con nota di QUERCI; Cass., Sez. I, 23 dicembre 2010, n. 26042, in CED Cass. Ancora, in ordine alle differenze di prova, RABITTI, Illiceità penale e illiceità civile, cit., p. 89, evidenzia che mentre nel diritto civile la responsabilità aquiliana può essere provata anche per presunzioni o mediante il ricorso alle prove legali, nel diritto penale la prova si forma a dibattimento. Si vedano poi Cass., Sez. III, 18 febbraio 2010, n. 3903, in CED Cass. 2010; Cass., Sez. Un., 27 maggio 2009, n. 12243, in Mass. Giur. it., 2009, che evidenziano l’irrilevanza – in sede civilistica e ai fini dell’illiceità civile – dell’intervenuta legge di amnistia o indulto del reato commesso. In ordine poi alle cause di giustificazione e all’imputabilità, cfr. XXXXXXX, Illiceità penale e illiceità civile, cit., pp. 89 ss., che conclude poi evidenziando come – pur in presenza di svariate differenze disciplinatorie – si sarebbe attenuata la rilevanza applicativa della distinzione tra illecito penale e illecito civile, in considerazione sia dell’interpretazione fatta dalla dottrina e dalla giurisprudenza (inclini a soffermare l’attenzione sull’offensività in concreto del fatto), sia degli interventi legislativi che introducono sempre più clausole di illiceità speciale o comunque formule elastiche e vaghe, ritenute non in contrasto con il principio di determinatezza da parte di Xxxxx Xxxx., 0 agosto 2008, n. 327, in Corr. giur., 2008, p. 1615, purché dal contesto ordinamentale e dalla ratio della disposizione si possa evincere il significato concreto delle formule legislative.
prevenzione speciale, che trova la sua matrice nel disposto dell’art. 27, comma 3, Cost.: in particolare, la pena deve essere sempre finalizzata alla rieducazione del reo, giacché solo una pena avvertita come giusta può far sì che il soggetto non sia spinto a delinquere ulteriormente39.
Viceversa, da un punto di vista civilistico, qualora venga commesso un fatto illecito, sorge l’obbligo risarcitorio di cui all’art. 2043 c.c., la cui funzione – secondo la tesi assolutamente dominante40 – sarebbe precipuamente riparatoria e non retributiva, essendo rivolto a tutelare la vittima del fatto illecito più che a sanzionare il suo autore.
Ciò detto, occorre evidenziare che la sanzione civilistica del risarcimento del danno non può ritenersi sufficiente a tutelare le posizioni soggettive delle vittime, essendo necessario evitare tout court il compimento di illeciti. Di conseguenza, qualora le parti siano
39Oramai pacifico tale profilo in dottrina e nella giurisprudenza di legittimità e costituzionale: cfr. tra le altre Xxxxx Xxxx., 00 febbraio 1971, n. 22, in xx.xxxxxx.xx; Xxxxx Xxxx., 00 maggio 1975, n. 119, in xxx.xxxxxx.xx; Xxxxx Xxxx., 00 maggio
1985, n. 169, in Giust. pen., 1985, I, p. 353; Xxxxx Xxxx., 00 giugno 1974, n. 204, in xxx.xxxxxxxx.xxx; Xxxxx Xxxx., 00 marzo 1988, n. 364, in Foro it., 1990, I, p. 415; Xxxxx Xxxx., 00 dicembre 1988, n. 1085, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1990, p. 289; Xxxxx Xxxx., 0 luglio 1993, n. 306, in Foro it., 1996, I, 481; Xxxxx Xxxx., 00 luglio 2007, n. 322, in Cass. pen., 2008, 1, p. 21, con nota di XXXXXXX; in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, 3, p. 1340, con nota di XXXXXXXX.
40La letteratura in materia di responsabilità extracontrattuale è sconfinata. Senza pretese di completezza, si rinvia a BIANCA, Diritto civile, La responsabilità, II ed., 2012, Milano; XXXXXXX, I fatti illeciti, Padova, 2008; BUSNELLI, (voce) Illecito civile, in Enc. giur. (Treccani), XV, Roma, 1989, pp. 1 ss.; XXXXXXXXX, (voce) Illecito (diritto privato), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, pp. 90 ss.; XXXXXXXX, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta per il danno alla persona, in Corr. giur., 8, 2003, pp. 1031 ss. (commento a: Cass., Sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827; Cass.,
Sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828; Xxxxx Xxxx. 00 luglio, n. 233); XXXXXXXXX, Attività sanitaria e responsabilità civile, in Danno e resp., 7, 2003, pp. 693 ss.; SCOGNAMIGLIO, Il danno non patrimoniale contrattuale, in AA.VV., Il danno contrattuale e le tutele, a cura di Xxxxxxxxx, Torino, 2002, pp. 219 ss.; DE MARZO, Responsabilità civile e rapporti familiari, in Danno e resp., 7, 2001, pp. 741 ss. (nota a Trib. Firenze 13 giugno 2000); XXXXX, Il debole confine tra la responsabilità contrattuale e la responsabilità extracontrattuale: il “contatto sociale in ambito scolastico”, in Danno e resp., 11, 2006, pp. 1084 ss. (nota a Cass., Sez. III, 18 novembre 2005, n. 24456); XXXXXXXXX, Illeciti da informazione e responsabilità omissiva, in Riv. dir. civ., 6, 2002, pp. 911 ss.; ID., Solidarietà e responsabilità tra libertà di astensione e (pretesi) comportamenti abusivi. Riflessioni a margine dell’omissione dolosa, in Diritto e Formazione, 3, 2003, pp. 351 ss.; XXXXX, La responsabilità civile, in Tratt. di diritto privato, a cura di Xxxxxx e Zatti, Milano, 2005; e ai riferimenti di dottrina e giurisprudenza ivi richiamati.
legate da un contratto che presenta dei profili di illiceità41, l’ordinamento ha di mira la caducazione del negozio, in specie sotto forma di nullità dello stesso, fermo restando che, laddove la legge preveda diversamente, si potranno utilizzare gli altri rimedi dell’annullamento, rescissione o risoluzione contrattuale42.
Pertanto, nel prosieguo ci si soffermerà sulla nullità del contratto e in particolare, sulla nullità virtuale.
41L’illiceità è qui intesa in senso ampio, sì da ricomprendere il contratto cd. illecito, nonché il contratto cd. illegale: sulla distinzione tra le due nozioni, si veda infra cap. 2, par. 3.
42Si veda MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, aggiornato da Nuvolone e Pisapia, Padova, 1985, I, p. 197.
CAPITOLO 2
LA NULLITA’ VIRTUALE
1. La nullità virtuale: analisi storica
Come annunciato in precedenza, per la soluzione dei quesiti sopra indicati1, e quindi per comprendere i rapporti tra contratto e reato, occorre prendere le mosse dalla cosiddetta nullità virtuale.
In via generale, essa può essere definita come una delle reazioni dell’ordinamento giuridico, che interviene quando è necessario eliminare la programmazione negoziale lesiva dei valori giuridici fondamentali. Ancora, è opportuno evidenziare, sempre in via generale, che la nullità in esame è appunto virtuale, ovvero inespressa, dato che è ricavabile interpretativamente dalla natura imperativa della norma violata2. Pertanto, «è possibile da un verso che (la nullità virtuale) entri in applicazione anche se non prevista da una specifica previsione legislativa, e dal verso opposto che non entri in applicazione se una norma imperativa violata non sta a servizio di valori giuridici fondamentali»3.
Quindi, in assenza di criteri rigidi che definiscano chiaramente quale sia l’ambito applicativo dell’art. 1418, comma 1, c.c., è evidente la difficoltà dell’interprete di comprendere se e quando il contratto sia virtualmente nullo e, di conseguenza, si crea un elevato grado di incertezza in ordine alla validità del negozio realizzato dalle parti4.
Tuttavia, poiché la verifica della sussistenza della nullità virtuale è talmente importante per il giurista (a maggior ragione quando cerca di comprendere i rapporti tra contratto e reato),
1Cfr. cap. 1, p. 17.
2ZANELLI, La nullità “inequivoca”, in Contratto e impr., 1998. p. 1253.
3Così TOMMASINI, voce Nullità (dir. priv.), in Enc. Dir., Milano, XXVIII, 1978, p. 879; nello stesso senso G. B. XXXXX, Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, Milano, 1970, p. 148.
4Nello stesso senso, XXXXX, L'invalidità, in Trattato del contratto, Torino, III, 2010, p. 1917.
non si possono ignorare tutte le problematiche che l’art. 1418, comma 1, c.c. pone. È necessario, in particolare, individuare il campo di applicazione della norma in esame; distinguere tra le ipotesi rientranti nel primo comma e quelle riconducibili ai commi successivi della disposizione in commento; comprendere quali siano le norme imperative e, infine, verificare il significato dell’inciso finale della disposizione de qua. Solo procedendo con un’analisi esaustiva dell’istituto in esame, infatti, si possono comprendere gli aspetti controversi che caratterizzano i rapporti tra contratto e reato e rispondere, quindi, al quesito di fondo della nostra indagine, finalizzato a verificare se il negozio che si interseca con un illecito penale sia valido o meno.
In primis, si ritiene importante analizzare la norma sotto il profilo storico, rilevandosi innanzitutto che la disposizione de qua nasce espressamente con il codice civile del 19425 per colpire con l’invalidità anche quei negozi che appaiono contra legem pur in assenza di rimedi espressi.
Nonostante la norma sia di nuovo conio, era chiaro già fin dalla tradizione romanistica che una pattuizione privata contraria al diritto cogente non potesse sopravvivere6. Infatti, la nullità virtuale del negozio risale alla costituzione Teodosiana del 439 d.c. (c.d. lex Non dubium), emanata con il precipuo scopo di impedire l’aggiramento del divieto di amministrare beni altrui, mediante ricorso ai contratti simulati da parte dei curiales7.
In tale impianto normativo, se da un lato si prevedeva l’estensione della proibizione di cui sopra anche al contratto di
5Per la compiuta analisi storica dell’istituto in esame, cfr. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993.
6Così VILLA, op. cit., p. 5.
7Come osserva VILLA, ult. op. cit., p. 6, tale divieto era previsto dalla costituzione del 382 d.c.; nello stesso senso MASI, Il negozio utile o inutile in diritto romano, in Riv. it. sc. giur., 1959/62, pp. 83 ss.; ID., Nullità (storia), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 864; DI PAOLA, Contributi ad una teoria dell'invalidità e della inefficacia in diritto romano, Milano, 1966, pp. 94 ss.
locazione, onde evitarne un uso in frode alla proibizione, dall’altro si stabiliva che qualsiasi patto contrario ad un divieto legislativo dovesse considerarsi «inutilis» e «pro infecto», anche in mancanza di una previsione espressa. Di conseguenza, ammettendo che la violazione di qualunque norma fosse capace di generare la nullità, si svincolava tale conseguenza dall’espressa previsione contenuta nella norma proibitiva e si finiva, in tal modo, per rendere perfectae tutte le leggi8. Si passava quindi da un sistema di invalidità esclusivamente testuale, ad un sistema idoneo a rendere invalido il negozio tutte le volte in cui lo stesso risultava in contrasto con una disposizione di legge.
In ogni caso, a partire dalla lex Non dubium, la cultura giuridica di impostazione romanistica ha dovuto tenere conto del principio codificato dalla novella, senza mai dubitare seriamente dell’opportunità dello stesso9. Tuttavia, a differenza di quanto avvenuto con la codificazione del 1942, nel Codice del 1865 alla nullità virtuale non veniva riconosciuto autonomo spazio, venendo essa ricondotta entro i termini della illiceità della causa contrattuale.
In particolare, l’art. 1119 dell’abrogato codice prevedeva che «l’obbligazione (…) fondata su una causa illecita non ha alcun effetto», mentre l’art. 1122 c.c. del 1865 statuiva l’illiceità della causa in caso di contrarietà alla legge, al buon costume o all’ordine pubblico. Né la dottrina né la giurisprudenza si preoccuparono di concedere autonomia al tema, concentrate com’erano sulle fattispecie più ricche di riscontri giurisprudenziali (come, ad esempio, i patti connessi ai rapporti di concubinato e meretricio, o di non concorrenza) e che,
8Così BAVIERA, Xxxxx imperfectae, minus quam perfectae e perfectae, in Scritti giuridici, I, Palermo, 1909, p. 204.
9VILLA, op. cit., p. 7.
tuttavia, non coglievano la diversità concettuale delle nozioni di norma imperativa, ordine pubblico e buon costume10.
Occorre quindi attendere il contributo di autorevole dottrina11 per razionalizzare il sistema, sia mediante una netta distinzione tra le fonti dell’illiceità, sia attraverso la previsione di un apposito criterio12 utilizzabile per comprendere se il contratto è contrario a norme imperative.
In particolare, la dottrina in commento13 muove dalla considerazione che la nullità negoziale miri a tutelare interessi pubblicistici (ossia riguardanti la generalità dei consociati) e constata, altresì, che vi sono ipotesi di illiceità negoziale non riconducibili all’illiceità della causa, dell’oggetto e della condizione. Assodato ciò, l’autore riesce a comprendere che l’unico modo per verificare l’influenza del divieto legislativo sull’atto sia attribuire precipuo rilievo allo scopo e al fondamento del divieto: se si tratta di uno scopo generale, legato al bisogno di difesa della sicurezza giuridica, allora si ha lex perfecta, la cui violazione genera nullità; qualora, invece, si tratti di uno scopo di polizia, finanza o disciplina, allora il divieto che ne scaturisce non incide sull’esistenza ed efficacia del negozio vietato.
Dunque, la dottrina de qua individua un criterio fondato sull’interesse protetto dalla norma di divieto e non si limita a distinguere semplicemente tra interesse pubblicistico e interesse privatistico, né ritiene che vi sia nullità virtuale per i contratti che violino norme imperative posta genericamente a tutela di un interesse pubblicistico. Infatti, si ricollega la nullità esclusivamente alla violazione delle norme che tutelano quegli
10Per una compiuta disamina, cfr. VILLA, op. cit., p. 18, note 59 e 60.
11Il riferimento è a F. FERRARA (sen), Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, II ed., Milano, 1914, p. 23.
12Il criterio de quo è tutt’oggi utilizzato dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominante: sul punto cfr. infra, par. 5.
13F. FERRARA (sen.), op. cit., p. 23.
interessi pubblici riguardanti la generalità dei cittadini e attinenti agli aspetti fondamentali della sicurezza giuridica, fermo restando che – in caso di dubbio sul senso del divieto – si ritiene che si dovrebbe propendere per la nullità.
Nonostante l’importanza degli studi effettuati da tale autore, la mancanza di un’espressa previsione legislativa della nullità virtuale impediva un’applicazione generalizzata dei criteri suggeriti in via interpretativa. Pertanto, proprio al fine di superare un simile empasse, il legislatore – nei progetti di codificazione che condussero all’elaborazione dell’attuale corpus normativo – scelse di inserire nel sistema una previsione espressa della nullità virtuale, così da colpire con l’invalidità anche ipotesi di per sé non rientranti nel concetto di causa illecita14.
In particolare, l’art. 294, comma 1, del Progetto Grandi del 1939 prevedeva la nullità del contratto «quando manca di un elemento essenziale per la sua esistenza ovvero è contrario a norme imperative o proibitive di legge15». Tale disposizione, se da un lato contrapponeva la nullità per contrarietà a norme imperative alla nullità provocata dalla mancanza degli elementi essenziali, dall’altro pareva sancire una nullità automatica e inevitabile, stante la mancanza di una riserva idonea a salvare il contratto, qualora la violazione della legge non fosse tanto grave da giustificare l’invalidità16.
Malgrado tale criticità, la proposta in esame venne accolta dalla Commissione delle Assemblee Legislative, tant’è che l’art. 257 conservava lo stesso automatismo già presente nel progetto
14Sul punto, cfr. DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. crit. dir. priv., 1985, p. 436; X. XXXXXXXXX, Le nullità e il contratto nullo, in Tratt. del contratto, diretto da Xxxxx, IV, Rimedi, a cura di Gentili, Milano, 2006, p. 37; VILLA, op. cit., p. 18; ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003, p. 114.
15Cfr. Lavori preparatori del codice civile. Progetti preliminari, II, Roma, 1942, p. 87.
16Così VILLA, op. cit., p. 3.
precedentemente richiamato e si limitava a disporre che «oltre che nei casi determinati dalla legge, il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative», statuendo la nullità negoziale
«altresì quando manca di uno dei requisiti indicati dall’art. 155, quando la causa è illecita o altrimenti illecito è il contratto, quando l’oggetto non ha i requisiti stabiliti dall’art. 175».
È solo in seguito ai lavori di coordinamento tra i libri del codice, che viene inserita la riserva finale nel corpus dell’attuale art. 1418, comma 1, c.c., compendiata nell’inciso «salvo che la legge disponga diversamente»17.
In conclusione, e come osservato da una parte della dottrina18, detto inciso può essere considerato come il sunto dei risultati ai quali l’elaborazione dottrinale era già pervenuta, posto che il legislatore avrebbe, come detto poc’anzi, codificato con esso una disciplina già esistente nella tradizione giuridica romanistica, al fine di dare maggiore certezza al sistema. In particolare, il legislatore – in conseguenza delle accese diatribe sul concetto di causa del contratto – ha ritenuto opportuno eliminare ab origine il problema, prevedendo un’ipotesi di nullità ogni qualvolta vi sia contrasto con una norma imperativa, prescindendo così dalla concezione di causa (soggettiva, oggettiva, in astratto, in concreto) adottata19.
2. Ambito di applicazione dell’art. 1418, comma 1, c.c.
Una volta completata la necessaria premessa storica, si può procedere all’esame delle questioni precedentemente accennate. Innanzitutto, è opportuno individuare il campo di
17Sull’inciso finale, si veda tra gli altri DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., 1985, pp. 437 ss.; VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., pp. 78 ss.
18DI AMATO, Contratto e reato. Profili civilistici, in Tratt. di diritto civile del Consiglio nazionale del notariato, diretto da X. Xxxxxxxxxxx, 2003, p. 31, trae questa conclusione dalla Relazione al codice civile.
19Nello stesso senso DI XXXXX, op. ult. cit., p. 31.
applicazione della norma in esame e, conseguentemente, distinguere tra le ipotesi rientranti nel primo comma e quelle riconducibili ai commi successivi del più volte richiamato art. 1418 c.c.: in tal modo, si potrà successivamente verificare se il contratto che interagisce con il reato sia effettivamente virtualmente nullo o meno.
Il primo comma della disposizione in commento è tradizionalmente interpretato come norma di chiusura e residuale del sistema delle nullità20, tant’è che l’ambito applicativo della stessa si chiarisce procedendo ad una “inversione” nella lettura dei commi previsti dall’art. 1418 c.c.21. Pertanto, occorre analizzare primariamente il terzo comma della suddetta norma, così da individuare le nullità testuali, passando poi al secondo comma dell’art. 1418 c.c. e individuare, quindi, le cd. nullità strutturali e da disvalore, per poi giungere, infine, all’analisi del primo comma della medesima e quindi alla nullità virtuale. Invero, solo così procedendo, si coglie realmente la residualità della norma da ultimo richiamata, che prevede la nullità quando «il contratto è
20In questo senso, si v. FACCI, La nullità virtuale del contratto e la violazione del principio di buona fede, in Contratto e impresa, 6, 2012, Padova, pp. 1415 ss.; DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 436; ID., Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, Padova, 2011, p. 257; X. XXXXXXXXX, Le nullità e il contratto xxxxx, xxx., x. 00; DI MAJO, La nullità, in Tratt. dir. priv., dir. da Xxxxxxx, Il contratto in generale, VII, Torino, 2002, p. 74; GITTI, Il contratto in frode alla legge: itinerari della giurisprudenza, in Riv. crit. dir. priv., 1989, p. 793; ALBANESE, La tutela civile dell’incapace vittima di circonvenzione, in Contratti, 2004, 11, p. 997; ID., Non tutto ciò che è “virtuale” è “razionale”: riflessioni sulla nullità del contratto, in Europa e dir. priv., 2012, pp. 503 ss.; XXXXXXX, Il contratto illecito, in Il contratto in generale, III, in Tratt. dir. priv., diretto da Xxxxxxx, Torino, 1999, p. 117, che suggerisce di leggere il comma II dell’art. 1418 c.c. come se fosse la norma base rispetto al disposto del comma I della medesima norma.
21DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 436; XXXXX, Il contratto, Milano, 2011, p. 740; GENTILI, Le invalidità, in I contratti in generale, a cura di Xxxxxxxxx, II, Torino, 2006, p. 1510. In senso critico, MARICONDA, Le cause di nullità, in I contratti in generale. Effetti, invalidità e risoluzione del contratto, diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxx, in Giur. sist. dir. civ. comm., Bigiavi, Torino, 1991, p. 369.
contrario a norme imperative» e «salvo che la legge non disponga diversamente».
Che la lettura invertita sia la soluzione più corretta si evince, oltre che dall’analisi storica della norma, anche da una visione comparatistica. Sotto il primo profilo, e come già anticipato22, i lavori preparatori del Codice Civile giustificano la nullità virtuale con la necessità di inserire all’interno di essa anche i casi di per sé non rientranti nel concetto di causa illecita23, in modo da ampliare i casi di nullità rispetto alle ipotesi testuali, strutturali e di illiceità24.
Sotto il secondo profilo – ovvero quello comparatistico –, la validità di tale impostazione si evince dalla tendenza sempre più marcata e di matrice comunitaria all’incremento delle norme imperative, poste a presidio di interessi sia generali che particolari o seriali, come in ambito consumeristico25. Invero, il legislatore – facendo assurgere al rango di norme imperative anche disposizioni a tutela di interessi particolari, senza prevedere sempre appositi rimedi contrattuali per l’ipotesi della violazione di tali norme – ha di fatto ampliato il campo di applicazione della nullità virtuale e della disposizione in esame26.
22Cfr. infra, par. 1 del presente capitolo.
23Evidenzia ciò DE NOVA, op. cit., p. 436; MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, cit., p. 37; VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 18; ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, cit., p. 114.
