Mario Emanuele
Elaborazione grafica di Xxxx Xxxxxxx
IL CONTRATTO DI INSERIMENTO UNA NUOVA OPPORTUNITÀ PER L’INGRESSO NEL MERCATO DEL LAVORO
a cura di
Xxxxx Xxxxxxxx
“Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego”, n. 8/2005
ISFOL – RP(MDL)-8/05
Con le monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego, vengono presentati e divulgati in forma sintetica, i principali risultati di studi realizzati dall’Area di ricerca “Mercato del lavoro” dell’Isfol.
Direzione della collana: Xxxxx Xxxxx
Isfol – Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori
Xxx X. X. Xxxxxxxx, 00 - 00000 Xxxx Tel. 06/44.59.01 – Fax 06/00.00.00.00
Indirizzo Internet xxxx://xxx.xxxxx.xx
Una nuova opportunità per l’ingresso
NEL MERCATO DEL LAVORO
The insertion contract: a new opportunity
TO ENTER THE LABOUR MARKET
Sintesi Abstract
La recente riforma del mercato del lavoro, determinata dall’introduzione del D.Lgs. n. 276/2003, ha interessato anche la regolamen- tazione dei contratti cd. a causa mista, caratteriz- zati dall’assunzione a carico del datore di lavoro di obblighi di natura formativa nei confronti del lavoratore.
In questo contesto, oltre alla graduale eliminazione dell’esperienza dei contratti di forma- zione e lavoro, sono state apportate importanti modifiche alla disciplina del contratto di appren- distato ed è stato disciplinato un nuovo istituto: il contratto di inserimento.
Con riferimento alla prima applicazione del contratto di inserimento, l’Isfol, oltre ad una ricostruzione dei profili giuridici, degli esiti della contrattazione collettiva e degli aspetti economici, ha realizzato una vasta indagine di campo che ha permesso di raccogliere le impressioni e le valuta- zioni di una serie di interlocutori privilegiati (rappresentanti di associazioni di categoria e sindacali, responsabili del personale di aziende) sull’utilità di questa misura rispetto alle istanze ed alle esigenze presenti nel mercato del lavoro italiano.
Così come verrà puntualizzato nella presente indagine, l’inquadramento di tale contratto nell’ambito dei negozi cd. a causa mista non è affatto pacifica, dal momento che il Legislatore ha conformato questa nuova misura contrattuale in termini funzionali all’inserimento/reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori appartenenti a specifiche categorie di soggetti svantaggiati.
L’area dello “svantaggio” è stata individuata, non senza qualche difficoltà, cercando di coniugare quanto, a tal proposito, previsto nell’or- dinamento giuridico italiano ed in quello comu- nitario (Reg. UE n. 2204/2002).
Salvo quanto potrà essere stabilito in favore dei datori di lavoro che faranno ricorso al contratto di
The recent reform of the labour market, further to the introduction of D.Lgs. n. 276/2003, has concerned also the rules relative to the so called “a causa mista” contracts, characterised by the fact that employers are charged with training duties in favour of their workers.
In this scenario, relevant modifications regarding the apprenticeship contract discipline have been introduced, whereas on-the-job training contracts are being eliminated gradually and a new institution has been ruled: the insertion contract.
As far as its first application is concerned, Isfol has lined out the juridical profiles, the findings of collective bargaining and of economic aspects and has carried out an in-depth survey, that has allowed to get the opinions and evaluations of a series of stakeholders of the scenario analysed (social partners, trade unions representatives, managers responsible for Human Resources by businesses etc.), relative to the usefulness of this initiative respect to the requirements of the Italian labour market.
As this survey points out, the placement of this institution among the so called “a causa mista” institutions could be considered uncertain, as the Legislator has processed this new institution in compliance with the aim to insert/reinsert workers belonging to specific disadvantaged targets in the labour market.
Even if with some difficulties, the framework of disadvantaged targets has been detected, trying to combine what defined in the Italian legal framework and in the European one as well (Reg. UE n. 2204/2002).
Provided that what established in favour of any employers, who would use the vocationalising apprenticeship contract, when applicable in a business, would be still in force, the insertion contract represents one of the few
apprendistato professionalizzante una volta che quest’ultimo istituto sarà stato reso definitivamente applicabile in azienda, il contratto di inserimento, nell’ambito di quanto complessivamente disposto nel suddetto decreto, rappresenta una delle poche misure per la cui implementazione sono stati previsti incentivi giuridici ed economici di una certa rilevanza.
Nonostante l’incentivazione in tal modo disposta, si deve tuttavia rilevare che questo istituto contrattuale, da quanto appurato nel corso della nostra indagine, non ha destato grande entusiasmo tra gli operatori e nelle aziende.
Non essendo questa la sede per analizzare le motivazioni di un simile effetto, deve certamente essere sottolineato che, come avviene per ogni misura di nuova introduzione, l’avvio dell’esperienza del contratto di inserimento ha scontato, da una parte, un deficit informativo in merito alla sua disciplina ed ai vantaggi che lo stesso contratto potrebbe arrecare ad aziende e lavoratori; dall’altra, non deve certo essere trascurato l’effetto connesso all’attesa delle aziende per la completa attuazione della regola- mentazione del contratto di apprendistato profes- sionalizzante. Le maggiori convenienze econo- miche connesse a quest’ultimo istituto, infatti, hanno indotto diversi datori di lavoro ad attendere la definizione del quadro giuridico di riferimento prima di procedere a nuove assunzioni.
Ad ogni modo, gli incontri effettuati nel corso dell’indagine che ha portato alla realizzazione della presente monografia hanno permesso di capire come, salve le considerazioni appena estese, la realtà dell’applicazione del contratto di inserimento sia ancora più complessa: diverse aziende, soprattutto di medie-grandi dimensioni, hanno, infatti, puntato in modo importante sul ricorso a questa tipologia contrattuale per l’assunzione di dipendenti, scelti soprattutto tra i giovani. Ad oggi, dunque, il ricorso all’utilizzo del contratto in esame non può dirsi connotato da tendenze ed aspettative uniformi.
Peraltro, vista l’importanza che nell’attuazione del contratto di inserimento assumerà il progetto formativo (volto all’adattamento del lavoratore alle mansioni che sarà chiamato a svolgere in azienda),
institution that will be implemented through relevant juridical and economic incentives.
The survey effected shows that, in spite of this, this institution has not enjoyed a high success among operators and businesses.
Certainly it is not our objective to analyse the causes of such an effect, but we must point out that, on one side as it occurs for any sort of innovations, the starting up of this institution has paid for a shortage of information relative to its discipline and to the advantages it could bring to businesses and workers; on the other side, we must evaluate the effect relative to the expectations of businesses in view of carrying out the vocationalising apprenticeship contract rules in a complete and correct way.
The most important economic opportunities connected with this institution, in fact, have pushed various employers to wait that the definition of the reference legal framework could be defined before effecting new recruitments.
Anyway, the interviews carried out during the survey have allowed to realise that the application of the insertion contract is much more complex.
Several businesses, above all the medium/big sized ones, have aimed to use this sort of institution to recruit their workers, most of all among the young. Thus, at present, this type of contract is not characterised by uniform and common trends and expectations.
Moreover, considering the importance of the training project (aiming to fit the worker to the job he would be carrying out by the business) in carrying out this institution, in the rules of the D.Lgs. N. 276/2003 the collective bargaining has enjoyed a quite relevant role and has offered its qualified contribution to implement this type of contract, also through the agreement of February 11th 2004 signed by the Trade Unions.
So the role and function of the collective bargaining seem to have a fundamental importance for the success of the insertion contract and for an ever deeper involvement of the so called disadvantaged workers in the labour market.
Thus before communicating evaluations and opinions relative to the efficacy of this institution
all’interno della regolamentazione contenuta nel D.Lgs. n. 276/2003 è stata attribuita grande importanza al ruolo della contrattazione collettiva che, peraltro, già con l’accordo interconfederale dell’11 febbraio 2004, ha offerto il proprio qualificato apporto per la pronta implementazione della tipologia contrattuale in questa sede analizzata.
Anche per questo, il ruolo e la funzione della contrattazione collettiva appaiono determinanti per il concreto successo del contratto di inserimento e per un sempre maggiore coinvolgimento nel mercato del lavoro dei lavoratori cd. svantaggiati.
Pertanto, prima che possano essere espresse valutazioni e giudizi in ordine all’efficacia della presente misura rispetto alla soddisfazione delle finalità legislative trasfuse agli artt. 54-59 del citato decreto, non resta che attendere il decorso di un maggiore lasso temporale, così che le potenzialità del contratto di inserimento possano essere diffusamente comprese ed i rischi paventati in relazione alla sua applicazione (su tutti, il cd. sottoinquadramento) possano essere rivisitati nell’ambito di un legittimo percorso, temporalmente limitato, di crescita professionale del lavoratore.
to satisfy the legislative objectives of the Art. 54-
59 of the above mentioned Decree, we should wait for a longer lapse of time so that the possibilities of the institution could be wholly investigated and the supposed risks relative to its application (for instance the so called underplacement) could be revised in the right, time limited percourse of the worker vocational advancement.
INDICE
Sintesi - Abstract pag. 3
1 | Analisi giuridica | “ | 11 |
1.1 Introduzione | “ | 11 | |
1.2 Natura del contratto di inserimento | “ | 12 | |
1.3 Ambito di applicazione | “ | 20 | |
1.4 Progetto individuale di inserimento | “ | 29 | |
1.5 Forma | “ | 32 | |
1.6 Durata | “ | 34 | |
1.7 Accordo Interconfederale | “ | 36 | |
1.8 Rapporto con il contratto di lavoro a tempo determinato | “ | 40 | |
1.9 Incentivi | “ | 43 | |
1.10 Il regime sanzionatorio | “ | 55 | |
1.11 Regime transitorio dei Cfl | “ | 58 | |
2 | Il contratto di inserimento nella contrattazione collettiva del 2003/2004 | “ | 60 |
2.1 Ambito dell’indagine | “ | 60 | |
2.2 L’accordo Interconfederale dell’11 febbraio 2004 | “ | 62 | |
2.3 Le modalità di definizione dei progetti individuali di inserimento | “ | 63 | |
2.4 I limiti alla stipulazione | “ | 65 | |
2.5 La disciplina degli incentivi economici e normativi | “ | 67 | |
2.6 La disciplina del rapporto di lavoro | “ | 69 | |
2.7 Informazione e controllo sindacale | “ | 73 | |
3 | Il contratto di inserimento: una lettura di genere | “ | 74 |
3.1 L’inserimento, il reinserimento e le problematiche di genere | “ | 75 | |
3.2 Le donne come target del contratto di inserimento | “ | 76 | |
3.3 Il dibattito | “ | 78 | |
4 | Potenzialità, vantaggi e criticità del contratto di inserimento | “ | 80 |
4.1 Il potenziale campo di applicazione del contratto di inserimento | “ | 80 | |
4.2 Il regime delle agevolazioni | “ | 81 | |
4.3 I trade-off tra le diverse tipologie contrattuali a termine | “ | 83 |
5 Il contratto di inserimento: prime percezioni da parte delle aziende “ 86
6 Confronto sindacale “ 88
settore delle telecomunicazioni | “ | 94 |
7.1 Quadro generale | “ | 94 |
7.2 Contrattazione collettiva | “ | 96 |
7 Il
7.3 Confronto sindacale | pag. | 97 | |||
7.4 Casi aziendali | “ | 100 | |||
7.5 Osservazioni conclusive | “ | 100 | |||
8 | Settore tessile | “ | 102 | ||
8.1 Quadro generale | “ | 102 | |||
8.2 Contrattazione collettiva | “ | 103 | |||
8.3 Confronto sindacale | “ | 104 | |||
9 | Settore dei trasporti | “ | 108 | ||
9.1 I trasporti in Italia: il contesto | “ | 108 | |||
9.2 La contrattazione | “ | 120 | |||
9.2.1 Trasporto merci | “ | 120 | |||
9.2.2 Trasporto ferroviario | “ | 121 | |||
9.2.3 Trasporto di persone | “ | 121 | |||
9.2.4 Ccnl Portuali | “ | 122 | |||
9.2.5 Trasporto aereo | “ | 123 | |||
9.2.6 Trasporto autostrade | “ | 125 | |||
9.3 | Casi aziendali | “ | 126 | ||
10 | Il commercio e la grande distribuzione | “ | 131 | ||
10.1 Osservazioni raccolte sugli istituti in esame | “ | 131 | |||
10.2 Il percorso negoziale | “ | 131 | |||
10.3 I contratti collettivi | “ | 132 | |||
10.4 I contenuti della contrattazione 10.4.1 Un caso di contrattazione decentrata: provincia di Palermo | l’accordo | nella | “ “ | 133 134 | |
11 | I servizi alle imprese | “ | 138 | ||
11.1 Il settore del credito | “ | 139 | |||
11.1.1 Quadro generale | “ | 139 | |||
11.1.2 La contrattazione | “ | 141 | |||
11.2 Il settore delle assicurazioni | “ | 142 | |||
11.2.1 Quadro generale | “ | 142 | |||
11.2.2 La contrattazione | “ | 143 | |||
11.2.3 Il confronto | “ | 144 | |||
11.2.4 Casi aziendali | “ | 144 | |||
11.3 Il settore del terziario avanzato | “ | 145 | |||
11.3.1 Quadro generale | “ | 145 | |||
11.3.2 La consulenza aziendale | “ | 146 | |||
11.3.3 Casi aziendali | “ | 147 | |||
11.4 I call center | “ | 148 | |||
11.4.1 Quadro generale | “ | 148 | |||
11.4.2 La contrattazione | “ | 148 |
11.4.3 Il confronto | pag. | 150 | ||||
11.5 Il settore pulizie/multiservizi | “ | 152 | ||||
11.6 Conclusioni | “ | 152 | ||||
12 | Metalmeccanica | “ | 155 | |||
12.1 Le dinamiche del settore manifatturiero 12.2 Il confronto sindacale sul tema dell’inserimento metalmeccanica | nel | settore | della | “ “ | 155 157 | |
12.3 Casi aziendali | “ | 159 | ||||
13 | Il settore alimentare | “ | 166 | |||
13.1 Le dinamiche settoriali | “ | 166 | ||||
13.2 Il confronto sindacale | “ | 167 | ||||
13.3 Contrattazione collettiva nazionale | “ | 168 | ||||
13.4 Casi aziendali | “ | 171 | ||||
14 | Altri settori | “ | 174 | |||
14.1 Settore chimico-farmaceutico | “ | 174 | ||||
14.1.1 Confronto sindacale e contesto sindacale | “ | 174 | ||||
14.1.2 Contrattazione collettiva | “ | 176 | ||||
14.2 Settore energia e petrolio | “ | 176 | ||||
14.2.1 | Contrattazione collettiva | “ | 176 | |||
14.2.2 | Caso aziendale | “ | 178 | |||
14.3 | Edili | “ | 181 | |||
14.3.1 | Confronto sindacale | “ | 182 | |||
14.3.1 | Contrattazione collettiva | “ | 181 | |||
14.3.2 | Caso aziendale | “ | 182 | |||
14.4 | Valutazioni conclusive | “ | 182 | |||
15 | Conclusioni | “ | 203 | |||
Appendice | “ | 206 | ||||
Allegato 1 | “ | 216 | ||||
Riferimenti bibliografici | “ | 218 |
INDICE DELLE TABELLE
Tab. | 1 | - Stima del campo di applicazione del contratto di inserimento (esclusi | ||
disabili) in base ai dati del 2003, (dati in migliaia) | pag. | 80 | ||
Tab. | 2 | - Stima dei soggetti assumibili in regime di agevolazione (esclusi | ||
extracomunitari, disabili e disoccupati con figli a carico) in base ai | ||||
dati del 2003, (dati in migliaia) | “ | 82 | ||
Tab. | 3 | - Rapporto tra assunzioni agevolate e target di riferimento per il | ||
contratto di inserimento (stime su dati 2003) | “ | 83 | ||
Tab. | 4 | - Assunzioni previste dalle imprese per tipo di contratto - valori assoluti e % | “ | 87 |
Tab. | 5 | - Quota dell’occupazione nel settore Tlc (UE15, 2003) | “ | 96 |
Tab. | 6 | - Occupati nelle industrie della moda, 1992 e 2003 - valori assoluti in | ||
migliaia | “ | 103 | ||
Tab. | 7 | - Composizione % dell’occupazione per genere e condizione | ||
professionale, anno 2002 | “ | 103 | ||
Tab. | 8 | - Indicatori dell’offerta di trasporto merci nel 2004 - variazioni | ||
tendenziali | “ | 111 | ||
Tab. | 9 | - Indicatori dell’offerta di trasporto passeggeri nel 2004 | “ | 111 |
Tab. | 10 | - Andamento tendenziale dei principali indicatori del trasporto | ||
pubblico locale nelle grandi realtà aziendali (distribuzione | ||||
percentuale delle risposte) | “ | 112 | ||
Tab. | 11 | - Andamento tendenziale dei principali indicatori del trasporto | ||
pubblico locale nelle piccole e medie realtà aziendali (distribuzione | ||||
percentuale delle risposte) | “ | 114 | ||
Tab. | 12 | - Andamento tendenziale dei principali indicatori del trasporto | ||
passeggeri sulle autolinee statali (distribuzione percentuale delle | ||||
risposte) | “ | 116 | ||
Tab. | 13 | - Andamento tendenziale dei principali indicatori del trasporto di | ||
merci su strada (distribuzione percentuale delle risposte) | “ | 118 | ||
Tab. | 14 | - Occupati dipendenti per settore di attività economica e ripartizione | ||
geografica (migliaia di unità) | “ | 120 | ||
Tab. | 15 | - Occupati indipendenti per settore di attività economica e ripartizione | ||
geografica (migliaia di unità) | “ | 120 | ||
Tab. | 16 | - Composizione del personale per tipologia contrattuale e per sesso | ||
valori % | “ | 140 | ||
Tab. | 17 | - Rapporti di lavoro part-time, distribuzione per inquadramento e sesso | ||
- valori % | “ | 140 | ||
Tab. | 18 | - Assunzioni nell’anno 2002 - % sul totale delle assunzioni | “ | 141 |
Tab. | 19 | - Occupazione e distribuzione nel settore assicurativo in Italia - valori | ||
assoluti in migliaia | “ | 142 | ||
Tab. | 20 | - Situazione contratti formazione e lavoro (numero di Cfl) al 31.12.2003 | “ | 143 |
Tab. | 21 | - Esiti occupazionali degli occupati con contratto a causa mista nel | ||
settore manifatturiero - valori % | “ | 157 | ||
Tav. | 1 | - Calcolo delle aree secondo quanto previsto dall’articolo 54, comma | ||
1, lettera e) del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 | “ | 216 | ||
Tav. | 2 | - Calcolo delle aree secondo quanto previsto dall’art. 2, lett. f), n. xi) | ||
del Reg. 2204/2002/CE | “ | 217 |
Indice delle figure
Fig. 1 - Utilizzo da parte delle aziende, nel corso del 2004, delle forme
contrattuali innovative previste dal Decreto Biagi | pag. | 87 | ||
Fig. | 2 | - Numero addetti nel settore Tlc (Italia, 1991 e 2001) | “ | 95 |
Fig. | 3 | - Variazione % del numero di addetti nel settore delle Tlc (Italia, 1991- | ||
2001) | “ | 95 | ||
Fig. | 4 | - Previsioni sugli effetti della Legge Biagi - valori % | “ | 150 |
Fig. | 5 | - Nuove forme contrattuali ritenute più adatte al mercato dei call center ( | ||
valori %) | “ | 151 | ||
Fig. | 6 | - Numeri indice dell’occupazione nelle grandi imprese in alcuni settori | ||
(gennaio 1996- ottobre 2004) | “ | 155 | ||
Fig. | 7 | - Numeri indice dell’occupazione dipendente nel settore dell’industria | ||
manifatturiera | “ | 156 | ||
Fig. | 8 | - Numeri indice dell’occupazione per settore (base 1993 = 100) | “ | 166 |
1. Analisi giuridica
1.1 Introduzione
L’emanazione del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 (“Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”), oltre ad incidere in modo diffuso sulla regolamentazione di importanti istituti giuridici in tema di organizzazione del mercato del lavoro e di flessibilizzazione del rapporto di lavoro, ha determinato una sostanziale rivisitazione della disciplina normativa dei contratti cd. a causa mista, apportando alla stessa, rispetto al passato, mutamenti radicali, idonei a modificarne la ratio legis complessiva.
Occorre evidenziare come, già nel Patto per l’Italia – stipulato nel 2002 tra Governo, associazioni imprenditoriali e parte delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative – fossero stati fissati alcuni profili di regolamentazione che successivamente sarebbero stati determinanti rispetto agli esiti finali della riforma dei contratti cd. a causa mista.
A tal proposito, infatti, basti precisare come, al punto 2.3 (“Gli obiettivi della riforma dei sostegni al reinserimento nel lavoro”) di tale documento, sia stato concordato, in chiave programmatica, che “la riforma del sistema delle tutele attive, necessariamente graduale e a carattere pluriennale, ha l’obiettivo di incoraggiare e assistere il lavoratore nel processo di reinserimento nel mercato del lavoro. Si deve, pertanto, realizzare un circolo virtuoso tra sostegno al reddito, orientamento e formazione professionale, impiego e autoimpiego che rafforzi così la tutela del lavoratore in situazione di disoccupazione involontaria, ne riduca il periodo di disoccupazione, ne incentivi un atteggiamento responsabile ed attivo verso il lavoro”.
Traendo le conclusioni da quanto sopra, tra gli strumenti ritenuti idonei al perseguimento di tali finalità, le parti contraenti hanno, in tale Patto, convenuto (punto 2.4, “Le prime misure”) che “un primo intervento consiste nella rapida attuazione, con il concorso delle parti sociali, dei principi contenuti nel Ddl 848 bis volti a razionalizzare gli istituti attuali, superando sprechi ed inefficienze, e a collegare strettamente integrazioni al reddito, servizi di orientamento, formazione come altre misure di inserimento nel mercato del lavoro, anche attraverso gli organismi bilaterali, valutando il possibile concorso di risorse derivanti dal Fondo Sociale Europeo”.
In particolar modo, soprattutto quanto previsto al punto 2.5 (“Il riordino degli incentivi”) consente di rinvenire elementi utili ad interpretare la valenza delle norme introdotte con il D.Lgs.
n. 276/2003 (in avanti, anche Decreto) in tema di contratto di inserimento. Nel Patto per l’Italia, infatti, è stato stabilito che “il riordino degli incentivi sarà orientato prioritariamente alla promozione dei contratti a contenuto misto con certificazione dell’attività formativa da parte degli organismi bilaterali; al reinserimento dei disoccupati di lungo periodo; alla promozione di strumenti che possano facilitare la mobilità del lavoro, anche al fine di accompagnare i processi di localizzazione produttiva; all’inclusione delle donne nel mercato del lavoro e, più in generale,
all’incremento dell’occupazione, anche autonoma e imprenditoriale, nel Mezzogiorno”.
