DOTTORATO DI RICERCA IN
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
DOTTORATO DI RICERCA IN
STATO E PERSONA NEGLI ORDINAMENTI GIURIDICI- INDIRIZZO DIRITTO CIVILE
Ciclo XXIV
Settore Concorsuale di afferenza: 12/A1-DIRITTO PRIVATO Settore Scientifico disciplinare: IUS/01- DIRITTO PRIVATO
RETI DI CONTRATTI E RETI DI IMPRESE
Presentata da: Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxx
Coordinatore Dottorato Relatore
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxx
Esame finale anno 2012
INDICE
Premessa……………………………………………………………………………
CAPITOLO 1
Il fenomeno delle reti nella realtà economica………………………
1. Globalizzazione economica……………………………………………………
1.1. Il ruolo dell’evoluzione tecnologica sui mutamenti economici………………………………………………………
1.2 Il ruolo dell’informazione nell’attività d’impresa……………
1. 3 Il ruolo del mercato finanziario………………………………
2. Delocalizzazione della produzione…………...………............................................
3. Il processo di internazionalizzazione …………………………………………….
4. La questione del made in Italy………………………………………………………….
CAPITOLO 2
I modelli di aggregazione nel mercato……………………………
1. Tipologie di reti……………………………………………………………….
2. Reti orizzontali e verticali………………………………………………………
3. Le reti complesse……………………………………………………………….
.
4. Le risorse di fiducia degli imprenditori al servizio della rete…………………...
5. Reti di imprese tra concorrenza e tutela dei consumatori……………………….
6. Il ruolo dei codici di condotta nelle reti…………………………………………
CAPITOLO 3
Il dibattito sulla qualificazione giuridica delle reti……………….
Sezione I- La prospettiva societaria: reti e contratti plurilaterali
1. Le reti e i contratti plurilaterali con comunione di scopo……………………
2. Reti e joint ventures…….……………………………………………………
3. I consorzi…………………………………………………………………….
4. I diritti amministrativi dei partecipanti………………………………………
5. Inadempimento dell’aderente alla rete: rinvio………………………………
Sezione II- La prospettiva contrattuale: reti e collegamento contrattuale
1. Collegamento contrattuale e tutela consumeristica………………………….
2. Riconoscimento legislativo del collegamento contrattuale e riequilibrio contrattuale…………………………………………………………………….
3. Le teorie del collegamento contrattuale……………………………………
3.1 Classificazioni del collegamento…………………...
3.2 Effetti del collegamento……………………………
4. Collegamento contrattuale e teoria del terzo contratto……………………
4.1 Il collegamento contrattuale in fase di produzione: la Subfornitura……………………………………………..
4.2 Il collegamento contrattuale in fase di distribuzione: il franchising……………………………………………….
4.3 Le pratiche commerciali tra professionisti………………………………………………
Sezione III- Il dilemma centrale dell’imputazione della responsabilità della rete
5 La responsabilità interna………………………………………………………
6 La responsabilità extracontrattuale della rete…………………………………
7. La responsabilità da inadempimento della rete..……………………………..
CAPITOLO 4
Il tentativo di soluzione legislativa della disciplina del contratto di rete…………………………………………………………………….
Sezione I- Evoluzione normativa della disciplina………………………………
1.Xxx distretti produttivi alle reti di imprese……………………………………….
0.Xx prima disciplina normativa del contratto di rete……………………………..
0.Xx successivo intervento legislativo del D.L. 31 maggio 2010, n. 78……………
0.Xx contratto di rete in ambito comunitario……………………………………….
Sezione II – I requisiti del contratto di rete
5. L’accordo delle parti…………………………………………………………..
5.1 Le parti contrattuali………………………………
6. La causa del contratto di rete………………………………………………….
7. L’oggetto del contratto di rete…………………………………………………
8. Il programma di rete……………………………………………………………
8.1 Asseverazione del programma di rete……………
9. La forma del contratto di rete………………………………………………….
10. Elementi accidentali del contratto di rete…………………………………….
11. Natura giuridica del contratto di rete…………………………………………
Sezione III- Organizzazione e tutela giuridica del contratto di rete
12. L’organo comune…………………………………………………………….
13. Il patrimonio della rete………………………………………………………
14. Il regime di pubblicità del contratto di rete…………………………………
15. Profili finanziari: l’associazione Retimpresa………………………………..
Conclusioni……………………………………………………………………..
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………
Premessa
Il presente lavoro di ricerca prende le mosse da una premessa di ordine economico. Il fenomeno delle reti di impresa, infatti, nasce dalla realtà economica dei mercati. In tale contesto non può prescindere dal delineare un quadro della situazione- anche di crisi- congiunturale che ha visto coinvolte specialmente le imprese italiane. In tale prospettiva, si è reso necessario indagare il fenomeno della globalizzazione, con riferimento alle sue origini, caratteristiche e conseguenze. Si è imposta un’analisi delle fonti, anche giuridico- economiche, sul punto. Chiarificatrice si è comunque rivelata la lettura del fondamentale testo di Xxxxxxx “ Il commercio. Saggi di economia del diritto”.
Tra i fenomeni connessi alla globalizzazione si è inteso con particolare approfondire il ruolo dell’evoluzione tecnologia sui mutamenti economici, la globalizzazione finanziaria e finanziarizzazione dell’economia, nonché il fondamentale ruolo dell’informazione nell’attività di impresa.
D’altra parte, si è resa necessaria una ricostruzione in chiave analitica del fenomeno della delocalizzazione della produzione e del decentramento della produzione, per i rilevanti nessi con la parte della ricerca in cui si approfondisce il ruolo del collegamento contrattuale nella fase produttiva e distributiva. L’ultima caratteristica di marcato rilevante ai fini della ricerca,
che ha costituito oggetto di analisi, è l’ internazionalizzazione dei mercati stessi, alla base della nascita e dello sviluppo delle reti transnazionali. Tali reti, presentando elementi di estraneità, necessitano di una disciplina di diritto internazionale privato. Sul punto, si è rivelato d’obbligo il richiamo alla lex mercatoria.
Di fronte ad una realtà economica di tal sorta, peculiare importanza rivestono i rapporti di fiducia che legano gli imprenditori e si fanno collante delle aggregazioni di cui sopra, anche in prospettiva della trattazione finale dell’aspetto della responsabilità della rete. In tale ottica si è inteso approfondire la tematica delle risorse di fiducia dell’imprenditore al servizio della rete.
Tra di queste, nell’ottica del mercato italiano, primaria importanza assume la questione del made in Italy, anche con riferimento alla tematica delle pratiche commerciali scorrette, in particolare sotto il profilo della ingannevolezza.
Dopo un’opportuna quanto necessaria premessa di carattere economico, le reti vengono analizzate dunque sotto il profilo normativo.
Segue l’inquadramento giuridico delle fattispecie, mediante un focus sulla normativa di riferimento, succedutasi nel tempo, con relativo commento essenziale.
Ci si intende qui riferire al decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, alla legge 33 del 2009, nonché .alla legge 23 dicembre 2005, n. 266 in materia di distretti produttivi.
Particolare importanza è tributata anche alla prospettiva comunitaria, che attualmente non può che ritenersi coessenziale a qualunque analisi giuridica, a fortiori in campo lato sensu economico.
Segue una ricostruzione empirica del fenomeno delle reti di impresa, che si è ritenuto opportuno anteporre all’analisi specifica del contratto di rete,
positivizzato nella legge 122 del 2010, al fine di dare maggiore concretezza alla disamina degli elementi dello stesso.
L’esigenza, infati, di calare il dato normativo nella realtà concreta dell’imresa, è apparsa ineludibile. In tale prospettiva, si analizzano le tipologie di reti di impresa configurabili, tributando la dovuta attenzione alle reti burocratiche, sociali e fiduciarie. Nel contesto della trattazione, trovano spazio pure le reti complesse, che presuppongono un grado di astrazione maggiore, e la tematica della Responsabilità sociale dell’impresa (bilancio sociale d’impresa, certificazione di CRS) nell’ottica di una maggiore competitività sul mercato, che rappresenta in effetti lo “scopo comune” perseguito dalle parti nell’adesione alla rete. Un cenno merita pure l’iniziativa Retimpresa, di promozione e incentivazione di tali meccanismi di aggregazione.
Segue l’analisi nel dettaglio del contratto di rete. Si è ritenuto opportuno procedere in primo luogo alla disamina dei requisiti essenziali del contratto, secondo l’ordine previsto dall’art. 1325 c.c. (accordo delle parti, causa, oggetto e forma), con l’aggiunta di brevi cenni agli accidentalia negotii.
Solo in seconda battuta, si è ritenuto necessario riprendere alcuni punti ritenuti essenziali, e approfonditi in una sezione apposita. Si tratta dell’organo comune, che rappresenta pure un punto di raccordo con la tematica della responsabilità, e la dotazione patrimoniale della rete. E’ possibile delineare infatti tre tipi: reti senza patrimonio, reti con fondo consortile, cui si ritiene applicabile la disciplina di cui all’art. 2614 c.c. e reti dotate di un patrimonio reticolare, nella forma di patrimoni destinati ex art. 2447 bis.
Dopo alcuni brevi cenni al regime di pubblicità del contratto di rete, si introduce la tematica della natura dello stesso. La scelta di collocare tale paragrafo al termine della parte dedicata al contratto di rete, risponde all’esigenza di operare un raccordo con il capitolo successivo, in cui ci si sofferma sulla ricostruzione dogmatica del fenomeno.
Si parte dalla ricostruzione dello stesso in termini di contratto plurilaterale- sia esso con comunione di scopo oppure plurilaterale di scambio- per criticare
tale impostazione, non del tutto soddisfacente , in quanto ritenuto remissiva di fronte alla attuale vis espansiva del contratto plurilaterale.
Più convincente appare lo schema del collegamento contrattuale, che ha il pregio di preservare l’autonomia e l’indipendenza degli imprenditori aderenti, pur inseriti nel contesto di un’operazione economica unitaria, volta a perseguire uno scopo comune, l’ “interesse di rete”, considerato meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico ex art. 1322 0.xx. c.c. Infatti, il fenomeno del collegamento consente di realizzare l'unitarietà dell'assetto teleologico ed economico delle reti, indipendentemente dall'autonomia strutturale che caratterizza formalmente l’esercizio dell’impresa nel mercato. A sostegno dell’argomento proposto sta un vivace dibattito giurisprudenziale nonché dottrinale in atto sul collegamento contrattuale, protagonista di un numero indeterminato di fenomeni economici (es. credito al consumo), rivitalizzato peraltro da recenti riconoscimenti legislativi ( da ultimo, se pur in materia diversa, si segnala la disciplina della multiproprietà contenuta nel codice del turismo).
In effetti il contratto ben si presta a disegnare modelli di rete sia con distribuzione simmetrica del potere decisionale, sia con distribuzione asimmetrica, vale a dire con un elevato livello di gerarchia interna.
Se da un lato quindi si sottolinea l’emersione del collegamento, non può d’altra parte non ravvisarsi un’affinità con le ipotesi di collegamento contrattuale in fase di produzione, consistente nel delegare ad un terzo parte della produzione, e nella fase distributiva, per cui la distribuzione avviene attraverso reti di contratti. Costituiscono pertanto oggetto di berve analisi la subfornitura ed il franchising. Proprio a partire da tali figure, si ritiene opportuno approfondire i rapporti interni della rete, analizzando le asimmetrie potenzialmente presenti nella stessa, pur allontanandosi dalle ricostruzioni interpretative che muovono dalla premessa di una equiordinazione delle imprese stesse.
In tale prospettiva, si colloca la trattazione delle pratiche B2b e il c.d. terzo contratto.
Da ultimo, si affronta la materia della responsabilità della rete, impostando il problema sotto due profili: la responsabilità interna ed esterna.
La prima viene risolta sulla base dell’affidamento reciproco maturato da ogni imprenditore. La seconda viene distinta in responsabilità extracontrattuale, ricondotta nella fattispecie all’art. 2050 c.c., e contrattuale, rosolvendo il problema della imputazione di responsabilità alla luce della funzione del contratto di rete di far emergere il rapporto tra committenza e imprenditore in ombra, altrimenti destinato a rimanere rapporto meramente di fatto. In alternativa può comunque farsi riferimento comunque alla clausola generale di buona fede, intesa come dovere di comportamento connotato di autonomia e alla luce del rapporto di fiducia creatosi tra gli imprenditori aderenti, che non può non fare emergere dei profili di culpa in eligendo dei propri partners commerciali.
1. Globalizzazione economica
La diffusione del fenomeno delle reti di impresa non può non considerarsi in qualche modo connesso- come risultato ovvero come soluzione alternativa- alla realtà della globalizzazione1.
1 La dottrina, economica e giuridica, è copiosa sul punto. Vedasi APPADURAI , Disjuncture and Difference in the Global Cultural Economy, in: Xxxxxxxxxxxx (a cura di), Cultura del consumo e postomodernismo, Xxxx, 0000. APPADURAI (1996), Modernity at Large. Cultural Dimensions of Globalization, University of Minnesota Press, traduzione italiana Modernità in polvere, Meltemi, Roma, 2001; ARTHURW.B. (1988), "Self- reinforcing mechanisms in economics", in: Xxxxxxxx P.W., Arrow K.J., Pines D., The Economy as an Evolving Complex System, Santa Fe Institute, Studies in the Sciences of Complexity, Addison-Xxxxxx, Redwood City CA. ;XXXX X. (1992), Non-lieux, Seuil, Parigi, traduzione italiana Xxxxxxxxx. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano, 1993; XXXXXX X. (2007), Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Laterza, Roma-Bari; BECATTINI G. (2000), Dal distretto industriale allo sviluppo locale. Svolgimento e difesa di un'idea, Bollati Boringhieri, Torino; BECATTINI G. (2004), Per un capitalismo dal volto umano. Critica dell'economia apolitica, Bollati Boringhieri, Torino; BECATTINI G., RULLANI E. (1993), "Sistema locale e mercato globale", Economia e Politica Industriale 80, dicembre: 25-48.; XXXXXXX N. (1993) (a cura di), Il marketing territoriale. Sfide per l'Italia nella nuova economia, Angeli, Milano; BETTIOL M., XXXXXXX M. (2005), "Competitività dei distretti e design: rinnovare le basi della creatività", in: Bettiol M., Xxxxxxx S. (a cura di), Design e creatività nel made in Italy. Proposte per i distretti industriali, Milano, pp. 105-132; XXXXXX A. (2004), "La Città Infinita", in Bonomi A., Abruzzese A. (a cura di), La città infinita, Xxxxx Xxxxxxxxx, Milano, pp. 13-34; XXXXXX X., ABRUZZESE A. (2004) (a cura di), La città infinita, Xxxxx Xxxxxxxxx, Milano; BONOMI A., XXXXXXX E. (2005), Il capitalismo personale. Vite al lavoro, Einaudi, Torino; BRUSCO S. (1989), Piccola impresa e distretti industriali, Xxxxxxxxx e Xxxxxxx, Torino; CAROLI M. G. (2006), Il marketing territoriale. Strategie per la competitività sostenibile del territorio, Angeli, Milano.; XXXXXXXXXXX W. (1933), Die Zentralen Ortein Suddeutschland, Xxxxxx Verlag, Jena, traduzione italiana Le località centrali della Germania meridionale, Angeli, Milano, 1980; CORÒ G., XXXXXXXXXXX R. (2001), "Industrial districts responses to the network economy: vertical integration versus pluralist global exploration", Human Systems Management, n. 20, pp. 189-199; CORÒ G., XXXXXXXXXXX R. (2007), Strategie di crescita delle medie imprese, Milano, Ed. Il Sole 24 Ore; CORÒ G., XXXXXXX S. (2006), I nuovi distretti produttivi: innovazione,
internazionalizzazione e competitività dei territori, Marsilio, Venezia; XXXXXXX R. (1986), The Blind Watchmaker, Longman, Londra, traduzione italiana L'orologiaio cieco. Creazione o evoluzione?, Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000; DE KERCKHOVE D. (1997), The Connected Intelligence: the Arrival of the Web Society, Xxxxxxxxxx House Books, Toronto; DI XXXXXXXX X., XXXXXXX E. (1990), Il management e le macchine. Teoria evolutiva dell'impresa, Il Mulino, Bologna; XXXXX P., XXXXXXX T. S. (2000), Blown to Bits. How the New Economics of Information Transforms Strategies, Harvard Business School Press, Boston MA, traduzione italiana Bit Bang. Come la nuova economia dell'informazione trasforma la strategia aziendale, Edizioni Il Sole 24 Ore, Milano, 2000; FORTIS M. (2006), "Il Made in Italy di fronte alle sfide della globalizzazione", in Xxxxx L. (a cura di), Distretti industriali e nuovi scenari competitivi. L'esperienza del distretto orafo aretino, Angeli, Milano, pp. 15-34.; FORTIS M., XXXXXXX XXXXXX (a cura di), Industria e distretti. Un paradigma di perdurante competitività italiana, Bologna, 2006; FUÀ G., ZACCHIA C. (a cura di), Industrializzazione senza fratture, Il Mulino, Bologna, 1983; GAROFOLI G. (2003) (a cura di), Impresa e territorio, Il Mulino, Bologna.; XXXXXXXXXXX R. (2003), "Evoluzione dei distretti industriali in una prospettiva knowledge-based", Foedus, 6, pp. 3- 18.; XXXXXXXXXXX X. (a cura di) (1999), Il seggiolaio e l'economia globale, Padova, 1999; XXXXXXXXXXX R., XXXXXXX E. (1994), "Sunk internationalization: small firms and global knowledge", Revue d'Economie Xxxxxxxxxxxx 00, 00 Xxxxxxxxx: 238-254. XXXXXXXXXXX X., XXXXXXX X. (1996), Impresa transnazionale ed economia globale, NIS, Roma; XXXXXXX P., XXXXXXXX A.J. (1990), "Integration and the Competitiveness of Peripheral Industry", in: Bliss C., Braga de Xxxxxx J. (a cura di), Unity with Diversity in the European Economy, Cambridge U.P., Xxxxxxxxx (MA);XXXXXXX P., XXXXXXXX A.J. (1995), "Integration, specialization and adjustment", European Economic Review, 40. XXXXXXX X. (1964), Understanding Media, Mc Graw-Xxxx, New York, trad. it. Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1967. XXXXXXX S. (2000). Imprese, reti, comunità, Etas, Milano;XXXXXXX S., DI XXXXX X. (2000) (a cura di), Distretti industriali e tecnologie di rete: progettare la convergenza, Angeli, Milano; XXXXXXX S., XXXXXXX V. (2005), "Il ruolo strategico del design nella competitività di impresa", in: Bettiol M., Xxxxxxx S. (a cura di), Design e creatività nel made in Italy. Proposte per i distretti industriali, Xxxxx Xxxxxxxxx, Milano, pp. 3-44; XXXXXX M.E. (1989), The Competitive Advantage of Nations, The Free Press, New York, trad. it. Il vantaggio competitivo delle nazioni, Mondadori, Milano, 1991; PLECHERO M., RULLANI E. (2007), Innovare. Re-inventare il made in Italy, Egea, Milano; PRANDSTRALLER F., RULLANI E. (2009), Creatività in rete. L'uso strategico delle ICT per la nuova economia dei servizi, Angeli, Milano; RULLANI E. (2004a), Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti, Roma; XXXXXXX E. (2004b), La fabbrica dell'immateriale. Produrre valore con la conoscenza, Carocci, Roma; RULLANI E. (2004c), Media impresa, ovvero economia della filiera: una linea di analisi post- strutturalistica per il sistema produttivo italiano, in Mediobanca e Unioncamere, Indagine sulle medie imprese industriali italiane (Commenti e testimonianze 2003), Roma e Milano, pp. 57-64; XXXXXXX E. (2004d), "La città infinita: spazio e trama della modernità riflessiva", in Bonomi A., Abruzzese A. (a cura di), La città infinita, Xxxxx Xxxxxxxxx, Milano, pp. 65-93; XXXXXXX X. (2005a), "Intelligenza terziaria e sviluppo economico: dalla prima alla seconda modernità", in Rullani E., Xxxxxxxx P., Xxxxxx M., Xxxxxxxxxx X., Intelligenza terziaria motore dell'economia. Alla ricerca dell'Italia che innova, Angeli, Milano, pp. 13-60. ; XXXXXXX E. (2005b), "I distretti cambiano pelle", Quaderni di Management, 16, luglio-agosto 2005, pp. 10-24; XXXXXXX X. (2006a), "Terziario innovativo ed economia della conoscenza: come far ripartire un nuovo ciclo di sviluppo", in Rullani E., Xxxxxx M., Xxxxxxxxxx X., Cantù C., Xxxxxxxxx F., Innovare che passione. Quaranta modi di essere creativi nel business dei servizi, Angeli, Milano, pp. 15-55.; XXXXXXX E. (2006b), "Reti locali ed economia della conoscenza", in Provincia di Roma, Il territorio soggetto culturale. La Provincia di Roma disegna il suo distretto, Angeli, Milano,
La Globalizzazione può definirsi come il processo irreversibile per cui gli Stati, intesi come attori nazionali, perdono importanza rispetto ad attori transnazionali. Pertanto si può giungere a dire che “la società non è più limitata in uno stato, ma al globo”2
Si tenga fin d’ora presente che la globalizzazione è un fenomeno articolato e complesso, che ha travolto la società contemporanea in tutti i suoi aspetti3.
L'Ocse definisce la globalizzazione come “un fenomeno per il quale il mercato e la produzione di differenti paesi diventano sempre più interdipendenti attraverso i cambiamenti indotti dalla dinamica del commercio internazionale, dei flussi di capitali e tecnologici, cambiamenti dei quali il veicolo principale è dato dalle imprese multinazionali. Grazie alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione tali imprese sono organizzate come reti transnazionali in un contesto di accresciuta concorrenza internazionale che si estende anche alle imprese locali, così come ad altre sfere della vita economica e sociale di ciascun paese”.
