CONTRATTI DI LOCAZIONE e COVID 19: LA NORMATIVA, IL DOVERE DI RINEGOZIARE, POTERI E LIMITI DEGLI INTERVENTI GIUDIZIALI
COA ROMA 6 APRILE 2022
CONTRATTI DI LOCAZIONE e COVID 19: LA NORMATIVA, IL DOVERE DI RINEGOZIARE, POTERI E LIMITI DEGLI INTERVENTI GIUDIZIALI
Bentrovati a tutti, ed un sentito grazie, anche da me, al nostro Consiglio dell’Ordine che ha reso possibile questo confronto; anche in presenza!
Sono ormai due anni che, con una periodicità accentuata, abbiamo notizia di provvedimenti emessi nei procedimenti locatizi speciali (convalide) o ordinari, e – soprattutto nel primo periodo, ma non solo – in quelli cautelari, in tema di contratti di durata ed alla luce della emergenza epidemiologica.
D’altro canto, la tematica ci è ben nota e non sembra proprio sia necessario (come avviene troppo spesso sia negli articoli come nei tanti Convegni che si sono susseguiti) ripercorrere quali siano le regole codicistiche dettate per governare (assai poco, se non per alcuni contratti tipici: v. gli artt. 1623; 1664; 1926 cc) evenienze in qualche modo paragonabili a quelle che, purtroppo, interessano sì molto noi avvocati, ma tutta l’economia e ormai da tanto.
Eviterò, dunque, di ripercorrere nei dettagli la adattabilità di rimedi quali l’eccessiva onerosità sopravvenuta, o l’impossibilità – totale o parziale
– sempre sopraggiunta, di una delle due prestazioni.
Lo stesso vale per i richiami alla buona fede (limitiamoci a quella in executivis, ex art 1375 cc) ed ai principi di solidarietà (art 2 Cost.), che comunque dobbiamo rammentare sempre, perché molto – lo vedremo, ma il dato è noto - ruota intorno a loro.
Siamo infatti perfettamente al corrente di come nel nostro sistema (se non de jure condendo, ddl Senato n 1115 del 2019) – diversamente da altri - manchino regole esplicitamente dirette a governare eventuali alterazioni del sinallagma contrattuale, ma che non siano collegate a inadempimenti.
E, per la mia esperienza, neanche i grandi gruppi – se non qualche volta, ovvero di recente - sono soliti inserire nei contratti clausole convenzionali sulle sopravvenienze, che possano essere utili in casi come questi.
Sta di fatto che nei contratti consensuali, a prestazioni corrispettive e di durata le locazioni (che in altri paesi hanno avuto disciplina di maggior tutela per il frequente rilievo della destinazione o del cd “godimento utile”) e, in misura inferiore (per il cit. art 1623 cc) e gli affitti abbiamo dovuto verificare essere ben possibili interventi perturbatori indipendenti dalla volontà dei contraenti.
Ed è poco importante definirli forza maggiore o factum principis, (i decreti che si sono susseguiti, imponendo blocchi o limitazioni di determinate attività). Infatti, abbiamo la consapevolezza anche di come conseguenze economicamente assai rilevanti si siano potute produrre pur in assenza di ‘chiusure’ disposte autoritativamente per certi periodi, ma quale effetto più o meno diretto di un forte rallentamento di davvero molte attività produttive.
In altre parole, le problematiche da esaminare insieme possono essere ricondotte essenzialmente a due, anche se con molte e diverse sfaccettature.
A) Cosa ha detto (beninteso se e quando lo ha fatto) il legislatore, e possiamo oggi non distinguere più tra dpcm e dl poi convertiti.
B) Quale sia – al compimento dei due anni – l’eventuale potere di intervento da parte del giudice, visto alla luce della giurisprudenza.
Partiamo dal primo aspetto.
Anche in questo caso intendo omettere una stucchevole ripetizione di decreti, sempre convertiti con modifiche in sede parlamentare e, anche, sempre ‘battezzati’.
Xxxx, inizierò proprio dal fondo, rubando un’espressione all’amico Xxxx
X. Xxxxxxx – molto indicativa e con un giudizio di valore ben preciso, non attenuato dalle virgolette, né dalla definizione di domanda impertinente - riferita al penultimo provvedimento ‘diretto’ emesso in materia - l’art 6 novies, introdotto in sede di conversione del DL 21/3/21
n. 4, con la L n. 69/21 del maggio passato; anche se modificato dalla L
n. 106/21, dello scorso 23 luglio.
Questa la domanda che si pone al termine dell’intervento sul Corriere Giuridico n. 7/21: se la rinegoziazione (meglio, per il legislatore, ricontrattazione) è rimedio al contratto squilibrato, quale il rimedio al “legislatore squilibrato”?
Ma non è più il caso, purtroppo, di parlare ancora della tecnica legislativa; in questi nostri periodici incontri lo abbiamo fatto troppe volte, ad ogni ‘novella’.
Anche se, sulle idee che erano alla base del I art 6 novies, dovrò, poi, tornare.
In effetti ed in sintesi estrema, oltre a questo ‘capolavoro’ del non detto, pur se poi integrato, tre (più uno . . . ed in settore solo contiguo) sono gli interventi di rilievo da ricordare:
- L’ex art 91 (come per mesi lo abbiamo definito) del dl 18/3/20 che ha inserito nella L 5/3/20 n. 13 l’art 3 c 6 bis (il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutato ai fini dell’esclusione della responsabilità ; in sintesi con riferimento
agli artt. 1218 e 1223 cc);
- l’art 216 c 3 dl 19/5/20 convertito nella L 77/20 (relativo alle attività sportive nei cd circoli privati, con dimezzamento, presunto e salvo prova contraria, del canone per 5 mensilità).
