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IL CONTRATTO A TERMINE ACAUSALE XXXXX-XXXXXXX È AL RIPARO DALLA CLAUSOLA DI NON REGRESSO PREVI- STA DALLA DIRETTIVA 1999/70/CE?
di Xxxxxxx Xxxxxx
(Avvocato in Roma)
1. La clausola di non regresso. Cenni. 2. Segue: la giurisprudenza della CGUE sul- la clausola di non regresso contenuta nella direttiva 1999/70/CE. 3. Segue: gli in- terventi della Corte Costituzionale. 4. Le modifiche in pejus del D.L. n. 34 del 2014. 5. Applicabilità della clausola di non regresso al D.L. 34 del 2014.
1. La clausola di non regresso. Cenni.
Nelle direttive in materia di politica sociale sovente sono presenti clausole che svolgono la funzione di impedire che il processo di ar- monizzazione o di avvicinamento delle disposizioni nazionali intorno a principi comuni possa incidere negativamente sulle posizioni giuri- diche già acquisite dai lavoratori di un singolo Stato membro1.
Un primo esempio di clausola di non regresso si rinviene nella Carta comunitaria dei diritti sociali dei lavoratori del 1989 allorché, nell’ultimo considerando introduttivo, si prevedeva che «la procla- mazione solenne dei diritti sociali fondamentali a livello della Co- munità europea non può giustificare, in sede di attuazione, un re-
1 Carabelli U., Leccese V., Libertà di concorrenza e protezione sociale a confronto. Le clausole di favor e di non regresso nelle direttive sociali, 2005, testo disponibile al sito: xxxx://xxxxx.xxx.xxxxx.xx (consultato il 28.7.2014), secondo cui la finalità di tali clausole con- siste nella azione volta alla «parificazione delle condizioni di vita e di lavoro nel progresso, secondo l’obiettivo che fin dall’origine il Trattato di Roma aveva posto a fondamento della Comunità» p.5. Xxxxxxx X., Il principio di non regresso nelle direttive in materia di politica sociale, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2002, 487 ss.; Xxxxx G,, L’interpretazione delle clau- sole di non regresso, in Giorn, Dir, Lav Rel. Ind, 2004, n. 3, p. 559 e ss.; Xxxxxxxx L., Le clausole di «non regresso» nelle direttive comunitarie in materia di politica sociale, 2004, Riv.Giur.Lav., I, p. 39 ss.; Corazza L., Xxxxxx a termine e clausole di non regresso, Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2008, 500 ss.
gresso rispetto alla situazione attualmente esistente in ciascuno Stato membro»2.
Normalmente clausole di tal fatta si rinvengono nelle direttive c.d. quadro che svolgono la funzione di avvicinamento degli ordinamenti nazionali affinché convergano attorno ad obiettivi comuni di tutela rappresentando una forma di normazione più prudente volta a dettare soltanto regole minime cui gli Stati devono adeguarsi3.
Accanto alle clausole «di non regresso» è possibile rinvenire nelle direttive delle clausole che contengono la facoltà, per i singoli Stati membri, di introdurre trattamenti di miglior favore per il lavoratore rispetto a quelli previsti dalle direttive stesse4. In tal caso la prospet- tiva è diversa giacché esse hanno lo scopo di una «armonizzazione nel progresso»5 e non di tenere ferme le situazioni giuridiche più fa- vorevoli già esistenti nei singoli Stati membri.
Nella direttiva 1999/70/CE, oggetto del presente esame, nella clausola 8 dell’accordo quadro da essa recepito, compaiono entrambe le due formulazioni: quella del favor (clausola 8.1: «Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente accordo».) e quella di non regresso (clausola 8.3: «L'applicazione del presente accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello gene- rale di tutela offerto ai lavoratori nell'ambito coperto dall'accordo stesso»).
Al fine di verificare il rispetto della clausola di non regresso da parte del legislatore nazionale è necessario operare una comparazione
2 Carabelli U., Leccese V., L’interpretazione delle clausole di non regresso, Giorn, Dir, Lav Rel. Ind, 2004, n. 3, p. 537.