24In questo senso, DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 439; FACCI, La nullità virtuale del contratto e la violazione del principio di buona fede, cit., p. 1416. In senso critico, XXXXXXX, Ordine pubblico e illiceità del contratto, Napoli, 1993, p. 109, il quale ritiene che la nullità virtuale sia semplicemente una conseguenza da comminare quando manchi una sanzione civilistica espressa e che si applichi per esigenze di certezza.
25Considerazioni analoghe sono contenute in FACCI, op. cit., p. 1416, nonché in MANTOVANI, Le nullità e il contratto xxxxx, xxx., x. 00; XXXXX, Il contratto del duemila, Torino, 2002, p. 9; D’AMICO, Nullità virtuale – Nullità di protezione (variazioni sulla nullità) in Contratti, 2009, 7, p. 732.
26L’esistenza di una nullità virtuale di protezione è controversa: si veda tra gli altri D’AMICO, Nullità virtuale – Nullità di protezione (variazioni sulla nullità), cit., pp. 732 ss.; PAGLIANTINI, Una nullità virtuale di protezione? A proposito degli artt. 28 e 34 del cd. «Cresci Italia», in Osservatorio del diritto civile e commerciale, I, 2012, pp. 73 ss.; XXXXXXX, La “nullità di protezione”, in
È stato infine osservato27 che solo la lettura invertita dell’art. 1418 c.c. evita una parziale interpretatio abrogans della norma stessa, giacché - se così non fosse – il comma 1 dell’art. 1418 c.c. servirebbe esclusivamente a enfatizzare regole già contenute nel comma 2 della medesima disposizione28.
Quindi, occorre attribuire al comma 1 dell’art. 1418 c.c. autonoma rilevanza e definirne il relativo ambito applicativo e – in considerazione della residualità di cui supra – appare evidente come sia necessaria una verifica preliminare del campo d’azione degli altri due commi della norma de qua.
Il comma 3 dell’art. 1418 c.c. – alludendo alle nullità testuali – non pone particolari problemi, giacché esso si applica in tutti i casi in cui il legislatore, qualificando espressamente come nullo un contratto o una clausola dello stesso29, toglie tendenzialmente la discrezionalità all’interprete nonché in
Europa dir. priv., 2011, 4, p. 79; VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 129; D’ADDA, Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, Padova, 2008; DI MARZIO, La nullità del contratto, Padova, 2008, II ed., pp. 854 ss.
27Cfr. XXXXX, Tratt. del contratto, III, Torino, 2010, p. 1915; SACCO, Il contratto, II, a cura di Xxxxx e De Nova, Torino, 1993, p. 475; FACCI, op. cit., p. 1417.
28Viceversa, la dottrina dubita sulla possibilità e persino opportunità di effettuare una distinzione tra le ipotesi di nullità per illiceità della causa o dell’oggetto. Invero, come osservato da XXXXXXXXXX, Contratto usurario e sopravvenienza normativa, Padova, 2005, p. 50 nt. 59, la causa – intesa in concreto come scopo obiettivizzato del contratto - «coinvolge nella valutazione funzionale dell’atto l’intera operazione, con tutti i suoi profili soggettivi ed oggettivi» e l’oggetto rinvia ad una considerazione unitaria dell’operazione contrattuale. Di conseguenza, evidenzia GENTILI, Le invalidità, cit., p. 1319, che è «molto difficile che possa essere qualificato illecito un oggetto, nel senso della cosa o della prestazione, al di fuori della considerazione delle circostanze, degli scopi, della qualità delle persone e quindi in generale di quel quadro di dati da cui si ricava il senso della modificazione giuridica perseguita». Nello stesso senso anche XXXXXXXXX, Il contenuto e l’oggetto, in I contratti in generale, a cura di Xxxxxxxxx X., in Tratt. dei contratti diretto da Xxxxxxxx, Torino, 1999, p. 6.
29Di conseguenza, in caso di concorso di cause di nullità ex comma 3 e comma 1 dell’art. 1418 c.c., si ritiene applicabile direttamente il comma 3 della disposizione in esame con superfluità quindi della verifica in ordine all’imperatività della norma violata e della sussistenza di un altro rimedio legislativo, che si rivelerebbe inutile esercizio accademico. Sul punto, si v. FACCI, op. cit., p. 1418; MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, cit., p. 63; ROPPO, Il contratto, cit., p. 746.
generale i margini di incertezza, atteso che segue il principio napoleonico «pas de nullité sans texte»30.
Proseguendo nell’analisi, autorevole dottrina31 sottolinea che il comma 3 dell’art. 1418 c.c. si potrebbe sovrapporre al comma 1 della norma in esame in tutti quei casi in cui, anche in assenza della specifica nullità testuale, le parti hanno comunque violato una norma imperativa: in tali casi, infatti, la previsione testuale si rivela tutto sommato inutile, visto che, anche senza la stessa, si arriverebbe comunque alla declaratoria di nullità contrattuale32. Viceversa, qualora le parti non violino alcuna norma imperativa, appare evidente che, in assenza della previsione testuale di nullità, il contratto sarebbe valido e, quindi, – in questi casi – la testuale previsione di invalidità acquista un reale valore operativo: essa, infatti, rende invalido un negozio che, altrimenti, sarebbe valido33.
Decisamente più complesso appare il rapporto tra il comma 1 e il comma 2 dell’art. 1418 c.c.
Fermo restando che, ai fini della presente indagine, non interessano le nullità strutturali per mancanza di uno degli elementi essenziali del contratto o di uno dei requisiti dell’oggetto, l’attenzione si deve necessariamente soffermare sulle ipotesi di illiceità della causa, dell’oggetto, della condizione e dei motivi nel caso di cui all’art. 1345 c.c. Infatti, – nell’ipotesi di contratto che si interseca con un reato – ben può esservi un
30FRANCESCHELLI, Nullità del contratto. Artt. 1418 - 1423, in Il Codice Civile Commentario, fondato da Xxxxxxxxxxx, diretto da Xxxxxxxx, Milano, 2015, p. 69.
31ROPPO, Il contratto, cit., p. 742.
32Un esempio di ciò è stato rinvenuto da FACCI, op. cit., p. 1418, nota 12, nell’art. 100 bis, comma 3, T.u.f., come riscritto in seguito al d.lgs. 164/2007, o ancora, come evidenziato da XXXXX, Il contratto, cit., p. 742, nelle intese restrittive della concorrenza che sarebbero xxxxx xx xxx. 0000, xxxxx 0, x.x. xxxxxxx non ci fosse una previsione analoga a quella contenuta nell’art. 2, comma 3, l. 287/1990.
33Esemplificativamente, si può pensare all’art. 1229, comma 1, c.c. o all’art. 2744 c.c., atteso che, senza tali norme, sarebbe rimasto il dubbio all’interprete in ordine alla nullità per contrasto con i principi generali dell’ordinamento di patti del genere.
contrasto tra tali elementi e la norma imperativa violata, così come possono essere altri gli elementi negoziali che entrano in conflitto con la predetta norma imperativa. Nel primo caso, disciplinato dal comma 2 dell’art. 1418 c.c., la dottrina parla di contratto illecito34, mentre nel secondo caso, riconducibile al comma 1 dell’art. 1418 c.c., si parla di contratto illegale.
Prima di addentrarsi nella distinzione tra i due tipi di negozi, occorre rilevare che essi sono entrambi lesivi – in via diretta – di interessi generali, ma si caratterizzano per una diversa incidenza del vizio sulla fattispecie, tant’è che le parti soggiacciono a conseguenze differenti a seconda che abbiano stipulato un contratto illegale o uno illecito35.
3. (Segue) Contratto illecito e contratto illegale: nozione e differenze
Muovendo la nostra analisi dal contratto illecito36, si deve evidenziare che esso ricorre nei casi in cui l’illiceità dipenda dal contenuto o dalla funzione del contratto. Come efficacemente
34Cfr. FERRARA (sen.), Teoria del negozio illecito, cit., p. 298 ss.; XXXXX, Negozio giuridico, IV) Negozio illecito, in Enc. giur. Treccani, Roma, pp. 2 ss.; XXXXXXXX, Atto illecito e contratto illecito: quale connessione?, in Contratto e impresa, 2013, p. 875; X. XXXXXXXXXXX, Xxxxxxx illecito e negozio illegale. Una incerta distinzione sul piano degli effetti, Napoli, 2003; DI MARZIO, Contratto illecito e disciplina del mercato, Napoli, 2011; BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, ristampa II ed., Napoli, 1994, p. 114; DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 439; XXXXXXX, Il negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da Cicu-Messineo-Xxxxxxx e continuato da Xxxxxxxxxxx, Milano, 2002, p. 280; ID., Il contratto, Padova, 2011, p. 289; GENTILI, Le invalidità, in I contratti in generale, a cura di Xxxxxxxxx, II, Torino, 2006, p. 1407; ROPPO, Il contratto, cit., p. 747; XXXXXXX, Il contratto illecito, in Il contratto in generale, III, in Tratt. dir. priv., diretto da Xxxxxxx, Torino, 1999, p. 120; XXXXXXXX, Della nullità del contratto, in Xxxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx, Memmo, Xxxxxxx Xxxxxx, Simulazione, nullità del contratto, Annullabilità del contratto, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1998, p. 206; MARICONDA, Le cause di nullità, in I contratti in generale. Effetti, invalidità e risoluzione del contratto, diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxx, in Giur. sist. dir. civ. comm., Torino, 1991, p. 372; XXXXXXX, I parametri dell’illiceità, in Tratt. del contratto di X. Xxxxx, XX, Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 451.
35G. PERLINGIERI, Xxxxxxx illecito e negozio illegale. Una incerta distinzione sul piano degli effetti, cit., p. 10.
36Cfr. infra, nota 34.
rilevato da autorevole dottrina, «l’essenza dell’illiceità va ravvisata in una deviazione dalla funzione normale del negozio, in una direzione anomala della volontà, derivante dal fatto che una o più clausole (o addirittura l’intero negozio) sono volti a produrre un risultato non consentito da norme imperative, ordine pubblico, buon xxxxxxx00».
Come è noto, il comma 2 dell’art. 1418 c.c. individua nella nullità del contratto tanto la conseguenza dell’illiceità della causa quanto quella dell’illiceità dell’oggetto. Il criterio distintivo tra le due ipotesi viene così ricostruito: l’oggetto sarebbe illecito quando è la prestazione o la res ad essere vietata38, mentre l’illiceità riguarderebbe la causa quando le prestazioni, di per sé considerate, sarebbero lecite, diventando illecite nel momento in cui esse si relazionano l’una all’altra39. Si obietta40, tuttavia, che, in tali casi, l’illiceità si riverbera anche sull’oggetto del contratto, diventando illecita proprio la prestazione.
Sul punto, preme osservare che una parte della dottrina41 dubita della possibilità, e persino dell’opportunità, di distinguere le due ipotesi in esame, sia in considerazione della difficoltà di individuare con certezza le nozioni di causa e di oggetto del contratto, sia in ragione del fatto che viene considerata più utile una configurazione unitaria dell’illiceità collegata al requisito della causa. Invero, la causa – intesa in concreto come scopo obiettivizzato del contratto - «coinvolge nella valutazione funzionale dell’atto l’intera operazione, con
37NUZZO, Il negozio illecito, cit., p. 3.
38Si fa l’esempio del contratto con il killer per la commissione di un omicidio dietro compenso.
39Esemplificativamente si può pensare al contratto di corruzione, in cui non è vietato dare o promettere danaro, così come non è vietato porre in essere atti del proprio ufficio: ciò che è illecito è lo scambio di cosa contro il compimento di tali atti.
40VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 30.
41Così, in particolare, XXXXXXXXXX, Contratto usurario e sopravvenienza normativa, cit., p. 50; XXXXXXX, Le invalidità, cit., p. 1319; XXXXXXXXX, Il contenuto e l’oggetto, cit., p. 6; XXXXXXXXX, Nullità (dir. priv.), cit., p. 885.
tutti i suoi profili soggettivi ed oggettivi42» mentre è «molto difficile che possa essere qualificato illecito un oggetto, nel senso della cosa o della prestazione, al di fuori della considerazione delle circostanze, degli scopi, della qualità delle persone e quindi in generale di quel quadro di dati da cui si ricava il senso della modificazione giuridica perseguita43». Di conseguenza, la formula “funzione illecita” serve ad indicare che le modalità dell’illiceità si sostanziano nella contrarietà a norme imperative, ordine pubblico e buon costume44, volendo l’ordinamento impedire l’attuazione della finalità illecita alla quale è diretta la volontà delle parti.
Pertanto, si evince chiaramente che l’ambito di applicazione del comma 1 dell’art. 1418 c.c. sia ridotto, non potendo esso contenere le cd. nullità di disvalore45 di cui al comma 2 della norma in questione.
Ciò detto, la difficoltà di distinzione tra le ipotesi rientranti nel comma 1 e quelle riconducibili al comma 2 dell’art. 1418 x.x. x xxxxxxxxxxx xxxxxxx x, xxxxxxx xxxxxx xxxxxx00, xxxx non sarebbe neanche particolarmente utile, visto che vi è chi dubita addirittura dell’esistenza di un’ipotesi di nullità per contrarietà a norma imperativa, senza che detta
42Così XXXXXXXXXX, Contratto usurario e sopravvenienza normativa, cit., p. 50 nt. 59.
43GENTILI, Le invalidità, cit., p. 1319.
44Così TOMMASINI, Xxxxxxx (xxx. xxxx.), xxx., x. 000; XXXXX, Utilità sociale e autonomia privata, Milano, 1974, p. 966 ss.
45Parlano di nullità di disvalore riferendosi ai casi in esame tra gli altri X. XXXXXXXXX, Le nullità e il contratto nullo, cit., p. 69 e DI MAJO, La nullità, cit., p. 74.
46In tal senso, XXXXX, Il contratto, cit., p. 701; ID., Il controllo sugli atti di autonomia privata, in Riv. crit. dir. privato, 1985, p. 491; BRECCIA, Contratto illecito, in Trattato di diritto privato diretto da Bessone, Il contratto in generale, XIII, Torino, 2002, p. 120 ss.; XXXXXXX, Della nullità del contratto, in Comm. del cod. civ., diretto da Xxxxxxxxx, Dei contratti in generale a cura di Xxxxxxxxxx e Orestano, Padova, 2012, sub art. 1418 c.c., p. 521 ss.; ID., Contratto illecito e norma penale, cit., p. 120; BARBA, La nullità del contratto per violazione di norma imperativa, in Diritto civile, diretto da Lipari e Xxxxxxxx, coord. da Xxxxxxx, III, Obbl., 2, Il contratto in generale, Milano, 2009, p. 965 ss.; GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1996, p. 924; X. XXXXXXXXX, Le nullità e il contratto nullo, cit., p. 70.
contrarietà incida anche sulla causa del contratto. In particolare, tale dottrina sottolinea che la distinzione tra illiceità e semplice illegalità sarebbe «alquanto sottile ed evanescente»47 e sarebbe particolarmente difficile immaginare sul piano empirico casi in cui un contratto contrasti con la norma imperativa senza che la sua causa sia contraria alle norme imperative.
Tuttavia, la particolare difficoltà nella distinzione non deve impedire di continuare a ricercare il giusto spazio per il disposto di cui al comma 1 dell’art. 1418 c.c., cercando di evitare una interpretatio abrogans della norma de qua48, tanto più in considerazione della evidente illogicità in cui sarebbe incorso il legislatore laddove avesse previsto in apertura dell’art. 1418 c.c. una disposizione priva di applicazione.
Ancora, non è in discussione che la distinzione tra contratto illecito e contratto illegale non sia un mero esercizio accademico ma abbia importanti risvolti pratici49, posto che il contratto riconducibile al comma 2 dell’art. 1418 c.c. è sicuramente e irrimediabilmente nullo, mentre il contratto illegale potrebbe non essere affetto da nullità, stante l’inciso finale della disposizione de qua50.
47Così XXXXX, Il contratto, cit., p. 701.
48In questo senso, XXXXX e AFFERNI, Xxx contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, in Danno e resp., 2006, p. 32; ROPPO, La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf, cit., p. 540; D’AMICO, Nullità virtuale – Nullità di protezione, cit., p. 732.
49Sui risvolti pratici della distinzione tra contratto illecito e contratto illegale, cfr. tra gli altri X. XXXXXXXXXXX, Xxxxxxx illecito e negozio illegale, cit., pp. 22 ss.; VILLA, op. cit., pp. 31 ss.; FACCI, op. cit., p. 1421.
50Tra gli altri, si veda DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., pp. 447 ss.; G.B. XXXXX, Appunti sulla validità del contratto (dal codice civile del 1865 al codice civile del 1942), in Riv. dir. comm., 1996, I, p. 385; ID., Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, Milano, 1970, p. 149;
X. XXXXXXXXX, Divieti legislativi e nullità del contratto, in Nuova giur. civ. comm., 1987, II, p. 69; VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit.,
p. 29; XXXXXXXXXX, Nullità speciali, Milano, 1995, p. 43; FACCI, La nullità virtuale del contratto e la violazione del principio di buona fede, cit., p. 1421.
È altresì necessario mettere in luce che la disciplina riservata al contratto illecito è ben più grave di quella propria del contratto illegale, come si evince da varie disposizioni normative: in particolare, l’art. 2126 c.c., in tema di nullità del contratto di lavoro, statuisce la produzione degli effetti del negozio per il tempo in cui ha avuto esecuzione, «salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa»51. Diverso è poi anche il regime della prova della simulazione52, essendo, com’è noto, ammissibile il ricorso delle parti del contratto alla prova testimoniale solo nell’ipotesi di illiceità. Ancora, gli artt. 590 e 799 c.c.53, in tema di conferma di testamento o donazione nulla, rappresenterebbero “eccezioni” alla regola dell’art. 1423
c.c. e sarebbero applicabili solamente in caso di negozio illegale, e non anche in ipotesi di illiceità.
Peraltro, laddove il contratto sia illegale, è sempre ammessa la ripetizione dell’indebito, mentre in caso di contratto illecito per contrasto con il buon costume, l’art. 2035 c.c. esclude tale rimedio54. Ancora, l’effetto sanante di cui all’art. 2652, n. 6, c.c. viene escluso nell’ipotesi di contratto illecito55, così come, in tale ipotesi, viene ritenuta inammissibile la
51Cfr. DELL’OLIO, La prestazione di fatto del lavoro subordinato, Padova, 1970, pp. 120 ss.; RIVA XXXXXXXXXXX, Disciplina delle attività professionali. Impresa in generale, in Comm. del cod. civ., a cura di Xxxxxxxx e Branca, Libro V, Del lavoro, art. 2060 – 2134, Bologna – Roma, 1986, pp. 804 ss.; XXXXXXXXXX, Contratto nullo e fattispecie giuridica, Padova, 1996, pp. 120 ss.; VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 31; X. XXXXXXXXXXX, Contratto illecito e contratto illegale, cit., p. 24; FACCI, La nullità virtuale del contratto e la violazione del principio di buona fede, cit., p. 1422;
52NUTI, La simulazione del contratto nel sistema del diritto civile, Milano, 1986, p. 345; BIANCA, Diritto civile, 3, cit., pp. 708 ss.; XXXXXXXXX, Dei contratti in generale, in Comm. Cod. civ., IV, 2, Torino, 1967, p. 472 ss.; PELLICANÒ, Il problema della simulazione nei contratti, Padova, 1988, p. 137 ss.
53Sul punto, cfr. XXXXXXXXX, Dei contratti in generale, cit., pp. 504 ss.; BIANCA,
Diritto civile, 3, cit., pp. 635 ss.
54Così DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 449. 55PALERMO, Contratto di alienazione e titolo dell’acquisto, Milano, 1974, p. 71; XXXXX, op. cit., p. 2; FILANTI, Inesistenza e nullità del negozio giuridico, Napoli, 1983, p. 301.
transazione operante su un titolo nullo in quanto illecito56. Inoltre, sempre in caso di illiceità, non sarebbe ammessa la conversione del negozio illecito, considerato che la nullità colpisce il negozio come sanzione repressiva dell’ordine giuridico57. Si osserva poi che, in caso di contratto illecito, non sarebbe ammissibile il risarcimento del danno ex art. 1338 c.c., posto che l’illiceità è conosciuta (o comunque conoscibile) da entrambe le parti ed è imputabile ad ambedue i contraenti58 e, infine, se il negozio è illecito, non potrebbe trovare applicazione la regola interpretativa prevista dall’art. 1367 x.x., xx xxxx xx xxxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxx00.
In virtù di tali differenze di disciplina e in considerazione della necessità di trovare il giusto spazio operativo al disposto di cui al comma 1 dell’art. 1418 c.c., la distinzione tra contratto illegale e contratto illecito si palesa necessaria e deve obbligatoriamente partire dal tenore letterale delle norme in commento. A tal proposito, mentre il comma 1 dell’art. 1418
c.c. si riferisce esclusivamente alle norme imperative60 e prevede l’ipotesi in cui queste ultime contrastino con il contratto, il comma successivo è riferito esclusivamente ai casi in cui in contrasto con la norma imperativa siano direttamente l’oggetto o la causa del contratto, fermo restando che l’illiceità
56Così G. B. XXXXX, Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, cit., p. 148; XXXXXXX XXXXXXXXXX, La transazione, I, Napoli, 1975, pp. 68 ss.; XXXXXXXXX, Della transazione, in Comm. cod. civ., diretto da D’Xxxxxx e Xxxxx, Libro delle obbligazioni, artt. 1965 – 1976, II, 2, Firenze, 1949, p. 475; DEL PRATO, voce Transazione (dir. priv.), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, pp. 830 ss.; XXXXXXXXXX, Patologia del contratto e negoziazioni compositive della lite, in Riv. dir. priv., 2002, pp. 39 ss.; XXXXX, voce Negozio giuridico, cit., p. 2; MARICONDA, Le cause di nullità, cit., p. 372; X. XXXXXXXXXXX, Contratto illecito e contratto illegale, cit., p. 25.
57Così FERRARA, op. cit., p. 140.
58Così XXXXX, op. cit., p. 2.
