Repert. n. 73/2021 del 21/01/2021
Repert. n. 73/2021 del 21/01/2021
N. 163/2018 R.G.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI SIENA
Sezione Unica Civile
Il Tribunale Ordinario di Siena, Sezione Unica Civile, in composizione monocratica, nella persona del Xxxxxxx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxx
ha pronunciato la seguente
nella causa civile di I Grado iscritta al n. 163/2018 R.G. promossa da
P.M.C. SRL IN LIQUIDAZIONE (C.F.:
Firmato Da: XXXXX XXXXXXX Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: f7a35b2dd096cf1808fb9acd5188fb4
rappresentata e difesa, per mandato a margine dell’atto di citazione, dall’Avv. Xxxxxxxxx Xxxxxx, presso il cui studio in Xxxxxxxxx (XX), Xxxxx Xxxxxxxxx x. 0, è elettivamente domiciliata
ATTRICE
contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA (C.F.:
rappresentata e difesa, per mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta,
CONVENUTA
avente ad oggetto: Bancari (deposito bancario, cassetta di sicurezza, apertura di credito bancario)
CONCLUSIONI DELLE PARTI
All’udienza del 15.9.2020, celebrata con trattazione scritta ai sensi dell’art. 83 comma 4 D.L. 18/20 e dell’art. 221 comma 4 D.L. 34/20,
per P.M.C. SRL IN LIQUIDAZIONE, l’Avv. Xxxxxxxxx Xxxxxx così conclude: “Voglia l’Xxx.xx Tribunale adito, respinta ogni contraria eccezione:
Firmato Da: XXXXX XXXXXXX Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: f7a35b2dd096cf1808fb9acd5188fb4
- Accertare e dichiarare l’invalidità a titolo di nullità parziale del contratto di cui in narrativa in relazione alle clausole sulla capitalizzazione degli interessi poiché in violazione della 27 dicembre 2013 n. 147 (Legge di stabilità 2014) si è previsto al comma 629, all’applicazione della provvigione di massimo scoperto per € all’applicazione della Commissione extrafido, della commissione sull’affidamento ex d.l. 185/08 convertito dalla l. 2/2009, corrispettivo per disponibilità creditizia e indennità di sconfinamento spese per comunicazioni trasparenza, spese invio estratti conto, spese fisse di chiusura periodica, spese fisse chiusura a debito, spese gestione amministrativa fido, dei costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese; - accertare e dichiarare l’invalidità a titolo di nullità parziale dei contratti di conto corrente in relazione alle relative variazione delle condizioni contrattuali ex artt. 117 e 118 TUB, dichiarando dovute solo le condizioni più favorevoli al correntista; - dichiarare non dovute le competenze applicate ai saldi extrafido; - accertare e dichiarare la nullità parziale del contratto di per la mancata indicazione del TAEG, per affetto degli artt. 117 TUB 1419, 1346, 1418 c.c.. - In subordinata ipotesi accertata la violazione, di tutti gli obblighi informativi rilevanti per le determinazioni circa l’an e/o il quomodo della conclusione del contratto e l’esecuzione dell’accordo, ovvero la violazione degli degli artt. 1175 e 1375 c.c., condannare la banca al risarcimento danni pari alla differenza tra il tasso applicato ed il tasso legale semplice. - Accertare, accolte le su estese istanze, a mezzo Consulente Tecnico d’ufficio all’uopo nominato, e dichiarare, per l’effetto, l’esatto dare – avere tra le parti; - Determinare il costo effettivo annuo dell’indicato rapporto bancario; - Condannare la banca convenuta al risarcimento danni per l’errata segnalazione in centrale rischi quantificabile nell’effetto in € 100.000,00; - Condannare la Banca al pagamento delle spese, competenze ed onorari del presente giudizio.”;
per BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA l’Avv. Xxxxxxxxxx Xxxxxx così conclude: “affinché il Tribunale di Siena voglia in tesi in via preliminare e
pregiudiziale dichiarare improcedibile la causa perché le domande proposte sono sfornite di prova e genericamente formulate; in ipotesi, nel merito, respingere le domande attrici perché infondate in fatto e in diritto; in ulteriore ipotesi subordinata recepire i conteggi riassunti nella relazione peritale redatta dal CTU dott.ssa Xxxxx con le ipotesi A1 o B1. In ogni caso con condanna della parte attrice al pagamento delle spese e dei compensi di causa.”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
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Con atto di citazione ritualmente notificato il 9.1.2018, P.M.C. S.r.l. in liquidazione conveniva Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. dinanzi al Tribunale di Siena; esponeva di avere intrattenuto con Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., a partire dal 29.3.2007, un rapporto di apertura di credito sul conto corrente n. 2611.96, sulla base di un contratto da essa mai sottoscritto; lamentava la nullità di tale contratto per l’applicazione di interessi anatocistici in violazione della legge 27 dicembre 2013 n. 147, la nullità della clausola sulla commissione di massimo scoperto, per indeterminatezza dell’oggetto, stante la mera indicazione della percentuale, e per difetto di causa, nonché la nullità della clausola di commissione di massimo scoperto ai sensi del D.L. 185/2008, della clausola “commissione sull’affidamento” e della commissione di istruttoria veloce, la nullità del corrispettivo per disponibilità creditizia e indennità di sconfinamento e delle spese, l’applicazione dello ius variandi in senso peggiorativo per il correntista, la non debenza delle competenze sui saldi calcolati extrafido e la mancata indicazione del TAEG; chiedeva il risarcimento dei danni patiti.