3 Xxxxxx X., A proposito della comparazione nel diritto comunitario del lavoro, in Dir. Lav., 2002, n. 1-2, p. 69 e ss.; Xxxxxx B., Militello M., L’Europa sociale e il diritto: il contributo del metodo comparato, in Nogler L. e Xxxxxxx L. (a cura di), Risistemare il diritto del lavo- ro Liber amicorum Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, 2012, Xxxxxx Xxxxxx, Milano, p. 383 e ss. anche disponibile al sito: xxxx://xxxxx.xxx.xxxxx.xx (consultato il 28.7.2014).
4 Carabelli U., Leccese V., L’interpretazione …, cit., p. 538 ne ravvisano un primo esempio nell’art. 32 della Carta sociale europea del 18 ottobre 1961 [«Le disposizioni della presente Carta non devono ledere le disposizioni del diritto interno e dei trattati, delle convenzioni e degli accordi bilaterali o multilaterali che sono o entreranno in vigore e che fossero più fa- vorevoli alle persone protette»]e rilevano come già a partire dalla metà degli anni ’70 esse compaiano in molte delle direttive sociali.
5 Carabelli U., Leccese V., ibidem.
tra le norme dello stesso ordinamento nazionale verificando se, in occasione dell’attuazione della particolare direttiva che la preveda, vi sia stato – o meno – un abbassamento del livello di tutela precedente. In tal modo la disposizione europea non costituisce il parametro della valutazione da operare a cui rimane estranea6.
Siccome l’interpretazione del diritto nazionale spetta esclusiva- mente ai giudici nazionali, ne consegue che è esclusivo compito di questi ultimi determinare in quale misura le modifiche normative comportino o meno una riduzione della tutela dei lavoratori7.
La questione di maggior rilievo è costituita dall’individuazione dell’oggetto della comparazione statuita dalla norma europea. Nel caso del contratto a tempo determinato, la clausola prevede che la comparazione debba avvenire fra le norme che rientrino nell’«ambito coperto dall'accordo stesso» ma al fine di non diminuire «il livello generale di tutela offerto ai lavoratori»8.
Su queste due previsioni si sono formati degli orientamenti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della nostra Corte Costitu- zionale di cui è necessario dare conto.
2. Segue: la giurisprudenza della CGUE sulla clausola di non re- gresso contenuta nella direttiva 1999/70/CE
La Corte di Lussemburgo ha fornito sicure indicazioni che con- sentono di individuare il campo di applicazione della clausola 8.3 dell’accordo quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE.
Con la pronuncia 22 novembre 2005, C-144/04, Xxxxxxx, la Cor- te ha fornito delle precisazioni circa l’ambito di applicazione della
6 Xxxxxx X. Xxxxxxxxx M., L’Europa …, p. 39.
7 CGUE Sentenza 23 aprile 2009, C-378/07 C-380/07, Angelidaki, punto 130; Sentenza 24
giugno 2010, C-98/09, Sorge, punti n. 36 e 37
8 spetta alla Corte di Giustizia fornire indicazioni utili ad appurare se detta eventuale ridu- zione della tutela dei lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato costituisca una «reformatio in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro esaminando se le modifiche introdotte dalla normativa nazionale volta a recepire la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro siano tali, da un lato, da essere considerate collegate con l’«applicazione» dell’accordo quadro, e, dall’altro, da riguardare il «livello generale di tutela» dei lavoratori ai sensi della sua clausola 8, n. 3 (sentenze Angelidaki, punto 130, e Sorge, punti 29 e 37, Ordinanze Xxxxxx, punto 111, e Vino punto 35)
clausola, nel senso che essa non riguarda la sola iniziale trasposizio- ne della direttiva 1999/70 e, in particolare, del suo allegato contenen- te l'accordo quadro, ma copre ogni misura nazionale intesa a garanti- re che l'obiettivo da questa perseguito possa essere raggiunto, com- prese le misure che, successivamente alla trasposizione propriamente detta, completano o modificano le norme nazionali già adottate9.
D’altro canto, essa precisa che, giacché una «reformatio in peius» non è vietata dall'accordo quadro allorquando non è in alcun modo collegata con l'applicazione di questo, tale esclusione è ravvisabile se essa sia giustificata non dalla necessità di applicare l'accordo quadro, ma da quella di incentivare l'occupazione, nella specie, delle persone anziane10.