59Così Cass., 27 ottobre 1973, n. 2797, in Foro it., 1974, I, pp. 2770 ss.;
Cass., 7 ottobre 1974, n. 2362, in Giust. civ., 1975, I, p. 46; Xxxx., Sez. lav.,
22 gennaio 1988, n. 502, in Giust. Civ. Mass., 1988, I.
60Sul concetto di norma imperativa, si veda infra, par. 4 del presente capitolo.
dello stesso può dipendere anche da una violazione dell’ordine pubblico o del buon costume.
Al riguardo, si osserva che l’ordine pubblico viene considerato come l’insieme delle norme poste a tutela di interessi generali e che si collocano al vertice della gerarchia dei valori protetti dall’ordinamento giuridico, costituiti sia da principi generali dell’ordinamento – etici e politici –, sia da singole norme giuridiche, che trovano il proprio fondamento costituzionale nel disposto di cui all’art. 2 Cost. Viceversa, il buon costume viene individuato nell’insieme dei valori etici non esplicitamente formulati dalla legge e che si ricavano per implicito dall’ordinamento sia legislativo sia costituzionale61, fermo restando che entrambi i concetti appena richiamati si atteggiano come valori relativi e residuali che rispecchiano la modificazione ed evoluzione della realtà sociale62.
L’interprete, quindi, deve verificare il disvalore del contratto, tenendo conto sia di valori giuridici (norme imperative), sia di valori sostanziali (ordine pubblico e buon costume), che vanno desunti dalle scelte di vita della società, con la conseguenza che neanche rispetto a questi ultimi è giuridicamente ammissibile un contrasto con l’autonomia delle parti63.
In ogni caso, è stato efficacemente evidenziato64 che i criteri in esame confermano il significato assunto dall’istituto della nullità negoziale tra i rimedi previsti ex lege, atteso che l’ordinamento non può tutelare e dotare di efficacia programmi di interessi contrastanti con valori socialmente rilevanti quali
61Com’è noto, e come già evidenziato supra, è importante operare questa distinzione posto che solo in caso di contrarietà al buon costume vi è la conseguenza dell’irripetibilità sancita dall’art. 2035 c.c.
62Così FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 406 ss.; TOMMASINI, Nullità (dir. priv.),
cit., p. 886.
63Così FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 171; TOMMASINI, Xxxxxxx (xxx. xxxx.), xxx., x. 000.
00XXXXXXXXX, Xxxxxxx (xxx. priv.), cit., p. 886.
quelli riassunti e richiamati nella formula “ordine pubblico e buon costume”65. Di conseguenza, da quanto sopra si evince che la nullità va considerata come rimedio contro atti che formalmente e sostanzialmente non rispettano valori essenziali della collettività, dovendo l’autonomia privata concludere contratti meritevoli di tutela, sicuramente esclusa laddove la volontà delle parti sia in contrasto con l’ordine pubblico o il buon costume.
4. Criteri di distinzione tra contratto illecito e contratto illegale
Sempre al fine di comprendere quali siano le conseguenze di un contratto che si interseca con un reato, occorre evidenziare i tentativi fatti dagli interpreti per l’individuazione di un criterio distintivo tra negozio illecito e illegale.
Innanzitutto, si sottolinea che una parte della giurisprudenza66 individua l’operatività della nullità virtuale nell’ambito degli elementi intrinseci del contratto, ovvero di quegli elementi riguardanti la struttura o il contenuto del contratto.
La dottrina si presenta, viceversa, più articolata: in particolare, secondo alcuni autori67 il contratto illecito sarebbe una species del più ampio genus del negozio illegale e, di
65TOMMASINI, ult. op. cit., p. 886, ritiene che vi siano «in questo settore dell’invalidità punti di contatto tra limiti all’iniziativa economica privata e limiti all’autonomia privata. Interesse pubblico ed utilità sociale operano come barriere insuperabili all’iniziativa privata; ordine pubblico e buon costume impediscono che l’autonomia privata possa essere impiegata sacrificando i valori etici fondamentali della comunità».
66Ci si riferisce, in particolare, a Cass., Sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024, in Xxxxx e resp., 2006, p. 25, con nota di ROPPO ed in Corriere giur., 2006, p. 669; Cass., Sez. II, 10 dicembre 1986, n. 7322, in Mass. Giust. civ., 1986, f.
12. In dottrina, in questo senso, LUMINOSO, Contratti di investimento, mala gestio dell’intermediario e rimedi esperibili dal risparmiatore, in Resp. civile e previdenza, 2007, 1422 ss., nota a Trib. Cagliari, 11 gennaio 2006.
67Così DI XXXXX, op. cit., p. 28; DI MAJO, La nullità, in Tratt. dir. priv., dir. da Bessone, Il contratto in generale, VII, Torino, 2002, p. 76.
conseguenza, non sarebbe possibile addivenire ad una distinzione netta tra le due categorie, anche in considerazione dell’incertezza che caratterizza la nozione di causa del contratto. Altra dottrina, invece, ritiene le due categorie non assimilabili. Una prima corrente di pensiero68 distingue gli istituti in esame in base alla natura della disposizione violata, ovvero in virtù della tipologia di norma imperativa con cui la regola negoziale si pone in contrasto, differenziando a seconda che sia violata una norma penale, fiscale o amministrativa. Rinviando l’analisi del contrasto tra contratto e norma penale al prosieguo della trattazione, la dottrina in esame ritiene che la violazione della norma fiscale o della norma amministrativa non comporti illiceità: invero, occorre verificare non solo se l’interesse posto alla base della norma violata sia un interesse pubblicistico (interesse che certamente sussiste sia nell’ipotesi di norme penali, sia nell’ipotesi di norme fiscali, sia nell’ipotesi di norme amministrative), ma anche se la singola norma imperativa violata sia finalizzata a incidere sul contratto, ovvero
a renderlo nullo69.
68DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., pp. 435 ss. 69Esemplificativamente, si può pensare alla seguente ipotesi: una norma imperativa prevede che il cittadino debba chiedere l’autorizzazione dell’ente pubblico prima di avviare una determinata attività. Il cittadino Xxxxx non chiede tale autorizzazione e stipula un contratto di locazione con Xxxx, reperendo così il locale nel quale svolgere l’attività non (ancora) autorizzata dal Comune. Tale mancanza di autorizzazione non dovrebbe incidere sul contratto di locazione stipulato tra le parti, salvo l’eventuale rilievo da attribuirsi all’istituto della presupposizione. Allo stesso tempo, in tema di norma fiscale, si può evidenziare come l’art. 10 comma 3 Stat. Contribuente preveda espressamente che la violazione della norma fiscale non incida sul contratto. Sul punto, e specialmente in tema di conseguenze derivanti dall’omessa registrazione di un contratto di locazione, si registra un forte dibattito in dottrina ed in giurisprudenza, alimentato altresì dai continui interventi normativi ad opera del legislatore e dai ripetuti sbarramenti imposti dalla Corte Costituzionale. Recentissimo l'arresto delle Sezioni Unite della Suprema Corte, chiamate a pronunziarsi proprio su tale questione da Xxxx., Xxx. III, Ord. 3 gennaio 2014, n. 37, in Guida al diritto, 2014, 9, p. 66, con nota di XXXXXXX, e in Riv. giur. dell’edilizia, 2014, 2, I, p. 423, con nota di PENNAROLA: cfr. sul punto Cass., Sez. Un., 17 settembre 2015, n. 18213, in Giust. Civ. Massimario, 2015.
Altro orientamento70 ritiene necessario distinguere le norme imperative in proibitive e ordinative o precettive: poiché solo le prime pongono un divieto, sarebbe esclusivamente la violazione di queste a comportare la nullità per illiceità. Viceversa, posto che le norme ordinative o precettive pongono un comando, la violazione delle stesse sarebbe idonea a comportare, quale conseguenza giuridica solamente eventuale, la mera nullità per illegalità71.
Un’ulteriore opinione72 ritiene preferibile distinguere l’illiceità dall’illegalità raggruppando le norme imperative in quattro categorie, ovvero distinguendo le norme a seconda che incidano sulla formazione del contratto, sul contenuto del negozio, sulle caratteristiche dei beni oggetto di scambio73 o sugli effetti riflessi e secondari del contratto74.
In particolare, e soffermandosi sulle prime due ipotesi, si osserva che, in caso di norme incidenti sulla formazione del contratto, la violazione di esse non comporterebbe illiceità, ma solo illegalità, sempre che non sussista un altro rimedio previsto ex lege e che quindi non trovi applicazione l’inciso finale dell’art. 1418, comma 1 c.c.75. Viceversa, in caso di norme incidenti sul contenuto del contratto, sarebbe necessario
70FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 161; RUSSO, Norma imperativa, xxxxx xxxxxxx, norma inderogabile, norma indisponibile, norma suppletiva, norma dispositiva, in Xxx. xxx. xxx., 0000, xx. 000 xx.
00XXXXX, Ordine pubblico, cit., p. 161; RUSSO, Norma imperativa, xxxxx xxxxxxx, norma inderogabile, norma indisponibile, norma suppletiva, norma dispositiva, in Xxx. xxx. xxx., 0000, xx. 000 xx.
00XXXXX, Contratto e violazione di norme imperative, cit., pp. 47 ss.
73VILLA, ult. op. cit., p. 62 ss., riconduce in tale settore le ipotesi – portate più di frequente al vaglio della giurisprudenza – relative alla vendita di animali destinati alla macellazione colpiti da malattie infettive, nonché alla vendita di immobili difformi dalle norme urbanistiche, evidenziando le incongruenze della giurisprudenza sul punto. Si rinvia all’A. sul punto e ai riferimenti bibliografici ivi contenuti.
74VILLA, ult. op. cit., pp. 64 ss., evidenzia che un contratto – in sé lecito – possa avere degli effetti riflessi contrastanti con le norme imperative, come ad esempio l’ipotesi del contratto in frode al fisco, ritenuto dalla giurisprudenza assolutamente valido: cfr. l’A. citato e i riferimenti bibliografici ivi contenuti.
75Tale profilo verrà esaminato esaustivamente nel cap. 4 del presente lavoro.
scindere ulteriormente tale ipotesi: se il negozio è vietato in assoluto, la violazione della norma imperativa comporterebbe illiceità. Inoltre, laddove il regolamento contrattuale sia vietato soltanto ad alcuni soggetti o sia posto in essere in assenza di autorizzazione, la violazione di tale norma imperativa comporterebbe mera illegalità.
Più precisamente si ha riguardo «alla qualità del contrasto tra l’atto di autonomia e il precetto violato»76: in particolare, se vi è contrasto tra la norma imperativa e il contenuto del negozio, si ha illiceità, mentre se il contrasto con la norma imperativa incide sulla conclusione del contratto, si ha illegalità.
Pertanto, partendo dalla residualità dell’art. 1418, comma 1, c.c. e dalla lettera dei due commi della disposizione in esame, si ritiene che – laddove ad essere in contrasto con la norma imperativa sia la causa o l’oggetto del contratto – allora si avrebbe illiceità. Viceversa, laddove non sia possibile addivenire ad una declaratoria di nullità in base al disposto del secondo comma dell’art. 1418 c.c., «e tuttavia l’esistenza della violazione della norma imperativa suggerisca l’improduttività degli effetti che l’atto è destinato a produrre»77, il contratto sarà illegale. Quindi, secondo questa tesi, è opportuno operare una sorta di “graduazione”, commisurando la «congruenza del rimedio» con la «gravità del valore trasgredito»78.
In conclusione, si osserva che le formule “contratto illecito” e “contratto illegale” sono delle sintesi verbali, la cui
76MARICONDA, Le cause di nullità, in I contratti in generale. Effetti, invalidità e risoluzione del contratto, diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxx, in Giur. sist. dir. civ. comm., Bigiavi, Torino, 1991, p. 378; BRECCIA, Il contratto illecito, in Il contratto in generale, III, in Tratt. dir. priv., diretto da Bessone, Torino, 1999,
p. 122; XXXXXXX, Le invalidità, in I contratti in generale, a cura di Xxxxxxxxx, II, Torino, 2006, p. 1321; X. XXXXXXXXX, Le nullità e il contratto nullo, in Trattato del contratto, diretto da Xxxxx, p. 71; COLAVINCENZO, Nullità e rescissione dei contratti usurari, Napoli, 2011, p. 87.
77Così COLAVINCENZO, ult. op. cit., p. 87.
78BRECCIA, Causa, in Tratt. Xxxxxxx, cit., p. 113 ss., 132 ss.
distinzione concettuale appare piuttosto sfuggente, ma che si risolvono in una questione interpretativa finalizzata a verificare se il contrasto con la norma imperativa incida sul contenuto contrattuale o su altri aspetti (ad es. la qualità delle parti contraenti o i comportamenti in fase di conclusione del negozio), fermo restando che sarebbe opportuno evitare «tutte le complicazioni artificiose del lessico giuridico»79.
5. La nozione di norma imperativa e le costruzioni della dottrina sul punto
Una volta individuato l’ambito di applicazione del disposto di cui all’art. 1418, comma 1, c.c., appare necessario procedere con l’analisi degli ulteriori profili problematici della norma in esame.
Come già anticipato80, la nullità virtuale è «implicita nella natura imperativa della norma»81, essendo finalizzata a ricomprendere, nel proprio ambito di applicazione, i negozi in contrasto con una norma imperativa, sempre che non vi sia una diversa conseguenza dettata dal legislatore per la violazione della stessa82.
Appare quindi necessario – a questo punto della presente indagine – individuare la norma imperativa, la cui violazione potrebbe comportare l’invalidità del regolamento contrattuale.
A tal proposito, partendo dall’apparente indeterminatezza della nozione di norma imperativa, occorre precisare fin d’ora
79Così BRECCIA, Contratto illecito, cit., p. 134, nonché X. XXXXXXXXX, Le nullità e il contratto nullo, cit., p. 72.
80Cfr. supra, par. 1 del presente capitolo.
81G.X. XXXXX, Appunti sull’invalidità negoziale (dal codice civile del 1865 al codice civile del 1942), in Riv. dir. comm., 1996, p. 393; DI MAJO, La nullità, cit., p. 82; BARBA, La nullità del contratto, cit., p. 529.
82Cass., Sez. Un., 21 agosto 1972, n. 2697, in Giust. civ., 1972, I, p. 1914;
Xxxx., Sez. lav., 11 ottobre 1979, n. 5311, in Riv. notar., 1980, II, p. 134; più di recente, Cass., Sez. I, 13 settembre 2000, n. 12067, in Giur. it., 2002, c. 69, con nota di XXXXXXX.
che la norma imperativa rappresenta un comando o divieto, qualificabile come assoluto e posto a tutela di un interesse generale. In particolare, essa «è la norma proibitiva che, sulla base dell’esigenza di protezione di valori morali e sociali e di quelli fondamentali della comunità giuridica, tende non solo a negare efficacia giuridica alla programmazione negoziale ad essa contraria, ma tende più radicalmente a proibire l’azione programmata»83.
Di conseguenza, i comandi e divieti assoluti sarebbero sia quelli che non ammettono una possibilità di deroga da parte dei paciscenti, sia quelli che non prevedono eccezioni84.
Tradizionalmente, quindi, la norma imperativa viene a coincidere con la norma inderogabile85 a presidio di interessi pubblici e generali86 e si contrappone alla norma relativa (o
83RUSSO, Norma imperativa, norma cogente, norma inderogabile, norma indisponibile, norma dispositiva, norma suppletiva, cit., p. 585.
84Parte della dottrina osserva poi che la fonte delle norme imperative sarebbe solamente quella primaria: sul punto cfr. XXXXXXX, Le obbligazioni e i contratti. Obbligazioni in generale. Contratti in generale, in Diritto civile e commerciale, a cura di Xxxxxxx, Padova, 1990, p. 261 ss.; ID. Simulazione. Nullità del contratto. Annullabilità del contratto, in Comm. Scialoja- Branca, artt. 1418 – 1446, Bologna-Roma, 1998; ZATTI, Invalidità (atti di autonomia), in Tratt. Iudica-Xxxxx, Glossario, 1994, p. 228. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., pp. 113 ss., sottolinea che anche le norme costituzionali e le norme di diritto internazionale o comunitario potrebbero limitare l’autonomia privata, sempre che siano norme precettive o di immediata esecutorietà; allo stesso modo si atteggerebbero anche le leggi regionali o i regolamenti indipendenti, a condizione che disciplinino questioni di loro competenza e che siano fatte oggetto di accordo tra le parti. 85TOMMASINI, Nullità (diritto privato), cit., pp. 908 ss.; XXXXX, Il contratto, cit., pp. 382 ss.; XXXXXX, Il contratto, cit., pp. 618 ss.; VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 86; BUGANI, La nullità del contratto, Padova, 1990, p. 1; nonché spesso anche in giurisprudenza: cfr. Cass., Sez. Un., 21 agosto 1979, n. 2697, in Giust. civ., 1972, I, p. 1914; Cass., Sez. II, 26
gennaio 2000, n. 863, in Giur. it., 2000, p. 1585; Cass., Sez. II, 18 febbraio
2008, n. 3950, in Foro amm. CDS, 2008, I, p. 378; Cass., Sez. Un., 4 aprile 2012, n. 2012, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, p. 15 ss., con nota di SCOGNAMIGLIO.
86L’orientamento in esame trova le sue radici nella dottrina francese del XIX secolo, che – come osservato da XXXXXXX, Il sistema del diritto privato, a cura di Xxxxxxx e Floridia, Torino, 1988, p. 15 – ritiene inderogabile la norma imperativa che «tutela (anche) interessi generali, estranei al soggetto che acconsente alla deroga» e derogabile la norma che tutela interessi esclusivamente privatistici. Alcuni autori ritengono che gli interessi pubblici e generali vadano identificati con i concetti di ordine pubblico o di buon
cedevole o derogabile)87, il cui carattere derogabile si ricava dal tenore letterale della disposizione (e, in particolare, dall’utilizzo di formule quali «salva diversa volontà delle parti» o «in mancanza di diversa pattuizione»), o comunque dalla previsione della norma in contesti sistematici da cui si desume il potere di autoregolamentazione delle parti88.
Tuttavia, è stato osservato89 che, equiparando la norma imperativa a quella inderogabile, si creerebbe un circolo vizioso: da un lato, la norma imperativa verrebbe a coincidere con quella inderogabile e la nullità potrebbe riscontrarsi solo in presenza della violazione di norme inderogabili a tutela di interessi pubblici. Dall’altro, però, il fatto che una norma inderogabile sia tale quando è posta a presidio di un interesse generale, implicherebbe che la violazione di tutte le norme inderogabili (ossia imperative) dovrebbe condurre alla nullità del negozio.
Pertanto, criticando l’assunto tradizionale secondo cui imperatività sarebbe sinonimo di inderogabilità, è stato
costume: in tal senso RUSSO, Xxxxx imperativa, norma cogente, norma inderogabile, norma indisponibile, norma suppletiva, norma dispositiva, cit., pp. 573-599; Cass., Sez. lav., 11 ottobre 1979, n. 5311, in Mass. Foro it., 1979, p. 1079. Contra G.B. XXXXX, Ordine pubblico, cit., p. 1038 ss., il quale osserva che i concetti di norma imperativa, ordine pubblico e buon costume, seppur destinati ad operare insieme, comunque rimangano ben distinti tra loro ed abbiano degli ambiti applicativi differenti. Critica poi la tesi secondo cui i concetti di norma imperativa e ordine pubblico sarebbero analoghi MASTROPASQUA, Art. 1418 c. 1 c.c.: la norma imperativa come norma inderogabile, in xxx.xxxxxxxxx.xx, 2013, 12, p. 876, che osserva come la non equiparazione tra i due concetti si evinca anche dalla più recente legislazione, ed in particolare dal D.L. 27 ottobre 2009, n. 250, che – innovando l’art. 2 comma 1 D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ha definito le disposizioni del T.U. pubblico impiego come imperative, senza che però le stesse possano essere intese come espressione di ordine pubblico.
87IRTI, Introduzione allo studio del diritto privato, Padova, 1990, p. 89. 88GALGANO, Simulazione. Nullità del contratto. Annullabilità del contratto, cit., p. 233.
89PUTTI, Le nullità contrattuali, in Diritto civile, dir. da Lipari e Xxxxxxxx e coordinato da Xxxxxxx, III, 2, Il contratto in generale, Milano 2009, pp. 902 ss.; nello stesso senso VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 88.
osservato90 che la nullità del negozio deriva non dalla violazione di una norma imperativa, bensì dal disposto dell’art. 1418, comma 1, c.c.: invero, «il grado di imperatività richiesto dalla norma è più elevato di quello che si esprime nella constatazione della non derogabilità per volontà delle parti, postulandosi [ciò] dalla riserva finale dell’art. 1418, comma 1, c.c. salvo che la legge disponga diversamente»91.
In altri termini, si osserva innanzitutto che la nullità può essere conseguenza anche della violazione di norme non imperative, come nel caso delle nullità testuali o delle nullità strutturali92; inoltre, anche qualora vi sia violazione di una norma imperativa, il rimedio potrebbe non essere la nullità negoziale.
Pertanto, l’attenzione dell’interprete deve soffermarsi non sull’espressione «norme imperative», bensì sulla locuzione finale del disposto del primo comma dell’art. 1418 c.c. («salvo che la legge non disponga diversamente»), evidenziandosi come il contrasto con norme imperative può far scaturire anche conseguenze diverse dalla nullità (id est l’annullabilità o la rescissione, ovvero delle mere sanzioni)93. Di conseguenza, in caso di contrasto con norme imperative, il negozio potrebbe essere (e dunque non “è sicuramente”) nullo ex art. 1418, comma 1, c.c.94.
Anche l’assunto secondo cui le norme imperative sarebbero esclusivamente quelle poste a tutela di interessi pubblicistici è stato criticato dalla dottrina più recente95. In
90LONARDO, Ordine pubblico e illiceità del contratto, Napoli, 1993, p. 112. 91GALGANO, Simulazione. Nullità del contratto. Annullabilità del contratto, cit., p. 233.
92LONARDO, Ordine pubblico e illiceità del contratto, cit., p. 117.