- Il ‘nuovo’ (II) art 6 novies, (L n. 106/21) che, per il 2021, ma solo a certe condizioni, pone di nuovo un tetto di 5 mensilità;
però soltanto come oggetto della (sempre auspicata) ut supra
ricontrattazione.
Sappiamo bene che esistono altre disposizioni di rilievo, a partire dagli sconti fiscali - cedibili a terzi (dunque anche ai locatori) - introdotti per i primi mesi del 2020, poi reiterati alla fine dello stesso anno e menzionati (con limiti), per i mesi da 1 a 5/21, anche nella normativa (art 4) introdotta, da ultimo, il 7/21.
Però, valutandole ex post, forse abbastanza indicative di una precisa scelta, fatta dal legislatore, sul come e su chi allocare le perdite causate dal Covid; in prima approssimazione, tranne per i circoli sportivi (salvo per le crisi d’impresa), non sui locatori; solo in pochi casi chiamati a partecipare, tendenzialmente sempre attraverso accordi.
Xxxxxxxxx, non faccio riferimento anche agli effetti indiretti di altre regole, come quelle sul blocco degli sfratti; avallato da Corte Costituzionale 213 del 2021; e – sulla ripresa delle esecuzioni – poi sentiremo Xxxxxxxx Xxxxxxxx.
Xxxxx restando il fatto che la difficoltà di ogni ipotetica soluzione va ravvisata nel tentativo di salvaguardare, contemporaneamente, sia l’economicità del contratto, che (soprattutto, verrebbe fatto di dire) la sua conservazione; mettendo da parte, dunque, ogni rimedio che sia soltanto demolitorio. Proprio, tra l’altro, su questi ultimi aspetti, del resto, interverrà poi Xxxxxx xx Xxxxxxx
Guardando all’indietro, e tornando all’art 3 c 6 bis ci eravamo interrogati a lungo sulla sua portata pur ritenendo positiva, comunque, l’emanazione di una regola che impone al giudice – chiamato a decidere su di un inadempimento, da ciò il richiamo all’art 1218 cc – (ripetiamo ancora la formula) di valutare sempre il (necessario) rispetto, da parte del conduttore interessato, delle misure di contenimento della pandemia per escluderne responsabilità.
Anche se ciò ha da subito posto il problema, collaterale, delle attività colpite, ma soltanto di riflesso, dai provvedimenti di chiusura.
Mentre resta chiaro che non appare certo consentito evitare il pagamento del dovuto per canoni, solo evitare le conseguenze connesse ai ritardi. Ma torniamo alle conseguenze “trasversali”.
Un esempio banale per tutti, tratto da casi seguiti: un negozio di occhiali era considerato ‘attività essenziale’, dunque non doveva chiudere; ma quanti di noi giravano in quei primi due tre mesi tanto bui del 2020?
Davvero non possiamo negare come la convenienza di tenerlo aperto, magari con tutti gli ampi costi relativi, fosse quasi pari a zero.
Però, già la previsione successiva, dell’art 216 (il decreto segue l’altra regola di circa sessanta giorni, mentre la legge è di luglio 2020) – apprezzabile, volendo, per la chiarezza della regola dettata - richiamava in modo poco coerente diverse norme del codice; o incomprensibili (ha poco senso riferirsi a contratti con obblighi di una sola parte, l’art 1468 cc, noi parliamo di locazioni e in qualche modo affitti, credo sia stato menzionato solo per il richiamo all’equità) ovvero contrastanti tra loro (sembra assai difficile conciliare impossibilità e eccessiva onerosità, beninteso entrambe sopravvenute).
In ogni caso, la previsione diretta alle attività sportive è rimasta la sola con il coraggio di intervenire sul corrispettivo mensile dovuto, mediante una regola, appunto, chiara: la valutazione legale dello squilibrio sinallagmatico risulta pari (con presunzione passibile di prova contraria, come ho già detto, da parte del contraente che vi fosse interessato, in aumento o diminuzione) al dimezzamento del canone per cinque mesi.
Ci si attendeva, dunque, anche l’anno scorso – con i parametri epidemiologici un po’ in miglioramento, sia pure tra alti e bassi e poi come effetto delle prime vaccinazioni – un intervento che potesse in qualche modo funzionare da guida e, soprattutto, limitare – indirizzandolo – il contenzioso; senza incrementarlo, cosa di cui certo il sistema giudiziario non ha bisogno.
Ed invece, tornando al I art 6 novies, (intitolato alla ricontrattazione) la regola davvero non facilita: a) richiama la necessità di attuare un percorso regolato di condivisione dell’impatto economico; b) menziona
anche la diminuzione di fatturato; c) conclude nel senso che i contraenti sono tenuti a collaborare in buona fede tra loro; ma d) non dice come si possa rideterminare il canone.
Insomma, poco più di quanto già non si sapesse, anche se avevo anticipato che forse le intenzioni erano diverse, a mancare è stata la voluntas legis.
Se fosse vero quanto ‘girava in rete’, nei giorni convulsi (al solito) di metà maggio ’20 alla conversione del decreto, sembrava (con emendamento al Senato) che venisse espressamente demandata ai giudici – in caso di mancato accordo tra i contraenti – la (nuova, diversa e tendenzialmente sempre temporanea) quantificazione dei canoni e secondo equità.