Occorre quindi soffermarsi sui meccanismi di interdipendenza tra mercato e produzione, il legame coi flussi di capitali e tecnologici (di cui infra), oltre che il ruolo delle imprese multinazionali e l’internazionalizzazione delle reti, pure in un’ottica di tutela di un livello alto e ottimale di concorrenza.
pp. 143-173; XXXXXXX E. (2006c), "L'internazionalizzazione invisibile. La nuova geografia dei distretti e delle filiere produttive", Sinergie, n. 69, gennaio-aprile, pp. 3-32.; XXXXXXX E. (2006d), La nuova economia dell'immateriale", Economia dei servizi. Mercati, Istituzioni, Management, n. 1, settembre-dicembre, pp. 41-60; XXXXXXX, Valore rischio e lavoro nella società della conoscenza. Vivere sperimentalmente, vivere pericolosamente, in Biopolitiche del lavoro, a cura di XXXXXXXXXX e LEGHISSA, Mimesis, Milano-Udine, 2008, pp. 171-206; SEMPRINI . La società di flusso. Senso e identità nelle società contemporanee, Milano, 2003 ; TATTARA ., CORÒ , VOLPE , Andarsene per continuare a crescere. La delocalizzazione internazionale come strategia competitiva, Roma, 2006; VARALDO , FERRUCCI (a cura di), Il distretto industriale tra logiche di impresa e logiche di sistema, Milano, 1997
0 Xxx. Xxxx ,Xxx cos'è la globalizzazione: rischi e prospettive della società planetaria, Milano, 1999, p. 180 ss.
3 Si parla in proposito di “globalizzazione culturale”. Cfr. Del Giudice, Diritto costituzionale, Napoli, 2011
Dalla definizione sopra riportata, si evince che i fattori che intervengono a caratterizzare e a rendere particolarmente dinamico lo scenario in cui le aziende operano sono molteplici.
In via di semplificazione, essi potrebbero essere sintetizzati e ricondotti principalmente a due: l'integrazione dei mercati e l'innovazione.
In relazione al primo fattore, dall'analisi dei dati economici più recenti 4emerge con chiarezza come negli ultimi anni si sia avviata una vera e propria ristrutturazione della geografia delle interdipendenze tra le principali aree economiche, non solo come diretta conseguenza dei minori costi dei fattori produttivi tradizionali - materie prime e manodopera - presenti nei paesi emergenti dell'area BRIC5, ma anche come elemento determinante per l'individuazione dei nuovi mercati di sbocco per le merci oggetto di produzione.
Il secondo elemento è la rapidità ed il ritmo crescente con la quale i processi di innovazione pervadono i moderni sistemi economici evidenziando, ancor più di altri fattori, la crescente influenza che le risorse immateriali, capitale cognitivo, informazioni, conoscenze e risorse umane, assumono nella gestione del confronto competitivo.
In tale realtà, da un lato le aziende sono messe nelle condizioni di meglio esprimere e valorizzare la propria identità e le proprie aspettative di sviluppo, dall'altro esse hanno la possibilità di intraprendere percorsi alternativi a cui ricorrere per risolvere problemi strutturali che, a volte, possono essere semplicemente superati travalicando i confini geografico- territoriali.
Nell'analisi del fenomeno, quindi, all'ampliata prospettiva spaziale , la cui importanza ha generato lo specifico filone di studi legato all'internazionalizzazione, deve affiancarsi la prospettiva temporale
4 Cfr. XIV Rapporto del Laboratorio di Economia Politica Internazionale dell'Istituto Affari Internazionali
5 Brasile, Russia, India ed Cina
connessa, soprattutto, alla velocità con cui le organizzazioni sapranno diffondere al proprio interno l'innovazione.
Il termine globalizzazione incide soprattutto sulle relazioni economiche6.
Si crea in questo modo un mercato mondiale in cui gli operatori economici, travalicando i confini nazionali alla ricerca di vantaggi competitivi che permettano di abbattere i costi di produzione, allocano le loro imprese nei siti più convenienti ed in tal modo massimizzano i profitti delle rispettive aziende.
Sotto tale profilo, la globalizzazione è strettamente correlata all’internazionalizzazione dei mercati, di cui oltre.
E’ dato peraltro identificarsi quattro tratti salienti del fenomeno in oggetto. Il primo è da ricercarsi nel dinamismo dei paesi esportatori alla ricerca di nuovi mercati, il secondo è rappresentato dall’esportazione di Know how nei paesi asiatici, attraverso i percorsi di studio e formazione intrapresi e condotti in occidente dai giovani originari di tali paesi, che, una volta tornati a casa, sfruttano i bassi salari della manodopera locale per immettere sul mercato a prezzi concorrenziali prodotti ottenuti mediante cicli di produzione riprodotti sulla base di tali conoscenze.
Autorevole dottrina7 sostiene che “della globalizzazione si occupano filosofi e sociologi, economisti e giuristi; si è formata una ormai sterminata letteratura, e ciascuno dà agli interrogativi ora menzionati le risposte suggerite dalla propria cultura e dalla propria sensibilità".
Occorre dunque avere consapevolezza del fatto che si tratti di un fenomeno trans-economico8.
Ma appare doveroso, per liberare il piano operativo da ogni sorta di dubbio interpretativo, tracciare una linea di demarcazione tra le nozioni di Globalizzazione e Mondializzazione.
6 Cfr. TEUBNER, La cultura del diritto nell’epoca della globalizzazione, Xxxx, 0000.
7 XXXXXXX, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005
8 Cfr. XXXXXXX-MARRELLA, Diritto del commercio internazionale, Padova, 2007; MARRELLA, La nuova lex mercatoria
In realtà si tratta di processi di simile struttura ma applicata a sistemi categoriali differenti. Il termine globalizzazione si applicherebbe alla categoria economica, in relazione al processo totalizzatore economico e strumentale, portato a capo soprattutto a causa dello sprofondamento dell'Unione Sovietica e della politica bilaterale di blocchi della "guerra fredda" ed il consolidamento di un mercato mondiale continuo, lo spostamento delle mprese multinazionali e conseguente calo dei costi. Ci si intende altresì riferire alla proliferazione di una serie di organismi multinazionali e sopranazionali, per illuminare notevoli trasformazioni del sistema dello Stato-nazione, per spiegare cambiamenti dell'economia mondiale, e, per rendere conto della rinascita delle culture nazionali e minoritarie. La mondializzazione è un processo diametralmente opposto. Il globo appare chiuso in se stesso, mentre il mondo supera ogni globalizzazione.
Perciò, se la globalizzazione si applica alle categorie economiche, la mondalizzazione supererà queste categorie e ne accoglierà altre differenti, di carattere sociale, politico, religioso, culturale. D’altra parte, la mondializzazione non è una categoria della scienza sociale definita per una costruzione analitica. Essa, in primo luogo, suppone lo sviluppo di scambi e della divisione mondiale del lavoro, per un lato, e la globalizzazione finanziaria, per un altro.
La stessa accorta dottrina cui prima si faceva riferimento9, concentrandosi poi sull'ambito del diritto, osserva come prima della globalizzazione e prima della rivoluzione informatica, ogni Stato avesse la propria legge in grado di garantire protezione ai cittadini mentre oggi vi è un nuovo ordinamento che aleggia al di sopra di quello degli Stati.
Sul punto non può tacersi per la verità che si possa in qualche modo profilare una crisi di sovranità degli Stati medesimi10.
9 Xxxxxxx, La globalizzazione nello specchio del diritto, in Contratto e impresa ???????
10 Cfr. Xxx Xxxxxxx, Diritto costituzionale, Napoli, 2011, p. 26 ss.
In particolare viene in rilievo la nuova lex mercatoria, intesa come norma di soft-law costituita per la massima parte di contratti stipulati tra soggetti giuridici che con la stipulazione stessa, danno luogo ad una forma di formazione e disciplina dei rapporti la quale, assurto a modello, viene imitata da altri soggetti giuridici, comportando il radicarsi (longa repetitio o diuturnitas) di una consuetudine ritenuta vincolante dagli operatori11.
Trattasi di un sistema di norme e regole nate spontaneamente per regolare, in alcuni settori commerciali, i rapporti con elementi di internazionalità.
E proprio a proposito dei contratti che rappresentano un nuovo modo di stabilire delle regole , la sopracitata dottrina- cui ci si allinea- definisce il contratto come "il principale strumento della innovazione giuridica, fonte di diritto nuovo", stante l’insufficienza dei meccanismi e strumenti predisposti dagli ordinamenti in ordine alla regolamentazione del commercio, in ragione della trans-nazionalità che li caratterizza.
Si può parlare di un sistema contrattualizzato delle relazioni, ovvero di una contrattualizzazione delle relazioni.
Anche la costante giurisprudenza di legittimità abbraccia il concetto di societas mercantile e la prova dell'esistenza di quanto sostenuto è la prassi secondo la quale gli uffici legali delle multinazionali predispongono dei contratti quadro, riconducibili alla figura del contratto normativo, che sottopongono poi anche alle controllate, realizzando così una uniformità normativa che, anche qualora si riuscisse a realizzare
11 Cfr. BAREL-ARMELLINI, Diritto internazionale privato, Milano, 2011, p. 21 ss.; NOVELLI, Diritto internazionale privato e commerciale, Napoli, 2010, p. 64 ss.; BALLARINO, Diritto internazionale privato, Napoli, 2011, p. 119 ss.; MENGOZZI, Il diritto internazionale privato italiano, Napoli, 2004, p. 150 ss; LOTTI, L’ordine pubblico internazionale. La globalizzazione del diritto privato ed i limiti di operatività degli istituti giuridici di origine estera, Milano, 2005, p. 370; PAGANO, Lezioni di diritto internazionale privato, Napoli, 200, 172 ss, XXXXXX , La riforma italiana del diritto internazionale privato, Padova, 1998, p. 115; POCAR, Il nuovo diritto internazionale privato italiano, Milano, 1997, pp. 38 ss.
percorrendo la via delle riforme degli ordinamenti statali, richiederebbe sforzi incommensurabili.
Altra parte della dottrina12 rileva invece come il fenomeno portasse ad uno svuotamento del potere di controllo degli Stati sulle imprese, dal momento che le medesime erano ormai in grado di assumere una dimensione transnazionale e di eludere le limitazioni imposte loro dagli Stati.
In particolare gli aspetti più preoccupanti sono da ricercarsi nella possibilità per le imprese di spostare la produzione dove la manodopera è reperibile a basso costo e la possibilità di eleggere domicilio o costituire sedi fiscali in territori dove tradizionalmente il gettito fiscale e tributario è inferiore.
La dottrina economica , in proposito, può forse risultare di qualche aiuto nella comprensione del fenomeno in oggetto.
Non è fuori luogo citare in proposito la celebre teoria economica prospettata da Xxxx Xxxxx.(NOTA)
Nella teoria dei vantaggi assoluti si illustra- come da rappresentazione grafica di seguito riportata- come in un modello costituito di due paesi (A e B) e di due beni (C e D) dove A è più efficiente di B nella produzione di C e B è più efficiente di A nella produzione di D, entrambi traggano vantaggio nello specializzarsi nella produzione del bene per cui sono più efficienti procurandosi l'altro attraverso l'importazione.
A>B € C B>A € D
In realtà tale tesi è sul piano pratico superata dalla successiva dottrina economica. In particolare Xxxxx Xxxxxxx(NOTA) introduce la teoria dei
00 Xxx. Xxxx ,Xxx cos'è la globalizzazione: rischi e prospettive della società planetaria, Milano, 1999, p. 180 ss.
vantaggi comparati, dimostrando che, nello schema A,B,C,D di cui sopra, anche qualora un paese sia più efficiente dell'altro nella produzione di entrambi i prodotti, è preferibile che si specializzi in quello tra i due nel quale è più efficiente in modo da poter dedicare tutto il tempo e le energie a sua disposizione a tale prodotto, aumentandone notevolmente la qualità.
Anche il modello della proporzione dei fattori, detto anche modello di Heckscher- Xxxxx (NOTA), sottolinea la necessità che i mercati siano strutturati su scala globale. I fattori produttivi sono ridotti a due: il lavoro e il capitale. Ne deriva pertanto che più un paese avrà a disposizione forza lavoro, tanto più il costo della stessa sarà basso. All’inverso, tanto più un paese sarà in possesso di capitali e tanto più il costo di questi sarà basso.
Conseguenza naturale di quanto affermato è che un paese è portato ad esportare i prodotti per la cui produzione si sfruttano maggiormente il fattore produttivo di cui è più fornito.
Nell’indagine del fenomeno della globalizzazione, e con particolare attenzione rispetto alla realtà delle reti di impresa che qui interessa, è necessario interrogarsi circa le cause che hanno condotto a tale situazione economica.
In particolare, essa sarebbe il risultato della combinazione di diversi elementi, emersi- secondo alcuni- già a partire dal XIX secolo13. In primo luogo, la rivoluzione tecnologica, che ha generato un esponenziale miglioramento della capacità di trasferire beni e servizi su scala mondiale.
In secondo luogo, viene in rilievo la finanziarizzazione dell’ economia, per cui si può parlare di globalizzazione finanziaria.
Da ultimo, il ruolo dell’informazione, con il conseguente sviluppo delle
13 Cfr. Xxxxxxx, La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, trad. it., Torino, 1974, p. 13 ss.
attività di ricerca di mercato, marketing, comunicazione d’impresa che hanno reso meno vischiosi i mercati.
Di tali aspetti si darà criticamente conto nei paragrafi successivi.
1.1 Il ruolo dell’evoluzione tecnologia sui mutamenti economici
Non si può negare il ruolo della rete in questi processi di integrazione e globalizzazione su scala mondiale, in quanto hanno reso possibile l’abbattimento delle frontiere spaziali di operatività delle imprese, da un lato, e consentito e ravvivato un circuito informativo all’interno del mercato stesso14.
Internet ed i suoi sviluppi hanno avuto un ruolo predominante. Interconneeted Networks o -più comunemente- Internet è definito dalla dottrina15come "la più grande invenzione degli ultimi decenni, quella che segna il passaggio al nuovo secolo (o forse addirittura al nuovo millennio)" comporta la "possibilità per ciascuno di condividere conoscenze ed esperienze con l'umanità intera".
Gli studi che portarono alla nascita di internet sono da attribuirsi a J.C.R. Xxxxxxxxx, direttore, nel 1962 di ARPA (Advanced Research Projects Agency) agenzia facente capo al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e dalle cui ricerche si sviluppo ARPAnet, rete che, iniziando con il collegare alcune università, può essere considerata la progenitrice di Internet.
I principali servizi che Internet era in grado di offrire erano la possibilità di accesso tra computer remoti e la posta elettronica.
14 Cfr. Ferrarese, CFR Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, 2000
15 Cfr. Jori, L'informatica giuridica e le tecnologie dell'informazione, Torino, 2010, p. 145 ss.
Ciò si traduceva, dal punto di vista dell'impresa, nella possibilità di comunicare tra le varie sedi dislocate in tutto il mondo senza la necessità di sostenere i costi legati alle trasferte, con un immediato netto abbattimento degli stessi
Prima del 1991, data in cui World Wide Web (WWW) è stato reso disponibile, Internet era uno strumento utilizzato dagli addetti ai lavori e richiedeva, per il suo utilizzo, cospicue nozioni informatiche.
L'ultimo livello evolutivo raggiunto da Internet é il Web 2.0, il Web attivo, caratterizzato dall'estrema semplicità con la quale ogni utenti può esprimersi, assumendo, dunque, quel ruolo attivo che WWW non prevedeva.
Web 2.0 è il web contemporaneo, alla portata di ogni utente.
I risvolti dal punto di vista economico ed imprenditoriale sono tutt’altro che risibili. Chiunque può predisporre un'attività commerciale e proporre i propri beni o servizi a livello globale, i dipendenti di diverse filiali di un'azienda possono partecipare alla redazione di progetti senza la necessità di incontrarsi fisicamente ma semplicemente utilizzando infrastrutture come wiki16, etc., con conseguenze dirompenti sul piano economico e finanziario.
1.2 Il ruolo dell’informazione nell’attività d’impresa
Nell’esercizio dell’attività d’impresa, anche e soprattutto in relazione al fenomeno delle reti, appare di fondamentale importanza il dato della comunicazione.
E’ noto come ormai i dati costituiscano un bene giuridico ai sensi degli artt. 810 e 814 c.c. suscettibili di valutazione economica.
16 .Un wiki è un sito che permette agli utenti (l'accesso può essere aperto o ristretto, ad esempio ai soli dipendenti di una certa azienda) di partecipare attivamente alla redazione di un documento.
In realtà, l’apporto alla rete di sofisticate strategie comunicative e di marketing può influire significativamente sull’implementazione della struttura.
Lo scenario tradizionale delle relazioni comunicative commerciali ha subito novità significative.
Al cambiamento della struttura della comunicativa pubblicitaria non sempre a destinatario plurimo, ma tendente ad instaurare relazioni interpersonali con il singolo, si aggiunge l’aumento della capacità di trasmissione della radio e televisione, nonché la capacità delle reti di telecomunicazioni di veicolare programmi tradizionalmente radiotelevisivi.
La modificazione strutturale delle comunicazioni commerciali ha una diretta incidenza sulla tradizionale distinzione tra obblighi di informazione nella fase precontrattuale e le comunicazioni d’impresa,.
Le strategie di marketing diretto, diversamente dalla comunicazione di massa a flusso informativo unidirezionale , instaurano una relazione interpersonale a struttura colloquiale.
Detta relazione comunicativa, sebbene significativamente diversa da quella unilaterale, può trasmettere informazioni ingannevoli o comunque fuorvianti il processo volitivo di scelta del prodotto.
A ciò si aggiunge il data minino attraverso i c.dd. cookies, i chips inseriti nei prodotti e le altre tecniche finalizzate alla definizione dei profili di consumatori-tipo.
La c.d. profilazione consente, da un lato, di indirizzare la produzione di beni personalizzati adattati alle esigenze del singolo, dall’altro, di aggredire il singolo consumatore con relazioni interpersonali di promozione pubblicitaria mirata. La profilazione anche on line permette di raccogliere dati ed informazioni sui comportamenti degli acquirenti ed utilizzatori da elaborare per orientare i consumi.
Il profiling permette all’impresa di conformare il prodotto alle esigenze di un target di consumatori e di incentivare nuovi consumi adattando la produzione alle esigenze del mercato finale.
La moltiplicazione degli strumenti di comunicazione utilizzabili dalle imprese ha determinato una pluralità di forme di contatto con il mercato che vengono adottati in combinazione fra loro.
Il mix di strumenti adottati comprende le sponsorizzazioni, il direct marketing, le televendite, i media relations, il packaging, fino agli allestimenti nei punti vendita.
A ciò si aggiungono le tecnologie di CRM che hanno ampliato detto strumentario con i database, call-center e siti web che permettono comunicazioni di tipo bidirezionale.
Tali tecnologie digitali assecondano la tendenza che spinge alla creazione di rapporti di massa “personalizzati” finalizzati alla fidelizzazione della clientela.
Il fenomeno considerato delle tecniche di personalizzazione delle comunicazioni commerciali incide ancor di più sulla capacità di autodeterminarsi negli acquisti di beni e servizi e sulla sfera privata del singolo con una violazione dei suoi dati personali.
Occorre poi prendere in considerazione un altro aspetto: i mutamenti nelle modalità e nei mezzi utilizzati, con riferimento al target di potenziali clienti-consumatori destinatari dell’offerta dell’impresa.
Ad esempio l'uso di internet procura una più intensa commistione fra promozione e informazione e sembra rendere assai meno precise e rigo- rose le fasi dell’ invito all'acquisto, dando al consumatore la sensazione di essere un soggetto attivo e lontano dalla massa attraverso il passaggio della comunicazione da broadcasting a narrowcasting. Appare ineludibile affiancare a questi mutamenti una nuova forma di educazione che consenta al consumatore di divenire sempre più soggetto attivo del mercato, titolare di scelte che possono incidere sul comportamento delle
imprese, ricostituendo una corretta relazione fra titolari della domanda e titolari dell'offerta. Su questo in definitiva si fondano le risorse di fiducia a disposizione delle imprese.
Il rispetto della trasparenza e della correttezza del comportamento e delle informazioni si impongono già nella fase del contatto commerciale in considerazione delle forme con cui professionista e consumatore vengono in contatto
Sarà proprio in questa fase che deve valutarsi la correttezza del comportamento del professionista, dato che proprio su questa fase si concentra uno dei momenti fondamentali per la scelta di assumere o no una determinata decisione di natura commerciale da parte del consumatore, o di compierla a certe condizioni
Si tratta quindi di strumenti di valutazione che incidono sulla forma attraverso la quale vengono fornite determinate informazioni, ma in maniera molto più penetrante incidono sulle modalità con cui viene sollecitato l'interesse del consumatore ad una determinata operazione commerciale; di conseguenza, si dovranno valutare non solo la quantità delle informazioni, ma la loro qualità, le modalità più o meno persuasive con le quali vengono fornite, eventuali reticenze ed omissioni, e così via. Non è infatti fuori luogo ricordare che “il consumatore non si avvantaggia necessariamente di una maggiore libertà di scelta poiché non è in grado di recepire le informazioni relative ai prodotti, anzi un eccesso in tal senso rischia di essere controproducente, favorendo la selezione casuale delle informazioni o, peggio, inducendo una certa confusione.”17
17 XXXXXXXX, “Information Load and Consumer Decision Making”,in Journal of Consumer Research, 1982, pp.419-430
1.3 Il ruolo del mercato finanziario
Con il termine in epigrafe si designa l’incremento dei movimenti internazionali di capitali tra i Paesi sviluppati e tra questi ultimi e i Paesi in via di sviluppo (PVS), le cui dimensioni inducono a riconoscere come oggi i mercati finanziari siano più di ogni altro settore interessati dal processo di globalizzazione18.
Tale evoluzione è anche il risultato delle politiche nazionali di deregolamentazione e liberalizzazione dei trasferimenti di capitali adottate dalla fine degli anni '80 del XX secolo, in una prima fase nei Paesi ad alto reddito e, successivamente, anche in quelli ad economica emergente e nei PVS19, i cui contenuti sono stati determinati anche dalla necessità di dare attuazione ad impegni contemplati da accordi internazionali, conclusi su scala bilaterale, regionale o multilaterale.
All'origine della disciplina dei mercati finanziari intesa in senso moderno vi è la normativa elaborata negli Stati Uniti a seguito della «Grande depressione» iniziata nel 1929. In quell’occasione il mercato si era mostrato non sempre in grado di «autoregolarsi» e di condurre a posizioni di equilibrio, diversamente da quanto proponeva la dottrina liberista cui si erano ispirati i governi nazionali delle principali potenze economiche. L'intervento pubblico, anche nelle forme di una maggiore regolamentazione, appariva dunque necessario per correggere i c.d.
18 Cfr. Bussani, Il diritto dell'Occidente. Geopolitica delle regole globali Torino, 2010; Cassese, La crisi dello Stato Roma-Bari, 2002; Id. , Lo spazio giuridico globale Xxxx- Xxxx, 0000, rist. 2006; Id. , Oltre lo Stato Roma-Bari, 2006; Id. , Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre lo Stato Torino, 2009; Xxxxx Xxxxxxx, Al di là dei confini statuali. Principi generali del diritto pubblico globale Bologna, 2009;
19 Cfr. V. L. XXXXX, Il sistema finanziario globale, trad. it., Milano, 2002, p. 209 ss. e
X. XX XXXXXXXXXX, X. XXXX, Globalizzazione, in Riv. pol. ec. 2002, p. 139 ss., p. 162 ss. XXXXXX, Economia politica globale. Le relazioni economiche internazionali nel XXI secolo, trad. it., Milano, 2001, p. 269
«fallimenti del mercato» ed evitare il ripetersi di recessioni nelle economie nazionali.20
La regolamentazione del mercato parte dalla considerazione che nei mercati finanziari si realizzano condizioni di «asimmetria informativa», per le quali le decisioni di investimento e di raccolta del risparmio sono adottate dai soggetti coinvolti sulla base di assetti informativi non omogenei. Da qui la necessità di regimi normativi orientati al perseguimento di una maggiore trasparenza e di un'adeguata tutela degli investitori.