93GENTILI, Le invalidità, in I contratti in generale, II, a cura di Xxxxxxxxx, Torino, 1999, p. 1320.
94LONARDO, Ordine pubblico e illiceità del contratto, cit., p. 112.
95GENTILI, Le invalidità, cit., p. 1330; X. XXXXXXXXX, La nullità ed il contratto nullo, cit., pp. 42 e ss.; ALBANESE, Non tutto ciò che è “virtuale” è “razionale”: riflessioni sulla nullità del contratto, cit., pp. 503 e ss.
particolare, si è osservato che l’equiparazione tra norme imperative e norme a presidio di interessi pubblici, se da un lato spiegherebbe l’unitarietà di trattamento del negozio nullo in caso di contrasto con un interesse generale96, dall’altro, tuttavia, si porrebbe in aperta contraddizione con tutte le ipotesi “speciali” di nullità, che proteggono in via diretta interessi particolari e che sono previste dalla recente legislazione97.
Quindi, proprio al fine di ricondurre ad unità il sistema delle nullità, si è cercato in primis di individuare un interesse pubblico generale sotteso a tali disposizioni, individuandolo nel cd. ordine pubblico di protezione)98. Inoltre, si è riconosciuto che l’inderogabilità non rappresenta l’elemento rivelatore dell’imperatività della disposizione99 e che la nullità non è l’unico (e non è necessariamente) rimedio a tutela di interessi generali100: esistono infatti ipotesi di nullità sancite da norme imperative dirette a limitare l’autonomia negoziale «a tutela di interessi esclusivamente privati»101, purché essi siano particolarmente meritevoli di tutela per l’ordinamento.
Dunque, partendo dalle nullità speciali, alcuni autori102 ritengono che la norma imperativa sia quella che tutela interessi indisponibili, a prescindere dalla natura pubblica o
96PASSAGNOLI, Nullità speciali, Milano, 1995, p. 55.
97Esemplificativamente si può pensare alla disciplina consumeristica prevista dagli artt. 33 ss. cod. cons., che prevede varie ipotesi di nullità negoziale per violazione di norme inderogabili, pur se poste a presidio diretto di interessi particolari attribuiti soltanto ad una categoria di soggetti. Tuttavia, tale normativa si ritiene posta a tutela del consumatore perché così facendo si tutelerebbe anche il mercato e la libera concorrenza.
98BONFILIO- MARICONDA, L’azione di nullità, in I contratti in generale, a cura di Xxxx e Xxxxxxx, vol. IV, t. 1, Torino, 1992, p. 474.
99CRISCUOLO, La nullità del contratto tra ordine pubblico e disponibilità del diritto, cit., p. 366.
100PUTTI, L’invalidità nei contratti del consumatore, in Tratt. Lipari, Padova, 2003, p. 608 e 609.
101Cass., Sez. lav., 18 maggio 1999, n. 4817, in Foro it., 1999, I, 2542. 102MENGONI, Ancora sul metodo giuridico, in Diritti e valori, Bologna, 1985, p. 302; BENEDETTI, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali, Napoli, 1994, p. 159.
privata degli stessi, e l’interprete può individuare la norma imperativa sulla base della tutela che viene predisposta dall’ordinamento in caso di violazione del disposto normativo103.
Se così è, allora il carattere dell’imperatività ricorrerebbe non solo nelle disposizioni che tutelano l’interesse generale, ma altresì «ove si configuri come indisponibile l’interesse che la norma è preordinata a proteggere (e la relativa tutela) sia esso generale (pubblico) o speciale (individuale o seriale)»104 e, pertanto, il carattere imperativo di una disposizione sarebbe conseguenza dell’indisponibilità dell’interesse tutelato dalla stessa.
Ciò detto in ordine alla controversa nozione di norma imperativa, occorre ora evidenziare i vari tentativi di distinzione e classificazione della stessa fatti dagli interpreti. In particolare, in relazione al “contenuto” della norma, vi è chi discerne tra norma precettiva imperativa e norma ordinativa: la prima imporrebbe un comando o un divieto e la seconda porrebbe requisiti di forma e di sostanza degli atti105.
Ancora, altri autori ritengono necessario distinguere tra norme ordinative, precettive (o imperative in senso stretto) e proibitive. Se le norme ordinative individuano requisiti, di sostanza o di forma, per la produzione di taluni effetti, le precettive (o imperative in senso stretto) impongono un determinato contenuto: «riconoscono diritti di credito o
103Esemplificativamente, PUTTI, Le nullità contrattuali, cit., p. 902 ss., ritiene che, applicando il criterio indicato, non sarebbe dotata di imperatività la disposizione di cui all’art. 2598 c.c. in tema di concorrenza sleale, in quanto è prevista dall’art. 2600 c.c. una tutela risarcitoria che rende disponibile la norma.
104MASTROPASQUA, Art. 1418 c.1 c.c.: la norma imperativa come norma inderogabile, cit., p. 880.
105Così XXXXXXXXX, Gli istituti del diritto civile, Milano, 1943, p. 41; BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, ristampa corretta della II° ediz., Napoli, 1994, p. 114 e 183 ss., 396 e 553; XXXXXXXXX, Il negozio contrario a norme imperative, in Legislazione economica, 1978-1979, p. 310; D’AMICO, “Regole di validità” e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996, p. 23.
potestativi e vietano, nei primi, la determinazione in misura diversa da quella prevista»106. Infine, le norme proibitive vietano un certo contenuto e vengono poi ulteriormente distinte in temporali, qualitative e quantitative. Le prime impongono di non sciogliere un contratto di durata prima di un determinato periodo; le norme proibitive qualitative vietano, invece, la stipulazione di certi patti107; le norme quantitative, infine, impediscono all’autonomia privata di incidere sulla quantità delle prestazioni o dei termini in misura differenti da quella indicata108.
Ciò detto, se la distinzione di cui supra sarebbe necessaria, secondo la tesi in commento, perché solo le ipotesi di violazione di una norma precettiva si possono ricondurre nell’alveo dell’art. 1418, comma 1, c.c., vi è anche chi osservato109 che la differenza tra norme precettive e proibitive sarebbe più apparente che reale e quindi priva di rilevanza effettiva.
Invero, entrambe le categorie consisterebbero in un ordine di comportamento che risulta essere omissivo in un caso e attivo nell’altro, con la conseguenza che «l’esito voluto dalla legge sarebbe uniforme nonostante il diverso tenore letterale (…). Comando e divieto, dunque, si distinguerebbero esclusivamente per il fatto che il primo comporta la proibizione di ogni comportamento in contrasto con l’azione ordinata,
106Così PUTTI, Le nullità contrattuali, cit., p. 903, nonché SARACINI, Nullità e sostituzione di clausole contrattuali, Milano, 1971, pp. 58 ss.; XXXXXXX, Nullità parziale del contratto e inserzione automatica di clausole, Milano, 1974, pp. 66 ss..
107Esempio di tale norma è dato dall’art. 2744 c.c..
108Ad esempio si può pensare alla l. 27 luglio 1978, n. 392 in tema di equo canone e alla l. 9 dicembre 1998, n. 431 in ordine alla durata della locazione di immobili urbani adibiti ad uso abitativo.
109G.X. XXXXX, Ordine pubblico, buon costume e teoria del contratto, cit., p. 160.
mentre il secondo rimane indifferente allo svolgersi di ogni altro fatto diverso da quello proibito»110.
6. L’inciso finale dell’art. 1418, comma 1, c.c.: costruzioni dottrinali e giurisprudenziali
A questo punto dell’indagine, occorre precisare che il giudizio volto alla qualificazione del contratto come illegale si articola in due momenti111.
In particolare, l’interprete deve innanzitutto verificare se la norma violata sia una norma imperativa112: laddove la verifica sull’imperatività dia esito negativo, sicuramente non si applica l’art. 1418, comma 1, c.c.
Viceversa, in caso di risposta positiva all’analisi di cui sopra, occorre soffermarsi sull’inciso finale della norma in esame e accertare quindi se, nel caso di specie, il legislatore abbia previsto un altro rimedio civilistico113 o comunque un altro meccanismo sanzionatorio idoneo a realizzare l’interesse protetto. Se non sussiste un ulteriore rimedio, il negozio è illegale; in caso contrario, il negozio posto in essere dalle parti è meramente irregolare, in quanto – ancorchè posto in essere in violazione di una norma imperativa – non incide direttamente
110Così PUTTI, Le nullità contrattuali, cit., pp. 902 ss.; VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 86; CRISCUOLI, La nullità parziale del negozio giuridico, Milano, 1959, p. 122.
111PUTTI, Le nullità contrattuali, cit., pp. 902 ss.; nello stesso senso, VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 92. In giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. III, 25 luglio 2008, n. 20428, in Dir. e giur. Agr., 2009, 6, pp. 402 ss., con nota di XXXXXX, la cui massima prevede che la violazione di una norma imperativa non dia luogo necessariamente alla nullità del contratto, giacché l'inciso finale dell'art. 1418, comma 1, c.c. impone all'interprete di accertare se il legislatore, anche in caso di inosservanza del precetto, abbia comunque consentito la validità del negozio, predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti dalla norma.
112È proprio per questo motivo che si è analizzato primariamente il concetto di norma imperativa, su cui cfr. supra, par. 5 del presente capitolo.
113Esemplificativamente, basti pensare all’art. 2901 c.c. che sanziona espressamente con l’inefficacia relativa e non con la nullità gli atti fraudolenti compiuti dal debitore per sottrarsi all’adempimento, seppur essi siano vietati ex art. 388 comma 1 c.p..
sull’interesse protetto, e pertanto l’ordinamento pone delle sanzioni penali, tributarie o anche altri rimedi civilistici114.
Alla luce di quanto sopra, appare evidente la necessità di distinguere il contratto meramente irregolare dal contratto illegale e, quindi, di comprendere il significato dell’inciso finale dell’art. 1418, comma 1, c.c., su cui si sono soffermate sia la dottrina che la giurisprudenza.
In particolare, ci si chiede115 se la locuzione «salvo che la legge non disponga diversamente» possa avere un significato ristretto, ovvero se la nullità vada esclusa solo quando la legge faccia salvi, in modo espresso, gli effetti del contratto: se così fosse, il negozio sarebbe valido solo nei rari casi in cui il legislatore si esprima in tal senso116. Tuttavia, è stato evidenziato117 che, qualora l’inciso de quo fosse interpretato in questo modo, diverrebbe superfluo, visto che il negozio sarebbe salvo proprio perché vi è la disposizione specifica e non vi sarebbe alcun bisogno di enunciazioni generali e di principio.
Si potrebbe poi ipotizzare che la locuzione in esame miri a circoscrivere l’ambito delle norme imperative rilevanti ai fini della declaratoria di nullità virtuale, distinguendo tra norme
114Un esempio di negozio irregolare può essere considerato il negozio ai danni del fisco, ovvero il negozio con cui le parti si accordano per violare o eludere norme fiscali: tale contratto è – secondo la tesi dominante – civilisticamente valido, attesa l’espressa disposizione legislativa sul punto (cfr. art. 10 comma 3 l. 27 luglio 2000 n. 212) ed il fatto che il legislatore, quando ha voluto colpire con la nullità il contratto violativo di norme fiscali, lo ha fatto espressamente, come avvenuto in materia di locazioni: cfr. ex multis, VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 92; Putti, Le nullità contrattuali, cit., p. 902 ss. Si tratta di un dato acquisito in giurisprudenza, in cui tra le altre si x. Xxxx., Sez. III, 19 giugno 1981, n. 4024, in Giust. civ., Mass., 1981, 6; Cass., Sez. I, 7 settembre 1982, n. 4843, in Foro it., Mass., 1982, e più di recente Cass., Sez. III, 22 luglio 2004, n. 13621, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Cass., Sez. I, 20 aprile 2007, n. 9447, in Giust.
civ., Mass., 2007, 4.
115Così VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 78.
116VILLA, ult. op. cit., p. 78 e DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 440, fanno l’esempio dell’art. 3 comma 3 della legge sull’assegno in tema di assegni a vuoto la cui emissione, seppure vietata ex lege, non incide sulla validità del titolo emesso.
117VILLA, ult. op. cit., p. 78.
imperative proibitive, ordinative e precettive, ma un tale ragionamento condurrebbe a esiti tuttavia incerti, visto che incerta è anche tale distinzione118.
Venendo ora all’analisi degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, si evidenzia che un criterio talvolta utilizzato per distinguere tra contratto illegale e contratto meramente irregolare è quello della «direzione del divieto»: si dovrebbe guardare cioè ai soggetti ai quali è indirizzato il divieto, per concludere che, solo laddove esso sia indirizzato ad entrambe le parti, allora si avrebbe nullità119.
Tuttavia, questa soluzione non è condivisa da quanti120 osservano che la nullità non va considerata in termini soggettivi, bensì in termini oggettivi. Invero, con il rimedio in esame, si vuole semplicemente «inficiare il regolamento negoziale per quello che è e per ciò che contiene»121, disinteressandosi – sotto il profilo della validità dell’accordo, ma non sotto quello della responsabilità precontrattuale ex art. 1338 c.c. – del fatto che subirebbe immeritatamente la sanzione anche la parte incolpevole di aver dato vita ad un negozio nullo. Inoltre, il criterio de quo non può assurgere a criterio generale, atteso che lo stesso legislatore spesso prevede delle nullità collegate a proibizioni indirizzate ad uno soltanto dei contraenti, come ad esempio in caso di divieti speciali di comprare o di contratto del mediatore non iscritto all’albo.
118Su cui ci siamo già soffermati supra, al par. 5 del presente capitolo.
119DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 448; XXXXXXXXX, Il negozio contrario a norme imperative, cit., p. 306; OPPO, Formazione e nullità dell’assegno bancario, in Riv. dir. comm., 1963, I, p. 178; G.B. FERRI, Ordine pubblico, buon costume, cit., p. 165.
120MOSCHELLA, op. cit., p. 306 ss.; VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 116.
121VILLA, ult. op. cit., p. 116.
Ancora, altra tesi122 ritiene che il discrimen tra contratto illegale e contratto irregolare vada ricercato caso per caso, mediante un’indagine in ordine allo scopo del singolo divieto, verificando poi se tale ratio possa giustificare la conseguenza della nullità.
Anche questo orientamento è stato sottoposto a censure, osservandosi che – così facendo – ci si limiterebbe a rinviare il problema, per riproporlo puntualmente ogni qualvolta si esamini il singolo precetto violato, con la conseguenza che non si giungerebbe ad un risultato soddisfacente123.
Pertanto, cercando di superare le critiche di cui supra, alcuni ritengono124 che la verifica in ordine allo scopo del divieto sia solamente la base di partenza della risoluzione della querelle e che il passo successivo sia quello di discernere tra norme dirette alla tutela di interessi pubblici e privati125: soltanto laddove si violino norme dirette alla tutela dei primi, l’autonomia negoziale si pone in contrasto con l’ordinamento e, di conseguenza, il negozio è nullo.
Anche il criterio testè enunciato è stato sottoposto a critica, perché sarebbe un mero «indice preliminare, dal quale dedurre che una norma protettiva di interessi privati non può condurre, almeno di regola, ad una nullità virtuale», ma «esso non è in grado di fornire adeguate soluzioni quando, lesa una norma di interesse pubblico, si debba poi stabilire la sorte del negozio»126. Infatti, nelle nullità di protezione, l’interesse
122Cass., 17 giugno 1960, n. 1591, in Sett. Xxxx., 1960, p. 1138; Cass., Sez.
Un., 21 agosto 1972, n. 2697; Cass., Sez. II, 4 dicembre 1982, n. 6601, in
Riv. not., 1983, p. 726.
123VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 118.
124Cfr. VILLA, ult. op. cit., p. 118 e i riferimenti giurisprudenziali ivi riportati a p. 118, spec. nt. 121.
125Come già evidenziato supra e con riferimento alle nullità speciali, in entrambi i casi le norme potrebbero essere imperative: cfr. par. 5 del presente capitolo.
126VILLA, op. cit., p. 130.
pubblico è preso in considerazione solo in via mediata127 e, ciò nonostante, il rimedio è appunto quello della nullità e, inoltre, in caso di lesione di un interesse pubblicistico, comunque vi è sempre la possibilità che il contratto sia meramente irregolare stante l’inciso finale dell’art. 1418, comma 1, c.c.
Pertanto, il criterio discretivo da utilizzare sarebbe quello del cd. «minimo mezzo»128, in base al quale la nullità del negozio va esclusa quando il risultato perseguito dal legislatore con la previsione della norma imperativa può essere raggiunto con altre specifiche sanzioni, con conseguente ampia discrezionalità agli interpreti.
7. Conclusioni: la norma penale come norma imperativa
Alla luce di quanto sopra esposto, si possono finalmente trarre le fila del discorso, al fine di elaborare una soluzione in ordine a tutti i quesiti precedentemente formulati e relativi all’individuazione del campo di applicazione della norma in esame, alla distinzione tra le ipotesi rientranti nel primo comma e quelle riconducibili ai commi successivi della disposizione in commento, all’attribuzione di significato all’inciso finale della disposizione de qua e, infine, all’individuazione delle norme dotate di imperatività. Solo attraverso tali conclusioni, infatti, si possono creare le basi per la risoluzione degli aspetti controversi che caratterizzano i rapporti tra contratto e reato.
In particolare, si può ora osservare che il contratto illegale può trovare il suo ambito di applicazione solamente se correttamente distinto dal contratto illecito e dal contratto meramente irregolare. In relazione alla prima distinzione, la soluzione si può individuare avendo riguardo all’elemento del
127Cfr. supra, par. 5 del presente capitolo.
128DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 446.
negozio contrastante con la norma imperativa: in particolare, laddove siano la causa o l’oggetto del contratto in contrasto con la norma imperativa, allora si avrebbe illiceità. Viceversa, qualora non sia possibile addivenire a una declaratoria di nullità in base al disposto del secondo comma dell’art. 1418 c.c., e tuttavia il negozio contrasti con la norma penale, allora si avrebbe illegalità.
In ordine poi alla mera irregolarità, si può ritenere che essa ricorra quando l’osservanza della norma imperativa è presidiata da un rimedio ulteriore ed espressamente previsto dal legislatore, attraverso il quale si può raggiungere il risultato perseguito dall’ordinamento129.
Inoltre, soffermando l’attenzione sulla norma imperativa e applicando tale concetto alla norma penale, appare evidente che quest’ultima sia sicuramente dotata del carattere di imperatività e ciò qualunque sia la nozione di norma imperativa alla quale si accede.
Infatti, se si intende dotata di imperatività la norma inderogabile o quella indisponibile, è palese che la norma penale non può essere derogata dall’autonomia delle parti, né può essere a disposizione di queste ultime. Qualora si ritenga, invece, che la norma imperativa sia quella posta a tutela dell’interesse pubblico, appare evidente che la norma penale vada considerata tale, atteso che – anche qualora le fattispecie incriminatrici tutelino beni giuridici di stampo spiccatamente privatistico – sotteso ad esse vi è, sempre e comunque, un interesse pubblicistico, che discende direttamente dal disposto dell’art. 112 Cost.. Invero, posto l’obbligo per il pubblico ministero di esercitare l’azione penale e atteso che lo Stato punisce i comportamenti penalmente rilevanti anche per
129Cfr. supra, par. 6 del presente capitolo.
garantire la pace sociale tra i consociati, va da sé che la disposizione penale è dotata di imperatività.
Da ultimo, anche applicando le sopra richiamate classificazioni, la norma penale appare dotata del carattere di imperatività, visto che essa può essere prevista dal legislatore sia in forma di comando che in forma di divieto, ma, anche qualora la norma penale sia prevista esplicitamente in termini di divieto, quest’ultimo – mediante l’estensione di cui all’art. 40, comma 2, c.p. – si trasforma in un comando penalmente rilevante per coloro che rivestono una posizione di garanzia, con la conseguenza che la norma si atteggia come imperativa.
Da quanto sopra esposto, emerge chiaramente che la norma penale è una norma imperativa, la cui violazione, quindi, potrebbe condurre – sotto il profilo civilistico – alla conseguenza della nullità ex art. 1418, comma 1, c.c.
8. (Segue) Violazione della norma penale e conseguenze sul versante civilistico
Seppure la norma penale sia imperativa, la violazione della stessa non conduce necessariamente all’applicazione dell’art. 1418, comma 1, c.c.
Invero, si deve porre innanzitutto l’attenzione sull’inciso finale del primo comma dell’art. 1418 c.c. e inoltre è necessario soffermarsi sui differenti ambiti applicativi della norma penale e della norma civile, essendo la prima indirizzata a reprimere il comportamento del reo e la seconda a colpire il negozio. Di conseguenza, non è possibile affermare che ogni qualvolta vi sia violazione di una norma penale per ciò solo il contratto sia nullo
(e sia nullo ex art. 1418, comma 1, c.c.)130, ben potendo il negozio essere
1. valido e ciò nonostante essere vietato ex lege il comportamento di una delle parti (es.: art. 388, comma 2, c.p., in cui il comportamento penalmente rilevante potrebbe legittimare il creditore ad agire ex art. 2901 c.c.);
2. invalido ma non nullo (es.: art. 640 c.p., in cui il comportamento del truffatore conduce, secondo l’orientamento assolutamente dominante, all’annullabilità del contratto per dolo);
3. invalido e xxxxx xx xxx. 0000, xxxxx 0, x.x. (xx.: art. 318 c.p., in cui la corruzione comporta illiceità sia dell’oggetto, sia della causa del contratto, sia dei motivi determinanti);
4. invalido e xxxxx xx xxx. 0000, xxxxx 0, x.x. (xx.: art. 348 c.p., in cui il contratto d’opera intellettuale concluso da chi esercita abusivamente una professione può essere considerato illegale).
Appare quindi evidente la mancanza di qualsivoglia automatismo, non essendo accoglibile l’equazione “violazione di norma penale = violazione di norma imperativa = contratto nullo”, ma dovendosi viceversa valutare in quale delle quattro ipotesi sopra indicate debba ricondursi il singolo contratto posto in essere in violazione della norma penale.