Non a caso, nel gruppo WhatsApp che riunisce alcuni dei partecipanti alla Commissione Locazioni, fioccarono allora moltissimi commenti.
Sono intuibili, è facile ritenere, le ragioni della mancata approvazione di una previsione del genere; resta il dato per cui manca un criterio guida.
Anche se, di qualche critica, il legislatore si è fatto carico. Ecco il testo del nuovo art 4 bis L 106/21 che riscrive la norma (al 4 ter c’è l’esenzione dall’ Imu):
L’articolo 6 novies del dl 22/3/2021, n. 41, come convertito (resta il titolo: Percorso condiviso per la ricontrattazione delle locazioni commerciali) è così sostituito (e le sottolineature sono, ovvio, mie):
1. Le disposizioni del presente articolo sono volte a consentire un percorso regolato di condivisione dell’impatto economico derivante dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, a tutela delle imprese e delle controparti locatrici, nei casi in cui il locatario abbia subìto una significativa diminuzione del volume d’affari, del fatturato o dei corrispettivi, derivante dalle restrizioni sanitarie, nonché dalla crisi economica di taluni comparti e dalla riduzione dei flussi turistici legati alla crisi pandemica in atto.
2. Nei casi in cui il locatario non abbia avuto diritto di accedere, a partire dall’8 marzo 2020, ad alcuna delle misure di sostegno economico adottate dallo Stato per fronteggiare gli effetti delle restrizioni imposte dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 ovvero non abbia beneficiato di altri strumenti di supporto di carattere economico e finanziario concordati con il locatore anche in funzione della crisi economica connessa alla pandemia stessa, il locatario e il locatore sono chiamati a collaborare tra di loro in buona fede per rideterminare temporaneamente il canone di locazione per un periodo massimo di cinque mesi nel corso del 2021.
3. Le disposizioni del presente articolo si applicano esclusivamente ai locatari esercenti attività economica che abbiano registrato un ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi nel periodo compreso tra il 1° marzo 2020 e il 30 giugno 2021 inferiore almeno del 50 per cento rispetto all’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo compreso tra il 1° marzo 2019 e il 30 giugno 2020 e la cui attività sia stata sottoposta a chiusura obbligatoria per almeno duecento giorni anche non consecutivi a partire dall’8 marzo 2020”.
Insomma, con molte precisazioni (e molto serie limitazioni) rimane quel “sono chiamati a collaborare tra loro in buona fede“ (e non più tenuti, che era termine per me più stringente), ma sempre in assenza del come e della misura.
Che non emerge neanche ricorrendo alle, ormai tante, pronunce di merito, mentre, ma in chiusura, menzionerò pure Cass 16743/21 che fa un richiamo, indiretto ma molto preciso, proprio ai possibili riflessi della pandemia. Rammentandoci sempre – in aggiunta - l’esistenza di altri interventi di legittimità anche risalenti, dei quali va tenuto conto. Dalla riduzione (d’ufficio) della penale (SU 18128/05) al caso Renault (Cass
n. 20106/09; cui xxxx Xxxx 17291/16 sul recesso della Banca da un contratto di credito), all’uso improprio dell’art 1456 cc, secondo cui in determinate circostanze - che devono sempre essere governate dalla buona fede, perché a rilevare sono le modalità con cui un determinato
diritto può essere esercitato – i giudici (già) hanno qualche potere di intervenire sulle pattuizioni, pur liberamente assunte nei contratti.
Ma dobbiamo menzionare anche l’art 10 del dl 118/21 – conv. in L 147/21 in tema di soluzioni negoziali delle crisi imprenditoriali - che disciplina, a valle dell’intervento di un esperto, anche quello giudiziale volto a ‘riequilibrare i contratti’ prevedendo un possibile indennizzo; onde ovviare, per tempi limitati, alle conseguenze della pandemia nell’ottica di una continuità dell’impresa. Commentato, permettetemi soltanto un’altra citazione, è l’anima universitaria che si affaccia, da X. Xxxxxxx in Questione Giustizia a inizio marzo ’22; al termine di un intervento (con molte citazioni) con un titolo – per ogni civilista – che suona in modo particolarmente accattivante: Autonomia negoziale e “giustizia del contratto” in tempo di pandemia.
Prima di esaminare i precedenti, però, permettetemi di dedicare qualche considerazione alla mediazione. Si tratta, evidentemente, del terreno d’elezione per tentare, seriamente, di non dover ricorrere al giudice delle locazioni; perché (anche rispetto alla negoziazione assistita) la presenza di un terzo che funga – lo so, in senso improprio
– da (quasi) ‘arbitro’ può avere sempre un peso molto rilevante.
Sembra giusto, allora, rammentare anche una norma quasi passata sotto silenzio, perlomeno per l’esperienza romana, e non applicata nel senso in cui (sempre con moltissimi forse) avrebbe potuto esserlo.
Abbiamo prima parlato del c 6 bis dell’art 3, ma è previsto, subito a seguire, anche il c 6 ter, sempre introdotto dalla già ricordata L. 77/20.
Dalla sua lettura, sembrerebbe possibile (quasi . . .) dedurre che la mediazione possa ritenersi obbligatoria anche prima di introdurre una convalida o depositare un’ingiunzione per canoni impagati.
Questo il testo: “nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali, nelle quali il rispetto delle misure di contenimento . . . può essere valutato ex c 6 bis, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda”.
E, attenzione, nel Corso di Mediazione del CNF - iniziato proprio lo scorso1/3/22 - c’è stato un focus proprio sul c 6 ter dell’art 3.