Per tutte queste ragioni, l’attrice P.M.C. S.r.l. in liquidazione così concludeva: “Voglia l’Xxx.xx Tribunale adito, respinta ogni contraria eccezione: - Accertare e dichiarare l’invalidità a titolo di nullità parziale del contratto di cui in narrativa in relazione alle clausole sulla capitalizzazione degli interessi poiché in violazione della 27 dicembre 2013 n. 147 (Legge di stabilità 2014) si è previsto al comma 629, all’applicazione della provvigione di massimo scoperto per € all’applicazione della Commissione extrafido, della commissione sull’affidamento ex d.l. 185/08 convertito dalla l. 2/2009, corrispettivo per disponibilità creditizia e
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indennità di sconfinamento spese per comunicazioni trasparenza, spese invio estratti conto, spese fisse di chiusura periodica, spese fisse chiusura a debito, spese gestione amministrativa fido, dei costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese; - accertare e dichiarare l’invalidità a titolo di nullità parziale dei contratti di conto corrente in relazione alle relative variazione delle condizioni contrattuali ex artt. 117 e 118 TUB, dichiarando dovute solo le condizioni più favorevoli al correntista; - dichiarare non dovute le competenze applicate ai saldi extrafido; - accertare e dichiarare la nullità parziale del contratto di per la mancata indicazione del TAEG, per affetto degli artt. 117 TUB 1419, 1346, 1418 c.c.. - In subordinata ipotesi accertata la violazione, di tutti gli obblighi informativi rilevanti per le determinazioni circa l’an e/o il quomodo della conclusione del contratto e l’esecuzione dell’accordo, ovvero la violazione degli degli artt. 1175 e 1375 c.c., condannare la banca al risarcimento danni pari alla differenza tra il tasso applicato ed il tasso legale semplice. - Accertare, accolte le su estese istanze, a mezzo Consulente Tecnico d’ufficio all’uopo nominato, e dichiarare, per l’effetto, l’esatto dare – avere tra le parti; - Determinare il costo effettivo annuo dell’indicato rapporto bancario; - Condannare la banca convenuta al risarcimento danni per l’errata segnalazione in centrale rischi quantificabile nell’effetto in € 100.000,00; - Condannare la Banca al pagamento delle spese, competenze ed onorari del presente giudizio.”.
La convenuta Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. si costituiva il 23.4.2018 in vista dell’udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c. indicata in atto di citazione per il 15.5.2018 contestando la domanda attorea; in particolare, evidenziava la genericità dell’atto di citazione, la mancanza di prova delle lamentate nullità e la mancanza della documentazione contrattuale; sosteneva che l’anatocismo era valido successivamente alla delibera CICR 9.2.2000 e che anche la commissione di massimo scoperto e le altre commissioni erano valide; contestava la fondatezza della domanda risarcitoria.
Per tutte queste ragioni, la convenuta Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. così concludeva: “affinché il Tribunale di Siena voglia, in tesi, in via preliminare e
pregiudiziale, dichiarare improcedibile la causa perché le domande proposte sono del tutto sfornite di prova e genericamente formulate; in ipotesi, nel merito, respingere le domande attrici perché infondate in fatto e in diritto. In ogni caso con condanna dell’attrice al pagamento delle spese e dei compensi di causa.”.
Esperito il tentativo obbligatorio di mediazione previsto dall’art. 5 comma 1-bis D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, espletati gli incombenti preliminari all’udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c. del 15.5.2018 e concessi i termini di cui all’art. 183 comma 6° c.p.c., la causa veniva istruita, oltre che con la produzione di documenti, attraverso la consulenza tecnica d’ufficio contabile, disposta dal Giudice con ordinanza del 10.10.2018.
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All’udienza del 15.9.2020, celebrata con trattazione scritta ai sensi dell’art. 83 comma 4 D.L. 18/20 e dell’art. 221 comma 4 D.L. 34/20, le parti precisavano le conclusioni, come in epigrafe indicate, ed il Giudice tratteneva la causa in decisione, assegnando alle parti i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’attrice P.M.C. S.r.l. in liquidazione ha proposto una domanda di accertamento della parziale nullità di un contratto di conto corrente con apertura di credito e di restituzione delle competenze illegittimamente addebitate dalla Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. nonché di risarcimento del danno.
In relazione a tale domanda, la Banca convenuta ha sollevato un’eccezione preliminare di nullità per genericità ed indeterminatezza; e l’eccezione in questione deve essere qualificata come eccezione di nullità dell’atto di citazione per difetto della causa petendi e del petitum ai sensi dell’art. 163 comma 3° nn. 3 e 4 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 164 comma 4° c.p.c..
Tuttavia, come evidenziato in giurisprudenza, la nullità dell’atto di citazione per petitum omesso od assolutamente incerto, ai sensi dell’art. 164 comma 4° c.p.c., postula una valutazione caso per caso, dovendosi tener conto, a tal fine, del contenuto complessivo dell’atto di citazione, dei documenti ad esso allegati,
nonché, in relazione allo scopo del requisito di consentire alla controparte di apprestare adeguate e puntuali difese, della natura dell’oggetto e delle relazioni in cui, con esso, si trovi la controparte (cfr. Cassazione civile, sez. II, 29 gennaio 2015, n. 1681); ed analogamente deve dirsi con riferimento alla nullità della citazione relativamente alla causa petendi, per mancanza dell’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda (cfr. Cassazione civile, sez. III, 15 maggio 2013, n. 11751).