Al contempo, vi è anche l'esigenza di assicurare la stabilità dei mercati, soddisfatta anche con l'introduzione di strumenti normativi atti a impedire che crisi di singoli operatori possano dare origine a crisi sistemiche, che non hanno semplicemente luogo all'interno dei mercati finanziari nazionali, ma che piuttosto interessano il sistema finanziario nel suo complesso.
Il rischio ha natura sistemica quando uno shock economico provoca la crisi dei mercati finanziari, il fallimento a catena delle istituzioni ivi operanti, o forti perdite a carico di più istituzioni finanziarie, con conseguente aumento del costo del capitale o una riduzione della disponibilità del medesimo sui mercati, con probabili ripercussioni sulla più generale attività economica. La realizzazione degli interessi indicati si traduce nell'adozione di regimi giuridici che stabiliscono i requisiti che gli emittenti e le istituzioni finanziarie devono soddisfare per accedere ai mercati rilevanti e che propongono una disciplina sul funzionamento di questi ultimi, sulla condotta delle società di investimento, sulle caratteristiche degli strumenti finanziari e, infine, inerenti all'esercizio di poteri di controllo da parte di autorità nazionali a ciò preposte21.
20 Cfr. ONADO, Economia e regolamentazione del sistema finanziario, II ed., Bologna, 2008, p. 87 ss
00 Xxx. X.X. XXXXXXXX, Xxxxxxxx Xxxx, xx Xxxxxxxxxx XX 2008, p. 193 ss., p. 207
La possibilità per gli operatori economici di agire su mercati diversi da quello di origine, senza dover rispondere a un obbligo di stabilimento, è stata d'altro canto favorita dalle innovazioni nel campo delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni, le quali, consentendo trasferimenti istantanei di ricchezza tra mercati anche geograficamente lontani, hanno determinato una riduzione dei costi delle transazioni finanziarie internazionali.
Parimenti, le frontiere aperte dalla tecnica finanziaria sono all'origine di strumenti contrattuali innovativi e di nuove forme organizzative. Sotto il primo profilo, si assiste alla diffusione degli strumenti finanziari c.d. derivati, collocati sul mercato in un'ottica di gestione del rischio, ma anche nel perseguimento di finalità speculative, il cui valore si basa sul prezzo di un'attività sottostante (quali titoli azionari o obbligazionari, tassi di interesse o di cambio); una successiva evoluzione è data dal diffondersi degli strumenti di c.d. finanza strutturata, titoli di debito per i quali il rendimento, se non anche la restituzione del capitale, è collegato alle variazioni del prezzo di altre attività finanziarie dagli stessi incorporate22. Di pari passo sono intervenute modifiche nel settore bancario.
Alle tradizionali banche commerciali, dedite alla raccolta di depositi e alle operazioni di prestito, si sono affiancate le banche c.d. «universali», la cui attività caratteristica include anche la prestazione di servizi di investimento.
22 Cfr. FOSCHINI, Il diritto del mercato finanziario, Milano, 2008, p. 140 ss.; M. ONADO, Economia e regolamentazione, cit., pp. 303 ss. e 327 ss. V. anche X. XXXXXXXXXX, Strumenti finanziari e mercato mobiliare, Milano, 2005, p. 228 ss.
20 Cfr. X. XXXXX, Economia e regolamentazione, cit., p. 188. V. anche X. XXXXXX, X. XXXXXXX, Structured Investment Vehicles - The dullest Business on the Planet?, in CMLJ 2009, p. 376 ss., p. 379. Sul collegamento tra l'affermarsi del modello indicato e il diffondersi delle operazioni di cartolarizzazione, v. S.L. XXXXXXXX, The Global Alchemy of Asset Securitization, in Int'l Fin. L. Rev. 1995, p. 30 ss. e ID., The Universal Language of International Securitization, in Duke X. Xxxx. Int'l L. 2002, p. 285 ss
21 Cfr. ZOROMÉ, Concept of Offshore Financial Centers: In Search of an Operational Definition, IMF Working Paper WP/07/87, April 2007. V. T. XXXXXX, The Transformation of U.S. Banking and Finance: from Regulated Competition to Free- Market Receivership, in Brooklyn LR 1995, p. 1295 ss., p. 1307 ss.
Si è dunque passati sostanzialmente da un modello di business orginate- and-hold, nel quale le banche conservano la titolarità dei prestiti accordati fino a quando questi non giungono a scadenza (sostenendo così il rischio connesso a ogni singola operazione finanziaria), a un modello orginate- and-distribute, ove i prestiti erogati sono trasferiti a soggetti terzi, con un indebolimento della fase di valutazione del «merito del credito23.
Parimenti rilevante è l'operare sui mercati finanziari di istituzioni costituite in Paesi considerati centri off-shore, sottoposte oltre che ad un regime fiscale particolarmente favorevole, anche ad una normativa prudenziale e di tutela dell'investitore poco restrittiva24
In tale contesto, pare ovvio ritenere che una posizione di insolvibilità di questi fondi, soprattutto se di dimensioni considerevoli, possa trasmettersi al mercato creando forti condizioni di instabilità25
2. Delocalizzazione della produzione
La delocalizzazione è un fenomeno favorito dalla globalizzazzione che permette la libera circolazione di flussi di capitali, intendendosi con ciò il trasferimento della produzione di beni e servizi in altri paesi, in genere in via di sviluppo o in transizione26.
In senso stretto, ci si riferisce ad uno spostamento della produzione da
22 DAL BOSCO, La leggenda della globalizzazione, Torino, 2004, p. 58 ss. e M.J. XXXXXXX, “Investor Protection”, cit., p. 171. Con riguardo agli hedge funds stabiliti nell'Unione europea o i cui gestori operano nel territorio UE, v. T. XXXXXXXXXXXXX, X. XXXXXXX, Hedge Funds and their Implications for Financial Stability, European Central Bank Occasional Paper Series no. 00, Xxxxxxxxx xx Xxxx, 0000.XXXXXXX, The Internationalization of Capital, in X. XXXXXXXX et al. (eds.), Change and Continuity in Contemporary Capitalism, New York, 1999, p. 36 ss. V. anche la valutazione in M.A. XXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXX, S.-X. XXX, Financial Globalization: A Reappraisal, IMF Working Paper WP/06/189, Washington D.C., 2006.
26 Cfr. MENESINI, Il diritto al mercato come nuovo diritto soggettiv,in Governo dell’impresa e mercato dele regole, a cura di X.XXXXX, Milano, 2002, p.423 ss.o
imprese poste sul territorio di un determinato paese ad altre localizzate all'estero.
La valutazione in ordine allo spostamento della propria filiera produttiva, specialmente verso paesi in via di sviluppo, è dettata da considerazioni di tipo economico-speculativo.
I costi riconducibili allo spostamento ed alla necessità di trasportare le merci vengono compensati dall'abbattimento dei costi di produzione al punto tale che, al momento della distribuzione del prodotto nel mercato, l’ impresa ottiene un profitto notevolmente più alto.
Conducendo un’analisi costi-benefici su base economica, si ricava il seguente quadro.
Tra i principali vantaggi della delocalizzazione, tutti ad appannaggio dell'impresa, si ravvisa pertanto:
1) riduzione dei costi di produzione;
2) manodopera a basso costo;
3) agevolazioni e semplificazioni finanziarie che i paesi in via di sviluppo offrono alle imprese affinchè esse insedino nei loro territori gli stabilimenti.
Per contro, la delocalizzazione comporta dei rischi piuttosto intuibili e prevedibili per le imprese e ulteriori rischi per il paese di provenienza.
In particolare, si segnalano:
1) aumento dei costi logistici;
2) rischio perdita o depauperamento di know how ( si rinvia al riguardo alla trattazione della tematica delle risorse di fiducia dell’ imprenditore, di cui infra);
3) perdita di controllo della qualità ( si rinvia in proposito alla trattazione della tematica del made in Italy di cui infra);
4) perdita di produzione 'durante il trasferimento.
In ordine ai rischi in capo al Paese d’origine, principali e più preoccupanti sono quelli legati alla riduzione del livello di occupazione
e dal mancato introito fiscale che l'erario non percepisce per i comparti produttivi che non sono situati nel territorio italiano
D’altra parte, sotto la spinta della rivoluzione tecnologica innescata dallo sviluppo e dalla diffusione dell'informatica e della telematica, dell'altalena ciclica dei prezzi dei prodotti petroliferi, della progressiva apertura dei mercati determinata dagli accordi per la liberalizzazione degli scambi commerciali, non è solo divenuta più aspra la competizione tra le economie già sviluppate, ma si è aperta la strada anche alla crescente pressione della concorrenza dei Paesi di più recente industrializzazione.
Proprio in questo contesto si inserisce il fenomeno della delocalizzazione delle manifatture, in diversi casi per interi settori industriali, in Paesi nei quali i costi e le tutele del lavoro sono enormemente più bassi di quelli esistenti nei Paesi sviluppati.
Mantenendo nei Paesi maggiormente sviluppati il governo dei gruppi e le funzioni più specializzate del processo industriale, come la progettazione e il design, la finanza, lo sviluppo dei marchi e il marketing.
In questo modo si è concentrato in pochi centri qualificati del pianeta il sistema di attività quaternarie, cioè attività di alta direzione.
Questo fenomeno, peraltro, laddove ve ne erano le condizioni sociali e culturali di contesto, ha accelerato la nascita e la crescita di gruppi imprenditoriali locali in grado di gestire in proprio l'intero processo produttivo, gruppi che hanno progressivamente affiancato sul mercato mondiale - e per alcune produzioni addirittura superato - i produttori dei Paesi maggiormente sviluppati.
Ma, alla ricerca di maggiore efficienza dei processi produttivi e di maggiore qualità nei prodotti finiti, l'organizzazione produttiva e distributiva ha conosciuto mutamenti profondi anche quando le produzioni non sono state delocalizzate.
Si pensi al decentramento della fabbricazione di quote importanti della componentistica verso soggetti specializzati che operano per conto di più committenti, abbattendo così i costi unitari di produzione. Ne è esempio tipico, ma non certamente isolato, l'industria automobilistica poiché in realtà il fenomeno interessa oggi non solo i grandi gruppi industriali, quali sono in genere i produttori di automobili o di veicoli industriali, ma anche soggetti di medio-grandi e di medie dimensioni operanti in tanti altri settori industriali.
Ed ancora, in relazione alla crescita dell'importanza, della complessità e del valore per il consumatore finale delle attività di servizio integrate nella produzione, si è sviluppata la tendenza alla loro esternalizzazione attraverso l'affidamento a imprese maggiormente in grado di progettare e gestire soluzioni innovative in quanto hanno identificato in quelle attività il proprio core business.
Si tratta di un processo di dimensioni mondiali che vede coinvolti e legati insieme sia i Paesi più sviluppati che quelli di recente industrializzazione, e genera un effetto a catena che coinvolge l’intero mondo economico.
In effetti termini come delocalizzazione, decentramento produttivo, esternalizzazione, sono entrati a far parte non solo del lessico economico, ma - nella cornice concettuale della paventatissima globalizzazione - anche del linguaggio comune.
I processi di delocalizzazione possono indebolire il patrimonio industriale dei Paesi avanzati e incidono direttamente sull'occupazione nei settori nei quali generalmente più forti sono le tutele del lavoro.
Il decentramento e la frammentazione delle produzioni in unità più piccole e specializzate, talvolta anche fisicamente molto distanti può anche comportare forme di mobilità alle quali in particolare le società europee sono meno abituate.
L'esternalizzazione delle attività di servizio modifica a fondo le modalità di gestione dei processi industriali, comporta e richiede lo sviluppo di spiccate capacità di flessibilità operativa, e porta con sé, generalmente, lo spostamento di lavoratori in imprese dove più debole è la tutela sindacale.
Decentramento produttivo ed esternalizzazione non sono in sé negativi. Xxxx, se ben regolamentati e condotti sono utili soluzioni per evitare la chiusura o la delocalizzazione di impianti o di intere produzioni.
Se gli obiettivi perseguiti sono - oltre al contenimento dei costi - anche la ricerca di maggiore efficienza nei processi produttivi e di maggiore qualità nei prodotti finiti, servono ad arricchire il patrimonio imprenditoriale del sistema-Paese, poiché creano le condizioni per lo sviluppo di imprese specializzate e capaci di innovazione.
Sotto quest'ultimo profilo occorre rilevare tra gli elementi di ritardo del nostro modello economico anche il basso livello di esternalizzazione delle attività di servizio da parte sia del sistema produttivo che di quello distributivo.
Ai fini della comprensione della dimensione generale del fenomeno di cui si sta parlando, appare utile evidenziare come il valore complessivo di tutti i servizi affidati in outsourcing sia stimato, con riferimento al 2003, in 448 miliardi di Euro per gli Stati Uniti, e in 343 miliardi per l'Europa, dove i Paesi leader sono la Gran Bretagna in primo luogo, e poi, con un consistente distacco, la Germania. L'Italia segue a distanza, insieme alla Francia, con 23 miliardi di Euro di valore annuo dei servizi esternalizzati.
Di outsourcing si tende a parlare innanzitutto in relazione alle attività più direttamente legate alle ICT. Per esse, anzi, si assiste frequentemente ad un fenomeno di tipo totalmente nuovo: la dislocazione dei centri di servizio anche a grandi distanze dagli utilizzatori, che rappresenta un nuovo capitolo della delocalizzazione
verso Paesi che offrono costi del lavoro più bassi, e però dispongono anche di sistemi scolastici avanzati.
Ma, in realtà, l'outsourcing coinvolge principalmente servizi di tipo tradizionale, in particolare quelli per i quali l'affidamento esterno a soggetti specializzati riesce a determinare condizioni di sviluppo innovativo, modificando a fondo sia le modalità di erogazione che l'efficienza e la qualità delle prestazioni.
Particolarmente interessanti, ed emblematici, sono al proposito i casi della logistica e del facility management.
Una recente indagine sull'esternalizzazione delle attività di logistica ha evidenziato come il fenomeno sia in rapida crescita in tutti i grandi Paesi industriali, ma con tassi di penetrazione assai diversificati. In Gran Bretagna e in Francia ricorrono infatti all'outsourcing oltre un terzo delle imprese, in Italia meno di un sesto.
Risultati similari si riscontrano ancora in relazione alle attività di facility management, che pure stanno crescendo rapidamente in tutti i Paesi sviluppati. Il valore del mercato europeo del facility management nel 2003 è stato di 16 miliardi di Euro. Di questi 16 miliardi, oltre 9 erano realizzati in Gran Bretagna, poco più di 3 in Germania, e poco meno di uno in Francia ed Italia. La crescita stimata porta ad un valore complessivo del mercato europeo a 20 miliardi nel 2006, con un tasso di incremento per la Gran Bretagna più che proporzionale rispetto a tutti gli altri Paesi.
Per evitare che questi processi producano crescita delle attività sommerse e del lavoro nero o precario e vadano invece nella direzione del recupero di efficienza e di qualità, occorre creare la giusta cornice normativa e incentivare i comportamenti virtuosi dei soggetti interessati, imprese e lavoratori.
Sotto il primo profilo, la recente riforma del mercato del lavoro, con le norme relative alle cessioni dei rami d'azienda e agli appalti di servizi,
costituisce un passo nella giusta direzione, poiché ha ampliato e semplificato le possibilità di ricorso a queste tipologie di contratto, rafforzando nel contempo il deterrente costituito dalle sanzioni per i casi di impiego fraudolento o irregolare. Aggiungiamo che, rispetto alle ipotesi inizialmente formulate, la stesura finale delle norme ha ben tenuto conto del diverso potenziale che offrono questi istituti in direzione di un effettivo arricchimento del tessuto imprenditoriale, rispetto al contratto di somministrazione di manodopera a tempo indeterminato.
Ora è però urgente rafforzare ed estendere il sistema degli ammortizzatori sociali che privilegia oggi i lavoratori delle imprese industriali, in modo da favorire e tutelare la mobilità verso le attività di servizio. E occorre rimuovere incomprensibili penalizzazioni per le imprese dei servizi, quale quella, solo italiana, di riconoscere loro la dimensione di piccola e media impresa - determinante nel quadro giuridico comunitario per l'accesso agli incentivi - a condizioni più rigide di quelle dettate per le imprese industriali.
Un ruolo importante spetta infine anche alle parti sociali, alle quali è richiesta, in relazione a queste tematiche, l'elaborazione di una diversa sensibilità, nella consapevolezza che lo sviluppo di una efficiente rete di imprese di servizi accresce le condizioni di attrattività per l'insediamento di iniziative imprenditoriali provenienti da altri Paesi.
E dunque che gli imprenditori sappiano comprendere i vantaggi a medio lungo termine di questi processi, e non si fermino ai risparmi di breve momento; che i sindacati dei lavoratori sappiano cimentarsi su queste questioni guardando anch'essi ai vantaggi di medio periodo e non solo alle conseguenze immediate.
La delocalizzazione non è infatti un processo a senso unico che sposta attività dai Paesi ricchi ai Paesi a basso costo del lavoro. Sia per le attività industriali che per le attività commerciali e di servizio, avviene
anche da Paese sviluppato a Paese sviluppato e talvolta anche, per consolidare nuovi spazi di mercato, da Paesi in via di industrializzazione a Paesi già industrializzati. Ovviamente le scelte per gli insediamenti misurano e confrontano i vantaggi di contesto offerti dalle varie opzioni disponibili. Uno di questi vantaggi è proprio la qualità della rete dei servizi. Nell'industria automobilistica - per ricorrere ad un esempio ben noto - la filosofia della Toyota, "progettare e produrre là dove si vuole vendere", si è rivelata vincente, ma non ha premiato l'Italia; nei traffici marittimi e nei servizi portuali le grandi compagnie di navigazione e i gestori asiatici scelgono gli approdi più efficienti.
Infine, non possono non prendersi in considerazione le possibilità, e le convenienze, dell'outsourcing nel settore pubblico.
Anche in questo contesto si segnala che vi è ancora grande spazio per processi di esternalizzazione virtuosi sotto il profilo dei costi e dell'efficienza, che avrebbero generalizzato ricadute positive sulle collettività e sul sistema imprenditoriale nazionale.
Ma occorre rimuovere vincoli e cattive prassi.
I vincoli sono quelli che, in particolare per i servizi pubblici locali, favoriscono l'affidamento diretto a soggetti controllati dalle pubbliche amministrazioni, impedendo il pieno dispiegamento della concorrenza tra tutte le imprese interessate.
Le cattive prassi, quelle che privilegiano procedure concorsuali al massimo ribasso, impongono tempi di pagamento intollerabilmente lunghi, e tollerano irregolarità sia nelle prestazioni affidate che nei trattamenti dei lavoratori impiegati, creando così le condizioni per il proliferare delle imprese meno strutturate e meno serie27.
27 Da oltre un decennio USA ed Europa non fabbricano televisori, ed i relativi marchi sono stati ormai sostituiti dai nuovi produttori asiatici; l'IBM ha abbandonato la produzione di hardware cedendo gli impianti al principale competitore cinese; la fabbricazione di quote importanti della componentistica, si pensi all'industria
Da oltre un decennio USA ed Europa non fabbricano televisori, ed i relativi marchi sono stati ormai sostituiti dai nuovi produttori asiatici; l'IBM ha abbandonato la produzione di hardware cedendo gli impianti al principale competitore cinese; la fabbricazione di quote importanti della componentistica, si pensi all'industria automobilistica, è decentrata a soggetti specializzati che operano per conto di diversi committenti. Partendo dal riscontro di situazioni concrete ed emblematiche, l'A. offre un'analisi dei processi di delocalizzazione, di decentramento produttivo ed esternalizzazione, termini - spesso caricati di significati negativi - ormai entrati nel linguaggio comune.
A fronte di tali profondi e continui mutamenti del modello produttivo globale, l'Italia stenta a tenere il passo, soffrendo, più di ogni altro Paese europeo, la concorrenza mossa da Paesi di più recente industrializzazione: gruppi importanti dell'industria, del credito, della distribuzione sono entrati in crisi; alcuni scomparsi; altri sono entrati nell'orbita di gruppi stranieri; altri stentano a tenere il passo con i competitori, vecchi e nuovi, ed hanno perso comunque quote importanti dei loro mercati, sia in Italia che all'estero. Il sistema delle PMI, che a lungo ha caratterizzato positivamente la nostra economia, non tiene il passo con l'innovazione. Si impone pertanto lo sviluppo di un moderno disegno di politica industriale, che comporti lo spostamento delle nostre specializzazioni verso produzioni meno sensibili alla mera concorrenza del prezzo, elevando qualità ed appetibilità dei prodotti; occorre inoltre un progetto di sostegno alla crescita dimensionale delle imprese italiane.
automobilistica, è decentrata a soggetti specializzati che operano per conto di diversi committenti. Partendo dal riscontro di situazioni concrete ed emblematiche, è possibile condurre un'analisi dei processi di delocalizzazione, di decentramento produttivo ed esternalizzazione, termini - spesso caricati di significati negativi - ormai entrati nel linguaggio comune.
In tale ottica si sottolinea l'importanza degli strumenti di decentramento ed outsourcing che, se ben regolamentati e condotti, sono - anche nel settore pubblico - utili soluzioni per evitare la chiusura o la delocalizzazione di impianti o di intere produzioni; processi che necessitano, tuttavia, di una corretta cornice normativa e del comportamento virtuoso delle parti sociali, delle imprese e dei lavoratori.
3. Il processo di internazionalizzazione
Un altro importante fattore da prendere in considerazione è rappresentato dall’ internazionalizzazione.
I processi di internazionalizzazione stanno avendo profondi riflessi sui modelli organizzativi delle singole imprese e, quando esistenti, delle reti. Accanto al gruppo transnazionaie si è sviluppata la rete. L'affermazione del modello reticolare ha comportato l'adozione di nuovi modelli di collaborazione tra PMI sul piano nazionale e transnazionale.
Si tratta di relazioni con caratteristiche diverse rispetto a quelle tipicamente operanti nei contesti distrettuali tradizionali. Questa diversità ha prodotto l'impiego di nuovi modelli contrattuali.
Ma appare di tutta evidenza il problema della disciplina applicabile a tali rapporti, connotati da elementi di estraneità.
Una prima indicazione può forse derivare dal ricorso alla lex mercatoria28.