Pur volendo aderire alla lettura della ‘nostra’ VI Sezione del Tribunale di Roma, che mantiene tutta la sua linearità interpretativa (la previsione della obbligatorietà sarebbe stata inserita per le eventuali altre controversie, essendo già prevista nel nostro settore, mentre la condizione non è di proponibilità; e si aggiungono considerazioni letterali: col richiamo solo al c 1 bis e non 4 del d. lgs 28/10), resta certo come molto spesso, con adeguata difesa del conduttore, e la dimostrazione da parte sua di una, ma concreta, buona volontà, non vengano pronunciati provvedimenti provvisori nelle controversie locatizie, imponendo così il passaggio intermedio prima del giudizio di merito. E, ricordiamo anche questo, dopo le SU (n. 1956/20) in tema di opposizione ad ingiunzione, con iniziativa sempre a carico del locatore; pena l’estinzione di quella causa (anche se, certamente, riproponibile).
Pronuncia che, ritengo, incrina molto la tesi della sopravvivenza (come è stato, per tanti decenni) delle ordinanze provvisorie di rilascio; che invece ancora qualche anno fa ritenevo quasi un dogma senza eccezioni, finché fui redarguito dalla Collega Scirtò, che saluto, in uno dei tanti incontri di aggiornamento organizzati dal nostro Consiglio.
Aspetto, del resto, che viene a fondo affrontato (v. pg 262 sgg) dalla Cons. X Xxxxxxx nel suo recentissimo testo.
Una ultima considerazione, sempre ante esame dei provvedimenti.
Attenzione: spesso il conduttore agisce (e faccio rinvio a ordinanze ex art. 700 cpc dell’estate scorsa) dopo e a valle di precedenti intese già raggiunte, ma reputate insufficienti per il protrarsi degli effetti economici del Covid 19 ed il rifiuto delle controparti ad una ulteriore trattativa.
Approfondire la giurisprudenza – dunque – dovrebbe rispondere al II quesito, sub B), da cui prima siamo partiti: quale sia il potere di un intervento giudiziale, posto che ad oggi dobbiamo ritenere comunque sussistente un dovere di rinegoziare in buona fede; e, lo si è visto, più
che per le previsioni introdotte, come ho detto in apertura, ex articoli 2 della Costituzione e 1375 cc.
Dovere, sottolineo, e non obbligo (rammentate il ‘tenuti’ ora diventato ‘chiamati’); precisando come, se davvero non può ritenersi necessario il raggiungimento di un’intesa, è invece cosa certa il controllo del comportamento tenuto dalle parti, ante e in causa, da parte del giudice.
Taccio del fatto che, per il legislatore di maggio e luglio ‘21, oggetto dell’auspicabile accordo è sempre e soltanto il corrispettivo (non si comprende il perché, e la L 392/78 ha uno stringente art. 79; cosa che impedirebbe, allo stato, di allargare il campo delle possibili intese) e soltanto con riferimento alle locazioni commerciali (non le uniche a poter essere state colpite).
Restano però sempre possibili, credo, le transazioni. Ne parleremo magari un’altra volta. A me piace porre dubbi: a fronte di uno sconto sensibile del dovuto, e con rinuncia alla risoluzione, il conduttore potrebbe farlo a sua volta, nella parte (più o meno) corrispondente all’avviamento (diritto, però, eventuale ed ancora non ‘nato’)?
Dicevo della giurisprudenza. Tralasceremo quella che si è formata nei primi mesi, sempre in ricorsi ex art 700 cpc, dunque in sede cautelare, quando il conduttore chiedeva una sospensione/riduzione del corrispettivo dovuto e/o l’inibizione alla escussione delle fidejussioni fornite alla stipula.
Non tanto perché risulti irrilevante, quanto per l’assenza di una sostanziale uniformità; forse anche in dipendenza del mancato affinamento dei mezzi e delle prove da fornire, utilizzati - almeno all’inizio - da noi avvocati.
Anche qui un esempio può valere quasi per tutte le vicende.
E’ stato, di regola (ma con qualche eccezione), inutile avanzare quelle richieste in casi di inadempimenti che fossero economicamente di rilievo e decorrenti da epoca ben antecedente il marzo 2020.
In sintesi, per riferirmi ora alle garanzie, spesso si è ritenuto che fossero autonome – e lo sono, di regola, quelle a prima richiesta – dunque impermeabili alle vicende che riguardavano il contratto cui accedevano. Tranne nei casi in cui l’escussione potesse considerarsi abusiva, cioè con solo l’intento di ‘danneggiare’. In altri casi, provvedimenti provvisori (anche se positivi per il conduttore, magari con accoglimento delle sue richieste subordinale) non sono stati invece poi confermati al definitivo.
Vorrei, piuttosto, concentrare l’attenzione sulle decisioni intervenute più o meno negli ultimi 18 mesi, segnati anche dalla – ben nota a tutti noi – Relazione del Massimario della Cassazione n 56 (dell’8/7/20) cui, fermo restando il suo caldo invito a ‘rinegoziare’, dedico però soltanto una brevissima considerazione.
Non tanto sull’ambito o estensione dei poteri di indirizzo (anche se eravamo più abituati ad interventi di taglio diverso), quanto per una sua, quasi, difesa; in qualche modo dovuta, rispetto alle tante critiche mosse.