Cosicché la clausola 8, punto 3, dell'accordo quadro, ad avviso della Corte, dev'essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa peggiorativa fondata su ragioni connesse alla necessità di promuovere l'occupazione e indipendentemente dall'applicazione del detto xxxxxxx00.
La Clausola è stata successivamente oggetto di esame nella sen- tenza 23 aprile 2009, C-378/07 C-380/07, Angelidaki. Affrontando il tema della reformatio in peius riguardante i lavoratori in possesso di un unico contratto di lavoro a termine e non di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, nella sentenza è affermato12 che l’intero accordo quadro recepito dalla direttiva ed, in particolare, la clausola 8, n. 3, «persegue uno scopo che rientra negli obiettivi fon- damentali iscritti all’art. 136, primo comma, CE»13, oggi art. 151 TFUE14, allo scopo di sancire il principio secondo cui la clausola 8,
9 Punto 51 della sentenza.
10 Punto 53 della sentenza.
11 Punto 54 della sentenza.
12 Punto 112 della sentenza.
13 Principio già affermato nella sentenza 15 aprile 2008, C-268/06, Impact, punto 112.
14 Che pone fra gli obiettivi dell’Unione: «la promozione dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l'emarginazione».
n. 3, dell’accordo quadro non può essere interpretata in modo restrit- tivo15.
La stessa pronuncia, inoltre ha fornito alcune indicazioni chiare in ordine all’ambito di applicazione entro cui la clausola può trovare applicazione offrendo un’interpretazione delle locuzioni «ambito co- perto dall'accordo stesso» e « livello generale di tutela».
In primo luogo, ha ricordato la Corte, la clausola non vieta qual- siasi riduzione del livello di tutela dei lavoratori a tempo determina- to, bensì unicamente quelle che, da un lato, sono giustificate dalla necessità di «attuare» tale accordo, e, dall’altro, hanno ad oggetto il
«livello generale di tutela» dei lavoratori a tempo determinato16. Essa è, quindi, applicabile soltanto ad una reformatio in peius di ampiezza tale da influenzare complessivamente la normativa nazionale in ma- teria di contratti di lavoro a tempo determinato17.
Infine, la clausola non ha un effetto diretto non ravvisandosi un diritto dal contenuto sufficientemente chiaro, preciso e incondiziona- to18.
Nella stessa sentenza19 la Corte di Giustizia, per il caso al suo esame, ha concluso affermando che la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che riformi in pejus la disciplina del contratto a termine «allorché siffatte modifiche riguardano una categoria circo- scritta di lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato oppure sono compensate dall’adozione di misure volte a prevenire l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato».
Sia con l’ordinanza 24 aprile 2009, X-000/00, Xxxxxx che con la sentenza 24 giugno 0000, X-00/00, Xxxxx, xx Xxxxx00, conferma che
15 Punto 113 della sentenza. In tal modo la Corte di giustizia ha affermato (punto 120) che la verifica dell’esistenza di una «reformatio in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro deve effettuarsi sia con riferimento ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, sia a quelli con un primo ed unico contratto a tempo determinato.
16 Punto 208 della sentenza.
17 Punto 210 della sentenza.
18 Punti 210 e 211 della sentenza.
19 Punto 177 della sentenza.
20 «risulta chiaramente sia dall’obiettivo perseguito dalla direttiva 1999/70, sia dall’accordo quadro e dalla formulazione delle loro pertinenti disposizioni che … l’ambito
la clausola 8, n. 3, non osta ad una normativa nazionale peggiorativa purché dette nuove condizioni siano compensate dall’adozione di al- tre garanzie o misure di tutela oppure riguardino unicamente una ca- tegoria circoscritta di lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato21.
Con l’ordinanza 11 novembre 2010, C-20/10, Vino, la Corte pre- cisa ulteriormente che l’applicazione della clausola è esclusa se la normativa nazionale peggiorativa non sia in alcun modo collegata con l’applicazione dell’accordo quadro nel senso che essa sia giusti- ficata non già dalla necessità di applicare l’accordo quadro, bensì da quella di promuovere un altro obiettivo, distinto da detta applicazio- ne22 e che è irrilevante che lo scopo perseguito dalla normativa peg- giorativa «sia eventualmente meno degno di tutela di quello perse- guito dall’accordo quadro, ossia la protezione dei lavoratori assunti a tempo determinato» giacché «basta che essa persegua uno scopo distinto da quello consistente nel garantire la tutela dei lavoratori a tempo determinato, cui è diretto detto accordo, senza che sia neces- sario valutare o comparare il primo obiettivo con il secondo»23.