La lex mercatoria si sviluppa intorno al modello delle grandi imprese mentre le differenze istituzionali permangono con riferimento alle PMI. Occorre però distinguere tra:
28 Cfr. XXXXXXX-MARRELLA, Diritto del commercio internazionale, Padova, 2007; MARRELLA, La nuova lex mercatoria
1) la dimensione nazionale,
2) la dimensione europea29,
3) le dimensione intercontinentale.
Un ruolo rilevante hanno con riferimento al secondo e terzo profilo il diritto internazionale privato, la cui legge fondamentale per l’Italia è la 218 del 1995.
Tale normativa, per le obbligazioni contrattuali, richiama la Convenzione di Roma ed il regolamento Roma l.
In assenza di riferimenti specifici alle reti contrattuali, si deve ritenere che la disciplina applicabile sia quella generale riguardante i contratti, prevista in via generale dall’art. 57 della sopracitata legge, che rinvia ai criteri della Convenzione.
La scelta del diritto applicabile spetta alle parti e, solo in mancanza di indicazioni, vengono definite regole che fanno riferimento alla prestazione caratteristica.
In realtà tale criterio, pensato per contratti bilaterali essenzialmente di vendita, mal si attaglia a fenomeni reticolari in cui l'elemento connotante è l'interdipendenza.
Infatti non esiste una regola specifica per i contratti plurilaterali ai quali, dunque, si applica la disciplina generale pensata per i contratti bilaterali, sebbene la nozione di prestazione caratteristica possa avere diverso significato in questo contesto.
L'introduzione di un regime specifico per le reti transnazionali alla quale dovrebbe associarsi una norma di diritto internazionale privato potrebbe incentivare la costituzione di reti transnazionali ridefinendo il
29 In ambito comunitario si segnala la Raccomandazione della Commissione del 6 maggio 2003 (relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese, Z003/361/CE) e quelli di policy relativi invece al finanziamento di attività dirette a promuovere la cooperazione e la formazione di reti a livello internazionale (Decisione
n. 1639/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 2006 che istituisce un programma quadro per la competitività e l'innovazione (007/013),GUCE L 310/15)
concetto di prestazione caratteristica alla luce della funzione di coordinamento della rete.
Tale differenza si giustifica non solo per il molo del diritto europeo ed internazionale privato per le reti transnazionali europee e intercontinentali, ma anche per i riferimenti agli usi ed alle pratiche nei due contesti.
Un problema rilevante concerne, anche sul piano europeo ed internazionale, la distinzione tra reti contrattuali condistribuzione di potere simmetrico ed asimmetrico tra i partecipanti.
Con riferimento alle seconde, le indicazioni derivanti dalla lex mercatoria, anche integrata dai Principi Unidroit, non sono sufficientemente omogenee da configurare una disciplina compiuta che tenga in adeguata considerazione l'asimmetria di potere tra le imprese partecipanti alla rete.
Occorre da ultimo prendere posizione circa l’atteggiamento dell’ Unione Europea in ordine allee negoziazioni transfrontaliere, il cui incremento qualitativo e quantitativo costituiscono, ad avviso della Commissione, una conditio sine qua non del raggiungimento di due obiettivi fondamentali per lo sviluppo del mercato interno. Da un lato, l’armonizzazione dei prezzi praticati all’interno del mercato per i medesimi beni e servizi, armonizzazione che in un sistema che tende alla concorrenza perfetta conduce ad un livellamento degli stessi verso il basso; dall’altro l’ampliamento e la diversificazione dell’offerta di prodotti attingibili da parte dei consumatori, ciò che consentirebbe a costoro di accedere anche a beni e servizi qualitativamente migliori o più innovativi rispetto a quelli offerti da imprese stabilite nel Paese in cui risiedono, finendo così per stimolare una effettiva concorrenza tra le imprese.
Le differenze di legislazione nazionale di fatto impediscono ai professionisti di adottare prassi commerciali e campagne pubblicitarie
uniformi, costringendoli di volta in volta ad adattare contenuti e caratteristiche delle attività promozionali alle specifiche peculiarità delle singole legislazioni vigenti nei Paesi in cui intendono commercializzare i propri prodotti, beni o servizi che essi siano, e per tal via costringendoli ad affrontare rilevanti rischi e a sostenere importanti costi per pubblicizzare i propri prodotti in mercati diversi da quello nazionale.
D’altro canto si è constatato che a frenare i consumatori dissuadendoli dal porre in essere acquisti transfrontalieri sono, a parte le ragioni di ordine linguistico, logistico-temporale e fiscale ( regime IVA acquisti intracomunitari, obblighi di fatturazione e registrazione più stringenti etc.30), l’ignoranza delle leggi vigenti negli altri paesi e la tendenza a considerare meno sicuri i contratti conclusi con professionisti aventi la propria sede d’affari in altri Paesi.
Ecco perché l’eliminazione delle differenze è stata vista dagli organi comunitari come lo strumento più efficace per affrontare la situazione. Sull’altro versante, le imprese dovrebbero essere incitate ad offrire i propri beni e servizi anche ai consumatori residenti in altri Stati, stante che l’esistenza di principi uniformi dovrebbe, almeno in linea di principio, impedire che una data prassi sia considerata lecita in uno Stato e illecita in un altro, così da ammortizzare, ridurre se non neutralizzare i costi collegati a questi rischi.
4. La questione del made in Italy
Appare interessante un approfondimento di una risorsa di fiducia che le imprese italiane possono vantare nella propria attività di produzione, attraverso lo sfruttamento dell’eccellenza ricollegata alla provenienza e all’origine controllata dei propri prodotti.
In realtà, affinchè un prodotto sia considerabile come made in Italy, è
30 Cfr. artt 25 ss. D.P.R 26 ottobre 1972, n. 633
sufficiente che il principale processo produttivo awenga all'interno del territorio italiano.
Così, ad esempio, l'olio extravergine di oliva spremuto in Italia è made in Italy anche se le olive sono coltivate e raccolte in Tunisia, un paio di scarpe sono made in Italy quando vengono assemblate in Italia, poco importa se il taglio e l'orlatura della tomaia avvengono in Serbia o Romania.
Il danno che ne deriva è di tutta evidenza. Scomparsa di posti di lavoro, perdita per lo Stato italiano di introiti fiscali. D’altra parte, però, le imprese incrementano i propri profitti in modo esponenziale perchè immettono sul mercato prodotti avvertiti come esclusivi dai consumatori in quanto recanti il marchio "made in Italy" anche se di fatto la produzione in Italia non avviene.
Si segnala incidentalmente che tale pratica costituisce anche un pericolo per il consumatore, indotto a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe concluso, secondo lo schema delle pratiche commerciali scorrette, in particolare delle pratiche commerciali ingannevoli31.
31 Sul punto esiste ampia e approfondita bibliografia. AA.VV, Cinque voci sulla direttiva comunitaria 2005/29/CE in materia di pratiche commerciali sleali,in Contratto e impresa Europa, 1/2007;ALPA G. , Introduzione al diritto dei consumatori, Bari, 2006; ID. , Contratto nei sistemi di Common Law, in Digesto delle discipline privatistiche,sez. civile IV; ALPA G. , CAPILLI G. , Lezioni di diritto privato europeo, Padova, 207; ALPA G. , XXXXXXX M. , Fondamenti dl diritto privato europeo, Milano, 2005; AMICO G. , La Commissione europea propone di armonizzare la disciplina comunitaria in tema di pratiche commerciali sleali, in Contratti, 2003; BARBERI M. , “Gli obblighi di informazione previsti dall’art. 6 del codice del consumo e le false x xxxxxxx indicazioni di origine”, in TOMMASI F. ( a cura di) , “Xxxxxxxxx x xxxxxx xxx xxxxxxxxxxx”, Xxxxxx, 0000; XXXXXXXXXXXX P. , La proposta di direttiva sulle pratiche commerciali sleali: note a prima lettura, in Contratti, 2005; ID. , Le pratiche commerciali sleali d il contratto: un’ evoluzione del principio di trasparenza, in Le pratiche commerciali sleali, a cura di XXXXXXXXX E. e ROSSI XXXXXX L., Milano, 2007; BENACCHIO G. , Ce e protezione del consumatore, in Diritto privato della Comunità Europea. Fonti, modelli e regole, Padova, 2004;BIGI, L’Unione Europea adotta una disciplina quadro volta ad armonizzare le leggi nazionali in materia di pratiche commerciali aggressive e ingannevoli, in Contratti, 2005;BLACK , The Unfair Commercial Practices Directive 2005, in The Scots Law Times , 2005; BROGGIATO C. , La direttiva n. 2005/29 sulle pratiche commerciali sleali, in Dir. Banc., 2006, II; XXXXXX R., IL codice del consum. La tutela del consumatore dopo il Dlg 6 settembre 2005, n.206, Roma, 2006;
CIATTI A , “I mezzi di repressione delle pratiche commerciali sleali nella direttiva comunitaria del 2005”, in Contratto e impresa 1/2007; XXXXXXX, The Unfair Commercial Practices Directive, in E.R.C.L, 2005; COSTA A. , Pratiche commerciali sleali e rimedi: i vizi della volontà, in Le pratiche commerciali sleali, a cura di XXXXXXXXX E. e ROSSI XXXXXX L., Milano, 2007; DE XXXXXXXXXX X. , Il
codice del consumo, in Nuove leggi civili 2006;DI XXXXXXXX X. , La regola della trasparenza, in I contratti dei consumatori, a cura di XXXXXXXXX X. e XXXXXXXXX E., Torino, 2005; DI XXXXX X. , L’iter normativo: dal libro verde sulla tutela dei consumatori alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, in Le pratiche commerciali sleali, a cura di XXXXXXXXX E. e ROSSI XXXXXX L., Milano, 2007;FAVA, Class actions tra efficientismo processuale, aumento di competitività e risparmio di spesa: l’esame di un contenzioso seriale concreto,in Corr. Giur., 2006;DONA M. , Il codice del consumo, regole e significati, Torino, 2006; FOGLIA
C. , Il concetto di ‘consumatore medio’ e il ricorso all’indagine demoscopia, in , Dir. Ind., 2004;XXXXXXX F. , Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in Contratti e Impresa, 1997;GENTILI A. Codice del consume ed esprit de geometrie, in Contratti, 2006; GINEVRI SACCO A. , La direttiva 2005/29/CE e la disciplina della concorrenza, in Le pratiche commerciali sleali, a cura di XXXXXXXXX E. e ROSSI XXXXXX L., Milano, 2007; XXXXXXXXX E. , L’Unione Europea e le pratiche commerciali sleali, in PMI, 2006; ID. , La direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Prime note, in Contratti , 2006; HANDIG , The Unfair Commercial Practices Directive- a Milestone in the European Unfair Competition Law? In European Business Law Review, 2005; XXXXXXX-XXXXXXX, Die Richtlinie 2005/29/EG uber unlautere Geschaftspraktiken,in GRUR, Int.,2005; HESSELINK M.W. , The concept of Good Faith, in Towards a European civil code; INCADORNA, La direttiva 2005/29 sulle pratiche commerciali sleali: prime valutazioni, in Dir Comunitario e degli scambi internazionali, 2006; LISI A. , “L’azione inibitoria”,in TOMMASI F. (a cura di), “Contratti e tutela dei consumatori”,Torino, 2007; ID. , “La tutela collettiva : le associazioni di consumatori”,in XXXXXXX X. ( a cura di) , “Contratti e tutela dei consumatori”, Torino, 2007;MAGNANI C. , La direttiva sulle pratiche commerciali sleali, in Riv.soc., 2005; MELE V. , “Verso un consumo consapevole: educazione, informazione, pubblicità”, in TOMMASI F. ( a cura di) , “Xxxxxxxxx x xxxxxx xxx xxxxxxxxxxx”, Xxxxxx, 0000; XXXXXXXXX E. , Contratti dei consumatori e tutela collettiva nel codice del consumo, in Contratto e impresa, 1/2006; ID. , Dei contratti del consumatore in generale, Torino, 2006; XXXXXXXXX E. , ROSSI XXXXXX L. ( a cura di), Le pratiche commerciali sleali, Torino, 2007; XXXXX M. , Pratiche commerciali slelai ed effetti sul contratto: nullità di protezione o annullabilità per vizi del consenso?, in Le pratiche commerciali sleali, a cura di XXXXXXXXX E. e ROSSI XXXXXX L., Milano, 2007; XXXXXXX’, XXXXXXXXX , The Unfair Commercial Practices Directive: a Faltering First Step, in London Law Review, 2005; PERLINGIERI P. , XXXXXXXX E. , Il diritto dei consumatori. Vol. III,Xxxxx, 2007; XXXXX X. , Trasparenza e contratti del consumatore, Napoli, 1997; XXXXX, L'informazione precontrattuale: spunti di dirittoitaliano, e prospettive di diritto europeo, in Riv. dir. priv., 2004; ROSSI XXXXXX X., XXXX G., Codice del consumo. Commentario, Torino, 2006; ROSSI XXXXXX L. , Dalla comunicazione commerciale alle pratiche commerciali sleali, in Le pratiche commerciali sleali, a cura di XXXXXXXXX E. e ROSSI XXXXXX L., Milano, 2007; ID. , L’azione inibitoria collettiva: dalla norma sulle clausole abusive al nuovo codice dei consumatori, in Contr. E Impr., 2006; XXXXXXXXX X. , Le nozioni di consumatore e di consumatore medio nella direttiva 2005/29/CE,in Le pratiche commerciali sleali, a cura di XXXXXXXXX E. e ROSSI XXXXXX X., Milano, 2007 ; XXXXX, XXXXXX, XXX XXXX, Confidence through fairness? The new directive on unfair business-to- consumer commercial practices in the internal market, in C.M.L.R, 2006; TOMMASI
Il Legislatore ha intrapreso un cammino parlamentare per riformare questo aspetto della normativa affinchè "le fasi di lavorazione, abbiano luogo prevalentemente nel territorio nazionale e, in particolare, se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore siano state eseguite nel territorio medesimo e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità.
Se la riforma entrasse in vigore è lecito aspettarsi che alcune fasi produttive rimarrebbero in Italia, ad altre addirittura vi farebbero ritorno, perchè molti imprenditori non sarebbero disposti a perdere il marchio di provenienza italiana, fonte di clientela tra i consumatori esteri.
Xx invero va sottolineato che in questo caso la proposta di legge è partita dal basso, da un'esigenza avvertita nella realtà, in netta controtendenza con l'attività legislativa di questi ultimi anni che tende ad allontanare sempre più il momento legislativo da chi, lo dice a chiare lettere la Costituzione , è il sovrano dello Stato Italiano: il popolo.
La legge (denominata Reguzzoni-Versace-Calearo) nasce dall'iniziativa congiunta di alcuni imprenditori lombardi (tra cui Santo Versace, patron dell'omonima casa di moda Versace interamente di proprietà di detta famiglia) e alcuni parlamentari di schieramenti diversi .
I profili di delicatezza della questione sono di immediata evidenza.
F. ( a cura di) , “Contratti e tutela dei consumatori”, Torino, 2007; VETTORI A. ( a cura di), Il codice del consumo, Padova, 2007; ID. , “La legislazione per status.Tramonta la chimera della strutturale parità dei contraenti”,in XXXXXXX X. ( a cura di) , “Xxxxxxxxx x xxxxxx xxx xxxxxxxxxxx”, Xxxxxx, 0000; XXXX XXXXXXX
M.I. , “Il consumatore in Spagna dal vecchio diritto dei consumatori ad un nuovo stato della materia giuridica del XXI secolo”, in PERLINGIERI P. , XXXXXXXX E. , Il diritto dei consumatori. Vol. XXX,Rende, 2007; VIGORITI L. , Verso l’attuazione della direttiva sulle pratiche commercilai sleali, in Europa e diritto privato, 2/2007; ID. , Tecniche legislative e modelli di sanzione nella regolamentazione delle pratiche commerciali sleli, in Le pratiche commerciali sleali, a cura di XXXXXXXXX E. e ROSSI XXXXXX L., Milano, 2007; ZENO, ZENCOVICH, Consumatore, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988
La giurisprudenza di legittimità si è pronunciata in proposito con la sentenza n. 166/2007 della Cassazione Penale sez. III precisa che l'art. 4, co. 49 della L. 350/2003 come modif. dal d.1. n. 35/2005 ha fissato le "condizioni che devono ricorrere per stabilire quando un prodotto possa qualificarsi come fabbricato o non fabbricato in Italia; con l'emanazione di tale norma, il legislatore ha inteso meglio definire l'ambito della illecita provenienza dei prodotti con segni mendaci, senza però fissare una definizione di «origine» o di «provenienza)) che si discosti da quella costantemente enunciata dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale, ai sensi ,dell'art. 517 c.p., per origine o provenienza di un prodotto deve intendersi la provenienza del prodotto stesso da un determinato produttore e non già da un determinato luogo, limitandosi a prevedere che l'utilizzo di diciture quali «prodotto in Italia)) o made in Italy, nel caso che un prodotto fabbricato all'estero per conto di un produttore italiano, risulta sicuramente idoneo a trarre in inganno il consumatore ai sensi dell'art. 517 C.p.”
D’attualità è poi il caso del sequestro, disposto dal p.m. di Firenze nel 2009 e riguardante una partita di camicie prodotte in Serbia e da tale paese provenienti recanti l'etichettatura: "prodotto e distribuito da FI Studio s.r.l. Floreze Italy" e la marca: "Xxxxx Xxxxx" ma prive della dicitura "Made in Serbia".
Il rischio, infatti, consisteva nel fatto che i consumatori fossero erroneamente indotti a pensare che il prodotto fosse prodotto in Italia data l'etichettatura evocante la città di Firenze e la marca di una nota impresa Italiana.
A seguito di apposita istanza al tribunale del riesame, il sequestro venne revocato a condizione che sulle camicie in questione fosse apposta la dicitura made in Serbia.
Secondo la suprema Corte, che nell'argomentare la propria decisione compie una panoramica della recenta legislazione sull'argomento, fino
alla già citata legge 350/2003, nessun obbligo era previsto in merito all'indicazione dei luoghi di produzione dei prodotti importati in Italia recanti marchi di imprese italiane
La legge 99/09, invece, estende il significato di indicazione fallace, facendovi rientrare anche i casi in cui prodotti confezionati all'estero recassero marchio italiano omettendo "l'indicazione precisa ed a caratteri evidenti" della provenienza.
La legge 166/09 opera una espressa abrogazione di suddetta norma configurando la fattispecie in oggetto non già come un illecito penale ma introducendo al contempo una nuova forma di illecito amministrativo che si verifica quando provenienza e marchiatura sono suscettibili di indurre il consumatore a confidare nella provenienza italiana di un prodotto che, invece, è prodotto all'estero.
Questa norma, protesa alla tutela del made in Italy crea non poche questioni a livello comunitario in quanto, di fatto, impedisce una libera circolazione delle merci, infatti mira ad inibire non propriamente merci contraffatte e quindi, ad esempio, prodotte all'estero e marchiate made in Italy, ma è volta a bloccare quelle merci che, formalmente, non sono marchiate in modo non conforme e veritiero sono idonee ad indurre in errore il consumatore.
In ogni caso, può concludersi che la provenienza del prodotto dalla filiera italiana costituisca un valore aggiunto che può incrementare la competitività della rete, che di essa faccia un proprio punto di forza sul mercato.
A questa tematica, peraltro, risulta strettamente correlata la questione delle risorse di fiducia dell’ imprenditore, che sempre più spesso costruiscono il collante delle reti di imprese, con particolare riferimento alle reti complesse.
Di tali aspetti si darà conto diffusamente nei prossimi capitoli, cui pertanto si rinvia.
CAPITOLO 2
I modelli di aggregazione nel mercato
1. Tipologie di reti
Le reti di imprese possono assumere diverse forme giuridiche. Si distinguono reti contrattuali, reti organizzative e reti miste.
Quanto alle prime, devono menzionarsi due macro-modelli. Da un lato il modello del contratto plurilaterale e quello dei contratti bilaterali o plurilaterali collegati.
Nel primo caso si ha un contratto di rete di imprese, nel secondo una rete di contratti collegati. Sotto il profilo formale la distinzione concerne principalmente l’ unitarietà del negozio: solo quando questa ricorre si avrà contratto plurilaterale d rete, altrimenti si è in presenza di contratti bilaterali o plurilaterali eventualmente collegati.
In questa sede preme sottolineare come lo strumento del collegamento contrattuale si riveli duttile e malleabile fattispecie di inquadramento del fenomeno delle reti.
L' impiego dei contratti bilaterali collegati è più frequente di quello del contratto plurilaterale; il primo modello viene usato quando la struttura della rete precede l’ esistenza di un soggetto leader, in grado di coordinare le attività poste in essere attraverso i contratti bilaterali, il secondo con un modello tendenzialmente paritario.
I contratti plurilaterali non associativi mal si conciliano con una struttura di potere fortemente asimmetrica della relazione contrattuale perché generalmente prevedono sistemi decisionali di tipo paritario con possibilità limitate di delega gestionale ad organi comuni. Ove la delega sia molto ampia e caratterizzata da elevato livello di discrezionalità si ritiene generalmente necessario l'impiego del modello organizzativo societario. Per questa ragione probabilmente non si trovano catene di fornitura, somministrazione o distribuzione organizzate tramite contratti plurilaterali.
Il committente vuole garantirsi la possibilità di scelta dei subfornitori ed un contratto plurilaterale, ancorchè annuale e rinnovabile, produrrebbe un effetto lock-in indesiderabile oltre ad attribuire ai subfornitori poteri decisionali attraverso la formazione di alleanze di cui invece non dispongono quando si impiegano solo contratti bilaterali collegati tra il committente ed il singolosub-fornitore. Solo il secondo argomento, tuttavia, può essere impiegato per spiegare le ragioni per cui la distribuzione, pur presentando la struttura reticolare per eccellenza, non viene generalmente organizzata con contratti plurilaterali ma con reti di contratti collegati32.
Si segnala che con riferimento alla rete costituita da contratti bilaterali o plurilaterali non qualunque collegamento negoziale dà luogo a rete.
Affinchè vi sia rete occorre una relazione strumentale di complementarità tra le attività delle imprese di cui il collegamento contrattuale definito dal contratto di rete diviene espressione. Non è sufficiente dunque il mero
32 Cfr. Tar. Campania, 13 giugno 2006, n. 6941, in Foro amm., 6, p. 2134 ss.; Trib. Udine, 5
agosto 1996, in Dir. fall., 1996, II, p. 1144
ss.; Trib. Napoli, 11uglio 2004, in Giur Comm., 2006, 6, p. 1181; Cass., 11 giugno 2004, n.