Xxxxxxxxx, si può e si deve discutere di tutto, ci incontriamo anche per questo, ma - ad una lettura attenta - il rimedio da molti commentatori paventato in ordine alla possibile operatività dell’art 2932 cc (con il potere, dunque, di costituire un rapporto di contenuto diverso da quello pattizio) ha, nella stessa Relazione, un ambito di sua eventuale operatività che risulta davvero limitato.
Ciò potrà/potrebbe accadere soltanto quando, e la mia è solo una parafrasi, dal contratto già emergano indici precisi (in ordine al canone convenuto) che ne consentano una riparametrazione.
Riprendiamo il discorso e tentiamo, dunque, una rassegna delle pronunce in qualche modo meno lontane nel tempo, con una serie di precisazioni: ho scelto
a) di procedere, a ritroso, dai mesi appena passati al maggio del 2020;
b) con una, solo, stringatissima sintesi del caso e dei principi affermati;
c) cercando di escludere, ove possibile, quelle ‘troppo’ pubblicate; anche se occorre un ulteriore e preliminare avvertimento.
Attenzione, a rilevare è sempre il corredo probatorio che il conduttore ha potuto portare a sostegno delle proprie richieste; insomma, la soluzione mai può (o potrebbe) prescindere da un esame, molto attento, del singolo caso concreto.
Devo aggiungere, ed è il bello di lavorare (come Commissione Locazioni intendo) in gruppo, che un valido aiuto lo ho avuto anche dalla Xxxxxxx Xxxxx, per il reperimento di diversi precedenti, con il conseguente e sempre utilissimo scambio di idee.
Trib. Roma (sent) 3110 del 22/2/22 (morosità, 1.350 mese, da febbraio ’19 per 8 mila, saldo mesi da 7 a 12/20, 2 mila, e da gennaio ad aprile ’21; totali 15 mila 600; versate solo due mensilità in corso di causa). Attività: tabaccheria. Ordinanza di rilascio, inadempimento grave. Infatti: a) esposizione da ante epidemia e aumentata; b) non negata; c) attività mai chiusa. No imp. sopravv. l’art. 91 non sospende i canoni, al massimo giustifica, con prova rigorosa, i ritardi di quanto, però, deve essere poi pagato. Condanna anche ai canoni ‘futuri’
Trib. Roma (sent) 1773 del 22/2/22 (morosità 11 mila 700 da 8/20 a 3/21, versata post notifica, ma alla sentenza riformatasi in misura maggiore, si aggiungeva – oggetto di altro giudizio – quella di un magazzino / pertinenza); ordinanza di rilascio, confermata per la rilevanza dell’inadempimento. ‘Incursione’ sulla causa concreta: salvo ci sia una specifica pattuizione, non rileva la produttività del bene – vedi la differenza con affitto – e non può invocarsi l’art 1464 cc (come ha fatto il conduttore). Per ipotizzare “con coraggio” una riduzione del canone, va fornita una prova rigorosa dell’incidenza della pandemia nel tempo. Condanna anche per importi futuri.
Trib. Roma (sent) 2089 del 7/2/22 (morosità 80 mila da 3 a 11/20, in x.xx xxxxx xxxxxxx 00 xxxx). Ordinanza confermata da sentenza; l’inadempimento è certo ‘grave’, la norma sui circoli sportivi privati non è estensibile in via analogica.
Trib. Roma (sent) 1602 del 31/1/22 (morosità da 3/20 per 21 mila),
riconsegna a 12/20. Non è un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta. Solo
‘ristori’ e, tranne casi determinati, no ad interventi sul canone. Anche la Relazione n 56 spiega i limiti del ricorso all’art 1374 cc; il giudice può avere al massimo poteri ‘integrativi’ (di lacune), il suo intervento è suppletivo e residuale, non correttivo. Ancor più in una vicenda che non vede responsabilità del locatore (mentre il lamentato danno, per perdita d’acqua, non è stato provato) per l’imposto, dal legislatore, minor utilizzo del bene. Da ciò la risoluzione per inadempimento ‘grave’ + condanna per canoni/indennità e cessata materia del c. per il rilascio.
Trib. Roma (sent) 1608 del 21/1/22 (esposizione 184 mila, da residuo 12/19 a ottobre ’20, versamento in c/ di 5 mila post notifica); emissione dell’ordinanza di rilascio, confermata con la sentenza; non conta – come per l’affitto – la destinazione effettiva, né si applicano gli sconti per i circoli sportivi, e non c’è abuso del 1456 cc (molte citazioni di legittimità di casi in cui invece si era verificato) perché, tra l’altro, l’intimante non si era avvalso della clausola. Un’offerta di riduzione dei canoni, reputata insufficiente, non era stata accettata. Anche se a me residua qualche dubbio (l’immobile è vicino a Studio e mi sembra, dal nome, fosse attività in qualche modo para sportiva; in ogni caso ciò avrebbe consentito solo una modesta riduzione rispetto al passivo maturato). C’è condanna anche ai canoni maturandi (non è il solo caso).
Trib. Roma (sent), non ho il n. è del 12/1/22 (esposizione, da 3/20 a 11/20, 17.850,00 su – dovuti – 35 mila + circa 3 mila oneri acc + 1.700,00 acqua). No all’ordinanza di rilascio, ma risoluzione per inadempimento (dunque senza l’indennità xxx.xx) e condanna (finale) a 4.350,00 canoni (oltre a quelli futuri) + 2.500,00 oneri + acqua. No all’impossibilità sopravvenuta; né all’obbligo di ricontrattare, perché la buona fede in executivis non può comportare un eccessivo sacrificio per il locatore (che aveva avuto in conto la cessione crediti fiscali); l’inizio esecuzione è stata fissata a fine febbraio di quest’anno.