Alla luce di quanto finora evidenziato, si può cercare di dare risposta ai quesiti oggetto del nostro studio. Si tratta, in primo luogo, di individuare l’eventuale reazione dell’ordinamento con riferimento alle eventuali interferenze tra contratto e reato. A tal proposito, si può fin d’ora affermare che in caso di reato commesso in occasione di un contratto, l’ordinamento non rimane inerte, optando per delle conseguenze rilevanti anche sul piano civilistico131. Se in generale il rimedio
130In questo senso, cfr. Cass., Sez. III, 14 luglio 2011, n. 15473, in Giust. civ. Mass., 2011, 9, pp. 1203 ss.
131Cap. 1, par. 4.
approntato dal legislatore è quello della nullità virtuale, esso non è sicuramente l’unico, né è automatico, atteso che la sua applicazione sia consentita soltanto laddove non sussista un altro rimedio previsto ex lege. Di conseguenza, ben potrebbe – nei casi di reato incidente sull’autonomia privata – doversi applicare altro istituto, come la nullità per illiceità, l’annullabilità, la rescissione, la revocatoria o addirittura la mera responsabilità, con conseguente salvezza del contratto.
Ciò detto, ci si deve ora interrogare in ordine al terzo quesito formulato, e quindi verificare in presenza di quali presupposti si abbia nullità del contratto, fermo restando che, a tal proposito, è necessario analizzare la nota distinzione tra reati contratto e reati in contratto.
CAPITOLO 3
REATI CONTRATTO E REATI IN CONTRATTO
1. Nozione, distinzione e fondamento
Talvolta le fattispecie incriminatrici rinviano1 o danno per presupposto2 l’esistenza di un negozio giuridico e, di conseguenza, spesso contratto e reato si intersecano: invero, i contraenti possono violare una norma penale nella fase antecedente la stipula del negozio, ovvero nella fase di perfezionamento del medesimo o, da ultimo, nella fase esecutiva di questo.
In virtù dell’elevato numero di delicta che si consumano con il negozio, i rapporti intercorrenti tra reato e contratto vengono ricondotti a quattro categorie. Innanzitutto, vi sono gli illeciti (come ad esempio l’appropriazione indebita) che presuppongono un contratto; ancora, vi sono i reati (come esemplificativamente quelli di frode nell’assicurazione o nelle pubbliche forniture nonché di inadempimento dei contratti di fornitura) commessi nell’esecuzione del negozio e attraverso i quali si punisce l’inadempimento degli obblighi contrattuali3. Ulteriori categorie sono poi quelle dei cosiddetti reati contratto e dei reati in contratto: in entrambi i casi gli illeciti sono commessi nel momento conclusivo del negozio, ma solo nei primi «si incrimina il fatto stesso della conclusione del contratto»4. In particolare, appartengono alla categoria dei reati
1Per i rinvii espressi al contratto o a singoli negozi, XXXXXXXX, Reati-contratto e reati in contratto, in Contratto e reato, a cura di XXXXXXX e XXXXXXX, Napoli, 2014, p. 177, prende come esempi il reato di usura, in cui si richiama la nozione di contratto con prestazioni corrispettive, l’insolvenza fraudolenta, in cui si contrae un’obbligazione, o ancora la cessione di stupefacenti, in cui vi è una vendita.
2LEONCINI, ult. op. cit., p. 178, fa l’esempio del contratto di deposito nell’appropriazione indebita, o ancora della truffa contrattuale.
3Tali ipotesi non rilevano ai fini della nostra analisi, dato che il contratto è già concluso tra le parti ed è concluso validamente.
4Così X. XXXXXXXXX, Delitti contro il patrimonio, cit., pp. 53 ss.; ID., Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, cit., p. 37 e 377; XXXXXXXX, I rapporti tra contratto, reati – contratto e reati in contratto, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990,
contratto le fattispecie in cui «la condotta tipica è descritta mediante termini corrispondenti a quelli che definiscono nel diritto civile i singoli negozi»5, con la conseguenza che ciò che la legge intende punire è proprio e unicamente la stipulazione di un contratto, indipendentemente dalla sua esecuzione: pertanto, in queste ipotesi reato e negozio – o meglio attività criminosa e attività negoziale – coincidono.
I reati in contratto, invece, sono quegli illeciti «mediante i quali viene incriminata non la conclusione in sé del contratto ma il comportamento (violento, fraudolento, profittatorio) tenuto durante la medesima»6.
L’analisi che segue si incentrerà sulle ultime due categorie sopra individuate, atteso che – al fine di comprendere il rapporto tra fattispecie civile e penale – rileva esclusivamente l’intersecazione delle stesse nella fase conclusiva del contratto (e del reato). Invero, se la validità del negozio potesse essere messa in dubbio quando l’illecito è commesso in un momento successivo alla stipula, si comprometterebbe la certezza del diritto. L’ordinamento, infatti, non può – sia per ragioni dogmatiche sia per ragioni pratiche e sostanziali – “inficiare” ogni contratto in cui, successivamente alla stipula, una delle parti (o entrambe) commetta un reato. In particolare, consentire la declaratoria di nullità contrattuale nei casi in cui l’illecito sia commesso in un momento successivo alla stipula farebbe venire meno la sicurezza della circolazione giuridica, considerato che ognuno potrebbe agire in giudizio per l’accertamento della nullità di un contratto, anche soltanto al fine di non adempiere
II, pp. 997 ss.; XXXXXXX, Causa, cit., p. 234; XXXXXXX, Contratto illecito e norma penale, cit., p. 37.
5LEONCINI, op. cit., p. 998.
6Così X. XXXXXXXXX, Delitti contro il patrimonio, cit., pp. 53 ss.; ID., Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, cit., p. 37 e 377; XXXXXXXX, op. cit., pp. 997 ss.; XXXXXXX, Causa, cit., p. 234; XXXXXXX, Contratto illecito e norma penale, cit., p. 37.
al contratto e liberarsi così da un vincolo divenuto non più vantaggioso.
Pertanto, appare evidente che i rapporti tra contratto e reato sotto il profilo civilistico riguardano esclusivamente il tema dei reati contratto e dei reati in contratto, visto che in tali ipotesi il legislatore – nel descrivere la fattispecie penale – prende in considerazione proprio il contratto ex se o le modalità di conclusione dello stesso.
2. I reati contratto: elementi strutturali
Chiarita la nozione dei reati contratto, occorre evidenziare quali sono gli elementi strutturali di tali ipotesi criminose. Innanzitutto, si deve osservare che la categoria, nata in ambito penalistico, viene ricompresa all’interno dei cd. reati accordo, ovvero quegli illeciti in cui il disvalore discende dall’esistenza di un accordo tra le parti. Trattasi di reati cd. plurisoggettivi reciproci o bilaterali a condotte omogenee, attesa la rilevanza penale del fatto solamente in caso di incontro delle volontà tra le diverse parti, mentre – considerando esclusivamente le singole volontà – non vi è alcun fatto penalmente rilevante7.
Soffermandoci ora sulle ragioni per cui si sanziona la stipula di un contratto, è stato evidenziato8 che ciò avviene o in considerazione della natura della cosa oggetto del negozio9, o perché il medesimo ha ad oggetto res fuori commercio, oppure,
7La categoria dei reati accordo è più ampia di quella dei reati contratto, atteso che in essa si ricomprendono – oltre ai reati contratto – anche i reati associativi e i reati che derogano il principio di cui all’art. 115 c.p. (v., per es., l'art. 304 c.p.), ossia quegli illeciti che sanzionano condotte altrimenti rilevanti solo ai fini dell’applicazione di misure di sicurezza. In particolare, l’elemento distintivo tra reati contratto e reati accordo è costituito dal fatto che in questi ultimi l’illiceità è insita nell’oggetto del contratto, che rende illecito l’accordo stesso.
8V. XXXXXXXXX, Diritto penale italiano, Milano, 1947, p. 236; nello stesso senso LIBERATI, Xxxxxxxxx e reato, cit., p. 92.
9Esemplificativamente, basti pensare alla cessione di stupefacenti.
ancora, perché, attraverso tale negozio, si svolge un’attività senza l’autorizzazione richiesta ex lege.
Ciò premesso, si rileva che i reati contratto sono monoffensivi, posti cioè a tutela di un unico bene giuridico: in particolare, «la ratio incriminatrice si incentra sull’effetto provocato dalla contrattazione di un determinato oggetto, la cui natura influenzerà necessariamente anche l’oggetto della tutela»10.
Ancora, per quanto concerne l’elemento oggettivo del reato, occorre partire dal presupposto che ciò che viene incriminato è la contrattazione: di conseguenza, «elemento essenziale della struttura è l’ “accordo”, inteso come l’incontro delle volontà delle parti, teleologicamente orientato allo scambio dell’oggetto illecito»11, atteso che ciò che rende penalmente rilevante il negozio è proprio la res illecita.
Pertanto, tra gli elementi caratterizzanti i reati contratto, da un lato vi è il fatto che il negozio abbia un oggetto (inteso come res materiale) illecito, dall’altro, che vi siano almeno due soggetti12, entrambi in genere punibili13.
10Così LIBERATI, Contratto e reato, cit., p. 92, che prosegue la sua analisi mediante delle esemplificazioni e osserva che, mentre nel reato di corruzione l’oggetto della contrattazione è la mercificazione di un atto di un pubblico ufficiale e il bene tutelato è il buon andamento della pubblica amministrazione, nel reato di cui all’art. 602 c.p. l’oggetto del delitto è la vendita di uno schiavo e la tutela si incentra sulla libertà personale.
11LIBERATI, ult. op. cit., p. 92.
12Proprio per tale motivo, i reati contratto vengono ricondotti tra i reati naturalisticamente plurisoggettivi: se, in alcuni casi, si potrà anche parlare di plurisoggettività in senso stretto in quanto – come sottolinea LIBERATI, ult. op. cit., p. 57 –, assume rilevanza nella tipizzazione del legislatore anche la condotta attiva di tutti i contraenti, in altri casi viene descritta e considerata rilevante la condotta attiva di un solo soggetto.
13In considerazione di ciò, si tratta – in genere – di reati plurisoggettivi propri, a eccezione del reato di corruzione impropria susseguente, in cui – prima dell’intervento della l. 6 novembre 2012 n. 190 – veniva punito solo il pubblico ufficiale. Tuttavia, con la legge de qua, tra le altre modifiche, vi è stata l’eliminazione del comma 2 dell’art. 318 c.p. e la conseguente abrogazione, secondo la dottrina, della fattispecie di corruzione impropria susseguente: v. GROSSO, Novità, omissioni e timidezze della legge anticorruzione in tema di modifiche al codice penale, in AA.VV., La legge
Ancora, stante il disvalore di tali reati, è evidente la necessità legislativa della repressione totale di tali comportamenti da parte dell’ordinamento: da ciò deriva, da un lato, la configurazione dei reati contratto come illeciti a condotta alternativa, in cui si sanziona ogni comportamento che possa influire sull’oggetto materiale del reato14. Dall’altro, il legislatore penale si disinteressa della forma adottata dalle parti per la stipula del contratto, costituendo reato il mero raggiungimento dell’accordo ed essendo quindi indifferente come le parti esternino la volontà: ogni manifestazione di volontà, infatti, è idonea ad integrare gli estremi del reato.
Infine, sotto il profilo soggettivo, si tratta principalmente di reati dolosi, in cui è richiesta la coscienza e volontà della contrattazione.
3. I reati in contratto: elementi strutturali
Come visto poc’anzi, nei reati in contratto il fatto tipico consiste nel comportamento illecito tenuto da uno dei contraenti in danno dell’altro nella fase delle trattative o al momento della conclusione del contratto, mediante il quale l’agente induce la controparte a stipulare un negozio che altrimenti questa non avrebbe concluso o avrebbe concluso a condizioni differenti. Pertanto, l’unico elemento comune ai reati contratto e in contratto è la rilevanza penale di un negozio.
La categoria dei reati in contratto è costituita principalmente da delitti contro il patrimonio e, in particolare, da illeciti che realizzano lesioni patrimoniali mediante la cooperazione artificiosa della vittima: in tali ipotesi, infatti, vi è
anticorruzione: prevenzione e repressione della corruzione, a cura di Xxxxxxxxxx e Pelissero, Torino, 2013, p. 10.
14Basti pensare alla disciplina dettata in tema di stupefacenti, in cui anche la mera detenzione o il possesso di sostanze definite come stupefacenti costituisce reato.
un atto di disposizione patrimoniale da parte del soggetto passivo carpito con frode, violenza o approfittamento dell’altrui incapacità. In particolare, nei reati de quibus «la vittima contribuisce a produrre il risultato patrimoniale pregiudizievole, non limitandosi a subire l’offesa, ma essendone in un certo senso anche protagonista»15 ed è proprio dall’atto di disposizione patrimoniale – ottenuto carpendo la volontà con inganno, violenza o minaccia – che si evince tale cooperazione artificiosa. In altri termini, posto che la condotta criminosa si realizza nell’ambito di una contrattazione, è ovvio che la norma richieda una “partecipazione” del soggetto passivo e che l’illecito sia commesso con la cooperazione della vittima.
È stato altresì evidenziato16 che i reati in contratto, in cui vi è appunto tale cooperazione artificiosa della persona offesa, imprimono al negozio una direzione svantaggiosa per uno dei contraenti: ruotano attorno al concetto di danno, operano principalmente nella fase di formazione del contratto e ledono il patrimonio.
In considerazione di quanto sopra, con tali reati il legislatore sanziona il comportamento illecito tenuto da uno dei contraenti ai danni dell’altro nella fase antecedente alla stipula del negozio17, atteso che, in questi casi, ciò che rileva penalmente non è l’assetto di interessi realizzato dalle parti, come avviene nei reati contratto, bensì la condotta tenuta da un contraente a danno dell’altro.
Quindi, tali reati sono incentrati principalmente sulla tutela della persona offesa, nonché sulla situazione di svantaggio tra le due parti che crea altresì un danno al contraente debole: di conseguenza, i reati in contratto sono
15SERAFINI e RIVELLINI, Contratto concluso e circonvenzione di incapace: sul regime della invalidità, nota a Cass., Sez. II, 7 febbraio 2008, n. 2860, in xxx.xxxxxxx.xxx.
16MANTOVANI, Delitti contro il patrimonio, cit., p. 11.
17Così XXXXXXXX, op. cit., p. 999.
plurioffensivi giacché tutelano sia la libertà di autodeterminazione (e quindi l’autonomia privata), sia il singolo bene giuridico di volta in volta presidiato dalla norma incriminatrice18.
Inoltre, poiché con i reati in contratto il legislatore punisce l’inganno, il momento consumativo dell’illecito penale è quello in cui si pone in essere tale condotta, che ben può verificarsi nella fase di conclusione del negozio19.
Ancora, sotto il profilo strutturale, sono rilevanti proprio le modalità concrete di svolgimento della contrattazione, posto che il legislatore ha considerato penalmente rilevante la particolare invasività di talune condotte finalizzate alla conclusione di un atto di autonomia negoziale.
Come sottolineato da una parte della dottrina20, anche i reati in contratto si caratterizzano per la necessaria presenza di più soggetti – tant’è che sono considerati reati naturalisticamente plurisoggettivi –, ma è richiesta la condotta attiva di un solo soggetto, con la conseguenza che il reato sarà normativamente monosoggettivo.
Inoltre, posto che è penalmente rilevante il comportamento tenuto da uno dei contraenti, sarà punibile solamente il contraente che tiene il comportamento ex lege vietato21.
18Ad esempio, il patrimonio nella truffa, la salvaguardia dell’ordine pubblico economico nella frode in commercio, il buon andamento della pubblica amministrazione nella concussione.
19In particolare, tra i reati in contratto che possono essere commessi nella fase esecutiva del negozio si fa l’esempio dell’insolvenza fraudolenta o della frode in commercio, in cui il contratto rappresenta l’occasione per la commissione di un reato, ma non il reato in sé.
20GRISPIGNI, op. cit., pp. 235 e 236.
21Si discute in dottrina in ordine alla possibilità di ritenere punibile ex art. 110 c.p. il contraente debole, ossia quello che pone in essere la condotta non tipizzata. In particolare, alcuni ritengono che la non punibilità di tale soggetto – prevista espressamente dal legislatore – non possa essere elusa mediante l’istituto generale del concorso di persone nel reato, con la conseguenza che non vi sarebbe alcuna estensione della punibilità per tale soggetto. Ciò in quanto osterebbe alla punibilità di quest’ultimo anche la
Infine, poiché ciò che è sanzionato nei reati in contratto è il modus di conclusione del negozio, l’elemento soggettivo potrà atteggiarsi come dolo generico o come dolo specifico, essendo richiesta, a seconda del singolo reato perpetrato, la consapevolezza e volontà di un comportamento fraudolento, coercitivo o profittatorio.
4. Le conseguenze civilistiche della distinzione tra reati contratto e reati in contratto
Esaminata la distinzione tra reati contratto e in contratto, è ora possibile individuare le conseguenze civilistiche derivanti dal compimento di tali reati.
In particolare, è stato già evidenziato22 che non sarebbe corretto qualificare come nullo il contratto in ragione del fatto che, in occasione della stipulazione dello stesso, le parti pongono in essere una condotta penalmente rilevante, e ciò proprio in considerazione di ragioni sistematiche, oltre che per la distinzione sulla quale ci stiamo soffermando.
Invero, se da un lato l’art. 1418, comma 1, c.c. si applica purché non trovi applicazione l’inciso finale della norma de qua, dall’altro, la nullità attiene all’atto e non al comportamento. Inoltre, dalla distinzione tra reati contratto e in contratto discende che la violazione della norma penale comporta la nullità del negozio solo quando il divieto riguardi il contratto e
ratio stessa della norma e la posizione di persona offesa del reato rivestita proprio dal contraente debole. Alcuni autori evidenziano che il legislatore abbia tipizzato le condotte ma – in virtù dei principi generali del concorso di persone – il comportamento atipico potrebbe pur sempre essere ritenuto punibile a titolo di concorso eventuale. Infine, la tesi intermedia ritiene che sia necessario verificare caso per caso la compatibilità tra l’istituto di cui all’art. 110 c.p. e il singolo reato perpetrato. Sul punto, e per una ricostruzione della problematica, si x. XXXXXXXX, op. cit., pp. 1008 ss. ed i riferimenti bibliografici ivi contenuti, nonché LIBERATI, Contratto e reato, cit., pp. 88 ss..
22Cfr. infra, cap. 2, par. 8, del presente lavoro.
dunque il regolamento di interessi. In altri termini, perché si abbia nullità, ciò che deve essere penalmente vietato è lo scopo pratico perseguito dalle parti23. Appare quindi chiaro che, in caso di stipula di un reato contratto, la conseguenza civilistica non può che essere quella della nullità del contratto, essendo vietato il contratto in quanto tale ed essendo quindi sanzionato penalmente proprio l’assetto di interessi divisato dalle parti.
È stato sottolineato24, infatti, che, qualora sia sanzionata penalmente proprio la conclusione del negozio, vi è chiaramente una valutazione di riprovazione dello stesso che si traduce nella sua invalidità. Pertanto, se la stipulazione del contratto integra un reato, sembra che a un tale pactum non possa essere riconosciuta la medesima rilevanza riservata ai negozi validi.
Inoltre, in tal caso ricorrerebbero tutti gli elementi richiesti dall’art. 1418, comma 1, c.c., in quanto, da un lato, vi è chiaramente la violazione di una norma imperativa (visto che le parti stanno concludendo un contratto disapprovato dall’ordinamento) e, dall’altro, è il negozio in sé considerato a essere non voluto dal legislatore. Infine, non vi sono, tendenzialmente, altri rimedi civilistici applicabili: in considerazione di quanto sopra, tali contratti dovrebbero essere nulli ex art. 1418, comma 1, c.c.
Tuttavia, non si può non osservare che spesso i negozi in esame, più che illegali, parrebbero illeciti, atteso che sovente nei medesimi è riscontrabile anche l’illiceità della causa, dell’oggetto o dei motivi del contratto25. Invero, posto che il contratto è regolamento di interessi e quindi si sostanzia in un accordo con una causa meritevole di tutela, appare difficile
23Così X. XXXXXXXXX, Violazione di norme penali e nullità virtuale del contratto, cit., p. 109 che prende esemplificativamente l'ipotesi della vendita di lotti edificabili contro il divieto di lottizzazione abusiva sanzionato ex art. 44 d.p.r. n. 380/2001.
24BIANCA, Diritto civile, Il contratto, cit., pp. 582 e 583. 25Esemplificativamente, si può pensare al contratto tra corrotto e corruttore, o ancora alla ricettazione e all'associazione a delinquere.
ipotizzare che, qualora sia stato stipulato un contratto la cui conclusione si traduca anche in un illecito penalmente rilevante, vi sia illegalità e non illiceità della causa26.
Inoltre, ove il negozio si qualificasse come meramente illegale anziché illecito, si giungerebbe a conclusioni paradossali: ad esempio, un corruttore potrebbe agire giudizialmente per ottenere la ripetizione dell’indebito, dopo che il contratto con il corrotto è stato dichiarato nullo. È evidente che – anche a voler prescindere dall’applicazione della misura della confisca di tali somme da parte dell’autorità penale – nessun giudice accoglierebbe tale domanda, perché riterrebbe la causa del contratto contrastante con il buon costume, con conseguente applicazione dell’istituto di cui all’art. 2035 c.c.
Di conseguenza, si può sostenere che di regola i reati contratto siano nulli per illiceità della causa o dell’oggetto, fermo restando che comunque trattasi di una linea generale e tendenziale, essendo in ogni caso necessario verificare nel singolo caso concreto l’assetto di interessi perseguito dalle parti, per poter essere sicuri che sia proprio la funzione concreta del contratto a contrastare con la norma imperativa.
