DIRITTO SOCIETARIO
Newsletter del 4 gennaio 2021
DIRITTO SOCIETARIO
MIGLIORIE EFFETTUATE DAL CONDUTTORE: IL CANONE VA DICHIARATO INTEGRALMENTE
Secondo quanto statuito dalla Commissione Regionale Tributaria della Lombardia con sentenza 2134/12/2020, il canone di locazione annuale stabilito nel contratto sottoposto a registrazione deve essere integralmente dichiarato dal locatore, anche se le parti ne hanno convenuto una riduzione, a copertura delle spese di adeguamento dei locali sostenute dal conduttore, sempreché tali migliorie sull’immobile restino acquisite dal locatore al temine del contratto.
Un contribuente aveva concesso in locazione un immobile di proprietà, il quale era stato adattato dal conduttore alle sue esigenze commerciali, rinnovando i serramenti e le vetrine, sistemando la sala e l’impianto di climatizzazione estiva: tutti i lavori erano stati effettuati con spese a carico del conduttore. A ristoro di tali spese, le parti contrattuali convenivano di ridurre il canone; in particolare, le parti stabilivano la cancellazione dell’obbligo di versamento delle prime due mensilità, che, quindi, non venivano dichiarate fiscalmente dal locatore. Ne seguiva l’avviso di accertamento per il recupero dell’Irpef dovuta sulla parte di canone non dichiarata.
Il locatore impugnava l’atto impositivo, eccependo, che la parte non dichiarata del canone corrispondeva alla riduzione che aveva accordato al conduttore, per compensarlo delle spese sostenute per i lavori di adattamento del locale commerciale.
I giudici regionali hanno stabilito che in questi casi occorre distinguere l’ipotesi in cui le opere eseguite sull’immobile assolvano esclusivamente agli interessi del conduttore da quella in cui le stesse si traducano comunque in un vantaggio (sia pure successivo alla consegna dell’immobile) in favore del locatore.
In questa ultima fattispecie, infatti, il canone va dal locatore comunque dichiarato nella sua interezza, nel mentre il conduttore può dedurre i costi documentati a tale fine sostenuti.
Nel caso sottoposto al vaglio della Commissione Tributaria Regionale, in effetti, dalle stesse clausole contrattuali risultava che con il cessare della locazione il conduttore avrebbe riconsegnato i locali nello stato in cui si trovavano, e tutte le modificazioni, addizioni e migliorie eseguite dal conduttore sarebbero rimaste a favore del locatore, senza alcun compenso per il conduttore, anche se autorizzati.
Secondo l’opinione del collegio lombardo, le parti in tal caso non hanno affatto aprioristicamente e categoricamente escluso la possibilità per il locatore di trarre vantaggio dalle opere eseguite dal conduttore a cura e spese di quest’ultimo, stabilendo anzi l’automatica acquisizione delle migliorie da parte del locatore, sicché la fattispecie concreta va ricondotta all’ipotesi in cui è obbligo del locatore dichiarare ai fini fiscali l’intero canone annuo, senza alcuna riduzione.
Sulla stessa linea si pone la Suprema corte, secondo cui non è consentito al locatore decurtare i canoni di locazione della parte trattenuta dal conduttore a titolo di pagamento dei lavori di ristrutturazione eseguiti sull’immobile, dato che tali lavori vanno a beneficio del proprietario medesimo, risolvendosi quindi in una forma diversa di corresponsione del canone.
DIRITTO DEL LAVORO
ATTIVITA’ CHIUSA: STOP AL LICENZIAMENTO PER CHI TRASFERISCE UN RAMO D’AZIENDA
L’art. 12, commi 9 e 10, del decreto 137/2020 (primo decreto «Ristori») proibisce fino al prossimo 31
gennaio 2021 tutti i recessi economici, sia di tipo individuale sia di tipo collettivo.
Con questa norma, viene ribadito il divieto di intimare licenziamento per giustificato motivo oggettivo, indipendentemente dal numero dei dipendenti, così come viene ripetuto il divieto di avviare procedure di licenziamento collettivo.
Il divieto ha poi trovato una proroga al 31 marzo 2021 nel Ddl di Bilancio. I recessi esclusi dal divieto
Non sono compresi nel divieto i licenziamenti che hanno natura diversa da quelli appena elencati (giusta causa, giustificato motivo soggettivo, mancato superamento della prova) mentre sussistono dei dubbi relativamente all’estensione del divieto ai dirigenti (che la legge non sembra considerare inclusi): il divieto di licenziamento ha carattere generalizzato. Non ci sono imprese che, in ragione delle dimensioni, sono esentate dalla moratoria.
Il caso del cambio appalto
Le eccezioni al divieto sono molto limitate. La prima riguarda i casi di cambio appalto, se il personale interessato dal recesso sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forma di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto.