In sintesi, ad avviso della Corte, è irrilevante il fatto che lo scopo perseguito dalla normativa peggiorativa non sia degno di una prote- zione almeno equivalente alla tutela dei lavoratori a tempo determi- nato, cui mira detto accordo quadro24.
3. Segue: gli interventi della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale italiana, sebbene ne abbia avuto l’opportunità, sino al corrente anno, non ha esaminato la clausola di
disciplinato da tale accordo non è limitato ai soli lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi ma che, al contrario, si estende a tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un determinato rapporto di lavoro che li vincola ai rispettivi datori di lavoro, indipendentemente dal numero di contratti a tempo determinato stipulati da tali lavoratori» (punto 33 sentenza Sorge).
21 Punti 34/48 della sentenza Sorge e punto 119 dell’ordinanza Koukou.
22 Punto 37 della sentenza.
23 Punto 44 della sentenza.
24 Punto 48 della sentenza.
non regresso in modo approfondito astenendosi dal fornire indicazio- ni in ordine alla sua applicabilità.
Giacché la clausola di non regresso è priva di diretta applicazione essa deve essere utilizzata dal giudice nazionale come parametro per un’interpretazione adeguatrice che, però, se impossibile, conduce inevitabilmente all’incidente di costituzionalità, venendo in rilievo la contrarietà agli artt. 11 e 117 Cost., sotto il profilo della violazione dei vincoli imposti dalla direttiva.
Alcuni richiami si hanno nelle sentenze n. 44 del 2008 (nella qua- le vi è un mero cenno alla sentenza Xxxxxxx della Corte di giustizia) e n. 214 del 2009 nella quale il Giudice delle leggi ha ritenuto che non vi fosse una violazione della clausola di non regresso in tema di ragione sostitutiva giacché, a proprio parere, le norme del d.lgs. 368 del 2001, non avevano determinato alcuna diminuzione della tutela già garantita ai lavoratori dal precedente regime vigente con la l. n. 230 del 1962.
La Corte Costituzionale ha, invece, espressamente esaminato il tema con la sentenza 15 luglio 2014 n. 22625 ed ha ripercorso l’interpretazione della clausola fornita dalla Corte di giustizia rias- sumendo e facendo propri i principi affermati dai Giudici di Lussem- burgo ed esposti nel paragrafo precedente.
In primo luogo la Corte Costituzionale ha affermato che la clauso- la non preclude ogni riduzione di tutela dei lavoratori nel settore dei contratti a tempo determinato e per rientrare nel divieto di cui alla clausola in esame, tale riduzione da un lato, dev’essere collegata con la “applicazione” dell’accordo quadro e, dall’altro, deve avere ad og- getto il “livello generale di tutela” dei lavoratori a tempo determina- to.
Il Giudice delle leggi ha confermato che la normativa interna può ritenersi collegata con la applicazione dell’accordo quadro, non sol- tanto nel caso dell’iniziale recepimento ma anche nel caso di ogni
25 La Corte ha esaminato la clausola giacché il rimettente censurava l’art. 32, comma 5 della legge n. 183 del 2010 come interpretato dall’art. 1, comma 13, della legge n. 92 del 2012 per violazione degli artt. 11 e 117 Cost. proprio e solo in relazione alla clausola 8.3 dell’accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato. Ci si asterrà dal fornire giudizi avendo, lo scrivente, fatto parte del collegio difensivo di una delle parti private costituite nel procedi- mento.
misura nazionale intesa a garantire che l’obiettivo da questa perse- guito possa essere raggiunto, comprese le misure che, successiva- mente al recepimento propriamente detto, completino o modifichino le norme nazionali già adottate.
Infine la Corte Costituzionale ha affermato che non può dirsi vio- lata la clausola nel caso in cui la reformatio in peius non sia in alcun modo collegata con l’applicazione dell’accordo quadro e ciò potreb- be avvenire qualora il trattamento peggiorativo fosse giustificato dal- la necessità di promuovere un obiettivo distinto dall’applicazione della direttiva e dell’accordo quadro risultando irrilevante che lo sco- po perseguito dalla nuova disposizione sia eventualmente meno de- gno di tutela di quello perseguito dall’accordo quadro, ossia la prote- zione dei lavoratori assunti a tempo determinato.