Tale soluzione parrebbe avvallata anche dal fatto che
«l’atto la cui conclusione costituisce reato, nei reati contratto, non può conservare natura ed effetti negoziali, essendo la nullità assoluta connaturata alla stessa struttura della fattispecie incriminatrice astratta»27. Dunque, l’atto deve essere radicalmente nullo e gli deve essere riconosciuta la disciplina ben più pregnante dell’illiceità e non quella più favorevole della mera illegalità28, visto che «si tratta di un fatto illecito che, pur
26Sulla differenza tra contratto illegale e contratto illecito ci siamo già soffermati supra, cap. 2, par. 3 e 4 del presente lavoro.
27LEONCINI, I rapporti tra contratto, reati – contratto e reati in contratto, cit., p. 1050 – 1051.
28Sulle conseguenze della declaratoria di illiceità e di illegalità, cfr. supra, cap. 2, par. 3 del presente lavoro.
conservando la forma esteriore dell’istituto civilistico, se ne distacca totalmente nella sostanza e nella natura giuridica»29.
Quanto sopra, sempre che il legislatore – ex art. 1418, comma 1, ultima parte, c.c. – non abbia dettato una disciplina speciale destinata a operare nella medesima fattispecie. Ciò accade, per esempio, nell’ipotesi disciplinata dall’art. 1815 c.c., ove il legislatore fa un bilanciamento di interessi e ritiene sufficiente eliminare la clausola contrastante con la norma imperativa, giacché – così facendo – l’illiceità viene meno e il negozio può continuare a esplicare i suoi effetti30.
Viceversa, in caso di reati in contratto, ovvero quando l’illecito penale è integrato dal comportamento tenuto da un contraente a danno dell’altro, occorre verificare se i negozi correlati al reato31 possano essere considerati validi, sfuggendo dagli automatismi già criticati32. Infatti, è vero che la norma penale è sicuramente imperativa, ma è anche vero che il disposto di cui all’art. 1418, comma 1, c.c. si applica a condizione che sia vietato il regolamento contrattuale e che non vi siano ulteriori rimedi applicabili. Di conseguenza, in presenza di reati in contratto, la soluzione che appare più appropriata sembra quella di applicare al comportamento vietato la sanzione penale e al contratto la disciplina privatistica specificamente prevista a tutela della parte danneggiata, secondo la rilevanza che viene data a quel comportamento dal legislatore civile.
29LEONCINI, ult. op. cit., p. 1050 – 1051.
30In tal senso, x. XXXXXXXX, Xxxxxxxxx e reato, cit., p. 103, il quale osserva che
«il contratto in tal caso resta valido ed efficace, avendo il legislatore superato con espressa previsione la nullità per contrarietà a norme imperative e avendo perciò avallato una posizione di intermediazione tra norme penali e civili».
31Sono tali i negozi, per la cui conclusione una delle parti ha tenuto un comportamento penalmente rilevante: sul punto, cfr. par. 1 e 3 del presente capitolo.
32Cfr., supra, cap. 2, par. 8 del presente lavoro.
Pertanto, la problematica si sposta inevitabilmente sulla verifica di ciò che è vietato dalla norma penale e, posto che in tali ipotesi la norma penale vieta – come detto precedentemente
– il comportamento tenuto da uno dei contraenti e non il regolamento negoziale ex se, è inapplicabile il disposto di cui all’art. 1418, comma 1, c.c.
Tuttavia, prima di concludere per la validità dei negozi conclusi in modo penalmente illecito, occorre verificare se, in caso di reati in contratto, venga in rilievo un altro rimedio civilistico idoneo a tutelare la vittima e se quindi si ricada nell’alveo applicativo dell’inciso finale dell’art. 1418, comma 1,
c.c. Sul punto, si sottolinea che – affinché si possa ritenere applicabile l’ulteriore rimedio civilistico – è necessario che vi sia un’omogeneità strutturale delle fattispecie civili e penali di volta in volta considerate: invero, solo se le due fattispecie coincidono strutturalmente e non sono in rapporto di specialità l’una con l’altra, può trovare applicazione il predetto inciso finale di cui all’art. 1418, comma 1, c.c. Viceversa, – in assenza di ulteriori rimedi – il negozio sarebbe valido.
L’ulteriore rimedio applicabile può essere individuato nella nullità per illiceità, ovvero nella mera annullabilità33, con le ovvie conseguenze in termini di disciplina, atteso che in tal caso il contratto resterebbe dotato di efficacia fino all’esperimento vittorioso dell’azione di cui agli artt. 1441 ss.
c.c. e potrebbe anche divenire definitivamente efficace a causa del maturare della prescrizione.
Infine, il contratto potrebbe ritenersi pienamente valido ed efficace, atteso che il compimento del reato può dare esclusivamente luogo al rimedio risarcitorio, senza incidere in alcun modo sul contratto (esemplificativamente, si pensi alla
33Ciò è quanto si ritiene avvenga nell'ipotesi della truffa, su cui cfr. infra, par. 6 del presente capitolo.
truffa contrattuale perpetrata da chi realizza la fattispecie di dolo incidente ex art. 1440 c.c.).
È proprio sotto il profilo delle conseguenze civilistiche, quindi, che emerge la distinzione tra reati contratto e in contratto: «nel primo caso, il negozio – essendo in sé contrario alla legge – è affetto da nullità, a meno che non sia diversamente stabilito; nel secondo caso, il negozio – non fondandosi su causa illecita – non può sotto questo profilo considerarsi nullo, a meno che il mezzo utilizzato (es.: estorsione mediante violenza fisica o coazione assoluta) escluda la volontà della vittima o comunque integri una causa di nullità, mentre dovrà considerarsi annullabile nei casi in cui il mezzo utilizzato (es.: truffa) vizi la volontà ma senza escluderla, o comunque integri una causa di annullabilità o altrimenti sarà valido»34. Di conseguenza, «nei reati in contratto vi è maggiore spazio per una residua validità ed efficacia della fattispecie civile»35.
Appare evidente che, operando la distinzione tra reati contratto e in contratto, da un lato si evita quella forma di automatismo per cui ogni volta che vi è un reato nella fase conclusiva del contratto il negozio è nullo ex art. 1418, comma 1, c.c., dall’altro si tiene conto delle dovute differenze tra le due categorie in esame36.
34MANTOVANI, Delitti contro il patrimonio, cit., p. 384.
35LIBERATI, Contratto e reato, cit., p. 104.
36DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 445, pur non facendo esplicito riferimento alla dicotomia reati contratto ed in contratto, perviene alle stesse conclusioni, per cui non si ha nullità se il divieto penale colpisce il comportamento; si ha nullità se il divieto penale colpisce il contratto come tale.
5. Reati contratto e ipotesi applicative: in particolare, il reato di usura. Costruzioni dottrinali e giurisprudenziali
Ciò detto in ordine agli elementi strutturali e alle conseguenze civilistiche dei reati contratto e in contratto, occorre ora analizzare le ipotesi applicative più significative delle due categorie in esame, così da verificare se le considerazioni testè effettuate siano effettivamente meritevoli di accoglimento.
Innanzitutto, le fattispecie riconducibili alla categoria dei reati contratto sono le più svariate e sono rinvenibili in molte figurae criminis contemplate sia dal codice penale che dalle leggi speciali: esemplificativamente si può pensare ai reati di compravendita abusiva di preziosi, di cose antiche, di vendita di chiavi o grimaldelli a sconosciuti, di acquisto di cose di sospetta provenienza, o – ricomprendendo nell’esame anche i rapporti tra negozio e reato – gli illeciti relativi alla bigamia o all’inosservanza del lutto vedovile. Ancora, rientrano nella categoria de qua i reati di corruzione o millantato credito, nonché l’usura, la ricettazione e la cessione di sostanze stupefacenti o di armi.
In considerazione dell’importanza che riveste la fattispecie di usura, e soffermandoci principalmente su essa, si deve da subito osservare che la disciplina penalistica di tale reato è stata recentemente riformata37 e attualmente il legislatore prevede più ipotesi criminose all’interno dell’impianto normativo. In particolare, si sanziona sia l’usura pecuniaria (ovvero avente ad oggetto interessi o comunque danaro), sia l’usura reale (ossia avente ad oggetto altre utilità o vantaggi e in cui le parti si scambiano vantaggi sproporzionati svincolati dal
37Per un’analisi dettagliata della disciplina penale, sia consentito rinviare tra gli altri a BELLACOSA, voce Usura, in Dig. Disc. pen., 1999, p. 144 ss.; XXXXXXXXXX, Le nuove regole del reato, in Impresa c.i., 1996, p. 1547 ss.; XXXXXX, L’usura riformata: primi approcci a una fattispecie nuova nella struttura e nell’oggetto di tutela, in Cass. pen., 1997, pp. 2594 ss.
riferimento al denaro38). Inoltre, l’usura (pecuniaria o reale) è punita sia quando viene superata la soglia predeterminata ex lege, sia qualora si rimanga all’interno della soglia legale: si distingue quindi tra usura sopra soglia (o oggettiva) e usura sotto soglia (o soggettiva).
L’usura sopra soglia (o oggettiva) è disciplinata dal comma 1 dell’art. 644 c.p., in base al quale rileva esclusivamente il mero farsi dare o promettere interessi (usura pecuniaria) o vantaggi (usura reale) usurari, come corrispettivo di una prestazione di danaro o di altra utilità e «la norma appare apprestare tutela alla pura proporzione delle prestazioni in sinallagma»39. Quindi ai fini della configurabilità del reato de quo, è necessaria solamente una sproporzione tra le prestazioni delle parti, e non anche che uno dei contraenti versi in uno stato di bisogno.
La suddetta sproporzione (e quindi la soglia dell’usura) si verifica in modo oggettivo e predefinito ex lege: in particolare, ex art. 2 l. 108/1996 vengono fatte delle rilevazioni trimestrali da parte del Ministero del Tesoro, che, sentita la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, comunica periodicamente – in modo individuabile in cifre – quale sia il tasso effettivo globale medio, distinguendo le operazioni per categorie omogenee. Tale tasso non consiste ancora nel c.d. tasso soglia, dovendosi procedere a un’ulteriore operazione: mentre fino a poco tempo fa il TAEG individuato dagli organi competenti (art. 2, comma 4, l. 108/1996) doveva essere aumentato di un mezzo, in seguito all’entrata in vigore del d.l. n. 70/2011, convertito in l. n. 106/2011, il TAEG si aumenta di un quarto e si aggiungono ulteriori quattro punti percentuali, fermo restando che la
38Così COLAVINCENZO, Xxxxxxx e rescissione dei contratti usurari, Napoli, 2011, p. 44.
39Così PISU, La sorte dei negozi usurari, cit., p. 897 e i riferimenti ivi richiamati.
differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali (art. 8, comma 5, lett. d, d.l. in esame).
Sempre ai fini del riscontro dell’usurarietà, non si tiene conto poi solamente del tasso medio, ma si deve dare rilievo a ogni vantaggio, come ad esempio commissioni, remunerazioni, interessi o spese40.
Quello di cui sopra è l’unico criterio individuato ex lege e non vi è alcuna distinzione teorica tra usura pecuniaria e usura reale. Tuttavia, la distinzione tra le due ipotesi è puramente pratica: infatti, nel primo caso (usura pecuniaria) appare chiaro il calcolo matematico da effettuare per l’individuazione dell’usura pecuniaria; viceversa, nel secondo caso (usura reale) risulta decisamente complicato verificare il superamento del tasso soglia. Invero, in quest’ultima ipotesi, mancano definizioni e criteri legislativi, stante l’assenza della definizione di “utilità” e di un criterio ad hoc per il calcolo dell’usura reale. Di conseguenza, da un lato, vi è una preponderante discrezionalità dell’interprete; dall’altro, la norma in esame ha avuto scarso successo applicativo, tant’è che – secondo parte della dottrina41
– essa sarebbe addirittura priva di autonomia rispetto alla disposizione che sanziona l’usura reale soggettiva.
Ciò detto in ordine all’usura sopra soglia, occorre evidenziare che la disciplina penalistica si completa con quanto previsto nei successivi commi dell’art. 644 c.p., ove viene comunque dato rilievo alla situazione di difficoltà economica di un contraente. Proprio per tale motivo, il legislatore – al comma
3 della norma in esame – sanziona la cd. usura soggettiva o sotto soglia.
40In questo senso, DOLMETTA, Sul contratto usurario, in Contratto e reato, Napoli, 2014, pp. 281 ss.
41PICA, voce Usura (dir. pen.), in Enc. dir., Aggiornamento, VI, 1997; COLAVINCENZO, Nullità e rescissione dei contratti usurari, cit., p. 42.
Xxxxx restando che anche tale fattispecie può essere pecuniaria o reale, il delitto de quo si configura quando il soggetto passivo versa in una situazione di difficoltà economica e le pattuizioni usurarie – pur essendo sproporzionate – non superano il tasso soglia. Dalla definizione testé prospettata emerge chiaramente un’ampia discrezionalità interpretativa nella verifica dell’elemento oggettivo del reato in esame, dovendosi valutare la sproporzione con riguardo alle concrete modalità del fatto e alla condizione del soggetto promittente o solvente42.
Sotto il profilo poi dell’oggetto giuridico dell’usura (oggettiva e soggettiva), emerge che oramai tale reato non possa più essere considerato monoffensivo e a tutela esclusivamente di interessi privatistici, quali il patrimonio e la libertà di contrattazione delle parti. Esso, infatti, deve essere ritenuto plurioffensivo, in quanto posto a presidio sia di beni personali sia di valori pubblici, quali la correttezza e genuinità dei rapporti economici, il corretto funzionamento del mercato finanziario, nonché il corretto svolgimento dell’attività di concessione del credito43.
Da ultimo, preme rilevare che il quadro della normativa antiusura si è arricchito a seguito dell’emanazione della legge di interpretazione autentica44, in base alla quale il tasso di interessi rilevante ai fini della quantificazione oggettiva dell’usura è quello rilevato nel trimestre antecedente alla stipula del contratto e sono indifferenti sia il momento dell’effettiva percezione degli interessi, sia le rilevazioni successivamente effettuate dal Ministero competente.
42COLAVINCENZO, ult. op. cit., p. 43.
43Sul punto, cfr. PISU, La sorte dei negozi usurari, cit., p. 899 e i riferimenti bibliografici ivi contenuti.
44Il riferimento è al d.l. n. 394/2000, successivamente convertito in l. n. 24/2001.
Venendo ora al tema della validità o meno del contratto usurario, occorre evidenziare che molteplici sono stati gli studi dedicati all’argomento45: il punto su cui tutti concordano è che un contratto del genere non possa dare alcuna azione civile al reo (giacché – in difetto – si aprirebbe un’enorme frattura sistematica) mentre, allo stesso tempo, emerge la necessità di assicurare adeguata tutela all’usurato. Tuttavia, tale tutela non può essere individuata nella nullità totale del contratto, perché si creerebbe il paradosso di ledere proprio la posizione del soggetto che si vuole proteggere: invero – se il contratto fosse totalmente nullo – l’usurato si vedrebbe costretto a restituire l’intero capitale in un’unica soluzione, con conseguenze potenzialmente devastanti per la sua già precaria condizione economica.
Proprio per questi motivi, il legislatore ha modificato l’art. 1815, comma 2, c.c., prevedendo la nullità parziale del contratto con riferimento alla clausola che pattuisce gli interessi usurari: tale clausola viene considerata come non apposta e il contratto si qualifica come gratuito.
Se la norma in esame è sicuramente vista con favore per quanto concerne l’opportunità e la necessità di tutelare la vittima, tuttavia lascia aperte varie questioni, giacché, innanzitutto, non risolve il problema relativo alla possibilità o
45La letteratura sulla problematica civilistica del reato di usura è copiosa. Tra gli altri, si x. XXXXXXX, Contratto illecito e norma penale, cit., p. 243 ss.; OPPO, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir. civ., 1999, I, pp. 230 ss.; QUADRI, Profili civilistici dell’usura, in Foro it., 1995, V, c. 337 ss.; ID., La nuova legge sull’usura: profili civilistici, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, pp. 62 ss.; XXXXXXXX, La sanzione civile dell’usura, in I Contratti, 1996, pp. 223 ss.; XXXXXXX, La nuova disciplina civilistica del contratto di mutuo ad interessi usurari, Napoli, 1997; PROSDOMICI, La nuova disciplina del fenomeno usurario, in Studium Iuris, 1996, p. 773; X. XXXX, Aspetti problematici della disciplina dei mutui usurari, in Contratto e impresa, 3, 2002, pp. 1259 ss.; ID., La sorte dei negozi usurari a seguito della riforma del reato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 3, p. 887 ss.; XXXXXX, Le conseguenze civili dei contratti usurari: è soppressa la rescissione per lesione ultra dimidium?, in Contr. e impr., 1998, pp. 1027 ss.; TETI, Profili civilistici della nuova legge sull’usura, in Riv. dir. priv., 1997, pp. 465 ss.; COLAVINCENZO, Xxxxxxx e rescissione dei contratti usurari, cit..
meno di considerare usurari anche gli interessi moratori e, in caso di risposta affermativa, mediante quale calcolo46. Inoltre, l’art. 1815 c.c. determina esclusivamente le conseguenze relative ai contratti di mutuo. Infine, tutta la disciplina civilistica sarebbe «priva di una propria autonomia funzionale ed essenzialmente destinata ad aggiungersi a quella penale, integrandone le conseguenze afflittive», avendo il legislatore trascurato le potenzialità offerte dagli strumenti civilistici ed
00Xx assiste sul punto ad un contrasto in seno alla giurisprudenza: in particolare, la tesi dominante ritiene che neanche gli interessi moratori debbano essere usurari e che il calcolo per verificare l’usurarietà degli stessi dovrebbe essere il medesimo che si effettua per gli interessi corrispettivi. Ciò in quanto la lettera dell’art. 1 d.l. n. 394/2000, convertito in l. n. 24/2001 di interpretazione autentica della legge n. 108/1996, prevede espressamente la locuzione «a qualunque titolo» ed inoltre perché le Istruzioni della Banca d'Italia per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura, nonché i Chiarimenti dell'autorità amministrativa indipendente in materia di applicazione della legge antiusura del 3 luglio 2013 non possono andare contra legem. Ex multis, si x. Xxxx., Sez. I, 9 gennaio 2013,
n. 350, in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, II, pp. 498 ss., con nota di DOLMETTA; Cass., Sez. I, 11 gennaio 2013, n. 603, in Foro it., 2014, 1, pp. 128 ss., con nota di XXXXXXXX; Cass., Sez. III, 4 aprile 2003, n. 5324, in Giust. civ. Mass., 2003, 4; Cass. Pen., Sez. II, 23 novembre 2011, n. 46669, in CED Cass. pen., 2011; Xxxxx Xxx. Xxxxxxxx, Xxx. Xxxxxxx, 00 marzo 2014, ined.; Trib. Bari, ord. 1 dicembre 2014, ined.; Trib. Bari, ord. 16 giugno 2015, ined.; Xxxxx Xxxx., 00 febbraio 2002, n. 29, in Foro it., 2002, I, pp. 934 ss., con nota di XXXXXXXX; Trib. Palermo, ord. 7 febbraio 2014, ined.; Trib. Reggio Xxxxxx, 24 febbraio 2015, n. 304, in xxx.xxxxxxx.xx, secondo cui, da un lato, sarebbero usurari gli interessi moratori in virtù dell’ordinario calcolo sopra richiamato, ma dall’altro comunque il mutuo non diventerebbe gratuito, dovendo semplicemente essere eliminati gli interessi moratori, con la conseguenza che rimarrebbero dovuti gli interessi corrispettivi. Viceversa, altro orientamento (tra cui Trib. Padova, 23 settembre 2014, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx; ABF, Collegio di Napoli, decisione 20 novembre 2013,
n. 5877, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx; ABF, Collegio di Roma, decisione 17 gennaio 2014, n. 260, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx) – pur condividendo che nessun interesse possa essere usurario – ritiene che sia necessario procedere alla quantificazione del tasso soglia per gli interessi moratori in modo diverso dal modus procedendi che si utilizza per la quantificazione dello stesso con riferimento agli interessi corrispettivi. In particolare, per gli interessi moratori sarebbe necessario – dopo aver calcolato il tasso soglia secondo quanto disposto oggi dal d.l. 70/2011 – aggiungere ulteriori 2.1 punti percentuali: tale cifra, infatti, viene indicata dalla Banca d’Italia nelle “Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura”, nonché nei propri Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura del 3 luglio 2013. Quest’ultimo orientamento si fonda sulla diversa natura degli interessi moratori e corrispettivi, senza tuttavia tenere conto delle critiche in ordine al fatto che una circolare non potrebbe andare contra legem e che, in un caso siffatto, il giudice deve tenere conto esclusivamente di quanto previsto dalla legge.
amministrativi, che sarebbero stati relegati «a mero riflesso dell’intervento di tipo penalistico»47.
Proprio in considerazione di quanto sopra affermato, è sorto un acceso dibattito in relazione alle conseguenze privatistiche del reato di usura, sia nel vigore della precedente normativa, sia nel vigore dell’attuale art. 644 c.p.
In particolare, nel vigore della precedente normativa, la tesi dominante in dottrina48 riteneva di dover distinguere due casi: in caso di mutuo usurario, la conseguenza civilistica era quella di cui all’allora vigente art. 1815 c.c., mentre in tutte le altre ipotesi di contratto usurario si riteneva applicabile la disciplina della rescissione per stato di bisogno, e ciò per ragioni sia storiche che sistematiche. Infatti, lo scopo dell’introduzione dell’azione generale di rescissione per lesione si riteneva fosse quello di provvedere ai contratti usurari, come dimostrato dalla relazione al codice civile, nonché da quanto disposto dall’art. 1449 c.c. Inoltre, le fattispecie della rescissione per stato di bisogno e dell’usura erano ritenute strutturalmente identiche, con conseguente applicazione dell’inciso finale dell’art. 1418, comma 1, c.c. Infine, l’illiceità del negozio usurario si riteneva non attinente al contratto ex se, ma all’approfittamento del reo: stante quanto sopra, tale negozio veniva ricondotto nella categoria dei reati in contratto e non in quella dei reati contratto49.
47Così QUADRI, La nuova legge sull’usura: profili civilistici, cit., p. 63; contra
LIBERATI, Xxxxxxxxx e reato, cit., p. 103, secondo cui il legislatore avrebbe
«avallato una posizione di intermediazione tra norme penali e civili, sconfessando una prevaricazione dell’un ramo a svantaggio dell’altro».