A più di un anno dalla elaborazione del documento appena richiamato (documento questo ancora in attesa di trovare attuazione concreta), si osserva molto brevemente che, a seguito dell’introduzione del D.Lgs. n. 276/2003, il cd. decreto di riforma del mercato del lavoro, la dicotomia di istituti contrattuali a contenuto formativo, presente nella legislazione antecedente al settembre 2003, è stata risolta, da una parte, attraverso la scelta strategica di rendere il contratto di apprendistato, così come del resto già annunciato nel Libro Bianco1, lo strumento principe a cui far ricorso in vista della formazione dei lavoratori2; dall’altra, procedendo, seppur non imme- diatamente, all’abrogazione del contratto di formazione e lavoro (in avanti, anche Cfl) con riferi- mento al settore privato, conservando l’efficacia della pertinente disciplina esclusivamente in relazione al rapporto di impiego con le pubbliche amministrazioni, dove peraltro è molto poco applicata 3.
Una volta programmata la cessazione della stagione di applicazione di quest’ultima tipologia contrattuale, peraltro secondo un articolato regime (collettivo e legislativo) transitorio, di cui verrà dato conto in avanti, il Legislatore è intervenuto introducendo e regolamentando un nuovo istituto negoziale, il contratto di inserimento4.
1.2 Natura del contratto di inserimento
Appare, innanzi tutto, improprio assumere che vi sia stata un effetto di sostituzione tra la disciplina contrattuale, prima ancora che un recepimento delle connesse finalità normative, del contratto di inserimento e quella del Cfl 5 , dal momento che il primo istituto va distinto
1 Ministero del lavoro, Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia – Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità”, Roma, ottobre, 2001: “Per i contratti a causa mista in senso proprio gioverebbe senz’altro una maggiore distinzione delle funzioni alle quali tali tipologie contrattuali possono assolvere. In questa ottica potrebbe prospettarsi una distinzione orientata da un lato a valorizzare il ruolo dell’apprendistato come strumento formativo per il mercato, mentre il Cfl dovrebbe essere concepito come strumento per realizzare un inserimento mirato del lavoratore in azienda.
2 A tal fine è sufficiente riportare quanto previsto al comma primo dell’art. 47 (“Definizione, tipologie e limiti quantitativi”) del D.Lgs. n. 276/2003:
“1. Ferme restando le disposizioni vigenti in materia di diritto-dovere di istruzione e di formazione, il contratto di apprendistato è definito secondo le seguenti tipologie:
a) contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione;
b) contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale;
c) contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma per percorsi di alta formazione”.
3 Ai sensi dell’art. 86, co. 9 del Decreto, “La vigente disciplina in materia di contratti di formazione e lavoro, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 59, comma 3, trova applicazione esclusivamente nei confronti della pubblica amministrazione”.
4 Al fine di rendere immediatamente esplicito il fine di tale intervento legislativo, è possibile richiamare la circolare n. 31/2004 del Ministero del lavoro, in tal senso, si coglie che “il contratto di apprendistato rimane un contratto spiccatamente caratterizzato dalla funzione formativa e destinato, anche per questo, ad esaurire l’ambito di operatività un tempo riservato al contratto di formazione e lavoro. Il contratto di inserimento, per contro, è un nuovo contratto nel quale la funzione formativa perde la sua natura caratterizzante a favore della finalità di garantire la collocazione o la ricollocazione nel mercato del lavoro di soggetti socialmente più deboli individuati tassativamente dal legislatore”.
5 Art. 16, D.L. 16.05.1994, n. 299 (convertito nella L. n. 451/1994):
“1. Possono essere assunti con contratto di formazione e lavoro i soggetti di età compresa tra sedici e trentadue anni. Oltre ai datori di lavoro di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, possono stipulare contratti di formazione e lavoro anche gruppi di imprese, associazioni professionali, socio-culturali, sportive, fondazioni,
nettamente da quest’ultimo per una serie di aspetti giuridici e di presupposti applicativi che verranno in seguito illustrati e che inducono, sin d’ora, l’interprete ad affermare che il contratto di inserimento non possa essere facilmente ricondotto al genus dei contratti a causa mista o a contenuto formativo6.
Al fine di offrire ad operatori ed interpreti un’interpretazione autentica sulla natura del contratto di inserimento, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la circolare n. 31 del 21 luglio 2004, ha ritenuto opportuno precisare come, in tale tipologia contrattuale, “la funzione formativa perde la sua natura caratterizzante a favore della finalità di garantire la collocazione o la ricollocazione nel mercato del lavoro di soggetti socialmente più deboli individuati tassativamente dal Legislatore”.
Del resto, proprio per superare alcune ambiguità e contraddizioni che hanno caratterizzato in passato l’applicazione del contratto di formazione e lavoro, sino a travisarne le finalità formative che ne costituivano parte integrante del relativo schema causale, l’attuale legislatore ha ritenuto
enti pubblici di ricerca, nonché datori di lavoro iscritti agli albi professionali quando il progetto di formazione venga predisposto dagli ordini e collegi professionali ed autorizzato in conformità a quanto previsto al comma 7.
2. Il contratto di formazione e lavoro è definito secondo le seguenti tipologie:
a) contratto di formazione e lavoro mirato alla:
acquisizione di professionalità intermedie; acquisizione di professionalità elevate;
b) contratto di formazione e lavoro mirato ad agevolare l’inserimento professionale mediante un’esperienza lavorativa che consenta un adeguamento delle capacità professionali al contesto produttivo ed organizzativo. (...)
6. Per i contratti di cui alla lettera a) del comma 2 continuano a trovare applicazione i benefici contributivi previsti dalle disposizioni vigenti in materia alla data di entrata in vigore del presente decreto (ndr: l’art. 8,
L. n. 407/1990). Per i contratti di cui alla lettera b) del predetto comma 2 i medesimi benefici trovano applicazione subordinatamente alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e successivamente ad essa, per una durata pari a quella del contratto di formazione e lavoro così trasformato e in misura correlata al trattamento retributivo corrisposto nel corso del contratto di formazione medesimo. Nelle aree di cui all’obiettivo n. 1 del regolamento (CEE) n. 2081/93 del Consiglio del 20 luglio 1993, e successive modificazioni, in caso di trasformazione, allo scadere del ventiquattresimo mese, dei contratti di formazione e lavoro di cui al comma 2, lettera a), in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, continuano a trovare applicazione, per i successivi dodici mesi, le disposizioni di cui al comma 3 e quelle di cui al primo periodo del presente comma. Nel caso in cui il lavoratore, durante i suddetti ulteriori dodici mesi, venga illegittimamente licenziato, il datore di lavoro è tenuto alla restituzione dei benefici contributivi percepiti nel predetto periodo”.
6 Tale assunto, in verità, è tutt’altro che incontrastato: in termini di prima approssimazione, è possibile riportare il testo ufficiale del principio sul contratto di inserimento della Fondazione studi consiglio nazionale dei consulenti del lavoro (in Guida al Lavoro, 2004, n. 26, p. XIII) dove viene affermato che “il contratto di inserimento è un contratto di lavoro a causa mista, laddove l’elemento formativo ha lo scopo in via generale di integrare competenze professionali già in possesso del lavoratore piuttosto che di consentire il conseguimento di una qualifica professionale, come avveniva in passato in materia di contratti di formazione e lavoro”. In termini similari, può essere utile richiamare il pensiero di chi (Coordinamento giuridico dell’Unione Industriali di Bergamo e Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Contratto di inserimento e attività formativa, in Diritto e pratica del lavoro, 2004, n. 25, p. 1686) ha affermato che il contratto di inserimento sarebbe “una nuova tipologia di rapporto di lavoro a causa mista, di fatto sostitutiva (per vari aspetti) del contratto di formazione e lavoro, contraddistinta da un onere formativo particolarmente flessibile ed adattabile alle esigenze aziendali, nonché priva – a differenza dei Cfl, soggetti a delibera Cri ovvero al rilascio del visto di conformità da parte delle specifiche commissioni bilaterali costituite in ambito regionale – di una procedura di verifica preventiva del progetto formativo da svolgersi in sede pubblica”. Di contro, parte della dottrina (Xxxxxxxx M.G., I contratti a causa mista nel D.Lgs. n. 276/2003, in R.G.L.P.S., 2004, n. 3, p. 427) ritiene che la finalità occupazionale corrisponde ad un interesse pubblico-generale e, come tale, non è idonea a conformare gli interessi tipici delle parti, né le obbligazioni tipicamente assunte dalle stesse e, dunque, neanche il profilo della causa del contratto.
di dover conformare il contratto di inserimento come strumento giuridico volto ad incrementare il tasso di partecipazione di quelle particolari categorie soggettive di lavoratori che incontrano notevoli difficoltà nel trovare una felice collocazione nel mercato del lavoro italiano7.
Anche per questo, con particolare riferimento alle distorsioni verificatesi nell’ambito del ricorso al Cfl, appare lucida e condivisibile l’analisi di chi ha osservato come abbia costituito “una tardiva presa d’atto che la componente più genuinamente formativa del vecchio contratto di formazione e lavoro – cui subentra il contratto di inserimento – è stata sistematicamente mortificata da funzioni ulteriori e improprie, tra cui la riduzione del costo del lavoro, l’inserimento del mercato del lavoro delle fasce giovanili e, non da ultimo, l’allentamento di talune rigidità in materia di assunzioni”8.
È possibile, in merito, brevemente evidenziare come, secondo parte della dottrina 9 , la
7 A tal proposito, secondo parte della dottrina (Xxxxxxxx D., Il contratto di inserimento: dall’occupabilità all’adattabilità, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2004, n. 3, p. 311), non solo in virtù della sua definitiva attrazione nell’area degli incentivi all’occupazione, ma anche in relazione alla particolare funzione del progetto individuale di inserimento, il contratto in esame, con riferimento alla Strategia europea per l’occupazione (Seo), dovrebbe essere riconducibile al pilastro della adattabilità (secondo gli orientamenti del 2003, quest’ultimo, in forma di orientamento, richiede di “affrontare il cambiamento e promuovere l’adattabilità e la mobilità del mercato del lavoro”). In termini contrari, invece, si pone chi (Xxxxxxx X. e Xxxxxxxx X., I contratti a contenuto formativo tra formazione e lavoro e inserimento professionale, in I Working Papers del Centro studi di diritto del lavoro europeo “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, xxxx://xxx.xxx.xxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxxx/xx/x00_xxxxxxx_xxxxxxxx.xxx, 2004, p. 22), facendo affidamento soprattutto sulla rilevanza di breve periodo delle finalità (ingresso nel mercato del lavoro) sottese all’introduzione del contratto di inserimento, ritiene più plausibile l’inquadramento di tale contratto nel diverso pilastro dell’occupabilità, che negli orientamenti del 2003 è stato declinato in termini di “misure attive e preventive per le persone disoccupate ed inattive”.
8 Tiraboschi M., Opportunità per le fasce socialmente più deboli, in Il Sole 24 ore del 22 luglio 2004, p. 17. L’Autore sottolinea, altresì, come il soddisfacimento con il Cfl di tali ulteriori funzioni, sebbene autonomamente meritevoli, abbia finito “per creare vere e proprie barriere e discriminazioni all’ingresso nel mercato regolare di altri gruppi di lavoratori svantaggiati: over 50 espulsi dai processi produttivi, donne e madri in cerca di reinserimento nel mercato del lavoro, disoccupati di lungo periodo, disabili, ecc.”. Sulla medesima falsariga, sempre Xxxxxxxxxx (Il Nuovo apprendistato e il contratto di inserimento (ex Cfl), in Supplementi di Guida al lavoro, n. 4, giugno 2003, p. 100) ha affermato che la sostanziale mortificazione della componente genuinamente formativa è avvenuta “vuoi in funzione di politiche di mero aiuto al funzionamento delle imprese – grazie alla riduzione surrettizia del costo del lavoro garantita da una cospicua dote di incentivi economici, su cui solo recentemente e parzialmente è intervenuta l’Unione europea; vuoi in funzione dell’integrazione nel mercato del lavoro dei disoccupati e del sostegno del reddito della forza-lavoro giovanile”. A tal proposito, va richiamato anche la tesi di quella parte della dottrina (Balletti E., Il contratto di inserimento al lavoro: profili strutturali e funzionali del nuovo modello negoziale, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2004, n. 5, p. 423), secondo cui rispetto al Cfl, rispetto all’idea originaria di “strumento tipico per l’acquisizione integrale o coordinata di una determinata formazione professionale”, dove “la formazione, in linea di principio, dovrebbe allora rilevare in via autonoma rispetto all’espletamento effettivo della prestazione lavorativa”, si è via via affermata “una mutazione dogmatica di detta tipologia di impiego della forza lavoro: da strumento preordinato a coniugare e raccordare esperienza formativa teorica e pratico-applicativa a potenziale meccanismo di mera incentivazione dell’occupazione giovanile in ragione del minor costo del lavoro”.
9 Alleva G., La ricerca e la analisi dei punti critici del decreto legislativo 276/2003 in materia di occupazione e mercato del lavoro, in R.G.L.P.S., 2003, n. 4, p. 910; Xxxxxxxx M.G., op. cit., 2003, p. 416. A conclusioni similari perviene Balletti (op. cit., 2004, p. 424). Quest’ultimo, in particolare, sottolinea come “effetto di una simile impostazione è rappresentato dalla diffusa propensione ad ammettere la persistenza in vita del rapporto di lavoro anche al cospetto di situazioni ostative all’attuazione del programma negoziale che, a restare fedeli alla logica generale, dovrebbero importarne la trasformazione in contratto a tempo indeterminato. E ciò in forza di una valutazione indubbiamente indulgente egli obblighi datoriali connessi all’istituto negoziale, in cui rileva l’opzione in base alla quale anche una divergenza non lieve dagli adempimenti prefigurati nel programma di formazione non sia sanzionabile con la conversione in contratto a
distorsione e lo snaturamento delle finalità legislative che avevano portato all’introduzione del Cfl ha trovato un avallo ufficiale non irrilevante nella sentenza della Corte Costituzione n. 190 del 21.5.198710, in cui venne stabilito, soprattutto per escludere ogni potenziale invasione nella sfera di competenza delle Regioni in materia di formazione professionale, che “la finalità precipua del contratto di formazione e lavoro era pur sempre quella dell’inserimento lavorativo”. La giurisprudenza di merito, pertanto, ebbe modo di reinterpretare tale sentenza del Giudice delle leggi nel senso dell’irrilevanza della violazione degli obblighi di formazione assunti dal datore di lavoro, “con conseguente disattivazione della sanzione di trasformazione del contratto di formazione e lavoro in un normale contratto di lavoro (pur espressamente prevista dal nono comma dell’art. 3 della legge n. 863/1984)”, in tal modo permettendo, e diffusamente, che un grave inadempimento agli obblighi formativi, non solo formalmente assunti, ma per il cui corretto svolgimento erano stati altresì riconosciuti alle aziende plurimi benefici economici e contributivi, “potesse restare senza sanzione”. Si potrebbe così affermare che proprio nell’orientamento giurisprudenziale scaturito dalla sentenza della Corte Costituzionale prima richiamata potrebbe rinvenirsi la ratio che, pur dopo i richiami della Commissione europea e la condanna della Corte di Giustizia, ha determinato la scelta di precludere il ricorso al Cfl con riferimento ai rapporti di lavoro privato e che, nel 2003, ha permesso di preparare il terreno all’introduzione del contratto di inserimento.
Ritornando alla questione della possibilità di inquadrare il contratto di inserimento tra quelli a contenuto formativo, parte della dottrina11, pur non sottacendo la delicatezza e la non unanimità di opinioni sul punto, rileva che “l’inserimento del lavoratore in azienda secondo un progetto concordato costituisce la causa del contratto, per cui anche il contratto di inserimento, come già il contratto di formazione e lavoro, rientra nell’ambito dei contratti a causa mista”. Ed, ancora, è stato fatto notare che “non si comprende perché si insista tanto sulla necessità di un progetto
tempo indeterminato qualora si accerti che in concreto si sia comunque raggiunto lo scopo di un ingresso guidato al mercato del lavoro, senza che pertanto sia attribuito rilievo determinante all’assenza totale o parziale della formazione teorica”.
10 Corte costituzionale, 25 maggio 1987, n. 190: “Sono infondate, in riferimento agli art. 117 e 118 cost., le questioni di legittimità costituzionale degli art. 8, comma 3, 16 ter, 16 quater l. 1 giugno 1977 n. 285 (nel testo introdotto dagli art. 8, 13 e 14 d.l. 6 luglio 1978 n. 351, convertito nella l. 4 agosto 1978 n. 479), che, nell’ambito del previsto contratto di formazione, assegnano ad organo statale a composizione mista (quale la commissione regionale per l’impiego) la determinazione di modalità e durata della formazione professionale e ad altro organo statale (commissione costituita presso gli uffici provinciali del lavoro) l’accertamento della qualifica professionale ai fini della iscrizione nelle liste di collocamento, trattandosi di interventi che interessano (anche) settori di specifica competenza statale (quali collocamento e rapporto di lavoro) e perseguono ampie finalità di ordine politico, sociale ed economico (quali il superamento della crisi dell’occupazione e delle imprese, il contenimento del costo del lavoro, ecc.); (...) Sono infondate, in riferimento agli art. 117 e 118 cost., ed agli art. 2 e 4 dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta (l. cost. 26 febbraio 1948 n. 4), gli artt. 3 e 4 d.l. n. 726 del 1984, convertito nella legge n. 863 del 1984, che – in relazione al contratto di formazione e lavoro, avente finalità prevalentemente occupazionale oltre che formativa – prevedono competenze della commissione regionale per l’impiego ed interventi del datore di lavoro in tema di formazione professionale dei lavoratori”, in Foro Italiano, 1988, I, c. 361.
11 Spolverato G., Dopo il Cfl il contratto di inserimento, in Diritto e pratica del lavoro, 2004, n. 2, p. 85. Particolarmente interessante appare la posizione di Vallebona A., (Istituzioni di diritto del lavoro – Tomo II, Il rapporto di lavoro, Cedam, Padova, 2004, 617), che sostiene che “il contratto di inserimento è anch’esso un contratto di lavoro subordinato a causa mista, in cui allo scambio tra lavoro e retribuzione si aggiunge la realizzazione di un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore ad un determinato contesto lavorativo al fine dell’inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro”. In termini similari, in considerazione dell’oggetto complesso del contratto di inserimento, appaiono le conclusioni di Xxxxxxx L. e Saracini P. (op. cit., 2004, p. 40).
individuale di inserimento o lo si preordini al conseguimento, da parte del lavoratore, di determinate competenze professionali e qualificazioni (art. 54, comma 1, e 59, comma 1), se non nell’ottica di avere a disposizione un nuovo strumento che, oltre a creare occupazione (rectius, occupabilità), sia pur sempre un ulteriore contratto a contenuto formativo (e non un mero contratto a termine)”12.
Le ragioni di cui sopra, insieme alle previsioni legislative di regolamentazione dell’istituto in esame (art. 54, co. 1: “realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l’inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro”), potrebbero indurre a sostenere che il contratto di inserimento debba, a differenza del Cfl, presupporre, in capo al lavoratore, la sussistenza di una professionalità già acquisita, non essendo rivolto a permettere il conseguimento di una qualifica professionale in favore del prestatore di lavoro.
Il potenziale destinatario del contratto di inserimento, pertanto, dovrebbe essere un soggetto dotato di competenze professionali già maturate in epoca precedente all’assunzione con questo strumento contrattuale e che, con l’esecuzione del contratto di inserimento, verrà accompagnato nell’adeguamento delle proprie preesistenti competenze alle specificità del processo produttivo adottato in azienda. Parte della dottrina13, confermando quanto appena chiarito, sostiene che “la finalizzazione del contratto di inserimento all’adeguamento al contesto produttivo ed organizzativo di capacità professionali già possedute dal lavoratore, dovrebbe escludere l’utilizzabilità dello stesso per assumere soggetti privi di una capacità professionale adattabile, dirottabili, età premettendo, verso l’apprendistato”.
Allo stesso tempo, come vedremo, ben difficilmente potrebbe sostenersi che i soggetti privi di specifica qualifica professionale debbano, di per sé, considerarsi non legittimati a sottoscrivere tale contratto: basta, infatti, pensare alla categoria dei giovani tra i 18 ed i 29 privi di un titolo di studio professionale o che non abbiano maturato alcuna specifica esperienza professionale in precedenza (art. 54, co. 1, lett. a, del Decreto) per vedere suffragata tale conclusione.
Non appare, dunque, affatto possibile affermare che la mancanza di competenze professionali possa in alcun modo assumere rilevanza condizionante ai fini della validità del contratto, anche perché le fattispecie invalidanti dell’istituto in esame sono state tassativamente previste all’art. 56 del provvedimento di riforma del mercato del lavoro. Ben altro discorso, ovviamente, xxxxxxxx esteso qualora il lavoratore risultasse assolutamente inidoneo rispetto alle mansioni assegnategli in azienda, perché, in questo caso, l’inidoneità rileverebbe non tanto ai fini della validità del rapporto, quanto rispetto a quelli, ben diversi, della convenienza per il datore di lavoro della sua effettiva prosecuzione.
Tutto ciò fermo e dovendo procedere in stretta considerazione di quanto previsto al Capo II del Titolo IV del D.Lgs. n. 276/2003 (artt. 54-59), si potrebbe concludere che, astrattamente, il contratto di inserimento costituisca un normale contratto di lavoro, la cui causa risiede nel mero scambio tra prestazioni di lavoro e retribuzione. Tuttavia, come peraltro già evidenziato, la natura giuridica della causa di questo contratto rimane controversa: esemplificativamente, la stessa
12 Trivellini R., Il contratto di inserimento tra affermazioni di principio e scelte di metodo, in Diritto e pratica del lavoro, 2004, n. 5, p. 305. Tale Autore (op. cit., p. 304), tuttavia, osserva parimenti che “nelle intenzioni del legislatore delegato vi è la volontà di tipizzare uno schema contrattuale flessibile, per il quale il profilo della formazione si appalesa del tutto eventuale e secondario rispetto ad una primario obiettivo di politica occupazionale”.
13 Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 292.
riduzione del corrispettivo retributivo derivante, come vedremo nel paragrafo dedicato agli incentivi, dal sottoinquadramento del lavoratore, non sarebbe volta a “compensare la qualificazione”, ma, più semplicemente, a determinare “l’opportunità per il lavoratore di essere inserito o reinserito in azienda”14, sollecitando così legittime perplessità sulla possibilità che tale particolare finalità, insieme alla rilevanza essenziale del progetto individuale di inserimento, possa o meno incidere sullo schema causale, connotandolo in modo affatto peculiare.