11081, in Società, 2005, p. 53; Trib. Milano, 12 maggio 1984, in Giur.comm. 1985, Il, p. 531.
riferimento ad un' operazione economica unitaria, occorre che vi siano elementi di collegamento tra i contratti collegati in rete sotto il profilo causale e dell' oggetto che rendano evidente l'interdipendenza reciproca tra le attività e di conseguenza del rischio di impresa. Questo non significa ovviamente che la complementarità delle prestazioni in senso economico presupponga l'essenzialità di ciascuna di esse sotto il profilo giuridico.
D’altra parte, si segnalano le reti organizzative. Queste possono assumere la forma di reti societarie, in particolare quella della società-rete, ma anche quella di associazione, di fondazione, impiegando un modello organizzativo privo dello scopo di lucro.
La rete societaria può costituirsi con la società lucrativa, cooperativa o quella consortile. Lo svolgimento della funzione di coordinamento tra fasi lungo a filiera viene spesso svolto attraverso la società consortile.
Da ultimo, occorre citare le reti miste.
Queste si caratterizzano per un impiego contestuale dello strumento organizzativo e contrattuale. Può accadere, ad esempio, che ad una rete contrattuale di subfornitura si affianchi una società lucrativa per la certificazione ambientale delle componenti del prodotto finale. Ovvero una società consortile per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, il cui obiettivo è quello di produrre uno o più brevetti concernenti il processo produttivo.
Spesso le reti di imprese sono soggette a processi evolutivi, muovendo da forme contrattuali a forme miste, esitando in taluni casi in società rete o veri e propri gruppi.
Nella rete all'interesse dei singoli partecipanti si aggiunge, talvolta contrapponendosi, quello collettivo.
Le caratteristiche della rete di impresa differiscono da quelle del gruppo di imprese anche in relazione alla diversa natura del conflitto di interessi nonché delle risposte che ad esso possono darsi.
Essa appare caratterizzata dalla presenza di un interesse collettivo che differisce da quello del gruppo, identificato con quello della controllante.
Il governo della rete viene perseguito talvolta a scapito di interessi individuali dei singoli, assumendo che nel lungo periodo sia più vantaggioso anche per i singoli perseguire tale interesse.
L'interesse collettivo può materializzarsi in un marchio collettivo ovvero in un marchio che, pur posseduto da una singola impresa, viene dato in licenza a tutti i partecipanti e così condiviso.
L'esistenza di un conflitto di interessi, generalmente associata al contratto bilaterale di scambio, deve ritenersi compatibile sia con la figura di contratto plurilaterale che con quello bilaterale di rete caratterizzato, come si vedrà, dalla comunione di scopo. Nelle reti di imprese coesistono scopo comune e divergenza di interessi, dal mo- mento che le stesse imprese cooperano su alcuni mercati e competono su altri.
Nella rete di imprese opera una combinazione tra cooperazione e competizione diversa da quella che si incontra nelle relazioni di mercato ed in quelle di gruppo. è importante sottolineare che la differenza tra questi modelli non può essere rappresentata configurando il mercato come il modello della concorrenza, la gerarchia con la cooperazione, la rete come modello misto 33 Nel mercato vi sono ipotesi di cooperazione così come nel gruppo vi sono fenomeni di concorrenza, anche accentuati.
La differenza è più sottile e qualitativa. Nella rete vi sono imprese che collaborano, anche con esclusiva, nella realizzazione di alcuni prodotti o servizi, mentre competono su altri mercati con altri prodotti.
Ne costituisce esempio l’ ipotesi in cui un'impresa opera come sub-fornitrice di un committente per alcuni prodotti e come concorrente dello stesso per altri.
33 Cfr. GRANDORI, Il coordinamento organizzativo tra imprese, in Sviluppo e organizzazione, 1999, 171, pp. 75 ss; nello stesso senso ID., Organizzazione e comportamento economico, Bologna, 1999, nonché ID., Interfirm networks: organizational machanism and economic outcomes, in GRANDORI (a cura di), Interfirm networks. Organization and industrial competitiventess, London-New York, p. 1-14
Gli interessi dei partecipanti alla rete possono dunque essere in parte confliggenti anche per la diversa posizione occupata nel mercato da ciascuna impresa-nodo della rete.
In via generale si può ritenere che esista un dovere di lealtà reciproco tra gli appartenenti alla rete ed un dovere di ciascun appartenente verso la rete nel suo complesso.
Il dovere di lealtà costituisce solo una parziale risposta al conflitto di interessi e spesso sono necessarie strutture di governo della rete e regole per la definizione del processo decisionale che riducano ulteriormente i rischi del conflitto.
Il criterio del fair play appare strettamente correlata con il principio di buona fede, ormai principio di diritto privato europeo e clausola generale nelle più importanti codificazioni europee.
Nel testo del Code Xxxxxxxx si riconosce un ruolo alla buona fede da un lato come parametro per valutare l'adempimento delle obbligazioni contrattuali delle parti; dall’altro come elemento integrativo dell'assetto contrattuale di interessi deciso dalle parti. L'art. 1134 impone infatti l'esecuzione del contratto secondo buona fede, mentre il successivo art. 1135 stabilisce che i contraenti risultano vincolati non soltanto a quanto abbiano espressamente convenuto, ma anche a quanto l'equità, gli usi o la legge riconnettono alle loro obbligazioni in conformità. alla natura delle stesse, con un evidente punto di contatto, se non di assimilazione concettuale dei due concetti di bonne foi e équité. Il. principio di buona fede è stato successivamente esteso dalla giurisprudenza anche alla formazione ed all'interpretazione del contratto ed utilizzato non solo a supporto del regime giuridico dell'abuso del diritto e dell' apparence, ma ançhe in funzione della più precisa determinazione delle obbligazioni delle parti. La dottrina francese, poi, si richiama a questo principio per imporre ai contraenti un dovere di reciproca lealtà, cooperazione ed informazione, nonché per limitare l' operatività di clausole di esonero da responsabilità per inadempimento.
Medesimi contorni esso assume Codice civile spagnolo, il cui art. 1258 gli assegna una funzione integrativa della volontà delle parti contrattuali nell' esecuzione delle proprie obbligazioni, stabilendo che le stesse sono vincolate non solo all'adempimento di quanto espresso.
La menzione della buona fede sostituisce espressamente quella di equità dell' art. 1135 del Codice francese. In modo collegato, ma anche diverso, sempre nell'esperienza spagnola, per i contratti di commercio, l'art. 57 del relativo Codice richiama la buona fede per rendere effettiva l'attuazione della volontà delle parti, precisando i modi del suo operare in concreto, attraverso il rispetto dei termini in cui questi contratti sono stati conclusi e redatti.
Nell'ABGB austriaco, invece, si nota l'assenza di un espresso riferimento alla buona fede, ma, sulla base del § 863 e del riconoscimento dei principi generali di giustizia34, posti a fondamento del godimento dei diritti privati dalla Pàtente Imperiale (Kaiserliches Patent), di promulgazione del Codice, la dottrina e giurisprudenza ne hanno ricavato come immanente al Codice stesso un dovere di correttezza ed un conseguente assoggettamento alla buona fede dell'adempimento delle obbligazioni da contratto.
Diversamente il BGB contiene nel § 242 un'esplicita ed ampia previsione del principio di buona fede e correttezza, espresso nell'endiadi Treu und Glauben. Grazie alla sua formulazione generale, la giurisprudenza ha potuto coniare il dovere di cooperazione delle parti contrattuali e la figura dell'abuso del diritto, per cui una parte: a) non può acquistare un diritto mediante un comportamento disonesto (exceptio doli generalis); b) perde il proprio diritto per violazione del dovere di buona fede; c) non può pretendere una prestazione che dovrà subito dopo restituire alla controparte d) non può perseguire un interesse non meritevole di tutela; e) non può fare affidamento su un comportamento incoerente con la propria precedente condotta (venire contra factum proprium).
34 Si fa riferimento in proposito a die allgemeine Grundsiitze der Gerechtigkeit
Quanto alle codificazioni più recenti, il Codice civile portoghese, all'art. 762, 2° comma, prevede la buona fede come criterio generale cui le parti, contrattuali devono conformarsi sia nell' adempimento delle loro obbligazioni e nella reciproca cooperazione che ne possa discendere, sia nell'esercizio dei corrispondenti diritti, mentre negli artt. 239 e 334 essa viene indicata come elemento integrativo della volontà dei contraenti sugli aspetti lacunosi dell' accordo, il primo, e come limite (insieme ai buoni costumi, al fine sociale o economico) che non si può manifestamente eccedere per l'esercizio legittimo di un diritto, il secondo.
Anche il sesto libro del Codice civile olandese del 1992 contiene due disposizioni di carattere generale che si occupano del ruolo da attribuire alle "esigenze della ragionevolezza e dell'equità" (redelijkheid en billijkheid), richiamandosi ai principi generali del diritto generalmente riconosciuti, alle concezioni giuridiche correnti in Olanda ed agli specifici interessi personali e sociali del caso concreto.
Esso può anche portare ad una disapplicazione nel caso concreto della regola disciplinante lo stesso rapporto obbligatorio, quando essa sia "inaccettabile secondo i criteri di ragionevolezza e di equità"35 .
Le nozioni sopra riportate sono destinate necessariamente ad interagire nella pratica con la nuova normativa e con le reti, nel senso sopra indicato e che d’altra parte si svilupperà maggiormente in punto di responsabilità.
2. Reti orizzontali e verticali
Si distinguono reti verticali, che corrono lungo la filiera coordinando diverse fasi della produzione ovvero produzione e distribuzione (reti inter-fase), e reti orizzontali con imprese operanti nella stessa fase in posizione di concorrenza, almeno potenziale.
35 Cfr. artt. 6.2 [2] e 6.248 [2
Tale distinzione ha portato ad indagare relazioni contrattuali o anche societarie in cui la concorrenzialità attuale o potenziale era molto elevata e reti in cui invece non vi erano grandi elementi di competizione.
La rete costituisce lo strumento più efficace per regolare sistemi complessi di relazioni contrattuali in cui competizione e cooperazione coesistono.
Con riferimento ad ipotesi di reti verticali l'interrogativo principale riguardava la possibilità che esse costituissero vie alternative all'integrazione societaria tra fasi, con cui si dava luogo ad acquisizioni o verso l'alto (produttori acquisiti da distributori) o verso il basso (distributori acquisiti da produttori). Ciò anche in ragione dell'internazionalizzazione dei mercati, di cui si è già parlato in sede di contestualizzazione economica del fenomeno delle reti.
In questa prospettiva la definizione di reti verticali consentiva un trasferimento più rapido di informazioni dal mercato alla produzione, lo svolgimento cii monitoraggio da parte di distributori rispetto alla contraffazione e la definizione di strategie congiunte per owiare a questo problema.
La ricerca di reti verticali che integrassero contrattualmente od includendo anche la disciplina societaria produzione e distribuzione è anche determinata dai mutamenti del processo produttivo e dalla crescente importanza dei marchi in molti settori.
Discorso diverso è stato quello concernente le reti orizzontali concernenti imprese collocate nella stessa posizione sulla filiera produttiva.
La comunicazione a livello internazionale può essere promossa dal committente per favorire il coordinamento ovvero posta in essere dalle imprese stesse per costituire coalizioni rispetto al committente.
L'articolazione delle filiere produttive consente di esaminare un ulteriore rilevante profilo concernente la distinzione tra reti orizzontali che coinvolgono imprese che si collocano sulla stessa posizione nella filiera e sono potenzialmente concorrenti ed imprese che invece operano in sequenza, per le quali la complementarità prevale sulla concorrenzialità. La ricerca rivela con
chiarezza che lo strumento reticolare fallisce spesso quando imprese concorrenti tentano di definire alcune forme di collaborazione, destinate ad esempio ad accedere a nuovi mercati o a sviluppare nuove tecnologie.
Mentre maggiore successo hanno le esperienze di rete verticale o inter-fase in cui imprese che partecipano alla produzione delle diverse componenti istituiscono legami contrattuali o societari che stabilizzano la cooperazione, anche solo per talune tipologie di processi produttivi o di prodotti. La debolezza del modello reticolare nell' assicurare forme di cooperazione tra soggetti concorrenti emerge molto chiaramente esaminando le numerose ipotesi di insuccesso del modello consortile.
Lo stesso modello rivela una diversa capacità quando opera come strumento di coordinamento tra fase produttive diverse rispetto a quando viene impiegato per governare la cooperazione tra imprese concorrenti.
Tale consapevolezza porta a riflettere sull'opportunità di disegnare gli strumenti giuridici delle reti tenendo conto della differenza tra reti verticali e reti orizzontali.
Volendo stabilire e preservare un adeguato equilibrio tra incentivi all' innovazione e alla cooperazione strategica, occorre assicurare, nell'un , caso, una circolazione dei saperi lungo la filiera unita a forme di salvaguardia dell'innovazione rispetto alla competizione esterna alla rete (ad esempio mediante l'impiego di clausole di esclusiva); nel caso delle reti orizzontali; prevarrà invece l'esigenza di regolare la competizione interna alla rete, arginando le forme di appropriazione abusiva del sapere condiviso.
3. Le reti complesse
Si ravvisa il fenomeno delle reti complesse nel caso in cui due o più imprese decidano di affiancare alla relazione contrattuale uno strumento societario con funzione di stabilizzazione ovvero di attribuzione di funzioni amministrative. In primo luogo, un primo profilo concerne la possibilità che la rete contrattuale impieghi lo strumento societario per lo svolgimento di funzioni complesse, un apparato organizzativo incompatibile con i requisiti del mandato collettivo. Consentendo la costituzione di società per l'amministrazione della rete ed i rapporti con i terzi ovvero l'impiego di enti senza scopo di lucro quali fondazioni di impresa per lo svolgimento di attività dirette alla produzione e gestione di conoscenza condivisa, brevettabile o meno.
D’altra parte, si pone la questione è quello di regole di collegamento negoziale che, superando i limiti attuali del diritto societario, permettano di fare valere l'interdipendenza sia sul ano contrattuale che organizzativo. Occorre cioè ammettere da un lato che gli organi della società vedano «etero- definite» dai contratti alcune decisioni fondamentali della società. Parallelamente occorre però consentire deroghe al diritto dei contratti e delle obbligazioni, ad esempio ammettendo che, a fini di stabilizzazione, possano aversi patti di esclusiva e di non concorrenza di intensità maggiore di ciò che generalmente si consente36.
Infine le modalità attraverso cui ridefinire exit e voice. Nella rete complessa le strategie di exit contrattuale influenzano e, in certa misura, dipendono dalla partecipazione societaria. Se la costruzione di vincoli societari aiuta la stabilizzazione, occorre anche prevedere strategie di exit quando il sistema reticolare risulti incapace di innovare e sia superato dal mercato, collegando la risoluzione del contratto plurilaterale a quella dal recesso societario. In questa ipotesi occorre definire sistemi di uscita non penalizzanti; una disciplina che
36 Cfr CACCIATORE., Concorrenza sleale e tutela del consumatore, in Riv. Dir. Econ. Trasp. E amb., 2003; XXXXXXXXXXXXX , Concorrenza, II) Concorrenza sleale,in Enc. Giur., Xxxx, 0000. In senso analogo vedasi anche ALPA, Il diritto dei consumatori, Bari, 2002, p.91
renda difficile l'uscita rischia di disincentivare la costituzione di reti complesse.
La letteratura economica distingue tra reti sociali, burocratiche e proprietarie, a seconda del tipo di legami che formano la rete. La partizione non è però esclusiva, dal momento che questi legami possono essere, ed anzi normalmente sono, contemporaneamente di diverso genere. Reti sociali sono quelle che si fondano su legami informali, diretti e interpersonali. Esse si formano in ambienti in cui il vi è fiducia diffusa, fondata a sua volta o su pregressi legami primari (familiari, di amicizia) o sull' esperienza di frequenti interazioni; mentre la sanzione contro il comportamento opportunistico è tipicamente irrogata a livello reputazionale.
Tra queste reti sociali rilevanti per il diritto societario, e che si potrebbero definire strumenti «parasocietari», il fenomeno principale è quello degli interlocking directorates.
La dottrina parla di interlocking directorate laddove almeno un amministratore siede in almeno due consigli d'amministrazione. E’ indiretto laddove due amministratori di diverse società sono amministratori anche di una terza
E’ reciproco se due amministratori siedono entrambi e contemporaneamente nei consigli d'amministrazione di due società. Si costituisce così un legame tra le società: per tramite di questi le informazioni circolano facilmente tra le società così unite da tale figura.
In questa maniera si incentiva il loro reciproco coordinamento, in assenza di rapporto partecipativo o contrattuale. Sarà però facilitato e promosso lo scambio di informazioni e il circuito informativo
Il fenomeno degli interlocking directorates è stato sinora oggetto di considerazione da parte del legislatore italiano solo ove le unioni personali sono conseguenza di incroci partecipativi o indice della presenza di una direzione unitaria.
I principali profili di interesse che si rilevano nella letteratura sono i problemi che l'unione personale solleva in relazione al mercato del controllo e quelli correlati al suo valore sintomatico di una sottostante intesa.
La comunanza di componenti degli organi amministrativi di cui si sta parlando può sussistere in condizioni diverse.
Da un lato può configurarsi in connessione con un rapporto di controllo di una società sull' altra.
Sarà possibile in queste ipotesi esercitare un potere diretto da parte della società controllante sulla controllata, mediante la sua partecipazione nel consiglio d'amministrazione della controllata.
In secondo luogo, può configurarsi in connessione con altro legame proprietario che non sia preordinato al controllo.
Può verificarsi che il legame proprietario non sia sufficiente a garantire la nomina dell' amministratore, oppure il caso in cui, per effetto o di una clausola statutaria che preveda forme particolari per la nomina alle cariche sociali37 o di patri parasociali, l'impresa partecipante abbia il diritto di nominare un amministratore nell'impresa partecipata, e lo individui tra i suoi propri amministratori.
Anche in assenza di legami proprietari, le unioni personali possono assicurare alle imprese un potenziale collusivo in assenza di altri meccanismi di
37 Ci si intende riferire, ad esempio, al voto di lista, ovvero al voto a scalare, o altri similari artifici.
coordinamento, oltre che rafforzare l'esercizio del potere derivante dagli stessi legami proprietari.
Può configurarsi pure un’altra causa alla base di tali unioni., da ricercarsi nelle relazioni. I soci delle diverse società, che stringano il patto di collaborazione, o da rapporti familiari, ciò che ricorrerà per lo più nelle PMI.
Si è sostenuto che la rete dei legami proprietari può porsi come possibile antecedente dello stabilirsi di legami nella proprietà.
I legami personali paiono crescere insieme al crescere dell'incertezza ambientale, così come vi sarebbero più intrecci personali con le imprese finanziare in situazioni nelle quali l'approvvigionamento di mezzi finanziari sia critico.
L'impresa bisognevole di finanziamento farebbe entrare nel suo consiglio un membro designato dall'istituzione finanziaria, che potrà così interloquire nelle dinamiche imprenditoriali, con più agevole erogazione del credito.
Inoltre, la creazione di legami personali tra imprese è strumento di circolazione di informazioni.
Per altro verso, tali incroci sono più frequenti nei contesti in cui nel consiglio d'amministrazione siedono più amministratori esterni.
La compresenza di manager esterni e familiari, poi, assume proporzioni minime.
La quasi totalità delle imprese distrettuali è controllata da soggetti locali, e gestita da proprietà o da familiari dei proprietari, e ciò – anche se di poco - in misura superiore alle imprese non distrettuali.
Solo di recente il legislatore ha manifestato interesse per i legami personali in seno al consiglio d'amministrazione.
Per la s.p.a. la nuova legge (art. 2390 c.c.) sussume nel divieto di concorrenza il divieto per gli amministratori di essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salva l'esenzione ad opera dell' assemblea. In precedenza, si riteneva che tale circostanza fosse fonte di incompatibilità solo previa verifica in concreto della sussistenza di un conflitto di interessi.
Con il nuovo art. 2390 c.c. dunque la legge attribuisce una specifica valenza al fenomeno, per la prima volta tipizzato in considerazione di interessi privatistici.
Dal punto di vista sistematico, la nuova formulazione dell'art. 2390 c.c. consente di legittimare gli interlocking directorates verosimilmente presente nella tipologia della realtà, che va ben oltre le ipotesi rilevanti per il diritto antitrust o per il mercato del controllo.
Occorre poi prendere in considerazione come da un lato, la s.r.l. sembra pensata come forma dell'integrazione tra imprese, sia come società-mezzo per la creazione di joint ventures, sia come società la cui struttura usare per la costituzione di società consortili.
Dall' altro, il legislatore potrebbe voler non ostacolare lo strumento dell' interlocking nelle PMI, come forma di coordinamento.
Resta peraltro qualche dubbio sulla razionalità ed efficienza del sistema di opt-in scelto dal legislatore.
Nel caso della formazione di interlocks poteva ritenersi forse sufficiente una norma simile a quella di cui all'art. 2301, co. 2, c.c., per la quale il consenso allo svolgimento di attività concorrente con quella della società “si presume, se l'esercizio dell'attività ... preesisteva al contratto sociale, e gli altri soci ne erano a conoscenza”.
4. Le risorse di fiducia degli imprenditori al servizio della rete
Occorre guardare il fenomeno sotto l’angolo visuale delle potenzialità delle imprese di attrarre e legare a sé la platea di consumatori. E ciò al fine di evidenziare i punti di criticità legati al possibile configurarsi di una violazione del principio di correttezza e buona fede cui i rapporti tra le parti devono uniformarsi, destinato per ciò stesso a minare il rapporto di fiducia
creato o da crearsi tra impresa e consumatore, nonché tra imprenditori partecipi della rete
Da almeno vent’ anni, da quando la Resource Based View ha fatto il suo ingresso negli studi di Strategic Management, la disponibilità delle risorse per le imprese attrae l'attenzione di ricercatori di numerose discipline, nonché quella dei manager incaricati della loro gestione. Tale interesse si spiega in virtù della criticità delle risorse quale fonte essenziale del vantaggio competitivo delle imprese. La tutela e lo sviluppo di questo patrimonio diventano una responsabilità imprescindibile per i manager interessati a raggiungere performance aziendali positive.
Le pratiche commerciali sleali costituiscono una potenziale minaccia per le imprese e la loro dotazione di risorse, i cui effetti sono in grado di ripercuotersi tanto nel presente quanto, soprattutto, nel futuro delle imprese colpite, provocando danni di breve e di lungo periodo.
Ogni tentativo di limitare il fenomeno, assume i contorni di un contributo rilevante per la difesa della sana concorrenza, stimolo allo sviluppo delle imprese, ma soprattutto dell'intera economia e degli attori che vi partecipano, non ultimi i consumatori.
Il patrimonio di risorse a disposizione delle imprese, o perché queste ultime ne hanno il possesso o perché vi possono attingere mediante relazioni, può essere ricondotto a due macrocategorie: risorse di fiducia e risorse di conoscenza (c.d. know how). Si tratta di risorse legate da un forte nesso di interdipendenza funzionale .