Nel caso di specie, invece, l’attrice, nel corpo dell’atto di citazione, ha chiaramente specificato la causa petendi, cioè i fatti posti a fondamento della domanda, ovvero le varie nullità lamentate, sia il petitum, ossia la propria richiesta, costituita dalla rideterminazione del saldo dare-avere tra le parti in conseguenza del ricalcolo effettuato escludendo dal computo le somme illegittimamente addebitate per effetto delle suddette nullità. Dunque, la domanda non risulta affetta da alcuna nullità.
Tale domanda è procedibile, ai sensi dell’art. 5 comma 1-bis D.Lgs. 4 marzo 2010
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n. 28, in quanto, seppure in corso di causa, in data 18.1.2018, la società attrice ha avanzato richiesta di espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione, che si è poi tenuto il 15.2.2018, seppure con esito negativo.
Nel merito, ma sempre preliminarmente, la Banca ha anche eccepito la mancanza di prova delle doglianze sollevate dall’attrice, fondata sul fatto che l’attrice medesima non aveva prodotto i documenti contrattuali, in violazione dell’onere della prova su di essa gravante.
A tal proposito, è noto che nella domanda di ripetizione di indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c. l’onere della prova grava sul creditore istante, il quale è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa, e perciò, sia l’avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (ovvero il venir meno di questa), prova che può essere fornita dimostrando l’esistenza di un fatto negativo contrario, o anche mediante presunzioni (cfr. Cassazione civile, sez. lavoro, 13 novembre 2003
n. 17146; in senso sostanzialmente conforme, cfr. altresì Cassazione civile, sez. III, 17 marzo 2006 n. 5896) e che deve naturalmente essere fornita solo con riferimento ai rapporti specifici intercorsi tra le parti e dedotti in giudizio, costituendo una
prova diabolica esigere dall’attore la dimostrazione dell’inesistenza di ogni e qualsivoglia causa di dazione tra solvens e accipiens (cfr. Cassazione civile, sez. III, del 25 gennaio 2011 n. 1734), incombendo poi sull’accipiens la dimostrazione di altra eventuale fonte di debito (cfr. Cassazione civile, sez. I, 28 luglio 1997 n. 7027).
In questo senso, secondo la prevalente giurisprudenza, il correntista che domanda la ripetizione di somme indebitamente versate alla Banca deve allegare e provare i fatti costitutivi della propria pretesa creditoria, ovvero l’esecuzione della prestazione e l’inesistenza (originaria o sopravvenuta) del titolo della stessa ed ha, pertanto, l’obbligo di produrre il contratto di conto corrente e gli estratti conto relativi a tutto il periodo contrattuale.
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Nel caso di specie, peraltro, la società attrice ha prodotto gli estratti conto (docc. 2- 10 fasc.att.) relativi a tutto il periodo in esame nonché, seppure non unitamente all’atto di citazione ma con separato deposito nell’imminenza dell’udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c., il contratto di conto corrente (doc. 1 fasc.att.), mentre la Banca convenuta ha prodotto il contratto di apertura di credito (doc. 2 fasc.conv.).
A fronte di ciò, si deve considerare che il principio dell’onere della prova non implica affatto che la dimostrazione di fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato del relativo onere, giacché nel nostro ordinamento vige il principio di acquisizione, secondo cui, le risultanze istruttorie, comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice (cfr. Cassazione civile, sez. III, 26 febbraio 2013, n. 4806; analogamente, cfr. Cassazione civile, sez. II, 4 giugno 2018, n. 14284).
Ciò detto e passando al merito della controversia, è pacifico che l’attrice P.M.C.
S.r.l. ha intrattenuto con Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. un rapporto di conto corrente con apertura di credito, portante il n. 2611.96, sul quale è stata concessa un’apertura di credito in data 10.10.2008 (doc. 5 fasc.convenuta)
La suddetta attrice, pur non sollevando espressamente un’eccezione di nullità del contratto di conto corrente per mancanza di forma scritta, neanche nelle conclusioni
- ove ha chiesto l’accertamento della nullità parziale in relazione a singole clausole in materia di interessi, commissioni e spese -, ha evidenziato che il “rapporto non risulta[va] perfezionato con la forma scritta”, che la Banca, a seguito di apposita richiesta, aveva consegnato “alla società copia non firmata dei contratti” e che “non risulta[va] alcun documento sottoscritto dalla società comparente in merito all’apertura del rapporto di conto corrente (doc. 1)”.
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E tuttavia, si deve considerare che la società attrice ha espressamente ammesso di avere stipulato il contratto, che ha anche prodotto (doc. 1 fasc.attore), ha sottoscritto una dichiarazione in data 20.3.2007 (doc. 2 fasc.convenuta) con cui ha riconosciuto di avere ricevuto dalla Banca tutta la documentazione contrattuale, completa delle condizioni generali, giuridiche ed economiche, le quali “sono efficaci nei confronti dell’altro [contraente che non le ha predisposte], se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute” ai sensi dell’art. 1341 comma 1° c.p.c., e non ha sollevato alcuna eccezione di nullità dell’intero contratto per difetto di forma scritta ma solo delle eccezioni di nullità relative alle singole clausole; per tali ragioni, la sottoscrizione della dichiarazione di ricezione del testo contrattuale deve essere intesa anche come accettazione della proposta contrattuale e, quindi, ritenuta idonea alla stipulazione del contratto di conto corrente in forma scritta.