Si osserva, infine, nel contesto di queste prime considerazioni generali, come la specificità della regolamentazione del contratto di inserimento abbia determinato il venir meno della necessarietà della ripartizione di competenze legislative tra Stato e Regioni, malgrado non sia stata del tutto pacifica l’estromissione di quest’ultime da ogni ipotesi di intervento sulla disciplina della formazione15 che potrà essere eventualmente somministrata al lavoratore assunto con un contratto di inserimento, così come da ogni possibile funzione connessa alle procedure di controllo e di certificazione delle professionalità acquisite attraverso l’esecuzione del progetto individuale di inserimento.
Va, inoltre, aggiunto come abbia suscitato non poche perplessità e polemiche la circostanza per cui non sia stato originariamente previsto, accanto all’intervento sostitutivo del Governo, anche quello delle Regioni nel caso di mancata elaborazione, nei contratti collettivi nazionali stipulati dalle parti sociali comparativamente più rappresentative, delle modalità di definizione dei piani individuali di inserimento16, secondo quanto previsto al comma terzo dell’art. 55 del D.Lgs. n. 276/200317.
14 Xx Xxxxxx X., Contratto di inserimento: la contribuzione previdenziale, in Guida al lavoro, 2004, n. 26, p.
VII. Va rilevato come, in quest’ultimo contributo, la retribuzione del lavoratore sottoinquadrato verrebbe assimilata “ad un salario di ingresso”. Del medesimo avviso, quella dottrina (Xxxxxxxx X., Il contratto di inserimento, in Il lavoro tra progresso e mercificazione – Commento critico al decreto legislativo, n. 276/2003, Ediesse, Roma, 2004, p. 301) per cui il lavoratore assunto con contratto di inserimento, a fronte del sottoinquadramento, percepirebbe un salario di ingresso; contra, Balletti E., op. cit., 2004, p. 434.
15 Si osserva, a tal proposito, che la Corte Costituzionale, come più ampiamente si darà conto in questo paragrafo, con la sentenza n. 50/2005 ha deciso che “il ricorso eventuale ai fondi per la formazione continua, per la realizzazione del progetto di cui al comma 2, non equivale a determinare la relativa disciplina di questo. Si deve soggiungere che la norma non esclude che le Regioni possano porre a disposizione delle parti del rapporto strutture idonee a supportare l’attuazione del progetto d’inserimento”. Pertanto, sempre che si proceda contrattualmente a prevedere attività di formazione anche in costanza di esecuzione del contratto di inserimento, le Regioni potranno tornare ad esercitare un proprio ruolo autonomo. In quest’ambito, pertanto, le Regioni tornerebbero ad appropriarsi delle proprie potestà in tema di formazione, perché, come correttamente sostenuto in dottrina (Bellocchi P., Contratto di inserimento, in AA.VV., Il nuovo mercato del lavoro, Zanichelli, Bologna, 2004, p. 633), “se formazione concretamente vi è, aziendale o extra-aziendale, non potrebbe che essere regionale”. In tal senso la previsione in tema di formazione contenuta nell’Accordo Interconfederale del 2004 apre certamente uno spiraglio ad un intervento, non importa se regolamentare o di mero supporto, delle regioni anche nel contratto di inserimento.
16 Per un esame approfondito di questo profilo, si rinvia a Orlandini G., Contratti a contenuto formativo e competenze normative delle Regioni, in De Xxxx Xxxxxx R., Xxxxxxxx M., Xxxxxxx L., Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, E.S., Napoli, p. 515 e ss. Si veda, inoltre, Spolverato G., Un contratto di inserimento per un ingresso mirato nel mercato del lavoro, in Contratti di lavoro flessibili e contratti formativi, in Brollo M., Xxxxxxxxx M.G. e Xxxxxxxxx L. (a cura di), in Commentario al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, coordinato da Xxxxxx Xxxxxxx, Ipsoa, Milano, 2003, p. 227.
17 In questo caso è stato sollevato uno specifico rilievo di legittimità costituzionale dal momento che è stato sostenuto dalle Regioni ricorrenti che l’incostituzionalità dell’art. 55, comma 3, sarebbe palese giacché siffatta previsione, oltre ad ignorare completamente le competenze regionali, sarebbe anche in contrasto con la delega di cui all’art. 2, comma 1, lettera h), della legge n. 30 del 2003, ove è stato previsto che, in caso di mancato accordo con le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, i contenuti dell’attività formativa avrebbero potuto essere individuati dalle Regioni d’intesa col Ministro, e non da quest’ultimo con proprio decreto.
Costituiscono una evidente riprova di queste perplessità interpretative i ricorsi che sono stati presentati nel 2003 da alcune regioni (Toscana e Marche) alla Corte Costituzionale, sulla base del rilievo che la disciplina di cui agli artt. 54 e 55 del Decreto non ha previsto, in questo contesto, alcuna forma di intervento e/o di partecipazione delle Regioni, finendo così, secondo la ricostruzione estesa nei ricorsi giurisdizionali, per ledere le competenze regionali in tema di formazione e di tutela e sicurezza del lavoro e, conseguentemente, violare l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
Una competenza concorrente, infatti, avrebbe potuto giustificarsi in relazione a quanto previsto all’art. 2, lett. h, della L. n. 30/200318, ma la connotazione finale, come emersa dal D.Lgs. n. 276/2003 (al di là di ogni diversa questione di legittimità costituzionale rilevante ai fini del rispetto dei principi e criteri direttivi enucleati nella legge delega n. 30/2003), del contratto di inserimento, come strumento esclusivamente destinato all’incentivazione dell’occupazione, ha infatti determinato, insieme alla potenziale estromissione di tale tipologia contrattuale dal genus dei contratti di lavoro a causa mista, anche il venir meno della competenza legislativa regionale19.
In termini contrari a tale assunto, parte della dottrina ha sostenuto che competenze regionali avrebbero comunque potuto “trovare un loro fondamento costituzionale nella nozione di tutela e sicurezza del lavoro, nella misura in cui il nuovo contratto intende perseguire finalità di politica attiva del lavoro (...); ferma restando la competenza statale nella determinazione delle ore minime da destinare alla formazione, si aprirebbero spazi per autonome normative regionali finalizzate a disciplinare il percorso formativo, specificandone le modalità di attuazione, ed a rafforzare le procedure di controllo, preventivo e finale, sulla professionalità acquisita attraverso di esso. In sostanza la normativa regionale potrebbe regolare il procedimento di autorizzazione dei progetti formativi (in futuro d’inserimento), definendo al contempo i requisiti ed i criteri cui gli stessi devono attenersi”20.
Le censure proposte da alcune regioni contro la legittimità costituzionale della disciplina del contratto di inserimento, sono state avversate dall’Avvocatura dello Stato che ha sostenuto che questa tipologia contrattuale, “benché rappresenti una misura finalizzata a garantire l’entrata nel mercato del lavoro di soggetti svantaggiati, tuttavia configura un vero e proprio contratto di lavoro, non più definibile come contratto a causa mista, in cui i contenuti formativi risultano solo eventuali e comunque strumentali al progetto individuale di inserimento, che diviene elemento essenziale del contratto. In tale prospettiva la relativa disciplina spetta senz’altro al legislatore statale e si giustifica, altresì, la normativa provvisoria prevista. Infatti, se il contenuto formativo
18 “Il Governo è delegato ad adottare (…) uno o più decreti legislativi diretti a stabilire, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell’Unione europea in materia di occupazione, la revisione e la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: h) sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento, al fine di determinare i contenuti dell’attività formativa, concordati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e territoriale, anche all’interno di Enti bilaterali, ovvero, in difetto di accordo, determinati con atti delle regioni, d’intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali”.
19 In dottrina (Xxxxxxx X., e Xxxxxxxx X., op. cit., 2004, p. 26) viene affermato che, con il D.Lgs. n. 276/2003, “si introduce una netta demarcazione, che taglia alla radice ogni complessa distinzione trasversale tra disciplina del rapporto di lavoro – di competenza statale, per dottrina prevalente – e disciplina dei profili formativi – di competenza regionale, per chiara indicazione normativa;(…) la marginalizzazione degli aspetti formativi esclude ogni intreccio con le competenze costituzionalmente garantite alle regioni”.
20 Orlandini G., op. cit., 2004, p. 523.
è un aspetto strumentale volto a garantire la effettiva realizzazione della causa contrattuale, anche la sua regolazione rientra nella competenza statale a disciplinare i rapporti interprivati e, per tale via, appare legittima la previsione di un intervento di natura regolamentare da parte del Ministro del lavoro” (come da ricostruzione contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale). Quest’ultima, definitivamente pronunciandosi, con la sentenza n. 50 del 28 gennaio 2005, sulla legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 276/2003, ha giudicato infondati i ricorsi in relazione ai rilievi che hanno interessato la regolamentazione del contratto in esame. In particolare, il Giudice delle leggi ha statuito che “I commi 1 e 2 dell’art. 54 (...) definiscono il contratto d’inserimento e prevedono i soggetti abilitati a stipularlo. Sono norme che rientrano nell’ordinamento civile dalle quali nessuna lesione deriva alle competenze regionali. I commi che seguono regolano il numero di contratti d’inserimento stipulabili con riguardo ai lavoratori legati da tale tipo di rapporto e che siano stati mantenuti in servizio. Si tratta di principi fondamentali in materia di tutela del lavoro, sicché anche in tali disposizioni non si rinvengono lesioni di attribuzioni regionali. (…) La previsione della finalizzazione del progetto alla garanzia dell’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore al contesto lavorativo induce a ritenere che ciò che viene in primo piano sia il profilo intersoggettivo contrattuale del particolare tipo di rapporto di lavoro: competenze professionali del lavoratore e contesto lavorativo e dunque particolarità dell’azienda e delle sue articolazioni, cioè aspetti rientranti nell’ordinamento civile. Il ricorso eventuale ai fondi per la formazione continua, per la realizzazione del progetto di cui al comma 2, non equivale a determinare la relativa disciplina di questo. Si deve soggiungere che la norma non esclude che le Regioni possano porre a disposizione delle parti del rapporto strutture idonee a supportare l’attuazione del progetto d’inserimento. L’intervento in via amministrativa del Ministro è previsto soltanto come
sostitutivo di quello privatistico delle parti sociali.
Gli articoli 56 e 57 del D.Lgs. n. 276 contengono la disciplina della forma, della durata e delle eventuali cause di sospensione del rapporto (servizio militare o civile, astensione per maternità) e il divieto di rinnovazione tra le stesse parti, ossia aspetti prettamente privatistici, la cui regolamentazione rientra nell’ambito dell’ordinamento civile. Le denunce della Regione Marche – che lamenta l’esorbitanza da parte della disciplina statale nella sfera di competenza regionale – sono pertanto non fondate. Gli articoli 58 e 59 del D.Lgs., anch’essi impugnati soltanto dalla Regione Marche, contengono la disciplina di aspetti del rapporto intersoggettivo (art. 58, comma 1, e art. 59, comma 1) oppure principi fondamentali in tema di tutela del lavoro (numero massimo di lavoratori assunti con contratti d’inserimento, esclusione di tali lavoratori dal computo dei limiti numerici, disciplina generale degli incentivi economici). Irrilevante, ai fini della questione di costituzionalità, è la modifica introdotta dall’art. 13 del Decreto correttivo n. 251 del 2004. Anche tali disposizioni non sconfinano negli ambiti di competenze regionali”.
La Corte Costituzionale, pertanto, rigettando i ricorsi delle regioni, ha ritenuto che il Governo non avesse violato le competenze legislative attribuite alle regioni ai sensi dell’art. 117 Cost., come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.
La disciplina del contratto di inserimento, laddove la formazione rimane un elemento solo eventuale21, rientrerebbe, peraltro, nell’ordinamento civile, che rimane di esclusiva competenza
21 Non per questo si deve però sottacere come, nella realtà dell’esecuzione dei rapporti di lavoro, sia ricorrente che ogni azienda, al di là di specifici obblighi, somministri comunque un minimo di formazione a tutti i propri lavoratori neo-assunti, indipendentemente dal contratto per gli stessi utilizzato. Il percorso formativo risulta, infatti, in ogni caso utile a permettere una piena acquisizione delle nozioni teoriche e pratiche che
del Legislatore statale, così da preservare l’uniformità normativa nazionale della rego- lamentazione dei connessi rapporti di lavoro22.
1.3 Ambito di applicazione
Come già accennato, in esecuzione dei principi e criteri direttivi contenuti all’art. 2 della L. n. 30 del 14.2.2003, la disciplina del contratto di inserimento è stata regolamentata agli artt. 54-59 del Decreto. Si può immediatamente affermare che la disciplina del rapporto di lavoro, derivante dall’accettazione di un contratto di inserimento, non è stata elaborata in modo dettagliato: è stata, infatti, scientemente preferita una soluzione per cui le eventuali lacune di regolamentazione avrebbero potuto essere colmate attraverso il richiamo alle nome del contratto di lavoro a tempo determinato (D.Lgs. n. 368/2001) e, in particolare, tramite l’articolato rinvio23 all’elaborazione negoziale delle parti collettive24.
Ferma tale precisazione, va adesso evidenziato come quello in esame sia stato definito, all’art.
54 del Decreto, come “un contratto di lavoro diretto a realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l’inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro delle seguenti categorie di persone:
a) soggetti di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni;
b) disoccupati di lunga durata da ventinove fino a trentadue anni;
c) lavoratori con più di cinquanta anni di età che siano privi di un posto di lavoro;
d) lavoratori che desiderino riprendere una attività lavorativa e che non abbiano lavorato per
facilitano e determinano un consapevole adattamento del lavoratore al contesto produttivo in cui lo stesso sarà chiamato a svolgere le proprie mansioni.
22 Carinci F., Osservazioni sulla riforma del Titolo V della Costituzione. La materia del lavoro, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxx/xxxxxxx/xxxxxxxx, correttamente rileva come “il diritto del lavoro, sia nella sua parte sindacale, tutta ricostruita in parziale difformità dalla costituzione formale, in chiave di autonomia collettiva-privata, sia nella sua parte individuale, tutta fondata sul contratto di lavoro, ricade all’interno ordinamento civile”.
23 In sintesi, oltre alla facoltà più vasta e generalizzata ad essa attribuita ai sensi dell’art. 58, co. 1 (“Salvo diversa previsione dei contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dei contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’articolo 19 della legge 20 maggio 1970,
n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie, ai contratti di inserimento si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368”), la contrattazione collettiva potrà, infatti, intervenire in relazione alla:
- elaborazione delle modalità e dei contenuti dei progetti individuali di inserimento (art. 55, co. 1);
- individuazione dei limiti di durata del contratto di inserimento, seppur all’interno del tetto minimo e massimo previsti al medesimo Decreto (art. 57, co. 1);
- definizione della percentuale massima di lavoratori che le aziende potranno assumere con il contratto di inserimento (art. 58, co. 2);
- regolamentazione del sottoinquadramento, sia ai fini dell’effettivo utilizzo di tale incentivo giuridico, che in vista della sua articolazione, in termini temporali e di livello retributivo (art. 59, co. 1);
- definizione eventuale dei criteri di computo dei lavoratori, assunti con contratto di inserimento, rispetto all’organico della singola azienda (art. 59, co. 2).
24 Parte della dottrina (Balletti E., op. cit., 2004, p. 428) rileva come il rinvio alla contrattazione collettiva previsto all’art. 55, co. 2, del Decreto possa essere considerato eccessivamente indiscriminato, non potendosi ricavare da tale disposizione “un ambito di riferimento preciso – spec.: interconfederale, categoria, settore produttivo e/o altro – né in ordine ai contratti collettivi nazionali o territoriali considerati, né tanto meno riguardo la stessa maggiore rappresentatività delle associazioni assunta”, con i “prevedibili inevitabili problemi di interferenze e/o sovrapposizioni tra contratti collettivi” che da questo possa scaturire.
almeno due anni;
e) donne di qualsiasi età residenti in una area geografica in cui il tasso di occupazione femminile determinato con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sia inferiore almeno del 20 per cento di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 10 per cento quello maschile;
f) persone riconosciute affette, ai sensi della normativa vigente, da un grave handicap fisico, mentale o psichico”.
A differenza del Cfl, a cui era possibile far ricorso per l’assunzione di soggetti di età compresa tra i sedici ed i trentadue anni, ben più ampia appare la sfera di applicazione soggettiva del contratto di inserimento.
Questa tipologia contrattuale, infatti, potrà essere utilizzata per assumere lavoratori, come sopra individuati, appartenenti a categorie tra di loro eterogenee e singolarmente individuate in relazione alle peculiari caratteristiche sociali, personali ed economiche dei medesimi lavoratori.
Correttamente, viene sottolineato che il Legislatore avrebbe raggruppato i lavoratori coinvolti dall’applicazione del contratto di inserimento in due categorie: “i soggetti di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni, da un lato, e i lavoratori cd. svantaggiati, dall’altro, individuati tenendo conto la nozione contenuta nel regolamento UE 2204/2002”25.
Appare molta attenta, in proposito, l’osservazione di chi, in dottrina26, ha affermato che la sti- pula di un contratto di inserimento, “almeno sulla carta, importa la delimitazione del ricorso al modello negoziale ad una reale situazione di concreto bisogno sociale del singolo” e che questo dovrebbe valere “ad escludere l’eventualità di un impiego improprio e/o meramente di comodo del CI solo in funzione di abbassamento del costo del lavoro”, come è avvenuto, invece, per il Cfl.
Si è ritenuto di riportare integralmente l’elencazione dei potenziali destinatari dell’applica- zione del contratto di inserimento perché ciò permette di evidenziare immediatamente come tale tipologia contrattuale sia palesemente destinata, come premesso, ad agevolare l’occupabilità di quei soggetti che, di regola, incontrano maggiori difficoltà nel loro inserimento al lavoro27. La circostanza che, tra quelle testé elencate, non tutte le categorie comprendano soggetti da considerarsi deboli, come, ad esempio, non sono i giovani, determina, come si vedrà oltre, specifiche conseguenze in termini di regolamentazione degli incentivi contributivi previsti a fronte del ricorso al contratto di inserimento.
La previsione – per la verità, funzionale alla soddisfazione di un’esigenza di primaria importanza in un mercato del lavoro complesso, per certi versi asfittico e certamente
25 D’Onghia M., I contratti a finalità formativa: apprendistato e contratto di inserimento, in Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, Cacucci, Bari, 2004, p. 290.
26 Balletti E., op. cit., 2004, p. 425; si veda, inoltre, Bellocchi P., op. cit., 2004, p. 225. In termini, invece, decisamente critici verso l’introduzione del contratto di inserimento, si è espressa parte della dottrina: su tutti, Alleva G., (op. cit., 2003, p. 910), secondo cui “il contratto di inserimento si configura come un contratto a termine di notevole durata, non rinnovabile tra le parti e dunque come un contratto precario per eccellenza. Anche perché destinato a tutti i lavoratori che si trovino all’esterno della “cittadella” fortificata del lavoro subordinato tradizionale. Se si scorre l’elenco dei soggetti che possono essere assunti con contratto di inserimento, la sensazione insuperabile è quella di un censimento del precariato, ossia delle fasce più deboli del mercato del lavoro, attuato proprio con il fine di ulteriormente marginalizzarle”.
27 Da questo punto di vista, il decreto si presenta in linea al Regolamento CE n. 2204/2002, perché prende a riferimento per la sua applicazione soggetti compresi nell’area dello svantaggio.
caratterizzato da scarsa mobilità dei lavoratori, come è quello italiano – di un così ampio spettro di lavoratori coinvolti, insieme all’introduzione (sarebbe meglio parlare di conferma e rimodulazione?) degli incentivi giuridici e contributivi che illustreremo nell’apposito paragrafo, ha inizialmente, e comunque parecchi mesi prima della conclusione dell’indagine di campo condotta dall’Isfol, suscitato l’aspettativa che il contratto di inserimento, ancor più di altri istituti disciplinati nel Decreto, potesse davvero trovare vasta applicazione nelle aziende e presso gli altri datori di lavoro legittimati alla sua utilizzazione.
L’esperienza concreta ha tuttavia ridimensionato tali originarie aspettative28; tuttavia, ferma l’alienità, rispetto alla intrinseca utilità dello strumento negoziale in considerazione, dei fattori che ne hanno significativamente frenato la diffusione, sembra possibile assumere che rimossi gli stessi, il contratto di inserimento potrebbe in futuro affermarsi come misura idonea al perseguimento delle finalità legislative di inserimento o reinserimento di determinate fasce di lavoratori svantaggiati.
Nel tentativo di comprendere le cause che hanno determinato una sostanziale delusione rispetto alle aspettative iniziali, si ritiene che, a parte lo spiazzamento indotto, da una parte, dal contratto di apprendistato (secondo una logica peraltro ben veicolata dal Legislatore delegato) e, dall’altra, dal sempre più frequente ricorso al contratto di lavoro a termine, potendo avere quest’ultimo una minore durata (ed essere così utilizzato come periodo di prova per valutare le capacità del lavoratore), è comunque possibile concordare con quella parte della dottrina che ha avuto modo di affermare che, per il futuro, “il successo di questo strumento dipenderà probabilmente proprio dagli incentivi che si introdurranno nella prossima riforma”, ossia quella degli ammortizzatori sociali e degli incentivi all’occupazione, che è ancora in discussione in Parlamento (Ddl n. 848 bis del 2001)29; allo stato, infatti, gli incentivi introdotti, al di là di ogni apprezzamento in merito, vengono diffusamente giudicati inidonei dagli operatori rispetto alle finalità perseguite: l’assunzione di alcune delle categorie di lavoratori, previste ex art. 54, co. 1, viene, infatti, tendenzialmente ritenuta poco funzionale alle dinamiche di gestione della forza lavoro adottate dal molte aziende e tale tendenza, per essere invertita, dovrebbe essere affrontata con strumenti capaci di abbattere maggiormente il costo del lavoro. Sulla effettiva possibilità di procedere in tal senso, tuttavia, si nutrono consistenti perplessità.
Occorre adesso estendere alcune brevi note con riferimento alle tipologie di lavoratori che potranno essere assunti, ex art. 54, co. 1, del Decreto, con il contratto di inserimento.
In primis, in stretto ordine di elencazione, il datore di lavoro potrà assumere giovani di età compresa tra i 18 anni ed i 29 anni (secondo quanto previsto all’art. 1, D.Lgs. n. 297/2002)30.
28 Malgrado tale tipologia contrattuale, sin dal suo esordio, offrisse modalità di assunzione particolarmente vantaggiose rispetto agli interessi di tutti quei datori di lavoro che, anche per la natura delle proprie attività produttive, prediligono ordinariamente contratti di lavoro a tempo determinato, visto che, in realtà, a differenza che con il D.Lgs. n. 368/2001, gli stessi, a fronte di un’assunzione con contratto di inserimento, avrebbero potuto beneficiare, e per un periodo tutt’altro che limitato (sino a 18 mesi, senza rinnovo), non solo del sotto inquadramento dei lavoratori in tal modo assunti, ma, salvo che per i giovani tra i 18 ed i 29 anni, anche di importanti vantaggi di natura contributiva.