Trib. Milano (sent) n 10735 del 20/12/21 conferma un orientamento che poi vedremo sufficientemente consolidato. La decisione, sintetizzo, risolve il contratto (a uso diverso), condanna al pagamento dei canoni insoluti (la morosità era iniziata nel 2018), ma riduce il corrispettivo al
50% per i quasi tre mesi di chiusura del 2020. Piuttosto la decisione si segnala anche per un utilizzo ‘improprio’ dell’art 666 cpc, intervenuto in realtà nelle prime fasi del procedimento. Infatti, nel termine richiesto e concesso per sanare la morosità non contestata, il conduttore non aveva corrisposto quanto avrebbe dovuto; senza, però, che venisse convalidato lo sfratto e con l’emissione solo della ordinanza di rilascio (ad aprile, con inizio esecuzione ai primi di agosto ’21) poi confermata con la sentenza. Il conduttore, che ha continuato a non pagare, ancora, credo, usa il bene, posto che lo sfratto è stato bloccato fino al 31/12.
Trib. Xxxx (xxxx) x 00000 del 15/12/21 (intimante utilizzatrice in leasing in un Xxxxxx Xxxxxxxxxxx). Xxxxxxxxxxx 00 xxxx, quasi metà già pagata alla prima udienza, poi cessione credito fiscale, il conduttore chiedeva riduzione dei canoni (- 60% per 4 e 5/20, poi – 50% fino a 4/21) e documentava sia la diminuzione degli incassi che la cassa integrazione per diversi dei 16 dipendenti. Non c’è diritto ad avere una riduzione (moltissime citazioni di merito), ma è innegabile che il Covid abbia inciso (altrimenti, e ho appezzato il rilievo, invece di un giudice basterebbe un sistema di intelligenza artificiale!). Dunque, no alla risoluzione – per la certa mancanza dell’elemento soggettivo di un inadempimento - ma sì alla condanna per tutti i canoni residui (no per quelli futuri, ma non sappiamo se chiesti, spese compensate per metà).
Trib. Brindisi (ord) 7/8/21 è un po’ fuori del ns. campo (si discuteva di obbligo o meno di concessione, da parte della Banca e sempre ‘in pandemia’, di un prestito garantito SACE), ma si ricordano i poteri giudiziali di intervento: “sindacare la sussistenza del sinallagma al fine di ristabilire l’equilibrio equitativo” es. sulla clausola penale, in sede di rescissione o di art. 1467 cc; anche se è stato revocato, in sede di reclamo, il 700 cpc già concesso.
Trib. Venezia (ord) 13/7/21 che ha di nuovo ridotto il corrispettivo, con limite corrispondente anche della garanzia, con andamento a scalare (- 75%, poi - 40%, poi - 30%), nonostante un accordo già intervenuto tra le parti ad ottobre 2020, e per il periodo che andava dal 5/20 al 4/ 21.
Trib. Roma (sent) 9999 del 28/6/21; (esposizione alla intimazione, il 6/8/20, 37.500,00; a novembre 60 mila, bene riconsegnato in corso di causa ad aprile ’21). La decisione non riduce il canone, ma risolve il contratto; reputando inapplicabile sia la parziale impossibilità della prestazione, che la eccessiva onerosità (da cui può derivare solo la risoluzione, con effetti ex nunc, però non richiesta dalla conduttrice). Anche la previsione del sono tenuti (ancora non diventata chiamati) viene reputata priva di una effettiva cogenza.
Trib. Milano (sent) n 4651 del 28/6/21 n. 4651, anch’essa estende l’art 216 (come, abbiamo visto, quella di dicembre scorso e vedremo, la decisione di maggio) e riduce in analoga misura il canone per il solo periodo di chiusura, atteso il limitato godimento (non addebitabile, ma oggettivo). Però: a) respingendo la domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta fatta dal conduttore (che, intanto, aveva riconsegnato), con successivo giudizio poi riunito; b) ed accogliendo invece quella di rilascio del locatore per inadempimento; nonostante un residuo credito dell’inquilino che viene liquidato (ma, va aggiunto, solo post e in virtù della garanzia escussa). Specifico che questo (- 50% per 69 gg) si confermerebbe (condizionale d’obbligo) l’orientamento della XIII Sezione, rientrando le difficoltà successive (se parametrate ad una durata di 6 anni + 6) nella normale alea.
Trib. Lecce (ord) 24/6/21 (sempre su 700 cpc, ma già con giudizio ordinario locatizio in corso e promosso dall’inquilino). Ancora, nonostante pregresse intese tra le parti, è stata riconosciuta una ulteriore (rispetto a quanto prima pattuito) riduzione del corrispettivo successivo, del 20% (ed altra in misura inferiore – 5% per un secondo contratto collegato), anche per il periodo che è andato da 3 ad 8/21.
Trib. Milano (sent) n 4355 del 18/5/21, ha negato la risoluzione, ritenendo non ‘grave’ l’inadempimento rappresentato dal mancato pagamento, ma del trimestre aprile/giugno 2020. E, soprattutto, dubitando che vera ed integrale inadempienza ci fosse, vista la previsione di legge per le attività sportive, da estendere a tutti gli usi
diversi per fornire di quella regola una lettura che sia così
costituzionalmente orientata (contra Trib Roma ord. 16/12/20, v. infra).