4. Le modifiche in pejus del D.L. n. 34 del 2014.
Non è questa la sede per un esame approfondito del D.L. n. 34 del 2014 (convertito con modificazioni dalla L. 16 maggio 2014, n. 78)26
26 Per alcuni primi commenti: Brollo M., La nuova flessibilità “semplificata” del lavoro a termine, Arg.dir.lav., 2014, 3, 566 ss.; X. Xxxxxxxxxx (a cura di), Jobs Act - Le misure per favorire il rilancio dell’occupazione, riformare il mercato del lavoro ed il sistema delle tute- le, Adapt Labour Studies e-Book series, n. 21 e X. Xxxxxxxxxx (a cura di), Decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34. Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese, Adapt Labour Studies e-Book series, n. 22, X. Xxxxxxxxxx (a cura di), Jobs Act: il cantiere aperto delle riforme del lavoro, Adapt Labour Studies e-Book series, n. 25, consultabili in xxxx://xxxxxx.xxxxxxxxx.xx/xxxxxx/xxxx.xxx?xxx00 (sito consultato l’8 agosto 2014); Treu T., Migliorare il funzionamento del mercato del lavoro secondo il migliore modello della Flexi- curity, Lavoro&Welfare, 39 ss.; Xxxxxx P., Le prime misure in materia di lavoro, Lavo- ro&Welfare, 7 ss.; Ballestrero M.V., Così si scambia l’eccezione con la regola, Lavo- ro&Welfare, 13 ss.; De Xxxx Xxxxxx R., Paterno’ F., La somministrazione di lavoro, Lavo- ro&Welfare, 15 ss.; Fontana P., Xxxxx X., Xxxxx G., Xxxxxxx A., Priorità assoluta: creare nuove occasioni di lavoro, Lavoro&Welfare, 19 ss.; Xxxxxxxx D., Osservazioni alla nuova disciplina del contratto a termine, Lavoro&Welfare, 21 ss.; Xxxxxxxx L., Un decreto da cambiare che contraddice il Jobs Act annunciato da Xxxxx, Lavoro&Welfare, 25 ss.; Sara- ceno C., Xxxxx, il Jobs Act e la precarietà infinita, Lavoro&Welfare, 28 ss.; Speziale V., To- tale liberalizzazione del contratto a termine, Lavoro&Welfare, 30 ss.; De Xxxxxxx X., Per grazia ricevuta ecco il Jobs Act la precarietà lavorativa diventa regola sociale … a termine, di prossima pubblicazione su Lav. Giur., 2014.
e ci si limiterà a ricordare che con l’art. 1 di tale disposizione è stata cancellata la necessità di una causale temporanea del contratto a ter- mine ed è stata prevista, nell’ambito di un limite massimo di 36 mesi, la possibilità di stipulare un contratto a termine prorogabile 5 volte, escludendo la necessità della presenza delle ragioni obiettive sia del primo contratto che delle proroghe. La stessa disposizione ha, inoltre, eliminato la causale giustificativa della somministrazione a tempo determinato consentendo, quindi, sempre nel limite complessivo dei 36 mesi, di utilizzare insieme somministrazione a tempo determinato, un contratto a termine prorogabile sino a 5 volte, una pluralità di con- tratti a tempo determinato, senza che queste tipologie negoziali o le proroghe debbano avere qualsiasi causale giustificativa.
Viene introdotto il limite del 20% (o quello diverso previsto dall'autonomia collettiva) nelle assunzioni a termine rispetto all'orga- nico dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato prevedendo una (solo) apparente misura dissuasiva che, però, era già presente nel sistema previgente27. Mentre è pacifico che nella disciplina preesi- stente, il vero freno all’abusivo utilizzo dei contratti a tempo deter- minato era costituito dalla necessità che vi fossero delle causali giu- stificative fondate su esigenze temporanee controllabili dal giudice.