48MERUZZI, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, in Contratto e impr., 1999, p. 438; XXXXXXXXX, La rescissione del contratto, Napoli, 1962, pp. 131 ss.
49Così G.B. XXXXX, Interessi usurari e criterio di normalità, in Riv. dir. comm., 1975, I, pp. 273 ss.
Altro orientamento50 riteneva, viceversa, che il rimedio per la pattuizione usuraria fosse la nullità, in virtù del principio della supremazia della norma penale su quella civile e di una sorta di automatismo per il quale il contratto deve essere nullo se vi è reato51, facendo derivare la nullità talvolta dall’applicazione dell’art. 1418, comma 1, c.c., talvolta dall’illiceità della causa52.
Inoltre, la tesi in esame – comparando le strutture della fattispecie penale con quella della rescissione – riteneva che i presupposti oggettivi e soggettivi richiesti dalle due disposizioni non fossero identici: infatti, mentre per la configurabilità della fattispecie penale era necessaria la pretesa (eventualmente solo implicita) del vantaggio usurario da parte dell’agente, viceversa,
«la norma civilistica non richiede un comportamento dell’usuraio diretto ad operare sulla determinazione di volontà del contraente bisognoso, ma valuta, come sufficiente all’effetto giuridico rescissorio, anche la mera consapevolezza, da parte del contraente avvantaggiato, di trarre dalla stipulazione del contratto una immoderata utilità economica, grazie allo stato di bisogno della controparte»53.
50BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, cit., p. 649; inoltre, si rinvia a DE CUPIS, La distinzione tra usura e lesione nel codice civile vigente, in Teoria e pratica del diritto civile, 1967, p. 401 e ai riferimenti bibliografici ivi richiamati. In giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. II, 26 agosto 1993, n. 9021, in Foro it. Rep., 1993, voce “Interessi”, n. 8; App. Napoli, 14 maggio 1970, in Dir. e giur., 1970, p. 909, con nota di FIORE, Illecito penale e illecito civile nella convenzione di interessi usurari.
51Sull’automatismo de quo e le critiche a tale orientamento, si x. xxxxx xxx. 0, xxx. 0 xxx xxxxxxxx lavoro.
52Cass., 14 aprile 1953, n. 967, in Giust. civ., 1953, I, pp. 1221 ss.; Cass., 20
novembre 1957, n. 4447, in Giur. it., 1957, I, 1, pp. 1338 ss.; Cass., 16
maggio 1967, n. 1022, in Foro pad., 1967, I, pp. 553 ss.; Cass., Sez. II, 26
agosto 1993, n. 9021, cit.; Cass., Sez. II, 22 gennaio 1997, n. 628, in Giur. it., 1998, pp. 926 ss., con nota di X. XXXXXX.
53Così Cass., Sez. II, 22 gennaio 1997, n. 628, cit.
Di conseguenza, essendo diverse in astratto le strutture delle fattispecie, i contratti usurari si ritenevano non rescindibili54, ma direttamente nulli.
Con le successive modifiche normative sopra menzionate, il dibattito civilistico si è tutt’altro che sopito. In particolare, per quanto concerne l’usura oggettiva (ovvero il reato di cui al comma 1 dell’art. 644 c.p.), si è posto l’accento sul fatto che il reato de quo non richiede più l’approfittamento dell’altrui stato di bisogno e pertanto non vi sarebbe più coincidenza tra la rescissione per lesione e la fattispecie penalistica in commento55.
Invero, ciò che attualmente è vietato nell’usura sopra soglia non è il comportamento tenuto da uno dei contraenti, ma il contratto in sé considerato: l’usura in analisi incide sul sinallagma del contratto, essendo vietato lo scambio tra una prestazione e una controprestazione usuraria56, tant’è che ciò che si sanziona oramai è proprio l’assetto di interessi divisato dalle parti. In altri termini, oramai l’usura oggettiva non è più un reato in contratto, ma è un vero e proprio reato contratto, con la conseguenza che ai negozi usurari si applica la disciplina della nullità57 e non quella della rescissione.
Questa affermazione trova ulteriore conferma nel bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. Infatti, se – come visto poc’anzi – il reato de quo è plurioffensivo e posto a tutela di interessi di stampo spiccatamente generale e pubblicistico, va da sé che sembrano ricorrere tutti i requisiti del reato contratto e del disposto dell’art. 1418, comma 1, c.c.: le parti,
54Ulteriore argomentazione che veniva data era di stampo comparatistico e attinente al fatto che il par. 138 BGB prevede per il contratto usurario la conseguenza della nullità per violazione del buon costume.
55In questo senso OPPO, op. cit., p. 243; XXXXXXX, Concreta applicabilità delle nuove norme sull’usura e conseguenze civilistiche del reato sui contratti usurari, in Riv. pen. economia, 1996, p. 314.
56Così XXXXXXX, Contratto illecito e norma penale, cit., p. 255.
57Così TETI, op. cit., pp. 491 e 492.
cioè, violano una norma imperativa (l’art. 644, comma 1, c.p.), il regolamento contrattuale contrasta con essa e vi è un interesse pubblico da presidiare.
Tuttavia, come visto precedentemente, per l’applicabilità dell’istituto della nullità virtuale, è necessario anche che il legislatore non abbia previsto ulteriori rimedi e, da un’analisi della disciplina dell’usura, si evince chiaramente la sussistenza di un rimedio differente rispetto a quello di cui all’art. 1418, comma 1, c.c.: invero, l’art. 1815, comma 2, x.x. xxxxxxxx xx xxxxxxx xxxxx xxxx xxxxxxxx contenente gli interessi usurari e non dell’intero contratto.
Se tale rimedio si applica pacificamente quando i contraenti concludono un contratto di mutuo con interessi usurari sopra soglia, controverso è se si possa applicare l’art. 1815, comma 2, c.c. quando i paciscenti hanno stipulato un negozio lato sensu di finanziamento usurario (e non un contratto di mutuo)58.
Nel silenzio del legislatore, sono emersi due orientamenti: parte della dottrina59 ritiene applicabile tale rimedio a tutti i contratti di credito e non solo ai contratti di mutuo usurari, in considerazione della ratio della norma. In particolare, l’art. 1815, comma 2, c.c. sarebbe finalizzato a porre rimedio a ogni ipotesi di usura sopra soglia e pertanto dovrebbe applicarsi anche al di fuori di ciò che la stretta interpretazione della disposizione stessa parrebbe affermare: di conseguenza, in tutti
58Esemplificativamente, si potrebbe pensare ad un contratto di leasing finanziario. In particolare, analizzando le rilevazioni trimestrali effettuate dal competente Ministero, si evince chiaramente che il legislatore individua tassi medi differenti a seconda dell'operazione posta in essere, facendo rientrare nella disciplina antiusura non solo il mutuo, ma anche altre operazioni, come – ad esempio – l'utilizzo di carte revolving o appunto il leasing.
59Ex multis, PISU, La sorte dei negozi usurari a seguito della riforma del reato, cit., p. 900; DI XXXXX, Xxxxxxxxx e reato, cit., p. 220; GRASSO, Illiceità penale e invalidità del contratto, cit., p. 54; XXXXXXXXXX, Il contratto usurario tra interpretazione giurisprudenziale e interpretazione autentica, in Xxxxxxxxxx e usura nei contratti, a cura di Vettori, Padova, 2002, p. 44.
questi casi, il rimedio civile andrebbe individuato nella nullità della clausola usuraria e nella non debenza di alcun interesse60. Altri autori61, invece, ritengono che l’art. 1815, comma 2,
c.c. introduca una disposizione speciale non invocabile al di fuori delle ipotesi di mutuo, con la conseguenza che il rimedio applicabile sarebbe o quello della nullità virtuale, o quello di cui all’art. 1418, comma 2, c.c., per illiceità dell’oggetto.
In conclusione, si può evidenziare che, in ordine all’usura oggettiva, la tesi dominante ritiene che essa rientri oramai nei reati contratto.
Ciò detto, occorre soffermarsi sull’usura sotto soglia (o soggettiva) di interessi, in cui sono considerati usurari anche gli interessi inferiori al tasso soglia, purché l’usurato si trovi in condizioni di difficoltà economica e finanziaria e vi sia una sproporzione tra le prestazioni, da valutarsi tenendo conto delle concrete modalità del fatto e operando un raffronto con operazioni similari (art. 644, comma 3, c.p.).
In questi casi, in considerazione dell’importanza data dal legislatore alla difficoltà economica e finanziaria della vittima, potrebbe sembrare che assuma rilevanza la condotta approfittatoria del reo: se così fosse, allora tali ipotesi dovrebbero essere ricondotte non nella categoria dei reati contratto, ma in quella dei reati in contratto. Di conseguenza, il rimedio esperibile dovrebbe essere non la nullità (virtuale o di cui all’art. 1815, comma 2, c.c.), ma l’azione generale di rescissione, perché sembrerebbero ricorrere all’apparenza tutti i
60Ci si chiede poi se l’art. 1815, comma 2, c.c. preveda un’ipotesi di pena privata ovvero se – come la nullità in generale – sia da ritenere un mero rimedio ad un vizio dell’atto. Sul punto, si x. XXXXXXX, Contratto illecito e norma penale, cit., p. 256 ss.
61INGANGI, Concreta applicabilità delle nuove norme sull’usura e conseguenze civilistiche del reato sui contratti usurari, cit., p. 314.
presupposti di quest’ultima62. Dunque, così opinando, si dovrebbe concludere che, se vi è lesione ultra dimidium, allora il contratto è rescindibile, mentre – in caso di mera lesione infra dimidium – il contratto è civilisticamente valido e il contraente debole può richiedere esclusivamente il risarcimento del danno63.
Tuttavia, un tale ragionamento potrebbe essere criticabile sotto vari aspetti: da un lato, la situazione più grave e in cui è maggiore il disvalore penale (ovvero la situazione di difficoltà economica) sarebbe civilisticamente protetta in maniera meno intensa rispetto a quella prevista dal comma 1 dell’art. 644
c.p.64. Dall’altro, le fattispecie della rescissione e dell’usura sembrano differenti, visto che l’art. 1448 c.c. richiede lo stato di bisogno mentre la disposizione penale necessita della mera difficoltà economica. Inoltre, per la norma civilistica deve sussistere una lesione ultra dimidium, di cui non vi è traccia alcuna nell’art. 644, comma 3, c.p.
Infine, anche l’inclusione dell’ipotesi di cui all’art. 644, comma 3, c.p. nella categoria dei reati in contratto desta perplessità, atteso che la norma penale si riferisce non propriamente all’approfittamento, ma solo alla situazione di debolezza economica: pertanto, ciò che viene sanzionato non sembra essere il comportamento approfittatorio, ma proprio la conclusione di un contratto comunque usurario65.
62In questo senso, cfr. XXXXXX, Il nuovo reato d'usura: fattispecie penali e tutele civilistiche, in Riv. dir. priv. 1998, p. 234; XXXXXXX, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., pp. 496 ss.
63Così GRASSI, Il nuovo reato di usura, cit., p. 270; XXXXXXX, Contratto illecito e norma penale, cit., p. 272.
64In questo senso OPPO, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir. civ., I, 1999, p. 544; RUSSO, Sull'equità dei contratti, Napoli, 2001, p. 135.
65Così PISU, La sorte dei negozi usurari a seguito della riforma del reato, cit., pp. 903 ss.
Di conseguenza, maggiormente condivisibile appare l’orientamento66 secondo cui anche nell’ipotesi di contratto usurario ex comma 3 dell’art. 644 c.p. non può operare l’istituto della rescissione, in virtù della non identità tra le fattispecie.
Ciò tuttavia potrebbe non significare che il contratto sia necessariamente affetto da nullità virtuale, attesa la portata residuale di tale rimedio e la clausola di riserva contenuta nell’art. 1418, comma 1, c.c.67.
Xxxxxx, l’ulteriore rimedio potrebbe essere rinvenuto nell’art. 1815, comma 2, c.c., che potrebbe essere interpretato in modo estensivo e applicato quindi a tutti i casi di usura pecuniaria. In particolare, se la ratio di tale disposizione è quella di dotare di un rimedio civilistico adeguato le pattuizioni usurarie, allora l’art. 1815, comma 2, c.c. potrebbe essere applicato sia ai negozi di mutuo, come testualmente prevede il dato letterale, sia ai contratti di finanziamento diversi dal mutuo, sia infine ai negozi in cui l’usura non è oggettiva, ma soggettiva e concreta.
Ancora, è vero che per la verifica dell’usurarietà di cui al comma 3 dell’art. 644 c.p. è necessario fare ulteriori accertamenti in ordine alla situazione di difficoltà economica della persona offesa, ma è anche vero che ciò non sembrerebbe preclusivo poi dell’applicazione del rimedio di cui all’art. 1815, comma 2, c.c.: infatti, tale disposizione testualmente si riferisce agli interessi e l’art. 644 c.p. definisce come usurari non solo gli interessi sopra soglia, ma anche gli interessi infra soglia qualora ricorrano i presupposti di cui al comma 3 dell’art. 644 c.p.
Pertanto, anche nel caso di usura sotto soglia, si potrebbe ritenere applicabile il disposto di cui all’art. 1815, comma 2, c.c.
66Così OPPO, op. cit., pp. 539 ss.
67Cfr. infra, cap. 2, par. 6 del presente lavoro.
Rimane da ultimo il problema del rimedio applicabile nel caso di usura reale (sopra o sotto soglia): in tal caso, non sembrerebbe possibile applicare l’art. 1815, comma 2, c.c., stante il dato letterale di tale norma che si riferisce esclusivamente agli “interessi usurari” e non anche agli altri vantaggi68. Se si volesse comunque superare il dato letterale, sarebbe necessario procedere a un’operazione che converta la prestazione usuraria rendendola liquida. Tuttavia, un ragionamento del genere è stato sottoposto a critica da chi69 ha osservato che il reato in esame esula da valori tabellari, tant’è che il disvalore è incentrato sull’elemento oggettivo della difficoltà economica della vittima.
Di conseguenza, essendo la sproporzione l’elemento fondamentale di tale ipotesi criminosa, l’alternativa rimediale nei casi de quibus potrebbe essere tra rescissione e nullità virtuale. In particolare, rientrando l’usura nei reati contratto e non essendo la rescissione un rimedio applicabile a causa della differenza dei presupposti di cui all’art. 1448 c.c. rispetto al reato in esame, la soluzione corretta parrebbe quella costituita da una riespansione della disciplina generale, con conseguente applicazione del disposto dell’art. 1418, comma 1, c.c. Tale nullità, tuttavia, potrebbe essere ritenuta parziale, così da rendere il contratto equilibrato e ripulito dalla sola prestazione usuraria, giacché – in caso contrario – vi sarebbe un ingiusto e inaccettabile vantaggio per il reo e uno svantaggio per la vittima.
68COLAVINCENZO, Nullità e rescissione dei contratti usurari, cit., p. 114: P. XX XXXXXXX, voce Usura, in Enc. giur. Treccani, XXII, 1997, p. 3.
69MERUZZI, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., p. 6.
6. I reati in contratto: ipotesi applicative, conseguenze e costruzioni dottrinali e giurisprudenziali. In particolare, la truffa e la circonvenzione di incapace
Anche la categoria dei reati in contratto è trasversale alle varie fattispecie del diritto penale e tradizionalmente vengono ricondotti in essa, tra gli altri, l’estorsione, l’insolvenza fraudolenta, la concussione, la truffa, la circonvenzione di incapace e l’insider trading.
Pacifico in dottrina e in giurisprudenza che tra i reati in contratto rientri l’ipotesi della truffa, atteso che, nel reato de quo, la sanzione penale mira a colpire la scorrettezza adoperata per convincere la controparte alla conclusione dell’affare: in altri termini, non è vietato il contratto in sé ma gli artifici e i raggiri utilizzati, tali da indurre in errore la vittima e conseguentemente convincerla a stipulare il negozio.
In tal caso, quindi, il fondamento stesso dell’incriminazione è dato dalla slealtà del reo, tant’è che si sanziona penalmente «solo lo schema adottato per la conclusione e non il negozio sul bene, che potrebbe essere penalmente lecito, se attuato con corrette modalità. In altri termini, se il bene oggetto della truffa venisse venduto senza artifizi o raggiri, il contratto sarebbe pienamente lecito»70.
Inoltre, considerato che il delitto di truffa tutela il patrimonio e in generale l’autonomia privata e rilevato altresì che elemento costitutivo del reato in esame è la condotta artificiosa e raggiratrice usata dal reo per addivenire al perfezionamento del contratto, è evidente che il legislatore ritiene penalmente rilevante non la stipula del negozio in
70Così LIBERATI, ult. op. cit., p. 63.
quanto tale, ma la conclusione dello stesso mediante l’altrui approfittamento71.
Pertanto, secondo l’orientamento assolutamente dominante72, la truffa si qualifica come reato in contratto, con la conseguenza che, sul piano civilistico, il negozio non sarebbe affetto da nullità, dato che «contrario alla norma imperativa penale è il comportamento del deceptor e non la regola negoziale»73.
Tale conclusione ha varie ragioni giustificative: innanzitutto, ai fini della declaratoria di nullità è tradizionalmente74 ritenuto irrilevante il comportamento tenuto. In particolare, è noto che la nullità consegua a difetti strutturali o funzionali della fattispecie negoziale, mentre il rimedio per i comportamenti è individuato nell’annullabilità, prevista al fine di assicurare che, prima della stipula del negozio, vi sia parità tra i contraenti e rimediare alle ipotesi in cui venga meno la predetta parità – a causa di un deficit di capacità o di un vizio del consenso – e uno dei due subisca un ingiusto svantaggio in conseguenza del vizio.
71Tale approfittamento deve essere poi – oltre che assistito dal dolo (generico)
– anche finalizzato al godimento di un profitto o di un altro vantaggio per il truffatore o per un terzo.
72Ex multis, cfr. Cass., Sez. II, 26 maggio 2008, n. 13566, in Mass. giur. it, 2008; Cass., Sez. II, 23 gennaio 2014, n. 1440, in xxxxxx.xxx; Cass. Pen., 31 gennaio 1990, in Giust. Pen., 1991, II, p. 18. In dottrina, G.B. XXXXX, Appunti sull'invalidità del contratto, cit., p. 387 ss.; ID., Introduzione al sistema dell'invalidità del contratto, in Trattato di diritto privato diretto da Xxxxxxx, cit., pp. 20 ss.; XXXXXXX, Contratto illecito e norma penale, cit., pp. 24 ss.; XXXXXXXXX, Xxxxxx e contrarietà del contratto a norme imperative, in Corr. giur., 1987, p. 210; ALBANESE, Violazione di norme imperative, cit., pp. 150 ss.; X. XXXXXXXXX, Violazione di norme penali e nullità virtuale del contratto, cit., p. 110.
73Così G. B. XXXXX, Appunti sull’invalidità del contratto, cit., p. 393. Nello stesso senso, cfr. XXXXXXXX, I rapporti tra contratto, reati – contratto e reati in contratto, cit., p. 1057; XXXXXXX, Contratto illecito e norma penale, cit., pp. 220 ss.; XXXXXX, Illiceità penale e invalidità del contratto, cit., pp. 84 ss. Contra, XXXXXX, Il contratto, cit., p. 593, secondo cui sarebbe di importanza limitata la questione in ordine alle conseguenze del contratto, atteso che la vittima del reato avrebbe comunque diritto al risarcimento del danno ex art. 185 c.p. a prescindere dall’impugnazione del contratto.
74Cfr. infra, cap. 4 del presente lavoro.
Ancora, il contratto concluso tra il deceptor e il deceptus non potrebbe essere nullo per contrarietà a norma imperativa, stante l’inciso finale dell’art. 1418, comma 1, c.c. e l’ulteriore rimedio espressamente previsto dall’art. 1439 c.c.
Infatti, vi è sostanziale omogeneità tra gli elementi costitutivi della fattispecie di truffa e quelli del dolo vizio: «il dolo costitutivo del delitto di truffa non è diverso, né ontologicamente, né sotto il profilo intensivo, da quello che vizia il consenso negoziale, atteso che entrambi si risolvono negli artifici o raggiri adoperati dall’agente e diretti a indurre in errore l’altra parte e così viziarne il consenso»75.
Inoltre, l’interesse protetto dalla norma penale – ossia la libera esplicazione dell’autonomia e dell’attività negoziale dei contraenti – appare interamente assicurato, sul piano civilistico, dal rimedio dell’annullabilità che si affianca alla sanzione penale e deve essere attivato su istanza di parte, né più né meno come deve essere attivato su istanza di parte il procedimento penale laddove la truffa non sia aggravata ma semplice (art. 640, comma 3, c.p.). Pertanto, nell’ipotesi di truffa contrattuale, il negozio stipulato non è nullo bensì annullabile.
Tuttavia, l’osservazione appena effettuata va necessariamente modulata e adattata al caso concreto, dato che
– com’è noto – il reato di truffa sanziona sia l’ipotesi che civilisticamente rientra nel dolo vizio sia quella rientrante nel dolo incidente. Infatti, se è vero che il negozio non è sicuramente invalido solo perché è stato commesso un illecito penalmente rilevante76, è altresì vero che qualora il deceptor abbia posto in essere artifici e raggiri rientranti nella nozione di dolo incidente, le conseguenze civilistiche del reato sono quelle
75Così Cass., sez. II, 26 maggio 2008, n. 13566, in Mass. Giur. it., 2008.
76LEONCINI, I rapporti tra contratto, reati – contratto e reati in contratto, cit., p.
di cui all’art. 1440 c.c. e quindi il negozio è valido e il rimedio applicabile è quello meramente risarcitorio77.