La cessazione dell’attività
La seconda eccezione riguarda le ipotesi di licenziamento motivate dalla cessazione definitiva dell’attività d’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività.
Non tutte le cessazioni di attività consentono, tuttavia, di procedere: la legge precisa che, affinché l’impresa possa recedere, nel corso della liquidazione non si deve configurare un trasferimento d’azienda o di suo ramo (magari nascosta dietro la cessione di alcuni beni).
Il fallimento
Un’altra eccezione riguarda i licenziamenti intimati in caso di fallimento dell’azienda, a patto che non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa (o che, ove previsto, ne sia disposta la cessazione). La legge precisa che se l’esercizio provvisorio è disposto per ino specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
L’ultima eccezione, infine, riguarda i recessi preceduti da un accordo sindacale. La scadenza del divieto
Deve poi essere chiarita la data di scadenza del divieto di licenziamento. Inizialmente il primo decreto Xxxxxxx fissava la data di scadenza al 31 gennaio 2021: la legge di Xxxxxxxx per il prossimo anno precede un ulteriore spostamento del termine, e allunga ancora la durata del divieto fino alla fine del mese di marzo 2021.
Il divieto, inoltre, cesserà nella stessa data prevista (31 marzo) senza che abbia alcuna influenza l’eventuale ricorso agli ammortizzatori sociali o la fruizione dell’esonero contributivo introdotto dal cosiddetto Decreto Agosto. Quest’ultimo decreto aveva introdotto un complesso meccanismo che fissava in maniera criptica la durata del divieto di licenziamenti, subordinando la possibilità di licenziare alla preventiva fruizione per intero dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza Covid-19 o dell’esonero dai contributi previdenziali previsto dal medesimo decreto.
PERMANE LA SOLUZIONE DEGLI ESODI INCENTIVANTI CON ACCORDI SINDACALI
Le norme approvate in questi mesi hanno introdotto un’importante eccezione al divieto di licenziamento:
in particolare, è possibile derogare al divieto in presenza di un accordo collettivo aziendale. Questa
dicitura esprime la necessita che l’eventuale accordo debba essere sottoscritto dalle organizzazioni di categoria a livello territoriale o nazionale, non essendo necessaria o sufficiente la sigla delle sole Rsu o Rsa. Non si tratta, a ben vedere, di una vera e propria deroga al divieto di licenziamento ma, piuttosto, di una forma speciale di incentivazione all’esodo che consente la fruizione del trattamento di disoccupazione anche in presenza di una risoluzione volontaria del rapporto di lavoro.
Perché si verifichi questo particolare effetto, la legge richiede innanzitutto che il meccanismo sia consentito e disciplina da un accordo stipulato a livello aziendale dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Questa intesa, secondo la normativa vigente deve avere come scopo il riconoscimento di un «incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro». Si tratta, in altri termini, di un normale piano di incentivazione all’esodo, destinato ai lavoratori che accettano di risolvere il rapporto di lavoro.
Un piano diverso, però, da quelli che normalmente concludono una procedura di licenziamento collettivo, in quanto la legge fissa come unico criterio di accesso quella della volontarietà.
Una precisazione è tuttavia essenziale: il lavoratore che aderisce all’accordo non viene licenziato ma, come specifica la legge, accetta una risoluzione consensuale del rapporto: fattispecie che, fuori da questo meccanismo, non darebbe diritto all’indennità di disoccupazione, salvo casi eccezionali (il trasferimento oltre 50 km, la conciliazione raggiunta nell’ambito della procedura di conciliazione obbligatoria come prevista dalla legge Fornero).
Non sarà necessario, quindi, ricorrere al tradizionale meccanismo del licenziamento e della non opposizione, ma basterà stipulare un accordo di risoluzione consensuale tra le parti.
Sempre per via di questa regola, non sarà possibile prevedere uscite “forzate” di lavoratori che rifiuteranno di aderire all’accordo.
La legge non precisa se i lavoratori che decidono di aderire all’incentivo debbano o meno confermare la loro volontà in appositi accordi individuali da firmare in “sede protetta” in base agli articoli 410 o 411 del Codice di procedura civile: tale opzione potrà, tuttavia, essere prevista dagli accordi sindacali, unitamente a termini e condizioni aggiuntive per manifestare il consenso e accedere all’istituto. Le intese collettive potranno, quindi, subordinare l’efficacia del meccanismo di uscita incentivata dal lavoro alla preventiva firma di un verbale di conciliazione davanti all’Ispettorato del lavoro competente per territorio oppure a una delle altre sedi previste dalla legge (commissioni di certificazione, commissioni sindacali, e così via).
Lo Studio rimane a disposizione per ogni ulteriore chiarimento. Cordiali Saluti.
MN Tax & Legal