A testimonianza dell’importanza di tale realtà sta l’interesse suscitato in dottrina dal Customer Relationship Management (CRM), ossia dalla gestione del portafoglio relazioni con i clienti estremamente specifica, in virtù delle sue capacità di ampliare e rafforzare il bagaglio sia di fiducia che di conoscenza cui l'impresa ha accesso.
La fiducia è definita come quello schema cognitivo di previsione del comportamento di altri soggetti con cui l'impresa interagisce, vale a dire
clienti, intermediari della distribuzione, fornitori, conferenti capitale di rischio e di credito, concorrenti, dipendenti. Essa, basandosi su esperienze passate, conduce a ipotizzare comportamenti futuri di altri confermando l'esperienza passata. Essendo la fiducia prerequisito per la generazione di nuova conoscenza, va difesa dalle azioni dei concorrenti e deve essere sviluppata per garantire il futuro. Il primo profilo di criticità discende dal fatto che esse sono difficilmente generabili. I processi che conducono alla creazione di fiducia necessitano generalmente sia di tempi lunghi sia di investimenti importanti. Un caso emblematico è quello della fiducia dei clienti, asset di gran valore per le imprese, per lo sviluppo della quale si investono milioni di euro nelle piattaforme di CRM e in importanti ristrutturazioni aziendali. Si tratta nella maggioranza dei casi di investimenti ad elevato rischio poiché i risultati sono misurabili solo nel lungo termine e comunque in misura parziale
In secondo luogo non sono acquisibili sul mercato. La caratteristica della fiducia come risorsa idiosincratica alla singola relazione rende impossibile l'esistenza di un fornitore o di un mercato. Essa va costruita nel tempo, mediante investimenti specifici.
Sono intrinseche alla relazione fra l'organizzazione che gli stakeholder di riferimento. Per definizione, la fiducia connota la specifica relazione in cui si inserisce e non può essere disgiunta da essa.
Sono frutto di comportamenti caratterizzati da elevata "ambiguità causale". Come tutte le risorse intangibili, è difficile riuscire a distinguere il nesso di causa-effetto, poiché frequentemente su una variabile di questo tipo, nel caso in questione la fiducia, hanno effetto più azioni.
Sono frutto di comportamenti difficilmente imitabili e inapplicabili. Tanto più essi sono orientati alla fiducia tanto più avranno effetto, ma perché esista questo orientamento è necessario uno stato di partenza di fiducia. Si tratta, cioè, di un circolo virtuoso che si autoalimenta nel tempo. Le scarse
possibilità di imitazione derivano quindi dalle difficoltà di appropriazione di atteggiamenti di fiducia slegati dal caso concreto.
Alla luce di queste considerazioni si spiegano le motivazioni della regolamentazione della concorrenza. Le azioni sleali più comuni, infatti, possono essere facilmente lette come tentativi, delle imprese più agguerrite e spregiudicate, di appropriarsi indebitamente delle risorse di fiducia generate da altri. In tale uso, l'agganciamento parassitario alla notorietà dell'impresa e l'imitazione servile dei prodotti sono chiaramente azioni volte all’appropriazione indebita dei ritorni degli investimenti, sostenuti dai concorrenti e all'aggiramento delle barriere esistenti alla generazione delle risorse di fiducia. Altre azioni hanno lo scopo, invece, di ridurre l'efficacia delle barriere alla generazione della fiducia: è il caso del ricorso a segnali distintivi che generano confusione, dello storno dei dipendenti, e dell'appropriazione di segreti aziendali. La slealtà di tali pratiche risiede nel fatto che la riduzione delle barriere alla generazione di fiducia passa attraverso l'erosione del capitale di conoscenza delle imprese concorrenti, frutto delle relazioni fiduciarie da queste create nel tempo.
Quest' ultimo obiettivo è perseguito anche da altre azioni sleali, che minacciano specificamente il capitale relazionale che l’impresa costituisce nel tempo. Si pensi alle azioni volte ad accreditare in modo illegittimo, perché lontano dalla realtà, la propria immagine, come nel caso dell’autoattribuzione di caratteristiche dell’offerta inesistenti. Ciò tenendo peraltro presente che è legittima la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o che non sono destinate ad essere prese alla lettera, come si legge oggi all’art. 20, 3 co. del cod. cons. Sotto questo aspetto, il legislatore comunitario pare aver tenuto conto delle esperienze compilatorie europee più recenti38.
38 Ci si riferisce in particolar modo al Còdigo civil portugues, in cui all’art. 253, (2) si legge che “Nao costituem dolo ilìcito as sugestoes ou artficios usuais, considerados legìtimos segundo as concepcoes dominantes no cmèrcio jurìdico, nem a dissimulacao do erro, quando nehum dever de elucidar o declamante resulte da lei, de estipulacao negocial ou daquelas
La nuova linea di tendenza inaugurata dal legislatore portoghese, risulta confermata dalla codificazione olandese, laddove precisa che la condotta dolosa possa manifestarsi attraverso la violazione di doveri a carattere informativo e che vantare una cosa in termini generici non costituisce dolo.
La fiducia dunque come substrato, retroterra emotivo di uno stato giuridico imprescindibile come la buona fede, cui i rapporti impresa-consumatore devono necessariamente uniformarsi. È questo in definitiva il significato recondito dell’utilizzo da parte del legislatore italiano dell’attributo “scorrette” in luogo della dizione comunitaria “sleali”. La scorrettezza viene a configurarsi come violazione di quel dovere ineludibile di comportarsi secondo buona fede e correttezza, che assurge a principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico.
5. Reti di imprese tra concorrenza e tutela dei consumatori
La necessità di integrare la politica dei consumatori in quella della concorrenza è un’ esigenza, a detta della dottrina, sempre più pregnante, tanto da essere stata posta in rilievo dalla Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale delle regioni sulla Strategia della politica dei consumatori 2002-2006.
D’altra parte è cosa nota la rigida separazione dei piani di operatività della disciplina riguardante i rapporti tra le imprese , dettata dall’art. 2598 c.c. per gli atti di concorrenza sleale e dalla legge antitrust, e di quella riguardante quelli tra imprese e consumatori.
concepcoes”[Non costituiscono dolo illecito i suggerimenti o gli artifici usuali, considerati legittimi secondo le concezioni dominanti nel commercio giuridico, né la dissimulazione dell’errore, quando nessun obbligo di rendere edotto l’autore della dichiarazione risulti dalla legge, dalla stipulazione negoziale o dalle sopramenzionate concezioni].
Nonostante i tentativi operati nella direzione di considerare i consumatori destinatari della disciplina codicistica sulla concorrenza sleale (artt. 2598- 2601 c.c.), si è tuttavia constatato “che non è protetto il consumatore, ma il concorrente i cui prodotti sono screditati o le scelte dei consumatori sviate a danno suo e a favore di colui che ha fatto la pubblicità menzognera: sicchè è dubbio che i consumatori siano in tal caso titolari di un diritto soggettivo azionabile da loro o dalle loro associazioni.”39
Inoltre si è da più parti specificato che la tutela del consumatore non appare come fine ultimo della disciplina. Il consumatore non è cioè individuato nella sua posizione di destinatario di un corpo di regole introdotte a suo favore; anzi la posizione che gli si assegna è tipicamente strumentale.40
Tuttavia in senso contrario si è espressa altra parte della dottrina41, che ritiene che anche sul versante soggettivo della legittimazione, la repressione della concorrenza sleale sia indotta a servire non più esclusivamente gli interessi dei concorrenti, bensì tuteli questi ultimi in una prospettiva di necessario rispetto di tutti gli interessi protetti dalla costituzione economica, e riferibili tanto alla altrui libertà di concorrenza, quanto alla corretta informazione del pubblico dei consumatori.
Sulla scorta di tali suggestioni dottrinali forse si è riconosciuto in sede comunitaria ai legislatori nazionali il potere di ampliare l’ambito della materia della concorrenza in modo da comprendere le violazioni delle imprese a danno dei consumatori.
La soluzione prospettata, tuttavia, non ha trovato concorde la dottrina maggioritaria, che segnala come essa non soddisfi in quanto crea la c.d. competizione o concorrenza degli ordinamenti, che a sua volta ingenera un
39 XXXXXXXXXXXXX R., “Concorrenza, II) Concorrenza sleale”, in Enc. Giur., Roma, 1988, p. 24
40 In questo senso ALPA G., “Il diritto dei consumatori”, Bari, 2002, p. 91
41 XXXXXXX X., “Profili evolutivi del diritto industriale, Proprietà intellettuale e concorrenza”, Milano, 2001, p.188
pericolo di shopping normativo e che “non va necessariamente a favore dell’ordinamento più forte e progredito”, come pure è stato scritto42.
La soluzione apre la possibilità di accentuare la diversità delle singole discipline nazionali, o di introdurre regole di non elevata tutela dei soggetti economicamente più deboli.
Xxxxxxx dunque i confini fra le disposizioni codicistiche sulla concorrenza sleale tra imprenditori, quelle a tutela della persona anche nella sua dimensione di consumatore, e la legislazione antitrust.
Nella normativa sulle pratiche commerciali scorrette/sleali la liceità dell’azione imprenditoriale è vagliata in base al criterio della correttezza professionale, che a suo luogo verrà esaminata.
Le molteplici ipotesi di pratiche sleali rivelano l’elasticità della linea di demarcazione tra l’attività imprenditoriale lecita ed illecita.
L’aspetto anticoncorrenziale delle pratiche commerciali sleali ai danni degli interessi dei consumatori equivale in ultima istanza all’affermazione della rilevanza, nei rapporti concorrenziali, degli interessi dei consumatori.
Ciò consente di negare la netta separazione della disciplina concorrenziale da quella a tutela del consumatore finale, in definitiva.
Si può in questo senso tentare una quadratura del cerchio a partire dalla lettura dei <<considerando>> n. 6 e 7, che specificano la relazione esistente tra le norme sulla concorrenza sleale ai danni dei consumatori e quelle ai danni degli imprenditori concorrenti, superando l’opinione secondo cui le regole di concorrenza sleale tutelano direttamente ed esclusivamente i rapporti tra imprenditori.
Sebbene ad essere tutelato sia l’interesse economico del consumatore, la direttiva riconosce anche ai concorrenti che siano titolari di un interesse legittimo, la legittimazione ad agire in sede giudiziaria ovvero a sottoporre le pratiche ritenute sleali al giudizio di un’autorità amministrativa competente a
42 ALPA G., “La competizione tra ordinamenti: un approccio realistico, in La concorrenza tra ordinamenti giuridici,p. 190
giudicare in merito ai ricorsi, fermo restando che spetta a ciascuno Stato membro decidere a quale di tali mezzi si debba ricorrere.
A tal fine, una certa parte della dottrina suggerisce l’istituzione di un’Autorità garante per la protezione dei consumatori, allo scopo di riconoscere al consumatore un’autonoma protezione che non confluisca o si confonda con il diritto antitrust.
Tutto ciò consente di non ricorrere a forzate estensioni dell’area coperta dalla clausola generale di correttezza contenuta all’art. 2598 n. 3 c.c., né alla nozione di interesse legittimo per la tutela risarcitoria di cui alla nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione 22 luglio 1999, n.500.
La dottrina citata sottolinea come il riconoscimento della rilevanza delle condotte lesive degli interessi economici dei consumatori costituisca un primo passo verso una sua più adeguata tutela, ma al contempo segnala la necessità in ordine all’introduzione di misure di tutela degli interessi non solo economici dell’operatore non professionale, in un quadro unitario di soluzioni che disciplinino tutti gli aspetti della concorrenza sleale.
Questa interpretazione è in linea con l’orientamento del Parlamento europeo, che nella motivazione di emendamento del <<considerando>> n, 5 della proposta di direttiva aveva osservato che si riteneva” opportuno tutelare l’insieme degli interessi dei consumatori e non solamente i loro interessi economici”.
Emerge dunque una concezione ampia della persona umana volta a recuperare la dimensione sociale del diritto dei consumatori e a realizzare l’obiettivo dell’integrazione degli interessi dei consumatori.
Tale integrazione dovrebbe muoversi nella direzione della promozione degli interessi e dei valori esistenziali e patrimoniali della persona e del consumatore, in modo che essi rilevino nelle logiche di regolazione del mercato.
In dottrina si segnala come uno sviluppo più appagante del diritto dei consumatori richieda un rapporto dialettico tra ordinamenti, legislatori e giurisdizioni nazionali e quelli comunitari.
Ciò preserverebbe le tradizioni nazionali e consentirebbe la creazione di un sistema di regole, principi e clausole generali condivise con i legislatori nazionali ed in linea con il principio di democraticità.
Le pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori contrastano con il principio generale che tutti gli operatori di mercato, e quindi anche i consumatori, devono agire in condizione di uguaglianza sotto il profilo dell’accesso all’informazione.
Un interessante campo di applicazione preso in considerazione dalla dottrina43 è il mercato finanziario (nei suoi tre segmenti mobiliare assicurativo e bancario), caratterizzato da abuso di informazioni privilegiate e da manipolazioni di mercato, situazioni nelle quali gli operatori professionali e non, si trovano a dover affrontare, in maniera diretta o indiretta, le conseguenze negative del comportamento di imprenditori che abbiano fatto abuso, a loro vantaggio o di terzi, di informazioni non accessibili al pubblico; ovvero che abbiano utilizzato tali informazioni per alterare il prezzo di mercato dei beni; ovvero abbiano divulgato informazioni false o ingannevoli. Tutto ciò a dimostrazione della funzione distorsiva del mercato e della libera autodeterminazione dei consumatori, nonché a conferma della necessità, da più parti segnalata, di ridiscutere le relazioni tra micro e macro regolamentazione dei rapporti giuridici tra simmetrie informative da un lato, e contratto e mercato dall’altro, al fine di contribuire alla creazione di un unico mercato europeo, fondato sul principio di parità delle condizioni di concorrenza.
6. Il ruolo dei codici di condotta nelle reti
43 COSTI, “Il mercato mobiliare”, Torino, 2006, p. 23
Nel contesto di una rete tra imprenditori, ma anche e soprattutto sul piano dei rapporti esterni, possono venire in rilievo i codici di condotta, quali fonti di doveri di comportamento a carico degli stessi.
Sempre più si assiste, così, al fenomeno della c.d. formazione negoziale del diritto, nel quale le fonti pubbliche di produzione del diritto concorrono insieme a quelle private nella regolamentazione della fattispecie, dando vita ad un sistema non a forma piramidale, bensì a “ragnatela”, come una certa dottrina non ha mancato di sottolineare.
L’ultimo decennio in particolare ha visto una tendenziale deregulation, un passaggio dall’hard law alla soft law, in molteplici rami del diritto e della società in particolare. Dai mercati finanziari alla corporate social responsabilità, finanche alle normativa lavoristica. Si tratta di un fenomeno congiunturale, innestato dai contatti con i sistemi di common law. Ma nel nostro ordinamento la consuetudo seu necessitatis e la longa repetitio non bastano per attribuire forza normativa ad un precetto. I dubbi della dottrina si appuntano proprio sulla collocazione nella gerarchia delle fonti della normazione di soft law, dalla quale gli operatori sono astretti ma che in definitiva manca di ogni legittimazione.
Gli assertori dell’assenza di rilevanza giuridica in capo a tali atti, vanno propagandando l’idea per cui queste debbano intendersi unicamente quali "regole di buon costume dettate da una determinata categoria imprenditoriale" A tal fine, è stata posta a carico di determinate categorie professionali una serie di obblighi comportamentali, espressamente definiti nei codici di condotta.
Viene così a crearsi un disegno normativo piuttosto complesso, nel quale si intrecciano norme private, come i codici deontologici, e norme provenienti da pubblici poteri, tra cui possono annoverarsi le leggi dello Stato, i regolamenti, le circolari.
Con l'espressione codice di condotta si intende: "un accordo o una normativa che non sia imposta dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tale codice in relazione ad uno o più settori specifici".
Si tratta, ad un'attenta analisi, di codici creati su basi volontaria, in assenza di un obbligo legislativo, che assumono la veste di contratti, i quali sono sottoposti alla disciplina codicistica dettata dagli artt. 1321 ss. c.c.
Tradizionalmente si distingue tra codici deontologici la cui adozione è imposta dal legislatore e codici liberi.
Si introduce poi la figura del responsabile del codice, cioè ogni soggetto, compresi un professionista o un gruppo di professionisti, responsabile della formulazione e revisione di un codice di condotta, e/o del controllo del rispetto del codice da parte di coloro che si sono impegnati a rispettarlo.
Si pone il problema degli effetti della violazione delle norme deontologiche sul contratto concluso dal consumatore, il potenziale cliente della rete.
L'adozione di atti di autoregolamentazione è stata auspicata in più occasioni dalla Comunità Europea.
La partecipazione di soggetti terzi al procedimento di formazione delle norme di buona condotta (associazioni di consumatori, authorities), garantisce la conformità delle stesse ai principi generali dell'ordinamento in tema di attività economiche, di buon funzionamento del mercato e di protezione del consumatore.
CAPITOLO 3
Il dibattito sulla qualificazione giuridica delle reti
Sezione I- La prospettiva societaria: reti e contratti plurilaterali
1. Le reti e i contratti plurilaterali con comunione di scopo
Occorre a questo punto prendere posizione sulla asserita natura associativa del contratto di rete, nonché sui risvolti di tale qualificazione in punto di diritti amministrativi e potere gestorio dei partecipanti alla rete, nonché sotto il profilo delle conseguenze dell’inadempimento degli obblighi da parte degli aderenti alla rete stessa.
Per fare ciò, si deve assumere, quantomeno in via d’ipotesi, che si tratti di un contratto appartenente alla categoria dei contratti plurilaterali con comunione di scopo, come tratteggiata in termini generali dall'art. 1420 c.c.; più in particolare, esso è un contratto associativo che prevede l'istituzione di un'organizzazione destinata a realizzare lo scopo comune delle parti44.
Ciò implica che, proprio in applicazione della menzionata norma del codice civile e di quelle affini (artt. 1446 c.c , 1459c.c., 1466c.c.), il rapporto tendenzialmente sopravviva anche se viene meno la partecipazione di uno dei contraenti, salvo che in concreto la sua presenza non sia da ritenere essenziale alla realizzazione dello scopo.
Quanto alla natura associativa del fenomeno, occorre rilevare che il nostro codice civile presenta al proposito un impiego peculiare del termine, giacché nell'art. 1420 e nelle norme analoghe (artt. 1446, 1459,
44 Cfr sul tema del contratto plurilaterale, XXXXXXXXX, Contratto plurilaterale e negozio plurilaterale, in Foro Lomb., 1932, 439; ID., Il contratto plurilarale, in Saggi giuridici, Milano, Xxxxxxx, 1949, 259 (nella stessa raccolta compaiono altri scritti in argomento);
X. XXXXX, voce “contratto plurilaterale”, in Nss. dig. it., IV, Torino, UTET, 1959, 678; MESSINEO, voce “contratto plurilaterale e associativo”, in Enc. dir., X, Milano, Xxxxxxx 1962, 139; X. XXXXX XXXXX, I contratti associativi, Milano, Xxxxxxx, 1974; XXXXX, Il contratto plurilaterale associativo, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000; BELVEDERE, La categoria contrattuale di cui agli artt. 1420, 1446, 1459, 1466 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, 660; ID., voce “contratto plurilaterale”, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., IV, Torino, UTET, 1989, 270; INZITARI, Riflessioni sul contratto plurilaterale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1973, 476; MAIORCA, voce “contratto plurilaterale”, in Enc. giur. Xxxxxxxx, XX, Xxxx, 0000.
.
1466) esso pone al centro della nozione la funzione del contratto, ovvero il perseguimento di uno scopo comune, e rende marginale la sua struttura, ovvero l'effettiva partecipazione di una molteplicità di aderenti all'accordo.
Questa impostazione è frutto di una polemica dottrinale sviluppatasi negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, nella quale si contrapposero due nozioni radicalmente diverse del contratto e dei fenomeni associativi.
Analizzando situazioni in cui si rilevava la presenza di più soggetti all'interno di un medesimo accordo, un'opinione propose un'idea del contratto inteso come luogo della composizione di interessi frontalmente contrapposti, che, come tali, potevano originare solo da due parti: il contratto sarebbe quindi stato necessariamente un negozio bilaterale e tutti i fenomeni di partecipazione plurima avrebbero dovuto inquadrarsi entro la categoria residuale del negozio plurilaterale.
Un’opposta ricostruzione sostenne invece la compatibilità della nozione di contratto con la composizione di interessi convergenti, provenienti anche da più di due parti. 45
Il codice civile finì per riaffermare, in buona sostanza per scelta dogmatica, che i rapporti associativi erano da inserire nel fenomeno contrattuale, ma così facendo pose attenzione non tanto alla struttura del contratto plurilaterale, e cioè alla presenza di più parti nel rapporto, quanto alla sua causa, ed in particolare alla destinazione delle prestazioni a realizzare scopi convergenti dei contraenti, così da occuparsi, negli artt. 1420 c.c. ed analoghi, del contratto con comunione di scopo.
La circostanza che il codice civile abbia assorbito una nozione particolare del termine non impedisce tuttavia di ammettere un contratto plurilaterale che abbia quale finalità lo scambio di beni e prestazioni tra coppie di contraenti, senza che quanto eseguito da ciascuno sia messo
45 ASCARELLI, Contratto plurilaterale, in Foro Lomb., 1932, p. 439 ss
necessariamente a disposizione di tutti gli altri, direttamente o attraverso l'organizzazione creata col contratto.
La stessa definizione di contratto offerta dall'art. 1321 c.c. riconosce senza limitazioni il contratto stipulato tra più di due parti; né dal sistema, e tanto meno dagli artt. 1420 e analoghi, emergono ragioni di interesse generale che possano opporsi al riconoscimento di contratti plurilaterali che non abbiano struttura associativa e non siano caratterizzati dalla comunione di scopo.
Il contratto in oggetto è soggetto ad un onere di forma, richiedendosi per la sua stipulazione l'atto pubblico o la scrittura privata autenticata.
Problematico potrebbe rivelarsi parlare di una forma di protezione. Infatti, la norma non statuisce la conseguenza della nullità del contratto in caso di difetto formale, cosicché in prima approssimazione deve negarsi che tale carenza possa travolgere le pattuizioni intervenute tra le parti, trattandosi al più di qualificare simili differenti accordi in termini diversi da un “contratto di rete” come indicato dalla legge ai propri fini. Può infatti accadere che il contratto disciplinato dalla l. n. 33/2009 intenda dare vita ad un soggetto giuridico di natura associativa dotato di autonomia patrimoniale perfetta.
In tale caso, è difficile escludere che tra le condizioni in forza delle quali l'ordinamento riconosce un ente così configurato vi sia anche la sua costituzione mediante l'atto pubblico o la scrittura privata autenticata, cosicché il requisito formale sembra porsi qui come elemento necessario per la realizzazione di tale effetto.