29 Spolverato G., op. cit., 2004, p. 84. Quest’ultimo, peraltro, rileva come “al momento, per alcune categorie di lavoratori che possono essere assunte con contratto di inserimento (disoccupati da almeno 24 mesi iscritti nella prima classe delle liste di collocamento, art. 8, legge n. 407/1990) ci sono sgravi contributivi maggiori di quelli previsti per il contratto di formazione e lavoro”.
30 Rispetto alla definizione di giovani contenuta al D.Lgs. n. 297/2002, nel Decreto non viene recepito il riferimento al diploma universitario di laurea come requisito che permette l’elevazione del limite massimo di età da 25 a 29 anni.
Rispetto a tale requisito anagrafico, è stato possibile registrare una discussione teorica in dottrina: secondo un primo orientamento, rientra in tale categoria colui che abbia un età compresa tra i 18 anni appena compiuti ed i 29 anni e 364 giorni, dal momento che si deve fare riferimento all’effettivo compimento del limite di età, laddove indicato, nella sua interezza31 . Un altro orientamento, invece, propende per la tesi secondo cui “per un indirizzo amministrativo costante del Ministero del lavoro espresso più volte in situazioni analoghe, quando si parla di limite massimo di età ci si riferisce al giorno di compimento dello stesso”32.
Tale aspetto può, dunque, considerarsi controverso, ma, a parere di chi scrive, appare corretta la seconda interpretazione che fa affidamento sull’interpretazione ministeriale. Più in generale, si rileva che i tassi di occupazione relativi a questa categoria di lavoratori potrà difficilmente subire importanti modifiche, visto l’effetto di spiazzamento che, come programmato, verrà esercitato dal contratto di apprendistato cd. professionalizzante (art. 49 del Decreto) con cui verranno assunti, in tutti i settori di attività, “per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e la acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico- professionali, i soggetti di età compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni”.
La disposizione normativa di cui alla lettera b) della medesima disposizione normativa, evidentemente espressiva della definizione di cui all’art. 1, co. 2, lett. d), D.Lgs. n. 297/2002, non contiene alcun riferimento agli inoccupati di lunga durata, ossia a coloro che, senza aver svolto un’attività lavorativa, siano alla ricerca di un’occupazione da più di dodici mesi; tale scelta non appare felice perché comporta una disparità di trattamento rispetto alla condizione dei disoccupati di lunga durata33.
Tuttavia, non può sottacersi come tale esclusione non costituisca una svista, ma una precisa opzione del Legislatore delegato, specie nel momento in cui è stato previsto che il contratto di inserimento sia “diretto a realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo”, in quanto tale contratto dovrebbe essere prevalentemente finalizzato all’assunzione di soggetti già in possesso di specifiche competenze professionali, testate o apprese nell’esecuzione di un diverso rapporto di lavoro, o che comunque abbiano già maturato un’esperienza lavorativa.
Di contro, oltre a quanto già esplicitato al paragrafo precedente, va sottolineato come tale assunto rimanga controverso, giacché anche Confindustria, nella circolare del 3 settembre 2004
n. 18018, ha sostenuto che “il contratto di inserimento può riguardare anche soggetti che non abbiano mai svolto esperienze lavorative e che non posseggano titoli di studio tecnico- professionali, nonché soggetti che abbiano acquisito professionalità diverse da quelle richieste dal nuovo contesto aziendale”34.
Comunque, dalla lettera del testo legislativo si evince che la fattispecie presa in considerazione riguarda coloro che, “dopo aver perso un posto di lavoro o cessato un’attività di
31 Fondazione studi consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, op. cit., 2004, p. XIV.
32 Xxxxx E., I contratti di inserimento dopo l’accordo interconfederale, 16.2.2004, in Il contratto di inserimento: problematiche e soluzioni, in Diritto e pratica del lavoro, 2004, n. 39, p. 2502.
33 In dottrina (Bellocchi P., op. cit., 2004, p. 621) è stato affermato che “quest’ultima esclusione può sembrare poco giustificata, proprio in relazione alla definizione comunitaria di disoccupato di lungo periodo che sul punto non distingue e alla finalità del contratto (che chiaramente contempla l’inserimento accanto al reinserimento nel mercato del lavoro)”. Allo stesso tempo, però viene evidenziato che si è trattato di una scelta chiaramente voluta dal legislatore che, in tal modo, ha inteso “selezionare in modo vieppiù restrittivo i presupposti soggettivi per l’accesso ad un contratto incentivato”.
34 Confindustria, Contratto di inserimento: la circolare di Confindustria, in Guida al lavoro, 2004, n. 24.
lavoro autonomo, siano alla ricerca di una nuova occupazione da più di dodici mesi”, quindi soggetti che hanno già avuto una esperienza lavorativa35. Occorre precisare che, in vista del computo dell’inizio di tale periodo di dodici mesi, dovrà farsi riferimento al momento in cui il lavoratore avrà comunicato al centro per l’impiego territorialmente competente36 la propria di- sponibilità nei confronti delle eventuali occasioni di lavoro che potranno essergli proposte; sarà poi lo stesso centro per l’impiego ad attestare la permanenza del medesimo lavoratore nello stato di disoccupazione37. Inoltre, nulla esclude che singole regioni, a al fine legislativamente compe- tenti, possano avere adottato un termine maggiore di dodici mesi ai fini della configurabilità del suddetto status.
I lavoratori individuati alla lettera c) sono soggetti privi di un posto di lavoro38, poten- zialmente anche titolari di trattamenti previdenziali. A differenza dei lavoratori di cui alla lettera b), in questo caso non è però rilevante la durata dello stato di disoccupazione, che non è infatti richiamato, quanto, piuttosto, il possesso del richiamato requisito anagrafico (over 50). Peraltro saranno gli stessi lavoratori a dover comprovare il proprio stato di disoccupazione con un’apposita dichiarazione di responsabilità, un’autocertificazione, ai sensi e per gli effetti del Dpr
n. 445 del 2000, senza alcun intervento in tal senso dei centri per l’impiego.
Particolare è la condizione di coloro che possono essere inquadrati alla lettera d): a fronte dello svolgimento in passato di un’attività lavorativa – rimanendo in quest’ipotesi irrilevante che si sia trattato di un rapporto di lavoro avente natura subordinata o autonoma – gli stessi, rispetto ai quali la norma non richiede alcun preciso requisito anagrafico, devono voler riprendere un’attività lavorativa e rientrare nel mercato del lavoro, dopo due anni di inattività.
Anche in questo caso sarà sufficiente l’autocertificazione del lavoratore. Si ritiene comu- nemente che la fattispecie sub d) possa essere quella maggiormente indicata per le lavoratrici che, indipendentemente da ogni requisito di provenienza geografica, vogliono riprendere a lavorare dopo un lungo periodo di inattività dovuto alla maternità ed alla successiva childcare.
Per quanto riguarda le donne, espressamente prese in considerazione alla lettera e), è evidente che, non venendo altresì specificato alcun requisito anagrafico, ciò che assume rilevanza in questo caso è l’ambito territoriale in cui esse risiedano: ossia in aree geografiche in cui il tasso femminile di occupazione sia inferiore in misura non inferiore al 20% di quello maschile o, alternativamente, in cui il tasso di disoccupazione femminile sia maggiore del 10% di quello maschile.
Per la corretta individuazione delle aree geografiche in cui sussistano tali condizioni il legislatore delegato ha previsto l’emanazione di uno specifico decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze. Tale decreto è
35 Secondo il Ministero (circolare n. 31/2004), che richiama le norme del D.Lgs. n. 297/2002, “fra tali soggetti rientrano anche quelli che risultino disoccupati a seguito di dimissioni”.
36 La circolare dell’Inps n. 117 del 30 giugno 2003 prevede che “lo stato di disoccupazione sia comprovato dalla presentazione dell’interessato presso il centro per l’impiego competente nel cui ambito territoriale si trovi il domicilio del medesimo, accompagnata da una dichiarazione, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n. 445, che attesti l’eventuale attività lavorativa precedentemente svolta, nonché l’immediata disponibilità allo svolgimento dei attività lavorativa”.
37 A tal fine, appare utile sottolineare che mantiene lo stato di disoccupazione anche colui che nel corso dell’anno solare abbia percepito un reddito non superiore a quello per cui sia prevista la esenzione fiscale totale, attualmente stabilita in misura pari a 7.500 euro.
38 Spolverato G., (op. cit., 2004, p. 849) sostiene che per lavoratore privo di un posto di lavoro deve intendersi chi non ha un “posto stabile di lavoro subordinato”: ogni riferimento ad un rapporto di lavoro di natura autonoma sarebbe, pertanto, in tal caso improprio.
stato definitivamente approvato dal Consiglio dei Ministri in data 22.10.2004, ma non è entrato in vigore perché il Governo ha provveduto a ritirarlo. Si è dunque tuttora in attesa di una definizione di questo profilo normativo, come verrà argomentato nel paragrafo dedicato agli incentivi.
Infine, alla lettera f), sono stati previsti tra le categorie di lavoratori da assumere con il contratto di inserimento anche soggetti che, indipendentemente dall’età anagrafica, sono stati riconosciuti, dalla commissione medica competente, come portatori di un grave handicap fisico, mentale o psichico, secondo quanto previsto dalla L. n. 104 del 5 febbraio 1992 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con handicap)39, dalla legge 12 marzo 1999, n. 6840, nonché dal Dpcm 13 gennaio 200041.
Per quanto riguarda quest’ultima categoria, si riportano le perplessità derivanti dall’utilizzo dell’aggettivo grave per la qualificazione dell’handicap necessario al riconoscimento della legittimazione alla stipula del contratto in esame. Infatti, parte della dottrina42, rileva come, dal momento che, ai sensi dell’art. 3, co. 3, della L. n. 104/1992, è previsto che, “qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità”, sarebbe davvero arduo pensare che soggetti con un simile stato di minorazione possano svolgere una prestazione lavorativa. Probabilmente, pertanto, almeno ai fini del ricorso al contratto di inserimento, occorrerebbe valutare la gravità dell’handicap del potenziale lavoratore con criteri meno restrittivi, magari adottando la nozione giuridica, più articolata, di disabile di cui all’art. 1 della L. n. 68/1999.
Particolarmente rilevante risulta anche l’ambito soggettivo di applicazione del contratto di inserimento con riferimento ai datori di lavoro legittimati alla sua sottoscrizione (art. 54, co. 2):
a) enti pubblici economici, imprese e loro consorzi;
b) gruppi di imprese;
c) associazioni professionali, socio-culturali, sportive;
d) fondazioni;
e) enti di ricerca, pubblici e privati;
f) organizzazioni e associazioni di categoria.
Come appare evidente, seppur rimanga escluso l’intero pubblico impiego, risulta davvero esteso il novero dei datori di lavoro potenzialmente interessati all’applicazione di questa misura contrattuale. Anche rispetto a quest’elenco, può essere utile formulare alcune considerazioni onde chiarirne gli aspetti eventualmente controversi.
In relazione ai gruppi di imprese, è stato puntualizzato con la circolare ministeriale n. 31/2004, che la norma contenuta all’art. 54, co. 2, debba essere intesa nel senso che il contratto di inserimento possa essere stipulato con una delle diverse società facenti parte del gruppo (o dei
39 Ex art. 3, co. 3, L. n. 104/1992: “1. È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione (...)”.
40 Come precisato al paragrafo 4 della circolare del Ministero del lavoro n. 31 del 21 luglio 2004. È stato notato (Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 294) che l’espressione usata dal Legislatore non rappresenta un sinonimo di disabile ai sensi della. L. n. 68/1999 (…); questo renderebbe inutilizzabile il contratto di inserimento per adempiere agli obblighi di assunzione di cui al medesimo testo normativo, salvo non si faccia ricorso al regime di convenzione previsto all’art. 11, sempre della L. n. 68/1999.
41 “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di collocamento obbligatorio dei disabili, a norma dell’art. 1, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68”.
42 D’Onghia M., op., cit., 2004, p. 291; si veda, inoltre, Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 294.
consorzi di imprese) e che il lavoratore, in tal modo assunto, debba essere computato con riferimento alla forza lavoro di ogni singola azienda del gruppo medesimo, così da incrementare le occasioni di utilizzo della tipologia contrattuale in esame e, con esse, l’inserimento/ reinserimento nel mercato del lavoro dei soggetti appartenenti alle categorie di lavoratori sopra individuate al primo comma della medesima disposizione43.
In questo caso la qualità di datore di lavoro, nel contesto del rapporto giuridico nascente dal contratto di inserimento, spetterà dunque esclusivamente alla singola società del gruppo o del consorzio che abbia concretamente proceduto alla stipula di tale contratto. Ciò non esclude, tuttavia, che nel testo del contratto individuale possa essere altresì prevista la possibilità che il lavoratore svolga periodi di lavoro anche presso altre società del gruppo o del consorzio, così da godere di un adattamento ad un contesto produttivo più ampio e differenziato.
Si precisa, inoltre, secondo quanto peraltro previsto dal Ministero del lavoro con la circolare 17.2.1997, n. 20, che “nella nozione di associazioni professionali possono considerarsi incluse anche le associazioni sindacali, sia datoriali che dei lavoratori, anche sulla base della disciplina legislativa contenuta nel libro V Titolo I e II del codice civile, dalla quale emerge che il legislatore utilizza il termine associazioni professionali con riferimento alle associazioni sindacali tanto dei datori di lavoro che dei lavoratori”.
Non sono stati, invece, compresi tra i potenziali fruitori del contratto di inserimento i lavora- tori autonomi iscritti agli albi professionali, salvo che non siano costituiti in associazioni profes- sionali; in passato, invece, per i datori di lavoro appartenenti a tale categoria era, invece, possibile far ricorso al Cfl.
Questa esclusione, secondo parte della dottrina, “avvalorerebbe la tesi della fuoriuscita del contratto di inserimento dall’area degli strumenti di incentivo alla formazione con lavoro, a cui era coerente l’inclusione dei liberi professionisti, con definitiva allocazione nell’area degli strumenti di incentivo all’occupazione, al quale si ritiene verosimilmente poco funzionale il segmento del mercato del lavoro, occupato dal lavoro libero professionale”44.
Quella degli enti pubblici di ricerca, infine, non può che essere considerata come una deroga all’ambito di applicazione soggettivo – impiego privato – della riforma del mercato del lavoro, deroga questa che potrebbe essere stata introdotta per venir incontro alle scarse risorse economico-finanziarie a disposizione dei medesimi enti; secondo taluni45, inoltre, un’ulteriore giustificazione in tal senso potrebbe essere rinvenuta nelle “supposte maggiori propensioni formative di tali enti” e dalla volontà di offrire a tali enti “un doppio binario per l’acquisizione di personale a termine con contratti a contenuto formativo”. Illustrato l’ambito soggettivo di
43 Secondo parte della dottrina (Xxxxxxxxxx X., Il contratto di inserimento: prime interpretazioni ministeriali, in Guida al lavoro, 2004, n. 31, p. 13), qualora fosse stata limitata questa possibilità all’interno dei gruppo o consorzi di società, si sarebbe agito “a discapito anche della finalità di ricollocamento ed inserimento professionale perseguite dal contratto”.
44 Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 296; tale Autore, peraltro, ritiene che tale esclusione potrebbe essere comunque superata ritenendo assorbita la categoria dei liberi professionisti nella nozione di impresa ricostruita dalla giurisprudenza comunitaria; idem, D’Onghia M., op. cit., 2004, p. 291. Secondo alcuni (Xxxxxxx M., Contratti a finalità formative: il contratto di inserimento, in Come cambia il mercato del lavoro, 2003, Ipsoa, Milano, p. 391), inoltre, tale esclusione muove nel senso opposto a quello indicato all’ordinamento comunitario che “privilegia una nozione più ampia di imprenditorialità”. Infine, è stato sostenuto (Xxxxxxxxx, P., op. cit., 2004, p. 622) che tale esclusione potrebbe comunque apparire giustificabile, sempre che si tenga presente come “la condizione alla quale sin dal 1984 erano ammessi a stipulare Cfl, ossia che il progetto di formazione fosse predisposto dagli ordini o collegi professionali, non ha più un corrispondente nel nuovo sistema in cui il progetto di inserimento è invece direttamente definito dalle parti nel contratto individuale”.
45 Xxxxxxx X. e Saracini P., op. cit., 2004, p. 47.
applicazione dell’istituto in esame, occorre adesso precisare come al comma terzo del medesimo art. 54 sia stata prevista una condizione oggettiva il cui rispetto sarà, in futuro, richiesto ai datori di lavori che intendano stipulare nuovi contratti di inserimento e, parimenti, continuare a godere del connesso trattamento giuridico e contributivo per essi previsto: fatta salva l’ipotesi che sia venuto a scadere nel medesimo periodo un solo contratto di inserimento, infatti, per potere continuare ad assumere con la tipologia contrattuale in esame dovrà essere stato “mantenuto in servizio almeno il sessanta per cento dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia venuto a scadere nei diciotto mesi precedenti”. Va sottolineato come tale previsione sia affatto similare a quanto previsto con riferimento ai Cfl (art. 8, co. 6, L. n. 407/1990)46.
Rispetto al computo dei lavoratori necessari al raggiungimento di siffatta percentuale, tuttavia, il legislatore ha introdotto una serie di eccezioni47: non dovranno, infatti, essere presi in considerazione:
▪ i lavoratori che si siano dimessi;
▪ quelli licenziati per giusta causa48;
▪ quelli che, al termine del rapporto di lavoro, abbiano rifiutato la proposta di rimanere in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
▪ i contratti risolti nel corso o al termine del periodo di prova;
▪ nonché i contratti non trasformati in rapporti di lavoro a tempo indeterminato in misura pari a quattro contratti.
Verranno, invece, considerati “mantenuti in servizio i soggetti per i quali il rapporto di lavoro, nel corso del suo svolgimento, sia stato trasformato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato”.
In termini esemplificativi, in relazione alla particolare franchigia di quattro contratti – che costituisce certamente il profilo più controverso della regolamentazione della cd. clausola di mantenimento – il Ministero del lavoro e della politiche sociali, con la circolare n. 31 del 2004, ha chiarito che se nell’arco temporale di 18 mesi dovessero essere stati stipulati 5 contratti di inserimento e quattro di questi non dovessero essere stati trasformati, sarà sufficiente confermarne soltanto uno, visto che “il 60% di 1 è pari a 0,60, che va arrotondato a 1”49.
46 Tale norma si presenta in termini similari rispetto a quanto previsto, con riferimento al Cfl, all’art. 8, co. 6, della L. n. 407/1990: “La facoltà di assunzione mediante i contratti di formazione e lavoro non è esercitabile dai datori di lavoro che, al momento della richiesta di avviamento, risultino non avere mantenuto in servizio almeno il 50 per cento dei lavoratori il cui contratto di formazione e lavoro sia già venuto a scadere nei ventiquattro mesi precedenti. A tale fine non si computano i lavoratori che si siano dimessi, quelli licenziati per giusta causa e quelli che, al termine del rapporto di lavoro, abbiano rifiutato la proposta di rimanere in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La limitazione di cui al presente comma non si applica quando nel biennio precedente sia venuto a scadere un solo contratto di formazione e lavoro”.
47 A tal proposito, inoltre, è stato correttamente rilevato in dottrina (Xxxxxxxxxx M, op. cit., giugno 2003, p. 104), come, dal momento che l’art. 54, co. 3, del Decreto “troverà applicazione ex nunc, essa non riguarderà la conversione dei contratti di formazione e lavoro scaduti nel regime di transizione del nuovo al vecchio regime”. Allo stesso modo, il Ministero del lavoro, con la circolare n. 31/2004 (par. 3), ha altresì chiarito che “trattandosi di istituti contrattuali diversi, resta inteso che non devono essere presi in considerazione i contratti di formazione e lavoro cessati e non trasformati nei diciotto mesi antecedenti la stipula del contratto di inserimento”.
48 A tal proposito, appare lucido il rilievo di chi ha osservato come la non computabilità di coloro che siano stati licenziati per giusta causa potrebbe determinare inconvenienti non irrilevanti ogni qualvolta un giudice dovesse successivamente decidere per l’illegittimità del licenziamento medesimo; allo stesso tempo, tuttavia, non è semplice individuare una soluzione che sia integralmente esente dai possibili esiti conseguenti ad un eventuale giudizio (Xxxxx E., op. cit., 2004, p. 2504).
49 Appare corretta l’osservazione di chi (Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 297) sostiene che la previsione di tale
Appare calzante e corretta, in merito, l’osservazione di chi50 sostiene che la previsione di tale franchigia potrebbe essere giudicata negativamente dalla Commissione europea che aveva, invece, apprezzato, in relazione alla disciplina sugli aiuti di Stato, l’analoga previsione di un obbligo di mantenimento, priva però di una simile sottrazione di 4 contratti dalla base di computo, presente nel regime giuridico del Cfl, perché ritenuta esclusivamente rivolta a determinare un effetto di incremento dell’occupazione.
Nel suo complesso, pertanto, si può rilevare che tale clausola di mantenimento possa consi- derarsi potenzialmente poco efficace: sopratutto nella piccola e media impresa, le esclusioni sopra evidenziate e la citata franchigia ridimensionano considerevolmente la necessarietà del rispetto della trasformazione del 60% dei contratti di inserimento scaduti nei 18 mesi precedenti. Si ritiene, tuttavia, che l’intento normativo sia stato di non vessare le aziende con una sorta di obbligo di assunzione eccessivamente oneroso, rimettendo alla singola prassi aziendale la ge- stione dei processi di stabilizzazione dei contratti di inserimento. A tal fine, avranno certamente positivamente influito le dinamiche che si sono sviluppate in costanza dell’applicazione del Cfl, visto quanto sia stata allora elevata nelle aziende la media delle trasformazioni di quest’ultimi in contratti a tempo indeterminato, registrata in intermini ben superiori al 60%.
Come già premesso, le condizioni appena previste per assumere con contratto di inserimento, non troveranno applicazione, secondo quanto previsto al comma quarto dell’art. 54, “quando, nei diciotto mesi precedenti alla assunzione del lavoratore, sia venuto a scadere un solo contratto di inserimento”.
Quest’ultima disposizione costituisce evidentemente un prius logico rispetto alle fattispecie, sopra riportate, escluse dalla base di computo e varrà, a tutti gli effetti, soprattutto rispetto alle piccole aziende dove, di regola, le assunzioni sono alquanto ridotte nell’arco dell’anno51. In questi contesti aziendali, pertanto, il contratto di inserimento potrà, con significativa probabilità, costituire una buona opportunità occupazionale, ma, allo stesso tempo, si ritiene che debbano essere attentamente monitorate le potenziali prassi di ricorso continuativo a tale strumento contrattuale, dal momento che, ove effettivamente sussistenti, potrebbero evidenziare un utilizzo fuorviante dello stesso, finalizzato ad ottenere esclusivamente lavoro a basso costo, senza alcun positivo effetto di stabilizzazione della forza lavoro assunta temporaneamente.
