RELATORE CORRELATORE
Dipartimento di Giurisprudenza
Cattedra
Il rapporto di lavoro nell’ordinamento sportivo: il contratto dello sportivo professionista
Xxxx. Xxxxx Xxxxxxx Xxxx. Xxxxx Xxxxxxxx
RELATORE CORRELATORE
Xxxxxxxx Xxxxx
CANDIDATO
Anno Accademico 2020/2021
INDICE
INTRODUZIONE
1. L’ORDINAMENTO SPORTIVO
1. Origini ed evoluzione
2. Il riconoscimento del diritto allo sport in Costituzione
3. La legge 23 marzo 1981 n.91
4. La legge 17 ottobre 2003 n.280
5. Le fonti del diritto sportivo
5.1 Xxxxx eteronome
5.2 Fonti autonome
2. IL RAPPORTO DI LAVORO SPORTIVO
1. L’evoluzione storica della disciplina del rapporto di lavoro sportivo e le sue macro fasi
2. La specialità del rapporto di lavoro sportivo
3. La disciplina del contratto sportivo
3.1 Le parti
3.2 La causa
3.3 L’oggetto
3.4 La forma
4. La tutela sanitaria, assicurativa e previdenziale
5. Il rapporto di lavoro nel calcio e il ruolo dell’AIC
5.1 L’accordo collettivo tra calciatori professionisti e società
5.2 Il contratto individuale tra calciatore e società
5.3 Doveri delle società
5.4 Doveri dei calciatori
3. LE VICENDE DEL RAPPORTO SPORTIVO
1. Le cause di sospensione del rapporto di lavoro sportivo e l’art 2110 c.c.
1.1 Il caso Xxxxxxx / UC Sampdoria
2. La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro: la cessione del contratto
2.1 La risoluzione unilaterale del contratto di lavoro sportivo a tempo indeterminato
2.2 Il recesso ante-tempus del contratto di lavoro sportivo e la clausola rescissoria
3. Applicazioni concrete della clausola rescissoria e possibili soluzioni alle patologie
4. IL RUOLO DELLE DONNE NELLO SPORT
1. Lo sviluppo e l’evoluzione storica della figura della donna nello sport
2. La tutela della donna nel mondo del lavoro
3. Le attuali tutele delle sportive
4. Lo status delle calciatrici oggi e le prospettive di riforma
5. Le novità in arrivo: la riforma CONCLUSIONE BIBLIOGRAFIA
Introduzione
Con il presente lavoro si intende mettere in luce il particolare rapporto giuridico, sempre più diffuso, che intercorre tra un’atleta ed una società sportiva, facendo riferimento soprattutto alle vicende contrattuali attinenti gli sportivi ed i loro rapporti con le società. L’obiettivo è ricostruire come la legge, ed in particolare il diritto del lavoro, si trovino in uno stretto rapporto con un fenomeno di massa qual è oggi lo sport.
Al riguardo nel primo capitolo verrà definito l’ordinamento sportivo, a partire dalla sua nascita, analizzandone le fonti e l’evoluzione che lo ha portato ad essere riconosciuto in sede Costituzionale.
Verrà prestata attenzione alla norma che ha causato un vero e proprio sconvolgimento normativo nei sopra citati rapporti tra sportivo e società, ossia la Legge 23 marzo 1981,n.91.
Essa ha avuto il compito di ricostruire il rapporto intercorrente tra i soggetti in termini di lavoro subordinato, ovvero nell'attività compiuta da un soggetto, l’atleta, al fine di ricavarne una retribuzione, nell'interesse e alle dipendenze di un altro soggetto, la società sportiva, dal quale dipende non soltanto economicamente ma anche giuridicamente, essendo riconosciuto al datore il potere di dettare le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. L'elemento della subordinazione, inteso come sottoposizione alle direttive, al controllo e alla vigilanza da parte del datore di lavoro, costituisce il tratto caratterizzante del rapporto di lavoro subordinato, creando un vincolo intenso che giustifica la più intensa tutela giuridica apprestata dall'ordinamento per tale tipo di lavoro.
Come detto, dunque, la legge 23 marzo 1981, n.91 definisce il rapporto fra atleta e società come subordinato, salvo considerarlo come autonomo in presenza di particolari circostanze tassativamente prefigurate dalla menzionata norma di legge.
Tale norma, inoltre, definisce le differenze tra lo sportivo professionista e dilettante, che, come si vedrà, rappresenta uno degli aspetti più controversi e discussi dell’intero ordinamento sportivo.
Nel secondo capitolo dell’elaborato verrà analizzato nel dettaglio il rapporto contrattuale che intercorre tra l’atleta e la società sportiva e messa in luce la specialità di tale rapporto; si farà riferimento agli elementi caratteristici del contratto sportivo, con particolare attenzione al settore calcistico.
Si esamineranno, pertanto, i diritti ed i doveri delle parti e si farà dovuta menzione di quelle che sono le modalità di risoluzione delle controversie che possono insorgere tra calciatori e società in dipendenza della violazione, da parte di essi, di alcuni dei reciproci obblighi contrattuali
Proseguendo nell’esposizione, all’interno del terzo capitolo dell’elaborato, verranno attenzionate le vicende del rapporto sportivo, le varie cause di sospensione e risoluzione dello stesso; si farà riferimento a casi concreti, quale quello tra Xxxxxxx Xxxxxxx e la società UC Sampdoria avvenuto nel 2011.
Si passerà poi all’esame della clausola rescissoria, sempre più frequente negli ultimi anni, la quale ha causato un aumento degli ingaggi nel mondo del calcio e non solo e, più in generale, all’impatto, in termini economici, dei trasferimenti dei calciatori già tesserati con una Società sportiva
Nel successivo ed ultimo capitolo si tenterà di porre sotto la lente di ingrandimento le significative differenze che ancora oggi intercorrono tra il mondo sportivo femminile e quello maschile.
Partendo da un’inquadramento storico del ruolo della donna nello sport, si farà poi menzione della mancanza di tutele previste per le atlete, non considerate professioniste, e le prospettive di riforma future.
In conclusione, verrà analizzata brevemente la riforma dell’ordinamento sportivo che si appresta ad entrare in vigore (in attesa dell’adozione dei relativi decreti attuativi), volta ad annullare, o almeno a ridurre, le sopra citate notevoli differenze tra il dilettantismo e il professionismo.
Capitolo 1 - L’ordinamento sportivo
Sommario: 1. Origini ed evoluzione – 2. Il riconoscimento del diritto allo sport in Costituzione – 3. La legge 23 marzo 1981 n. 91 – 4. Le legge 17 ottobre 2003
n. 280 – 5. Le fonti del diritto sportivo - 5.1. Fonti eteronome - 5.2. Fonti autonome
1.Origini ed evoluzione
Nel corso degli anni si sono succedute varie teorie.
In una prima fase storica si è affermata la teoria c.d “normativista” di Xxxxxx secondo la quale il diritto è norma e l’ordinamento giuridico è esclusivamente un insieme di norme, coincidente con l’ordinamento normativo. L'ordinamento giuridico, per Xxxxxx, è costituito da una gerarchia ordinata per gradi discendenti, in cui le norme superiori condizionano quelle inferiori, che viene descritta dal giurista viennese come una piramide rovesciata.
Alla teoria normativista di Xxxxxx si va successivamente a contrapporre la teoria
c.d. “istituzionalista”, di cui caposcuola in Italia è Xxxxx Xxxxxx, la quale ritiene che il diritto non possa ridursi alla norma o all’insieme di norme che costituiscono l’ordinamento, in quanto quest’ultimo trascende e condiziona il suo
1 X.Xxxxxxxxx, Considerazioni sulla dottrina dell’ordinamento giuridico, Scritti giuridici in onore di Xxxxx Xxxxxx, I, Padova 1940.
aspetto meramente normativo2. Secondo tale teoria l’ordinamento è organizzazione e corpo sociale. Xxxxx Xxxxxx individua, così, quali elementi necessari per configurare l’ordinamento giuridico, oltre a quello dell’organizzazione, altri due elementi, da lui definiti come “materiali”:
In primo luogo “la società”, intesa nel duplice senso che ciò che non supera la sfera individuale non è diritto ( “ubi ius, ibi societas” ) e che non c’è società senza che in essa si manifesti il fenomeno giuridico ( “ubi societas, ibi ius” );
2 Secondo l’impostazione “istituzionalistica”, l’insufficienza della nozione di diritto come esclusivo insieme di norme si manifesta in tutta la propria evidenza allorquando si ha riguardo all’intero ordinamento giuridico di uno Stato, ad esempio, quando si parla di diritto italiano o francese, abbracciandoli nella loro rispettiva totalità: l’ordinamento giuridico di uno Stato, anche solo in base ad alla generale esperienza, va infatti ben oltre l’idea dello stesso come un insieme di regole. La definizione stessa di ordinamento giuridico implica dunque, già di per sé, l’idea di qualche cosa di “più vivo e di più animato: è, in primo luogo, la complessa e varia organizzazione dello Stato, i numerosi meccanismi, i collegamenti di autorità o di forza, che producono, modificano, applicano, garantiscono le norme giuridiche, ma non si identificano con le stesse”. Xxxxx Xxxxxx, L’ordinamento giuridico, 1918.
3 Il momento normativo, pertanto, conclude Xxxxx Xxxxxx, può essere considerato elemento dell’ordinamento giuridico, ma non può senz’altro esaurirlo. Xxxxx Xxxxxx, L’ordinamento giuridico, 1918.
4 Si ravvisa, così, un’Istituzione ogni qualvolta, per riprendere un efficace esempio di Xxxxx Xxxxxx, “un qualsiasi individuo, nella propria casa (intesa in senso ampio come Istituzione) stabilisce un ordinamento, che valga per i suoi familiari, per i suoi dipendenti, per le cose che sono a sua disposizione, per i suoi ospiti, e così via, egli in sostanza crea una piccola Istituzione, della quale si erige a capo”. Xxxxx Xxxxxx, L’ordinamento giuridico, 1918.
Ampliando la teoria istituzionalista di Xxxxx Xxxxxx, seguaci della stessa5, hanno riscontrato la necessità di delimitare il concetto di “Istituzione”, riducendola a quei gruppi sociali i quali presentino contemporaneamente le caratteristiche di plurisoggettività, organizzazione e normazione.
Tenendo conto quindi della teoria istituzionalista, data la definizione di ordinamento giuridico come Istituzione, appare evidente come, essendo accettata l’esistenza di una molteplicità di Istituzioni (intese come fenomeni associativi dotati delle caratteristiche della plurisoggettività, organizzazione e normazione), anche nell’ambito della stessa comunità statale, non può negarsi l’esistenza di una “pluralità degli ordinamenti giuridici”.
Nell’ambito dunque di quel macrocosmo giuridico costituito dall’ordinamento statale, si rinvengono una molteplicità di piccole Istituzioni, che vengono comunemente definite come “ordinamenti settoriali” o “particolari”, i quali costituiscono entità a se stanti. Questi enti istituzionali hanno fini non più generali, ma particolari; sono infatti composti da persone che, a causa dell’appartenenza ad una determinata classe sociale, professione o attività, hanno interessi comuni.
Tra gli ordinamenti settoriali a formazione spontanea che lo Stato riconosce e tutela vi è anche l’ordinamento sportivo.
L’ “ordinamento giuridico sportivo”, espressione che viene per la prima volta utilizzata in sede giurisprudenziale da un noto arresto della Suprema Corte6, è dunque presente ed opera nel territorio della Repubblica in quanto riconosciuto
5 Xxxxxxxx Xxxxxx, il diritto dei privati, Il corporativismo come esperienza giuridica, Milano, Xxxxxxx, 1963.
6 Cass., 11 febbraio 1978, n.625, in Xxxx.xx, 1978, I, c. 865
da parte dell’ordinamento giuridico generale, proprio perché l’interesse generale perseguito dal primo coincide con uno dei vari interessi perseguiti dal secondo7. Per comprendere appieno la struttura e il funzionamento dell’ordinamento sportivo è bene però premettere che il fenomeno sportivo di ogni singolo Stato trova le proprie basi e la propria matrice nell’ordinamento sportivo mondiale.
Storicamente si può iniziare a parlare di apparato organizzativo sportivo mondiale nel 1984, con la nascita del Comitato Internazionale Olimpico (C.I.O.) e con la redazione della Carta Olimpica, un vero e proprio statuto dell’ordinamento sportivo internazionale. La Carta Olimpica, scritta e voluta dal barone Xx Xxxxxxxxx, rappresenta la codificazione dei principi fondamentali dell’Olimpismo, delle regole e delle norme adottate dal C.I.O. Essa delinea inoltre i reciproci diritti e doveri intercorrenti fra le istituzioni principali del Movimento Olimpico ed i comitati organizzatori dei Giochi Olimpici, ne reca nel dettaglio la disciplina (tempo, luogo, modalità e condizioni di ammissione dei partecipanti), e nella regola 40 sancisce l’obbligo del rispetto della carta e del codice mondiale antidoping.
Il C.I.O. si diede le prime regole nella Carta olimpica con questi sette principi: anzitutto il ristabilimento dei giochi “su basi e a condizioni conformi alla necessità della vita moderna”; la partecipazione di atleti dilettanti; la necessità di preservare il prestigio dei giochi da chiunque possa nuocervi; lo svolgimento di prove ad eliminazione su base esclusivamente nazionale; la compresenza di sport “propriamente detti”; la rotazione delle sedi ospitanti i Giochi Olimpici in varie parti del Mondo e l’ufficialità della manifestazione.
7 Cass. 11 febbraio 1978, n. 625, cit., c. 866: “L’ordinamento giuridico sportivo è costituito ed opera nell’ambito territoriale in cui si esercita la sovranità dell’ordinamento giuridico statale, Esiste perciò, e non può non esistere, un rapporto tra l’uno e l’altro ordinamento: rapporto tra l’ordinamento giuridico sovrano ed ordinamento giuridico minore; e rapporto che si specifica nel senso del riconoscimento o nel non riconoscimento da parte del primo […]”.
E’ chiaro come tuttavia nel corso dei decenni gli ideali che erano alla base del pensiero di Xx Xxxxxxxxx sono via via sfumati fino a rendere, come vedremo meglio in seguito, l’atleta un vero e proprio professionista della propria disciplina sportiva.
Il C.I.O., ente apicale dell’ordinamento sportivo mondiale, è composto dalle varie Federazioni Sportive Internazionali, una per ogni singola disciplina sportiva, le quali costituiscono ciascuna la massima Istituzione mondiale del singolo rispettivo sport. E’ un’organizzazione internazionale non governativa senza scopo di lucro, dotata di personalità giuridica di diritto privato, avente sede legale a Losanna, in Svizzera.
L’ordinamento sportivo si manifesta quindi, innanzitutto, come organizzazione a livello mondiale, essendo un ordinamento superstatale, in quanto i singoli stati rappresentano meramente le sedi delle sue “articolazioni nazionali”, non essendo qualificabili come soggetti giuridici a sé stanti. Esso pertanto acquisisce il carattere della “originarietà”, “poiché fonda la propria efficacia esclusivamente sulla forza propria e non su quella di altri ordinamenti che diventano arbitri della sua esistenza o validità”8 ; peccando invece del carattere della “sovranità”, non avendo la piena effettività della forza su un determinato territorio.
In un secondo momento, si crea anche nei singoli Stati, a livello gerarchicamente subordinato, una struttura che possiamo definire parallela a quella dell’ordinamento sportivo mondiale: nascono quindi i vari ordinamenti sportivi nazionali aventi al vertice un Comitato Olimpico proprio (nel caso dell’Italia il C.O.N.I.) del quale fanno parte le varie Federazioni sportive nazionali che dipendono dalle corrispondenti Federazioni sportive internazionali per la gestione ed applicazione dei vari regolamenti dei singoli sport.
8 X.Xxxxxx, il diritto dello sport, principi, soggetti, organizzazione, cit., p.6
2. Il riconoscimento del diritto allo sport in Costituzione
Il problema della compatibilità dell’ordinamento sportivo con la Costituzione ha da sempre suscitato l’attenzione della dottrina ed ha costituito in più di un’occasione l’oggetto di importanti decisioni da parte dei giudici statali.
Come noto, nella Costituzione Repubblicana del 1948, a differenza di altre9, manca un riferimento espresso e diretto al fenomeno sportivo, tanto sotto il profilo degli interessi ad esso sottesi, da tutelare nell’alveo dei diritti fondamentali della persona, quanto sotto il profilo delle materie oggetto di regolamentazione legislativa, da ripartire tra Stato e Regioni.
Del resto, per molti anni lo sport non è stato concepito, in ambito statale, come un “sistema giuridico” dal momento che l’impatto sociale dallo stesso “prodotto” era, in sostanza, ritenuto assimilabile a quello di una forma di spettacolo. Il mancato riferimento costituzionale univoco allo sport, nonostante il Costituente
9 - la Grecia (1975) ha posto lo sport sotto l’”alta sorveglianza” (anche dal punto di vista finanziario) dello Stato;
- la Svizzera (2000) ha sancito la promozione, da parte della Confederazione Svizzera, dello
“sport” e dell’”educazione sportiva”, anche in ambito scolastico;
- la Spagna (1978) ha assunto l’impegno, nell’ambito della disciplina del diritto alla salute, a sviluppare l’educazione sanitaria, “l’educazione sportiva”, “lo sport” ed “il tempo libero”;
- la Turchia (1982) ha considerato lo sport come elemento di garanzia per la formazione e per
lo sviluppo dei giovani e come strumento per il “miglioramento della salute fisica e mentale di tutti i cittadini” ed a tutte le età;
- la Russia (1993) ha previsto lo sviluppo della “cultura fisica” e dello “sport” tra le attività volte al “rafforzamento della salute dell’uomo;
- la Croazia (2010) ha accostato “la cultura fisica e lo sport” alla tutela sanitaria primaria, nell’ambito di alcuni obiettivi fondamentali correlati, attribuiti alle unità di autogoverno locale;
- l’Ungheria (2011) ha previsto “l’attività sportiva” ed “il regolare esercizio fisico”, nell’ambito della disciplina del diritto alla salute “fisica e mentale” e come mezzo di promozione della stessa;
- il Brasile (1988) ha assegnato allo Stato “il dovere di favorire le pratiche sportive formali e non formali, come diritto di ognuno”;
- il Portogallo (1976), con una disciplina particolarmente ampia e significativa (strutturata su tre distinti articoli), ha previsto lo sport sia come un elemento funzionale alla “protezione” del diritto alla salute e della giovinezza, sia come un diritto spettante a “tutti”.
si sia mostrato, al contrario, piuttosto moderno negli altri settori della vita sociale, ha portato la dottrina ad interrogarsi sui motivi dello stesso.