La mancanza di forma implicherà quindi l'impossibilità di creare un nuovo soggetto dotato di personalità giuridica e porrà il problema di qualificare l'organizzazione costituita con un atto informale come struttura associativa diversa dal “contratto di rete”, ad esempio come associazione non riconosciuta.
La norma della l. n. 33/2009 si esprime in modo analogo a quanto previsto per le associazioni riconosciute dall'art. 14 c.c., per il quale occorre ricorrere all'atto pubblico.
In questo caso la forma solenne è prescritta non per il contratto di associazione in quanto tale, ma per esso in quanto titolo per il riconoscimento della personalità giuridica; di qui la sua superfluità per le associazioni non aspiranti al riconoscimento. La mancanza della forma solenne, e della stessa forma scritta, non renderà nullo il contratto di associazione; essa precluderà, all'associazione già validamente costituita, la possibilità di ottenere il riconoscimento46.
D’altro canto, la capacità di resistenza dell'accordo sarà tanto più ampia quanto più si ammettono margini di atipicità nella creazione degli enti47.
Altro elemento che potrebbe deporre per la natura associativa del contratto è la necessità che il contratto enunci espressamente la propria funzione ed il proprio oggetto, attraverso l'indicazione del programma che le parti si impegnano a realizzare e delle prestazioni a cui esse si vincolano (lett. b e c); l'uno e le altre hanno di mira lo scopo di “accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato”, e quindi assegnano al contratto di rete una finalità più specifica di quella riconosciuta dal codice civile ai consorzi, escludendo per esempio che esso possa limitarsi a disciplinare la concorrenza tra gli aderenti.
Ancora, il contratto implica la creazione di un organo a cui è attribuita la gestione del programma di rete ed al quale sono devoluti i poteri rappresentativi determinati dai contraenti (lett. e);
46 Cfr XXXXXXX, Delle persone giuridiche, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna- Roma, Zanichelli-Il Foro Italiano, 1969, pp.154 ss; ID. Diritto civile e commerciale, pp. 190 ss.
47 Cfr XXXXXX, Le persone giuridiche, in Tratt. Iudica Zatti, Milano, Xxxxxxx, 2003,p. 54.
Per quanto concerne, invece, i mezzi destinati alla realizzazione del programma, la legge individua due strumenti diversi.
Sviluppando il discorso a partire dal primo dei requisiti essenziali del contratto, occorre osservare che sulla struttura dell'accordo, il disposto della lettera d), che richiede la previsione delle modalità di recesso e di adesione, sottolinea per alcuni la natura di contratto plurilaterale a numero variabile di parti, salvo il limite contenuto nel già ricordato inciso dell'art. 1420 c.c., e ne fa un contratto aperto all'adesione di altri soggetti ai sensi dell'art. 1332 c.c.48 .
Se poi operi qui un principio della porta aperta che escluda l'ammissibilità di clausole che impediscano l'ingresso di nuovi aderenti; considerata la tendenziale analogia di scopi tra il consorzio ed il contratto di rete49, è controverso.
L'opinione maggioritaria ammette per il consorzio la derogabilità convenzionale della previsione concernente l'adesione dei nuovi partecipanti, estendendo tale disciplina al contratto di rete.
Il numero degli aderenti è secondario al fine di attribuire la qualificazione di plurilaterale, essendo sufficiente a tal fine l'idoneità del contratto ad accogliere altri partecipanti.
L’ organizzazione di un'attività per realizzare uno scopo comune, secondo l'archetipo della società e degli altri contratti associativi, è invece essenziale.
Muovendo da queste premesse, ci si chiede se essa presupponga necessariamente la costituzione di un nuovo soggetto di diritto, così da fare della rete di imprese una vera e propria persona giuridica.
48 Cfr. CESÀRO, Contratto “aperto” e adesione del terzo, Napoli, Jovene, 1979; X. XXXXXXXXX, Xxx contratti necessariamente aperti, in Riv. dir., civ., 1982, I, p. 557.
49 BORGIOLI, Consorzi e società consortili, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, Xxxxxxx, 1985, pp. 443 ss.; XXXXXXXXXXXXX, Dei consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro Italiano, 1992, p. 123; VOLPE PUTZOLU, Consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Trattato Xxxxxxx, Padova, CEDAM, 1981, p. 380.
L'analisi della norma pare suggerire ad alcuni che, sebbene la costituzione di un nuovo ente sia riguardata come ipotesi normale, non si possono escludere altre soluzioni. La previsione di un fondo patrimoniale comune, assistito dalla stessa autonomia patrimoniale che il codice civile riconosce al fondo consortile, deporrebbe a favore della creazione di una persona giuridica.
Da ciò si induce che laddove il modello organizzativo prescelto dalle parti si indirizzi in quella direzione, non si potrà che considerare la rete come centro di imputazione dotato di soggettività.
Peraltro, la dotazione dei mezzi per la realizzazione del programma può intervenire, secondo la lettera c) del comma 4-ter, anche mediante l'istituzione, da parte dei singoli aderenti, di un patrimonio destinato al singolo affare, secondo il disposto dell'art. 2447-bis c.c.50
Tale modalità alternativa di organizzazione raggiunge, quanto alla limitazione di responsabilità, risultati prossimi a quelli a cui si perviene mediante il conferimento di un patrimonio autonomo alla persona giuridica, ma opera attraverso il differente strumento della separazione patrimoniale, impedendo così l'attribuzione dei beni destinati alla rete in capo ad un soggetto diverso dagli originari titolari del patrimonio D’altra parte, la dottrina si interroga circa la restrizione normativa del contratto di rete ad una particolare conformazione del rapporto associativo, che consentirebbe comunque il ricorso ad altri modelli contrattuali al fine di raggiungere un efficiente coordinamento tra le varie imprese che intendano cooperare nel settore.
Ragionando diversamente, oltre a non trovare giustificazione nella lettera delle disposizioni in esame, le quali non esprimono deroghe
50 Cfr. ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE, Il diritto delle società, Bologna, 2009, CAMPOBASSO, Diritto commerciale, II, Torino, 2009; XXXXXX ALBERTI, sub artt. 2447-bis - 2447-decies, in Il nuovo diritto delle società, a cura di ID., II, Padova, CEDAM, 2005, p. 1676; C. COMPORTI, Patrimoni destinati ad uno specifico affare, in SANDULLI-XXXXXXX, La riforma delle società, 2, II, Torino, Giappichelli, 2003, pp. 958 ss.; XXXXXXX, Autonomia e separazione del patrimonio nella prospettiva dei patrimoni separati delle società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 547
espresse al principio di autonomia privata, si realizzerebbe un’ ingiustificata compressione delle facoltà delle imprese di organizzare la propria attività attraverso gli schemi negoziali più utili al caso concreto e per ignorare la circostanza che le reti si sono venute formando attraverso l'impiego di strumenti contrattuali diversificati.
Muovendo dunque anche dalle considerazioni svolte in premessa, quando si pensa al contratto plurilaterale come strumento di governo delle reti di impresa, è necessario preliminarmente stabilire se si sta facendo riferimento ad una struttura associativa ovvero ad una concatenazione di scambi.
Una terza via potrebbe rinvenirsi nella combinazione delle due figure. Dalla risoluzione di tale problema interpretativo discende la qualificazione e la disciplina dei rapporti.
Quanto alla figura del contratto plurilaterale con comunione di scopo, è bene notare che simile modello si presta a molte finalità organizzative della rete, soprattutto quando si vogliano creare strutture destinate a dirigere o tutelare gli aderenti nello svolgimento di attività che richiedono coordinamento, controlli di rispondenza a disciplinari di produzione, repressione di imitazioni e frodi. Vengono in rilievo, quali prototipi di contratti con queste finalità, il contratto di rete introdotto dalla l. n. 33/2009 e, in quanto strumento di più collaudato impiego, il consorzio; ma non può escludersi la formazione di contratti atipici, di joint ventures con vincolo associativo puramente interno, o di patti parasociali collegati a società consortili, i quali obblighino i soci aderenti a determinati comportamenti e a coordinare certe attività.
L'impiego di strutture flessibili quali quelle riconducibili al contratto plurilaterale con comunione di scopo consente di ricorrere a regole altrettanto flessibili per stabilire quando, di fronte alle adesioni di alcuni potenziali interessati, ma non di tutti, il contratto possa dirsi concluso.
2. Reti e joint Ventures
Con il termine joint venture si designa ogni forma di integrazione tra imprese che miri allo svolgimento in comune di un affare, intesa come cooperazione stabile tra imprese con creazione di una qualche forma di organizzazione comune.
Le joint ventures si possono distinguere in joint ventures che rimangono sul piano contrattuale, e joint ventures che si attuano mediante la creazione di una società comune51, soggetta al controllo comune dei soggetti partecipi. Si parla in proposito rispettivamente di non-equity e equity joint ventures .
Peraltro, sia le contractual joint ventures, sia le joint venture corporations, hanno come comune substrato un joint venture agreement, in esecuzione del quale può aversi, accanto alla stipulazione degli altri e più vari contratti miranti al governo delle relazioni tra i partners dell'iniziativa, anche la costituzione di una società.
La medesima distinzione può porsi per le strategie alliances, anche se, quando l'alleanza è «asimmetrica» (con un rapporto di «committenza»), il lato «proprietario» della rete passa non attraverso la creazione di una società comune, ma attraverso la partecipazione al capitale di rischio dell'una società nell' altra.
Motivi della scelta di un modulo organizzativo piuttosto che un altro saranno le stesse variabili generalmente applicabili per predire lo strumento di coordinamento più appropriato.
Tutti questi fattori sono presenti nell'attività di ricerca scientifica e tecnologica e, in generale, nei settori ove l'attività svolta è ad alto rischio
e ad alta innovazione; e infatti le joint ventures (e le alleanze strategiche) si concentrano soprattutto in questi campi.
51 C.d. Joint subsidary
Si tratta di moduli organizzativi segnatamente diffuse nei settori ad alto tasso di innovazione tecnologica, adottate in funzione della realizzazione di,progetti innovativi caratterizzati da un alto grado di complessità. Risulta frequente, che il grado di rivalità fra le imprese partecipanti alla join venture sia molto più elevato rispetto ad altre tipologie di rete. La combinazione di un elevato grado di complessità del task innovativo e di un elevato grado di rivalità agisce nel senso di favorire il ricorso all' attribuzione dei diritti di proprietà in funzione incentivante e a modalità di coordinamento su cui più fortemente incide la distribuzione della proprietà del capitale.
La letteratura economica distingue tra le joint ventures intraprese ai fini della realizzazione di progetti innovativi in research joint venture e research corporations, o equity foint ventures.
L'elemento caratterizzante di discrimine tra le due tipologie di accordi di collaborazione tecnologica risiede nella natura esclusivamente contrattuale o anche societaria della joint venture.
Mentre infatti alla prima categoria sono ascrivibili forme di integrazione fra imprese che rimangono sul piano esclusivamente contrattuale ed implicano un grado minore di interdipendenza organizzativa le seconde comportano la creazione di unajoint subsidiary e dunque l'utilizzazione di partecipazioni azionarie in funzione di coordinamento.
Una tipologia particolare di Research joint ventures è data da contratti di ricerca fra una impresa grande ed una impresa di dimensioni minori cui è affidata la realizzazione di uno specifico task innovativo.
Le research .Joint ventures e le research corporations sono forme di
«alleanza strategica», in riferimento alla loro natura di cooperazione basate su accordi di breve periodo generalmente raggiunti per il perseguimento di obiettivi determinati.
La nozione di “alleanza strategica” si rivela utile anche sotto altro profilo.
È interessante osservare che i diritti di proprietà intellettuale possono svolgere in fase di costituzione di una joint venture una funzione importante, consistente nella segnalazione delle capacità innovative elo del capitale tecnico accumulato dalle imprese. La disponibilità di risorse intellettuali protette da diritti esclusivi incide, in altre parole, sul potere di attrazione che un'impresa è in grado di esercitare sulle altre e quindi sulle opportunità che essa ha di costituire «alleanze strategiche»52.
Similmente, si rileva qui che un' analoga funzione di segnalazione possa essere svolta dallo stock di diritti di proprietà intellettuale accumulato dalle imprese.
Tale funzione è particolarmente rilevante nel caso di imprese di piccole dimensioni, per le quali la possibilità di costituire una alleanza strategica rappresenta un mezzo di accesso al finanziamento da parte di imprese di grandi dimensioni.
Insieme ad esse si possono menzionare le «alleanze strategiche», la cui nozione è, se possibile, ancor meno univoca, ma il cui significato base può essere individuato nella caratteristica di essere un accordo tra imprese indipendenti miranti alla condivisione di una risorsa di valenza strategica. Da alcuni l'alleanza strategica è posta in rapporto di genere a specie con la joint venture; altri invece ritengono che il criterio discretivo consista in una certa «asimmetria» nella relazione, nel senso che nell' alleanza strategica, a differenza che nella joint venture, sarebbe identificabile una parte «committente» di una determinata attività (normalmente di ricerca), svolta dall'altra.
Nei casi in cui le imprese non sono in diretta concorrenza, e in particolare nel caso in cui il contratto di joint venture associ un'impresa committente ed un'impresa «di ricerca», il ricorso alla partecipazione azionaria come strumento di governance della relazione può essere ridotto dalla
52 Arora e Xxxxxxxxxxx [1990] hanno osservato che le attività innovative svolte in passato dalle imprese fungono da segnale della loro competenza tecnica accumulata.
reputazione di quest'ultima così come dall' esistenza di relazioni connotate da fiducia.53
Le tre diverse tipologie di accordi sono nella pratica adottate per l'attribuzione dei diritti di proprietà sulle innovazioni prodotte nell'ambito della research joint ventures.
Le parti possono accordarsi per sottoporre tutti i risultati della collaborazione ad un regime di proprietà comune, con tutti gli oneri che ne derivano.
Oppure ciascun partner può ottenere la proprietà dei propri risultati c renderli successivamente disponibili alla/alle controparti. Infine, se l'alleanza è caratterizzata dalla presenza di una impresa leader, è quest'ultima che potrebbe richiedere la proprietà di tutti i risultati, che prevedono la creazione di un'entità separata, i risultati della collaborazione sono generalmente attribuiti a quest'ultima anche se alle imprese partner è riservato il diritto di ottenere i risultati o stipulare degli accordi di licenza. Bisogna comunque notare che non sempre l'attribuzione di diritti di proprietà avviene sotto forma del conferimento di diritti di proprietà intellettuale sulla conoscenza prodotta54.
53 Interessanti intuizioni in merito al problema dell' ottima allocazione dei diritti di proptietà intellettuale nelle research joint ventures sono offerte da un'analisi elaborata da Aghion e Xxxxxx.
I due autori esaminano il caso della costituzione di una R]V fra un acquirentefinanziatore e un'impresa che effettua l'attività di R&s in un contesto di incompletezza contrattuale, e derivano almeno due risultati rilevanti ai fini di questo scritto. liprimo è che l'allocazione ottimale dei diritti di proprietà sugli esiti dell'attività innovativa dipende dall'intensità relativa dell'investimento delle parti nella relazione. La proprietà degli asset intellettuali dovrebbe dunque essere attribuita all'impresa che conduce l'attività di R&s quando è più importante promuovere lo sforzo innovativo dell'impresa di ricerca piuttosto ahe l'investimento fmanziario e/o non fmanziario dell'impresa acquirente. li secondo risultato riguarda il fatto che il cofmanziamento della ricerca da parte di un investitore esterno alla RJV incide positivamente sugli incentivi delle parti, posto che i diritti di proprietà sull'output siano attributi alla impresa di ricerca.
54 Ad esempio, sulla base di evidenza empirica raccolta in Canada, che frequente è il caso in cui la protezione dei risultati risulta affidata al segreto, con l'eccezione delle collaborazioni nel settore biotecnologico, dove il ricorso alla brevettazione è maggiore.
Cfr. NIOSO,
Si segnala come la joint venture sia un investimento specifico di durata apprezzabile e non immediata liquidabilità, quando vi sono difficoltà ad acquisire le informazioni rilevanti sul mercato estero, potendosi profittare delle conoscenze del partner locale, e quando si prevede una presenza permanente, o comunque di lunga durata e valore strategico, nel paese estero; quando cioè non vi sono ancora le condizioni per l’investimento diretto, ma la situazione suggerisce un più efficace controllo sul mercato di sbocco di quello che può essere garantito da mere esportazioni, pur effettuate mediante una proptia struttura commerciale".
3. I consorzi
Per altra via, si tende a ricondurre il fenomeno delle reti alla categoria del consorzio, impostando i problema sotto il profilo del diritto commerciale. Il consorzio come forma organizzativa tipica, volta alla istituzione di “un' organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese” ai sensi dell’ art. 2602 c.c. .
La forma organizzativa del consorzio è adottata per una molteplicità di fenomeni associativi che coordinano attività che vanno dalle fasi iniziali dell'attività innovativa alla gestione delle attività di commercializzazione di prodotti rispetto ai quali l'attività di ricerca è limitata se non inesistente. Nell’ ambito dei consorzi occorre, per quel che rileva in relazione alle reti, distinguere tra:
a) consorzi a composizione puramente pubblica;
b) consorzi a composizione mista: pubblico-privato;
c) consorzi puramente privati.
I primi consorzi sono connessi all'industria per mezzo di organizzazioni di collegamento, vale a dire piattaforme industriali dotate di un accesso privilegiato al know how da essi stessi prodotta.
Il tratto caratterizzante rispetto a questa forma di consorzio rispetto ai consorzi a composizione mista risiede nella deliberata strategia di ampia divulgazione dei risultati scientifici in essa perseguita, rispondente all'obiettivo proprio della «comunità scientifica» di espandere i confini della conoscenza appartenente al pubblico dominio.
Secondo una parte della dottrina, nei casi ambigui circa la provenienza dei risultati scientifici ottenuti mediante la collaborazione, il ricorso ad un sistema di proprietà collettiva permette non soltanto di preservare l'apertura del sistema di ricerca, ma anche di evitare una eccessiva frammentazione delle conoscenze e facilitare l'accesso ad esse da parte degli utilizzatori potenziali.
Il riferimento va, in termini di paragone, alle epistemic communities - in particolare il perseguimento dell'obiettivo condiviso deli'aumento dello stock di conoscenza in un determinato ambito scientifico e la libera circolazione delle conoscenze e dei risultati cha a questo obiettivo è funzionale - con la differenza che il consorzio rappresenta una modalità organizzativa formalizzata, mentre le epistemic communities operano largamente nell' ambito dell' informale e trascendono i confini di singole organizzazioni.
A partire dal quinto e più recente programma-quadro europeo, la forma prevalente di consorzio è divenuta la forma mista, anche in conseguenza del fatto che il programma-quadro esplicitamente prevede la partecipazione di imprese private al consorzio come condizione di esistenza del consorzio stesso. Se, da un lato, l'inclusione di soggetti privati nei consorzi di R&S permette una più efficace diffusione delle conoscenze al di là dell'ambito accademico e, di conseguenza, aumenta le probabilità di una rapida applicazione industriale dei risultati scientifici raggiunti, dall'altro rende cruciale il problema dell'allocazione dei diritti di proprietà intellettuale ed induce all'adozione di strategie di protezione della conoscenza prodotta che possono ridurne la libera circolazione.
Quanto poi agli accordi di collaborazione fra istituzioni accademiche ed industria, sebbene si tratti di accordi che possono in linea di principio ridurre la diffusione dei risultati della ricerca scientifica, l'uso di licenze esclusive è prevalentemente associato a circostanze in cui l'invenzione in oggetto è in una fase embrionale di sviluppo.
In questi casi facilitano la realizzazione, da parte delle imprese coinvolte, degli ingenti investimenti necessari alla commercializzazione.
Sono prospettabili almeno cinque modalità di attribuzione dei diritti sui risultati della ricerca congiunta.
1) Attribuzione separata: in relazione alla proprietà delle tecnologie e dei materiali originali utilizzati.
E‘ la forma di ripartizione dei diritti più comune nel caso in cui la collaborazione consista nel trasferimento all'interno del laboratorio di ricerca pubblico di materiali di proprietà dei partner industriali del consorzio e nell' applicazione a tali materiali delle tecnologie (sia brevettate che non brevettate) e del know-how appartenenti al laboratorio. La proprietà dell' invenzione finale è generalmente attribuita al proprietario dei materiali originali, mentre al laboratorio è attribuita sia la proprietà dei miglioramenti apportati alle sue tecnologie che tutti gli eventuali materiali da esso creati per realizzare il prodotto finale.
2) Proprietà congiunta ma temporanea: si riferisce al caso in cui vengono attribuiti ai membri del consorzio sia il diritto di proprietà sui materiali utilizzati nel corso della collaborazione che il diritto di pubblicare o resettare dati ottenuti sulla base di tali materiali, ma esclusivamente per la durata della collaborazione.
3) Proprietà congiunta: è una opzione cui sempre più frequentemente si fa ricorso, in marcata controtendenza rispetto alle modalità di attribuzione dei risultati prevalenti negli anni '80 e agli inizi degli anni '90 che consistevano generalmente nell' attribuzione delia totalità dei diritti sui risultati della collaborazione alIai partner privati. Spesso, a fronte della
contitolarità del diritto, si ha comunque il conferimento della gestione lla componente privata del consorzio, cosicché a quest'ultima è accorata la possibilità di sfruttamento estensivo dei risultati della ricerca ed l laboratorio pubblico rimane la possibilità di sfruttare il brevetto in ampi non di interesse per l'impresa e di ottenere un compenso.
4) Attribuzione alla sola componente industriale del consorzio: è l'opzione scelta qualora a) i risultati della cooperazione siano di minima
entità rispetto allo stock di conoscenze specifiche possedute in uno specifico campo di ricerca dal partner industriale; b) la collaborazione rappresenta una fonte cii finanziamento consistente per il laboratorio pubblico; c) il laboratorio pubblico non è sufficientemente attrezzato per la gestione della proprietà intellettuale risultante dalla collaborazione.
5) divisione in relazione alla divisione del lavoro: si tratta di una modalità di allocazione frequentemente utilizzata nel caso in cui fra i membri del consorzio vi sia più di un soggetto privato. In questo caso la collaborazione si articola generalmente in una serie di sottoprogetti, e ciascun partecipante conserva la proprietà dei materiali, delle tecnologie e del know-how che apporta alla collaborazione ed ha diritto a depositare brevetti inerenti lo specifico obiettivo di ricerca perseguito.
Oltre alle ovvie funzioni transattiva e incentivante, i diritti di proprietà intellettuale possono svolgere all'interno del consorzio varie altre funzioni. In primo luogo, una funzione di segnalazione. di possesso di un portafoglio di brevetti rappresenta infatti in molti casi per un laboratorio di ricerca pubblico un mezzo per segnalare ai potenziali partner privati la qualità della ricerca scientifica effettuata in precedenza e quindi il possesso di competenze know-how scientifico-tecnologico.