Non potendo rinnovare il medesimo contratto, infatti, il datore, soprattutto in queste piccole aziende, potrebbe finire per non confermare un lavoratore precedentemente assunto con un contratto di inserimento e procedere all’assunzione di un diverso prestatore con la medesima tipologia contrattuale e, così, anche alla prossima scadenza, ottenendo in tal modo il massimo beneficio economico, ma con un elevato costo sociale. Questa, che dovrebbe costituire un’ipotesi patologica assolutamente residuale, rappresenta comunque un’eventualità da contrastare con convinzione ed efficacia per rendere più stabile l’inserimento dei lavoratori cd. svantaggiati, la cui condizione il Legislatore ha, invece, inteso tutelare.
In sintesi, è possibile concludere che, in un’ottica di non invasività nell’autonomia organizzativa dei datori di lavoro, è stata volutamente preferita una regolamentazione idonea a
franchigia potrebbe però essere giudicata negativamente dalla Commissione europea che aveva, invece, apprezzato l’analoga previsione di un obbligo di mantenimento, priva però di una simile sottrazione di 4 contratti dalla base di computo, presente nel regime giuridico del Cfl.
50 Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 297.
51 Al momento, i primi dati quantitativi sembrano indicare come il maggior numero di lavoratori con contratto di inserimento sia stato avviato proprio nelle piccole imprese (1-10 dipendenti) che assorbono circa il 43% dei contratti stipulati al gennaio 2005 (Fonte: Rilevazione congiunturale Isfol sulle forme di contratto, 2005).
liberalizzare in modo sostanziale il ricorso al contratto di inserimento.
1.4 Progetto individuale di inserimento
Dalla lettura del dettato normativo, risalta immediatamente come il fulcro essenziale del contratto in esame risieda nella previsione del progetto individuale di inserimento, la cui definizione è considerata una condizione52, giuridicamente necessaria, in vista dell’assunzione del lavoratore53.
Si potrebbe pensare alla condizione come evento futuro ed incerto al cui verificarsi l’ordina- mento riconnette l’efficacia giuridica del contratto, ma, anche in relazione alle norme sul regime sanzionatorio, appare maggiormente congruo pensare al progetto individuale di inserimento come ad un presupposto54 per la esistenza stessa del contratto in esame, come se si trattasse di un elemento essenziale sensi dell’art. 1325 del codice civile, perché proprio l’esatta osservanza di quanto concordato in tale progetto permetterà, e xxxxxxxxxxxx, l’inserimento lavorativo del sog- getto svantaggiato di volta in volta coinvolto 55 . Come vedremo nel paragrafo sul regime sanzionatorio, queste condizioni non sono prive di effetti in presenza di gravi inadempienze del
52 La definizione di un progetto individuale di inserimento sarebbe, pertanto, proprio la condizione che, secondo parte della dottrina (Xxxxxxxxx P., op. cit., 2004, p. 625), consentirebbe “l’ascrizione al tipo”. Per una ampia digressione sulla definizione del concetto giuridico di condizione e sulla assenza dei necessari presupposti alla sua configurazione con riferimento al progetto individuale di inserimento, si rinvia a Zoppoli L. e Saracini P., op. cit., 2004, p. 39. Nel medesimo contributo, a p. 42, viene richiamata la controversa nozione di presupposizione nel tentativo di spiegare le conseguenze giuridiche prodotte dalla mancata esecuzione di una parte dell’oggetto del rapporto, rappresentato appunto dal piano di inserimento; allo stesso tempo, però, gli Autori evidenziano come la presupposizione non possa costituire, a tal fine, uno strumento ermeneutico affidabile dal momento che la mancata verificazione dell’evento che è stato assunto a presupposto per la formazione del consenso delle parti contraenti, nel contratto in esame non può essere considerarsi indipendente dalla volontà di quest’ultime, ma immediatamente riconducibile alla responsabilità di una delle stesse (datore di lavoro).
53 Tale significativa rilevanza assegnata al progetto individuale di inserimento porta parte della dottrina (Balletti E., op. cit., 2004, p. 426) ad evidenziare anche la “maggiore articolazione della causa del negozio contrattuale, al di là del mero svolgimento della prestazione lavorativa dietro relativo trattamento economico retributivo. Ciò alla luce del profilarsi di posizioni soggettive aggiuntive rispetto alle mere obbligazioni tout court ex art. 2094 c.c.: in corrispondenza alle peculiarità strutturali e di svolgimento del contratto di inserimento, nonché a fronte del precipuo interesse del singolo lavoratore alla realizzazione di un proficuo adattamento delle proprie professionalità all’ambiente lavorativo, tale da dare effettività al medesimo contratto”. A tutela di queste posizioni soggettive aggiuntive, pertanto, occorrerà porre in essere un sistema adeguato di controlli e “più in generale di misure efficienti funzionali ad evitare possibili abusi o comportamenti solo strumentali”.
54 Vincieri M., Il contratto di inserimento ovvero il nuovo “Cfl”? Modelli a confronto, in Diritto delle relazioni industriali, 2004, 1, p. 66; D’Onghia M., op. cit., 2004, p. 301 (“presupposto di validità del contratto è l’attuazione di un piano individuale di inserimento alla cui definizione, allo scopo di incrementare e incentivare l’occupazione di soggetti cd. xxxxxx, si riconnettono benefici economici e normativi. Esso al pari della formazione nel contratto di apprendistato, non resta estraneo al sinallagma contrattuale ma ava a integrare la causa”).
55 In tal senso, si veda Alleva G., op. cit., 2003, p. 912; Xxxxxxx F., Appunti in tema di riordino dei contratti a contenuto formativo nel decreto legislativo 276/2003, in xxxx://xxx.xxxxx.xx/xxxxxx/XXXXXXX.xxx, p. 19; Balletti E., op. cit., 2004, p. 427. Quest’ultimo rileva come il progetto individuale di inserimento valga “ai fini della determinazione consensuale dei termini di effettivo svolgimento della relazione contrattuale, nonché dunque della stessa verifica della sua reale rispondenza alla funzione istituzionale dell’istituto negoziale. In ragione al progetto è delineata, infatti, in riferimento alle finalità di inserimento e relativo adeguamento delle competenze professionali del singolo prestatore perseguite, la personalizzazione delle mansioni del medesimo prestatore e, comunque, in generale, dei termini di possibile sua concreta utilizzazione da parte del datore di lavoro”.
datore di lavoro rispetto agli obblighi assunti con la definizione del progetto individuale di inserimento.
Tale progetto dovrà essere individuato con il consenso del lavoratore e dovrà parimenti essere “finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali56 del lavoratore stesso al contesto lavorativo” (art. 55, co. 1).
Il consenso del lavoratore rappresenta un elemento molto importante ai fini della esatta individuazione del progetto individuale e di una corretta esecuzione del contratto di inserimento: il lavoratore, che avrà contribuito alla definizione del progetto con atteggiamento informato e propositivo, potrà infatti controllare in modo continuativo l’esatta osservanza di quanto contenuto nel progetto e verificare la sussistenza a carico del datore di eventuali inadempienze agli obblighi dallo stesso assunti, con ciò che ne potrebbe conseguire in termini sanzionatori57.
L’utilità del consenso, in questo caso, risiede proprio nel richiamare l’attenzione del lavora- tore sulla circostanza che, con il contratto di inserimento, egli accetta un rapporto di lavoro ben diverso dalla fattispecie ordinaria, di cui all’art. 2094 c.c. e, con il consenso al progetto, il lavo- ratore potrà acquisire piena consapevolezza di questa diversità58.
Allo stesso tempo, in verità, la previsione dell’espresso consenso del lavoratore potrebbe non risultare sostanzialmente determinante ai fini di una definizione, davvero condivisa, del progetto individuale di inserimento, non solo per la differente forza contrattuale delle due parti del rapporto di lavoro individuale, ma anche perché, come ben rilevato da parte della dottrina, tale progetto potrebbe venire sostanzialmente ad essere imposto dal datore di lavoro, anche in virtù di “una questione di asimmetria informativa rispetto al contesto organizzativo di inserimento”59.
Il progetto individuale di inserimento rileva in termini significativi, oltre che con riferimento all’intero percorso di adattamento a cui verrà sottoposto il lavoratore, anche rispetto allo stesso patto di prova; quest’ultimo patto, infatti, rappresenta un istituto perfettamente coerente con la logica del contratto di inserimento e permette di verificare che, specie in un momento delicato del rapporto di lavoro come l’iniziale, la tipologia contrattuale in esame sia effettivamente utilizzata dal datore di lavoro ai fini del corretto adattamento del lavoratore alle mansioni da svolgere in azienda. Da questo punto di vista, la specifica individuazione delle mansioni nel progetto individuale di inserimento permette, soprattutto nei casi in cui il datore di lavoro decida di recedere dal rapporto prima del termine periodo di prova, di valutare la potenziale arbitrarietà di tale recesso: si potrà, infatti, controllare se, nella fattispecie concreta, sarà stata effettivamente
56 In merito, appare opportuno riportare il pensiero di chi (Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 298) ritiene che “elemento centrale del progetto, anche ai fini della verifica dell’uso non fraudolento dell’istituto, ovvero della sussistenza della competenze professionali da adeguare, dichiarate dal lavoratore, sarà l’individuazione di queste ultime, in entrambi i casi, potendosi attingere i dati necessari alla verifica dalla scheda anagrafico-professionale, nella quale devono essere annotate le competenze professionali possedute dal lavoratore e le esperienze formative svolte”.
57 A tal proposito, è stato sostenuto (Xx Xxxxxx X., op. cit., 2004, p. VII) che “la previsione della stipula di un progetto individuale dovrebbe essere intesa più come una limitazione dello jus variandi per tutta la durata del progetto che non un progetto formativo per il raggiungimento di una qualificazione professionale. Infatti, il regime sanzionatorio non prevede sanzioni per la mancata formazione, ma soltanto per il mancato rispetto per gli obblighi contenuti nel progetto individuale”.
58 Parte della dottrina (Vincieri M., op. cit., p. 68) afferma come “l’assenza di questo requisito consente per converso al prototipo standard di espandersi e di assorbire la specie negoziale deviata, dovendosi conseguentemente riconoscere al lavoratore anche il diritto ad un normale trattamento economico e normativo ex tunc”.
59 Xxxxx X., La modernizzazione promessa. Osservazioni critiche sul decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in xxxx://xxx.xxxxx.xx/xxxxxx/XXXXX000.xxx.
concessa al lavoratore la possibilità di apprendere, nel medesimo periodo di prova, le mansioni individuate nel progetto o se, eventualmente, il lavoratore non abbia potuto svolgere quest’ultime perché immotivatamente assegnato dal datore a ben altre attività.
Proprio nel progetto individuale di inserimento, infatti, potrebbe venir ad essere ricercata la base necessaria per una verifica, anche giudiziale, non solo del quomodo dello svolgimento del periodo di prova, ma dell’an, ossia della effettivo approntamento di un intervento da parte del datore, o di un tutor dallo stesso nominato, di supporto al lavoratore durante il percorso di apprendimento che quest’ultimo avrebbe dovuto ricevere.
Per la migliore definizione dei piani individuali di inserimento, il Governo ha ritenuto di rinviare l’individuazione delle pertinenti necessarie modalità alla contrattazione collettiva, nazionale e territoriale, come individuata al secondo comma dell’art. 55 del Decreto60, rendendo, in tal modo, quest’ultima corresponsabile rispetto all’effettiva attivazione di questa tipologia contrattuale61.
La contrattazione collettiva potrà, infatti, determinare le modalità di definizione dei piani individuali di inserimento, con particolare riferimento alla realizzazione del progetto, anche “attraverso il ricorso ai fondi interprofessionali per la formazione continua 62 , in funzione dell’adeguamento delle capacità professionali del lavoratore, nonché le modalità di definizione e sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento diretti ad agevolare il conseguimento dell’obiettivo” del miglior inserimento del lavoratore nel contesto produttivo prescelto63.
60 “I contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie (…) “.
61 In tal senso, si veda Gottardi D., L’accordo interconfederale sul contratto di inserimento, in Contratti & contrattazione collettiva, n. 3, 2004, p. 24. Sull’efficacia delle modalità di inserimento definite in sede collettive, parte della dottrina (Xxxxx X., op. cit., 2003, in xxxx://xxx.xxxxx.xx/xxxxxx/XXXXX000.xxx) appare però pessimista ed evidenzia come tali “orientamenti, linee-guida e codici di comportamento – salvo si ritengano qualificabili come proposte contrattuali irrevocabili ex art. 1329 c.c. – non vincolano in alcun modo l’imprenditore; e in ogni caso, sul piano dei contenuti, potrebbero essere formulati in modo talmente generico da risultare perfettamente inutili (nella prospettiva della tutela del lavoratore). Un codice di condotta formulato in modo ampio e generico, del resto, paralizza in concreto anche qualsiasi controllo sindacale sulla sua attuazione: all’imprenditore accorto, infatti, non mancheranno giustificazioni e vie di fuga”.
62 Tali fondi, necessari al finanziamento dei progetti individuali di inserimento, sono stati istituiti sotto forma di associazione, per ciascuno dei settori economici di maggiore rilevanza per l’economia interna, attraverso appositi accordi interconfederali; essi dovrebbero essere finanziati, ai sensi dell’art. 118 della L. n. 288/2000 (la cd. legge finanziaria per il 2001), con il contributo Inps dello 0,3% versato obbligatoriamente dai datori di lavoro che ai medesimi fondi avranno aderito. Sull’argomento si rinvia all’interessante contributo di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Contratto di inserimento, Fondi Interprofessionali, disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, in Diritto delle relazioni industriali, 2004, n. 1, pp. 76-97.
63 A tal proposito, si da atto dell’esperienza pilota realizzata dall’Unione Industriali di Bergamo che ha elaborato, nell’aprile del 2004, un modello facoltativo di certificazione, assentito dalla Commissione per l’Impiego di Bergamo, “riferito sia al percorso formativo svolto dal lavoratore, sia alle competenze definitivamente acquisite, esaustivo pertanto dell’onere di cui al punto 56 dell’Accordo Interconfederale 11 febbraio 2004 (...); tale modello è strutturato in tre parti: 1) identificazione del percorso formativo ed autocertificazione dei conseguenti oneri a carico del lavoratore e del datore di lavoro; 2) modulistica per la raccolta di segnalazioni di particolari esigenze formative riscontrate dai lavoratori e sottoposte alla valutazione del datore di lavoro; 3) certificazione mensile dello svolgimento del percorso formativo”. Per una più attenta disamina di questa prima esperienza di certificazione dell’attività formativa che potrà essere adottata dalle aziende in modo libero e funzionale alle diverse esigenze che le stesse incontrano nel proprio distinto settore produttivo di appartenenza, si rinvia a Coordinamento giuridico dell’Unione Industriali di
Il riferimento al progetto individuale di inserimento permette di rimarcare, ancora una volta, la distanza di questo contratto rispetto al Cfl, laddove il progetto formativo, approvato da appositi organismi collegiali amministrativi (Commissioni regionali tripartite) o da soggetti di natura associativa come gli Enti bilaterali, finiva per influenzare radicalmente la causa stessa del contratto, determinando la necessarietà dell’innesto dell’elemento formativo nell’ordinario (ex art. 2094 c.c.) scambio tra retribuzione e lavoro.
Nel contratto di inserimento, invece, dove la formazione è prevista solo eventualmente (art. 55, co. 4) e, pertanto, non può certo considerarsi come un requisito fondamentale per la validità dello stesso contratto, il progetto mira semplicemente al miglior adattamento del lavoratore al contesto produttivo in cui quest’ultimo verrà inserito, evidenziandosi in tal modo come il fine essenziale non sia quello di formare professionalmente un lavoratore, ma di poter adeguatamente inserire o reinserire quest’ultimo in azienda, nonché di accompagnarlo nel processo di adattamento sino al completo apprendimento delle mansioni assegnategli.
Peraltro, occorre aggiungere come la particolare finalizzazione del processo di adattamento determini la durata limitata del rapporto di lavoro in esame (si tratta, pur sempre, di un contratto di lavoro a durata temporanea): tale durata dovrà, infatti, essere funzionale all’obiettivo appena esplicitato, così che, almeno teoricamente, sopraggiunta la scadenza del termine del contratto e con essa della fase di adattamento, il lavoratore potrà astrattamente essere considerato pronto ad un inserimento, questa volta stabile, in azienda.
A dimostrazione dell’importanza attribuita al progetto individuale di inserimento, è stato previsto all’art. 55, co. 3, del D.Lgs. n. 276/2003 che il Ministero del lavoro potesse esercitare un intervento di natura solo eventuale e sussidiaria nel caso in cui le parti collettive (trascorsi complessivamente 9 mesi a far data dall’emanazione del D.Lgs. n. 276/2003: 5 mesi rispetto ad una elaborazione collettiva spontanea delle modalità del progetto di inserimento ed ulteriori 4 mesi nel caso in cui si fosse resa necessaria la convocazione delle parti sociali da parte del Ministero, nonché un’azione di supporto della medesima Autorità in vista del raggiungimento del risultato individuato nella disposizione appena richiamata) non fossero riuscite a concordare le necessarie modalità di definizione dei piani individuali di inserimento.
La sottoscrizione dell’Accordo Interconfederale del febbraio 2004, che verrà illustrato nel prosieguo, ha però evitato che l’eventualità dell’intervento ministeriale si verificasse, lasciando così impregiudicato il ruolo regolativo riconosciuto dal decreto agli attori collettivi. Del resto, si può ragionevolmente sostenere che la previsione dell’intervento sostitutivo ministeriale sia stata appositamente introdotta con l’intento di sollecitare il confronto sindacale ed evitare che, da una loro potenziale inerzia delle parti sociali, potesse risultare frenato l’avvio dell’applicazione di questo nuovo istituto contrattuale.
1.5 Forma
Per quanto riguarda i requisiti formali del contratto di inserimento, la scelta di imporre l’adozione della forma scritta a pena di nullità (art. 56, D.Lgs. n. 276/2003) per la sua sottoscrizione appare espressiva della volontà legislativa di richiamare con forza l’attenzione del lavoratore in merito alle caratteristiche ed alle finalità per cui quest’istituto è stato introdotto. Qualora tale requisito formale dovesse essere disatteso, infatti, il contratto dovrà considerarsi
Bergamo e Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, op. cit., 2004, p. 1687.
nullo e il lavoratore potrà richiedere ed ottenere la costituzione ope iudicis di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (art. 56, co. 2). Particolarmente efficace appare, in tal senso, la tesi di chi ha sostenuto che “la conversione ristabilisce la disciplina del rapporto invalidamente derogato, sostituendo al tipo elettivo e alla sua disciplina speciale il regolamento legale che in chiave garantista accompagna la prestazione tipica di lavoro subordinato a tempo indeterminato”64.
Il lavoratore assunto con contratto di inserimento, in una simile evenienza, potrà esigere sin dall’inizio del rapporto di lavoro l’integrale trattamento retributivo e contributivo astrattamente spettante ad un lavoratore non sottoinquadrati assegnato alle medesime mansioni ed a cui è stata attribuita la stessa qualifica.
Al contratto di inserimento, dunque, viene applicato il regime giuridico di conservazione di cui all’art. 1424 c.c.65, per cui venga a prodursi effetti diversi rispetto a quelli astrattamente riferibili ad un contratto da dichiarare, ex lege, nullo.
In ambito giuslavoristico, peraltro, questo potrà avvenire indipendentemente dalla prova di una precisa volontà delle parti rispetto alla configurabilità di un diverso negozio giuridico, in quanto l’art. 56 del Decreto rappresenta una norma introdotta a tutela del lavoratore e della stabilità della sua occupazione e, proprio per questo, in presenza dei prescritti presupposti, la descritta conversione della tipologia contrattuale potrà venire a configurarsi automaticamente, così da garantire un giusto contemperamento dei diversi interessi in gioco.
La previsione del requisito formale, peraltro, rileva non solo ai fini della validità del contratto di inserimento, ma anche con riferimento al progetto individuale di inserimento: infatti, l’art. 56 del Decreto dispone che nel contratto debba “essere specificamente indicato il progetto individuale di inserimento di cui all’art. 55”.
Anche dalla mancata menzione al progetto individuale di inserimento nel contratto individuale di lavoro potrà dunque scaturire la conversione di quest’ultimo in un contratto a tempo indeterminato. Sebbene non previsto espressamente, si ritiene che anche il progetto debba trovare un’evidenza formale, rimanendo irrilevante che lo stesso sia stato o meno verbalmente definito.
Conclusioni analoghe vanno, altresì, estese con riferimento alle ipotesi in cui il progetto individuale di inserimento sia stato elaborato in termini assolutamente difformi dalle prescrizioni collettive scaturite dall’attuazione dei commi 2 e 3 dell’art. 55 del Decreto o, ancora, qualora lo stesso progetto si presenti, anche a priori, totalmente evanescente ed inadeguato rispetto alle finalità di inserimento ed adattamento del lavoratore al contesto produttivo. In questi casi potreb- be, infatti, trovare applicazione la sanzione della conversione di tale negozio in un contratto a tempo indeterminato, perché verrebbe comunque ad essere pregiudicata, sin dall’origine, la stessa ratio istitutiva del contratto di inserimento e, allo stesso tempo, finirebbe per evidenziarsi la reale volontà delle parti del contratto individuale di far ricorso non a quest’ultima tipologia contrat- tuale, ma ad una fattispecie ordinaria di rapporto di lavoro subordinato, beneficiando al contempo, ed indebitamente, dei vantaggi connessi alla stipula di un contratto di inserimento. Infine, sempre in tema di forma contrattuale, appare opportuno aggiungere che, vista la cointeressenza del progetto individuale rispetto alla stessa regolamentazione del contratto di
64 D’Onghia M., op. cit., 2004, p. 295.
65 “Il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità”.
inserimento e del rapporto di lavoro dallo stesso derivante, il testo scritto del progetto individuale dovrà, a tutela del lavoratore, essere consegnato al lavoratore all’atto della stipula del contratto e, comunque, o prima o contestualmente all’inizio effettivo dell’esperienza professionale sul luogo di lavoro. Per i contenuti necessari (durata, eventuale periodo di prova, orario di lavoro, categoria di inquadramento del lavoratore, trattamento di malattia ed infortunio non sul lavoro) che dovranno essere trasfusi nel testo del singolo contratto di inserimento, in assenza di una specifica previsione normativa, le parti contraenti dovranno rispettare quanto previsto nell’Accordo Interconfederale o nella contrattazione collettiva di settore.
1.6 Durata
In merito alla durata del contratto di inserimento, il Decreto (art. 57, co. 1) prevede che essa non possa essere inferiore a nove mesi, né superiore a diciotto mesi; ed, inoltre, in caso di assunzione di soggetti disabili, come individuati all’articolo 54, co. 1, lett. f), che la “durata massima può essere estesa fino a trentasei mesi”.
È stato osservato 66 che l’appena richiamato periodo minimo di durata del contratto di inserimento “appare in sintonia con la tendenza dell’ordinamento, connessa alla proliferazione dei rapporti a durata predeterminata, a individuare nella durata di nove mesi lo scrimen tra assunzioni a termine precarie e quelle stabili, cioè collocabili all’interno dell’organico stabile dell’impresa”, così come, del resto, avviene ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 368/2001. Con l’art. 56 del Decreto, sarebbe stato così introdotto un limite di durata minima a tutela del lavoratore, limite che, invece, non era stato fissato con il Cfl.