Parte della dottrina ritiene che tale omissione sia dovuta ad un vero e proprio atteggiamento di “ripudio” dello sport come retaggio del regime fascista, dal quale la società e le istituzioni sentivano fortemente la necessità di prendere le distanze10. Altra dottrina giustifica invece il mancato riferimento allo sport in Costituzione con il mancato requisito della “necessarietà” dello stesso11, non annoverando il fenomeno sportivo, a differenza di altre attività sociali, tra le attività imprescindibili per il cittadino.
Infine, la mancata inclusione dello sport nella costituzione è stata, altresì, ricondotta alla c.d. “universalità dello sport”. Al riguardo, se il sistema normativo dello sport è strutturato in modo tale da trascendere dal piano individuale a quello nazionale e da questo a quello mondiale, appare comprensibile come il legislatore costituente non abbia voluto “condizionare” l’ordinamento nazionale entro schemi rigidi e difficilmente valicabili di natura costituzionale, ribadendo, in sintesi, il carattere universale dello sport.
Nonostante l’altissimo numero di cittadini che svolgono attività sportive, agonistiche e non, ancora oggi la mancata espressa previsione del diritto allo sport tra le libertà ed i diritti fondamentali, può sembrare normale e non destare stupore. Questo perché lo sport non sembra ancora essere riconosciuto, dal punto di vista nella nostra cultura sociale e politica, come un “bene” di rilevanza tale da dover essere inserito nel novero dei veri e propri diritti fondamentali.
10 In tale senso, si veda, in particolare, X. Xxxxxxxx, Costituzione e Sport, in Riv. Dir. Sport., 2017, IV.
11 X. Xxxxxxxxx, Aspetti costituzionali dell’ordinamento sportivo, in Riv. dir. sport., 1965, p. 196.
Nonostante l’assenza di riferimenti espliciti, tuttavia, lo sport, per le sue caratteristiche intrinseche e le finalità che gli sono proprie, costituisce oggetto di considerazione e disciplina indiretta da parte di una pluralità di disposizioni costituzionali; si può parlare in tal senso di “tutela costituzionale indiretta dello sport”.
Questa tutela la si trova soprattutto negli artt. 2 (riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità) e 18 (libertà di associazione); del resto già dal 1949, la dottrina più autorevole, come discusso nel paragrafo precedente, ha riconosciuto nell’organizzazione sportiva un vero e proprio ordinamento giuridico settoriale12, sulla base della teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici di Xxxxx Xxxxxx. Pertanto, lo sport trova tutela nelle disposizioni appena citate sotto un duplice profilo: sia come “pratica sportiva” e quindi, come esplicazione di un diritto inviolabile dell’uomo, sia a livello individuale che in formazioni caratterizzate da una pluralità di soggetti; sia come “associazionismo sportivo”, inteso come libera e volontaria associazione di più individui che intendono svolgere, in forma associata, organizzata e tendenzialmente stabile, attività sportiva.
Significativa è stata, in un’ottica di inquadramento del fenomeno sportivo come materia di interesse pubblico, la giurisprudenza della Corte Costituzionale, che, con sentenza 25 marzo 1976, n. 57, ha sottolineato come “lo sport è un’attività umana cui si riconosce un interesse pubblico tale da richiederne la protezione e l’incoraggiamento da parte dello Stato”.
12 “Pioniere” del riconoscimento del fenomeno sportivo, dal punto di vista giuridico, come ordinamento settoriale fu Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx, nell’immediato dopoguerra (Xxxxxxx M. S., Prime osservazioni sugli ordinamenti sportivi, in Riv. Dir. Sport., 1949, 1, 10; argomento poi ripreso dallo stesso Autore a distanza di quasi cinquanta anni: Xxxxxxxx M.S., Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1996, 671)
Nello stesso senso, si è poi posta la successiva normativa, che, dal punto di vista sostanziale, ha riconosciuto la rilevanza pubblicistica dell’attività delle
Federazioni Sportive13 e, conseguentemente, dal punto di vista processuale, ha
La svolta storica in tema di riconoscimento costituzionale del diritto allo sport è avvenuta però solamente nel 2001 con la nota legge cost. n. 3 (modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) e, in particolare, con il nuovo testo dell’Art 117 della Carta fondamentale. A seguito della riforma, l’art 117 Cost., al comma 3, prevede “l’ordinamento sportivo” tra le materie assegnate alla competenza c.d. “concorrente” tra Stato e Regioni; nello specifico, attribuendo al primo la competenza a delineare i principi fondamentali della materia e alle seconde quella di definire la relativa disciplina di dettaglio.
Già dai primi anni successivi alla riforma la dottrina si è interrogata in ordine all’incidenza dell’inserimento della materia in esame sul quadro costituzionale. In particolare, l’oggetto dell’analisi dottrinale risiedeva nel significato da attribuire all’espressione “ordinamento sportivo” e al suo contenuto, per poter poi correttamente procedere al riparto delle competenze tra Stato e Regioni.
Sul punto, si sono schierate tre posizioni, ciascuna delle quali interpreta in modo differente la locuzione e giunge quindi ad una propria lettura della cornice competenziale messa a punto dalla Riforma del Titolo V.
La prima posizione, c.d. “innovativa”, ritiene che il legislatore abbia voluto conferire alle Regioni non soltanto le attività sportive, bensì l’intero “ordinamento giuridico sportivo” in tutti i suoi tasselli. Tale posizione, che
13 art. 15 del d.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242
14 legge 17 ottobre 2003, n. 280
attribuisce alla locuzione il suo significato tecnico, si pone su una linea di discontinuità rispetto allo schema di riparto delle competenze pre-riforma.
Il secondo approccio, c.d. “intermedio”, concilia le visioni in antitesi. Da una parte, assegna alla locuzione “ordinamento sportivo” il suo significato tecnico- giuridico; dall’altro, riprende la precedente distinzione tra sport agonistico e sport non agonistico.
La terza ed ultima impostazione, c.d. “continuista”, minimizza l’entità delle novità introdotte, attribuendo notevole spessore alla distinzione tra attività sportive agonistiche e attività sportive non agonistiche.
Ciò che in questa sede interessa, e che va quindi sottolineato, è che la richiamata distinzione tra attività sportiva agonistica e attività sportiva non agonistica non viene più utilizzata per fondare la suddivisione della rispettiva competenza legislativa tra Stato e Regioni. In conclusione quindi, sia che si tratti della prima, che della seconda, la competenza legislativa in materia va assegnata in ogni caso allo Stato, per quel che concerne la legislazione di principio, ed alle Regioni, per quel che concerne la legislazione di dettaglio.
3. La legge 23 marzo 1981 n.91
La legge 23 marzo 1981 n.91 (“Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”) può sicuramente essere considerata un punto cardine dell’evoluzione dell’ordinamento sportivo.
Essa è l’atto finale di un lungo iter parlamentare che ha risentito fortemente del dibattito dottrinale in ordine alla problematica della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro sportivo. Ciò è testimoniato dal fatto che il disegno di legge
Come detto, pur essendo finalizzata a disciplinare giuridicamente il lavoro sportivo professionistico nel suo complesso e recando quindi norme che trovano applicazione nei confronti di tutti gli atleti sportivi professionisti, la Legge 23 marzo 1981 n.91 ha rivolto la sua attenzione soprattutto al settore calcistico, in ragion del fatto che proprio da questo provenivano le sollecitazioni maggiori per un intervento normativo. Nello specifico, l’emanazione della legge è avvenuta in seguito ad un evento che ha riguardato tale settore, ed, in particolare, il cosiddetto calciomercato. La vicenda in questione ha preso avvio da un provvedimento emesso in via d’urgenza dalla Pretura di Milano, il 7 luglio
15 X.Xxxxxxxxxx, Il contratto di lavoro dello sportivo professionista, cit., p.150
16 X. Xxxxxxx, L’attività sportiva come prestazione di lavoro, in Riv. it dir. lav., 1983, I, pag. 699-700
197817, con il quale si dichiarava illegittima la procedura del calciomercato, perché ritenuta in contrasto con la L.29 aprile 1949, n.264, in materia di collocamento dei lavoratori, la quale attribuisce alla competenza esclusiva dell’autorità pubblica individuata ex lege la gestione dell’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, vietando ogni forma di intermediazione privata nella stipulazione del contratto sportivo subordinato18. A fondamento di questo provvedimento pretorile, quindi, stava la presa di posizione della giurisprudenza in ordine alla qualificazione del rapporto di lavoro sportivo come rapporto di lavoro subordinato, che, pertanto, come tale, andava assoggettato alla disciplina per quest’ultimo prevista, la quale comprendeva, tra l’altro, la normativa sopra menzionata in materia di collocamento19.
Questa maggior attenzione dedicata dal legislatore nei confronti del settore del gioco del calcio, ha avuto come risultato una disciplina non sempre del tutto organica e coerente con le caratteristiche proprie di altri ambiti sportivi, nonostante il più volte sottolineato intento di individuare una disciplina dello sport professionistico a carattere generale.
La legge 23 marzo 1981 n.91 è suddivisa in quattro capi, il primo (artt. da 1 a 9) dedicato allo sport professionistico, il secondo (artt. da 10 a 14) alle società sportive e alle Federazioni sportive nazionali, il terzo, composto dal solo art. 15, alle disposizioni tributarie, l’ultimo (artt. da 16 a 18) alle disposizioni transitorie e finali.
17 In Xxxx.xx, 1978, II, c.319
18 X. Xxxxxx, la disciplina del contratto sportivo autonomo e subordinato, in Giust. Civile, 1993, p.205
19 X.Xxxxxxx, in Xxxxxx-Xxxxxxx, Lezioni di diritto sportivo, cit. p.144
L’art 1. non riguarda, a dire il vero, direttamente la disciplina dello sport professionistico, sancendo il principio della libertà dell’esercizio dell’attività sportiva in qualunque forma, individuale o collettiva, professionistica o dilettantistica, essa venga svolta.
Sembrerebbe quindi, in base al dettato dell’art.1, che l’attività sportiva debba essere esercitata liberamente in ogni sua sfaccettatura; in realtà l’attività sportiva è veramente libera solo quando viene svolta come “impiego nel tempo libero” 21. Nel caso contrario, quindi per quanto riguarda attività agonistica o attività amatoriale, la libertà formalmente riconosciuta dall’art 1 della legge 23 marzo 1981 n.91 risulta essere ridotta a causa della presenza delle Federazioni Nazionali dei vari settori sportivi, questo perché chi intende praticare un determinato sport a livello agonistico, od anche amatoriale, è tenuto, sulla base di normative federali, a tesserarsi con una società o con un’associazione sportiva affiliata ad una Federazione Sportiva Nazionale, diventando così un vero e proprio soggetto dell’ordinamento sportivo. Il tesseramento viene definito come un atto che prevede “l’acquisto” della qualifica di soggetto dell’ordinamento
20 X.Xxxxxxx, l’attività sportiva come prestazione di lavoro, cit, p.704
21 X.Xxxxxx, la disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, cit, p.209
sportivo, attraverso l’iscrizione del soggetto ad una società o associazione, la quale, a sua volta, lo iscrive presso la competente Federazione Sportiva Nazionale. Esso è paragonato ad un vero e proprio rapporto contrattuale, regolato dagli statuti e dai regolamenti organici federali. Il tesseramento, della durata di un anno, fa nascere nei confronti dell’atleta diritti ed obblighi simili a quelli dell’affiliazione, in particolare:
1. partecipazione all’attività sportiva ufficiale;
2. poter concorrere alle cariche elettive federali;
3. obbligo di praticare l’attività con lealtà e di osservare i regolamenti dell’ordinamento nazionale ed internazionale.
La definizione di sportivo professionista è quindi subordinata alla sussistenza di elementi ben precisi, secondo il dettato dell’art 2 infatti: “sono sportivi professioni gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal C.O.N.I.23, e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse con le osservanze delle direttive stabilite
22 X.Xxxxxxxx, legge 23 marzo 1981 n.91, cit, p.563
23 Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) Federazione Pugilistica Italiana (F.P.I.) Federazione Ciclistica Italiana (F.C.I.) Federazione Motociclistica Italiana (FMI) Federazione Italiana Golf (F.I.G.)
Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.).
dal C.O.N.I. per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”.
I sostenitori della tesi che possiamo definire “restrittiva” affermano che vanno escluse dall’ambito di applicazione della Legge 23 marzo 1981 n.91 tutte quelle figure quali i medici sociali, i massaggiatori ecc., che pur vincolati alla società da un rapporto di lavoro autonomo o subordinato, non possono acquisire lo status giuridico di professionista del settore sportivo. Essi, a detta della dottrina “restrittiva”, non hanno una competenza strettamente connessa al perfezionamento della prestazione agonistica e dell’impostazione tecnico-tattica dell’atleta, come gli altri soggetti che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art.2 (atleti, direttori tecnico-sportivi, allenatori e preparatori), pur potendo svolgere la loro attività alle dipendenze della società sportiva.
Gli oppositori di questa tesi, che possiamo quindi definire come a sostegno della tesi “estensiva”, ritengono invece questo elenco non tassativo ed esaustivo, ma
24 X.Xxxxxxx X’Xxxx, X.Xxxxxx, La nuova disciplina del lavoro sportivo, in Rivista di Diritto Sportivo, 1982,
25 Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti, Commento all’articolo 2, in Nuove leggi civili commentate, 1982, I, 562
meramente paradigmatico, dato che riporta solo le figure e le categorie più note e conosciute al momento della redazione del dettato normativo tra quelle che lavorano nel mondo sportivo e non esclude certamente a priori l’estensione della tutela propria del professionista ad altre figure previste da ordinamenti federali.
Potrebbero dunque rientrare in questa categoria i tecnici, gli insegnanti, gli istruttori e tutte quelle figure che possono nascere dall’ evoluzione e lo sviluppo delle strutture organizzative societarie.
La dottrina è stata caratterizzata per decenni da questa dicotomia sino al 2008, quando la Corte di Cassazione Civile ha voluto dirimere questa controversia interpretativa con la sentenza dell’11 aprile 2008, n. 955126, schierandosi apertamente a favore della prima tesi; Si è inoltre soggiunto che l’art 2 della legge sul professionismo sportivo distingue tra le figure di sportivi professionisti tassativamente elencate, alle quali si applica la legge 23 marzo 1981 n.91, e gli altri professionisti, quali massaggiatori sportivi e medici sociali, non menzionati nella norma, ai quali si applicano invece le disposizioni generali sul lavoro subordinato, qualora ne sussistano i presupposti.
Per completare il discorso merita essere ricordato come la disciplina della legge 23 marzo 1981 n.91 non si applica ai rapporti di lavoro che sussistono tra società sportive e gli addetti all’attività amministrativa (segreteria, contabilità, manutenzione degli impianti sportivi ecc..), quindi a tutti quei dipendenti che non svolgono una vera e propria attività sportiva; ad essi, come in precedenza, si applica la disciplina giuridica del lavoro subordinato.
1. L’art. 2, svolge inoltre la funzione di individuare i requisiti oggettivi che un atleta deve possedere per rientrare nella categoria degli sportivi professionisti:
26 E’ possibile leggere integralmente la sentenza della Corte di Cassazione nel RDES, Rivista di diritto ed economia dello sport.
1. la prestazione sportiva deve essere onerosa, remunerata con un compenso corrispettivo, ovvero proporzionato alla quantità e alla qualità della prestazione stessa al di là della sua misura effettiva che può essere determinata liberamente dalle parti contraenti con accordi individuali, salvo il rispetto dei minimi salariali collettivi. La differenza tra attività professionistica e attività dilettantistica quindi risiede proprio nel fatto che la prestazione sportiva del professionista è onerosa in quanto il lavoratore sportivo professionista riceve un vero e proprio corrispettivo mentre il dilettante riceve un semplice emolumento a titolo di rimborso spese o di mancato guadagno;
2. la prestazione sportiva deve essere continua nell’arco della durata del contratto di lavoro e soprattutto prevalente rispetto ad altre attività esercitate. La presenza degli elementi della continuità, della prevalenza e della percezione di un reddito fanno sì che un atleta possa essere considerato uno sportivo di professione;
3. l’esercizio dell’attività sportiva deve essere svolta nell’ambito delle discipline regolate dal C.O.N.I. perché si possa parlare di professionismo. Ciò comporta che i contratti tipici di lavoro sportivo professionistico possono essere realizzati solo tra tesserati e società affiliate alle federazioni sportive nazionali.
Il successivo art.3 della legge 23 marzo 1981 n.91 (“Prestazione sportiva dell’atleta” ) stabilisce come “la prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato, regolato dalle norme contenute nella presente legge”. Dalla lettura di questo comma, emerge subito un’incompatibilità tra la gratuità della prestazione sportiva ed il contratto di lavoro sportivo subordinato, con il risultato che la disciplina prevista dalla legge 23 marzo 1981 n.91, non si potrà applicare al lavoro sportivo a titolo gratuito,
tipico dello sport dilettantistico e non professionistico27. Il secondo comma dello stesso art. 3 introduce però subito una deroga, disponendo che la prestazione sportiva “costituisce, tuttavia, oggetto di contratto di lavoro autonomo, quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti:
1. l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o più manifestazioni tra loro collegate per un breve periodo di tempo;
2. l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento;
3. la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno.
La Legge 23 marzo 1981 n.91 si occupa anche di definire, come meglio analizzeremo nei successivi capitoli, l’oggetto del contratto, ovvero la prestazione dell’atleta professionista a fronte del pagamento di un corrispettivo da parte della società.
All’art. 4 sono anche contenute le deroghe alle fonti tradizionali, con particolare riferimento agli artt. 4, 5 e 7 dello Statuto dei lavoratori, ritenuti incompatibili con l’attività sportiva. L’art. 4 del predetto Statuto vieta infatti l’uso di impianti audio-video, l’art. 5 vieta i controlli sulla malattia o sullo stato di salute del lavoratore, mentre l’art. 7 afferisce all’irrogazione delle sanzioni disciplinari, la cui procedura ordinaria è da considerarsi eccessivamente lunga per l’ambito sportivo in sé.
Merita una menzione infine l’art 10, che si differenzia dai precedenti articoli poiché si preoccupa di disciplinare il lato datoriale, stabilendo che “possono
27 X.Xxxxxxx, il rapporto di lavoro nel mondo dello sport, cit, p.23
stipulare contratti con atleti professionisti solo società sportive costituite nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata”.
Qui la norma ha ripreso l’assetto già vigente nell’ordinamento interno della
F.I.G.C. (Federazione Italiana Giuoco Calcio) dove, a seguito di una riforma nella seconda metà degli anni sessanta, si era assistito alla trasformazione delle associazioni calcistiche militanti nei campionati di serie A e serie B in società per azioni, mirando al loro risanamento finanziario anche mediante l’osservanza delle norme sulla formazione e sulla pubblicità del bilancio28. La legge 23 marzo 1981 n. 91, ha quindi anch’essa deciso di privilegiare l’obiettivo della corretta gestione delle società sportive, ed ha esteso tale assetto a tutte le società sportive professionistiche.
4. La legge 17 ottobre 2003 n. 280
Se nel paragrafo precedente è stata descritta l’importanza della Legge 23 marzo 1981 n.91, la quale ha regolato la disciplina del rapporto di lavoro tra atleta e società, non si può prescindere dal sottolineare il ruolo fondamentale che la Legge 17 ottobre 2003 n.28029 ha rivestito nell’ampio e complesso rapporto tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale. Un rapporto, tra i più discussi, che ha trovato la propria regolamentazione a seguito di un lungo percorso culminato con la legge in esame che ha “codificato” i principi già affermati negli anni dalla giurisprudenza e dottrina maggioritaria in tale materia. In particolare, la Legge 17
28 Consiglio federale della F.I.G.C. del 1966
29 “conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 agosto 2003, n.220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva”
ottobre 2003, n.280 costituisce il primo tentativo di individuare l’esatta linea di confine tra l’area di operatività della giustizia sportiva e quella della giustizia statale.
Prima di tale spinta riformista e la conseguente emanazione della legge, i rapporti tra i due ordinamenti erano del tutto indefiniti e dai vaghi contorni. Può sembrare del tutto inconsueto, ma nonostante la crescente importanza, su tutti i livelli, della disciplina sportiva, si viveva un continuo contrasto interpretativo e un’incertezza del diritto, con conseguente e frequente conflittualità tra gli ordinamenti.
La legge 17 ottobre 2003 n. 280 sancisce, in linea generale, il “principio di autonomia” dell’ordinamento sportivo rispetto a quello dello Stato e, al contempo, definisce i limiti di tale autonomia.
Il primo comma dell’art 1 si apre infatti con una norma di carattere programmatico, che sancisce espressamente l’autonomia dell’ordinamento sportivo: “La Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale”, e così prosegue: “I rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia”, autonomia che risulta però limitata dalla previsione, nella seconda parte del comma 2 dell’art 1, di un possibile intervento statale: “salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo”.
Tale limite sancito dalla norma risulta essere, a livello legislativo, sicuramente necessario, in quanto un eventuale riconoscimento di un’autonomia assoluta dell’ordinamento sportivo rispetto all’ordinamento statale avrebbe avuto come risultato una netta separazione tra i due ordinamenti. Detta separazione sarebbe
risultata difforme alla realtà dei fatti poiché i due ordinamenti sopra citati si trovano in uno stato di “interazione necessaria” derivante, ad esempio, dal fatto che l’ordinamento sportivo nazionale si esplica all’interno del territorio dello Stato. Gli stessi soggetti che operano all’interno del primo sono dei soggetti facenti parte anche dell’ordinamento statale, con il risultato che sarebbe stato manifestamente incostituzionale privare gli stessi, per le questioni derivanti dallo svolgimento dell’attività sportiva, dei propri diritti fondamentali.
Tornando all’autonomia sancita dall’art 1, essa trova un limite quindi in tutti quei casi in cui i provvedimenti emanati dagli organi sportivi assumono una cosiddetta “rilevanza esterna” all’ordinamento sportivo. Per tale “rilevanza esterna” devono intendersi quelle situazioni in cui tali provvedimenti determino una potenziale lesione di situazioni giuridiche soggettive rilevanti, configurabili come diritti soggettivi o come interessi legittimi; in questi casi essi risultano essere impugnabili dinanzi agli organi di giurisdizione statale.
Il problema è, pertanto, quello di individuare quali sono gli aspetti che attengono esclusivamente all’attività sportiva, e quindi suscettibili di essere regolamentati nell’ambito dell’organizzazione sportiva, e quali sono invece quegli aspetti che possono assumere un rilievo esterno all’attività sportiva, tale da avere rilevanza anche nell’ordinamento giuridico della Repubblica. La risposta a tale quesito viene data dall’art 2 della legge 17 ottobre 2003, n.280, il quale, in applicazione dei principi di cui all’art.1, identifica le controversie riservate agli organi di giustizia sportiva; Esse sono quelle aventi ad oggetto:
1. “L’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statuari dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive ed agonistiche”. (questioni c.d. tecniche);
2. I comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive” (questioni c.d. disciplinari).
Lo stesso art. 2 sancisce l’onere30 di adire agli organi di giustizia sportiva in capo ai soggetti dell’ordinamento sportivo (“le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati), qualora essi si trovino in presenza di questioni relative a tali materie riservate.
Tra i principi generali della legge 17 ottobre 2003 n.280 è stata inoltre inserita la disposizione al comma 2 bis, secondo la quale “sono escluse dalle scommesse e dai concorsi pronostici connessi al campionato italiano di calcio le società calcistiche, di cui all'articolo 10 della legge 23 marzo 1981, n. 91, (società per azioni e società a responsabilità limitata) che siano controllate, anche per interposta persona, da una persona fisica o giuridica che detenga una partecipazione di controllo in altra società calcistica”.
Il sistema della giustizia sportiva trova poi la sua completa definizione nel successivo art.3, che delinea il seguente modello:
1. l’intervento del giudice statale (ordinario o amministrativo) è ammesso per le materie non riservate agli organi di giustizia sportiva;
2. al giudice ordinario viene lasciata la competenza in ordine alla delicata e complessa materia dei rapporti patrimoniali;
3. si devolve alla giurisdizione esclusiva (ed accentrata) del giudice amministrativo “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Coni o delle federazioni sportive”;
30 onere che si è trasformato in “obbligo”, in ragione della modifica operata sull’art 7 del “decreto Melandri” (D.Lgs n.242/1999), da parte del “decreto Pescante” (X.Xxx 15/2004)
4. prima di adire il giudice statale è necessario che vengano esperiti e conclusi i procedimenti di giustizia sportiva così come espressamente affermato dalla giurisprudenza31;
5. vengono salvaguardate le clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti delle federazioni sportive, nonché quelle inserite nei contratti di lavoro subordinato sportivo di cui all’art. 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91.
L’art. 3 ha inoltre risolto il problema di individuare il giudice statale competente in materia di cognizione di questioni originatesi in ambito sportivo, stabilendo che i provvedimenti emanati dagli ordinamenti sportivi sono impugnabili innanzi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (a parte per le questioni di carattere economico tra pariordinati, devolvibili alla giurisdizione del giudice ordinario) e stabilendo la competenza territoriale esclusiva del T.A.R. Lazio con sede in Roma. Stabilisce inoltre che le questioni di competenza territoriale sono rilevabili d’ufficio. Il legislatore è stato spinto a compiere tale scelta dalla presenza di due fattori, il primo sicuramente legato alla portata generalmente ultraregionale degli effetti dei provvedimenti emanati in ambito sportivo; l’altro, più di carattere organizzativo, costituito dalla presenza proprio nella città di Roma della sede del C.O.N.I. e delle varie Federazioni nazionali.
L’attribuzione della competenza territoriale esclusiva al T.A.R. Lazio in materia sportiva è stata probabilmente anche dettata dall’esigenza di evitare il cosiddetto “campanilismo”, di cui più volte sono stati accusati i vari T.A.R. regionali verso i quali venivano effettuati ricorsi da parte delle società sportive. Tale volontà del legislatore è sottolineata dalla presenza nel dettato dell’art.3 dell’inciso “anche per l’emanazione di misure cautelari”, volta quindi ad evitare, anche in una fase
31 Cons. St., sez. VI, 9 luglio 2004, n.5025; Cons. St., sez. VI, 31 maggio 2013, n.3002
dominante in materia sportiva come quella cautelare, un aggiramento della norma attributiva della competenza territoriale.
L’art. 3 della legge in esame, al terzo comma, , ha infine previsto due disposizioni specifiche di carattere processuale relative ai giudizi innanzi al giudice amministrativo in materia, aventi come finalità la celerità di tali giudizi; ovvero:
- l’abbreviazione di tutti i termini processuali alla metà, salvo quelli per la
proposizione del ricorso di primo grado, e l’applicazione dei commi secondo e seguenti dell’art 23 bis della legge n.1034/1971;
- la definizione dei giudizi innanzi al T.A.R. con “sentenza breve”, ai sensi
dell’art 26 della legge n. 1034/1971.
L’introduzione di tali disposizioni è proprio legata alla peculiarità della materia sportiva, in quanto, come ribadito anche nella Relazione Governativa al decreto legge n.220/2003, “il mondo sportivo ha bisogno di decisioni adottate in tempi brevissimi”: pertanto, come indicato dalla Relazione Governativa al decreto legge, in tale materia, innanzi al giudice amministrativo, “si prevedono modalità accelerate di definizione del giudizio nel merito quali la sentenza in forma abbreviata e la riduzione di tutti i termini processuali alla metà”.
5. Le fonti del diritto sportivo
Comunemente si definiscono “fonti del diritto” l’insieme degli atti e dei fatti che un ordinamento giuridico o un determinato contesto socio-culturale reputano idonei a modificare o innovare l’ordinamento stesso.
Atti giuridici o comportamenti materiali, quindi, che concorrono, ciascuno con il proprio apporto, a introdurre nuove norme, a modificarle o a rinnovarle nel corso del tempo.
Nello specifico, con l’espressione fonti dell’ordinamento sportivo si intendono gli atti e i fatti prodotti all’interno dello stesso ordinamento da cui promanano norme aventi rilevanza giuridica; restano fuori da questa nozione le fonti di produzione normativa statale che regolamentano l’ambito sportivo.
Il diritto sportivo, quale risultato della interazione tra più ordinamenti giuridici32, è governato sia da fonti che derivano da soggetti esterni all’ordinamento sportivo, fonti c.d. “eteronome”, sia da fonti che esso stesso genera, fonti c.d. “autonome”.
Un’altra distinzione rilevante è poi quella tra fonti nazionali, ossia tutte quelle fonti che vengono emanate da soggetti dell’ordinamento giuridico statale, e fonti internazionali. Sul punto va però ricordato che la distinzione tra fonti nazionali ed internazionali non va riferita all’ambito territoriale nel quale l’ente da cui promana la fonte esercita la sua supremazia legislativa, ma all’ambito tipico in cui si concreta il fine dell’ordinamento sportivo, ovvero la competizione sportiva. Per valutarne la natura nazionale o internazionale, non assume però rilevanza il luogo specifico in cui la competizione sportiva si svolge, bensì la sua valenza che è correlata alla classifica per la quale il risultato che in essa si consegue è valido. E’ chiaro che il contenuto delle fonti di natura nazionale deve comunque conformarsi al contenuto di quelle internazionali, facenti capo al C.I.O., così come i regolamenti delle Federazioni sportive nazionali devono conformarsi alle normative delle corrispondenti Federazioni sportive internazionali.
32 X.Xxxxx, Relazione Introduttiva, in Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, ct, p. 15 ss
Altra distinzione, operata nella maggior parte dei casi con riguardo all’ordinamento statale, è quella tra fonti di natura pubblicistica e fonti di natura privatistica; distinzione che si basa quindi sulla natura dei soggetti cui è demandato il potere di dettare norme giuridiche. Tale distinzione ha rilevanza sul piano dell’efficacia delle norme in questione: le fonti di diritto pubblico avranno un’efficacia c.d. “generale”, esplicando quindi i loro effetti nei confronti, oltre che di coloro che le hanno prodotte, anche dei terzi; mentre quelle di natura privata hanno efficacia soltanto nei confronti di chi li ha prodotte e di coloro che da essi sono rappresentati. Pertanto, nel sistema delle fonti dell’ordinamento sportivo, data la natura pubblicistica dell’ente C.O.N.I. e la rispettiva natura privatistica delle Federazioni sportive, le fonti promananti dal primo avranno efficacia nei confronti di tutti i soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo, mentre le fonti prodotte dalle Federazioni sportive risulteranno efficaci soltanto nei confronti dei soggetti che ne fanno rispettivamente parte, essendo essi affiliati o tesserati.
5.1 Xxxxx eteronome
Si è detto che vengono definite come fonti “eteronome” tutte quelle fonti di produzione normativa che derivano da soggetti esterni all’ordinamento sportivo. Esempi tipici di fonti eteronome a livello internazionale sono:
1. Il Libro Bianco sullo sport;33
33 X.Xxxxxxxxxx, diritto sportivo, cit, p.17
34 X.Xxxxxx, diritto comunitario dello sport, Torino, 2009
3. La carta Internazionale dello sport dell’UNESCO;
4. La carta europea dello sport per Tutti;
A livello nazionale invece:
1. La Costituzione;
2. Le leggi ordinarie;
3. Gli atti aventi forza di legge;
Nell’ambito delle fonti internazionali, importante è il ruolo del Libro Bianco sullo Sport, documento adottato dalla Commissione Europea l’11 luglio del 2007 e con obiettivo di riconoscere ed evidenziare l’importanza e l’influenza che può avere lo sport sulle altre politiche comunitarie.
Il documento in esame si concentra sul ruolo sociale dello sport, sulla sua dimensione economica e sulla sua organizzazione in Europa36. In particolare, per quanto riguarda la funzione sociale dello sport, il Libro bianco ne evidenzia l’utilità al fine di migliorare la salute pubblica, oltre che la sempre più crescente necessità per gli Stati membri di lavorare ed unire le forze per combattere il diffuso fenomeno del doping.
Più nello specifico quindi la Commissione Europa nel 2007, adottando il documento, ha cercato di assicurare che tutte le aree della politica europea tenessero in considerazione la dimensione sportiva e, al contempo, incrementare la chiarezza giuridica con riferimento all'applicazione dell' acquis37 comunitario allo sport, in tal modo migliorando la relativa governance all''interno dell' UE.
35 Bastianon-Nascimbene, diritto europeo dello sport, Torino, 2011, spec. p. 74 ss
36 X.Xxxxxx, unione europea e sport.
37 l'acquis dell'UE corrisponde alla piattaforma comune di diritti ed obblighi che vincolano l’insieme dei paesi dell'UE quali membri dell’UE
L'articolo 165 del Trattato, al comma 1, contiene gli aspetti particolareggiati della politica per lo sport stabilendo che l'Unione "contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa". Per poi al comma 2, aggiungere: “nonché a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l'equità e l'apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l'integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei più giovani tra di essi”.
Anche in questo caso, così come già accennato in precedenza in riferimento al Libro Bianco sullo sport, l’azione dell’Unione Europa è finalizzata a rafforzare la lotta contro il doping, sia con azioni repressive che preventive.
Tra le fonti eteronome che regolano l’attività sportiva, di natura però statale, quella principale è sicuramente la Costituzione; di cui è stata già approfonditamente spiegata l’importanza successiva alla riforma del Titolo V, con particolare interesse al dettato dell’art 117 Cost.
38 X.Xxxxxx, diritto comunitario dello sport, cit., pp. 42-46
5.2 Fonti autonome
Per quanto riguarda le fonti autonome, che posso essere definite come le vere e proprio “fonti del diritto sportivo”, essendo emanate da soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo, a livello sovranazionale quelle di maggior importanza sono:
1. La Carta Olimpica;
2. Le direttive e le raccomandazione del C.I.O;
3. Gli statuti delle Federazioni Sportive Internazionali . Mentre a livello nazionale:
1. Gli statuti delle Federazioni Sportive Nazionali;
2. Lo statuto del C.O.N.I.
Una particolarità delle fonti dell’ordinamento sportivo internazionale eteronome è che essendo tutte emanate da istituzioni sportive di natura giuridica privatistica, esse sono quindi vincolanti soltanto per gli organismi facenti parte delle stesse. Tra queste istituzioni, le più importanti sono:
1. Il C.I.O. (Comitato Olimpico Internazionale); Ed i vari enti ad esso correlati quali:
2. La W.A.D.A. (Agenzia Mondiale Anti Doping);
3. Il C.I.A.S. (Consiglio Internazionale per l’Arbitrato Sportivo);
4. Il C.I.F..P. (Comitato Internazionale per il fair play);
5. Il W.O.A. (Associazione internazionale degli atleti olimpici);
6. Il C.P.I. (Comitato Paraolimpico Internazionale);
La più importante delle sopra citate fonti sovranazionali autonome è senza dubbio la Carta Olimpica.
Essa è adottata dal Comitato Olimpico Internazionale (C.I.O)39, che la rivede periodicamente con modifiche e integrazioni.
La Carta Olimpica ha tre scopi fondamentali: la codificazione dei principi e dei valori olimpici; la definizione dei doveri delle quattro organizzazioni che fanno parte del Movimento Olimpico ed infine la costruzione dell’ossatura normativa del C.I.O.
Nella Carta Olimpica spiccano altresì i “principi generali” che stanno a fondamento dello spirito olimpico e che si concretizzano nel principio di eguaglianza, amicizia, solidarietà e fair-play.
Al punto 6 di tali principi si può testualmente leggere che “Il Movimento Olimpico ha come scopo di contribuire alla costruzione di un mondo migliore e più pacifico educando la gioventù per mezzo dello sport, praticato senza discriminazioni di alcun genere e nello spirito olimpico, che esige mutua comprensione, spirito di amicizia, solidarietà e fair-play”.
Ulteriori fonti di diritto sportivo internazionale sono le direttive e le raccomandazioni del C.I.O.. A proposito di queste ultime basta ricordare la differenziazione sostanziale40 che viene tradizionalmente operata circa l’efficacia di direttive e raccomandazioni. Le prime sono atti normativi vincolanti in merito agli obiettivi da raggiungere ed indicano il mezzo attraverso il quale raggiungerli; le raccomandazioni invece sono prive di efficacia vincolante e sono generalmente emanate dal C.I.O. nei casi in cui esso non disponga del potere di emanare atti vincolanti in una o più determinata materia.
39 la prima versione venne adottata nel 1908 sulla base di un regolamento voluto dal barone Xx Xxxxxxxxx
40 Barbera-Xxxxxx, corso di diritto costituzionale, cit., p.91
Discorso diverso va fatto per le fonti autonome di produzione nazionale, occorre infatti distinguere tra fonti di natura pubblicistica, dotate di efficacia erga omnes, e fonti di natura privatistica, idonee invece a produrre effetti più limitati.
Le fonti pubblicistiche sono lo Statuto e i regolamenti del C.O.N.I.41.
Lo statuto del C.O.N.I., deliberato il 26 Ottobre 2018 dal Consiglio Nazionale del C.O.N.I. è il prodotto di un lungo iter che vede ora il documento composto da dieci titoli, il primo dei quali, in tema di “disposizioni generali”, contiene la definizione di C.O.N.I., l’elencazione delle sue funzioni e degli organi preposti ad assolverle.
Tra le fonti di produzione regolamentare del C.O.N.I. merita una menzione il Codice di Comportamento Sportivo del 2012 che, come sancito nella “premessa”, enuncia “i doveri fondamentali, inderogabili e obbligatori, di lealtà, correttezza e probità previsti e sanzionati dagli Statuti e dai regolamenti del CONI, delle Federazioni sportive nazionali, ivi compresi quelli degli organismi rappresentativi delle società, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite”.
Quanto alle fonti privatistiche autonome nazionali, infine, esse sono rappresentate essenzialmente dagli Statuti e dai regolamenti delle Federazioni Sportive Nazionali42 e delle Discipline Sportive Associate.
Al riguardo, deve necessariamente segnalarsi che, ai sensi dell’art 22, comma 1, dello Statuto del C.O.N.I. “gli statuti delle Federazioni sportive nazionali devono rispettare i principi fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale e devono in particolare ispirarsi al costante equilibrio di diritti e di doveri tra i settori
41 X.Xxxxxxx, in Xxxxxx-Xxxxxxx, lezioni di diritto sportivo, cit., p.32ss
42 La cui natura di soggetti di diritto privato è stato espressamente riconosciuta dall’art 15, comma 2, del D.Lgs. n.242 del 1999
professionistici e non professionistici, nonché tra le diverse categorie nell’ambito del medesimo settore”.
2. Il rapporto di lavoro sportivo
Sommario: 1. L’evoluzione storica della disciplina del rapporto di lavoro sportivo e le sue macro fasi - 2. La specialità del rapporto di lavoro sportivo
3. La disciplina del contratto sportivo - 3.1. Le parti - 3.2. La causa -
3.3. L’oggetto - 3.4. La forma - 4. La tutela sanitaria, assicurativa e previdenziale - 5 Il rapporto di lavoro nel calcio e il ruolo dell’ AIC -
5.1 L’accordo collettivo tra calciatori professionisti e società - 5.2 Il contratto individuale tra calciatore e società 5.3 Doveri delle società - 5.4 Doveri dei calciatori
1. L’evoluzione storica della disciplina del rapporto di lavoro sportivo e le sue macro fasi
Il rapporto di lavoro in ambito sportivo ha da sempre rappresentato oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale in ordine alla sua qualificazione giuridica. La problematica principale relativa alla qualificazione del rapporto di lavoro, da cui consegue l’applicazione della normativa codicistica in materia di lavoro autonomo, ovvero della normativa codicistica e di quella di legislazione speciale in materia di lavoro subordinato, riveste un ruolo determinante in materia di diritto del lavoro; questo perché lavoro autonomo e rapporto subordinato presentano notevoli differenze essendo ispirati ad esigenze di tutela diverse.
Il rapporto di lavoro subordinato è infatti fondato sul noto principio di salvaguardia piena della persona del lavoratore, la quale viene considerata come parte debole del rapporto e quindi necessariamente sottoposta alla tutela del
legislatore. Il rapporto di lavoro autonomo è invece fondato sul principio di parità contrattuale, come si evince dalla disciplina prevista dagli art. 2222 e ss.
c.c. nell’ambito del contratto d’opera, ed in particolare, con riguardo alla esecuzione dell’opera, al corrispettivo della prestazione di lavoro, ai casi di difformità e vizi dell’opera, di recesso unilaterale del contratto e di impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione dell’opera.
Più in particolare, la qualificazione del rapporto di lavoro sportivo come rapporto di lavoro subordinato risulterebbe giustificata dal rilievo dei tratti salienti della subordinazione, risultanti dall’art 2094 c.c., ovvero l’eterodirezione dell’atleta- lavoratore, la professionalità della prestazione e l’obbligo di collaborazione in vista del perseguimento degli obiettivi sociali.
Il dibattito della dottrina in ordine alla problematica della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro sportivo non ha interessato soltanto dal punto di vista teorico gli studiosi della materia, ma ha coinvolto, anche sul piano pratico, i
43 X.Xxxxxxx, in Xxxxxx-Xxxxxxx, Lezioni di diritto sportivo, cit., p.142
soggetti direttamente interessati nei rapporti di lavoro in ambito sportivo. A tal proposito è bene ricordare come, a sostegno di un intervento legislativo in ordine alla qualificazione del rapporto sportivo, si sia schierata anche l’A.I.C. (Associazione Italiana Calciatori ), già a partire dagli anni ’60, con l’obiettivo di far riconoscere ai calciatori professionisti i diritti fondamentali in quanto prestatori di lavoro, affinché gli stessi atleti non fossero più considerati solamente oggetto di proprietà del club di appartenenza. Come vedremo nel prosieguo della trattazione va riconosciuto proprio all’A.I.C. il merito di aver raggiunto delle vere conquiste sociali quali: l’abolizione del vincolo sportivo nei casi in cui la società fosse in ritardo di almeno tre mesi nel pagamento degli stipendi, il riconoscimento del diritto al riposo settimanale e l’abrogazione della norma che vietava ai calciatori di allontanarsi dalla propria residenza previa autorizzazione della società di appartenenza.
A riguardo della qualificazione del rapporto di lavoro sportivo, come già detto, si sono susseguite nel corso degli anni varie teorie, scandite da interventi legislativi e giurisprudenziali; per comodità possiamo distinguere quattro “macro fasi storiche”.
La prima fase è quella che può essere riferita alla situazione previgente alla legge 23 marzo 1981 n.91. In questa fase fondamentale era il ruolo del c.d. “vincolo sportivo”, un istituto giuridico tipico del diritto sportivo dell’epoca, che consisteva sostanzialmente in un divieto di recesso unilaterale dell’atleta dal contratto di lavoro stipulato con la società sportiva per la quale era tesserato44. Per effetto di tale vincolo, che l’atleta assumeva tesserandosi con una società sportiva, quest’ultima aveva un enorme potere decisionale, essendo libera di cederlo, e quindi trasferirlo, ad un’altra società, in cambio del pagamento di un
44 P.D’Onofrio, Manuale operativo di diritto sportivo, Rimini, 2007, p.43
corrispettivo, senza il consenso dello stesso atleta45. Egli era quindi sostanzialmente titolare di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la propria compagine sportiva, con la conseguenza che la sua forza contrattuale era fortemente limitata dalla presenza di questo legame; situazione incompatibile con i principi del diritto del lavoro46.
Prima dell’anno 1981 il legislatore aveva limitato la sua azione agli aspetti meramente di natura organizzativa dello sport, mediante l’emanazione della legge istitutiva del CONI, trascurando quindi la disciplina in tema di rapporto di lavoro; non esisteva infatti neanche una distinzione tra atleta professionista ed atleta dilettante. In assenza quindi di una disciplina normativa, la dottrina riteneva che potesse essere considerato come professionista colui che faceva dello sport la sua fonte principale di guadagno, ritenendo invece dilettante l’atleta che, interpretando lo sport come momento prettamente ludico, lo praticava come occasione di svago e mezzo di benessere personale.
Lo status di atleta professionista era quindi fortemente collegato al tesseramento, di cui si è già nel capitolo precedente delineato l’istituto, in forza del quale si generava tra le parti il c.d. “vincolo sportivo”.
Lo sportivo professionista sottoscriveva un contratto che generava un vincolo giuridico a tempo indeterminato con la società, la quale diventava proprietaria del suo cartellino, gestendolo unilateralmente senza il consenso dell’atleta, il quale era quindi considerato come mero oggetto della società di appartenenza.
45M.X. Xxxxxxxxx, Diritto del lavoro sportivo, Torino, 2012, p.72
46 X.Xxxxxxxxxx, il vincolo sportivo e la disciplina del rapporto di lavoro sportivo, cit., p.122.
L’art 2 della legge citata sancisce, come detto, il libero esercizio dell’attività sportiva professionistica e dilettantistica, in forma individuale e collettiva.
Nonostante i passi avanti fatti, rimanevano comunque vari problemi da risolvere, tra cui, in ambito calcistico, quello dei limiti ai tesseramenti di calciatori stranieri.
Per questi ultimi, infatti, il trasferimento era reso difficile dalle stringenti norme federali che limitavano notevolmente l’impiego nelle gare di giocatori provenienti da federazioni estere; sia le norme UEFA che le norme interne della FIGC, stabilivano quindi che durante le gare ufficiali le società sportive potessero utilizzare un numero massimo di due stranieri, poi elevato a tre nel 1991.
Queste disposizioni dell’ordinamento sportivo risultavano in vigore nonostante la
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 12 Dicembre 1974
48,
avesse chiarito che l’attività sportiva dovesse essere rispettosa dei principi del diritto comunitario tra cui quello della libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità Europea.
La terza fase è quella che si colloca tra la “sentenza Xxxxxx” e l’Accordo di Bruxelles del 2001; fase breve, ma caratterizzata dalla consacrazione del ruolo centrale dell’atleta e del regime contrattuale.
47 Vincolo sportivo ancora in uso per lo sport dilettantistico
48 Xxxxxxx vs Association Union Cycliste Internationale e Federacion Espanola Ciclismo, Causa 36/74.
Con la sopra citata sentenza Xxxxxx del 15 dicembre 1995, la Corte di Giustizia Europea non si è limitata a ribadire che l’attività sportiva dovesse essere conforme e rispettosa dei principi del diritto comunitario, tra cui quello della libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità Europea, ma ha inoltre sancito l’illegittimità di tutte le disposizioni federali contrarie a tale principio.
La Corte quindi, in applicazione dell’art 48 del Trattato C.E., ha ritenuto in contrasto con il diritto comunitario il vincolo in ordine al numero dei calciatori utilizzabili nelle squadre di calcio professionistiche. Nella sentenza viene evidenziato come le libertà fondamentali previste dal Trattato C.E. quali la libertà di circolazione dei lavoratori, delle merci, dei servizi e dei capitali, costituiscono un aspetto centrale della nozione di mercato comune, e in quanto tale, che l’Unione Europea non tollera attenuazioni o eccezioni. Ne consegue che l’atleta professionista che entra a far parte dell’ordinamento sportivo non può subire, sulla base di detti principi generali, una limitazione così grave all’esercizio di un diritto fondamentale attribuitogli direttamente dall’ordinamento giuridico europeo.
La quarta ed ultima fase può invece essere ricondotta al periodo che segue l’Accordo di Bruxelles del 2001, quest’ultimo di fondamentale importanza poiché introdusse il c.d. “principio di stabilità dei contratti”. L’intento era quello di garantire soprattutto ai club il rispetto, da parte dei loro tesserati, dei contratti da questi sottoscritti.
La normativa derivante dall’Accordo di Bruxelles venne successivamente ratificata attraverso l’emanazione da parte del Comitato Esecutivo della FIFA, del c.d. “Regolamento FIFA sullo status ed i trasferimenti dei calciatori”, entrato in vigore il 1Settembre 2001.
2. La specialità del rapporto di lavoro sportivo
Il rapporto di lavoro sportivo, per la peculiarità della disciplina della legge n. 91/1981, presenta caratteri di specialità rispetto agli ordinari rapporti di lavoro dipendente.
La dottrina stessa però non ha una visione unitaria in ordine al concetto di lavoro speciale a causa dell’inesistenza di indicazioni normative sul concetto di specialità e per i vari e diversi tipi di rapporti che sono da considerarsi speciali.
un altro orientamento dottrinale preferisce invece un’interpretazione più ampia del concetto di lavoro speciale, comprendente, oltre i rapporti sopra citati, anche
49 La dottrina giuslavoristica definisce speciali quei rapporti che, in ragione della specifica posizione del datore di lavoro e/o anche della peculiare natura dell'attività svolta, come è nel caso del lavoro sportivo, richiedono una disciplina, anche solo in parte, differenziata rispetto a quella generale dettata per il rapporto di lavoro nell'impresa, con conseguente adattamento del modello generale di tutela alla specificità del rapporto, X. Xxxxx, Diritto del lavoro, 2020.
50 Esempio classico fornito è quello del contratto di apprendistato, la cui disciplina normativa assegna, nella configurazione della sua causa, un rilievo particolare all’elemento della formazione professionale. Questo lo renderebbe inquadrabile come rapporto speciale.
quelli che risultano disciplinati da una normativa ad hoc. Questi rapporti presenteranno quindi dei tratti distintivi rispetto al comune rapporto di lavoro subordinato. Secondo tale orientamento un esempio sarebbe proprio quello del rapporto di lavoro sportivo, che per la peculiarità della disciplina della legge 23 marzo 1981, n.91, presenta caratteri di specialità e quindi notevoli differenze rispetto al lavoro subordinato ordinario.
Queste differenze attengono al piano della disciplina poiché la sopra menzionata legge 23 marzo 1981, n.91 dichiara espressamente inapplicabili alcune norme fondamentali in vigore per i lavoratori dipendenti. L’art 4 della citata legge, agli ultimi due commi, sottolinea infatti quali disposizioni sono da considerarsi incompatibili con il rapporto di lavoro sportivo; per quanto riguardo lo Statuto dei Lavoratori risultano non applicabili gli artt. 4, 5, 13,18, 33 e 34; viene poi esclusa la disciplina inerente ai licenziamenti individuali e quella afferente ai contratti a termine (rispettivamente legge 604 del 1966 e 230 del 1962).
Tali esclusioni non sono da considerarsi tassative, secondo la giurisprudenza maggioritaria, ma è rimesso al giudice il compito di prevedere ulteriori incompatibilità.
Altre differenze riguardano invece il piano della configurazione dello stesso contratto; nel lavoro sportivo sono infatti riscontrabili due elementi che non trovano corrispondenza in nessun altro tipo di lavoro subordinato, sia privato che pubblico. Il primo è il c.d. “rapporto trilaterale” che va ad instaurarsi tra società,
51 X.Xxxxxxx, Il contratto di lavoro sportivo, cit, p.753
federazione e lavoratore, che rende quindi i contratti sportivi differenti da quelli “classici”. Altro elemento di distinzione, sino alla riforma attuata con la legge n.586/1996, era il vincolo sportivo, conseguente al tesseramento dell’atleta, considerato atto prodromico al contratto di lavoro sportivo.
Esempi della disciplina peculiare del rapporto sportivo, possono inoltre essere la norma che sottopone la validità dei contratti individuali alla previa approvazione della federazione sportiva, o la possibilità di cessione dei contratti individuali tra due società prima della scadenza del termine fissato.
La suddetta specialità del rapporto di lavoro sportivo, se implica la presenza di una disciplina autonoma, non esclude, tuttavia, l'intervento sussidiario della disciplina generale.
52 X.Xxxxxxxx, Legge 23 marzo 1981, n.91, cit, p.579
53 X. Xx Xxxxxxxxxx, Legge 23 marzo 1981, n.91, Nuove leggi civili commentate, 1982
3. La disciplina del contratto di lavoro sportivo
Così come ogni altro rapporto di lavoro subordinato, anche quello sportivo trae origine da un contratto.
Partendo dalla definizione data dall’art 1321 c.c., il contratto viene definito come: “l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.
Tuttavia, parte della dottrina54, sostiene la natura acontrattuale del rapporto di lavoro poiché il suo contenuto è determinato in grandissima misura dalla legge e dai contratti collettivi, cioè, come vedremo successivamente, da fonti estranee e sovraordinate all’autonomia contrattuale individuale. In sintesi, la disciplina del rapporto considerato è una disciplina inderogabile che però, non ha natura strettamente imperativa potendo essere derogata dall’autonomia privata, anche se soltanto con disposizioni a favore del lavoratore.
Non sembra però dubitabile che alla base della costituzione del rapporto di lavoro, come detto sopra, ci sia un accordo frutto dell'incontro della volontà del datore di lavoro e del lavoratore, tramite il quale sono regolati contrapposti interessi di natura prevalentemente patrimoniale.
Tale conclusione vale anche per gli sportivi professionisti; infatti la legge 23 marzo 1981, n.91 si pone per lo più come regolatrice del contratto, individuato dall'art. 4 in maniera chiara, come fonte del rapporto di lavoro.
Essendo quindi un contratto, anche il contratto di lavoro sportivo, deve rispettare i requisiti essenziali previsti dall’art 1325 c.c. ossia:
1. l’accordo delle parti
54 X. Xxxxxxxxxxxxx, La natura non contrattuale del lavoro subordinato, in Riv. it diritto del lavoro, 2007
2. la causa
3. l’oggetto
4. la forma, qualora prescritta a pena di nullità dalla legge.
3.1 Le parti
Il contratto di lavoro sportivo deve prevedere quali parti, ex parte lavoratoris, una delle figure che, come detto nel primo capitolo, la legge 23 marzo 1981, n.91, individua come sportivi professionisti. Ex parte datoris, bisogna invece riferirsi all’art 10 della legge, ovvero una società sportiva che riveste la forma giuridica di società per azioni (s.p.a.) o società a responsabilità limitata (s.r.l.).
Per quanto riguarda la figura del lavoratore, il più volte citato, art. 2 della legge 91/1981, definisce come sportivi professionisti “(…) atleti, allenatori, direttori tecnico sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito di discipline regolate dal CONI…”.
Appare chiaro, tuttavia, come sia necessario distinguere l’inquadramento dello sportivo vero e proprio dalle figure ad esso collegate, individuate dall’art. 2, come il preparatore atletico, il direttore tecnico ecc.
Infatti, solo all’atleta si applicheranno le particolari disposizioni dedicate al rapporto di lavoro per il professionista, di cui alla Legge 23 marzo 1981, n.91 come si evince dal successivo art. 3: “la prestazione a titolo oneroso dell'atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato regolato dalle norme contenute nella presente legge”.
Sulla base di quanto detto, a tutti i soggetti identificati dalla norma, ma espressamente esclusi, poi, dalla disciplina generale ad opera dell’art. 3, si applicheranno le normali regole sul rapporto di lavoro e le interpretazioni ad esse collegate.
A riguardo, va nuovamente richiamato l’orientamento della Suprema Corte: “La
La decisione della Corte di Cassazione si fonda sul compromesso tra due opposte esigenze, da un lato quella del rispetto del principio della c.d. “inderogabilità in peius” della disciplina legale del lavoro subordinato ad opera dell’autonomia individuale, punto cardine di tutto il diritto del lavoro; e dall’altro lato, quella di calibrare l’ambito di applicazione della Legge 23 marzo 1981, n.91 ai cambiamenti organizzativi ed operativi delle varie discipline sportive.
Lo sportivo, per diventare professionista, deve altresì rispettare gli altri requisiti già descritti nel primo capitolo, ovvero: l’esercizio a titolo oneroso dell’attività, in modo continuativo e con il riconoscimento della figura da parte della federazione di riferimento.
Nel caso in cui l’atleta non riesca, per più motivi, ad acquisire lo status di sportivo professionista, egli sarà considerato un dilettante. Grazie alla crescente
55 Cass. civ. Sez. lavoro, Sent. 30-07-2014, n. 17374.
rilevanza dello sport dal punto di vista economico e sociale, la figura dello sportivo dilettante è comunque mutata nel corso degli anni; vi sono numerosi sportivi, ancora considerati dilettanti, che praticano l’attività sportiva ad altissimi livelli (mondiali, olimpiadi), come professione vera e propria56. Nella maggior parte dei casi tale situazione è dettata dal fatto che la propria federazione di appartenenza non prevede il professionismo, esempi tipici sono quelli del tennis e del nuoto.
A riguardo, parte della dottrina, rifacendosi all’art 3 della Costituzione ha affermato che, nonostante l’assenza della qualifica di professionista della federazione sportiva di riferimento, l’atleta dilettante dovrebbe comunque trovare una tutela quantomeno analogica, nella disciplina della legge 23 marzo 1981,
n.91 valevole per gli sportivi professionisti.
56 Basti pensare che alle prime Olimpiadi pensate da Xx Xxxxxxxxx erano ammessi a partecipare soltanto atleti dilettanti.
57 X. Xxxxxxxxx, L’atleta professionista e l’atleta dilettante, in RDSport, 1997, pag. 374.
Soluzione opposta è invece sostenuta da un altro orientamento dottrinale, secondo il quale agli sportivi dilettanti non dev’essere applicata la disciplina della legge sopra citata; soluzione che appare maggioritaria sia in dottrina che in giurisprudenza. Sul punto, si è infatti così espressa la Cassazione: “In tema di contratto di tesseramento di sportivo dilettante (nella specie, allenatore di squadra di calcio dilettantistica) non trova applicazione la disciplina legislativa recata dall'art. 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91 (secondo cui devono stipularsi per iscritto, a pena di nullità, i contratti di costituzione di rapporti a titolo oneroso tra sportivo professionista e società destinataria delle relative prestazioni), bensì quella di cui agli artt. 4 e 42 del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti (in forza dei quali - e, segnatamente, dell'art. 42 - l'attività degli allenatori è a titolo gratuito, avendo essi diritto soltanto ad un premio di tesseramento annuale e ad un rimborso spese, purché tale pattuizione sia oggetto di stipulazione per iscritto), con la conseguenza che deve escludersi la nullità dell'anzidetto contratto di tesseramento sia per mancata osservanza della forma vincolata - giacché la violazione della predetta norma regolamentare dell'ordinamento sportivo non può trovare sanzione nell'ordinamento statale, governato dal principio generale della libertà delle forme - sia per la pattuizione di un compenso, non violando l'onerosità della prestazione alcuna norma imperativa”58.
Nonostante ciò, è comunque possibile che anche nel caso dell’atleta dilettante
58 Cass. civ. Sez. III, 27/01/2010, n. 1713, su xxx.xxxxxx.xx
59 Art. 2094 c.c. “ E' prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Per quanto, invece, attiene all’altra parte del contratto, l’art. 10 della Legge 23 marzo 1981, n.91 recita “Possono stipulare contratti con atleti professionisti solo società sportive costituite nella forma di società per azioni (s.p.a) o società a responsabilità limitata (s.r.l)”.
Questo è il dettato dell’art 10 successivo alle profonde modificazioni subite in seguito alla legge 586/96, fortemente influenzata dalla “sentenza Xxxxxx”. Già nella sua formulazione originaria tale articolo prevedeva la possibilità di stipulare contratti con atleti professionisti per le sole s.p.a. e s.r.l., previa però affiliazione ad una o più federazioni sportive riconosciute dal CONI. Tuttavia, nella sua precedente versione, l’art 10 escludeva che tali società potessero distribuire gli utili conseguiti, obbligandole al reinvestimento di tutti i profitti per il perseguimento dei fini propri dell’attività svolta.
Xxxxxx era la ratio della norma: l’intento di valorizzare al massimo la componente ludica, educativa e morale dello sport rispetto all’aspetto finanziario60; ciò si trovava però in forte contrasto con il crescente rilievo economico delle attività sportive. Sempre più frequenti sono infatti i c.d. “aumenti di capitale” nelle varie società sportive professionistiche.
Questa incongruenza venne, come detto, eliminata in seguito all’entrata in vigore della legge 586/96, la quale oltre a prevedere l’indennità di preparazione, ha apportato notevoli modifiche alla normativa fino a quel momento vigente in tema di società sportive. Dette modifiche hanno riguardato sia le finalità perseguite da tali società e il loro oggetto sociale, sia i controlli a cui esse sono assoggettate.
Di particolare importanza fu la possibilità data alle società sportive di ripartire gli utili conseguiti, favorendo così l’ingresso in gioco delle società sportive
60 X. Xxxxx Putzolu, Una legge per lo sport? Società e federazioni sportive, in Foro it. , 1981
lucrative, con l’unico vincolo di destinare almeno il 10% di tali utili all’addestramento giovanile e alle scuole di formazione.
3.2 La causa
Prima di definire il concetto di causa nell’ambito del contratto di lavoro sportivo, è bene mettere in luce come lo stesso, sia mutato nel corso del tempo. L’assenza di una definizione codicistica, dove il concetto di causa era solamente “accennato”, ha portato la dottrina e la giurisprudenza a ricercare tale definizione all’interno della Relazione del Codice Civile, che l’ha definita come “funzione economica-sociale del contratto”.
Come detto, però, il concetto di causa è dibattuto. Secondo la tesi ad oggi prevalente, deve adottarsi una nozione concreta di causa, che, cioè, faccia
61 Cass. civ. Sez. X Xxxx., 00/00/0000, n. 33040
A riguardo, di notevole importanza fu la famosa pronuncia delle Sezioni Unite
del 201563 ,con cui in tema di contratto preliminare del preliminare, la
Cassazione ha stabilito che per causa debba intendersi la “funzione economico- individuale del contratto”. Si assiste quindi all’abbandono della funzione ordinamentale e sociale della causa, in favore di una ancorata agli interessi delle parti in gioco ed alle loro volontà concrete.
62 Il concetto di causa, Xxxxxxxx.xx
63 Cass. civ. sez. unite, sent. 6 marzo 2015, n. 4628
64 a) l'attività sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate un breve periodo di tempo;
b) l'atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento;
c) la prestazione che e' oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno.
tassativo, pertanto non è riconosciuto alle parti, nel caso in cui una di esse sia un atleta, il potere di redigere un contratto sportivo autonomo al di fuori delle ipotesi specificatamente previste.
3.3 L’oggetto
L’oggetto del contratto è l’insieme delle prestazioni che le parti si obbligano reciprocamente a fornire. Nel caso quindi del contratto di lavoro sportivo esso consiste nella prestazione dell’atleta a fronte del corrispettivo da parte della società. L’art 4, comma 4, della legge 23 marzo 1981, n.91, dispone a riguardo che nel contratto individuale di lavoro, è necessario che venga menzionato l’obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici. Questa disposizione, come altre presenti nello stesso art.4, vanno ad evidenziare ed attestare il vincolo di subordinazione che esiste tra lo sportivo e la società di appartenenza, elemento caratterizzante del contratto di lavoro sportivo subordinato rispetto a quello autonomo.
65 X. Xxxxxx, X. Xxxxxxx, Lezioni di diritto sportivo, Xxxxxxx, 2018, pag. 161.
Ai sensi dell’art. 1346 c.c., l’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile. Quest’ultimo requisito, ovvero la determinabilità, ha un ruolo fondamentale nei contratti di lavoro subordinati, per i quali è previsto che già dal momento dell’assunzione del lavoratore, siano fissate le mansioni assegnate allo stesso, costituenti quindi l’oggetto del contratto.
Su tale punto, l’art. 2103 c.c. prevede il diritto del lavoratore ad essere assegnato alle mansioni per cui è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria successivamente acquisita, o a mansioni equivalenti, così escludendo il c.d. “demansionamento”, ovvero l’assegnazione a mansioni di livello inferiore rispetto a quelle pattuite. La legge prevede, in tal caso, la nullità dei patti eventualmente previsti in tal senso.
Rileva a proposito, data la mancata applicazione dell’art 2103 c.c. in tema di “demensionamento”, la possibilità negli sport di squadra, di utilizzare l’atleta in un ruolo diverso da quello per cui era stato assunto, anche se menzionato nel contratto di lavoro.
Questa operazione non andrà a costituire demansionamento né, tantomeno, rendere indeterminata la prestazione da fornire, che è quella di svolgere, a vantaggio della squadra, il ruolo ritenuto più opportuno per massimizzare i risultati comuni. Per quanto detto, anche qualora lo sportivo di una squadra
66 M.T. Spadafora, Diritto del lavoro sportivo, Xxxxxxxxxxxx, 2012, pag. 136.
venga assegnato ad un ruolo differente (anche di livello inferiore) rispetto a quello per cui è stato ingaggiato dalla società, non potrà essere dichiarata la nullità del relativo contratto di assunzione.
A conferma di quanto detto finora è la previsione, tipica del contratto di lavoro sportivo subordinato, del potere direttivo del datore di lavoro che si traduce nella libertà per lo stesso di decidere come e il luogo in cui l’attività dello sportivo verrà prestata; con riferimento quindi agli allenamenti ed alle gare ufficiali. Detto potere direttivo della società trova fondamento in diversi articoli del codice civile, non espressamente esclusi dalle leggi speciali di settore e dunque applicabili anche nel contratto sportivo, ma anche nell’obbligo imposto dall’art. 4, comma 4, della Legge 23 marzo 1981 n.91 che, come già analizzato precedentemente così statuisce: “Nel contratto individuale dovrà essere prevista la clausola contenente l'obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici”.
L’art 4, specifica, inoltre, alcune clausole che possono essere inserite nel contratto individuale di lavoro. Al comma 5 prevede infatti che possa essere pattuita tra le parti la previsione di una clausola compromissoria, con cui viene stabilito che le eventuali controversie che dovessero insorgere tra le parti vengano definite da una collegio arbitrale, la cui composizione deve però essere già stabilita nella stessa clausola.
Le clausole che, sempre sulla base di quanto disposto dall’art 4, mai potranno applicarsi ad un contratto individuale di lavoro sportivo, sono il patto di non concorrenza ed ogni altra pattuizione che abbia come effetto una limitazione alla libertà professionale dello sportivo nel periodo successivo allo scadere dello contratto, o comunque ad una sua qualsiasi causa di risoluzione. Appare evidente come la ratio di questo limite imposto è quella di salvaguardare la possibilità di
impiego da parte del lavoratore, che risulta ancora più necessaria nel caso degli sportivi professionisti, essendo la durata della loro carriera circoscritta a pochi anni. Un periodo di inattività porterebbe infatti lo sportivo a risultare meno “appetibile” nei confronti di altre società e ad eventuali sponsor, incidendo in maniera significativa sull’efficenza fisica e quindi sulle sue performances.
3.4 La forma
Come esposto in precedenza, altro, ed ultimo, requisito essenziale previsto dall’art.1325 c.c. è la forma. Con riferimento al contratto di lavoro sportivo, la forma scritta è richiesta ab substantiam, con la conseguenza, in difetto di forma scritta, della nullità del contratto67.
A riguardo l’articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n.91 stabilisce che “Il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all’accordo stipulato ogni tre anni dalla Federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate”. Il secondo comma prosegue poi così “La società ha l’obbligo di depositare il contratto presso la Federazione sportiva nazionale per l’approvazione”.
Appare evidente come l’esigenza principale, che ha spinto a richiedere la forma scritta, sia quella di garantire la certezza dei rapporti in un ambito ad elevata
67 La legge 23 marzo 1981, n.91 ha quindi incluso il contratto di lavoro sportivo subordinato nel campo di operatività dell’art 1350 c.c. e rappresenta una deroga, non unica, al principio generale di libertà delle forme del contratto di lavoro. A mente dell’art 1351 c.c. anche l’eventuale preliminare del contratto di lavoro sportivo dovrà rivestire forma scritta a pena di nullità.
rilevanza economica come lo sport; a questo va ad aggiungersi, come detto in precedenza, che l’obbligo di depositare il contratto presso la Federazione sportiva nazionale e l’eventuale approvazione della stessa non sarebbero possibili qualora la forma del contratto fosse orale.
I requisiti appena citati del deposito del contratto e della successiva approvazione da parte della Federazione depositaria assolvono la principale funzione di controllo, non di merito, ma di legittimità, del contratto individuale di lavoro rispetto al contratto tipo fissato dalla contrattazione collettiva.
Come per il diritto del lavoro generale, anche qualora lo sportivo non aderisca a nessun sindacato, l’accordo collettivo e il contratto tipo avranno valore verso di lui, in quanto trova applicazione nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria interessata. Tale efficacia generalizzata è riconducibile alla volontaria adesione alla Federazione da parte di ogni società (tramite l’affiliazione) e di ogni sportivo (tramite il tesseramento), adesione con la quale essi si impegnano ad accettare la normativa federale, compresa la disposizione che prevede la conformità dei contratti individuali a quelli tipo predisposti sulla base degli accordi collettivi. Viene, in questo modo, garantita l’efficacia erga omnes del contratto collettivo anche per gli atleti agonisti.
La forma scritta ed il deposito del contratto sono inoltre previsti dalla legge 23 marzo 1981, n.91 per agevolare il controllo, da parte delle Federazioni, sulle esposizioni finanziarie delle varie società, nonché per garantire eventualmente
68 X. Xxxxxxxx, Una legge per lo sport, Foro it., 1981.
maggiore celerità nella risoluzioni di controversie tra atleti e società di appartenenza69.
Detti controlli da parte delle Federazioni sugli atti di gestione delle società sportive e in particolare su quelli riguardanti esposizioni finanziarie, di cui si occupa l’art. 12 della legge 23 marzo 1981, n.91, sono principalmente finalizzati ad evitare che l’assunzione di impegni economici troppo onerosi e quindi non sostenibili da parte delle società sportive possa incidere negativamente sul regolare svolgimento delle varie competizioni.
In sintesi, l’art 4, come finora analizzato, statuisce il rispetto di quattro requisiti per una corretta stipulazione del contratto di lavoro sportivo subordinato, ovvero:
1. la forma scritta;
2. la conformità al contratto tipo predisposto dalle Federazioni e dai rappresentanti delle categorie cui appartengono le parti del rapporto contrattuale;
69 In caso di nullità del contratto per mancanza di forma scritta, per il periodo in cui ha avuto esecuzione il rapporto, si potrà ricorrere all’art. 2126 c.c., il quale dispone il riconoscimento della prestazione di fatto, nonostante una successiva dichiarazione di nullità o di annullamento del contratto; fatto salvo il caso che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa.
70 Secondo Vidiri, Forma del contratto, cit., 541, la disposizione in esame realizza anche, per un verso, la tutela del lavoratore sportivo, che, pur godendo talvolta di elevati trattamenti retribuitivi, è considerato pur sempre la parte contraente più debole, com’è attestato anche dalla previsione del comma 2 di sostituzione di clausole peggiorative del contratto individuale con quelle del contratto tipo; per altro verso, il controllo della Federazione, reso efficace dalle formalità richieste, realizza una miglior tutela dei risparmiatori che investono nelle società sportive quotate in borsa. (Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Il rapporto di lavoro sportivo, p.44)
3. il deposito del contratto individuale di lavoro presso la competente Federazione sportiva;
4. l’approvazione da parte di quest’ultima.
In dottrina, nel corso degli anni, si è a lungo discusso se tali requisiti debbano essere tutti ritenuti prescritti ai fini della validità del contratto di lavoro sportivo, o se tale natura vada riconosciuta soltanto per il primo di essi (ovvero la forma scritta), dato l’inciso “a pena di nullità” previsto dall’articolo 4.
La nullità dettata dal mancato rispetto del requisito della conformità del contratto viene confermato dalla previsione all’art. 4, comma 3, che “le eventuali clausole contenenti deroghe peggiorative sono sostituite di diritto da quelle del contratto tipo”, mentre sono fatte salve tutte quelle migliorative.
Non viene però specificato dalla norma se il contenuto peggiorativo delle clausole vada riferito ad entrambe le parti o solo ad una di esse, ed in particolare al lavoratore, secondo il principio generale xxxxxxx dall’art 2077, comma 0, x.x., xx xxxxxxx di lavoro subordinato ordinario. In assenza di una disposizione di legge, appare comunque preferibile ritenere che la nullità, con conseguente sostituzione di diritto delle clausole invalide ex art. 1419, comma 2, c.c., operi soltanto nell’ipotesi in cui esse prevedono una disciplina peggiorativa nei confronti del solo lavoratore, e non anche del datore di lavoro.
71 tra le altre:
Cass. civ., 4 marzo 1999, n. 1855
Cass. civ., 23 febbraio 2004, n. 3545
4. La tutela sanitaria, assicurativa e previdenziale
La legge 23 marzo 1981, n.91 ha previsto in favore dello sportivo professionista un articolato regime di tutela sanitaria, assicurativa e previdenziale.
La particolare attenzione rivolta dal legislatore nei confronti della tutela delle condizioni di lavoro del lavoratore sportivo, è dettata dalla, più o meno intensa, pericolosità che denota ogni attività sportiva. E’ proprio a causa della presenza di un alto tasso di rischio che le varie società sportive sono chiamate a rispettare, oltre l’ordinario dovere di sicurezza imposto ad ogni datore di lavoro dall’art 32 della Costituzione e dall’art 2087 c.c., una serie di obblighi specifici e di dettaglio riguardanti certificati di idoneità alla pratica sportiva, controlli sanitari periodici, istituzione ed aggiornamento di apposite schede sanitarie.
La norma di riferimento in materia è l’art 7 della Legge 23 marzo 1981, n.91, secondo il quale “L’attività sportiva professionistica è svolta sotto controlli medici, secondo le norme stabilite dalle Federazioni sportive nazionale ed approvate, con Decreto del Ministro della sanità, sentito il Consiglio Nazionale, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
Il secondo comma dispone poi: “Le norme di cui al precedente comma devono prevedere, tra l’altro, l’istituzione di una scheda sanitaria per ciascuno sportivo professionista, il cui aggiornamento deve avvenire con periodicità almeno semestrale”.
Tale scheda sanitaria è istituita, aggiornata e custodita a cura della società sportiva sulla quale gravano i relativi oneri economici. Essa dovrà quindi attestare, con periodicità almeno semestrale, l’avvenuta effettuazione degli accertamenti sanitaria, con allegata una valutazione compiuta dal medico sociale
circa le condizioni di salute dell’atleta ed elencare le eventuali controindicazioni per l’atleta allo svolgimento della pratica sportiva agonistica professionista.
Tutti i controlli suddetti sono compiuti dalla figura del medico sociale, sotto la sua responsabilità; egli ha il diritto di disporre di ogni ulteriore accertamento, qualora lo ritenga opportuno per un’eventuale decisione circa la possibilità di continuare o meno l’attività sportiva per l’atleta. Nonostante la responsabilità in capo al medico, la società non è esonerata dall'eventuale obbligo risarcitorio per danni provocati da inadempienze da parte dello stesso, posto che l'accertamento della negligenza o dell'imperizia da parte del medico non libera il datore di lavoro dalla responsabilità di cui all’ art.2087 c.c..
Obbligato contrattualmente, ai sensi della predetta norma, a fornire le garanzia minime di sicurezza, è infatti il datore di lavoro il quale, pertanto, è chiamato a rispondere anche per la violazione degli obblighi di sorveglianza sanitaria da parte del proprio medico sociale, nei cui confronti però, potrà, qualora ne sussistano i presupposti, esercitare eventuale azione di rivalsa.
Gli obblighi fin qui elencati a carico delle società sportive nei confronti dei loro lavoratori subordinati sono, ai sensi dell’art 7, comma 5, invece, posti direttamente a carico degli atleti quando essi rivestono la posizione di lavoratori autonomi ai sensi dell'art. 3 della legge 23 marzo 1981, n.91.
Nel caso degli sportivi dilettanti che praticano attività agonistica la tutela della salute è affidata alle singole federazioni sportive che vi provvedono nel rispetto di quanto stabilito dal D.M. 18 febbraio 1982.
A fronte degli obblighi specifici delle società, sta però il dovere, disciplinato negli accordi collettivi72, dell'atleta di preservare la propria integrità fisica,
72 Art 9.1 dell’accordo collettivo dei calciatori di serie A.
mantenendo uno stile di vita sano e regolato, a pena della risoluzione del contratto.
Sempre in materia di tutela sanitaria dei lavoratori sportivi va ricordato che l’esercizio della pratica sportiva professionistica da parte dell’atleta è inoltre subordinato all’ottenimento di uno specifico certificato di idoneità allo svolgimento dell’attività sportiva professionistica; esso viene rilasciato a seguito del superamento di una serie di approfonditi controlli medici finalizzati a confermare l’idoneità generica e specifica alla pratica dello sport prescelto previsti dal D.M. 13 marzo 1995 e successive modiche ed integrazioni.
Una normativa specifica è poi prevista in materia di tutela assicurativa degli sportivi professionisti; è infatti sempre la legge 23 marzo 1981, n.91, nell’art 8, a prevedere l’obbligo in capo alle società sportive di stipulare una polizza assicurativa individuale di ogni proprio atleta tesserato.
L’art 6 del D.Lgs. n. 28/2000 stabilisce che gli sportivi professionisti devono necessariamente essere assicurati contro i danni da infortunio e da malattia professionale presso l’INAIL. Nello specifico essi sono tutelati quando l’infortunio, verificatosi in ragione dello svolgimento della stessa attività sportiva, abbia provocato la morte o l’inabilità, permanente o temporanea, parziale o assoluta.
La suddetta tutela presso l’INAIL copre anche il caso delle malattie professionali, ovvero tutte quelle malattie presenti ed elencate in tabelle ministeriali, espressamente qualificate come tali; ad esse vengono inoltre equiparate tutte quelle malattie la cui insorgenza sia conseguenza diretta ed immediata della pratica sportiva.
Quanto alla definizione dei limiti assicurativi massimi, va detto che la legge ha demandato ai regolamenti delle singole Federazioni, d'intesa con i rappresentanti
delle categorie interessate, la determinazione di tali limiti, i quali comunque andranno rapportati all'età dello sportivo nonché al contenuto patrimoniale del contratto.
Di particolare importanza risulta la legge 27 dicembre 2002, n.289 (art. 51), come modificata dall’art 6 del D.L. 30 giugno 2005, n.15, convertito in legge 17 agosto 2005, n.168, la quale ha previsto che anche gli sportivi dilettanti, con requisito del tesseramento presso una Federazione sportiva nazionale, le discipline sportive associate e gli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, debbano godere di una polizza assicurativa obbligatoria, stipulata in nome e per conto loro delle società ed associazioni sportive presso le quali sono tesserati.
Ai sensi dell’art. 9 della legge 23 marzo 1981, n.91, tutti gli sportivi professionisti, sia lavoratori subordinati che autonomi, e gli addetti agli impianti sportivi, godono dell’assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti, gestita dall'ENPALS (Ente nazionale di previdenza e assistenza per i lavoratori dello spettacolo), confluito dal 1 gennaio 2012 nell’INPS.
Mentre l’onere contributivo, nel caso di lavoratori sportivi subordinati, è a carico delle società sportive e degli assicurati in ragione, rispettivamente, di due terzi e di un terzo; nel caso di lavoratori sportivi autonomi ai senti dell’art 3, comma 2, della legge 23 marzo 1981, n.91, esso sarà a totale carico degli stessi lavoratori. Per quanto riguarda il calcolo delle pensioni, anche per gli sportivi professionisti varia a seconda dell'anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1995, così come avviene nei confronti dei lavoratori iscritti al regime dell'assicurazione generale obbligatoria e agli stessi si applicano le importanti novità introdotte dal decreto legge 6 dicembre 2011, n.201, “Salva Italia”, il quale ha previsto
l’estensione a tutti i lavoratori dell’applicazione del criterio di calcolo delle pensioni c.d. “contributivo”.
Prima della riforma in materia, per gli iscritti al fondo che al 31 dicembre 1995 vantavano già un'anzianità contributiva di almeno 18 anni, il calcolo della pensione avveniva con il sistema c.d. “retributivo”. In base a tale sistema, che tiene conto delle retribuzioni percepite dal lavoratore durante il rapporto di lavoro, il calcolo della pensione era fatto tenendo conto dell'anzianità contributiva e dalla retribuzione pensionabile, ovvero la media delle retribuzioni lorde percepite nel periodo di riferimento dalla legge, ed era tale da assicurare, per quarant'anni di contribuzione, una pensione pari all'80% della suddetta retribuzione media.
A seguito della suddetta riforma la pensione, anche per tali lavoratori, viene calcolata in base al criterio “pro rata”, e cioè con il sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011 e successivamente in base a quello c.d. contributivo.
Infine, per coloro che sono iscritti al fondo a partire dal 1 gennaio 1996, il calcolo della pensione avviene esclusivamente con il sistema c.d. contributivo. Tale sistema si caratterizza dal fatto che l’ammontare della pensione è determinato moltiplicando il montante contributivo per il coefficiente di trasformazione che varia in misura crescente man mano che aumenta l’età in cui si decide di andare in pensione.
Sull'età pensionabile degli sportivi professionisti, è intervenuto il sopra citato decreto Salva Italia73, che ha uniformato il più possibile i requisiti per la pensione, pur mantenendo una serie di vantaggi dovuti alla specificità dell'attività sportiva, tant’è che i requisiti di età e di contributi richiesti restano notevolmente al di sotto di quelli generali.
73 D.L. 201/2011
In base alle nuove norme dal 1 gennaio 2014, gli uomini con 20 anni di assicurazione e di contribuzione con la sola qualifica di sportivo professionista potranno percepire l'assegno pensionistico a 53 anni, mentre le donne a 49, ma anche per queste ultime, dal 2022 si passerà a 53 anni.
5. Il rapporto di lavoro nel calcio e il ruolo dell’AIC
Nell’evoluzione e nello sviluppo della contrattualistica sportiva un ruolo fondamentale è stato svolto, soprattutto in Italia, dal calcio, attività sportiva seguita da buona parte dei cittadini e sicuramente sport intorno a cui ruotano i maggiori interessi economici.
In tale percorso evolutivo, non può non farsi riferimento al ruolo dell’A.I.C. (Associazione Italiana Calciatori), un’organizzazione di tutela ed assistenza dei calciatori professionisti di Serie A, Serie B, Lega Pro e, a partire dal 2000 anche dei calciatori dilettanti74. L’A.I.C. venne fondata il 3 luglio 1968 a Milano da un gruppo di calciatori e un giornalista sportivo, Xxxxx Xxxxxxxx, aiutato dall’ex calciatore ed avvocato, Xxxxxx Xxxxxxx, il quale ne fu presidente fino al maggio 2011.
L’associazione, una volta fondata, ebbe subito un riscontro positivo tra i vari calciatori professionisti, diventando un punto di riferimento, oltre che per gli stessi giocatori, anche per gli atleti in generale.
La prima conquista, sia per importanza che cronologicamente, ottenuta dall’AIC e dai calciatori italiani, nell’ambito dell’obiettivo di accrescere e migliorare i diritti degli atleti, fu l’abolizione di una clausola vessatoria. Tale clausola
74 Vengono ricompresi anche calcio femminile e calcio a 5.
prevedeva per l’atleta che non avesse, anche per causa a lui non imputabile, superato un numero prefissato di presenze, una riduzione dello stipendio del 40% con effetto retroattivo.
Condizione che appare ancora più incomprensibile se pensiamo che tale limite di presenze era fissato a 20, ed i calciatori potevano disputare un numero massimo di partite pari a 30 (il campionato di Serie A era composto da 16 squadre); con il risultato che un calciatore “non titolare” fosse facilmente soggetto a detta riduzione dello stipendio.
Tra le tante altre conquiste vi è quella inerente al diritto allo sciopero, attribuzione garantita ad ogni lavoratore dalla stessa Costituzione italiana ma mai messa in atto nel calcio fino al 1996.
Le avvisaglie del malcontento erano vive già il 18 Dicembre 1994, durante l’ultimo turno di campionato prima della pausa natalizia. In quell’occasione, infatti, i giocatori della Serie A scesero in campo con 45 minuti di ritardo per protestare contro l’omesso pagamento delle remunerazioni da parte delle società per quei giocatori facenti parte di squadre non ammesse ai campionati.
Il 5 Marzo 1996, invece, l’AIC, ancora guidata da Xxxxxx Xxxxxxx, decise di proclamare per il 17 Marzo il primo sciopero di calciatori nella storia della massima serie italiana, la Serie A; i motivi per cui i calciatori si rifiutarono di scendere in campo furono: il Fondo di Garanzia, la modifica della Legge n.91, il rinnovo dell’Accordo Collettivo, la previdenza, i parametri dopo l’entrata in vigore della Legge Xxxxxx, la ristrutturazione dei campionati, le situazioni di morosità, le aggressioni ai calciatori e la richiesta del diritto di elettorato attivo e
Da quanto brevemente esposto in questo paragrafo appare evidente come l’AIC, e più in generale il calcio, abbiamo svolto un ruolo preponderante nell’intera evoluzione sportiva normativa, favorendo un’attenzione maggiore da parte dello Stato nei confronti del settore sportivo nel suo complesso.
5.1 L’accordo collettivo tra calciatori professionisti e società
La principale fonte normativa del rapporto di lavoro nel calcio è rappresentata da una norma di carattere negoziale, ovvero dall’Accordo Collettivo stipulato tra la
F.I.G.C. e i sindacati rappresentativi dei calciatori e delle società professionistiche.
Detto accordo regola i rapporti di carattere economico e normativo tra i calciatori professionisti e le società sportive al fine di garantire un livello minimo di tutela e di protezione all’atleta; devolvendo peraltro ad un apposito Collegio Arbitrale la risoluzione di tutte le controversie tra le società e i calciatori aventi ad oggetto l’esercizio degli obblighi contrattuali previsti dall’Accordo stesso.
L’Accordo venne emanato con l’intento di dare attuazione all’art 4, comma 1, della legge 23 marzo 1981, n.91, nella parte in cui tale disposizione devolve alla contrattazione collettiva il compito di predisporre il contratto tipo per la disciplina del rapporto di lavoro degli sportivi professionisti.
75 In xxxxx://xxxxxxxxxxxxx.xxxxxxxxx.xxx/0000/00/00/xx-xxxxx-x-x-xxx-xxxxxxxx-xxxxx-xxxxxx-xxx-
calcio-italiano
All’interno di tale Accordo è poi contenuta una clausola di rinvio, la quale deve necessariamente essere sottoscritta da entrambe le parti, contenente l’obbligo per gli stessi contraenti di dare attuazione senza vincoli alle disposizioni normative contenute nell’Accordo.
Per quanto riguarda i contenuti, esso regola principalmente gli aspetti concernenti:
1. il contratto individuale tra calciatore e società;
2. i doveri delle società;
3. l’inadempimento da parte della società dei propri doveri;
4. i doveri dei calciatori;
5. l’inadempimento da parte dei calciatori ai propri doveri;
6. norme finali.
Sono due gli Accordi Collettivi in vigore all’interno dell’ordinamento giuridico del giuoco calcio, un nuovo Accordo valevole per i calciatori professionisti militanti in società di Serie A e Serie B, mentre l’altro valido per i calciatori di prima e seconda divisione.
Il nuovo accordo collettivo, per i calciatori di serie A e B, è stato firmato il 4 ottobre 2005 tra la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), la Lega Nazionale Professionisti (LNP) e l'Associazione Italiana Calciatori (AIC), con effetti retroattivi dal 1 luglio 2005 sino al 30 giugno 2006.
Il precedente accordo, a seguito della disdetta delle parti interessate (FIGC e LNP), era scaduto nel 1992 e da allora aveva operato soltanto in regime di prorogatio76, cioè mediante un tacito rinnovo ogni tre anni.
Peraltro, tra le parti firmatarie non è presente la Lega si serie C e, pertanto, ai
76 A. Xx Xxxxxxxxx, il contenzioso tra parasubordinati nella F.I.G.C., in Riv Dir. Sport, 2000, 553.
calciatori tesserati con le società ad essa affiliate si continuerà ad applicare lo status normativo precedente.
L’Accordo Collettivo nella sua nuova versione ha sostanzialmente conservato l’impianto del precedente, anche se in alcuni suoi punti sono state apportate delle modifiche. Le più importanti innovazioni introdotte nel nuovo testo sottoscritto tra AIC e LNP, riguardano:
1. vengono considerati nulli i patti di non concorrenza o comunque limitativi della libertà professionale del calciatore per il periodo successivo alla risoluzione del contratto;
3. sono vietati i patti di prelazione;
4. viene codificato anche all’interno dell’Accordo Collettivo il diritto del calciatore di ricevere un equo indennizzo nel caso in cui il contratto individuale di lavoro stipulato con la società non ottenga il visto d’esecutività,
77 L’Accordo Collettivo al quale faremo riferimento nella trattazione sarà pertanto quello relativo ai calciatori di squadre militanti in Serie A e Serie B.
78 Ai sensi dell’articolo 2.2 “Sono ammessi i patti d’opzione sia a favore della società sia del calciatore alla duplice condizione che sia previsto un corrispettivo specifico a favore di chi concede l’opzione e che il limite di durata complessiva del contratto, costituita dalla somma della durata nello stesso prevista e dell’eventuale prolungamento rappresentato dall’opzione, non superi la durata massima prevista dalla legge” (ossia i 5 anni previsti dalla legge 91/81).
ex articolo 95 delle N.O.I.F.79, a causa di un fatto non imputabile a lui stesso o al suo agente;
5. viene prevista la possibilità di scomporre la retribuzione del calciatore in una parte fissa e in una parte variabile;
6. si stabilisce l’obbligo per le società e i calciatori stessi di osservare in maniera scrupolosa le disposizioni di legge del C.O.N.I. e della F.I.G.C. in materia di tutela della salute e di lotta al doping;
7. è ridotta dal 30% al 20%, da calcolarsi sulla sola parte fissa, la somma da liquidarsi a titolo di risarcimento dei danni nell’ipotesi che il calciatore sia stato escluso dagli allenamenti e dalla preparazione precampionato con la prima squadra;
8. vengono regolati più dettagliatamente gli aspetti relativi all’azione di messa in mora della società da parte del calciatore nel caso di mancato pagamento della retribuzione e alla conseguente possibilità di risoluzione del contratto per morosità;
79 L’articolo 95 delle Norme Organizzative stabilisce infatti espressamente che “è dovuto un equo indennizzo al calciatore il cui contratto, a seguito di cessione o di nuova stipulazione, non ottenga il visto d’esecutività per incapacità economica della società con la quale il contratto è stato stipulato.
80 L’articolo 24.2 afferma che “I contratti e le pattuizioni aventi ad oggetti premi individuali, collettivi o altri validi accordi, se redatte e ritualmente depositate prima dell’entrata in vigore del presente Accordo, hanno efficacia fino al loro esaurimento”.
5.2 Il contratto individuale tra calciatore e società
L’Accordo Collettivo prevede, agli artt. 2 e 3, così come stabilito dall’art. 4 della legge 23 marzo 1981, n.91, che il contratto di lavoro del calciatore professionista debba essere redatto in forma scritta a pena di nullità.
Da sottolineare che tutti gli atti relativi a rapporti tra calciatori e società trovano tutela nell’ambito dell’ordinamento federale a condizione che, in conformità con la disciplina dell’art.3 dell’Accordo Collettivo e dell’art 4 della legge 23 marzo 1981, n.91, siano stati redatti sull’apposito modulo federale e depositati presso la Federazione o la Lega competente. In caso contrario le pretese fondate sull’esecuzione di tali contratti non trovano alcuna tutela nell’ordinamento federale81. Inoltre, secondo un’autorevole interpretazione della Cassazione82, non trovano tutela neanche dinnanzi ai giudici dell’ordinamento statale, in quanto posti in essere per la realizzazione di interessi non meritevoli di tutela.
81 Trib. Roma, Sez. Lavoro, 16 gennaio 1997, n.884
82 Cass. Civ., Sez. III, 23 febbraio 2004, n. 3545
83 X.Xxxxxxx, lo sport e il diritto, Jovene editore, Napoli, 2004, p.27-28
L’art. 3 dell’Accordo Collettivo prosegue poi indicando che, nel caso di inerzia della società, tale adempimento può essere posto in essere dallo stesso calciatore entro 60 giorni dalla stipulazione del contratto.
Tale fase di deposito ed, eventuale, approvazione da parte della Federazione può concludersi con un provvedimento di:
1. approvazione espressa;
2. approvazione tacita, che si perfeziona nel caso di inerzia della Lega per trenta giorni dal deposito del contratto in Federazione;
3. diniego dell’approvazione84.
Sotto il profilo sostanziale, l’Accordo Collettivo, prevede invece il divieto di patti limitativi della libertà professionale del calciatore, a pena di nullità del contratto; nonché gli eventuali patti di prelazione previsti in favore della società. Viene invece considerata possibile la previsione del patto di opzione, a favore della società e del calciatore a condizione che sia previsto un corrispettivo specifico in favore di chi concede l’opzione e che il limite di durata complessiva non superi la durata massima prevista dalla legge.
5.3 Doveri delle società
Per quanto riguarda i doveri della società nei confronti del calciatore, essi possono essere divisi in:
1. aspetti economici (comprendenti doveri retribuitivi, assicurativi e previdenziali);
84 Nel caso in cui la mancata approvazione del contratto, da parte della Federazione,derivi da causa imputabile alla società, il calciatore può esigere, ai sensi dell'art. 3, comma 6, dell'Accordo, un indennizzo, la cui misura può essere determinata dal Collegio Arbitrale.
2. aspetti normativi, sia di carattere sportivo che extrasportivo.
Per quanto riguarda i primi, ed in particolare gli obblighi retribuitivi, il principale dei doveri in capo alla società nei confronti del suo tesserato è senza dubbi quello di corrispondergli la retribuzione pattuita. Essa rappresenta il corrispettivo dell’obbligazione di lavoro del prestatore, secondo la tipica causa di scambio del contratto di lavoro subordinato.
La normativa prevista dall’Accordo Collettivo in materia, prevede che tale retribuzione sia costituta da:
1. uno stipendio annuo lordo85; esso deve essere pagato dalla società sportiva in dodici rate mensili di egual valore, da corrispondersi ciascuna alla fine di ogni mese. In caso di morosità da parte della società per più di 30 giorni, il calciatore ha diritto agli interessi in misura pari al tasso ufficiale di sconto, fatta salva la possibilità per lo stesso di richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento;
2. eventuali premi collettivi per il conseguimento di risultati agonistici; essi attengono quindi al raggiungimento di determinati obiettivi che la società si era prefissata ad inizio anno (vittoria di un campionato, qualificazione ad eventuali coppe internazionali ecc);
3. eventuali premi individuali; essi possono derivare da alcuni parametri statistici (presenze, gol ecc) relativi al rendimento del calciatore;
4. eventuale quota lorda spettante al singolo calciatore per la partecipazione ad iniziative pubblicitarie della società, risultante da separato accordo.
85 Lo stipendio annuo lordo è comprensivo anche dei c.d. “straordinari”, ovvero spettanze economiche relative a trasferte, ritiri ecc.. ;esso viene concordato dalla società e dal calciatore nel momento della stipulazione del contratto, ma non può comunque essere inferiore al c.d. “minimo federale” pattuito con separato accordo collettivo tra ciascuna delle Leghe professionistiche e l’AIC.
Per quanto attiene invece agli altri doveri di natura economica, ovvero obblighi assicurativi e contributivi, si è già detto a riguardo nei paragrafi precedenti.
Tra gli altri doveri, di carattere normativo e non più economico, che la società ha nei confronti del calciatore, di notevole importanza sono i due doveri riguardanti la modalità degli allenamenti. L’Accordo Collettivo impone infatti alla società un doppio obbligo nei confronti dei propri tesserati; il primo è quello di curare la massima efficienza agonistica del calciatore, fornendo allo stesso idonee attrezzature per la preparazione atletica ed assicurare un ambiente consono alla dignità professionale.
Il secondo dovere imposto alla società attiene invece all’obbligo per la stessa di far partecipare il calciatore alla preparazione precampionato ed agli allenamenti con la rosa della prima squadra; garantendo allo stesso, nel caso di ritiri o trasferte, adeguati mezzi di trasporto, vitto e alloggio.
Sotto il profilo extrasportivo la società ha invece l’obbligo di promuovere e sostenere iniziative volte al miglioramento della cultura dei calciatori con i quali è legata da un rapporto contrattuale secondo le modalità indicate dalla FIGC d’intesa con l’AIC, in modo chiaramente compatibile con l’attività sportiva agonistica.
86 Cass., Sez. Lav., 8 gennaio 2003, n.85
E’ fatto divieto inoltre per la società, secondo quanto stabilito dall’art.10 dell’Accordo Collettivo, di imporre al calciatore limiti attinenti al proprio comportamento di vita che non siano rispettosi della propria dignità umana o che non siano giustificati da esigenze proprie dell’attività sportiva e professionale dello stesso.
In linea generale, nel caso di violazione da parte della società dei propri obblighi contrattuali nei confronti del calciatore, questi ha il diritto di ottenere, tramite ricorso al Collegio Arbitrale, il risarcimento dei danni subiti ed eventualmente la risoluzione del contratto.
5.4 Doveri dei calciatori
Quanto ai doveri del calciatore, è necessario ancora una volta sottolineare la natura subordinata del rapporto di lavoro dello sportivo professionista; questo comporta che l’obbligazione principale in capo al calciatore in quanto lavoratore- atleta, ex art 2104 c.c., è quella di prestare la propria attività lavorativa personalmente, secondo la diligenza richiesta dalla prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e quello superiore della produzione nazionale, ed osservando le direttive impartite dal datore di lavoro o dai collaboratori da cui dipende gerarchicamente.
Il sopra citato art. 2104 c.c. individua quindi i criteri tipici del rapporto di lavoro subordinato, e cioè la diligenza e l’obbedienza, obblighi che si vanno ad aggiungere a quello principale (prestare l’attività lavorativa), e che possono essere applicati anche al contratto di lavoro sportivo in forza del rinvio operato dall’art.4 della legge 23 marzo 1981, n. 91.
Per quanto attiene ai doveri espressamente sanciti dall’Accordo Collettivo, essi sono:
1. un generale dovere di fedeltà nei confronti della società di appartenenza;
2. il dovere di non svolgere alcuna altra attività sportiva, salvo espressa e preventiva autorizzazione da parte della stessa società;
3. il dovere di non svolgere alcuna attività lavorativa o imprenditoria che sia incompatibile con l’esercizio dell’attività agonistica;
4. il dovere di custodire con diligenza gli indumenti ed i materiali fornitigli dalla società, con conseguente obbligo di rifondere il valore in caso di smarrimento o deterioramento degli stessi per propria colpa;
5. il dovere di eseguire la prestazione sportiva nell’ambito dell’organizzazione predisposta dalla società, con l’osservanza delle istruzioni tecniche e delle altre prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici, come già previsto dall’art. 4 della legge 23 marzo 1981, n.91, partecipando a tutti gli allenamenti ed a tutte le gare anche per altre società, qualora gli sia richiesto
87 M.T. Spadafora, Diritto del lavoro sportivo, Giappichelli editore, Torino, 2004, p.97
dalla propria. In ogni caso, il calciatore ha diritto ad un giorno di riposo settimanale, ad un riposo annuale di quattro settimane (comprensivi anche di festivi e riposo settimanale) nel periodo scelto dalla società secondo le proprie esigenze e ad un congedo matrimoniale di almeno cinque giorni consecutivi da concordarsi con la società in base alle esigenze agonistiche della stessa.
Nel caso in cui il calciatore non rispetti i propri obblighi contrattuali nei confronti della società, a seconda della gravità della relativa violazione, allo stesso possono essere irrogati i seguenti provvedimenti:
1. ammonizione scritta, contro la quale il calciatore può proporre ricorso al Collegio Arbitrale;
2. multa, che può essere comminata al calciatore solo dal Collegio Arbitrale, su richiesta della società ed in contraddittorio con l’atleta.
3. riduzione dei compensi, in via ordinaria non superiore al 40%, mentre nel caso di malattia o infortunio superiore a 6 mesi causato da un condotta sregolata dello stesso calciatore può essere pari al 50%. Soltanto poi nel caso di squalifiche del calciatore da parte della FIGC o della UEFA, il Collegio Arbitrale, può comminare al calciatore una riduzione del compenso anche in misura pari al 60% dello stipendio annuo lordo;
4. sospensione temporanea degli allenamenti, misura applicabile solo nel caso di violazioni gravi da parte del calciatore dei propri obblighi contrattuali;
5. risoluzione del contratto, provvedimento disposto dal Collegio Arbitrale su richiesta della società nel caso di:
- grave e constatata inadempienza contrattuale;
- inabilità per malattia o infortunio dovuto a sua colpa grave o condotta sregolata;
- condanna a pena detentiva per reato non colposo, passata in giudicato, in relazione alla quale non sia stata applicata la sospensione condizionale della pena;
- malattia o infortunio di durata superiore ai sei mesi o dipendenti da colpa grave o condotta sregolata del calciatore; in tal caso la società può, a propria scelta, chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione dei compensi in misura anche fino al 50% dello stipendio annuo lordo del calciatore per il periodo di inabilità;
- malattia o infortunio che determinano la inidoneità definita del calciatore all’attività agonista.
3. Le vicende del rapporto sportivo
Sommario: 1. Le cause di sospensione del rapporto di lavoro sportivo e l’art 2110 c.c. - 1.1 Il caso Xxxxxxx / UC Sampdoria - 2 La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro: la cessione del contratto - 2.1 La risoluzione unilaterale del contratto di lavoro sportivo a tempo indeterminato - 2.2. Il recesso ante-tempus del contratto di lavoro sportivo e la clausola rescissoria - 3. Applicazioni concrete della clausola rescissoria e possibili soluzioni alle patologie
1. Le cause di sospensione del rapporto di lavoro sportivo e l’art. 2110 c.c.
Dopo aver esaminato l’ordinamento sportivo, la sua evoluzione e in generale la contrattualistica sportiva, è ora il momento di affrontare le problematiche inerenti alle patologie contrattuali.
Con tale espressione si intendono tutti quegli eventi che, prima della sua naturale scadenza, comportano il venir meno dell’efficacia di un contratto.
Il contratto di lavoro sportivo, come più volte ricordato nei precedenti capitoli, è a tutti gli effetti un contratto di lavoro subordinato, e proprio per questo soggetto alla disciplina giuslavoristica. Tuttavia, essendo il rapporto di lavoro sportivo connotato da profili di specialità, presenta delle caratteristiche proprie anche in tema di aspetti che possono portare alla cessazione del contratto stesso.
Durante il normale svolgimento di un rapporto di lavoro possono verificarsi alcune situazioni che impediscono ad una delle due parti, o entrambe, di
adempiere alle obbligazioni assunte; il verificarsi di tali situazioni comporta la sospensione del contratto di lavoro in esecuzione per la durata prevista dalla legge o dai contratti collettivi.
Per quanto attiene invece al lavoratore, l’impossibilità sopravvenuta che porta alla sospensione del contratto in esecuzione può essere cagionata da numerose
88 L'unica ipotesi di impossibilità sopravvenuta definitiva della prestazione per fatto riguardante la società sportiva si verifica nel caso di inattività della stessa, allorché non partecipi al campionato di competenza, se ne ritiri, oppure ne sia esclusa o le venga revocata l'affiliazione, da cui consegue che i calciatori tesserati sono svincolati d'autorità e possono tesserarsi per altra società, a meno che non abbiano già disputato anche una solo partita del girone di ritorno del campionato.
89 X. Xxxxxxxxxx, Il rapporto di lavoro sporivo, p. 106
cause; esse sono regolate nel diritto civile dagli artt. 2110 x.x. x 0000 x.x. 00, xx xxxxxxx dei quali il prestatore potrebbe subire la perdita totale o parziale della retribuzione o l’eventuale risoluzione del contratto.
L’art 2110 stabilisce che “In caso d'infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge o le norme corporative non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità.
Nei casi indicati nel comma precedente, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'art. 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità.
Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere computato nell'anzianità di servizio”.
Con tale articolo il legislatore si è quindi preoccupato di tutelare il lavoratore nei casi in cui egli sarebbe soggetto alla perdita di retribuzione o alla risoluzione del contratto, lasciandolo così inerme in un momento di difficoltà propria, quale malattia, gravidanza ecc.
A questi casi devono aggiungersi tutte quelle ipotesi in cui è la stessa Carta Costituzionale a stabilire il diritto alla conservazione del posto di lavoro; ovvero nei casi di sciopero legittimamente esercitato (art. 40), adempimento di funzioni pubbliche elettive (art 51, comma 3), servizio militare obbligatorio (art 52, comma 2).
90 La disposizione del primo comma dell’art 2111 c.c. , per il quale la chiamata alle armi era ancora causa di risoluzione del rapporto, salva diversa previsione delle norme collettive, è ora sostituito dall’art. 77 della legge 24 dicembre 1986, n.958, in base al quale la ferma di leva sospende il rapporto di lavoro per tutto il periodo con diritto del lavoratore alla conservazione del posto.
Tuttavia, è proprio l’art 2110 c.c. a lasciare spazio ad eventuali discipline ulteriori, previste da fonti diverse dal codice, come ad esempio le leggi speciali e accordi collettivi che, proprio nel settore in esame, determinano uno scostamento piuttosto marcato dalla legislazione generale sul tema.
Tale garanzia che viene fornita al lavoratore non ha, com’è ovvio che sia, una durata indefinita come si evince dal secondo comma dello stesso articolo, laddove riconosce al datore di lavoro il diritto di recedere dal contratto a norma dell'art. 2118 c.c. quando sia decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità. Tale periodo nella maggior parte dei casi è comunque determinato dalla contrattazione collettiva di settore.
A tal riguardo gli accordi collettivi degli sportivi professionisti hanno regolato, con specifico riferimento al contratto a tempo determinato, per le ipotesi più frequenti di impossibilità sopravvenuta della prestazione sportiva, ovvero l’infortunio e la malattia91, la conservazione del diritto alla retribuzione fino alla scadenza del contratto stesso. Nel caso in cui però l’inabilità si protragga oltre un certo periodo92, la società ha facoltà di richiedere la risoluzione del contratto o versare allo sportivo uno stipendio in misura ridotta. E’ inoltre prevista la possibilità per la società di richiedere la risoluzione immediata quando la menomazione dovesse compromettere in modo definitivo l’idoneità allo svolgimento dell’attività sportiva agonistica.
91 In entrambi i casi il fatto che prova l’impossibilità non deve essere provocato da colpa grave del professionista, essendo previste, in tal caso, la riduzione del compenso o la risoluzione del contratto.
92 Nell’accordo collettivo dei calciatori di serie A, ad a esempio, qualora l’inidoneità alla
prestazione si prolunghi oltre i sei mesi, il datore di lavoro potrà chiedere la riduzione della retribuzione sino alla metà per il restante periodo di malattia o infortunio. Alternativamente, ricorrendo al collegio arbitrale competente, la società potrà chiedere la risoluzione del contratto. (Art 14 e 15 dell’Accordo collettivo calciatori)
Le disposizioni fin qui richiamate non vanno tuttavia a precisare se il periodo di comporto sia da riferire solo ad un unico evento morboso, che viene detto “comporto secco”, o anche a più episodi successivi nel tempo, detto invece “comporto per sommatoria”. L’omessa determinazione di un più lungo periodo cui rapportare la durata dell’assenza della prestazione e la disciplina mirata al contratto a tempo determinato, fanno pensare all’applicazione della prima delle due soluzioni sopra esposte.
Tornando al potere datoriale di sospensione, questo è previsto anche nel caso in cui lo sportivo subisca provvedimenti disciplinari interdettivi della prestazione lavorativa, cagionati dalla commissione di illeciti sportivi, ad esempio riguardanti il tema di scommesse e doping, ma anche in caso di provvedimenti
93 Cass. 8 maggio 2000, n.11404, Rivista dir. sport., 2001, 204 con note di commento di
Xxxxxxxx e Xx Xxxxx, Infortunio dell’atleta e diritto alla salute: il caso Xxxxxxxxxx .
94 X. Xxxxxxxxxx, Il rapporto di lavoro sportivo, p. 108
dell’Autorità giudiziaria che limitino di fatto la libertà di movimento del lavoratore.
Detto provvedimento può essere assunto, secondo la giurisprudenza, anche in via cautelare, ovvero prima che la decisione della Federazione sportiva o dell’Autorità giudiziaria divenga definitiva, dato che costituirebbe un mezzo per tutelare gli interessi organizzativi e produttivi della società. Inoltre, ha ritenuto legittima l’applicazione di detti provvedimenti anche qualora non espressamente delineati nella specifica disciplina di settore, a meno che permanga il vincolo di utilità per la società e di proporzionalità rispetto alla sanzione adottata.
1.1 Il caso Xxxxxxx / UC Sampdoria
Per comprendere meglio quanto sopra descritto, è doveroso fare riferimento, in ambito calcistico, ad un recente caso che ha ribaltato le possibili decisioni
95 Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 13/09/2012, n. 15353.
disciplinari che possono far seguito ad uno scorretto comportamento da parte di un atleta tesserato presso una società sportiva. Si tratta del lodo depositato il 16 dicembre 2010 dal Collegio Arbitrale presso la Lega Seria A, ad oggetto la controversia tra il calciatore Xxxxxxx Xxxxxxx e la società calcistica UC Sampdoria.
Stando a quanto riportato, il 26 ottobre 2010 il calciatore, non essendo d’accordo con una richiesta a lui fatta dal presidente della società UC Sampdoria, abbandonava la stanza in cui era avvenuto il colloquio e, allontanandosi, utilizzava espressioni volgari a carico del predetto presidente, udite sia da quest’ultimo che da dirigenti ed alcuni compagni di squadra in quel momento presenti.
L’ingiuria, secondo giurisprudenza96, se grave e reiterata, può costituire una violazione degli obblighi di diligenza in capo al lavoratore previsti dall’art 2104 c.c., oltre che nel caso specifico, dell’Accordo collettivo vigente. Per quanto concerne, più in particolare, l’eccesso di critica, l’inadempimento si verifica quando la critica travalichi i limiti della correttezza formale imposti dall’esigenza di tutela della persona umana ex art. 2 Cost.
Il datore di lavoro (presidente della UC Sampdoria) decideva quindi di disporre, in via cautelare, la sospensione dal lavoro per l’atleta, misura consentita sulla base dell’art 11 dell’Accordo collettivo, il quale prevede che quando l’inadempimento del calciatore sia tale da non consentire, senza obiettivo
96 Cass. Civ. Sez. Lavoro, sent. n. 15334/2007
97 Cass. Civ. Sez. Lavoro, sent. n. 19350/2003
immediato nocumento per la Società, la partecipazione dell’atleta agli allenamenti, la Società stessa può disporre l’esclusione dagli allenamenti purché contesti preventivamente gli addebiti al calciatore e, contestualmente alla sospensione, inoltri, al calciatore ed al Collegio arbitrale presso la Lega, la proposta di irrogazione della sanzione disciplinare.
Tale provvedimento, dunque, non ha natura disciplinare ma cautelare: fermo restando l’obbligo retributivo per la Società, il calciatore è esonerato dall’obbligo di fornire la prestazione.
La funzione è solo quella di allontanare l’atleta dal luogo di lavoro, per il tempo strettamente necessario alla definizione del procedimento disciplinare, quando l’infrazione sia così grave da non consentire la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto ovvero nel caso in cui la presenza dell’atleta medesimo possa costituire fondato pericolo di ulteriori turbamenti.
La società UC Sampdoria quindi, contestualmente alla sospensione del calciatore Xxxxxxx Xxxxxxx, si rivolgeva al Collegio arbitrale per l’irrogazione di una misura disciplinare adeguata.
In casi del genere, le sanzioni (oltre le semplici multe ed ammonizioni scritte) che la società può richiedere, sulla base dell’art 11 dell’Accordo collettivo, sono:
1. riduzione della retribuzione;
2. esclusione temporanea, per un periodo concordato, dagli allenamenti;
3. risoluzione del contratto.
Nel caso concreto, la società UC Sampdoria aveva richiesto al Collegio Arbitrale in via principale la risoluzione del contratto del calciatore e, in subordine, l’esclusione dagli allenamenti fino al 30 giugno 2010.
Se la riduzione della retribuzione e l’esclusione temporanea dagli allenamenti riguardano profili per lo più quantitativi, e quindi facilmente accertabili ed
accordabili, più interessante è capire se le dinamiche accadute tra UC Sampdoria e Xxxxxxx Xxxxxxx fossero tali da poter giustificare una, come richiesto dalla società stessa, risoluzione del contratto per giusta causa.
Importante sottolineare come, né Accordo collettivo, né la Legge, forniscono una definizione chiara e precisa di giusta causa; l’art 2119 si limita a definirla come quella che non consente la prosecuzione anche provvisoria del contratto di lavoro, aggiungendo peraltro che il fallimento o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda non ne indicano gli estremi. Una definizione non certo chiara, che a causa della sua forte generalità, ha dato a luogo a molti contrasti.
La situazione però, come detto, è mutata dopo la Legge n.604/1966, la quale ha portato la dottrina maggioritaria e altra parte della giurisprudenza ha ritenere che la definizione di giusta causa non debba più riferirsi a quella generica del codice, che si incentrava sulla libertà di licenziamento, ma debba essere puntualizzata in rapporto alla nuova nozione di giustificato motivo soggettivo, centrata sul
98 X. Xxxxx, Diritto del lavoro, 2020
Il Collegio arbitrale, sulla base di queste premesse e accertata la dinamica della vicenda, ha irrogato al calciatore la sanzione dell’esclusione temporanea, di 3 mesi, dagli allenamenti, con effetto retroattivo in modo da far rientrare nel computo anche la sospensione cautelare già scontata.
E’ stata inoltre disposta la riduzione dello stipendio del calciatore in misura pari al 50% fino al termine naturale del contratto.
Come detto in apertura del paragrafo, il caso “UC Sampdoria/Cassano”, risulta essere un caso chiave in tema di sanzioni disciplinari sportive poiché quella irrogata dal Collegio arbitrale è stata la sanzione più grave sinora mai emanata nei confronti di uno sportivo professionista.
Nella motivazione del lodo, il Collegio arbitrale ha ritenuto di dover escludere la risoluzione del contratto per giusta causa, pur sussistendone gli estremi, poiché l’atto è stato valutato come un episodio isolato e non abituale. La società inoltre, dopo aver ricevuto delle scuse formali da parte del calciatore, si era mostrata favorevole al reintegro del calciatore, successivamente però non avveratosi.
2. La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro: la cessione del contratto
La legge 23 marzo 1981, n.91, come più volte detto nei paragrafi precedenti, ha segnato una svolta epocale in tema di rapporto di lavoro, anche per quanto riguarda la materia di scioglimento del rapporto lavorativo dello sportivo.
99 X. Xxxxx, Diritto del lavoro, p. 270
Nell’art 16 è prevista l’abolizione del vincolo sportivo, uno strumento che non permetteva il recesso unilaterale da parte dell’atleta, derogando così all’ordinaria disciplina del lavoro subordinato.
Nello specifico è l’art. 5 della Legge 23 marzo 1981, n.91, a disciplinare la materia; già nel comma 1 stabilisce infatti che al contratto di lavoro sportivo a tempo determinato non può essere apposto un termine risolutivo superiore a 5 anni, e che è ammessa la successione di contratti a termine tra le stesse parti.
A lungo si è dibattuto circa la correttezza e l’adeguatezza di un tale termine di durata massima, in particolare tenendo conto della durata complessiva della carriera di un atleta. Dopo un’attenta analisi però tale termine risulta essere adeguato poiché soddisfa sia l’interesse della società a non vedersi vincolata per troppo tempo con un atleta (qualora ad esempio le prestazioni da lui offerte si rivelino di qualità inferiore a quelle auspicate dalla società), sia l’interesse dello sportivo a non stipulare un contratto di ampia durata per puntare magari a firmare un successivo contratto più vantaggioso.
Successivamente, nel suo secondo comma, l’art. 5 ritiene ammissibile la cessione del contratto prima della scadenza del termine risolutivo, da una società sportiva ad un'altra, purché vi sia il consenso dell'altra parte, e siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali. E’ quindi data la possibilità, prima della scadenza naturale del contratto, che lo sportivo tesserato presso una società prosegua la sua attività lavorativa alle dipendenze di un’altra società sportiva.
Come è facile intuire, ci si trova in presenza di un istituto tipico del rapporto di lavoro sportivo non previsto per i contratti di lavoro ordinari, fatta eccezione per le ipotesi di trasferimento d’azienda; istituto che comporta la cessione automatica dei contratti di lavoro subordinato in capo alla società cessionaria dell’azienda o di un suo ramo.
La disciplina sopra citata non costituisce altro che una speciale applicazione dell’art 1406 c.c. in tema di cessione del contratto, il quale stabilisce che “Ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l'altra parte vi consenta”.
Nonostante un lungo ed acceso dibattito, la dottrina maggioritaria ritiene che la cessione del contratto sportivo possa ricondursi alla cessione civilistica100 e che le relative disposizioni integrino quanto disposto dalle Federazioni, le quali, nel dettare le modalità della cessione, non incontrano nessun limite, a causa dell’ampiezza della delega concessa dalla Legge 23 marzo 1981, n.91101.
Ne consegue che, sia pure con qualche scostamento dalla normativa generale, come affermato da larga parte della dottrina, non sembra potersi affermare la sussistenza di un sistema a sé stante.
Sul punto, pare concorde anche la giurisprudenza che, in una recente pronuncia, ha ricondotto a tale schema normativo una cessione in ambito calcistico: “L'operazione di cessione dei calciatori si realizza mediante una cessione del
100 Si trovano in accordo con la riconducibilità della cessione del contratto sportivo all’art 1406 c.c.: Xxxxxxxxxxx, il contratto dello sport, in Di Nella, Manuale di diritto dello sport, Napoli, 2010, cit., p.220; Cantamessa, Il rapporto di lavoro sportivo professioistico, cit., p.236 ss., il quale osserva che la possibilità accordata a cessionaria e ceduto di modificare le condizioni contrattuali non è un argomento sufficiente per tramutare la cessione del contratto sportivo in un negozio giuridico diverso da quello civilistico; Spadafora, Diritto del lavoro sportivo, p.211, che reputa la cessione sportiva speciale applicazione dell’art 1406 c.c. .
Opinione differente è quella di: Xxxxxxxxxxx, La cessione del contratto: dalla disciplina codicistica alle peculiari ipotesi di applicazione in ambito calcistico, in Riv. dir. Econ. Sport, 2008, p.129 ss., che proprio nelle facoltà delle parti di apportare modifiche (non marginali) al contratto vede il più convincente argomento per la negare la riconducibilità allo schemo ex art. 1406 c.c.
101 X.Xxxxxx, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, cit., p.224
E’ anche vero però che il cessionario e il ceduto, all’atto della cessione, possono convenire, quanto al loro rapporto, condizioni diverse rispetto a quelle precedentemente previste, come ad esempio un differente ingaggio, non violando il divieto di mutamento degli elementi del contratto. La violazione avverrebbe invece qualora venissero modificati elementi oggetti dell’accordo, quali cause ed oggetto, e non ritenuti accessori103; sul punto risulta essere concorde anche la dottrina maggioritaria104.
Per quanto riguarda le modalità del trasferimento, il sopra citato art. 5 della legge 23 marzo 1981, n.91, stabilisce che non deve necessariamente essere a titolo definitivo; è infatti prevista la possibilità di una cessione a titolo temporaneo, ovvero per un periodo di tempo limitato al termine del quale è di regola previsto il rientro nella società sportiva di appartenenza.
Come detto in precedenza, alle disposizioni legislative devono raccordarsi le ulteriori regolamentazioni, dovute ai regolamenti delle singole Federazioni sportive di riferimento.
Con particolare riguardo al calcio, le modalità della cessione del contratto e gli accordi di trasferimento, sono dettate dagli artt. 95, 102 e 103 delle N.O.I.F.. Nello specifico, l’art 95, statuisce così: “L’accordo di trasferimento di un calciatore/calciatrice, o la cessione del contratto di un calciatore “professionista” devono essere redatti per iscritto, a pena di nullità, mediante utilizzazione di
102 Cass. civ. Sez. V, 09/01/2019, n. 345
103 Cass. Civ, 5 novembre 2003, n. 16635
104 X. Xxxxxxx, La compravendita dei calciatori, in Contr. E Impr., p.1 e ss.
moduli speciali all’uopo predisposti dalle Leghe. Le operazioni di trasferimento possono essere effettuate anche attraverso la modalità telematica”.
L’accordo dev’essere inoltre depositato entro 5 giorni dalla stipula o entro la fine del “mercato” presso la Lega della società cessionaria chiamata ad accettare, solo tale approvazione rende di fatto operativa la variazione del tesseramento.
L’art. 95 fissa poi, al comma 2, il limite massimo di trasferimenti in un’unica stagione calcistica: “Nella stessa stagione sportiva un calciatore/calciatrice può tesserarsi, sia a titolo definitivo che a titolo temporaneo, per un massimo di tre diverse società ma potrà giocare in gare ufficiali solo per due delle suddette società”.
L’art 102 N.O.I.F. denominato “le cessioni di contratto” prevede specifiche disposizioni valevoli solamente per il calcio professionistico, secondo cui : “Tra le società associate alle Leghe Professionistiche è ammessa, in pendenza di rapporto, la cessione del contratto stipulato con calciatore professionista a condizione che questi vi consenta per iscritto”.
Nello stesso articolo, nei commi successivi si fa riferimento al “diritto di opzione”, in particolare al comma 4 viene prevista la possibilità, nelle cessioni a titolo temporaneo, per la società cedente che trasferisce il diritto alle prestazioni sportive del calciatore e la società cessionaria che acquisisce detto diritto, di prevedere un diritto di opzione a favore della società cedente al fine di attribuire a quest’ultima la facoltà di riacquisire a titolo definitivo il diritto alle prestazioni sportive del calciatore trasferito. Tutto ciò necessità però di quattro condizioni:
1. nell’accordo sia indicato il corrispettivo convenuto per la concessione del diritto di opzione, nonché il corrispettivo o i corrispettivi, anche legati al verificarsi di particolari condizioni, convenuti per l’eventuale riacquisizione del diritto alla prestazione sportiva del calciatore;
2. la clausola relativa al diritto di opzione sia, a pena di nullità, sottoscritta dal calciatore con espressa dichiarazione di accettazione di ogni conseguenza dell’esercizio o meno del diritto di opzione;
3. la società cedente stipuli con il calciatore un contratto economico della durata minima di due stagioni sportive conteggiate a partire dalla stagione sportiva successiva a quella nel corso della quale è avvenuta la cessione definitiva;
4. la società cessionaria stipuli con il calciatore un contratto economico della durata minima di tre stagioni sportive.
2.1 La risoluzione unilaterale del contratto di lavoro sportivo a tempo indeterminato
Come noto, l’ordinamento italiano ha privilegiato , a seguito di una lunga serie di riforme, la tutela del prestatore di lavoro rispetto al datore, in quanto considerato parte debole del rapporto. Questo favore nei confronti del lavoratore si manifesta in più limitazioni poste alla libera recedibilità del datore di lavoro e soprattuto nella previsioni di una serie di strumenti di tutela a favore del lavoratore qualora venga illegittimamente licenziato.
La disciplina appena descritta trova la sua manifestazione legislativa, ad esempio, nello Statuto dei lavoratori105, dove viene subordinata la legittimità del recesso datoriale alla sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di licenziamento.
In particolare, per quanto riguarda il concetto di giusta causa, esso viene descritto dall’art 2119 c.c. come “una causa che non consenta la prosecuzione, anche
105 Legge 300/1970
provvisoria del rapporto di lavoro”; lo stesso articolo dà quindi la possibilità al contraente interessato di recedere dal contratto in presenza di tale situazione.
E’ stata inoltre apprestata in favore dei lavoratori dipendenti da datori che superano particolari soglie dimensionali la c.d. “tutela reale del posto di lavoro”. Viene quindi data la possibilità al lavoratore, in presenza di un licenziamento dichiarato illegittimo in sede giudiziale, di essere reintegrato nel posto di lavoro. Tutte le tutele delineate, non sono però applicabili alla disciplina da noi esaminata del rapporto di lavoro sportivo.
La specialità del rapporto di lavoro subordinato sportivo rispetto all’ordinario rapporto di lavoro disciplinato dalle leggi statali è infatti ancora espressamente ribadita dagli ultimi due commi dell’art. 4 della legge 23 marzo 1981, n.91.
Attraverso tali disposizioni, infatti, il legislatore ha escluso l’applicabilità al suddetto rapporto di lavoro sportivo professionistico dell’art. 18 della legge 300/70, nonché degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 della legge 604/66, ovvero tutti gli articoli che sanciscono una larga protezione al lavoratore dipendente, con obblighi di risarcimento, reintegrazione nel posto di lavoro per i soggetti illegittimamente esclusi e simili.
Il rapporto di lavoro in questione rientra quindi in quei pochissimi casi in cui, se il rapporto di lavoro viene costituito a tempo indeterminato, trova applicazione il
106 Cass. sez. un., 18 maggio 1994, n.4844 e 4846 e Xxxx. 3 ottobre 1995, n.9835
“recesso ad nutum”, caratterizzato dalla non necessità di alcuna forma di giustificazione, disciplinato dagli art. 2118 e 2119 c.c..
Il Codice civile conferma quindi il principio generale della libera recedibilità di entrambi le parti dal contratto di lavoro con il semplice preavviso, ed in assenza quindi di giustificazione. L’art 2118 c.c. afferma infatti così: “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato con l’unico obbligo di dare preavviso nella misura stabilita dalla contrattazione collettiva, o in mancanza, secondo gli usi o equità. In caso contrario il recedente è tenuto a corrispondere all’altra parte una somma a titolo di indennità detta, appunto, indennità di mancato preavviso, corrispondente all’importo delle retribuzioni107 che sarebbero spettate per il periodo di preavviso. E tale indennità è altresì dovuta dal datore di lavoro ai superstiti del lavoratore nel caso di cessazione del rapporto per morte di quest’ultimo”.
L'art. 2119 c.c. a sua volta, esclude che spetti il preavviso nel caso di recesso per giusta causa, salvo che non sia il lavoratore a dare le dimissioni, giacché in tal caso il datore di lavoro deve corrispondere l'indennità di mancato preavviso. Dall'applicazione di dette disposizioni al rapporto di lavoro degli sportivi professionisti discende che non sussistono, per l'ordinamento statale, vincoli o limiti di sorta alla volontà di sciogliersi dal contratto, né particolari formalità da adempiere.
I motivi di tale particolare disciplina sono da ricercare nella, più volte richiamata, specialità del rapporto di lavoro sportivo. Sarebbe, infatti, fortemente penalizzante impedire alle società sportive di recedere dal contratto quando, anche al di fuori di qualsiasi inadempimento, si determini una situazione che
107 La natura retributiva e non risarcitoria dell’indennità comporta che questa sia dovuta anche nel caso di immediato reimpiego del lavoratore licenziato, x. Xxxx. 20 febbraio 2013, n.4192