Allo stesso tempo, esso permette anche di rendere più equilibrati i termini della collaborazione, poichè aumenta il potere contrattuale dei partner pubblici.
La prima funzione riguarda la creazione di start-up da parte di laboratori pubblici di ricerca che, grazie alla detenzione di brevetti sono in grado di riservare un mercato per la costituenda start-up ed ottenere eventualmente fondi da investitori privati.
In secondo luogo, viene in rilievo una funzione di segnalazione. di possesso di un portafoglio di brevetti rappresenta infatti in molti casi per un laboratorio di ricerca pubblico un mezzo per segnalare ai potenziali partner privati la qualità della ricerca scientifica effettuata in precedenza e quindi il possesso di competenze know-how scientifico-tecnologico.
Allo stesso tempo, esso permette anche di rendere più equilibrati i termini della collaborazione, poichè aumenta il potere contrattuale dei partner pubblici.
Sia tanto la frequenza che la rilevanza del ricorso ai diritti di proprietà intellettuale nell' ambito dei consorzi a composizione mista variano fortemente di settore in settore.
In particolare si rivelano laddove il grado di appropriabilità che i diritti di proprietà intellettuale garantiscono è più elevato, come nei settori farmaceutico, chimico e biotecnologico.
4. I diritti amministrativi dei partecipanti
La questione attinente i c.d. diritti di voice dell'aderente alla rete, in definitiva, si traduce nell’analisi circa il ruolo della determinazione del singolo aderente una volta entrato a far parte di un rapporto plurilaterale.
In linea generale i contratti di rete si configurano come contratti di durata ovvero come contratti ad esecuzione continuata55.
55 Cfr. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, Padova, 2004, pp.535 ss.
Un primo aspetto rilevante con riguardo alla possibilità per il singolo partecipante alla rete di mantenere spazi decisionali individuali concerne i rapporti della rete con i terzi, qualora si ponga l'esigenza di stringere con questi ultimi convenzioni che possano interessare la rete nel suo complesso. Il tema si segnala anche alla luce dell'intervento normativo del 2009, in forza del quale il contratto di rete deve indicare i poteri di rappresentanza attribuiti all'organo comune incaricato di attuare il contratto, mentre, nelle procedure di programmazione negoziata con la pubblica amministrazione ed in quelle inerenti ad altri interventi pubblici previsti dalla legge, all'organo è conferito, salvo patto contrario, il potere di rappresentare ogni singolo aderente.
Al di fuori di previsioni specifiche, si deve peraltro ritenere che qualora la rete operi attraverso un contratto associativo, siano normalmente le regole organizzative dettate per quel contratto a disciplinare la questione e a decidere come la determinazione del singolo aderente possa influire sull'attività degli organi preposti a rappresentare l'organizzazione.
Simili meccanismi sono però estranei al contratto di scambio e, comunque, sono inidonei a creare un vincolo diretto tra il terzo e l'impresa aderente alla rete; ne segue la necessità che, in assenza di altre più specifiche attribuzioni della rappresentanza, per far fronte a queste esigenze non si possa che operare con lo strumento del mandato, con gli effetti e le questioni che di tale strumento sono propri.
D’altra parte, in relazione alla caratteristica di contratto plurilaterale di durata, essi postulano una certa flessibilità nel loro contenuto. Ciò si spiega da un lato in relazione alla finalità organizzativa ad essi connaturata e per la loro intrinseca incompletezza, dall'altro per la necessità di far fronte alle sopravvenienze del rapporto e delle relazioni fra i contraenti.
Queste caratteristiche impongono di verificare a quali condizioni e con l'assenso di quali o quanti partecipanti possano apportarsi adattamenti all'impegno originario.
Si tratta cioè di verificare in che senso e con quali modalità debba estrinsecarsi la volontà dei contraenti per regolare il rapporto giuridico di natura patrimoniale in essere fra le parti.
Infatti, molti dei contratti associativi, come il consorzio (art. 2606 c.c) adottano il principio maggioritario. Solo in caso di modifica del contratto, riprende vigore il principio unanimistico. Ciò l’art. 2607 c.c. dispone in tema di modifica del consorzio.
All’opposto, nei contratti di scambio, il principio generale è quello che pretende il consenso unanime delle parti per variare l'accordo. È dunque necessario pensare a strumenti di modificazione e completamento del contratto mediante meccanismi condivisi e pattuiti ex ante, quali il ricorso all'arbitraggio o a clausole di adeguamento.
Sono da ultimo ammissibili clausole di rinegoziazione56.
In assenza di queste un obbligo di rinegoziare57è pensabile solo alla stregua della clausola generale di buona fede, che in queste fattispecie assume rilievo certamente penetrante.
5. L’inadempimento dell’aderente alla rete: rinvio
Occorre tentare di ricostruire l’ipotesi della responsabilità della rete alla luce dell’asserita natura associativa del contratto di rete, per introdurre
56 Cfr. XXXXXXX, Il contratto, Padova, 2007, pp. 432 ss.
57 Cfr. in argomento, XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, Jovene, 1996, 312 ss.; e più recentemente XXXXXXX, La rinegoziazione del contratto, Padova, CEDAM, 2006,pp. 108 ss.
in un secondo momento l’impostazione dl problema su basi diverse, fondate sulla nozione di collegamento contrattuale, di cui in seguito.
In primo luogo, occorre da subito osservare che, rispetto ad una serie di contratti separati tra loro, la ricostruzione del rapporto in senso unitario conduce ad un ampliamento delle pretese e, reciprocamente, delle responsabilità delle imprese della rete, dal momento che il comportamento dedotto in obbligazione da ciascun partecipante è atteso in un contesto in cui si aggiungono tanti creditori, e quindi tanti potenziali danneggiati in caso di inadempimento, quanti sono i soggetti che entrano nella relazione contrattuale. È dunque inevitabile che rischi e responsabilità si accrescano.
Ciò in considerazione dei profili di affidamento alla rete stessa. Peraltro, la variazione non è solo quantitativa, perché l'inserimento della singola prestazione in un rapporto in rete impone di operare le valutazioni riguardanti l'inadempimento ed i suoi caratteri tenendo presente l'intero contesto in cui le parti si trovano ad operare.
È inevitabile in ogni modo che, anche sotto il profilo dell'inadempimento, il carattere unitario del contratto operi con effetti diversi a seconda che il rapporto sia strutturato secondo lo schema del contratto a scopo comune o secondo lo schema dello scambio, dal momento che la maggiore flessibilità del primo modello consente margini di resistenza più elevati di quanto non accada con il secondo. La questione è evidente con particolare riguardo ai rimedi contro l'inadempimento ed al conseguente scioglimento del rapporto in danno del responsabile o a vantaggio della vittima dell'inadempienza, e ciò in considerazione del principio dettato dall'art. 1459 c.c. per il contratto a scopo comune.
Così, il giudizio sulla gravità dell'inadempimento ex art. 1455 c.c. ai fini della risoluzione può essere influenzato dal vincolo fiduciario che normalmente collega tra loro gli aderenti alla rete e deve considerare le
finalità complessive del contratto, che mira ad organizzare e conservare la relazione reticolare.
Viene in particolare rilievo la fiducia che connota- o quantomeno dovrebbe connotare- il rapporto tra le parti, inteso come reciproco legame improntato a correttezza e fair play.
Perciò, un inadempimento che sarebbe considerato minore in un rapporto bilaterale, potrebbe diventare di non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c. se è idoneo a minare il legame fiduciario che unisce tra loro gli aderenti; simmetricamente, un inadempimento grave in un rapporto bilaterale potrebbe non giustificare la risoluzione se questa comportasse la dissoluzione della rete e se, nella prospettiva della sua conservazione, quell'inadempimento fosse tollerabile.
Quindi, di fronte all'inadempimento, oltre al rimedio generale del risarcimento del danno ed all'esecuzione in forma specifica potrebbero porsi altri profili di tutela.
In particolare, prospettive in questo senso sono ora aperte dalla nuova norma, introdotta dall’art. 49, comma 1, della l. 18 giugno 2009, n. 69, contenuta nell'art. 614 bis c.p.c.58. Tale norma prevede che il giudice possa fissare, su richiesta della parte, una somma di denaro dovuta in caso di omessa esecuzione di condanne ad un facere o ad un non facere infungibili. Ciò peraltro non assicura l'effettivo adeguamento alla condotta prevista nel contratto, ogni qual volta l'inadempimento sia
58 Art. 614 bis c.p.c :Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare” Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza . Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lvoro subordinato pubblico e privato ed ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409.
Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenendo conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.”
generato dalla crisi dell'impresa inadempiente, e comunque non modifica la questione in ordine alle prestazioni fungibili.
Al di fuori, tre possibili situazioni si profileranno:
I) lo scioglimento del rapporto limitatamente all'inadempiente: esso potrà essere attuato con lo strumento dell'esclusione, se il contratto ha dato luogo ad una vera e propria struttura associativa assimilabile alla società, all'associazione o al consorzio, o con l'ordinaria risoluzione negli altri casi;
II) lo scioglimento del rapporto limitatamente alla parte che subisce gli effetti dell'inadempimento, mediante lo strumento del recesso, o di nuovo della risoluzione, secondo i casi;
III) infine, lo scioglimento del contratto nella sua interezza.
Peraltro, tale ultima situazione risulta solo eventuale e residuale. Infatti, l'art. 1459 c.c., detta una presunzione in senso contrario, dal momento che il distacco di una partecipazione condurrà alla risoluzione integrale solo se il soggetto interessato sarà in grado di dimostrare che il rapporto, privato della prestazione inadempiuta, non è idoneo a realizzare lo scopo comune. In altri termini lo scioglimento configura un’ipotesi residuale legata ai soli casi di essenzialità della partecipazione.
Ciò deriva dal carattere di comunione di scopo dei contratti in questione.
All’opposto, una conclusione analoga non è per contro riferibile negli stessi termini al contratto plurilaterale di scambio, laddove l’assetto degli interessi dei contraenti si pongono su un piano di potenziale conflittualità o quantomeno di minore convergenza.
Sezione II- La prospettiva contrattuale: reti e collegamento contrattuale
1. Collegamento contrattuale e tutela consumeristica
La necessità di definire regole che salvaguardino la giusta combinazione tra cooperazione e competizione interna alla rete e tra la rete e terzi, impone al giurista di individuare adeguati strumenti contrattuali.
A tal proposito, assume rilevanza giuridica lo strumento del collegamento contrattuale. Si rinvengono infatti nella prassi diversi schemi di collegamento contrattuale, che la dottrina in materia ha così distinto: schemi a filiera, in cui contratti si succedono lungo una serie lineare (come nel modello della subfornitura); schemi a raggiera, dove una stessa parte conclude più contratti con diverse parti tutti riferibili all’impresa centrale (come nel modello del franchising); schemi misti, che combinano entrambe le soluzioni. In ogni caso, emerge come lo schema contrattuale adottato rifletta un diverso equilibrio dei poteri decisionali e un diverso circuito dei canali di comunicazione.
In considerazione delle precedenti osservazioni, si sottolinea che obiettivo della presente ricerca è quello di indagare il fenomeno del collegamento contrattuale quale strumento che consente di realizzare l'unitarietà dell'assetto teleologico ed economico delle reti, indipendentemente dall'autonomia strutturale che caratterizza formalmente l’esercizio dell’impresa nel mercato.
Si ritiene pertanto necessario analizzare il fenomeno del collegamento contrattuale quale si atteggia nell’ordinamento, anche positivo, per poi
spostare la lente d’indagine sui modelli di collegamento produttivo (subfornitura) e distributivo ( franchising).
2. Riconoscimento legislativo del collegamento contrattuale e riequilibrio contrattuale
A conferma dell’importanza e dell’attenzione tributata negli ultimi interventi normativi in materia economica dal legislatore, ed a sostegno quindi di un’ interpretazione del fenomeno delle reti fondata su tale nozione, si analizza ora l’emersione normativa della categoria del collegamento contrattuale.
Essa è stata di oggetto di considerazione e di riconoscimento giuridico da parte del legislatore attraverso previsioni normative con cui l'ordinamento individua l'autonoma fattispecie di collegamento, distinta dalle singole fattispecie contrattuali, conferendo rilevanza giuridica e normativa all'interdipendenza dei contratti e riconnettendovi determinate conseguenze giuridiche59.
L'esistenza del collegamento contrattuale può quindi derivare sia dall'autonomia contrattuale, ai sensi dell'art. 1322 c.c., sia da una previsione legislativa.
Peraltro, una parte della dottrina ha individuato in questa seconda ipotesi una forma di "collegamento tipico" o "necessario", che si contrappone al "collegamento atipico" che si ha nel secondo caso60.
La dottrina61 ha inoltre evidenziato come vi sia una netta distinzione tra la fonte del collegamento (legge o volontà delle parti) e gli effetti che da esso scaturiscono: la prima cambia nel passaggio del collegamento
59 XXXXXXXX, I contratti collegati, in XXXX-XXXXXXX (a cura di), I contratti in generale, Appendice di aggiornamento, I, Torino, 1999, p. 1908.
SCONDITTI, nota a Xxxx. 20 gennaio 1994 n. 474, in Foro It., 1994,p. 3096.
60 CHINE', il collegamento contrattuale tra tipicità e atipicità, in Giust.civ.., 1996, p. 1096; SCOGNAMIGLIO, voce Collegamento Negoziaie, ciI., 378 DI NANNI Collegamento negoziale e funzione complessa, in Riv. dir. comm.,1997, p. 228.
61 CHINE', Il collegamento contrattuale tra tipicità e atipicità, cit.,p. 1099.
necessario a quello volontario, mentre i secondi rimangono sostanzialmente immutati perché sempre riconducibili al regola simul stabunt simul cadent.
Il primo esempio di riconoscimento legislativo del collegamento contrattuale è da larga parte della dottrina62 ravvisato nella disciplina del credito al consumo che, anche se in termini non decisi, tende a valorizzare il collegamento che sussiste tra il contratto di acquisto e quello di finanziamento63. Ciò rimane vero anche se, come visto, la giurisprudenza aveva riconosciuto il carattere unitario di tale operazione economica già prima dell'intervento del legislatore, stabilendo che, nel caso di mancata consegna del bene, debba cadere l'intera operazione e che il finanziatore sia tenuto a richiedere la restituzione della somma mutuata non all' acquirente ma al venditore, unico beneficiario economico effettivo del finanziamento.
Successivamente la legge 19 dicembre 1992 n.142, e poi il t.u.b in cui è stata trasfusa, fino al codice di consumo dove ora trova parziale accoglimento, disciplinano espressamente i rapporti tra i soggetti che intervengono nell' operazione.
La disposizione più significativa in materia, è sicuramente l'art. 1496 ter, primo comma, c.c. (introdotto con l. 52/1996 e ora trasfuso nell'art. 34 cod. cons.), in base al quale "la vessatorietà di una clausola è valutata ... facendo riferimento alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende".
Il passaggio è molto significativo, dal momento che prevede che l'interpretazione complessiva del contratto debba abbracciare l'intera catena dei contratti ad esso collegati, fornendo la base normativa per un'interpretazione unitaria dei negozi collegati: dinanzi a contratti tra i quali sia accertato un collegamento, l'interprete potrà e dovrà procedere
62 FERRANDO, Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in N.G.C.C, 1997, p. 233; ID., I contratti collegati: principi della tradizione e tendenze innovative, in Contr.impr.,2000, p.137
63 COLOMBO, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit.,20
ad una valutazione d'insieme e, in particolare, il "significativo squilibrio" di una clausola deve essere valutato avuto riguardo all'operazione complessiva64.
In questo modo può ritenersi che la categoria del collegamento negoziale si sia tramutata da categoria esclusivamente dottrinal-giurisprudenziale in vera e propria categoria normativa, sia pure limitatamente ad uno specifico settore (ma di grandissima importanza) del diritto dei contratti.65
Il legislatore ha pienamente recepito gli indirizzi dottrinali e giurisprudenziali da tempo dominanti, che attribuiscono valenza non solo agli aspetti puramente patologici degli atti di autonomia - in applicazione del principio simul stabunt simul cadent - ma anche a quelli più squisitamente fisiologici, e segnatamente a quello relativo al profilo dell 'interpretazione.
Altro esempio di riconoscimento legislativo del collegamento contrattuale può ravvisarsi nella disciplina degli acquisti immobiliari in "multiproprietà , per i quali l'art.77 cod. cons. prevedeva già che se l'acquirente esercita il diritto di recesso dal contratto di acquisto, anche il contratto di concessione del credito stipulato per il pagamento del prezzo si risolve di diritto.
In questo caso è la norma stessa che prevede un tipico effetto del collegamento contrattuale, ovvero la risoluzione del contratto a seguito della risoluzione di quello cui risulta collegato funzionalmente, come conseguenza "diretta"; il collegamento ha, in questa fattispecie, una connotazione molto più significativa rispetto a quella che assume nel credito al consumo, in cui la risoluzione è semplicemente un effetto "indiretto" dell'art. 42 cod. cons.
Non può tacersi, da ultimo, un recente intervento normativo (Codice del Turismo) in cui viene dato rilievo, sul piano degli effetti invalidanti, il
64 LENER, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in
Foro it., 1996, V, 145; RAPPAZW, I contratti collegati, cit., p. 54.
65 COLOMBO, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 20.
collegamento contrattuale in essere tra il contratto di multiproprietà e i contratti ad esso accessori o contratti-satellite
3. Le teorie del collegamento contrattuale
Il collegamento contrattuale è il nesso giuridicamente rilevante tra due contratti distinti, per cui essi, pur riconoscendo una rispettiva causa ed una propria individualità, mantengono rapporti reciproci per cui la validità o l'efficacia o la continuazione dell' esistenza di uno influenzano la validità, l'efficacia e la continuazione dell'altro.
In altre parole, i contratti collegati sono una pluralità di contratti, ciascuno con una causa autonoma ed indipendentemente, ma funzionalmente coordinati in vista di una finalità economica unitaria66.
Tali definizioni, come anche gli effetti del collegamento contrattuale, si devono alla dottrina e alla giurisprudenza, mancando nella disciplina del codice civile qualsiasi definizione relativa all'impiego di più contratti in vista di uno scopo economico unitario.
Per individuare il collegamento tra contratti strutturalmente distinti la dottrina ricorre "alla tecnica della scomposizione dei singoli elementi componenti l'operazione economica67,prima per individuare i singoli e distinti frammenti dell'operazione economica complessiva e, poi, per apprezzarne le relazioni intercorrenti, in modo da conferire a ciascuno l'esatto ambito di applicabilità.
Il collegamento contrattuale trova fondamento anche nell'art 1322, comma 2, c.c. relativo al potere dei privati di predisporre contratti atipici, e cioè di creare contratti complessi o misti, o di collegare contratti.
66 Cfr. XXXXXXX; Diritto civile e commerciale, Padova, 2004, p. 203 ss.
67 Cfr. XXXXXXX, Collegamento negozia/e, contratti misti: nuove figure, in Il diritto privato nella giurisprudenza (a cura di XXXXXX), l nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, Questioni generali, I, Torino, 2004, p. 531 ss.
L' art. 34, comma primo, del codice del consumo che prevede che "la vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della su conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro contratto collegato o da cui dipende".
La norma costituisce la prima sanzione della rilevanza della nozione di operazione economica, in quanto la vessatorietà della singola clausola contrattuale deve essere valutata in relazione al contratto che la contiene, alle circostanze di fatto esistenti al momento della conclusione dello stesso e all'eventuale contratto collegato al primo.
II collegamento contrattuale consente una valutazione complessiva dell' operazione economica, in modo tale che appaiano correttamente qualificati i singoli interessi delle parti, non configgenti se guardati nelle singole azioni contrattuali.
La riflessione sul problema del collegamento contrattuale prende infatti le mosse nel periodo tra le due guerre, antecedente all' entrata in vigore del Codice civile del 1942, quando si assiste al fiorire di nuovi schemi contrattuali rispondenti alle nuove esigenze del traffico, che non si lasciano più incanalare all'interno di una tipizzazione che stava divenendo insoddisfacente e che si stava allontanando dalle possibilità offerte dai tipi contrattuali nominati e tipizzati nel codice civile.
Comincia, in particolare, a riscontrarsi con frequenza il coordinamento di più contratti in vista di un unico fine economico.
Il primo studio organico della materia si deve ad una dottrina risalente al 1937, che indicava gli elementi necessari perché vi sia collegamento. in senso tecnico, delineandone altresì, pur se con approccio ancora assai teorico, gli effetti.
Quanto agli elementi del collegamento, innanzitutto si affermava: "due nuovi motivi debbono, a nostro avviso, aggiungersi alla struttura tipica
dei negozi: un elemento obiettivo, che attiene alla funzione che essi esplicano in concreto, e cioè uno stretto nesso economico o teleologico tra di essi; e un elemento subiettivo, che consiste non semplicemente nella coscienza, da parte dei partecipanti ai diversi negozi, di tale nesso, ma di un particolare animus e cioè nell'intenzione di coordinare i vari negozi verso uno scopo comune”.68
Si afferma altresì che "la più notevole [ conseguenza] consiste in questo, che la nullità di uno dei negozi reagirà certamente sull'altro"; e ancora che "nel caso di inadempimento delle obbligazioni di uno solo dei più negozi collegati, l'ammissibilità della risoluzione anche degli altri, o della exceptio inadimpleti contractus rispetto alle obbligazioni degli altri".
La dottrina successiva non si preoccupava però di sviluppare le problematiche relative alle conseguenze pratiche del collegamento lasciate aperte dalla prospettiva principalmente teorica delineata dal suo predecessore, e preferiva operare prevalentemente con il metodo classificatorio69.
Un cambiamento di questa tendenza si ebbe nel 1960, con un contributo che, oltre a predisporre una delle più complete classificazioni nell'ambito della categoria del collegamento contrattuale, evidenziava anche le grosse disomogeneità afferenti alle varie ipotesi di collegamento, proponendo così un allargamento della prospettiva che ha contribuito a concentrare l'attenzione degli studi successivi sull 'unica forma di collegamento negoziale cui veniva - e viene - riconosciuta rilevanza giuridica, cioè quella del collegamento funzionale volontario, che si verifica quando più negozi - pur non avvinti da un nesso logicamente o giuridicamente
68 Cfr. GIORGIANNI, Negozi giuridici collegati, in Rivista Italiana per le scienze giuridiche,
1937,275.
69 Cfr. XXXXXXXX, Appunti in tema di negozi collegati, in Giust. civ., 1954, I, p. 259; DI SABATO, Unità e pluralità di negozi (contributo alla teoria del collegamento negoziaLe), in Xxx. xxx. xxx. 0000, X, x. 000.