Ai sensi dell’art. 57, co. 2, non si dovrà tener conto nel computo del limite massimo di durata degli eventuali periodi dedicati allo svolgimento del servizio militare o civile, nonché dei periodi di astensione per maternità; in questi casi il rapporto viene ad essere sospeso e, conseguente- mente, il termine finale viene posticipato in coerenza con la durata di tale periodo di sospensione. Parte della dottrina, a tal proposito, osserva, riprendendo le considerazioni estese dalla Cassazione (sentenza 28 marzo 1997, n. 282267) con riferimento al regime giuridico del Cfl in presenza delle medesime cause di sospensione del rapporto di lavoro, che proprio “la sospensione e il conseguente slittamento del termine non sono tuttavia automatiche, ma dipendono da un’apprezzabile e concreta possibilità di svolgimento della formazione al rientro del lavoratore, al di fuori dei tempi e dei modi inizialmente programmati” 68. Con particolare riferimento alla maternità e paternità, occorre precisare che determinano la sospensione del termine sia i congedo di maternità che il congedo parentale (art. 2, co. 1, lett. a) e b) del D.Lgs. n.
151/2000)69.
Per le altre cause di sospensione del rapporto di lavoro, come la malattia e l’infortunio, il
66 Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 301.
67 Corte di Cassazione, sentenza 28.3.1997, n. 2822 (Dir. Lav. 1998, II, 3, con nota di Xxxxxxxxx): “La prestazione del servizio militare di leva, quale fatto oggettivamente impeditivo della formazione professionale, ha come effetto quello di sospendere il rapporto di lavoro, che viene prorogato di un pari periodo, al fine di consentire il completamento, seppure differito, della formazione. La proroga del termine non deve tuttavia ritenersi dovuta in modo automatico, ma deve considerarsi sempre rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito una valutazione circa la possibilità di una formazione differita al rientro del lavoratore, al di fuori dei tempi e dei modi in origine programmati, con costi e modalità sostenibili da parte del datore di lavoro”.
68 Spolverato L., op. cit., in Commentario al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, 2003, 2003, p. 238.
69 In tal senso, si rinvia a Confindustria, op. cit., p. 21.
termine finale rimane invece quello originariamente fissato, non subendo lo stesso alcuna modifica a seguito del verificarsi delle suddette cause di sospensione70.
Ai sensi dell’art. 57, co. 3, del D.Lgs. n. 276/2003, una volta decorso il termine stabilito nel contratto individuale, non si potrà procedere al rinnovo di quest’ultimo tra le medesime parti; il lavoratore, tuttavia, potrà sottoscrivere un nuovo contratto dello stessa tipologia, ma con un distinto datore di lavoro, ponendo sempre attenzione alla definizione di un autonomo progetto individuale di inserimento.
Sono, invece, ammesse eventuali proroghe, che siano motivate adeguatamente in stretta con- nessione alla prosecuzione del percorso di adattamento definito nel progetto individuale di inseri- mento, a condizione che, a seguito della proroga, non venga superato il limite legale di durata massima del contratto (18 mesi o, qualora il lavoratore sia portatore di un grave handicap, 36 mesi). Qualora però il contratto collettivo applicato preveda una durata massima del contratto di inserimento inferiore a quella prevista all’art. 57, co. 1, del Decreto, sarà questo il termine a cui occorrerà fare riferimento per calcolare quanto a lungo il contratto individuale potrà essere prorogato.
Risultano comunque legittimate, nell’arco temporale individuato all’art. 57, co. 1, del D.Lgs.
n. 276/2003, anche diverse proroghe del medesimo rapporto di lavoro, e questo aspetto differenzia significativamente la disciplina del contratto di inserimento da quella del contratto a tempo determinato (ex D.Lgs. n. 368/2001), laddove, invece, è ammessa una sola proroga, sempre che la durata originaria dell’accordo non sia già, di per sé, superiore ai tre anni.
Circa la proroga nel contratto di inserimento, ai fini di una corretta gestione del rapporto di lavoro, si ritiene che occorra darne debita comunicazione al lavoratore e procedere tempestiva- mente ad acquisire il necessario consenso di quest’ultimo, così da evitare che, da una mera proroga di fatto del termine inizialmente stabilito per il contratto di inserimento, si determinino le condizioni per l’assoggettamento, ex art. 5, co. 1 e 2, del D.Lgs. n. 368/2001, del datore di lavoro ad onerose sanzioni di carattere economico o, peggio, alla trasformazione coattiva del contratto di inserimento in un contratto a tempo indeterminato71, oltre a non potere mantenere i benefici contributivi eventualmente riconosciuti sino a quel momento in suo favore.
Va, infine, rilevato come possa trovare applicazione al contratto di inserimento la disciplina del recesso; quest’ultimo, pertanto, potrà essere legittimamente esercitato da entrambe le parti prima della scadenza del termine ed alla fine del periodo di prova, soltanto se intimato per giusta
70 In termini critici rispetto alla esclusione della malattia dalle ipotesi che determinano la sospensione del contratto di inserimento, D’Onghia M., (op. cit., 2004, p. 296) e Bellocchi P., (op. cit., 2004, p. 640). Quest’ultima, peraltro, osserva che l’esclusione sarebbe ancor più ingiustificabile, laddove “il programma di inserimento sia ancora oggettivamente realizzabile”. Parte della dottrina (Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 302), tuttavia, ritiene che la diversa valutazione del periodo di malattia rispetto a quello destinato alla maternità o al servizio militare o civile possa essere superata “ipotizzando che gli eventi non previsti, ancorché non computabili, possano determinare una proroga della durata del contratto, prevista nel successivo comma 3. La differenza sarebbe data in ultima analisi dall’automaticità del prolungamento, operante nei casi previsti e non anche in quelli non menzionati”.
71 Art. 5, D.Lgs. n. 368/2001: “1. Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell’articolo 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore. 2. Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini”.
causa, ex art. 2119 c.c.72; diversamente, ciascuna delle parti, a fronte di un recesso ingiustificato, sarà tenuta a risarcire integralmente i danni subiti dall’altra per l’anticipata risoluzione del rapporto di lavoro.
1.7 Accordo Interconfederale
In data 11.2.2004, una ben nutrita rappresentanza di associazioni datoriali73 e le maggiori confederazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil) hanno sottoscritto un Accordo Interconfederale (in avanti, per brevità, anche AI), avente un’efficacia transitoria e sussidiaria, così da individuare una prima disciplina dei contratti di inserimento e di reinserimento, in attesa che una regolamen- tazione più dettagliata venisse elaborata nei rinnovi dei contratti collettivi di settore, secondo i rispettivi livelli di pertinenza (nazionale, territoriale ed aziendale).
La sottoscrizione di tale Accordo, peraltro, ha permesso che – in recepimento di quanto previ- sto all’art. 86, co. 13, del D.Lgs. n. 276/2003 (“il Ministero del lavoro e delle politiche sociali convoca le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rap- presentative sul piano nazionale al fine di verificare la possibilità di affidare a uno o più accordi interconfederali la gestione della messa a regime del medesimo decreto, anche con riferimento al regime transitorio e alla attuazione dei rinvii contenuti alla contrattazione collettiva”) – tale tipologia contrattuale potesse ricevere immediata applicazione ed in contesto regolatorio alquanto organico, pur a fronte di un quadro regolatorio legale volutamente non esaustivo.
Peraltro, questo è potuto avvenire lasciando impregiudicate le esperienze collettive eventualmente già maturate: a tal proposito, infatti, è stato correttamente evidenziato come “restano pienamente validi gli accordi sulla materia già eventualmente stipulati a livello settoriale, territoriale, aziendale”74.
Le parti contraenti dell’AI hanno convenuto, seppur in chiave meramente programmatica, che, successivamente alla stipula dello stesso, avrebbe dovuto essere affrontato in sede di contrat- tazione collettiva di settore “il tema dell’attribuzione del livello di inquadramento in correlazione alle peculiarità settoriali e/o a specifiche condizioni professionali del lavoratore” ed, ancora, che proprio in tale sede, ritenuta maggiormente congeniale all’individuazione di una regolamenta- zione coerente alla tipicità dei singoli settori produttivi, avrebbero dovuto essere ricercate “soluzioni atte a conseguire il mantenimento in servizio dei lavoratori, tenuto conto delle diverse specificità produttive ed organizzative e dei relativi necessari requisiti professionali, anche nell’ambito dei provvedimenti di incentivazione che dovessero essere emanati in materia”.
In quest’Accordo, le parti hanno altresì individuato alcuni importanti profili di regolamenta- zione. È stato, così, specificato, ben prima dell’emanazione della circolare ministeriale, che, in vista della definizione della categoria dei “disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni”, avrebbe dovuto farsi riferimento a quanto previsto all’art. 1, co. 2, lett. c) del D.Lgs. n. 297/2002, laddove sono definiti in tal modo coloro che, “dopo aver perso un posto di lavoro o cessato un’attività di lavoro autonomo, siano alla ricerca di una nuova occupazione da più di dodici
72 Art. 2119 c.c.: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.
73 Confindustria, Confcommercio, Confapi, Confesercenti, Abi, Ania, Confservizi, Confetra, Legacooperative, Confcooperative, Unci, Agci, Coldiretti, Cia, Confagricoltura, Cna, Casartigiani, Claai, Confinterim, Confedertecnica, Apla.
74 Xxxx X., Contratto di inserimento: l’accordo interconfederale, in Guida al lavoro, 2004, n. 8, p. 12.
mesi”. Con riferimento alla durata della efficacia di tale contratto, fermo quanto previsto all’art. 57, co. 1, del D.Lgs. n. 276/2003, è stato, ancora, stabilito che, “nell’ipotesi di reinserimento di soggetti con professionalità compatibili con il nuovo contesto organizzativo”, la stessa potrà essere individuata in sede di contrattazione collettiva anche in termini inferiori rispetto a quella massima ope legis indicata, “tenendo conto della congruità delle competenze possedute dal lavoratore con la mansione alla quale è preordinato il progetto di inserimento”.
È stato altresì chiarito che il contratto di inserimento potrà essere stipulato a tempo pieno o a tempo parziale, mentre l’orario di lavoro andrà, comunque, conformato alle pertinenti disposizio- ni individuate nel contratto collettivo di categoria.
Il periodo di prova sarà, invece, determinato attraverso il rinvio al “contratto collettivo applicato per la categoria giuridica ed il livello di inquadramento attribuiti al lavoratore nel contratto di inserimento/reinserimento”. La dottrina, a tal proposito, provando ad interpretare tale clausola dell’Accordo, ha ritenuto che, ai fini del calcolo del periodo di prova, dovrà farsi riferimento all’inquadramento effettivo del lavoratore, non a quello di destinazione75.
In aggiunta, è stato ancora concordato che nel contratto di inserimento dovrà essere contenuta la previsione di “un trattamento di malattia ed infortunio non sul lavoro disciplinato secondo quanto previsto in materia di accordi per la disciplina dei contratti di formazione e lavoro o, in difetto, dagli accordi collettivi applicati in azienda, riproporzionato in base alla durata del rapporto prevista dal contratto di inserimento/reinserimento e comunque non inferiore a settanta giorni”76.
Particolarmente importante avrebbe dovuto essere quanto concordato in tale Accordo a proposito della regolamentazione del progetto individuale di inserimento (specie in considera- zione della rilevanza attribuita dal Legislatore a tale aspetto per la tipizzazione del contratto in esame), soprattutto perché un contributo significativo a tal fine avrebbe potuto rendere manifesta la rilevanza e l’interesse attribuito dalle parti sociali a questa nuova fattispecie contrattuale. Nell’Accordo Interconfederale è stato, invece, semplicemente convenuto, riproponendo sostan- zialmente la lettera del decreto, che il progetto individuale di inserimento dovrà essere finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore al contesto lavorativo, valorizzandone le professionalità già acquisite ed, inoltre, che in esso dovranno essere indicati:
a) la qualificazione al conseguimento della quale è preordinato il progetto di inserimento/reinserimento oggetto del contratto;
b) la durata e la modalità della formazione.
Ai fini della disciplina del progetto individuale di inserimento, pertanto, l’atteso contributo della fonte collettiva di livello interconfederale è stato, per certi versi, deludente: l’AI, pertanto, almeno da questo punto di vista, può considerarsi un’importante occasione perduta per conferire sistematicità alla disciplina di questo contratto ed, insieme, per garantire ai lavoratori coinvolti
75 Gottardi D., op. cit., 2004, p. 25.
76 Usai G., (op. cit., 2003, p. 13) ha precisato, riprendendone alcuni spunti, come “l’accordo in tema di contratti di formazione e lavoro stipulato tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, a fronte di un contratto di durata di 24 mesi, prevedeva la conservazione del posto per un periodo massimo di 120 giorni, in caso di una o più interruzioni del servizio dovute a malattia o infortunio non sul lavoro. Pertanto, per un contratto di inserimento di durata di 18 mesi, la conservazione opererà per un periodo massimo di 90 giorni. Se il contratto di inserimento prevede una durata di 15 mesi, la conservazione opererà per un periodo massimo di 75 giorni. Se la durata del contratto di inserimento è di 9 mesi, il mero riproporzionamento determinerebbe un periodo di conservazione pari a 60 giorni; prevale in tal caso la clausola dell’Accordo Interconfederale, che non consente termini di conservazione inferiori a 70 giorni”.
dalla sua applicazione un quadro di tutele più completo ed esaustivo77. In aggiunta, la successiva contrattazione collettiva di settore si è conformata, in larghissima parte, al tenore letterale dell’AI, contribuendo, in tal modo, a non offrire ai lavoratori una regolamentazione, soprattutto del progetto individuale di inserimento, che potesse assicurare agli stessi una disciplina idonea a garantire un trasparente percorso di adattamento delle loro qualificazioni al contesto produttivo di pertinenza. In sintesi, rispetto alle finalità perseguite, può allo stato ritenersi sostanzialmente insufficiente la regolamentazione collettiva sulle modalità di inserimento, malgrado l’importanza che l’individuazione di clausole collettive esplicative avrebbe potuto avere rispetto agli esiti dell’applicazione in concreto di quest’istituto. Tali conclusioni critiche, peraltro, non possono certo considerarsi mitigate da quanto, invece, concordato dalle parti contraenti a proposito delle attività di formazione.
Infatti, diversamente da quanto previsto al Decreto78, l’Accordo, nel tentativo di introdurre un profilo formativo nel contratto di inserimento, regolamenta esplicitamente il diritto del lavoratore al ricevere formazione teorica, in pari misura minima pari a 16 ore, “ripartite tra l’apprendimento di nozioni di prevenzione antinfortunistica e di disciplina del rapporto di lavoro ed organizzazione aziendale ed accompagnata da congrue fasi di addestramento specifico, impartite con modalità di e-learning, in funzione dell’adeguamento delle capacità professionali” del medesimo lavoratore79. L’aver voluto richiamare la contrattazione collettiva di settore alla previsione di un periodo minimo di formazione obbligatoria, infatti, sebbene si presenti apprezzabile in termini generali, pur nel contesto di in presenza di un contratto di lavoro non destinato al soddisfacimento di finalità formative80, appare allo stesso tempo criticabile per l’esiguità del monte ore di attività di formazione effettivamente previsto. Una volta convenuta la
77 Secondo Balletti E., (op. cit., 2004, p. 438), vista l’esiguità contenutistica dell’Accordo Interconfederale, si potrebbe “opinare che unico scopo cui risulta di fatto destinato tale accordo sia allora quello di prevenire l’attivazione del Ministero del lavoro ex comma 3, art. 55, D.Lgs. n. 276/2003”.
78 Art. 55, co. 4: “la formazione eventualmente effettuata durante l’esecuzione del rapporto di lavoro dovrà essere registrata nel libretto formativo”.
79 Gottardi D., op. cit., 2004, p. 25. Nello scritto viene evidenziato come, in tal modo, “le parti risospingono il contratto di inserimento tra i contratti a finalità formativa” e come la previsione di un periodo minimo di formazione avvicini, secondo l’intenzione delle parti contraenti, il contratto di inserimento alla seconda tipologia di contratto di formazione e lavoro (ex art. 16, co. 2, lett. b, della Legge n. 451 del 1994), destinata appunto ad agevolare l’inserimento professionale mediante un’esperienza lavorativa che consenta un adeguamento delle capacità professionali al contesto produttivo ed organizzativo. Indipendentemente da quanto previsto nell’Accordo Interconfederale, concordano rispetto alla sovrapposizione tra il contratto di inserimento ed il Cfl cd. debole; di tale avviso anche Xxxxxxxxx P., (op. cit., 2004, p. 613), Xxxxxxx F., (op. cit., 2004, p. 14), Xxxxxxxx M.G., op. cit., 2004, p. 427. A differenza del Cfl cd. pesante, in cui l’elemento formativo era effettivamente rilevante, la regolazione del contratto di inserimento sarebbe, come per il Cfl cd. leggero, “essenzialmente finalizzata a realizzare l’esigenze di incoraggiare la domanda di lavoro attraverso una sensibile riduzione dei costi” (Zoppoli L. e Saracini P., op. cit., 2004, p. 49).
80 Allo stesso modo, viene rilevato (Basenghi F., Riforma Biagi: la disciplina del contratto di inserimento, in Guida al lavoro, 2004, n. 13, p. 63) che “la circostanza che le prime intese sindacali in materia prevedano invece un obbligo formativo – peraltro contenuto – non cambia di molto la collocazione sistematica della figura e la valutazione che di essa offre il legislatore. Ciò che rileva è che il contratto si accompagni alla definizione di un progetto individuale di inserimento che assume il ruolo di elemento centrale della fattispecie, la cui mancanza pare riverberarsi sulla stessa legittimità della figura. In ogni caso non è difficile comprendere che il progetto individuale di inserimento è tutto orientato ad assicurare l’adeguamento delle competenze professionali del dipendente nel contesto lavorativo, seppur all’ulteriore fine di permettere il più efficace inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro. (…) Xx in una dinamica di questa natura è fin troppo ovvio che la dimensione squisitamente legata al formare – la creazione di un patrimonio di conoscenze teoriche e di know how slegate dal facere immediato ed arricchenti il bagaglio di competenze proprie del lavoratore – esce ridimensionata”.
necessità di impartire una congrua formazione ai lavoratori assunti con un contratto di inserimento, sarebbe stato infatti auspicabile che le attività di formazione venissero previste in modo tale da essere realmente utili e da assicurare un supporto non meramente simbolico al percorso di qualificazione professionale dei lavoratori.
Ciascun contratto collettivo di categoria potrà modificare, migliorandola, tale previsione, come potrà nello specifico conformare le modalità con cui la formazione dovrà essere impartita durante l’esecuzione del rapporto di lavoro. Allo stesso modo, rientrerà nella autonomia della singola azienda determinare, in termini migliorativi, non solo il quantum ed il quomodo delle congrue fasi di addestramento specifico, ma anche la suddivisione temporale, nel corso di esecu- zione del rapporto di lavoro, delle ore di formazione da destinare all’apprendimento di nozioni teoriche, quanto di quelle necessarie all’addestramento on the job, potendo al contempo venir ad essere specificato che tali attività di formazione debbano essere gestite direttamente dall’impren- ditore stesso o dai suoi preposti e collaboratori o, ancora, da professionisti esterni appositamente contattati.
Come si vedrà nella parte della presente monografia dedicata alla contrattazione collettiva di categoria, anche in quest’ambito, salvo scarse eccezioni, non è stata attribuita particolare attenzione alle clausole in tema di formazione, limitandosi a riprendere quanto, in merito, è stato elaborato all’AI.
In attesa che venga definito, ex art. 2, co. 1, lett. i) del D.Lgs. n. 276/2003, un sistema centrale di certificazione della formazione acquisita, così da attuare il cd. Libretto formativo del cittadino previsto nell’accordo Stato-Regioni del 18.2.2000, le parti contraenti dell’AI, traendo peraltro spunto dall’art. 55, co. 4, del Decreto, hanno convenuto che la registrazione delle competenze acquisite, anche attraverso tale periodo di formazione, sarà effettuata a cura del datore di lavoro o di un suo delegato, “tenendo conto anche di auspicate soluzioni che potranno essere nel frattempo individuate nell’ambito dei Fondi interprofessionali per la formazione continua”. È stato altresì convenuto che dovrà essere presto verificata la possibilità di reperire proprio in tali fondi le risorse per finanziare “anche progetti formativi per i contratti di reinserimento”.
Si riportano, infine, due clausole del suddetto Accordo che permettono di evidenziare l’importanza che può assumere l’effettivo esercizio del ruolo regolativo esercitato in questa fase dalla contrattazione collettiva in risposta all’invito, a tal fine formulato all’art. 58, co. 181, del Decreto, a contribuire fattivamente alla individuazione della disciplina del rapporto di lavoro discendente dal contratto di inserimento. Non prima, però, di avere sottolineato come la possibilità concessa alle parti sociali di derogare alla regolamentazione legale potrebbe porre dei problemi di trattamento della posizione dei lavoratori che potranno essere risolti solo attraverso l’individuazione di una regolamentazione pattizia davvero idonea ad assicurare un trattamento equivalente rispetto a quello derivante dalle disposizioni normative82.
81 “Salvo diversa previsione dei contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dei contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’articolo 19 della legge 20 maggio 1970,
n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie, ai contratti di inserimento si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368”.
82 Anche in questa circostanza, appare attenta la riflessione estesa da Balletti E., (op. cit., 2004, p. 432) che osserva che una simile rimessione alla contrattazione collettiva della potestà di derogare alle disposizioni di legge non terrebbe conto “degli irrisolti ben noti problemi di efficacia comunque limitata (spec.: no erga omnes) della cd. contrattazione collettiva di diritto comune”, ma soprattutto prescinderebbe dalla condizione particolare dei lavoratori coinvolti dall’applicazione del contratto di inserimento, che “in largo numero possano non aderire ad alcuna organizzazione sindacale”.
Per questo, chi scrive ritiene che, almeno con riferimento al contratto di inserimento, sia stata estesa nel Decreto una reale investitura nei confronti del ruolo “paralegislativo” della contrattazione collettiva.
Ritornando all’AI è stata dunque giustamente enfatizzata la necessità di assicurare condizioni di parità di trattamento del lavoratore assunto con contratto di inserimento rispetto agli altri dipendenti presenti sul posto di lavoro: “l’applicazione dello specifico trattamento economico e normativo stabilito per i contratti di inserimento/reinserimento non può comportare l’esclusione dei lavoratori con contratto di inserimento/reinserimento dall’utilizzazione dei servizi aziendali, quali mensa e trasporti, ovvero dal godimento delle relative indennità sostitutive eventualmente corrisposte al personale con rapporto di lavoro subordinato, nonché di tutte le maggiorazioni connesse alle specifiche caratteristiche dell’effettiva prestazione lavorativa previste dal contratto collettivo applicato (lavoro a turni, notturno, festivo, ecc.)”83.