La disposizione è sospettata di violare molteplici vincoli imposti dalla normativa dell’Unione28 ma in questa sede ci si occuperà solo della violazione della clausola 8.3 sin qui esaminata giacché essa, con la cancellazione della necessità di fondare l’assunzione a termine su una ragione temporanea e la conseguente trasformazione del con- tratto a termine nella “forma comune” dei rapporti di lavoro in Italia, introduce una evidentissima modifica peggiorativa della disciplina preesistente.
Del resto già la Corte Costituzionale nella sentenza n. 214 del 2009 allorquando ha esaminato l’art. 2, c. 1 bis, d.lgs. n. 368/2001 ha ritenuto legittima tale norma che prevedeva «non già l'indicazione di specifiche ragioni temporali, bensì il rispetto di una durata massima
27 nell’art. 10 del d.lgs. 368/2001, ma rimessa alle previsioni dei contratti collettivi.
28 Si veda la Denuncia alla Commissione Europea per la violazione da parte della Repubbli- ca Italiana di obblighi derivanti da fonti normative dell’Unione Europea presentata dall’organizzazione sindacale CGIL e consultabile al sito xxxx://xxxxx.xxx.xxxxx.xx/xxxxxxx/xxxxxxx/xx_000000000.xxx (consultato l’8 agosto 2014).
e di una quota percentuale dell'organico complessivo»29 solo perché limitata alle imprese concessionarie di servizi postali, valutando, quindi, la situazione dei lavoratori operanti in tale settore, deteriore rispetto alla generalità di quelli operanti nel settore privato.
5. Applicabilità della clausola di non regresso al D.L. 34 del 2014
Ebbene, alla luce dei principi espressi dalla Corte di Giustizie e ripresi dalla Corte Costituzionale sopra esaminati, si può affermare, in primo luogo, che la normativa introdotta dal D.L. 34 del 2014 ha carattere generale e non si riferisce ad una ristretta categoria di lavo- ratori quindi è soggetta alla clausola di non regresso in esame.
La disposizione costituisce una misura che, successivamente al re- cepimento propriamente detto della direttiva 199/70/CE, avvenuto con il d.lgs. n. 368/2001, completa e modifica tali norme nazionali già adottate cosicché, anche sotto tale profilo è soggetta alla clausola
8.3 anzidetta.
Fatte queste osservazioni, il vero nodo da sciogliere circa l’applicabilità della clausola in esame alla riforma sul contratto a termine del 2014 riguarda la sussistenza o meno di una giustificazio- ne della normativa peggiorativa fondata sulla necessità di promuove- re un obiettivo distinto dall’applicazione della direttiva e dell’accordo quadro. Considerando che, ad avviso della Corte Costi- tuzionale e della Corte di Giustizia, non sarebbe di ostacolo il fatto che lo scopo perseguito dalla nuova disposizione sia meno degno di tutela di quello perseguito dall’accordo quadro.
Proprio per evitare questo «incidente» il decreto legge contiene, sin dalla prima formulazione, le seguenti enunciazioni di principio:
«Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposi- zioni volte a semplificare alcune tipologie contrattuali di lavoro, al fine di generare nuova occupazione, in particolare giovanile; Ritenu- ta la straordinaria necessità ed urgenza di semplificare le modalità attraverso cui viene favorito l'incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro» cui, in sede di conversione sono state aggiunte, con la modi-
29 Esattamente come la versione odierna della disposizione generale
fica dell’alinea del comma 1 dell’art. 1, le considerazioni seguenti:
«Considerata la perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'at- tuale quadro economico nel quale le imprese devono operare, nelle more dell'adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente e salva l'attuale artico- lazione delle tipologie di contratti di lavoro, vista la direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, sono apportate le seguenti modificazioni:». È del tutto evidente che, in tal modo, il legislatore nazionale ha provato a mettere la propria disciplina (di tutta evidenza peggiorati- va) al riparo dalla clausola di non regresso tentando di escluderne l’applicabilità mediante il ricorso ad una giustificazione della norma- tiva basata su un obiettivo distinto dall’applicazione della direttiva e
dell’accordo quadro.
Ma se è vero che la distinta giustificazione non potrebbe essere soggetta ad un giudizio comparativo con il fine perseguito dalla di- rettiva 1999/70/CE è anche vero che, nella specie, non ci si trova al cospetto di alcun obiettivo distinto dall’applicazione della direttiva e dell’accordo quadro.