Tale soluzione sicuramente potrebbe destare – prima facie
– perplessità, perché lascia civilisticamente validi contratti che sono stati l’occasione per uno dei paciscenti di commettere un reato, ma appare corretta in virtù del fatto che occorre evitare ogni automatismo e non si può ritenere che, solo perché è stata violata una norma penale, ovvero imperativa, automaticamente il negozio sia nullo78. Inoltre, non può sostenersi l’applicazione dell’istituto della nullità virtuale alle ipotesi di dolo incidente, anche perché l’ordinamento prevede per la vittima della truffa una protezione: essa è individuata dal legislatore nel risarcimento del danno, sia in un’ottica di bilanciamento di interessi, sia perché – in assenza degli artifici e raggiri – il contraente debole avrebbe comunque concluso il contratto seppur a condizioni più vantaggiose.
Ancora, ci si è chiesti quali siano le conseguenze civilistiche del reato di truffa qualora gli artifici e raggiri di cui all’art. 1440 c.c. vengano posti in essere da un terzo, senza che siano noti al contraente che ne trae vantaggio. A tal riguardo è stato sostenuto79 che anche in questo caso non vi sarebbe nullità del negozio concluso, ma si applicherebbe esclusivamente il rimedio risarcitorio, posto che la disciplina civilistica del dolo implicitamente regolamenta anche l’ipotesi in cui l’obbligo risarcitorio gravi sul terzo e non sul contraente che ha tratto vantaggio dalla condotta del terzo.
77LEONCINI, ult. op. cit., pp. 1058 – 1059; RABITTI, Contratto illecito e norma penale, cit., p. 39, nt. 56, rileva tuttavia che, anche ammessa tale diversità, non si può affermare che da essa derivi la conseguenza che – se i raggiri usati dal terzo non sono noti al contraente avvantaggiatosi – si debba applicare il rimedio della nullità, atteso che, in tal caso, la tutela del contraente ignaro dell’illecita attività del terzo è più forte in base ai principi generali di diritto civile.
78Sul punto, cfr. supra cap. 2, par. 8, del presente lavoro.
79LEONCINI, I rapporti tra contratto, reati – contratto e reati in contratto, cit., p.
Ciò detto in ordine alle conseguenze civilistiche della truffa, in relazione alle quali giurisprudenza e dottrina concordano, la diatriba è decisamente aperta in merito alla diversa ipotesi delittuosa di circonvenzione di incapace. In particolare, tale illecito punisce chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o delle inesperienze di un minore o dello stato di infermità o di deficienza psichica di qualcuno, lo induce a compiere un atto per quello o per altri dannoso (art. 643 c.p.).
Appare evidente che anche il delitto de quo sia ricompreso nella categoria dei reati a cooperazione artificiosa della vittima e sia posto a tutela, prima facie, del patrimonio di quest’ultima. Inoltre, gli elementi costitutivi dell’illecito in esame sono, da un lato, la situazione di incapacità della persona offesa, e dall’altro la condotta di abuso e di approfittamento della condizione di minorata capacità della vittima, finalizzata a trarre un profitto. Pertanto, tra l’agente e la vittima si instaura un rapporto squilibrato, tale per cui il primo manipola la volontà del secondo, senza che questi sia in grado di opporre resistenza a causa dello stato di incapacità.
Non è necessario poi che l’incapacità della vittima sia legale e accertata giudizialmente, essendo penalmente tutelata anche la mera incapacità naturale, purché oggettivamente riconoscibile, così che chiunque possa accorgersi dello stato di deficit mentale della persona offesa.
Ancora, per la configurazione del reato de quo, è necessario che la vittima venga indotta a compiere un atto dannoso per se stessa o per altri a causa dell’abuso dell’agente che, consapevole dell’incapacità, sfrutta la sua debolezza al fine di trarre un ingiusto vantaggio80.
80In questo senso, Cass. Pen., Sez. V, 16 aprile 2012, n. 29003, in CED Cass. Pen., 2012.
Fatta questa necessaria premessa in ordine agli elementi strutturali del reato in esame, occorre ora soffermarsi sulle conseguenze civilistiche della circonvenzione di incapace, evidenziandosi sul punto un contrasto tra dottrina e giurisprudenza: in particolare, se la tesi dominante in dottrina ritiene che il contratto sia annullabile ex art. 428 c.c., la giurisprudenza prevalente ritiene che il negozio sia nullo ex art. 1418, comma 1, c.c.
Nello specifico, la dominante giurisprudenza81 ritiene che non sia corretto applicare l’art. 428 c.c., visto che non ci sarebbe identità strutturale tra questa fattispecie e quella incriminatrice di cui all’art. 643 c.p.: invero, mentre la disposizione civilistica pone esclusivamente rimedio ai casi di negozi conclusi dall’incapace naturale, la norma penale sottopone a sanzione qualsiasi abuso dell’incapacità, indipendentemente dal fatto che essa sia legale o naturale.
Pertanto, essendo le due norme diverse sotto il profilo strutturale, non sarebbe applicabile l’istituto dell’annullabilità per incapacità, con la conseguenza che si riaprirebbe la strada della regola generale, ossia quella prevista dall’art. 1418, comma 1, c.c. In particolare, la giurisprudenza osserva che il rimedio della nullità sarebbe quello corretto nei casi in esame, sia perché la norma penale è imperativa e la sua violazione comporta nullità del contratto, sia perché l’interesse sotteso alla tutela dell’incapace non sarebbe di stampo prettamente
81Cfr. tra le altre, Cass. Pen., Sez. IV, 23 aprile 2008, n. 27412, in Cass. Pen., 2009, 9, pp. 3497, con nota di XXXXXXXXX, secondo cui il giudice penale, nel condannare l'imputato alla restituzione in favore della parte civile del bene immobile il cui trasferimento ha costituto l'oggetto della condotta criminosa, può dichiarare la nullità del contratto di compravendita che lo riguarda, salvo che tale declaratoria comprometta anche gli interessi di terzi rimasti estranei al processo; Xxxx., Sez. II, 7 febbraio 2008, n. 2860, in Il civilista, 2009, 6, pp. 73 ss., con nota di XXXXXXXXX; Cass., Sez. II, 27 gennaio 2004, n. 1427, in Contratti, 2004, pp. 997 ss., con nota di ALBANESE; Cass., Sez. III, 20 settembre 1979, n. 4824, in Giust. civ., 1980, I, pp. 947 ss., con nota di XXXXXXXXX; Cass., Sez. II, 29 ottobre 1994, n. 8948, in Corr. Giur., 1995, pp. 217 ss.
privatistico, ma avrebbe natura pubblicistica: il reato de quo, infatti, tutelerebbe giuridicamente il corretto svolgimento dell’autonomia privata, ovvero quell’interesse riconducibile nell’alveo dell’art. 41 Cost. In altri termini, ciò che la legge penale tutelerebbe non sarebbe il patrimonio, ma «la libertà di autodeterminazione dell’incapace in ordine agli interessi patrimoniali: l’interesse alla libertà negoziale dei soggetti deboli e svantaggiati (e, sinteticamente: l’interesse alla salvaguardia della dignità)»82.
Infine, appare evidente che la tesi giurisprudenziale si fondi su un’esigenza di giustizia sostanziale, volta a reagire in modo deciso al disvalore insito nella condotta prevaricatrice dell’autore del reato nei confronti di un soggetto incapace83.
Forti le critiche all’orientamento de quo. Si sottolinea innanzitutto che il reato di circonvenzione di incapace è previsto a tutela del patrimonio e non vi è sotteso alcun interesse di tipo pubblicistico, come si evincerebbe proprio dalla collocazione sistematica della norma in esame, inserita appunto nel titolo relativo ai delitti contro il patrimonio.
Inoltre, la struttura dell’art. 428 c.c. sarebbe sostanzialmente identica a quella dell’illecito in esame, visto che entrambe le norme richiedono la sussistenza dello stato di incapacità, noto all’altro contraente. La circostanza poi che il legislatore civile preveda semplicemente la conoscenza dell’altro contraente, mentre la norma penale richieda anche il dolo specifico di trarre profitto, non significherebbe che vi sia disomogeneità strutturale tra le norme, ma soltanto che la disposizione penale – in virtù del principio di sussidiarietà –
82Così, DI MARZIO, Illiceità penale ed invalidità contrattuale, in
xxx.xxxxxxxx.xx.
83L'osservazione de qua si deve a X. XXXXXXXXX, Violazione di norme penali e nullità virtuale del contratto, cit., p. 114; DI MAJO, Le nullità da disvalore, in Il contratto in generale, Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxxx, XXIII, II, Torino, 2002, p. 77.
possa essere applicata come extrema ratio, atteso che punisce il reo con la sanzione maggiore prevista dall’ordinamento, ossia la pena.
Ciò detto, la terza critica che si può muovere all’orientamento dominante della giurisprudenza è che vi sarebbe una grave incoerenza sia tra il trattamento riservato alla truffa e il trattamento riservato alla circonvenzione di incapace, sia in ordine alla distinzione tra incapacità naturale e incapacità legale.
In particolare, sotto il primo profilo si deve osservare che sia la circonvenzione di incapace sia la truffa sono ipotesi delittuose che hanno un rilievo civilistico, ma in entrambe le ipotesi non è vietato ex se il contratto, bensì il comportamento di approfittamento tenuto da una delle parti: di conseguenza, stante la similitudine, appare incoerente ritenere che vi siano due conseguenze differenti sul piano civilistico. Infatti, delle due l’una: o sono entrambe ipotesi da ricondurre alla nullità, o sono entrambe ipotesi da ricondurre all’annullabilità, dato che uguale è il bene giuridico tutelato, in entrambe vi è un altro rimedio previsto ex lege e infine, in ambedue i reati, è uguale ciò che viene sanzionato dal legislatore, ossia il comportamento tenuto dal reo84.
Inoltre, è stato osservato85 che sarebbe paradossale ritenere che, in caso di circonvenzione di incapace, solo se vi è incapacità naturale (meno grave) il contratto dovrebbe soggiacere alla conseguenza (più grave) della nullità, mentre qualora l’incapacità sia legale (più grave) il contratto sarebbe soltanto annullabile.
84Nello stesso senso, BRECCIA, Contratto illecito, in Trattato di diritto privato, cit., pp. 129 ss.; ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, cit., p. 152; X. XXXXXXXXX, Violazione di norme penali e nullità virtuale del contratto, cit., p. 113.
85M. XXXXXXXXX, xxx. op. cit., p. 113.
Cercando di superare tali critiche, in relazione alla prima delle suddette86 si potrebbe evidenziare come oramai le norme civilistiche a tutela dell’incapace non abbiano più quel carattere spiccatamente patrimonialista ricorrente nel codice civile del 1942. Invero, sia con l’interpretazione costituzionalmente orientata e la valorizzazione della persona umana ex art. 2 Cost., sia con le recenti riforme che hanno investito la materia87, appare evidente che l’incapace non vada più visto come soggetto da tutelare solamente sotto il profilo patrimoniale, bensì venga oramai considerato come persona bisognosa di aiuto anche (e soprattutto) sotto il profilo personale.
Di conseguenza, anche in ambito penalistico – pur senza che la normativa sia stata interessata dalla recente riforma – occorre tenere conto dell’evoluzione giurisprudenziale e legislativa sugli elementi normativi che descrivono la fattispecie, fino ad affermare che il reato di cui all’art. 643 c.p. non è solamente posto a presidio del bene giuridico patrimoniale (a discapito del titolo nel quale è inserito) ma è anche previsto a tutela di beni di stampo pubblicistico, ovvero la persona.
Ciò nondimeno, sembrerebbe difficilmente superabile la seconda critica (inerente il fatto che vi sarebbe omogeneità strutturale tra l’art. 643 c.p. e l’art. 428 c.c.): invero, il legislatore ha previsto all’art. 428 c.c. un apposito rimedio la
86La prima criticità evidenziata dalla dottrina si fonda sulla monoffensività del reato in esame, previsto a tutela esclusivamente del patrimonio.
87Ci si riferisce, ovviamente, alla disciplina di cui alla l. 9 gennaio 2004, n. 6, di introduzione della figura dell'amministrazione di sostegno e di modifica della disciplina dell'interdizione e inabilitazione: sul punto cfr. ex multis, CENDON, Un nuovo diritto per i malati di mente (e non solo), in xxx.xxxxxxxxxxx.xxx; XXXXXX, Il nuovo habeas corpus: la persona costituzionalizzata e la sua autodeterminazione, in RODOTÀ e TALLACCHINI (a cura di), Ambito e fonti del biodiritto, Milano, 2010; XXXXXXXX, Le finalità della legge. Il nuovo istituto nel quadro delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, in FERRANDO e LENTI (a cura di), Soggetti deboli e misure di protezione, Torino, 2006; ID., Amministrazione di sostegno. Interdizione, inabilitazione, incapacità naturale, Bologna, 2012; CENDON e ROSSI, Amministrazione di sostegno, Torino, 2009.
cui disciplina va a completare il disposto dell’art. 1418, comma 1, c.c. Detto meglio, l’art. 1418, comma 1, c.c. prevede nell’inciso finale che il contratto non è nullo nei casi espressamente previsti dal legislatore e l’inciso de quo viene interpretato come se stabilisse che non vi è nullità qualora il legislatore preveda un altro rimedio88. Tuttavia, tale rimedio ulteriore sembrerebbe individuabile nell’annullabilità di cui all’art. 428 c.c., atteso che quest’ultima disposizione appare strutturalmente compatibile con il reato in esame, stante l’identità degli elementi strutturali delle due fattispecie de quibus.
Infine, neanche la terza critica (incoerenza nella distinzione sulle conseguenze civilistiche tra truffa e circonvenzione) sembra superabile, dato che ciò che viene sempre e comunque sanzionato penalmente è il comportamento tenuto da uno dei paciscenti e non il contratto ex se, e ciò dovrebbe far ritenere che il reato di circonvenzione di incapace sia un reato in contratto (e non un reato contratto), la cui conseguenza, pertanto, non dovrebbe essere quella della nullità virtuale.
Infatti, se anche la conseguenza del reato in contratto fosse quella della nullità virtuale, allora non sarebbe necessario operare la distinzione tra reati contratto e in contratto, atteso che essa avrebbe dei fini puramente classificatori e descrittivi, ma nessuna differenza in ordine alla disciplina e rientrerebbe quindi nell’ambito di quegli artifizi lessicali in cui rischia di risolversi – come evidenziato precedentemente89 – anche la distinzione tra contratto illecito e contratto illegale.
88Sul punto, si rinvia supra, cap. 2, par. 5 del presente lavoro.
89Infra, cap. 2, par. 4.
7. (Segue) La concussione e l’induzione indebita
Venendo poi alla concussione, si deve rilevare che tale fattispecie criminosa è stata oggetto di recenti e importanti modifiche normative su cui è necessario soffermarsi. Tradizionalmente, il reato in esame ha sempre punito il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringa o induca taluno a dare o promettere indebitamente denaro o altra utilità. In particolare, l’ipotesi delittuosa de quo – fino alla recente riforma – sottoponeva a sanzione penale le modalità di costrizione mediante le quali la vittima cedeva a quanto voluto dal pubblico ufficiale, tant’è che il privato era considerato persona offesa del reato di cui all’art. 317 c.p. pre-riforma. Se questa è tradizionalmente la distinzione con il reato di corruzione, in cui vi è un rapporto paritetico tra le parti e non vi è alcun abuso o costringimento da parte del pubblico ufficiale90, va evidenziato che – fino alla recente riforma del reato in esame
– integrava la fattispecie della concussione anche la condotta di induzione perpetrata dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio.
Ciò premesso, la dottrina civilistica non si è soffermata particolarmente su tale ipotesi delittuosa, probabilmente anche perché – dalla struttura della disposizione ante riforma del 2012
– appariva evidente il ricorrere di tutti i presupposti e le caratteristiche che si rinvengono nella categoria dei reati in contratto. Tuttavia, potrebbe essere opportuno mettere in luce gli elementi di novità introdotti con la l. 190/2012 di modifica dei reati contro la pubblica amministrazione, al fine di verificare se effettivamente il delitto in esame sia ancora da ricondursi alla categoria dei reati in contratto.
90Cfr., ex multis, Xxxx. Pen., Sez. VI, 4 aprile 2012, n. 44205, in Riv. pen., 2013, 2, p. 177; Xxxx. Pen., Sez. VI, 12 aprile 2011, n. 16335, in CED Cass.
Pen., 2011; Trib. Napoli, 23 marzo 2004, in Giur. merito, 2006, 1, p. 167.
È noto che con la riforma de qua la fattispecie in esame è stata scissa in due diverse ipotesi criminose: la concussione, di cui all’art. 317 c.p., punisce la costrizione perpetrata dal pubblico ufficiale, mentre l’induzione indebita, di cui all’art. 319 quater c.p., sanziona il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che inducono il privato alla dazione di danaro o altra utilità. Se in entrambe le ipotesi delittuose precipuo rilievo ha la condotta di abuso delle qualità o dei poteri da parte del soggetto attivo del reato, va evidenziato che il legislatore sottopone a pena il privato che effettua la prestazione richiesta solo in caso di induzione indebita e non anche in caso di concussione.
Di conseguenza, mentre nel reato di concussione di cui all’art. 317 c.p. il privato resta persona offesa del reato, nell’illecito ex art. 319 quater c.p. si assiste a una trasformazione della posizione del privato che, da persona offesa del reato, diventa autore dello stesso.
Da quanto sopra – e tralasciando tutti i profili strettamente penalistici inerenti la successione di leggi penali nonché la controversa distinzione tra le due ipotesi delittuose in esame91 – ci si può interrogare in ordine alle conseguenze civilistiche di tali fattispecie, cercando di verificare quali esse siano e se siano identiche.
A tal proposito, e ferme restando le classificazioni sopra individuate tra reati contratto e in contratto, la concussione potrebbe sembrare tutt’oggi inquadrabile nella categoria dei reati in contratto, visto che vietata penalmente sembrerebbe ancora essere la modalità di conclusione del negozio: sottoposto a pena, infatti, è il pubblico ufficiale che utilizza il cd. metus
91Cfr. ex multis, Cass. Pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013, n. 12228, in Riv. pen., 2014, 6, pp. 565 ss., con nota di VARTOLO; in Riv. pen., 2014, 7-8, pp. 673 ss., con nota di XXXXXX; in Riv. it. dir. e proc. pen., 2014, 3, pp. 1532 ss., con nota di GATTA; in Riv. pen., 2015, 3, pp. 235 ss., con nota di XXXXXXXXX.
publicae potestatis e costringe il privato a porre in essere quanto richiesto, tant’è che quest’ultimo non ha alcuna possibilità di opporsi al volere del reo se non mettendo in pericolo un proprio interesse o subendo un danno.
Viceversa, l’induzione indebita sembrerebbe essere divenuta un reato contratto, in quanto il divieto parrebbe riferirsi proprio al negozio e non tanto alle sue modalità di conclusione, stante l’inserimento tra i soggetti attivi del reato anche del privato92. Inoltre, quest’ultimo si rende conto di quanto richiesto dal pubblico ufficiale e ha un’alternativa lecita rispetto alla richiesta penalmente rilevante della controparte, ma, ciò nondimeno, sceglie di aderire – nell’ambito della sua libertà di autodeterminazione – all’accordo criminoso. Pertanto, aderendo al pactum sceleris per ottenere un vantaggio in virtù del regolamento negoziale, sembrerebbe sanzionato l’accordo in sé che, come tale, deve essere represso.
Così ragionando, pertanto, dovrebbe concludersi che qualora le parti pongono in essere il reato di induzione indebita, il contratto è nullo ex art. 1418, comma 1, c.c.; viceversa, in caso di concussione, il negozio sarebbe meramente annullabile per vizio della volontà, sub specie per violenza.
Tale conclusione, tuttavia, desta varie perplessità. Innanzitutto, anche nel reato di cui all’art. 319 quater c.p. il pubblico ufficiale utilizza il metus publicae potestatis93: in entrambi i reati, pertanto, la conclusione del contratto è caratterizzata da una modalità illecita posta in essere al fine di persuadere e convincere il privato ad attuare quanto richiesto
92Infatti, – se fosse vietato solamente il mero comportamento approfittatore del pubblico ufficiale – il privato non sarebbe stato sottoposto a pena.
93Invero, è pacifico che nella concussione – sia essa per costrizione (art. 317 c.p.) sia essa per induzione (art. 319 quater c.p.) il pubblico ufficiale utilizzi tale metus. Questo, inoltre, è l’elemento tradizionalmente ritenuto di discrimen tra il reato di concussione e il reato di corruzione. Ex multis, cfr. XXXXXXXX, Principi di diritto penale. Parte speciale. Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1994, p. 127, e i riferimenti bibliografici ivi riportati.
dal reo. In secondo luogo, il compimento del reato più grave (concussione) darebbe luogo al rimedio civilistico dell’annullabilità; al contrario, all’induzione indebita, punita con pene più lievi dal legislatore, si ricollegherebbe la conseguenza più grave della nullità.
Parrebbe pertanto opportuno sottoporre le due fattispecie a un trattamento civilistico omogeneo. A tal fine, appare opportuno verificare se entrambe le fattispecie possano essere inquadrate nell’ambito dei reati in contratto o dei reati contratto.
Entrambe le ipotesi potrebbero essere qualificate quali reati in contratto qualora si ritenga che la punibilità del privato
– prevista in caso di induzione indebita a seguito dell’introduzione dell’art. 319 quater c.p. – non sia elemento decisivo al fine della qualificazione della fattispecie penale in termini di reato contratto o in contratto. Non rileverebbe, infatti, la circostanza che nel caso di concussione il privato non è punibile, mentre lo è nel caso di induzione indebita.
In tale prospettiva, si potrebbe sostenere che anche dopo la riforma non sia vietato tanto l’accordo, quanto il comportamento tenuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, e ciò sia nella fattispecie di cui all’art. 317 c.p., sia in quella contemplata dall’art. 319 quater c.p., come parrebbe confermato anche dalla collocazione sistematica delle norme. In altri termini, si potrebbe mettere l’accento sul bene giuridico tutelato dai delitti in esame – ossia la correttezza, l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione – e relegare in secondo piano la circostanza che il privato non sia più vittima ma sia divenuto oramai correo nella fattispecie di induzione indebita. Di conseguenza, penalmente sanzionato sarebbe pur sempre il comportamento tenuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico