SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
13 gennaio 2022 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 1999/70/CE – Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – Clausole 4 e 5 – Contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico
– Insegnanti di religione cattolica – Nozione di “ragioni obiettive” per la giustificazione del rinnovo di simili
contratti – Fabbisogno permanente di personale supplente»
Nella causa C‑282/19,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale di Napoli (Italia), con ordinanza del 13 febbraio 2019, pervenuta in cancelleria il 3 aprile 2019, nel procedimento
YT,
ZU,
AW,
BY,
CX,
DZ,
EA,
FB,
GC,
IE,
JF,
KG,
LH,
MI,
NY,
PL,
HD,
OK
contro
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – MIUR,
Ufficio Scolastico Regionale per la Campania,
con l’intervento di:
Federazione GILDA-UNAMS,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta da X. Xxxxxxxxxx, presidente della Prima Sezione, facente funzione di presidente della Seconda Sezione, I. Xxxxxxx, X. xxx Xxxxxxx, P.G. Xxxxxx e X. Xxxxx (relatore), giudici,
avvocato generale: X. Xxxxxxx
cancelliere: X. Xxxxx Xxxxxxx
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per YT, ZU, AW, BY, CX, DZ, EA, FB, GC, IE, JF, KG, LH, MI, NY e PL, da X. Xxxxxxxxxx, avvocato;
– per HD, da X. Xxxxxxxxxx, avvocata;
– per OK, da V. De Michele, avvocato;
– per la Federazione GILDA-UNAMS, da X. xx Xxxxxxx, avvocato;
– per il governo italiano, da X. Xxxxxxxx, in qualità di agente, assistita da X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx, avvocati dello Stato;
– per la Commissione europea, da X. Xxxxxxxxx, X. xxx Xxxx e X. Xxxxxx, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18 marzo 2021,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle clausole 4 e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43), dell’articolo 1 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L
303, pag. 16), e dell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la
«Carta»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, YT, ZU, AW, BY, CX, DZ, EA, FB, GC, IE, JF, KG, LH, MI, NY, PL, HD e OK (in prosieguo: i «ricorrenti di cui al procedimento principale»), insegnanti di religione cattolica presso istituti di istruzione pubblica, e, dall’altro, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – MIUR (Italia) e l’Ufficio Scolastico Regionale per la Campania (Italia), in merito alla loro domanda di conversione del loro contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Direttiva 1999/70
3 Ai sensi del considerando 14 della direttiva 1999/70:
«[L]e parti contraenti hanno voluto concludere un accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che stabilisce i principi generali e i requisiti minimi per i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato; hanno espresso l’intenzione di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo
l’applicazione del principio di non discriminazione, nonché di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato».
Accordo quadro
4 Il secondo comma del preambolo dell’accordo quadro stabilisce che le parti firmatarie di quest’ultimo
«riconoscono che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori [e] che i contratti a tempo determinato rispondono, in alcune circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori».
5 I punti da 6 a 8 e 10 delle considerazioni generali dell’accordo quadro così recitano:
«6. considerando che i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento;
7. considerando che l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi;
8. considerando che i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica
dell’impiego in alcuni settori, occupazioni e attività atta a soddisfare sia i datori di lavoro sia i lavoratori;
(...)
10. considerando che il presente accordo demanda agli Stati membri e alle parti sociali la formulazione di disposizioni volte all’applicazione dei principi generali, dei requisiti minimi e delle norme in esso stesso contenuti, al fine di tener conto della situazione di ciascuno Stato membro e delle circostanze relative a particolari settori e occupazioni, comprese le attività di tipo stagionale».
6 Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro:
«L’obiettivo del presente accordo quadro è:
a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;
b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».
7 La clausola 2 dell’accordo quadro, intitolata «Campo d’applicazione», al punto 1 prevede quanto
segue:
«Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro».
8 La clausola 3 dell’accordo quadro, intitolata «Definizioni», così dispone:
«1. Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo determinato” indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.
(...)».
9 La clausola 4 dell’accordo quadro, intitolata «Principio di non discriminazione», al punto 1 prevede
quanto segue:
«Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive».
10 La clausola 5 dell’accordo quadro, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», così recita:
«1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
a) devono essere considerati “successivi”;
b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».
11 La clausola 8 dell’accordo quadro, intitolata «Disposizioni di attuazione», è del seguente tenore:
«1. Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente [accordo quadro].
(...)».
Direttiva 2000/78
12 Il considerando 24 della direttiva 2000/78 così recita:
«L’Unione europea, nella dichiarazione n. 11 sullo status delle chiese e delle organizzazioni non
confessionali allegata all’atto finale del trattato di Amsterdam, ha riconosciuto espressamente che rispetta e non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le chiese e le associazioni o comunità religiose degli Stati membri e inoltre che rispetta lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali. In tale prospettiva, gli Stati membri possono mantenere o prevedere disposizioni specifiche sui requisiti professionali essenziali, legittimi e giustificati che possono essere imposti per svolgervi
un’attività lavorativa».
13 L’articolo 1 di tale direttiva dispone che essa mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle
discriminazioni fondate, in particolare, sulla religione o le convinzioni personali, per quanto concerne
l’occupazione e le condizioni di lavoro, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità
di trattamento.
14 L’articolo 2, paragrafi 1 e 2, della direttiva succitata prevede quanto segue:
«1. Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di
qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.
2. Ai fini del paragrafo 1:
a) sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;
b) sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:
i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; (...)
(...)».
Diritto italiano
15 L’articolo 3, commi 4, 7, 8 e 9, della legge del 18 luglio 2003, n. 186 – Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado (GURI n. 170, del 24 luglio 2003), così dispone:
«4. Ciascun candidato [a un concorso] deve (...) essere in possesso del riconoscimento di idoneità (...) rilasciato dall’ordinario diocesano competente per territorio e può concorrere soltanto per i posti disponibili nel territorio di pertinenza della diocesi.
(...)
7. Le commissioni compilano l’elenco di coloro che hanno superato il concorso, valutando, oltre al
risultato delle prove, esclusivamente i titoli (...). Il dirigente regionale approva l’elenco ed invia all’ordinario diocesano competente per territorio i nominativi di coloro che si trovano in posizione utile per occupare i posti delle dotazioni organiche (...). Dall’elenco dei docenti che hanno superato il concorso il dirigente
regionale attinge per segnalare all’ordinario diocesano i nominativi necessari per coprire i posti che si
rendano eventualmente vacanti nelle dotazioni organiche durante il periodo di validità del concorso.
8. L’assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato è disposta dal dirigente regionale, d’intesa con l’ordinario diocesano competente per territorio (...).
9. Ai motivi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dalle disposizioni vigenti si aggiunge la revoca
dell’idoneità da parte dell’ordinario diocesano competente per territorio divenuta esecutiva a norma dell’ordinamento canonico (...)».
16 L’articolo 36, commi 1, 2 e 5, del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165 – Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (Supplemento ordinario alla GURI n. 106 del 9 maggio 2001), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il
«decreto legislativo n. 165/2001»), così disponeva:
«1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (...).
2. Per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale
previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle
procedure di reclutamento vigenti.
(...)
5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative».
17 L’articolo 5, commi 2 e 4‑bis, del decreto legislativo del 6 settembre 2001, n. 368 – Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES (GURI n. 235 del 9 ottobre 2001), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 368/2001», così disponeva:
«2. Se il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi nonché decorso il periodo complessivo di cui al comma 4‑bis, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
(...)
4‑bis. (...) qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2; (...)».
18 L’articolo 10, comma 4‑bis, del decreto legislativo n. 368/2001 così disponeva:
«(...) sono (...) esclusi dall’applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente [e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario; in prosieguo: “ATA”], considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. (...)».
19 Il decreto legislativo del 15 giugno 2015, n. 81 – Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Supplemento ordinario alla GURI n. 144 del 24 giugno 2015) (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 81/2015»), che ha abrogato e sostituito il decreto legislativo n. 368/2001, ha ripreso, in sostanza,
all’articolo 19, la stessa disposizione di cui all’articolo 5, comma 4‑bis, di quest’ultimo decreto legislativo.
Tale articolo 19 era del seguente tenore:
«1. Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a trentasei mesi.
2 Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, (...) la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i trentasei mesi. (...) Qualora il limite dei trentasei mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento».
20 L’articolo 29, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 81/2015 riprende, in sostanza, il tenore
letterale dell’articolo 10, comma 4‑bis, del decreto legislativo n. 368/2001, nella misura in cui dispone che sono altresì esclusi dal campo di applicazione del capo III del decreto legislativo n. 81/2015, relativo al lavoro a tempo determinato, i contratti a tempo determinato stipulati con il personale docente e ATA per il conferimento delle supplenze.
21 L’articolo 309 del decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297 – Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (Supplemento ordinario alla GURI n. 115 del 19 maggio 1994; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 297/1994»), così dispone:
«1. Nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado l’insegnamento della religione cattolica è disciplinato dall’accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede e relativo protocollo addizionale, (...) e dalle intese previste dal predetto protocollo addizionale, punto 5, lettera b).
2. Per l’insegnamento della religione cattolica il capo di istituto conferisce incarichi annuali d’intesa con l’ordinario diocesano secondo le disposizioni richiamate nel comma 1».
22 L’articolo 399 di tale decreto legislativo dispone che l’accesso ai ruoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d’arte, ha luogo, per la metà dei posti a tal fine annualmente assegnabili, mediante concorsi per titoli ed esami e, per la restante metà, attingendo alle graduatorie permanenti di cui all’articolo 401. Nel caso in cui la graduatoria di un concorso per titoli ed esami sia esaurita e rimangano posti ad esso assegnati, questi vanno ad aggiungersi a
quelli assegnati alla corrispondente graduatoria permanente. Detti posti vanno reintegrati in occasione della procedura concorsuale successiva.
23 L’articolo 1, comma 95, della legge del 13 luglio 2015, n. 107 – Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti (GURI n. 162 del 15 luglio 2015; in prosieguo: la «legge n. 107/2015»), dispone che, per l’anno scolastico 2015/2016, il MIUR è autorizzato ad attuare un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado, per la copertura di tutti i posti comuni e di
sostegno dell’organico «di diritto», rimasti vacanti e disponibili all’esito delle operazioni di immissione in ruolo effettuate per il medesimo anno scolastico ai sensi dell’articolo 399 del decreto legislativo n.
297/1994, al termine delle quali sono soppresse le graduatorie dei concorsi per titoli ed esami banditi anteriormente al 2012.
24 L’articolo 40, commi 1 e 5, del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto scuola, del 29 novembre 2007, integrato dal contratto collettivo nazionale del lavoro del 19 aprile 2018, (Supplemento ordinario alla GURI n. 292 del 17 dicembre 2007; in prosieguo: il «CCNL»), stabilisce quanto segue:
«1. Al personale di cui al presente articolo, si applicano le disposizioni di cui ai commi 2, 3, e 4 dell’art.
25.
(...)
5. Gli insegnanti di religione cattolica sono assunti secondo la disciplina di cui all’art. 309 del decreto legislativo [n. 297/1994], mediante contratto di incarico annuale che si intende confermato qualora permangano le condizioni ed i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge».
25 L’articolo 25, comma 3, del CCNL prevede quanto segue:
«I rapporti individuali di lavoro a tempo indeterminato o determinato del personale docente ed educativo degli istituti e scuole statali di ogni ordine e grado, sono costituiti e regolati da contratti individuali, nel rispetto delle disposizioni di legge, della normativa comunitaria e del contratto collettivo nazionale vigente».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
26 I ricorrenti di cui al procedimento principale sono insegnanti di religione cattolica assunti dal MIUR e impiegati presso istituti di istruzione pubblica da svariati anni mediante una successione di contratti a tempo determinato.
27 Ritenendo che tale successione di contratti a tempo determinato sia illegittima e constatando di non aver potuto beneficiare del meccanismo di immissione in ruolo previsto all’articolo 399 del decreto legislativo n. 297/1994, i ricorrenti di cui al procedimento principale sostengono di essere vittime di una discriminazione rispetto ai docenti di altre materie. Essi hanno pertanto proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio al fine di ottenere, in forza dell’articolo 5, commi 2 e 4‑bis, del decreto legislativo n. 368/2001, la conversione dei loro attuali contratti in contratti a tempo indeterminato o, in subordine, il risarcimento del danno subìto a causa della stipulazione di una successione di contratti a tempo determinato.
28 La Federazione GILDA‑UNAMS, associazione professionale e sindacale di insegnanti, intervenuta nel procedimento principale in qualità di organizzazione sindacale firmataria del CCNL, sostiene, in particolare, che gli insegnanti di religione cattolica sono vittime di discriminazione per via dell’impossibilità di conversione del loro rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, pur essendo essi in possesso della stessa idoneità all’insegnamento degli altri docenti.
29 Il giudice del rinvio ritiene che nessuna delle domande dei ricorrenti di cui al procedimento principale possa essere accolta alla luce del diritto italiano.
30 A tale riguardo, esso precisa anzitutto che, alla data di deposito del ricorso dei ricorrenti di cui al procedimento principale, i loro rispettivi contratti di lavoro avevano tutti una durata complessiva superiore ai 36 mesi. Orbene, benché, in tal caso, in linea di principio, il decreto legislativo n. 368/2001 preveda la conversione dei contratti a tempo determinato successivi in contratto a tempo indeterminato, l’articolo 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001 escluderebbe tuttavia espressamente una tale conversione nel settore del pubblico impiego.
31 Esso rileva poi che, sebbene la successione continuativa di contratti di lavoro a tempo determinato oltre i 36 mesi possa inoltre, in forza dell’articolo 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001, essere sanzionata mediante il risarcimento del danno subìto dal lavoratore a causa di tale successione, l’articolo
10, comma 4‑bis, del decreto legislativo n. 368/2001 escluderebbe tuttavia una simile possibilità nel settore
dell’insegnamento, come l’articolo 29, comma 2, del decreto legislativo n. 81/2015 avrebbe ulteriormente confermato.
32 Inoltre, il giudice del rinvio sottolinea che i ricorrenti nel procedimento principale non hanno potuto beneficiare dell’immissione in ruolo né in forza dell’articolo 399 del decreto legislativo n. 297/1994 né in forza della legge n. 107/2015, la quale ha consentito una generale regolarizzazione del personale docente precario, autorizzando la conclusione di contratti a tempo indeterminato.
33 Da tali elementi emergerebbe che il diritto italiano non prevede alcuna misura di prevenzione
dell’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro, per gli insegnanti di religione cattolica impiegati presso istituti pubblici. Il giudice del rinvio si chiede, pertanto, se il diritto italiano sia conforme al diritto dell’Unione.
34 A questo proposito, esso riferisce che, secondo la costante giurisprudenza della Corte suprema di
cassazione (Italia), l’articolo 10, comma 4‑bis, del decreto legislativo n. 368/2001, che è lex specialis,
esclude, nel settore dell’insegnamento, la conversione dei contratti a tempo determinato, stipulati per il
conferimento delle supplenze, in contratti a tempo indeterminato.
35 Il giudice del rinvio precisa altresì che, secondo la Corte costituzionale (Italia), che ha eseguito un
controllo di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 4‑bis, del decreto legislativo n. 368/2001 e dell’articolo 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001, sarebbe impossibile, nel settore del pubblico impiego, convertire un rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
36 Secondo il giudice del rinvio, tale giurisprudenza sarebbe contraria a quella derivante dalla sentenza del 25 ottobre 2018, Xxxxxxx (C‑331/17, EU:C:2018:859), con la quale la Corte avrebbe concluso che la clausola 5 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale in forza della quale non sono applicabili al settore di attività delle fondazioni lirico‑sinfoniche le norme di diritto comune disciplinanti i rapporti di lavoro e intese a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato attraverso la conversione automatica di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, nel caso in cui il rapporto di lavoro perduri oltre una certa data, qualora non esista nessun’altra misura effettiva nell’ordinamento giuridico interno che sanzioni gli abusi constatati in tale settore.
37 Infine, il giudice del rinvio ricorda che l’insegnamento della religione cattolica è subordinato al rilascio all’insegnante, da parte dell’ordinario diocesano, di un «riconoscimento di idoneità» (in prosieguo:
l’«idoneità» o il «titolo di idoneità»), che non sia stato revocato. La revoca dell’idoneità costituirebbe quindi un motivo valido di licenziamento, aspetto che comproverebbe ulteriormente la precarietà del rapporto di lavoro di un insegnante di religione cattolica.
38 Ciò considerato, il Tribunale di Napoli (Italia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se il diverso trattamento riservato ai soli insegnanti di religione cattolica, quali gli istanti [nel procedimento principale], costituisca discriminazione per motivi religiosi, ai sensi dell’articolo 21 della Carta (...) e della direttiva [2000/78] ovvero se la circostanza che [l’]idoneità già in possesso del lavoratore possa essere revocata sia ragione giustificatrice idonea perché solo gli insegnanti di religione cattolica, quali gli istanti [nel procedimento principale], siano trattati diversamente dagli altri docenti, non beneficiando di alcuna misura ostativa prevista dalla Clausola 5 dell’accordo quadro (...);
2) in ipotesi di ritenuta sussistenza di discriminazione diretta, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [2000/78], per motivi religiosi (articolo 1), nonché ai sensi della Carta (...), deve interrogarsi la Corte circa gli strumenti che questo giudice può adoperare per eliminarne le conseguenze, tenuto conto che tutti i docenti diversi dagli insegnanti di religione cattolica sono stati destinatari del piano
straordinario di assunzioni di cui alla legge 107/15, ottenendo la immissione in ruolo con conseguente contratto di lavoro a tempo indeterminato, e, dunque, se questo giudice debba costituire un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la Amministrazione convenuta [nel procedimento principale];
3) se la clausola 5 dell’accordo quadro (...) debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi, in forza della quale le norme di diritto comune disciplinanti i rapporti di lavoro, intese a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato tramite la conversione automatica del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato qualora il rapporto di lavoro perduri oltre una data precisa, non sono applicabili al settore scuola, con specifico riferimento ai docenti di religione cattolica, in modo tale da consentire una successione di contratti di lavoro a tempo determinato per un periodo di tempo indefinito; in particolare se possa costituire ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro la
necessità d’intesa con l’ordinario diocesano, ovvero, di contro, debba ritenersi una discriminazione vietata ai sensi dell’articolo 21 della [Carta];
4) in ipotesi di risposta positiva al quesito sub 3 se l’articolo 21 della [Carta], la clausola 4 dell’accordo quadro (...) e/o l’articolo 1 della direttiva [2000/78] consentano la disapplicazione [delle] norme che impediscono la conversione automatica di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato qualora il rapporto di lavoro perduri oltre una data precisa».
Sulla competenza della Corte
39 Il governo italiano, invocando l’articolo 17, paragrafo 1, TFUE, ritiene che la Corte non sia competente
a rispondere alle questioni pregiudiziali sottopostele dal giudice del rinvio, in quanto tali questioni
riguardano i rapporti tra l’ordinamento giuridico della Repubblica italiana e un ordinamento giuridico confessionale, nella fattispecie l’ordinamento giuridico della Chiesa cattolica, rapporti che rientrano esclusivamente nell’ambito del diritto interno.
40 L’articolo 17, paragrafo 1, TFUE imporrebbe un obbligo di rispetto dello status di cui godono, in virtù del diritto nazionale, in particolare le chiese, che si tradurrebbe in una non ingerenza nelle questioni strettamente religiose e che sarebbe stato sancito dalla Corte EDU nella sua sentenza del 15 maggio 2012, Xxxxxxxxx Xxxxxxxx x. Xxxxxx (CE:ECHR:2012:0515JUD005603007).
41 Nel caso di specie, il rapporto di lavoro tra l’istituto scolastico di cui trattasi e gli insegnanti di
religione cattolica sarebbe disciplinato dall’Accordo di revisione del Concordato, stipulato il 18 febbraio 1984 tra la Repubblica italiana e la Santa Sede (in prosieguo: il «Concordato»), e dal suo protocollo
addizionale. Ai sensi del punto 5 di quest’ultimo, l’insegnamento della religione cattolica sarebbe impartito
da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità scolastica.
42 Secondo il canone 804, § 2, del codice di diritto canonico, l’ordinario del luogo veglierebbe a che coloro i quali sono deputati come insegnanti della religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica. Sarebbe quindi pacifico che esiste un nesso tra, da un lato, l’idoneità e, dall’altro, l’assunzione e la permanenza
dell’insegnante di religione cattolica nel rapporto di lavoro.
43 Ne conseguirebbe che la constatazione della sussistenza di una discriminazione, ai sensi della direttiva 2000/78, nei confronti degli insegnanti di religione cattolica degli istituti di istruzione pubblica
comporterebbe necessariamente un inadempimento dell’obbligo di non ingerenza che sarebbe espressamente sancito dall’articolo 17 TFUE.
44 Ciò premesso, il governo italiano sottolinea la facoltatività dell’insegnamento della religione cattolica, come risulta, in particolare, dall’articolo 9, comma 2, del Concordato, confermata altresì dalla Corte costituzionale. Tale facoltatività si ripercuoterebbe necessariamente sulla disciplina applicabile al rapporto di lavoro degli insegnanti di religione cattolica. La «domanda» di tale insegnamento sarebbe, in particolare, imprevedibile ed estremamente mutevole nel tempo, anche a breve termine, poiché dipenderebbe in modo integrale dalla scelta degli alunni e/o dei loro genitori di avvalersi o no di detto insegnamento. Il governo italiano ne deduce che il rapporto di lavoro degli insegnanti di religione cattolica deve essere improntato a speciale flessibilità, con la conseguente necessità che circa il 30% degli insegnanti di religione cattolica stipulino un contratto a tempo determinato.
45 Inoltre, il governo italiano ricorda che l’articolo 351 TFUE prevede che le disposizioni dei trattati non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958, tra uno o più Stati membri, da una parte, e uno o più Stati terzi, dall’altra. Orbene, l’Accordo del 1984 avrebbe modificato il Concordato del 1929, il cui articolo 36 prevedeva già che l’insegnamento della religione
cattolica fosse affidato a personale che avesse ottenuto l’approvazione dell’autorità ecclesiastica o,
comunque, che fosse munito di un certificato di idoneità rilasciato dall’ordinario diocesano, la cui revoca
era sufficiente a privare l’insegnante dell’idoneità a insegnare.
46 A questo proposito, occorre ricordare, in primo luogo, che, a norma dell’articolo 17, paragrafo 1, TFUE, l’Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale.
47 Da tale disposizione non consegue tuttavia, come ha dichiarato la Corte, che una differenza di trattamento contenuta in una normativa nazionale, che prevede la concessione a taluni lavoratori di un giorno festivo destinato a consentire la celebrazione di una festa religiosa, sia esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 e che la conformità di una tale differenza di trattamento a questa
direttiva esuli da un sindacato giurisdizionale effettivo (sentenza del 22 gennaio 0000, Xxxxxx Xxxxxxxxxxxxx, X‑193/17, EU:C:2019:43, punto 31).
48 Allo stesso modo, la suddetta disposizione non può implicare che un’eventuale differenza di
trattamento, contenuta nella normativa nazionale che prevede sanzioni in caso di abuso nell’utilizzo di una
successione di contratti a tempo determinato negli istituti di istruzione pubblica tra gli insegnanti di
religione cattolica di tali istituti e gli altri docenti, sia esclusa dall’ambito di applicazione sia di tale direttiva
sia dell’accordo quadro.
49 Infatti, da un lato, la formulazione dell’articolo 17 TFUE corrisponde, in sostanza, a quella della dichiarazione n. 11 sullo status delle chiese e delle organizzazioni non confessionali, allegata all’atto finale del Trattato di Amsterdam. Xxxxxx, il fatto che quest’ultima sia esplicitamente citata al considerando 24 della direttiva 2000/78 mette in risalto che il legislatore dell’Unione ha necessariamente tenuto conto di detta dichiarazione al momento di adottare la suddetta direttiva (sentenza del 22 gennaio 0000, Xxxxxx Xxxxxxxxxxxxx, X‑193/17, EU:C:2019:43, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).
50 Dall’altro lato, l’articolo 17 TFUE esprime, certo, la neutralità dell’Unione nei confronti
dell’organizzazione, da parte degli Stati membri, dei loro rapporti con le chiese e le associazioni o comunità religiose (sentenze del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 58; dell’11 settembre 2018, IR, C‑68/17, EU:C:2018:696, punto 48, e del 22 gennaio 0000, Xxxxxx Xxxxxxxxxxxxx, X‑193/17, EU:C:2019:43, punto 33).
51 Tuttavia, occorre constatare che le disposizioni nazionali di cui al procedimento principale non sono dirette a organizzare i rapporti tra uno Stato membro e le chiese, nella fattispecie la chiesa cattolica, ma riguardano le condizioni di lavoro degli insegnanti di religione cattolica presso gli istituti pubblici (v., per analogia, sentenza del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation, C‑193/17, EU:C:2019:43, punto 33).
52 Esiste senz’altro, come sostiene la Repubblica italiana, un nesso tra, da un lato, l’idoneità rilasciata
agli insegnanti di religione cattolica e, dall’altro, l’assunzione e la permanenza di tali insegnanti nel rapporto di lavoro. Tuttavia, non soltanto il rilascio e la revoca di tale idoneità, nonché le conseguenze che possono derivarne, presentano un nesso con l’assunzione e la permanenza di detti insegnanti nel rapporto di lavoro, ma inoltre la competenza dell’ordinario diocesano non è messa in discussione dalle disposizioni menzionate nelle questioni pregiudiziali e permarrà, a prescindere dal fatto che i ricorrenti nel procedimento principale riescano o no a ottenere la conversione del loro contratto a tempo determinato in contratto a tempo
indeterminato. Inoltre, l’applicazione dell’accordo quadro ai fatti di cui al procedimento principale non richiede una pronuncia sulla facoltatività dell’insegnamento della religione cattolica.
53 Ne consegue che nel procedimento principale non è in discussione lo «status» di cui godono, in virtù del diritto italiano, le chiese menzionate all’articolo 17, paragrafo 1, TFUE, quale, nel caso di specie, la Chiesa cattolica.
54 La competenza della Corte nella presente causa non può essere rimessa in discussione neppure
dall’articolo 351, paragrafo 1, TFUE, ai sensi del quale «[l]e disposizioni dei trattati non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra».
55 Occorre ricordare, a tale riguardo, che tale disposizione mira a consentire agli Stati membri di rispettare i diritti che, in conformità del diritto internazionale, gli Stati terzi vantano sulla base delle suddette convenzioni precedenti [parere 2/15 (Accordo di libero scambio con Singapore), del 16 maggio 2017, EU:C:2017:376, punto 254 e giurisprudenza ivi citata].
56 Xxxxxx, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 43 delle conclusioni, detta disposizione non è pertinente ai fini del procedimento principale, in quanto gli accordi conclusi con la Santa Sede o ad essa connessi riguardano la competenza degli ordinari diocesani a emettere e revocare l’idoneità
all’insegnamento della religione cattolica, competenza che non è messa in discussione, come risulta dal punto 52 della presente sentenza, dalle disposizioni menzionate nelle questioni pregiudiziali, in particolare dalla clausola 5 dell’accordo quadro.
57 Ciò posto, si deve ritenere che la Corte sia competente a statuire sulla domanda di pronuncia pregiudiziale.
Sulle questioni pregiudiziali
58 Con le questioni pregiudiziali poste, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, da un lato, se il divieto di discriminazione fondata sulla religione, ai sensi della direttiva 2000/78 e dell’articolo 21 della Carta, nonché la clausola 5 dell’accordo quadro debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che esclude gli insegnanti di religione cattolica degli
istituti di istruzione pubblica dall’applicazione delle norme dirette a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, e, dall’altro, se tale clausola debba essere interpretata nel senso che la necessità di un’idoneità rilasciata da un’autorità ecclesiastica al fine di consentire a tali insegnanti di impartire l’insegnamento della religione cattolica costituisca una «ragione obiettiva» ai sensi del punto 1, lettera a), della medesima clausola.
59 Occorre ricordare anzitutto che, conformemente all’articolo 1 della direttiva 2000/78, e come risulta sia dal titolo e dal preambolo sia dal contenuto e dalla finalità della stessa, tale direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate, segnatamente, sulla religione per quanto
concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento, offrendo ad ogni persona una tutela efficace contro le discriminazioni fondate, in particolare, su tale motivo di discriminazione (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2021, Szpital
Kliniczny im. dra X. Xxxxxxxxxxx Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie, C‑16/19,
EU:C:2021:64, punto 32).
60 Tale direttiva concretizza dunque, nel settore da essa disciplinato, il principio generale di non
discriminazione ora sancito dall’articolo 21 della Carta (sentenza del 26 gennaio 2021, Szpital Kliniczny im. dra X. Xxxxxxxxxxx Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie, C‑16/19, EU:C:2021:64, punto 33).
61 Ne consegue che, quando è investita di una questione pregiudiziale vertente sull’interpretazione del principio generale di non discriminazione in base alla religione, quale sancito dall’articolo 21 della Carta, nonché delle disposizioni della direttiva 2000/78, le quali attuano tale articolo 21 e contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi del medesimo, nel contesto di una controversia tra un singolo e
un’amministrazione pubblica, la Corte esamina tale questione alla luce di tale direttiva (v., in tal senso, sentenza del 13 novembre 2014, Xxxxx Xxxxx, C‑416/13, EU:C:2014:2371, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).
62 Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, per «principio della parità di
trattamento» si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1 della stessa direttiva. L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di detta direttiva precisa che sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1 della medesima direttiva, tra i quali figura la religione, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto lo sia un’altra persona che si trovi in una situazione analoga. A norma dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della stessa, sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione rispetto ad altre persone.
63 Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte, dato che la Corte EDU, in particolare nella sua sentenza del 15 maggio 2012, Xxxxxxxxx Xxxxxxxx x. Xxxxxx (CE:ECHR:2012:0515JUD005603007), e, successivamente, la Carta attribuiscono alla nozione di «religione» un’accezione ampia, poiché includono in tale nozione la libertà per le persone di manifestare la propria religione, si deve ritenere che il legislatore dell’Unione abbia inteso mantenere lo stesso approccio nell’adottare la direttiva 2000/78, cosicché occorre interpretare la nozione di «religione» di cui all’articolo 1 di tale direttiva nel senso che essa comprende sia il forum internum, ossia il fatto di avere convinzioni, sia il forum externum, ossia la manifestazione pubblica della fede religiosa (sentenza del 14 marzo 2017, G 4S Secure Solutions, C‑157/15, EU:C:2017:203, punto 28).
64 Orbene, nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che la normativa nazionale di cui al procedimento principale priva gli insegnanti di religione cattolica degli istituti di istruzione pubblica, quali i ricorrenti nel procedimento principale, della possibilità di convertire il loro contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato e/o di ottenere un risarcimento per il danno subìto a causa della successione di contratti a tempo determinato non già in considerazione della loro religione, bensì, al pari degli altri docenti di tali istituti, per il fatto che essi
rientrano nel settore dell’insegnamento pubblico. Inoltre, se, a differenza di questi ultimi, essi non hanno beneficiato delle procedure applicabili in forza dell’articolo 399 del decreto legislativo n. 297/1994 né del piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge n. 107/2015 non è per questo motivo, ma per via della durata annuale dei loro incarichi, che non consentiva il loro inserimento nelle graduatorie permanenti, il quale era necessario per le immissioni in ruolo avvenute a tali titoli. Infine, una tale durata non ha alcun nesso con il rilascio dell’idoneità e la professione di fede necessari per l’insegnamento della religione cattolica, né con la possibilità di revoca di tale idoneità, giacché tali elementi riguardano anche gli insegnanti di religione cattolica assunti a tempo indeterminato.
65 Pertanto, ammettendo che gli insegnanti di religione cattolica degli istituti di istruzione pubblica si trovino in una situazione analoga a quella dei docenti di altre materie in questi stessi istituti, titolari di un contratto a tempo determinato e che abbiano beneficiato di detto articolo 399 o di detto piano, una simile differenza di trattamento non è fondata sulla religione, ma riguarda soltanto la disciplina applicabile al rapporto di lavoro.
66 Infine, il giudice del rinvio non si è interrogato sull’eventuale sussistenza di una discriminazione
indiretta, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78, e la domanda di pronuncia pregiudiziale non contiene elementi che consentano di ritenere che il criterio apparentemente neutro previsto nella normativa di cui al procedimento principale metta, di fatto, in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione.
67 Tuttavia, come rilevato dalla Commissione, il pregiudizio lamentato dai ricorrenti nel procedimento
principale, derivante esclusivamente dall’impossibilità di avvalersi degli strumenti di tutela previsti nel diritto nazionale per sanzionare l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato, è oggetto di una normativa specifica dell’Unione, ossia quella prevista dall’accordo quadro.
68 Ciò considerato, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio per risolvere la controversia di cui è investito, si devono riformulare le questioni pregiudiziali esclusivamente alla luce delle pertinenti
disposizioni dell’accordo quadro e ritenere che, con le sue questioni, tale giudice xxxxxx, in sostanza, se la
clausola 5 dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che esclude gli insegnanti di religione cattolica dall’applicazione delle norme dirette a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, e se la necessità di un’idoneità rilasciata da un’autorità ecclesiastica costituisca una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a),
dell’accordo quadro. Nel caso in cui la normativa nazionale non preveda alcuna misura idonea a prevenire, ai sensi della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, o a sanzionare gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, detto giudice si chiede se la clausola 4 dell’accordo quadro consenta di disapplicare le norme che impediscono la conversione automatica di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, qualora il rapporto di lavoro si protragga oltre un certo periodo.
69 In xxx xxxxxxxxxxx, xx deve ricordare che dalla stessa formulazione della clausola 2, punto 1,
dell’accordo quadro risulta che l’ambito d’applicazione di quest’ultimo è concepito in senso ampio, poiché riguarda in generale i «lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro».
Inoltre, la definizione della nozione di «lavorator[i] a tempo determinato» ai sensi della clausola 3, punto 1, dell’accordo quadro include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro (ordinanza del 21 settembre 2016, Xxxxxxx, C‑614/15, EU:C:2016:726, punto 33).
70 Atteso che l’accordo quadro non esclude alcun settore particolare dal suo ambito di applicazione,
esso si applica quindi anche al personale assunto nel settore dell’insegnamento impartito presso istituti
pubblici (v., in tal senso, sentenza del 26 novembre 2014, Xxxxxxx e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 69).
71 Ne consegue che lavoratori quali i ricorrenti nel procedimento principale, impiegati dal MIUR e i cui contratti di lavoro sono conclusi a tempo determinato, rientrano nell’ambito di applicazione dell’accordo quadro.
72 Per quanto concerne la clausola 4 dell’accordo quadro, va ricordato che, per costante giurisprudenza, poiché il principio di non discriminazione è stato attuato e concretizzato dall’accordo quadro solo per quanto riguarda le differenze di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in situazioni comparabili, le eventuali differenze di trattamento tra
determinate categorie di personale a tempo determinato non rientrano nell’ambito del principio di non discriminazione sancito da detto accordo quadro (v., in tal senso, sentenza del 21 novembre 2018, Xxxxxxxxxx Xxxxxx e de la Xxxx Xxxxxxxx, C‑245/17, EU:C:2018:934, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
73 In particolare, la clausola 4 dell’accordo quadro mira a dare applicazione al principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di impiego di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare tali lavoratori di diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato (sentenza del 17 marzo 2021, Consulmarketing, C‑652/19, EU:C:2021:208, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).
74 Orbene, il fatto che taluni lavoratori a tempo determinato, come i ricorrenti nel procedimento principale, non possano beneficiare di una conversione del loro contratto di lavoro in contratto a tempo
indeterminato, mentre altri lavoratori dell’insegnamento pubblico che insegnano altre materie e si trovano in una situazione comparabile potevano farlo, costituisce appunto una differenza di trattamento tra due categorie di lavoratori a tempo determinato.
75 Ne consegue che, in una situazione del genere, il giudice del rinvio non può disapplicare le norme nazionali che impediscono, nel caso degli insegnanti di religione cattolica degli istituti di istruzione pubblica, la conversione automatica di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato qualora il rapporto di lavoro si protragga oltre una certa data sulla base della clausola 4 dell’accordo
quadro, dal momento che tale situazione non rientra nell’ambito di tale clausola.
76 Quanto alla clausola 5 dell’accordo quadro, occorre ricordare che tale clausola ha lo scopo di attuare uno degli obiettivi perseguiti dallo stesso, vale a dire delimitare il ripetuto ricorso ai contratti o ai rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come potenziale fonte di abuso a danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima volte ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (sentenza del 3 giugno 2021, Instituto Madrileño de Investigación y Desarrollo Rural, Agrario y Alimentario, C‑726/19, EU:C:2021:439, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).
77 Come risulta dal secondo comma del preambolo dell’accordo quadro nonché dai punti da 6 a 8 delle considerazioni generali di detto accordo quadro, infatti, il beneficio della stabilità dell’impiego è inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori, laddove soltanto in alcune circostanze i contratti di
lavoro a tempo determinato sono atti a rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori [v.,
in tal senso, sentenza del 3 giugno 2021, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca − MIUR e
a. (Ricercatori universitari), C‑326/19, EU:C:2021:438, punto 65 e giurisprudenza ivi citata].
78 Pertanto, la clausola 5 dell’accordo quadro impone, al suo punto 1, agli Stati membri, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato,
l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure che essa elenca, qualora il loro diritto interno non contenga norme equivalenti. Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di tale clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo di simili contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale di tali contratti o rapporti di lavoro successivi e al
numero massimo di rinnovi di questi ultimi (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
79 Gli Stati membri dispongono, a tale riguardo, di un margine di discrezionalità, dal momento che possono scegliere di far ricorso a una o più delle misure elencate nella clausola 5, punto 1, lettere da a) a c), dell’accordo quadro oppure a norme equivalenti esistenti. In tal modo la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro assegna agli Stati membri un obiettivo generale, consistente nella prevenzione di simili abusi, lasciando loro al contempo la scelta dei mezzi per conseguirlo, purché essi non rimettano in discussione lo scopo o l’effetto utile di tale accordo quadro (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).
80 Come emerge dalla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro e conformemente al terzo comma del preambolo nonché ai punti 8 e 10 delle considerazioni generali del medesimo, è nell’ambito dell’attuazione dell’accordo quadro che gli Stati membri hanno facoltà, in quanto ciò sia oggettivamente giustificato, di tener conto delle esigenze particolari relative ai settori di attività e/o alle categorie specifici di lavoratori in questione (sentenza del 25 ottobre 2018, Xxxxxxx, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).
81 Inoltre, la clausola 5 dell’accordo quadro non prevede sanzioni specifiche nell’ipotesi in cui siano stati nondimeno constatati abusi. In un caso del genere, spetta alle autorità nazionali adottare misure che siano non soltanto proporzionate, ma altresì sufficientemente effettive e dissuasive da garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).
82 Pertanto, la clausola 5 dell’accordo quadro non enuncia un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato. Infatti, la clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro lascia, in linea di principio, agli Stati membri il compito di determinare a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato vadano considerati come conclusi a tempo indeterminato. Da ciò discende che l’accordo quadro non prescrive le condizioni in presenza delle quali si possa fare uso dei contratti a tempo indeterminato
(sentenza del 3 giugno 2021, Instituto Madrileño de Investigación y Desarrollo Rural, Agrario y Alimentario, C‑726/19, EU:C:2021:439, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).
83 D’altra parte, affinché una simile normativa nazionale possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve tuttavia prevedere un’altra misura effettiva per prevenire e, se del caso, sanzionare l’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).
84 Ne consegue che, quando si sia verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, deve potersi applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e rimuovere le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione. Infatti, secondo i termini stessi dell’articolo 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in
grado di garantire i risultati prescritti da [tale] direttiva» (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).
85 Pertanto, si deve ritenere che, nel caso di specie, se risulta che non esiste, nella normativa nazionale di cui al procedimento principale, nessun’altra misura effettiva per prevenire e sanzionare gli abusi eventualmente constatati nei confronti del personale del settore dell’insegnamento pubblico della regione cattolica, una simile situazione sarebbe idonea a pregiudicare l’obiettivo e l’effetto utile della clausola 5
dell’accordo quadro.
86 A tale riguardo, occorre ricordare che non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione delle
disposizioni di diritto interno, compito che incombe ai giudici nazionali competenti, i quali devono
determinare se le prescrizioni di cui alla clausola 5 dell’accordo quadro siano soddisfatte dalle disposizioni della normativa nazionale applicabile (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).
87 Incombe pertanto, nel caso di specie, al giudice del rinvio valutare entro quali limiti le condizioni per l’applicazione nonché l’effettiva attuazione delle disposizioni rilevanti del diritto interno costituiscano una misura adeguata per prevenire e, se del caso, sanzionare l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
88 Tuttavia la Corte, statuendo su rinvio pregiudiziale, può eventualmente apportare precisazioni per guidare tali giudici nella loro valutazione (sentenza del 19 marzo 2020, Xxxxxxx Xxxx e a., C‑103/18 e C‑429/18, EU:C:2020:219, punto 91 e giurisprudenza ivi citata).
89 Dall’ordinanza di rinvio emerge, da un lato, che la normativa nazionale di cui al procedimento
principale consente l’assunzione, nel settore dell’insegnamento pubblico della religione cattolica, di un gran
numero di docenti mediante una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, senza prevedere alcuno dei limiti di cui alla clausola 5, punto 1, lettere b) e c), dell’accordo quadro quanto alla durata massima totale di tali contratti o al numero di rinnovi dei medesimi e, dall’altro, che i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in detto settore sono espressamente esclusi dall’ambito di applicazione delle disposizioni nazionali che consentono la conversione di contratti di questo tipo, stipulati in successione oltre una determinata durata, in contratti di lavoro a tempo indeterminato nonché, eventualmente, il risarcimento del danno subìto a seguito di una simile successione.
90 Inoltre, secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, i ricorrenti nel procedimento principale non sarebbero neppure destinatari delle procedure applicabili ai sensi dell’articolo 399 del decreto legislativo n. 297/1994 né del piano straordinario di assunzione di docenti a tempo indeterminato istituito dal MIUR, i quali sono stati equiparati dalla Corte a una forma di trasformazione di contratti di lavoro a
tempo determinato in contratto a tempo indeterminato (sentenza dell’8 maggio 2019, Xxxxxxx e
Conservatorio di Musica F. A. Bonporti, C‑494/17, EU:C:2019:387, punti da 32 a 36).
91 Ciò premesso, occorre verificare se il ricorso, nel settore dell’insegnamento pubblico della religione
cattolica, a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato possa essere giustificato
dall’esistenza, nel diritto nazionale, di ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a),
dell’accordo quadro, e, più in particolare, se il rilascio dell’idoneità da parte dell’ordinario diocesano al fine di consentire all’insegnante di religione cattolica di insegnare tale materia possa costituire una simile ragione obiettiva.
92 Si deve infatti rilevare che, come indica il punto 7 delle considerazioni generali dell’accordo quadro, le parti firmatarie di quest’ultimo hanno ritenuto che l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su «ragioni obiettive» sia un modo di prevenire gli abusi (sentenza del 3 giugno 2021, Instituto Madrileño de Investigación y Desarrollo Rural, Agrario y Alimentario, C‑726/19, EU:C:2021:439, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).
93 Per quanto riguarda la nozione di «ragioni obiettive», ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, essa deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto,
l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti di tal genere, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).
94 Al contrario, una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare, in modo generale e astratto, attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato non sarebbe conforme agli obblighi precisati al precedente punto. Infatti, una simile disposizione puramente formale non consente di stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di simili contratti risponda effettivamente a un’esigenza reale, se esso sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tale effetto. La suddetta disposizione comporta dunque un rischio
concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti e, pertanto, non è compatibile con
l’obiettivo e con l’effetto utile dell’accordo quadro (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos
e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punti 60 e 61 e giurisprudenza ivi citata).
95 Il governo italiano avanza vari argomenti volti a dimostrare l’esistenza, nel caso di specie, di circostanze precise e concrete tali da giustificare il ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato per gli insegnanti di religione cattolica degli istituti pubblici, circostanze scaturenti principalmente dal rapporto tra la Repubblica italiana e la Santa Sede nonché dalla flessibilità organizzativa richiesta per l’insegnamento della religione cattolica.
96 Per quanto riguarda il primo aspetto, il governo italiano sottolinea, anzitutto, che l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche è una peculiarità del sistema educativo italiano. Il legame di speciale fiducia che deve esistere tra l’insegnante di tale materia e l’ordinario diocesano comporta la
necessaria valutazione del candidato all’insegnamento della religione cattolica da parte del vescovo stesso al fine di impedire che l’insegnamento sia contrario alle prescrizioni dell’accordo concluso tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, dando al vescovo diocesano la possibilità di valutare, anno dopo anno, l’idoneità di ciascun insegnante.
97 Tale governo si basa poi sul fatto che un insegnante di religione cattolica potrebbe insegnare tale materia solo in seguito al rilascio dell’idoneità da parte del vescovo diocesano, il quale valuta se
l’insegnante in questione presenti i requisiti previsti dal diritto canonico e se tale idoneità possa essere mantenuta nel tempo. A questo proposito, il governo italiano precisa che la «ragione obiettiva», ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, deriverebbe non già dall’eventuale revoca di una simile idoneità, bensì dalla necessità di rispettare il Concordato nonché di dispensare un insegnamento della religione cattolica che sia conforme ai suoi principi, in particolare al fine di soddisfare le aspettative degli alunni e dei loro genitori.
98 Inoltre, concorrendo, conformemente al Concordato, in piena autonomia, in particolare alla determinazione dei profili degli insegnanti, al riconoscimento della loro idoneità e alla loro designazione, la Chiesa cattolica assumerebbe le responsabilità connesse ai tratti confessionali di un insegnamento nei cui riguardi lo Stato rimane aperto e disponibile ma non diviene partecipe. Quest’ultimo riconoscerebbe il valore della cultura religiosa e terrebbe conto del fatto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico italiano, pur mantenendo la distanza propria di uno Stato laico pluralista che non si identificherebbe con nessuna confessione religiosa.
99 Per quanto riguarda il secondo aspetto, il governo italiano afferma che l’elevato numero di contratti a tempo determinato nel settore dell’insegnamento della religione cattolica assicurerebbe la flessibilità conseguente alla facoltatività di tale insegnamento, il che consentirebbe di adeguare il numero necessario di insegnanti semplicemente non rinnovando un dato numero di contratti annuali, anziché risolvendo contratti a tempo indeterminato. Tale approccio, che consentirebbe quindi di rispondere in modo adeguato alla contrazione della domanda di insegnamento della religione cattolica dovuta a detta facoltatività, sarebbe approvato dalla Corte costituzionale e costituirebbe, inoltre, un’espressione della salvaguardia degli interessi finanziari e organizzativi dello Stato.
100 Per quanto attiene, in primo luogo, all’argomento relativo al legame di speciale fiducia che deve esistere tra l’insegnante di religione cattolica e il vescovo diocesano, è sufficiente constatare che tale
legame riguarda tanto gli insegnanti che hanno stipulato un contratto a tempo indeterminato quanto quelli titolari di un contratto a tempo determinato, sicché tale argomento non può essere invocato per giustificare il ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato.
101 Per quanto attiene, in secondo luogo, alla salvaguardia della cultura religiosa e del patrimonio storico italiano, occorre rilevare che, per quanto tale obiettivo possa essere considerato meritevole di tutela costituzionale, il governo italiano non spiega tuttavia come il perseguimento di detto obiettivo possa
giustificare l’assunzione del 30% degli insegnati di religione cattolica per mezzo di contratti a tempo
determinato (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2018, Xxxxxxx, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 45).
102 Ciò posto, occorre nondimeno constatare, in terzo luogo, che non è escluso che il settore
dell’insegnamento pubblico della religione cattolica richieda un costante adeguamento tra il numero di lavoratori ivi impiegati e il numero di potenziali utenti, come sottolinea il governo italiano, il che comporta, per il datore di lavoro, esigenze provvisorie in materia di assunzione. In tal senso, l’assunzione temporanea di un lavoratore al fine di soddisfare le esigenze provvisorie e specifiche del datore di lavoro in termini di personale può, in via di principio, costituire una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1,
lettera a), dell’accordo quadro (sentenza del 25 ottobre 2018, Xxxxxxx, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 47).
103 A tale riguardo, il servizio scolastico deve essere organizzato in modo da garantire un adeguamento costante tra il numero di docenti e il numero di alunni. Orbene, non si può negare che tale adeguamento dipenda da un insieme di fattori, taluni dei quali possono, in una certa misura, essere difficilmente controllabili o prevedibili, quali, in particolare, i flussi migratori esterni ed interni o le scelte di indirizzi scolastici da parte degli alunni (v., in tal senso, sentenza del 26 novembre 2014, Xxxxxxx e a., C‑22/13, da
C‑61/13 a C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 94).
104 Fattori del genere attestano, nel settore dell’insegnamento di cui trattasi nel procedimento principale, un’esigenza particolare di flessibilità che, come menzionato al punto 102 della presente sentenza, è idonea, in tale specifico settore, a giustificare oggettivamente, alla luce della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, il ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato per rispondere in maniera adeguata alla domanda scolastica ed evitare di esporre lo Stato, quale datore di lavoro in tale settore, al rischio di dover immettere in ruolo un numero di docenti significativamente superiore a quello effettivamente necessario per adempiere i propri obblighi in materia (sentenza del 26 novembre 2014, Xxxxxxx e a., C‑22/13, da C‑61/13 a C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 95).
105 Non si può invece ammettere che contratti di lavoro a tempo determinato possano essere rinnovati per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti che rientrano nella normale attività del settore dell’insegnamento. Come più volte statuito dalla Corte, il rinnovo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato per far fronte a esigenze che, di fatto, hanno carattere non già provvisorio ma
permanente e durevole non è giustificato ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro,
dal momento che un tale utilizzo dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato si scontra
direttamente con la premessa sulla quale si fonda il suddetto accordo quadro, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro, anche se i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e attività (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).
106 L’osservanza della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro esige pertanto che sia verificato concretamente che il rinnovo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi miri a soddisfare esigenze provvisorie, e che una disposizione nazionale come quella di cui al procedimento principale non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro in materia di personale (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).
107 Occorre a tal fine esaminare di volta in volta tutte le circostanze del caso, prendendo in considerazione, in particolare, il numero di detti contratti successivi stipulati con la stessa persona oppure per lo svolgimento di uno stesso lavoro, al fine di escludere che contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, sebbene apparentemente conclusi per soddisfare un’esigenza di personale sostitutivo, siano utilizzati in modo abusivo dai datori di lavoro (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).
108 L’esistenza di una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro esclude quindi, in linea di principio, l’esistenza di un abuso, a meno che un esame globale delle
circostanze sottese al rinnovo dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato di cui trattasi riveli che le prestazioni richieste al lavoratore non corrispondono a una mera esigenza temporanea (sentenza del 26 novembre 2014, Xxxxxxx e a., C‑22/13, da C‑61/13 a C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 103).
109 Di conseguenza, il solo fatto che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale possa essere giustificata da una «ragione obiettiva» ai sensi di tale disposizione non può essere sufficiente a renderla ad essa conforme, se risulta che l’applicazione concreta di detta normativa conduce, nei fatti, a un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato (sentenza del 26 novembre 2014, Xxxxxxx e a., C‑22/13, da C‑61/13 a C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 104).
110 Orbene, da un lato, la normativa nazionale di cui al procedimento principale non subordina ad alcuna condizione di tale natura la deroga da essa introdotta alle norme di diritto comune applicabili ai contratti di lavoro e intese a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato.
Dall’altro, la conclusione dei contratti di lavoro in successione di cui al procedimento principale non sembra rispondere a mere esigenze provvisorie del datore di lavoro, ma sembra piuttosto rientrare nelle necessità della gestione ordinaria del medesimo. Per di più, i diversi contratti di lavoro a tempo determinato con i quali i ricorrenti nel procedimento principale sono stati assunti hanno dato luogo allo svolgimento di mansioni simili, se non identiche, per svariati anni, cosicché si può ritenere che tali rapporti di lavoro abbiano soddisfatto un fabbisogno non già provvisorio, bensì, al contrario, duraturo, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare.
111 Per quanto riguarda, in quarto luogo, l’argomento relativo agli interessi finanziari dello Stato, va ricordato che la Corte ha già dichiarato che, sebbene considerazioni di bilancio possano costituire il fondamento delle scelte di politica sociale di uno Stato membro e influenzare la natura o la portata delle misure che esso intende adottare, esse non costituiscono tuttavia, di per sé, un obiettivo perseguito da tale politica e, pertanto, non possono giustificare l’assenza di qualsiasi misura di prevenzione del ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro (sentenza del 25 ottobre 2018, Xxxxxxx, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 55).
112 Per quanto riguarda, in quinto luogo, la questione se la necessità del rilascio dell’idoneità di cui
devono essere titolari gli insegnanti di religione cattolica per insegnare tale materia possa costituire una
«ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, si deve constatare che dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che tale idoneità è rilasciata una sola volta, nel momento in cui
l’autorità scolastica presenta il proprio elenco di candidati, e a prescindere dalla durata dell’incarico affidato all’insegnante di religione cattolica in questione. Il rilascio di detta idoneità a tutti gli insegnanti di religione cattolica, indipendentemente dal fatto che essi abbiano stipulato un contratto a tempo indeterminato o un contratto a tempo determinato, costituisce quindi, come già indicato al punto 64 della presente sentenza, un aspetto indipendente dalla durata degli incarichi affidati agli insegnanti di religione cattolica.
113 Analogamente, la revoca dell’idoneità costituisce una causa di risoluzione del rapporto di lavoro sia per gli insegnanti di religione cattolica immessi in ruolo sia per quelli che, come i ricorrenti nel procedimento principale, sono titolari solo di un contratto a tempo determinato, e non costituisce quindi una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro.
114 Infine, poiché il rilascio dell’idoneità non presenta alcun nesso con l’istituzione di misure riconosciute come volte a perseguire obiettivi legittimi di politica sociale come quelle, ad esempio, dirette alla tutela della gravidanza e della maternità o alla conciliazione tra la vita professionale e la vita familiare, esso non può essere considerato funzionale al perseguimento di un obiettivo di politica sociale, atteso che la nozione di «ragione obiettiva» di cui alla clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro comprende, come risulta dalla giurisprudenza ricordata al punto 93 della presente sentenza, il perseguimento di un simile obiettivo (v., in tal senso, sentenza del 26 novembre 2014, Xxxxxxx e a., C‑22/13, da C‑61/13 a C‑63/13 e
C‑418/13, EU:C:2014:2401, punti 92 e 93 e giurisprudenza ivi citata).
115 Ne consegue che l’idoneità non costituisce una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1,
lettera a), dell’accordo quadro.
116 Pertanto, e sempreché non esistano «norme equivalenti per la prevenzione degli abusi», ai sensi della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare, una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale nel settore dell’insegnamento pubblico della religione cattolica non è idonea a prevenire o a sanzionare gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.
117 A tale riguardo, spetta alle autorità giurisdizionali dello Stato membro interessato garantire il rispetto della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, vegliando a che i lavoratori i quali abbiano subìto un abuso in conseguenza dell’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato non siano dissuasi, nella speranza di continuare a lavorare nel settore determinato, dal far valere dinanzi alle autorità nazionali, ivi incluse quelle giurisdizionali, i diritti derivanti dall’attuazione, da parte della normativa
nazionale, di tutte le misure preventive di cui alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro (sentenza del 25
ottobre 2018, Xxxxxxx, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).
118 In particolare, spetta al giudice adito, quanto più possibile e qualora si sia verificato un utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, interpretare e applicare le pertinenti disposizioni di diritto interno in modo da sanzionare debitamente tale abuso e da eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione [sentenza dell’11 febbraio 2021, M. V. e a. (Successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto 69 e giurisprudenza ivi citata].
119 Nel caso di specie, dal momento che la normativa nazionale di cui al procedimento principale contiene norme applicabili ai contratti di lavoro di diritto comune dirette a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, prevedendo la conversione automatica di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato qualora il rapporto di lavoro perduri oltre un
certo periodo, un’applicazione di tali norme nel procedimento principale potrebbe costituire una misura
preventiva di un simile abuso, ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro.
120 Ciò premesso, occorre tuttavia ricordare che la Corte ha statuito che la clausola 5, punto 1,
dell’accordo quadro non è incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata da un singolo dinanzi a un giudice nazionale. Una tale disposizione del diritto dell’Unione, priva di effetto diretto, non può quindi essere fatta valere, in quanto tale, nell’ambito di una controversia rientrante nel diritto dell’Unione, al fine di escludere l’applicazione di una disposizione di diritto nazionale ad essa contraria. Pertanto, un giudice nazionale non è tenuto a disapplicare una disposizione di diritto nazionale contraria a detta clausola (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).
121 Ciò precisato, occorre ricordare che, nell’applicare il diritto interno, i giudici nazionali devono
interpretarlo quanto più possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva in questione, onde
conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’articolo 288, terzo comma, XXXX (xxxxxxxx xxx 00 xxxxxx 0000, Xxxxx x Xxxxxxxxx Xxxxxxxx e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).
122 L’obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale è infatti inerente al sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell’ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte [sentenza dell’11 febbraio M. V. e a. (Successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto 66 e giurisprudenza ivi citata].
123 Certamente, l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva
nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del suo diritto interno trova il proprio limite nei principi generali del diritto, in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattività, e non può servire da fondamento a un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).
124 Il principio di interpretazione conforme richiede nondimeno che i giudici nazionali facciano tutto quanto compete loro, prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia della direttiva di cui trattasi e pervenire a una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 78 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, spetta al giudice del rinvio verificare se una simile interpretazione conforme delle disposizioni nazionali sia possibile.
125 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni pregiudiziali poste dichiarando che la clausola 5 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso, da un lato, che essa osta a una normativa nazionale che esclude gli insegnanti di religione cattolica degli istituti di insegnamento pubblico dall’applicazione delle norme dirette a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, qualora non esista nessun’altra misura effettiva
nell’ordinamento giuridico interno che sanzioni detto ricorso abusivo, e, dall’altro, che la necessità di un
titolo di idoneità rilasciato da un’autorità ecclesiastica al fine di consentire a tali insegnanti di impartire l’insegnamento della religione cattolica non costituisce una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5,
punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, nella misura in cui tale titolo di idoneità è rilasciato una sola volta, e non prima di ogni anno scolastico che dà luogo alla stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato.
Sulle spese
126 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso, da un lato, che essa osta a una normativa nazionale che esclude gli insegnanti di religione cattolica degli istituti di insegnamento pubblico dall’applicazione delle norme dirette a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, qualora non esista nessun’altra misura effettiva nell’ordinamento giuridico interno che
xxxxxxxx detto ricorso abusivo, e, dall’altro, che la necessità di un titolo di idoneità rilasciato da un’autorità
ecclesiastica al fine di consentire a tali insegnanti di impartire l’insegnamento della religione cattolica non costituisce una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), di tale accordo quadro, nella misura in cui tale titolo di idoneità è rilasciato una sola volta, e non prima di ogni anno scolastico che dà luogo alla stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato.
Firme