In questa prospettiva, la mancata sottoscrizione da parte della Banca risulta poi irrilevante, in quanto il consenso di quest’ultima ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dalla stessa tenuti (in tal senso, cfr. Cassazione civile, sez. un., 16 gennaio 2018, n. 898), consistenti nella consegna della documentazione contrattuale e dal costante svolgimento del rapporto.
D’altro canto, il contratto di apertura di credito (doc. 5 fasc.convenuta) risulta invece espressamente sottoscritto sia dalla società attrice che dalla Banca.
Passando dunque alle specifiche doglianze sollevate, l’attrice P.M.C.
S.r.l. ha anzitutto lamentato l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, in violazione dell’art. 1283 c.c..
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In proposito, è invero noto che la giurisprudenza degli anni ‘80 affermava il principio per cui era da considerarsi legittima nei contratti di conto corrente bancario la capitalizzazione degli interessi per periodi inferiori al semestre perché nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, l’anatocismo costituiva, per effetto del comportamento della generalità dei consociati e dell’elemento soggettivo della opinio juris, un uso normativo ai sensi dell’art. 8 delle disposizioni preliminari al codice civile, la cui applicazione doveva dunque considerarsi legittima ai sensi dell’art. 1283 c.c.. È però altrettanto noto che la Cassazione, con alcune pronunce del 1999 (cfr. in particolare Cassazione civile, sez. I, 16 marzo 1999, n. 2374; Cassazione civile, sez. III, 30 marzo 1999, n. 3096; Cassazione civile, sez. I, 17 aprile 1999, n. 3845; Cassazione civile, sez. I, 11 novembre 1999, n. 12507), ha cambiato radicalmente indirizzo e, partendo dalla constatazione che l’esistenza di un uso normativo idoneo a derogare ai limiti di ammissibilità dell’anatocismo previsti dalla legge appariva più oggetto di una affermazione basata su un incontrollabile dato di comune esperienza che di una convincente dimostrazione, ha affermato che, in materia bancaria, la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente non costituisce un uso normativo, ma un mero uso negoziale, con la conseguente nullità della relativa pattuizione, in quanto contrastante con la norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c..
In questo mutato quadro giurisprudenziale è poi intervenuto il legislatore che, con l’art. 25 D.Lgs. 4 agosto 1999 n. 342 ha modificato l’art. 120 TUB e, al comma 3°, ha fatto salve le pregresse pattuizioni anatocistiche mentre, al comma 2°, ha previsto, per il futuro, che le modalità con cui potevano essere prodotti interessi sugli interessi venissero determinate con delibera del C.I.C.R. - Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio.
Successivamente, la norma dell’art. 25 comma 3° D.Lgs. 342/1999 indicata supra, chiaramente dettata allo scopo di risolvere in via legislativa le molteplici problematiche che il mutato orientamento giurisprudenziale aveva sollevato nei rapporti tra le banche e la clientela, è stata tuttavia dichiarata incostituzionale con
sentenza della Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx 00 ottobre 2000 n. 425 in riferimento all’art. 76 Cost. per mancato rispetto della legge delega.
Ed a quel punto, essendosi ricreata la medesima situazione normativa vigente prima della novella normativa, in giurisprudenza si è ribadito il nuovo indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato (cfr. Cassazione civile, sez. I, 28 marzo 2002 n. 4490; analogamente, cfr. Cassazione civile, sez. un., 4 novembre 2004, n. 21095) affermando che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 17 ottobre 2000
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n. 425, con cui è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 76 Cost., la norma (contenuta nell’art. 25, terzo comma, del D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342) di salvezza della validità e degli effetti (fino all’entrata in vigore della delibera C.I.C.R. di cui al secondo comma del medesimo art. 25) delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, dette clausole restano disciplinate, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, dalla normativa anteriormente in vigore, alla stregua della quale esse - basate su un uso negoziale, anziché su una norma consuetudinaria - sono da considerare nulle, perché stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c..
Nel frattempo, il C.I.C.R., con la Delibera del 9.2.2000, oltre a dettare, all’art. 7, una disciplina transitoria con riferimento ai contratti stipulati in precedenza, prevedendo la possibilità del loro adeguamento alla nuova disciplina, ha consentito, all’art. 6, per i nuovi contratti, la possibilità di pattuire la capitalizzazione degli interessi, purché con la stessa periodicità sia per gli interessi a credito che per quelli a debito.
Ebbene, nel caso di specie, dalla documentazione prodotta risulta che le parti hanno stipulato il contratto di conto corrente ordinario n. 2611.96 in data 29.3.2007, dunque in epoca successiva alla deliberazione del C.I.C.R. precedentemente citata, e che, per quel che interessa in questa sede, oltre a prevedere espressamente i tassi di interessi creditori e debitori, hanno altresì pattuito la capitalizzazione con identica periodicità trimestrale sia per gli interessi creditori che per quelli debitori; e tale clausola, tenuto conto di quanto sin qui evidenziato, è dunque valida.
Del resto, la società attrice non ha neanche eccepito la nullità originaria di tale clausola ma, come vedremo subito infra, la nullità della medesima clausola anatocistica a seguito dell’emanazione della legge 27 dicembre 2013 - c.d. legge di stabilità 2014.
In effetti, in materia è successivamente intervenuto nuovamente il legislatore che, con l’art. 1 comma 629 legge 27 dicembre 2013, n. 147 - c.d. Legge di Stabilità 2014, ha modificato l’art. 120 comma 2° T.U.B., stabilendo che “Il C.I.C.R. stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.
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Si tratta di una norma di infelice formulazione e di dubbia interpretazione, sia in relazione alla sua effettiva portata, in quanto da un lato la norma è chiaramente volta ad escludere il fenomeno dell’anatocismo e dall’altro fa riferimento ad “interessi periodicamente capitalizzati” ed a “successive operazioni di capitalizzazione” e, in ogni caso, nulla dice sulle modalità di pagamento degli interessi, sia in relazione alla sua immediata efficacia; sotto quest’ultimo profilo, che è quello rilevante nel caso di specie, in effetti, parte della giurisprudenza ha sostenuto che la norma medesima, in quanto sufficientemente dettagliata, sarebbe immediatamente applicabile e, di conseguenza, vieterebbe l’anatocismo a partire dall’1.1.2014, data della sua entrata in vigore secondo quanto previsto dall’art. 1 comma 749 legge cit..
Tuttavia, come evidenziato da altra parte della giurisprudenza, tale interpretazione appare in contrasto rispetto al dato letterale, in particolare col fatto che, per come appena evidenziato, la norma demanda al C.I.C.R. di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria; essa cioè, dopo avere fissato dei principi generali cui il C.I.C.R. deve
attenersi, tra i quali in particolare il divieto di capitalizzazione degli interessi, delega al C.I.C.R. medesimo il compito di dettare la disciplina di dettaglio e, in questo senso, non ha portata immediatamente precettiva perché presuppone che il
C.I.C.R. abbia proceduto ad emanare la relativa normativa; ciò si spiega, probabilmente, da un lato per l’elevato tecnicismo della materia, che necessita l’intervento da parte di un organo tecnico, e dall’altro per la necessità di prevedere un periodo transitorio, anche al fine di consentire alle banche di aggiornare la propria modulistica ed il proprio software di calcolo rispetto all’intervenuto mutamento legislativo. In questa prospettiva, il fatto che il C.I.C.R. non abbia emanato alcuna disposizione sino a quando lo stesso legislatore è ulteriormente intervenuto modificando ancora l’art. 120 T.U.B., dapprima con l’art. 31, comma 1
D.L. 24 giugno 2014 n. 91, soppresso in sede di conversione, e poi con l’art. 17-bis
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D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, convertito con modificazioni dalla Legge 8 aprile 2016 n. 49, induce a ritenere che il testo dell’art. 120 T.U.B. citato supra contenente il divieto di anatocismo non sia immediatamente applicabile e, di fatto, non sia mai entrato concretamente in vigore.
Ciò non determina alcun vuoto normativo ma, piuttosto, l’ultrattività del principio della capitalizzazione a condizione di reciprocità stabilito dalla delibera C.I.C.R. 9.2.2000.
In senso contrario, infatti, non vale evidenziare che l’abrogazione del precedente art. 120 T.U.B. determinerebbe il venir meno della norma che autorizzava il
C.I.C.R. all’emanazione della delibera 9.2.2000, in quanto l’art. 161 comma 5° T.U.B., disposizione introdotta sin dall’approvazione dell’originario testo normativo e rimasta immutata nel corso del tempo, dispone che “Le disposizioni emanate dalle autorità creditizie ai sensi di norme abrogate o sostituite continuano a essere applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati ai sensi del presente decreto legislativo”.
Nel caso di specie, da quanto appena evidenziato consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dall’attrice, l’anatocismo con capitalizzazione trimestrale in
condizioni di reciprocità previsto nel contratto di conto corrente deve essere ritenuto valido anche per il periodo successivo al 1.1.2014.
Sotto questo profilo, quindi, la domanda proposta dalla società attrice risulta infondata e deve essere rigettata. E nel ricalcolo, come detto effettuato a far data dal 2008, deve essere mantenuta la capitalizzazione trimestrale degli interessi.
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D’altro canto, risulta irrilevante nel caso di specie anche quanto previsto dall’art. 17-bis D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, convertito con modificazioni dalla Legge 8 aprile 2016 n. 49, il quale ha ulteriormente modificato il testo dell’art. 120 comma 2° T.U.B., demandando ancora al C.I.C.R. di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni bancarie e prevedendo che, in tale attività, il C.I.C.R. dovesse prevedere, sinteticamente e limitatamente a quanto d’interesse in questa sede, per i rapporti di conto corrente, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori, non inferiore ad un anno, con conseguente esclusione della capitalizzazione trimestrale, e, per le aperture di credito in conto corrente, il conteggio al 31 dicembre e l’esigibilità al 1° marzo dell’anno successivo. In questo caso, il C.I.C.R. ha esercitato la delega prevista nella legge e, con delibera del 3.8.2016 ha predisposto le specificazioni indicate dalla legge, prevedendo l’adeguamento dei contratti in corso e l’applicazione della nuova disciplina “al più tardi agli interessi maturati a partire dal 1° ottobre 2016”. In effetti, dal momento che la nuova normativa in questione è obbligatoria a partire dal 1° ottobre 2016, essa è inapplicabile al caso di specie, in quanto gli ultimi estratti conto oggetto d’esame risalgono al 30.6.2016.
Ancora, la società attrice lamenta la nullità della commissione di massimo scoperto, per indeterminatezza e per mancanza di causa.
In proposito, si deve premettere che deve ormai ritenersi superata ogni questione relativa all’elemento causale della commissione di massimo scoperto, alla luce degli interventi operati dal legislatore nel biennio 2008-2009 - ovvero del D.L. 29 novembre 2008 n. 185, convertito, con modificazioni, in Legge 28 gennaio 2009, n.
2 e del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni in Legge 3 agosto 2009, n. 102 -, con cui si è dato ufficiale riconoscimento a tale tipologia di onere
aggiuntivo rispetto agli interessi passivi, nonché della pronuncia della Cassazione civile, sez. I, 18 gennaio 2006 n. 870, la quale ha definito la stessa come “la remunerazione accordata alla Banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma”, impiegata per “riequilibrare i costi sostenuti dalla Banca per approvvigionarsi del denaro da mettere a disposizione del cliente”.
In disparte, quindi, ogni considerazione in ordine alla definizione ed all’astratta ammissibilità della commissione di massimo scoperto, in ossequio alle norme sulla trasparenza bancaria (dapprima l’art. 4 Legge 17 febbraio 1992 n. 154, e poi l’art.
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117 D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 costituente il Testo Unico Bancario), la medesima commissione di massimo scoperto, per assurgere al requisito della determinatezza e determinabilità, deve anzitutto essere oggetto di pattuizione scritta: in particolare, ai sensi degli artt. 117 TUB e 1346 c.c., per la sua validità devono ricorrere i requisiti della determinatezza o determinabilità dell’onere aggiuntivo da imporre al cliente, il che accade quando siano previsti sia il tasso percentuale della commissione, sia la base ed i criteri di calcolo, sia la periodicità di addebito, in assenza dei quali non può nemmeno ravvisarsi un vero e proprio accordo delle parti su tale pattuizione accessoria, non potendosi ritenere che il cliente abbia potuto prestare un consenso consapevole, rendendosi conto dell’effettivo contenuto giuridico della clausola e, soprattutto, del suo “peso” economico: in mancanza di ciò, l’addebito delle commissioni di massimo scoperto si traduce in una imposizione unilaterale della banca che non trova legittimazione in una valida pattuizione consensuale.
Per tale ragione, considerato che nel caso di specie la commissione di massimo scoperto è stata indicata solo con riferimento alla percentuale, mentre non risultano pattuite le modalità di calcolo, in particolare né la base imponibile né la periodicità di determinazione, il consulente tecnico d’ufficio ha provveduto a rideterminare le competenze del conto corrente depurandole dalle commissioni di massimo scoperto, per come applicate fino al 30.6.2009 per € 841,80.
È poi noto che la commissione di massimo scoperto, come accennato supra, è stata disciplinata con il già citato art. 2-bis D.L. 29 novembre 2008 n. 185, convertito, con modificazioni, in Legge 28 gennaio 2009, n. 2 e successivamente integrato dall’art. 2 comma 2 D.L. 1 luglio 2009 n. 78, convertito, con modificazioni, in Legge 3 agosto 2009 n. 102, il quale ha espressamente previsto due forme di commissione, ovvero una commissione sulle somme utilizzate e una commissione per messa a disposizione di fondi (o CSA, commissione su accordato); ancora, per quel che interessa in questa sede, l’art. 6-bis D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, in Legge 22 dicembre 2011 n. 214, ha poi introdotto la commissione di istruttoria veloce (CIV).
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In questo senso, nel caso di specie, per come evidenziato nella consulenza tecnica d’ufficio, la Banca ha applicato commissioni sostitutive della commissione di massimo scoperto (corrispettivo su accordato nel periodo dal 30.9.2009 al 30.6.2016 per € 14.029,37 e commissione di istruttoria veloce il 31.12.2013 per € 320,00), sebbene non pattuita nei contratti in atti e, dunque, illegittimamente; per tale ragione, tali somme sono state escluse dal ricalcolo delle somme effettivamente dovute dalla società attrice.
Ancora, la società attrice ha lamentato l’applicazione di commissioni e spese non espressamente pattuite o variate in violazione dell’art. 118 T.U.B..
Si deve in proposito premettere che l’art. 117 T.U.B. prevede, al 4° comma, che “I contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati…” e che il successivo 6° comma, a sua volta, prevede che, in caso di inosservanza di quanto previsto da tale disposizione, si applicano, i c.d. tassi d’interesse sostitutivi “bot” e “gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l’operazione è effettuata o il servizio viene reso; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto.”.
A sua volta, l’art. 118 T.U.B., nel testo vigente all’epoca della stipulazione del contratto di conto corrente oggetto di causa, quale modificato dal D.L. 4 luglio 2006 n. 233, convertito in Legge 4 agosto 2006 n. 248, prevedeva che le parti
potessero pattuire la possibilità per la Banca di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali - c.d. ius variandi - in presenza di un “giustificato motivo” e stabiliva l’inefficacia delle variazioni contrattuali effettuate in maniera non conforme a quanto previsto dalla stessa norma, ove sfavorevoli per il cliente.
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In questo senso, dalla consulenza tecnica d’ufficio, sempre per quel che interessa in questa sede, è risultato che: le spese per gli estratti conto periodici sono state indebitamente addebitate per € 39,25 per l’intera durata del rapporto, in quanto la loro pattuizione risulta compresa nel canone fisso mensile relativo al rapporto Conto Impres@più; il “canone addebito contratto package” è progressivamente aumentato da € 19,30, come pattuito nel contratto iniziale, fino ad € 24,36, in violazione dell’art.118 T.U.B.: infatti, detti addebiti sono stati semplicemente effettuati ogni mese senza essere preceduti da alcuna comunicazione specifica motivata e non è stata rinvenuta in atti alcuna comunicazione scritta relativa ad una “proposta di modifica unilaterale del contratto” riferibile a dette spese, né vi è prova che tale modifica sia stata accettata dal cliente mediante altro supporto durevole; il recupero spese e commissioni per € 569,00 non è conforme a quanto pattuito, in quanto generico; le altre commissioni e spese risultano regolarmente pattuite e sono state applicate in maniera conforme all’intervenuta pattuizione.
Allo stesso modo, anche le valute sono state regolarmente pattuite e, sempre per quanto risultante dalla consulenza tecnica d’ufficio, sono state applicate in maniera conforme all’intervenuta pattuizione.
In conclusione, tenuto conto di quanto precede ed applicando i principi appena evidenziati, ovvero applicando la reciproca periodicità di capitalizzazione trimestrale delle competenze, eliminando la commissione di massimo scoperto per complessivi € 841,80, il corrispettivo su accordato e la commissione di istruttoria veloce per complessivi € 14,349,36 nonché tutte le altre spese e commissioni comunque denominate non pattuite per complessivi € 608,25, addebitando solo le spese e commissioni pattuite, rideterminando i canoni mensili del contratto package nella sola misura iniziale di € 19,30, applicando i tassi di interesse debitori e creditori nella misura convenzionale fino all’8.9.2009 e rideterminati, per il periodo
successivo, laddove variati in modo non conforme all’art. 118 T.U.B. e, infine, considerando le valute delle singole operazioni come concordate, secondo quanto indicato nell’ipotesi “A1” della consulenza tecnica d’ufficio, si arriva al riusltato finale per cui, a fronte dell’effettivo addebito di competenze da parte della Banca per € 48.512,87 e di un saldo contabile alla data del 30.6.2016 in negativo per € 106.899,53, risultano illegittimamente addebitate competenze per € 37.995,15 e, quindi, il saldo contabile deve essere rideterminato al 30.6.2016, sempre in negativo, per € 68.904,38.
Ancora, la società attrice ha lamentato la nullità del contratto di apertura di credito per la mancata indicazione del TAEG, in violazione dell’art. 117 T.U.B.. In proposito, si deve considerare che, nel caso di specie, al contratto stipulato dalla
P.M.C. S.r.l. non si applica la disciplina consumeristica di cui agli artt. 121 e ss. T.U.B. (ed in particolare l’art. 125-bis T.U.B.), in quanto si tratta di un contratto stipulato con un professionista.
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In questa prospettiva, secondo la prevalente giurisprudenza - anche di questo Tribunale -, l’allegazione relativa alla mancata indicazione del T.A.E.G./I.S.C. riguarda non un’ipotesi di nullità contrattuale, rilevabile anche d’ufficio, bensì, semmai, una condotta eventualmente qualificabile in termini di inadempimento. Il predetto “indicatore”, infatti, lungi dallo svolgere alcuna funzione o valore di “regola di validità”, tantomeno essenziale, del contratto, costituisce un mero indicatore sintetico del costo complessivo del contratto, con sostanziale finalità informativa in termini di trasparenza contrattuale, avente cioè lo scopo di porre il cliente in grado di conoscere il costo totale effettivo del credito prima di accedervi, e non incide né sul contenuto della prestazione a carico del cliente, in quanto non rappresenta un ulteriore tasso o costo dell’operazione, né sulla determinatezza o determinabilità dell’oggetto contrattuale, che sono definite dalla pattuizione scritta di tutte le voci di costo negoziali; per questo, la mancata indicazione di tale dato non incide sulla validità della pattuizione dei singoli costi che lo compongono, ove naturalmente tali costi siano stati validamente convenuti, né, tantomeno, comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto impedisce
un’esatta rappresentazione del suo costo complessivo; in questo senso, tale mancata indicazione può, semmai, costituire violazione di una regola di comportamento, comportante una mera obbligazione risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale.
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Tale conclusione è avvalorata anzitutto dalla stessa disciplina della Banca d’Italia (Circolare della Banca d’Italia 25 luglio 2003, seguita all’art. 9 delibera C.I.C.R. 4 marzo 2003 n. 283, contenente la “Disciplina della trasparenza delle condizioni contrattuali delle operazioni dei servizi bancari e finanziari”, con cui è stato introdotto l’ISC per le operazioni ed i servizi la cui individuazione è stata, appunto, demandata alla Banca d’Italia), che regola l’I.S.C. nell’ambito della “II Sezione”, dedicata, per l’appunto, alla “pubblicità e informazione precontrattuale”, con totale pretermissione di ogni riferimento ad esso nell’apposita Sezione III, disciplinante i “requisiti di forma e di contenuto minimo dei contratti”, e poi dalla disciplina, certamente non innovativa, del 2009 (Circolare della Banca d’Italia 29 luglio 2009 e successive modifiche), in forza della quale l’indicazione del T.A.E.G./I.S.C. è prevista unicamente nel foglio informativo e nel documento di sintesi e non nel contratto (e, in base al paragrafo 7 della medesima Sezione II, il documento di sintesi costituisce solo il frontespizio del contratto e ne è parte integrante solo in presenza di un accordo delle parti in tal senso).