I richiami contenuti nella disposizione (semplificazione delle tipo- logie contrattuali e delle modalità di incontro tra la domanda e l'of- ferta di lavoro per generare nuova occupazione) sono esattamente gli obiettivi della direttiva che, a prescindere dalla particolare tutela sul contratto a tempo determinato, deve soddisfare gli scopi di politica sociale che l’UE si è assegnata con l’art. 151 TFUE fra cui si anno- vera «la promozione dell’occupazione».
Ricorrere al generalissimo scopo di promuovere l’occupazione si- gnifica indicare un elemento talmente generico (che, peraltro, permea l’intera azione dell’Unione) che non può integrare quell’«obiettivo distinto» dall’applicazione della direttiva e dell’accordo quadro che consente di realizzare l’eccezione all’applicazione della clausola 8.3 in esame.
Né può valere, in senso contrario alla tesi qui sostenuta, che la Corte di Giustizia nella sentenza Xxxxxxx ha ritenuto non applicabile la clausola proprio scrutinando una normativa tedesca che aveva as-
sunto come obiettivo l’incentivazione dell’occupazione giacché, in quella sede, si discuteva esclusivamente della promozione dell’occupazione delle persone anziane, sicché il confine di azione della normativa peggiorativa era limitato a tali soggetti.
A nulla può valere che, nel caso del D.L. 34 del 2014 si faccia ri- ferimento all’obiettivo di «generare nuova occupazione, in partico- lare giovanile» giacché il campo di azione in questo caso non è limi- tato esclusivamente alle persone giovani e, comunque, non è neanche indicato quale sarebbe il confine d’età (presente nella disposizione tedesca scrutinata nella sentenza Xxxxxxx) cui si rivolgerebbe l’azione del legislatore.
Inoltre, i richiami anzidetti non possono essere mere petizioni di principio esenti da prova circa l’efficacia della disposizione a realiz- zare la visione teleologica del legislatore. Nel senso che, se ci si pre- figge lo scopo di aumentare l’occupazione, occorre una misura che sia in grado (almeno potenzialmente) di aumentarla effettivamente. Si tratta di una valutazione sull’idoneità (almeno potenziale) della misura sotto il profilo dell’an e non del quomodo.
Ebbene l’esperienza dimostra che l’occupazione non aumenta con provvedimenti legislativi e che, nella realtà, al contrario, nell’attuale ciclo economico, aumenta solo, in modo costante, la disoccupazione. Il solo effetto di un provvedimento come quello in esame è quello di mutare la natura della minore nuova occupazione da stabile in preca- ria.
Invero, il contratto a termine è divenuto la forma comune di as- sunzione e la sua incentivazione, in un momento di aumento della di- soccupazione, muta (in senso peggiorativo) le condizioni dei lavora- tori occupati con questa forma contrattuale30. In tal modo si contrav- viene apertamente agli obiettivi previsti dalla clausola 1) dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE ovvero: mi- gliorare la qualità del lavoro a tempo determinato e prevenire gli abusi nel suo utilizzo.
Né può cambiare in alcun modo tale giudizio la modifica dell’alinea dell’art. 1, c.1, del D.L. 34 cit.
30 Si vedano le osservazioni di Gallino L., Vite rinviate. Lo scandalo del lavoro precario, Xxxx, 0000, passim
Infatti «la perdurante crisi occupazionale» o «l'incertezza dell'at- tuale quadro economico» sono circostanze di fatto e non una visione teleologica del legislatore nazionale.
Né ha diversa natura l’attesa «dell'adozione di un testo unico sem- plificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente» giacché essa non sembra una funzione cui tenderebbe la nuova normativa nazionale in tema di contratti a termine ma solo un impegno per il Governo a seguito di una emananda delega.
In conclusione anche lo scivoloso terreno del ricorso ad una giu- stificazione della normativa basata su un obiettivo distinto dall’applicazione della direttiva e dell’accordo quadro non sembra sottrarre la normativa di cui al D.L. 34 del 2014 alla clausola di non regresso.
Ne consegue, in assenza di un diretta applicabilità della clausola di non regresso, la possibilità della proposizione di un incidente di costituzionalità della norma peggiorativa, per violazione degli artt. 11 e 117 Cost.