Trib. Napoli (ord) 11/5/21 (conforme Trib. Napoli ord. 8/11/20), non concede l’ordinanza di rilascio; in entrambi i casi i conduttori avevano corrisposto un canone pari al 50%, dimostrando così un apprezzabile sforzo teso ad adempiere; in senso conforme Trib. Avellino (ord) 17/9/20 avendo l’inquilino, anche se in ritardo, pagato quanto dovuto. Lo stesso Trib. (ord) 22/12/20 ha, invece, emesso l’ordinanza di fronte ad una integrale assenza di versamenti, per di più protrattasi anche dopo la graduale ripresa delle attività.
Trib. Palermo (ma si trattava di un uso abitativo) (sent) 1773 del 26/4/21 ha accolto la domanda di risoluzione (e, prima, pronunciato l’ordinanza di rilascio), pur avendo il conduttore dedotto – e provato, però in ritardo
– come la propria società fosse fallita (ma, si precisa nella decisione, pur senza fare al riguardo alcun commento, proprio all’inizio del 2020).
Trib. Roma (sent) n 6174 del 9/4/21 nega la possibilità di intervenire sul corrispettivo, atteso che il locatore può sì essere tenuto a rinegoziare, ma soltanto in assenza di un proprio apprezzabile sacrificio, quale sarebbe invece di certo abdicare a diritti già contrattualizzati (il I art 6 novies è di maggio ’21 il II era di là da venire).
Trib. Napoli nord (sent) n 1874 dell’1/4/21 non concede il rimedio cautelare per la richiesta di riduzione del canone, ritenendo che non si possa intervenire in modo costitutivo su un rapporto in corso.
Trib. Napoli nord (sent) n 785 del 19/3/21 (conforme Trib SMCV sent 822/21) non risolve per inadempimento il contratto, perché il mancato versamento riguardava, per due mesi su tre, il periodo di chiusura totale; mentre in seguito era documentato il pagamento.
Trib. Roma (sent) n 3114 del 19/2/21 nega la presenza nell’ordinamento di indici normativi, dai quali sia possibile dedurre l’esistenza di un vero e proprio obbligo di ricontrattazione del canone (ora il II art.6 novies?)
Trib Roma (ord) 16/12/20 ritiene che la regola in tema di eccessiva onerosità sopravvenuta non possa applicarsi nei casi che oggi stiamo
esaminando, tra l’altro potendo una obbligazione pecuniaria essere sempre adempiuta; da ciò l’emissione della ordinanza di rilascio. Il provvedimento, peraltro, si distingue per altre peculiarità, segnatamente sia la ravvisata illegittimità dei diversi dpcm susseguitisi (il conduttore avrebbe potuto / dovuto, via via, impugnarli) che una lettura opposta a quella (poi) data da Trib Mi 4335/21, già citata, sulla operatività allargata della previsione dettata per i circoli sportivi privati; avendo il giudice rilevato (per trarne una conferma al proprio decisum) che il legislatore (invece) proprio e solo ubi voluit dixit.
Trib. La Spezia (sent) n. 617 del 15/12/20 non ha risolto il contratto per il mancato pagamento di un trimestre (anche in quel caso aprile / giugno ’20) da parte di uno studio odontotecnico, che aveva però versato subito post notifica. Nonostante quel versamento dovesse considerarsi tardivo ed agli usi diversi non siano applicabili forme di sanatoria (tipo termine di grazia), il pur certo inadempimento non è stato ritenuto né grave - nel nostro modo di dire, la norma espone concetto più articolato (di non scarsa importanza avuto riguardo agli interessi dell’altro contraente) - né imputabile al conduttore.
Trib. Macerata (ord) 27/10/20, che dispone il rilascio per una locazione professionale, sia perché attività non inibita durante la pandemia, che per la totale carenza di prove sulle difficoltà (solamente affermate) economiche derivanti dalla situazione sanitaria; aggiungendo il fatto che l’inadempienza era iniziata, anche se di poco, prima del marzo 2020.
Trib. Venezia (ord) 30/9/20, che non dispone la riconsegna nel caso di un’attività turistico alberghiera - svolta in più immobili, detenuti con un rent to buy – colpita prima dalle alte maree di fine novembre ’19, poi dalla pandemia. Il canone, pur dopo l’introduzione del giudizio, era stato versato, il che costituiva dimostrazione del serio intendimento del conduttore di fare tutto quanto possibile, nonostante le difficoltà ‘oggettive’, per riuscire ad adempiere.
E’ però utile citare (e forse, scansione cronologica a parte, avrei dovuto farlo all’inizio per il loro rilievo emblematico) anche altre due decisioni (romane, e le conosciamo tutti) di ben più di un anno fa; a dimostrazione
del come – sia pure per vie diverse – in qualche modo si potrebbe, anzi forse in alcuni casi e purché a fronte di precise prove, si dovrebbe giungere ad un risultato quasi identico.
Mi riferisco (dunque e sempre procedendo a ritroso) alla ordinanza 27/8/20 Trib. Roma, della Sez. VI, che – partendo dalla eccessiva onerosità sopravvenuta – perviene ad una riduzione (sempre temporanea) dei corrispettivi dovuti e, aggiungo, in modo significativo dopo la pubblicazione delle Relazione n 56 sopra ricordata. Va rammentata sia l’entità della riduzione del corrispettivo (- 40% per 4 e 5 del ’20; - 20% dal 6 del ’20 fino al 3 del 2021), che la ferma critica al comportamento del (difensore del) locatore (che deduceva una vera trattativa, da parte del proprietario, però priva di ogni riscontro).