Dunque, la mancata indicazione dell’I.S.C./T.A.E.G., in un contratto non disciplinato dall’art. 125-bis T.U.B., può unicamente comportare conseguenze risarcitorie, dovendo tuttavia in tal caso il cliente fornire la prova che, ove gli fosse stato correttamente rappresentato il costo complessivo del credito, non avrebbe stipulato il contratto di finanziamento, circostanza neanche allegata dalla società attrice.
Analoghe considerazioni devono essere svolte con riferimento alla lamentata violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. in tema di diligenza e buona fede nell’esecuzione del contratto derivante, ancora una volta, dalla mancata indicazione del T.A.E.G..
Conseguentemente, deve essere rigettata anche la relativa domanda di risarcimento dei danni.
Allo stesso modo, la domanda di risarcimento dei danni deve essere rigettata anche con riferimento alle conseguenze della violazione delle norme in tema di interessi anatocistici, ultralegali ed usurari.
In effetti, fermo quanto evidenziato supra con riferimento al ricalcolo delle competenze dovute per effetto della parziale nullità di alcune clausole, la società attrice non ha provato che da tale nullità siano derivati danni ulteriori, non ristorati attraverso il semplice ricalcolo delle somme dovute con esclusione di quelle illegittimamente addebitate.
D’altro canto, dalla consulenza tecnica d’ufficio non è emersa l’applicazione di interessi usurari, peraltro solo genericamente lamentata dalla società attrice.
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Infine, deve essere rigettata anche l’ulteriore domanda di risarcimento dei danni derivanti dall’errata segnalazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, posto che tale domanda è assolutamente generica, in quanto priva di qualsiasi elemento in ordine a tale segnalazione.
La regolamentazione delle spese di lite segue il principio della soccombenza. Pertanto, considerato che la domanda attorea è stata solo in parte accolta, sussiste quella parziale reciproca soccombenza che giustifica la compensazione per metà delle spese di lite (sul fatto che la soccombenza reciproca sottende - anche in relazione al principio di causalità - una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero una parzialità dell’accoglimento anche meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo (cfr. Cassazione civile, sez. I, 24 aprile 2018, n. 10113; nello stesso senso, cfr. Cassazione civile, sez. III, 22 agosto 2018, n. 20888); la convenuta Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. deve essere dunque condannata a rimborsare a P.M.C. S.r.l. in liquidazione metà delle spese di lite da essa sostenute, spese che vengono liquidate come indicato in
dispositivo, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività difensiva espletata, sulla base dei parametri di cui al D.M.Giustizia 10 aprile 2014 n. 55 vigenti all’epoca in cui si è esaurita l’attività difensiva (cfr. Cassazione civile, sez. un., 12 ottobre 2012, n. 17405).
Analogamente, anche le spese della consulenza tecnica d’ufficio, per come già liquidate in corso di causa, devono essere definitivamente poste, nei rapporti interni, per metà a carico di ciascuna delle parti.
Resta ferma naturalmente la solidarietà nei confronti del consulente tecnico d’ufficio derivante dal fatto che la prestazione del consulente tecnico d’ufficio è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio (cfr. Cassazione civile, sez. VI, 8 novembre 2013, n. 25179), ovvero nell’interesse alla realizzazione del superiore interesse della giustizia (cfr. Cassazione civile, sez. II, 30 dicembre 2009, n. 28094).
P.Q.M.
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Il Tribunale Ordinario di Siena, Sezione Unica civile, definitivamente pronunciando,
in parziale accoglimento della domanda attorea, dichiara la nullità delle clausole del contratto di conto corrente oggetto di causa relative alla commissione di massimo scoperto, al corrispettivo su accordato, alla commissione di istruttoria veloce ed alle altre commissioni e/o spese comunque denominate non espressamente pattuite, per come meglio specificato in motivazione;
per l’effetto, dichiara che il saldo contabile del conto corrente oggetto di causa al 30.6.2016 è pari ad € 68.904,38, a debito della correntista P.M.C. S.r.l. in liquidazione;
rigetta per il resto le domande attoree;
compensa per metà le spese di lite e, per l’effetto, condanna Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. a rimborsare a P.M.C. S.r.l. in liquidazione metà delle spese di lite da essa sostenute, che liquida - per l’intero - in € 27,00 per spese ed € 11.405,00 per compenso professionale, oltre i.v.a., c.p.a. e rimborso spese generali;
pone le spese della consulenza tecnica d’ufficio, per come già liquidate in corso di causa, nei rapporti interni, definitivamente, per metà a carico di ciascuna delle parti. Siena, 1 gennaio 2021
Firmato Da: XXXXX XXXXXXX Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: f7a35b2dd096cf1808fb9acd5188fb4
Il Giudice Xxxx. Xxxxxxx Xxxxx