Inoltre, aggiungendo un significativo elemento alla disciplina legale di tale contratto di lavoro, le parti contraenti hanno stabilito che “nei casi in cui il contratto di inserimento/ reinserimento venga trasformato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il periodo di inserimento/reinserimento verrà computato nell’anzianità di servizio ai fini degli istituti previsti dalla legge e dal contratto, con esclusione dell’istituto degli aumenti periodici di anzianità o istituti di carattere economico ad esso assimilati e della mobilità professionale disciplinata dalle clausole dei contratti che prevedano progressioni automatiche di carriera in funzione del mero trascorrere del tempo”.
Si osserva, infine, come, sebbene ai sensi dell’art. 58, co. 2, del Decreto, non siano stati previsti limiti quantitativi alla stipula di questo contratto in azienda, ma sia stata semplicemente attribuita alla contrattazione collettiva ogni pertinente elaborazione, in sede di definizione dell’AI non si è proceduto ad individuare alcuna clausola di contingentamento; in considerazione della particolarità del contratto di esame e delle categorie di lavoratori coinvolti, si ritiene che, in quell’occasione, sarebbe stato comunque opportuno esprimere un segnale, restrittivo o di apertura, idoneo ad influenzare la successiva elaborazione della contrattazione collettiva di settore in tema di clausole di contingentamento in merito alla rilevanza da attribuire all’implementazione di questo istituto nei singoli stabilimenti produttivi.
1.8 Rapporto con il contratto di lavoro a tempo determinato
Ritornando alla regolamentazione contenuta nel Decreto, accanto alla ferma apertura verso il contributo delle parti sociali, è stato disposto (art. 58, co. 1), come già riportato, che, “salvo diversa previsione dei contratti collettivi (...), ai contratti di inserimento si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368”, che disciplinano il rapporto di lavoro a tempo determinato.
Ferma la differenza con la ratio legis di quest’ultimo contratto di lavoro, in cui viene ad essere legittimata l’apposizione di un termine a fronte della sussistenza di condizioni di natura
83 Paragrafo 8 dell’Accordo Interconfederale dell’11 febbraio 2004: “L’applicazione dello specifico trattamento economico e normativo stabilito per i contratti di inserimento/reinserimento, non può comportare l’esclusione dei lavoratori con contratto di inserimento/reinserimento dall’utilizzazione dei servizi aziendali, quali mensa e trasporti, ovvero dal godimento delle relative indennità sostitutive eventualmente corrisposte al personale con rapporto di lavoro subordinato, nonché di tutte le maggiorazioni connesse alle specifiche caratteristiche dell’effettiva prestazione lavorativa previste dal contratto collettivo applicato (lavoro a turni, notturno, festivo, ecc.)”.
oggettiva (esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive), nel contratto in esame, invece, vista la scelta legislativa di destinare tale istituto all’inserimento/reinserimento di lavoratori appartenenti a categorie considerate deboli ai fini dell’ingresso e della permanenza nel mercato del lavoro, può dunque affermarsi che l’opzione per l’assorbimento della disciplina del D.Lgs. n. 368/2001 si fondi sulla considerazione che il contratto di inserimento costituisca comunque una sottospecie, sebbene di “tipo soggettivo”84 (essendo conformata in funzione alla condizione personale, sociale ed economica del lavoratore, piuttosto che correlata alle esigenze produttive dell’azienda), del contratto di lavoro a termine.
Del medesimo avviso appare quella parte della dottrina che, sul punto, sostiene che “il termine apponibile al rapporto perde, in quest’area, la propria ontologica connotazione di arretramento della tutela, per assurgere al rango di strumento per uscire dall’area dello svantaggio e collocarsi nel mercato in posizione paritaria con chi, pur non occupato, è considerato svantaggiato”85.
Occorre però aggiungere che, riprendendo quanto affermato nella recente circolare ministeriale n. 31/2004, non potrà per questo mutuarsi l’intera disciplina del contratto di lavoro a termine, ma, in conformità al criterio di compatibilità, potrà farsi ricorso soltanto ad alcune delle previsioni del D.Lgs. n. 368/2001. Quanto previsto, ad esempio, con riferimento alle ipotesi in cui è vietato far ricorso al contratto a tempo determinato (nonché alle sanzioni disposte in caso di violazione dei medesimi divieti) può considerarsi pienamente applicabile al contratto di inserimento.
Pertanto, in relazione alla lettera dell’art. 3, D.Lgs. n. 368/2001, non sarà possibile far ricorso al contratto di inserimento86:
a) per la sostituzione di lavoratori, aventi la medesima qualifica, in sciopero87;
b) in unità produttive/imprese in cui nei sei mesi precedenti siano state attivate procedure collettive di riduzione di personale addetto alle medesime mansioni o in unità produttive in cui vi sia stata una sospensione dei rapporti di lavoro o una riduzione dell’orario di lavoro con diritto al trattamento di integrazione salariale con riferimento a personale avente la medesima qualifica ed addetto alle medesime mansioni;
84 Tiraboschi M., op. cit., 2004, p. 17. In termini solo in parte similari le conclusioni di Xxxxxxxx Xxxxxxxx (op. cit., 2004, p. 293), xxxxxxx ritiene che il contratto di inserimento non sarebbe un contratto speciale, ma “un contratto a termine soggettivizzato dal progetto di inserimento, ben riconducibile alla previsione sub art. 10,
c. 6” del D.Lgs. n. 368/2001, laddove viene previsto che il regime di liberalizzazione del contratto di lavoro a tempo determinato lasci comunque inalterate le diverse ipotesi di assunzione a termine “soggettivizzate”. Altra dottrina (Bellocchi P., op. cit., 2004, p. 614 e 642), pur sostenendo come “la conclusione che il contratto di inserimento sia una ennesima variante del contratto a termine per causali soggettive, ossia per promuovere l’occupazione di soggetti deboli pur in assenza di esigenze aziendali limitate nel tempo vanta ormai due punti di forza: la finalità anzitutto, essendo la funzione formativa meramente eventuale, e la disciplina in secondo luogo, giacché è proprio la normativa del contratto a tempo determinato ad integrare, sia pure in via suppletiva, i contenuti del nuovo rapporto di lavoro”, puntualizza, parimenti, e con dovizia di argomentazioni, che non dovrebbe comunque applicarsi al contratto di inserimento la disciplina del contratto a termine di cui al D.Lgs. n. 368/2001.
85 Xxxxxxxx D., Aiuti di Stato all’occupazione e contratto di inserimento: la advantaged disadvantaged theory, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2005, n. 1, p. 13.
86 Contro l’applicazione della disciplina dei divieti prevista nel D.Lgs. n. 368/2001 al contratto di inserimento, si rinvia a Bellocchi P., op. cit., 2004, p. 643.
87 Al di là della indiscutibile valenza simbolica di un simile divieto rispetto alla tutela di un diritto fondamentale del lavoratore, questa è un’ipotesi di improbabile configurabilità dal momento che la durata minima del contratto di inserimento, pari a nove mesi, non risulta confacente alle esigenze, decisamente più limitate, connesse alla sostituzione di un lavoratore assente per sciopero.
c) in imprese che non abbiano fatto la valutazione dei rischi ai sensi della normativa in vigore in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro (D.Lgs. n. 626/1994).
Delle norme contenute al D.Lgs. n. 368/2001 potranno risultare, altresì, applicabili, come già accennato al paragrafo in tema di durata, quelle relative al superamento della durata origina- riamente determinata (art. 5 di tale Decreto), eccezion fatta per il comma terzo88, relativo rispetto al contratto avente una durata inferiore ai sei mesi, vista la diversa durata minima del contratto di inserimento; e per il comma quarto89, inerente l’ipotesi della successione dei contratti, in consi- derazione del fatto che il contratto di inserimento non può essere rinnovato tra le stesse parti.
Sempre dal D.Lgs. n. 368/2001 sembra possibile mutuare anche l’art. 6 sul rispetto del principio di non discriminazione, così fortemente richiesto dal legislatore comunitario e, peraltro, contemperato dalle parti sociali all’Accordo Interconfederale; in questo caso, tuttavia, tale principio subirà la non irrilevante eccezione derivante dalla previsione del sottoinquadramento di due livelli introdotta con l’art. 59 co. 1, del D.Lgs. n. 276/2003, seppur la stessa possa risultar motivata dalle finalità particolari del contratto di inserimento.
Dubbi potrebbero sorgere, invece, per l’art. 7 per quanto riguarda la formazione del lavora- tore, visto che, secondo quanto disposto all’art. 55, co. 4, del Decreto, la tipologia contrattuale in esame non rientra tra quelle a contenuto formativo; ciò non toglie tuttavia che la durata tempo- ranea del contratto di inserimento possa comunque permettere di recepirne la ratio, visto che nel D.Lgs. n. 368/2001 la formazione viene, comunque, intesa come rilevante strumento di con- trappeso a fronte della intrinseca precarietà di un rapporto di lavoro a termine, soprattutto perché “prevista al fine di prevenire rischi specifici connessi all’esecuzione del lavoro”. Ove se ne consenta l’applicazione, la norma riportata non si porrà ovviamente in termini di obblighi perché, se così fosse, costituirebbe una palese antinomia normativa, ma potrebbe garantire, specie nelle trattative per la stipula del contratto individuale di lavoro, un elemento ulteriore di tutela della condizione del lavoratore.
Continuando nella selezione delle disposizioni del D.Lgs. n. 368/2001, si rileva che anche l’art. 9, in tema ai diritti di informazione da riconoscere “ai lavoratori a tempo determinato circa i posti vacanti che si rendessero disponibili nell’impresa, in modo da garantire loro le stesse possibilità di ottenere posti duraturi che hanno gli altri lavoratori”, possa entrare a far parte del regime giuridico applicabile a chi, come il lavoratore con contratto di inserimento, è stato assunto con un rapporto di lavoro di durata temporanea ed ambisce alla stabilizzazione del medesimo.
Si ritiene, infine, che possa considerarsi altresì applicabile al contratto di inserimento l’art. 10, co. 9 del D.Lgs. n. 368/2001, che permette alla contrattazione collettiva di prevedere un diritto di precedenza a favore dei lavoratori (da non riferirsi a nuove assunzioni con la tipologia contrattuale in esame, ma, piuttosto, con un contratto a tempo indeterminato o con uno a tempo determinato tout court) a tempo determinato in caso di assunzioni nella stessa azienda e con la medesima qualifica.
Per il riconoscimento di tale diritto, come di altre aspetti significativi della possibile regolamentazione del contratto di inserimento, occorre ribadire come si possa comunque
88 Art. 5, D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368: “3. Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell’articolo 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato”.
89 Art. 5, D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368: “4. Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto”.
prescindere dal rinvio alla disciplina del contratto di lavoro a termine, dal momento che, come già accennato, il Legislatore (all’art. 58, co. 1, del Decreto) ha previsto un ruolo davvero ampio della contrattazione collettiva ai fini dell’individuazione della disciplina della tipologia contrattuale qui esaminata, così da rendere l’applicazione del D.Lgs. n. 368/2001 solamente ipotetica, laddove divenga necessario colmare eventuali lacune nelle previsioni collettive.
1.9 Incentivi
Un aspetto di primaria importanza della regolamentazione dell’istituto in esame è indubbiamente rappresentato dagli incentivi economici e normativi che sono stati introdotti per promuoverne la diffusione.
Secondo quanto stabilito all’art. 59, co. 1, rilevano, innanzi tutto, gli incentivi giuridici.
Tra questi, il sottoinquadramento appare certamente la misura di maggiore appeal sui datori di lavoro, viste le evidenti ricadute in termini retributivi che comporta 90 ; salvo che con riferimento alle donne (art. 54, co. 1, lett. e) a seguito della recente modifica introdotta dal cd. Decreto Competitività all’art. 59, co. 1 (eliminazione del sottoinquadramento)91, il D.Lgs. n. 276/2003 ha, infatti, stabilito che “durante il rapporto di inserimento, la categoria di inquadramento del lavoratore non può essere inferiore, per più di due livelli (la precedente previsione relativa al contratto di formazione e lavoro – art. 16, co. 3, L. n. 451/1994 – prevedeva un inquadramento inferiore di un solo livello rispetto a quello di destinazione finale), alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è preordinato il progetto di inserimento oggetto del contratto”92.
90 Parte della dottrina (Spolverato G., op. cit., 2004, p. 88) sottolinea, infatti, come “inquadramento più basso significa, prima di tutto, salario più basso. Peraltro, la retribuzione potrebbe essere mantenuta più bassa anche dopo l’inserimento”. La stessa Corte di Cassazione (sentenza 17 maggio 2003, n. 7752), del resto, ha deciso per la legittimità di “quelle clausole contrattuali collettive che mantengono più bassa la retribuzione per un certo periodo dopo la conferma del contratto di formazione e lavoro, affermando che nel rapporto di lavoro subordinato la retribuzione prevista dal contratto collettivo si presume, sia pure solo in via generale, adeguata ai principi di proporzionalità e sufficienza che investe le disposizioni economiche del contratto anche nel rapporto interno fra le singole retribuzione da esso previste”. Si rinvia allo scritto in questa nota richiamato per la disamina di ulteriori precedenti giurisprudenziali in materia. Inoltre, va riportato quell’orientamento dottrinario (Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 304) secondo cui il sottoinquadramento non potrebbe rientrare tra gli incentivi giuridici, ma tra quelli economici, dal momento che tale “beneficio è e deve essere qualificato come economico, compensativo del minor rendimento di un lavoratore da inserire o da reinserire, il che, fuori dall’ottica formativa, potrebbe, sia pure in parte ratione temporis, fronteggiare il paventato dubbio di illegittimità costituzionale” legato alla disparità di trattamento sotto il profilo salariale, una volta che è “venuto meno il valore aggiunto della formazione, da sempre invocato per legittimarla”.
91 Il Consiglio dei Ministri, in data 11.3.2005, ha approvato il disegno di legge sulla competitività (“Modernizzazione dei sistemi di protezione sociale e potenziamento ammortizzatori sociali”) che al capo VII, art. 16, co. 12, prevede che la riportata modifica dell’articolo 59, comma 1, del Decreto. Tale previsione di modifica dell’art. 59, co. 1, del D.Lgs. n. 276/2003, inserita nel D.L. n. 35 del 14 marzo 2005, è stata integralmente mantenuta nella Legge di conversione n. 80 del 14 maggio 2005.
92 Parte della dottrina (Xxxxxxx F., op. cit., 2004, p. 21) ricava da tale norma la convinzione della differenza funzionale del contratto di inserimento da quello a tempo determinato, nonché dell’inquadramento del primo tra i contratti a causa mista in virtù della “saldatura tra i due obiettivi del contratto, l’inserimento e la formazione, i quali nel progetto trovano la loro sintesi”; infatti, il progetto diverrebbe “lo strumento per far conseguire al lavoratore una qualificazione che, al momento dell’assunzione, egli non possiede ancora (...); l’assenza totale del profilo formativo mal si concilierebbe con il trattamento economico inferiore connesso al sottoinquadramento, che, in tal caso, sarebbe privo di giustificazione”. Allo stesso modo, Balletti (op. cit., 2004, p. 433) rileva che tale previsione non appare coerente con la ratio legis del contratto di inserimento
In questo caso il sottoinquadramento, secondo parte della dottrina, più che in relazione all’esiguo contenuto formativo, potrà trovare giustificazione, rispetto a quanto statuito agli artt. 3 e 36 della Costituzione, “nel presunto minor rendimento dei soggetti assunti con questo tipo di contratto e nell’esigenza di rendere appetibile la stipulazione di un contratto visto come strumento idoneo a sottrarre una congerie di soggetti svantaggiati all’area della esclusione sociale”93.
La giustificazione di tale minore retribuzione dovrà, onde fugare ogni perplessità di disparità di trattamento, trovare pieno riscontro nella congruenza del progetto individuale di inserimento alle finalità perseguite dalle parti e, soprattutto, nella corretta trasposizione dello stesso nella effettività delle modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Queste ultime non potranno, infatti, che essere differenti rispetto a quelle di un lavoratore comparabile assunto a tempo in- determinato, salvo non voler incorrere in una palese ipotesi di disparità di trattamento retributivo, priva di alcun tipo di giustificazione.
Si ritiene, comunque, che sia corretta l’interpretazione di chi rileva come “una lettura dell’art. 59 del D.Lgs. 276/2003 conforme a Costituzione potrebbe essere nel senso di considerare questa espressione (la categoria di inquadramento del lavoratore non può essere inferiore, per più di due livelli, alla categoria spettante …) come attributiva di una facoltà esercitabile anche dal singolo datore di lavoro, sempreché ricorrano i presupposti sopraindividuati, non escludendo che, in mancanza dei medesimi presupposti, al lavoratore spetterà la retribuzione corrispondente alla qualifica per la quale è stato assunto”94.
Sempre in un ambito prettamente giuridico, assume altresì importanza quanto stabilito al comma secondo dell’art. 59 del Decreto: “fatte salve specifiche previsioni di contratto collettivo95, i lavoratori assunti con contratto di inserimento sono esclusi dal computo dei limiti
derivante dal Decreto, dal momento che “obiettivo-finalità cui è funzionale il contratto di inserimento non è il conseguimento di una qualificazione professionale in senso proprio da parte del prestatore, bensì, in realtà, l’adattamento e/o l’adeguamento ad un determinato contesto lavorativo delle competenze professionali di esso lavoratore”. Si ritiene, comunque, preferibile la tesi di Xxxxxxxx Xxxxxxxx (op. cit., 2004, p. 298) che ha sostenuto, in termini conservativi della legittimità della disposizione in esame, che “la norma vuole dire che, individuato il livello di inquadramento spettante al lavoratore in base alla professionalità già posseduta, e non già da conseguire al termine di un percorso di mero adattamento delle competenze professionali, il lavoratore è sottoinquadrabile di due livelli ai soli fini salariali”.
93 Xxxxxxx F., op. cit., 2004, p. 17; si veda, inoltre, Xxxxxxxx M.G., op. cit., 2004, p. 429. Allo stesso tempo, non appaiono destituite di fondamento le perplessità di chi (Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 304) ha sostenuto che “il sottoinquadramento, per di più raddoppiato rispetto a quello consentito in relazione al Cfl, rappresenta una evidente anomalia anche sotto il profilo sistematico, in quanto nell’area degli incentivi all’occupazione di tipo economico, l’alleggerimento del costo del lavoro non comporta mai l’alleggerimento anche della retribuzione in danno al lavoratore”. Altra parte della dottrina (D’Onghia M., op. cit., 2004, p. 298) sostiene che la previsione di un trattamento retributivo differenziato si potrebbe giustificare esclusivamente con “la realizzazione di un progetto individuale particolarmente qualificante”.
94 Xxxxxxx X. e Saracini P., op. cit., p. 46. Questa dottrina, per approfondire il ragionamento di cui sopra, sostiene che “in sostanza la precarietà economica si può giustificare per ragioni di difficoltà del mercato del lavoro, preferibilmente convalidate da una valutazione collettiva, che potrebbe e dovrebbe recuperare uno spazio significativo nella diffusione dei contratti di inserimento, attraverso l’individuazione oggettiva dei presupposti che possono giustificare un sottoinquadramento dei lavoratori. Fuori da queste cautele, la generalizzazione del sottosalario non sembra consentita neanche al legislatore – che, anzi, incontra i limiti dell’art. 3, oltre quelli dell’art. 36 – e non può giustificarsi con generiche esigenze di manutenzione del capitale umano”.
95 Nell’Accordo Interconfederale del febbraio 2004, la contrattazione collettiva non ha individuato alcuna clausola in tema. Un’ipotesi di deroga è stata invece adottata nel Ccnl Edili del 24.5.2004, in cui è stato previsto che i lavoratori inseriti e reinseriti andranno computati nella forza lavoro ai fini dell’applicabilità di quanto previsto alla L. n. 300/1970.
numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti”.
Tra fonti, normative e collettive, è possibile certamente annoverare l’art. 18, co. 2, della L. n. 300/1970 in tema di tutela reale del posto di lavoro a fronte di un licenziamento individuale; in tal caso non è stata, infatti, riproposta la deroga, invece, prevista per gli assunti con un contratto di formazione e lavoro.
Si riporta, inoltre, quanto osservato esemplificativamente nella circolare Inps n. 51 del 16.5.2004 laddove è stato precisato che, a parte la tutela reale contro i licenziamenti illegittimi, la disposizione appena riportata del Decreto “ha rilevanza ai fini della determinazione del requisito occupazionale per:
▪ contributo in misura ridotta per Cig ordinaria (1,90%) dovuto dalle aziende industriali fino a 50;
▪ dipendenti (art. 12 della legge, n. 164/1975);
▪ contributo Cigs (art. 1, c. 1, della legge n. 223/1991);
▪ contributo di mobilità (art. 16 della legge n. 223/1991);
▪ contributo aggiuntivo per lavoro straordinario (art. 2 della legge n. 549/1995);
▪ determinazione della quota di riserva per lavoratori disabili (art. 3 della legge n. 68/1999)”.
Dopo aver passato in rassegna gli incentivi di natura giuridica, è possibile esaminare le previsioni in tema di sgravi contributivi.
Preliminarmente, va rilevato come, vista la complessità dell’attuale fase di transizione per la finanza pubblica, appare ancora tutta da giocare la partita, più generale, degli incentivi economici all’occupazione. Nel frattempo, con riferimento al contratto di inserimento, il Legislatore ha però stabilito che “gli incentivi economici previsti dalla disciplina vigente in materia di contratto di formazione e lavoro 96 trovano applicazione con esclusivo riferimento ai lavoratori di cui all’articolo 54, comma, 1, lettere b), c), d), e) ed f)”; come precisato dall’Inps, nella circolare appena citata, tali incentivi, sotto forma di decontribuzione, “troveranno applicazione esclusi- vamente per la durata dei contratti di inserimento o reinserimento”, senza pertanto riproporre il regime di erogazione97 che caratterizzava il sistema di incentivazione del Cfl, differenziato in relazione alla particolare tipologia di quest’ultimo contratto.
Occorre dar conto della perplessità relativa alla possibilità di applicare al contratto di inserimento anche l’incentivo del prolungamento dello sgravio contributivo per ulteriori 12 mesi rispetto alla durata del contratto originario previsto per i Cfl di cui all’art. 16, co. 2, lett. a), L. n. 451/1994, ossia quelli di cd. forte o pesante, che siano stati stipulati nelle aree territoriali Obiettivo 1 (come da Regolamento Cee n. 208/1993) e che, allo scadere del 24^ mese, siano stati trasformati in contratti a tempo indeterminato. Come osservato in dottrina 98 , non ne ricorrerebbero nella fattispecie contrattuale in esame le necessarie condizioni in quanto tale
96 Ne dovrebbe conseguire de plano che, rispetto alle aree cd. svantaggiate del paese, in caso di trasformazione dei contratti di inserimento scaduti in nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato, da cui si determini un incremento netto della forza lavoro in azienda, il datore dovrebbe maturare un diritto ad una proroga dello sgravio contributivo per ulteriori dodici mesi; si tratta però di un’estensione della disciplina del Cfl che deve essere attentamente vagliata.