Percorso, in qualche modo, opposto, all’ordinanza 29/5/20 Trib. Roma, della Sez. V, (affitto di ramo d’azienda: vendita pelletteria e simili in un Centro Commerciale) con cui – premesse le difficoltà nell’individuare regole atte a consentire una rimodulazione dei corrispettivi – raffrontando la disciplina degli artt. 1256/58 (impossibilità sopravvenuta, parziale) e 1467 cc (l’eccessiva onerosità dell’altra decisione) ed esclusa l’operatività della seconda norma, si perviene ugualmente ad una riduzione (- 70%) del canone dovuto; in base alla limitata, momentanea impossibilità di un utilizzo pieno ed integrale da parte dell’affittuario. Ma il provvedimento, alla fine, respinge la cautela richiesta, perché la riduzione (in astratto) accordabile si sarebbe limitata ad € 10.000,00 rispetto – semplifico molto, tra l’altro c’era stata già una prima rateazione che non era stata rispettata - ad una esposizione certa e già maturata di quasi € 120 mila.
Vediamo però, lo avevo anticipato, anche se la Cassazione (in disparte la Relazione n 56 di cui si è detto) può darci spunti utili; in almeno un caso sì (e mi permetto di segnalarvi, a latere ma sempre sul rilievo degli obblighi di comportamento in buona fede e correttezza, per l’affidamento leso, pur in assenza di contratto, anche Cass SU n. 8236 del 28/4/20: lite privato / PA).
Anche se cronologicamente la decisione che vedremo ora andava indicata tra quelle più vicine nel tempo, mi è sembrato quasi improprio mescolare merito e legittimità; al di là degli spunti già forniti.
Va rammentata, dunque, la (già citata) Cass 14/6/21 n. 16743, perché, confermando la Corte d’Appello che aveva di molto ridotto le pretese della proprietà - in una fattispecie più unica che rara (etichettata sotto la voce abuso di diritto per non essere stato richiesto il pagamento di un canone abitativo per circa sette anni, con il correlato affidamento del debitore, in una ‘locazione societaria/familiare’) - e partendo dall’eccessiva onerosità che può sopravvenire, svolge un’ampia digressione proprio sul nostro tema.
Certo solo una sorta di obiter dictum, che vale però la pena di trascrivere (siamo al punto 13) “ Più in generale quel che incide per giustificare una siffatta pretesa di “adempimento dell’obbligo di buona fede” da parte del creditore in un contratto a prestazioni corrispettive ad esecuzione continuata è la situazione riferibile ad una contingente onerosità eccessiva come quella che può derivare da momenti storici di grave crisi economica determinata da fattori paragonabili alla pandemia” e prosegue (dopo una considerazione sulla sopravvenienza tedesca) considerando “il caso in cui il pagamento del canone, che matura periodicamente, divenga in detta area temporale eccessivamente oneroso per il conduttore in presenza di obiettive e dimostrate circostanze, onde il locatore sia tenuto a conformare la sua condotta esecutiva . . . nel senso di non pretendere, per un circoscritto periodo di tempo, il pagamento del canone, ovvero accettare un minor importo, senza mutare i termini del contratto, che solo per questo non si potrebbe pertanto risolvere per inadempimento del conduttore”. Il tutto con e per la, ovvia e sottolineata, finalità di salvare il rapporto in vista di una ripresa, essendo ciò utile (dal punto di vista economico, si tiene a precisare) anche per il locatore.
Al riguardo, rammentiamo la incidenza indubbia sul mercato immobiliare della pandemia, i cui effetti (e tacciamo degli ultimi
drammatici avvenimenti, ma siamo – direi purtroppo - extra Covid 19) si continueranno a produrre nel tempo.
Poche considerazioni conclusive.
Da un lato altre due decisioni vanno rammentate (ma ante pandemia): Cass 28/3/18 n. 8760 e Cass 26/7/19 n. 20322 che devo – ritengo – segnalarvi per dar conto di un cambio di orientamento, rispetto a quello, granitico, prima tenuto a P.zza Cavour. Per le prime volte, anche se solo a mia memoria, si valorizza la possibilità che il corrispettivo possa essere ridotto/sospeso in presenza di oggettive diminuzioni dell’utilizzo del bene locato attribuibili al locatore, dando così ingresso – e facendo leva sui principi di proporzionalità e buona fede - alla eccezione di inadempimento ‘parziale’; mentre prima rilevava solo l’indisponibilità totale del bene (pur non addebitabile Cass 10/7/18 n 18047).
Il tutto mi sembra possa riecheggiare in qualche modo – per i ns. casi - un riferimento ad una sorta di impossibilità sopravvenuta (sempre temporanea, quasi mai totale, né - nei ns casi - ‘colpevole’), che, però, non si può negare abbia avuto una qualche incidenza sull’esplicarsi della causa concreta, pur nella diversità con l’affitto che guarda anche all’utilità del godimento.
Dall’altro – ed è un dato, oltre che una scelta normativa – tranne poche (impianti sportivi, da ultimo crisi d’impresa) deroghe - non è stato introdotto un sistema legale di ricontrattazione dei corrispettivi, al di fuori, ovvio, degli accordi tra le parti; ma un complesso di provvidenze diverse. Però, almeno in tutti i casi di adempimento quasi totale, ancorché tardivo, i contratti non dovrebbero essere risolti; mentre, probabilmente, il mancato rispetto di convenzioni intervenute tra i contraenti prima o durante il contenzioso è da ritenere integri sempre la previsione dell’art 1455 cc.
Grazie ancora a tutti per la, tanta, pazienza dimostrata.
Avv Xxxxxxx Xxxxx