97 Gli incentivi per i Cfl di tipo b), cd. leggero o debole erano riconosciuti solo successivamente alla avvenuta trasformazione del medesimo Cfl in un diverso contratto a tempo indeterminato, mentre nel Cfl di tipo a), cd. pesante o forte, il trattamento incentivante, di cui godeva il datore di lavoro, veniva riconosciuto in costanza dell’esecuzione del medesimo rapporto di lavoro.
98 Fondazione studi del consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, op. cit., 2004, p. XXI.
ulteriore agevolazione è prevista per una tipologia particolare di Cfl, quella meno affine al contratto di inserimento, peraltro caratterizzata da una durata minima di 24 mesi, ben oltre quindi la stessa durata massima prevista ordinariamente per il contratto di inserimento; tale ulteriore incentivazione dovrebbe, pertanto, trovare al massimo applicazione con riferimento all’assunzione di soggetti portatori di handicap (art. 54, co., 1, lett. f, D.Lgs. n. 276/2003), il cui contratto di inserimento può avere una durata massima pari a trentasei mesi.
Nello specifico, dall’esame delle disposizioni legislative è possibile desumere che, tra i destinatari della disciplina del contratto di inserimento, dovrebbero rimanere esclusi da quest’ultima tipologia di benefici contributivi i giovani tra i diciotto ed i ventinove anni, a meno che – lo si ricava indirettamente – non si tratti di: portatori di handicap (art. 54, co. 1, lett. f); lavoratrici residenti in area ad alta densità di disoccupazione (art. 54, co. 1, lett. e) o lavoratori che non abbiano lavorato per almeno due anni. Ove così non fosse l’esclusione dovrebbe, infatti, considerarsi disposta a prescindere da ogni condizione di disagio occupazionale e questo aspetto sarebbe in contraddizione con la ratio legis del contratto di inserimento.
Ad ogni modo, appare evidente che l’esclusione dei giovani dalla sfera di applicazione degli incentivi contributivi non può costituire uno strumento di discriminazione degli stessi, ma piuttosto un evidente invito alle aziende a far ricorso per la loro assunzione al contratto di apprendistato, così da assicurare a questi soggetti, oltre ad un’opportunità occupazionale, anche un percorso formativo adeguato.
È stato osservato che la previsione di incentivi di natura contributiva a favore di un insieme di lavoratori decisamente articolato, ma verosimilmente inferiore in termini dimensionali rispetto all’ambito di applicazione degli stessi incentivi per il contratto di formazione e lavoro, sarebbe da ricondurre ad una precisa scelta legislativa: “Il risparmio sugli incentivi al contratto di inserimento (ex Cfl) dovrebbe pertanto compensare i maggiori costi della incentivazione del contratto di apprendistato dovuti all’ampliamento della platea dei soggetti interessati. Questo limitato maggiore onere dovrebbe trovare ampia compensazione anche dalle economie derivanti, più in generale, dal complesso delle disposizioni dello schema di decreto che ambiscono a recuperare ampi segmenti di lavoro grigio e nero con vantaggi non solo per i lavoratori interessati (in termini di maggiori tutele), ma anche per le casse dello Stato (in termini di maggiori entrate complessive)”99.
Dovrebbe potersi includere nel contesto degli incentivi, anche quanto disposto all’art. 54, co. 5, del Decreto, laddove è stato stabilito di conservare l’efficacia di quelle disposizioni, se più favorevoli100, di cui all’articolo 20 della Legge 23 luglio 1991, n. 223, in materia di contratto di reinserimento dei lavoratori disoccupati. Pertanto, le norme contenute al suddetto art. 20 troveranno applicazione sempre che risultino più vantaggiose per i datori di lavoro101, sia per quanto attiene alle agevolazioni contributive, che ai requisiti richiesti per il loro riconoscimento.
Quest’ultima disposizione, al comma primo, prevede che possano essere assunti con un contratto di reinserimento solo coloro che per un periodo non inferiore a dodici mesi abbiano
99 Tiraboschi M., op. cit., giugno 2003, p. 106; si veda, inoltre Spolverato, op. cit., 2004, p. 88.
100 Parte della dottrina (Spolverato G., op. cit., 2004, p. 85) pone in risalto come il maggior favore si rivolga direttamente alle aziende, ed “indirettamente anche ai lavoratori, che proprio in ragione dei benefici contributivi riservati alle imprese potrebbero trovare un’occupazione”.
101 Parte della dottrina (Spolverato G., op. cit., 2004, p. 85) pone in risalto come il maggior favore si rivolga direttamente alle aziende, ed “indirettamente anche ai lavoratori, che proprio in ragione dei benefici contributivi riservati alle imprese potrebbero trovare un’occupazione”.
beneficiato del trattamento speciale di disoccupazione102, a condizione che i datori di lavoro, “al momento dell’instaurazione del rapporto di lavoro, non abbiano nell’azienda sospensioni del lavoro in atto ai sensi dell’art. 2 della legge 12 agosto 1977 n. 675, ovvero non abbiano proceduto a riduzione del personale nei dodici mesi precedenti, salvo che l’assunzione non avvenga ai fini di acquisire professionalità sostanzialmente diverse da quelle dei lavoratori interessati alle predette riduzioni o sospensioni di personale”.
Secondo quanto previsto al comma secondo dell’art. 20 della L. n. 223/1991, per i lavoratori in tal modo assunti a tempo indeterminato la dovuta contribuzione sarà ridotta del 75% per un periodo di dodici mesi, ventiquattro o trentasei mesi a seconda che il lavoratore interessato debba considerarsi disoccupato rispettivamente per un periodo inferiore a due anni, a tre anni o da più di tre anni. Peraltro, al comma terzo del medesimo articolo, è stato altresì disposta in favore del datore di lavoro la possibilità di richiedere, in alternativa ai vantaggi di cui sopra, un’agevolazione pari alla metà della suddetta percentuale di riduzione contributiva (cioè il 50% del 75%, ossia il 37,5%) per un periodo pari al doppio della effettiva durata della disoccupazione del lavoratore fino ad un massimo di settantadue mesi.
Tutto ciò fermo, occorre però precisare che il contratto di reinserimento di cui al Decreto, da una parte, e l’istituto contrattuale disciplinato all’art. 20 della L. n. 223/1991, dall’altra, costituiscono due figure contrattuali diverse, aventi distinte discipline e differenziati presupposti di applicazione (basti pensare che, ex art. 20, L. n. 223/1991, l’incentivo è riconosciuto solo a fronte della trasformazione del rapporto con un contratto a tempo indeterminato, mentre il contratto di inserimento, ex art. 54, co. 1, è, di per sé, a durata temporanea); pertanto, proprio in considerazione di tale diversità, al di là di quanto previsto nel Decreto, difficilmente si potrà porre un problema di sovrapposizione, ma la scelta di una delle due tipologie, e del pertinente regime giuridico, rimarrà semplicemente rimessa al calcolo di convenienze economiche del singolo datore di lavoro103.
Peraltro, va osservato che, dopo le modifiche apportate dalla L. n. 223/1991, il trattamento speciale di disoccupazione spetta soltanto ai lavoratori edili per un periodo di novanta giorni, che possono diventare centottanta con la prevista proroga; è così possibile concludere che il contratto di reinserimento, secondo i requisiti appena chiariti, possa essere stipulato solo eccezionalmente, con riferimento ai lavoratori edili che abbiano lavorato per almeno 18 mesi e che siano stati licenziati da aziende che, a loro volta, operino nelle aree in cui il Cipi abbia accertato la sussistenza di una grave crisi occupazionale, conseguente al previsto completamento di impianti industriali o di opere pubbliche di grandi dimensioni104.
Con riferimento agli incentivi di natura contributiva, di particolare importanza sono i chiarimenti in tema di incentivi economici contenuti nella anzi citata circolare n. 31/2004 ed all’art. 9 del Decreto correttivo n. 251/2004: a parte la migliore definizione delle categorie di lavoratori per l’assunzione dei quali il datore potrà, per tutta la durata dei contratti di inserimento o reinserimento, beneficiare delle agevolazioni contributive previste, ex art. 16 della L. n.
102 Si osserva come, in epoca precedente all’introduzione della L. n. 236/1993 (art. 4, co. 3), il contratto di reinserimento era utilizzato anche per le assunzioni di lavoratori che usufruivano da almeno 12 mesi del trattamento speciale di disoccupazione. Dopo il 1993, pertanto, il bacino dei potenziali fruitori di questo contratto è quindi ristretto alla posizione di coloro che beneficiavano dell’indennità di disoccupazione da almeno 12 mesi.
103 A tal proposito, si rinvia a Xxxxxxxx L., op. cit., 2004, p. 305.
104 In merito, si veda Fondazione studi consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, op. cit., 2004, p. XVI.
451/1994, per il contratto di formazione e lavoro105, è stato infatti specificato in termini non equi- voci che, al fine di evitare inconvenienti e questioni di legittimità comunitaria come quelle insorte con riferimento all’applicazione degli incentivi per il Cfl106, occorrerà prestare ottempe- ranza alla disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato ai sensi del Trattato UE (art. 87) ed al Regolamento n. 2204 del 12.2.2002107.
Peraltro, va aggiunto che con la sentenza del 1° aprile 2004, la Corte europea di giustizia (causa C-99/2002), intervenendo sugli sgravi concessi in Italia a fronte di assunzioni con Cfl dal novembre 1995 al 2001, ha imposto all’Italia il recupero degli aiuti forniti ai datori di lavori108.
Tale richiesta non appare di facile evasione, vista la difficoltà di individuare e reperire i bene- ficiari degli aiuti precedentemente riconosciuti, malgrado già con un messaggio del dicembre 2002 il Ministero del lavoro abbia invitato le aziende a presentare una sorta di autocertificazione dei benefici goduti109.
Tutto ciò fermo, il riconoscimento della possibilità di beneficiare anche per le assunzioni con contratto di inserimento della disciplina degli sgravi contributivi prevista per i Cfl comporta che tali assunzioni potranno essere incentivate nel rispetto delle seguenti condizioni.
Innanzi tutto, i datori di lavoro legittimati alla stipula dei contratti di inserimento potranno liberamente beneficiare delle agevolazioni contributive (sia per quanto riguarda i contributi all’Inps, che in relazione a quelli da versare all’Inail) sempre che non venga superata la riduzione del 25 per cento dell’onere contributivo: in questi casi non vi sarà affatto bisogno di chiedere alcuna autorizzazione alla Commissione europea perché, nel rispetto della normativa comunitaria, siffatta riduzione integra una misura di applicabilità generale ed indifferenziata, come tale esente da restrizioni.
Di contro, sempre in ottemperanza a quanto imposto dalla Unione europea, nella circolare mi-
105 Per quanto riguarda la misura dell’agevolazione contributiva, occorrerà fare riferimento alle diverse misure già previste in materia, articolate in base al settore di appartenenza ed all’ubicazione territoriale dell’azienda.
106 Con la Decisione del 11.5.1999 la Commissione europea ha sanzionato l’Italia perché ha ritenuto che gli incentivi contributivi previsti a fronte dell’assunzione con contratti di formazione e lavoro violassero gli artt. 87 ed 88 del Trattato CE a tutela della libera concorrenza. In quell’occasione, la Commissione ebbe a sostenere che le misure di incentivazione sarebbero state giudicate compatibili con il mercato unico solo se tali aiuti avessero determinato la creazione di nuovi posti di lavoro nell’impresa beneficiaria a favore di lavoratori che non avessero ancora trovato un impiego o che avessero perso quello di cui erano stati precedentemente titolari e, ancora, se le stesse misure avessero riguardato l’assunzione di lavoratori aventi specifiche difficoltà rispetto all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro. Il ricorso giurisdizionale presentato dall’Italia per l’annullamento della suddetta decisione della Commissione è stato respinto dalla Corte di Giustizia con la sentenza 7 marzo 2002 (C 310-99).
107 Pubblicato in G.U.C.E. del 13 dicembre 2002.
108 A tal proposito, parte della dottrina (Xxxxxxxx D., op. cit., 2005, p. 9) ha fatto rilevare come il richiamo alla conformità al Regolamento CE n. 2204/2002 implica una modifica correttiva davvero robusta (peraltro, attuata a seguito dell’emanazione del D.Lgs. n. 251/2004) del D.Lgs. n. 276/2003, dal momento che “pone una serie di condizioni alla fruibilità delle agevolazioni contributive, totalmente assenti nel rinvio secco alla disciplina vigente per il Cfl, contenuto nell’originario testo dell’art. 59, co. 3,; anche se – ad onor del vero – queste condizioni potevano già dedursi da quest’ultimo rinvio, tenendo conto che la disciplina degli incentivi per il Cfl era stata manipolata dal Ministero del lavoro, con la circolare 22.65.2000, prot. n. 5/26969/70/cfl, emanata a seguito della Dec. Comm. 11.5.1999”.
109 Ciò fermo, l’Inps, con il messaggio n. 984 del 11.1.2005 ha comunicato che i datori di lavoro che hanno usufruito di agevolazioni contributive nel periodo novembre 1995-maggio 2001 riceveranno una lettera con la quale ne verrà richiesta la restituzione. La restituzione degli aiuti indebitamente ricevuti, pena l’iscrizione a ruolo, dovrà avvenire, entro i 60 giorni successivi alla ricezione della missiva, utilizzando il modello F24. L’Istituto ricorda come il recupero contributivo sia al netto della riduzione del 25% che, in quanto misura di carattere generale, non si configura come aiuto di Stato.
nisteriale del 2004 è stato precisato che, qualora l’agevolazione contributiva dovesse essere supe- riore al 25% del costo salariale annuo del lavoratore assunto, per il legittimo riconoscimento della agevolazione dovrà parimenti verificarsi la sussistenza di una complessa serie di presupposti.
Dovrà, infatti, trattarsi di: a) un’agevolazione contributiva non maggiore del 50% (60% in caso di lavoratore disabile) del costo salariale annuo del lavoratore assunto; b) dovrà, a seguito delle assunzioni incentivate, essersi registrato un incremento netto del numero dei dipendenti dello stabilimento interessato, salvo che i posti non si siano resi vacanti per dimissioni volontarie, pensionamento per raggiunti limiti di età, riduzione volontaria dell’orario di lavoro, licenziamento individuale per giusta causa; c) dovrà, infine, essere garantita la continuità dell’impiego per almeno 12 mesi110, salvo che il rapporto non si sia interrotto prima per giusta causa.
Con la circolare ministeriale n. 31/2004111 sono state inoltre riviste le disposizioni di cui all’art. 54, co. 1, del Decreto proprio in stretta correlazione alla definizione di lavoratore cd. svantaggiato ai sensi del Regolamento UE n. 2204/2002 (espressamente richiamato all’art. 59, co. 3, dopo l’introduzione del D.Lgs. n. 251/2004) e, conseguentemente, è stato stabilito che, in presenza delle suddette condizioni, a differenza di quanto era stato inteso in un primo momento, le agevolazioni contributive potranno essere immediatamente concesse alle seguenti categorie di soggetti svantaggiati:
1) lavoratori extracomunitari;
2) disoccupati da oltre due anni che in tale periodo non abbiano seguito corsi di formazione112;
3) soggetti che vivono da soli con uno o più figli a carico;
4) soggetti con più di 50 anni privi di un posto di lavoro;
5) soggetti privi di un titolo di studio di livello secondario superiore o equivalente;
6) disoccupati di lungo periodo, ossia persone senza lavoro per 12 dei 16 mesi precedenti o per 6 degli 8 mesi precedenti nel caso di persone di meno di 25 anni;
7) qualsiasi donna di un’area geografica a livello Nuts2 nella quale il tasso medio di disoccupazione superi il 100 per cento della media comunitaria da almeno due anni civili e nella quale la disoccupazione femminile abbia superato il 150 per cento del tasso di disoccupazione maschile dell’area considerata per almeno due dei tre anni precedenti;
8) lavoratori disabili.
Comunque, a parte queste osservazioni preliminari, il regime ordinario di incentivi contribu- tivi, precedentemente applicati ai Cfl, sarà articolato, in relazione alla misura dell’agevolazione e con riferimento al settore di appartenenza, nel seguente modo:
a) i datori di lavoro non aventi natura commerciale vedranno riconoscersi un incentivo pari al 25% della contribuzione a loro carico se aventi un’ubicazione territoriale nell’Italia Centro settentrionale e del 50% se nel Mezzogiorno;
b) le imprese vedranno riconoscersi un incentivo pari al 25% della contribuzione a loro carico
110 Per godere di questo incentivi, dunque, il contratto di inserimento dovrà avere una durata minima maggiore di quella, invece, prevista all’art. 57 del D.Lgs. n. 276/2003.
111 Ministero del lavoro e delle politiche sociali, circolare n. 31 del 21 luglio 2004, par. 8.
112 Venendo in tal modo ad essere beneficiata anche la categoria, prima invece ritenuta esclusa da ogni forma di incentivazione, dei soggetti disoccupati di età compresa tra i 18 ed i 29 anni che desiderino riprendere un’attività lavorativa e che non abbiano lavorato, né frequentato corsi di formazione, negli ultimi due anni (si veda, a tal proposito, l’art. 1, co. 2, lett. b) del D.Lgs. n. 181/2000). Con riferimento a tale categoria, parte della dottrina (Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 295) osserva che “dovrebbero rimanere esclusi i giovani inoccupati, ontologicamente non riadattabili, pur se qualificabili lavoratori”.
se aventi un’ubicazione territoriale nell’Italia Centro settentrionale; se l’ubicazione ter- ritoriale dell’impresa risulterà, invece, essere nel Mezzogiorno, essi avranno diritto a versare gli oneri contributivi in cifra fissa settimanale come avviene per l’apprendistato;
c) le imprese del settore Commercio e Turismo con meno di 15 dipendenti vedranno ricono- scersi un incentivo pari al 40% della contribuzione a loro carico se aventi un’ubicazione territoriale nell’Italia Centro settentrionale; se l’ubicazione territoriale dell’impresa risulterà, invece, essere nel Mezzogiorno, essi avranno diritto a versare gli oneri contributiva in cifra fissa settimanale come avviene per l’apprendistato; e del 50% se nel Mezzogiorno;
d) le imprese artigiane, ovunque ubicate, dovranno versare gli oneri contributivi in misura fissa settimanale come avviene per l’apprendistato.
Occorre chiarire come l’estensione, espressamente prevista al paragrafo 4 della circolare del Ministero del lavoro n. 31/2004, degli incentivi contributivi a fronte dell’assunzione di cittadini comunitari ed extracomunitari, sempre che gli stessi siano in possesso dei requisiti previsti all’art. 54 del D.Lgs. n. 276/2003, pone alcuni problemi interpretativi. Ferma la riconducibilità dei soggetti immigrati ed extracomunitari alla categoria dei lavoratori svantaggiati enucleata all’art. 2, lett. f), x.xx ii) del Regolamento n. 2204/2002 della Comunità europea, ci si deve, infatti, domandare se i lavoratori appartenenti a questa categoria, al loro primo ingresso in Italia, siano in grado di rispettare i requisiti soggettivi di cui all’art. 54, co. 1, più volte richiamato. Infatti, qualora gli stessi abbiano il permesso di soggiorno, non potranno, di per sé, avere anche lo status di disoccupato di lunga durata, né risultare privi di un posto di lavoro; allo stesso modo, qualora il rapporto di lavoro, in virtù del quale abbiano ottenuto, ai sensi della Legge n. 286/1998 (come modificata dalla Legge n. 189/2002), il permesso di soggiorno, dovesse essere cessato prima del termine di efficacia di quest’ultimo documento, tali lavoratori potranno ottenere un nuovo permesso di soggiorno “per attesa occupazione” per la parte restante della durata del precedente permesso o al massimo per un periodo di sei mesi, insufficienti comunque a raggiungere i requisiti per lo status di disoccupato di lunga durata.
In dottrina113, pertanto, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni per l’assunzione di un lavoratore extracomunitario, vengono individuate le necessarie condizioni nella fattispecie astratta in cui allo stesso lavoratore sia stato rilasciato un permesso di soggiorno della durata di due anni a fronte della stipula di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, successivamente risolto dopo sei mesi dalla sua sottoscrizione.
In questo caso, sarà possibile consegnare a questo lavoratore extracomunitario un permesso di soggiorno “per attesa occupazione” di 18 mesi per cui, concluso il dodicesimo mese, acquisirà lo status di disoccupato di lunga durata.
Minori dubbi sorgono con riferimento all’assunzione del lavoratore extracomunitario per cui ricorrano le ulteriori condizioni soggettive di inserimento (ex art. 54, co. 1, del Decreto), visto che nelle altre ipotesi applicabili non viene richiesto il requisito della permanenza nello stato di disoccupazione.
In generale, è poi possibile sostenere che il contratto di inserimento, essendo una sottospecie del contratto di lavoro a tempo determinato, è, per ogni altro verso, perfettamente utilizzabile per l’assunzione di lavoratori immigrati o non comunitari residenti all’estero, visto che l’art. 22, co. 2, del D.Lgs. n. 286/1998 prevede, accanto al contratto di lavoro a tempo indeterminato, anche il ricorso a tale tipologia contrattuale.
113 Xxx X., Contratti di inserimento: dubbi e soluzioni, in Diritto e pratica del lavoro, 2004, n. 34, p. 2214.
In sintesi, per la concessione delle agevolazioni contributive in misura maggiore al 25% del costo salariale (retribuzione lorda più contributi assicurativi e previdenziali obbligatori) a fronte dell’assunzione di un lavoratore con il contratto di inserimento, volendosi attenere scrupolosa- mente all’impianto normativo comunitario, è stato stabilito che dovranno ricorrere contestual- mente le condizioni soggettive previste all’art. 54, comma primo, lett. da b) ad f), e al Regola- mento CE n. 2204 del 2002114. In tema, appare opportuno riportare l’orientamento di quella parte della dottrina che ha osservato come “l’operatività anche per il contratto di inserimento delle condizioni fissate dal Reg. CE 2204/2002 ne riduce fortemente, rispetto al passato, l’appetibilità, riconducibile tutta alla durata a termine, che differenzia tale strumento incentivato, rispetto a quelli cd. di carattere generale, che collegano inscindibilmente il godimento delle agevolazioni contributive alle assunzioni a tempo indeterminato (si pensi alle assunzioni ex art. 8, co. 9, L. 407/1990 e allo sgravio totale triennale) (…). Si va, quindi, consolidando un doppio modello di assunzioni incentivate; il primo è caratterizzato dall’assunzione a tempo indeterminato di soggetti, comunque disoccupati, ma non riconducibili all’area dello svantaggio, come individuato dal Reg. CE 2204/2002; il secondo, che consente l’assunzione a termine, vista con sfavore a livello comunitario, di soggetti riconducibili a quest’ultima area (…)”115.
Con particolare riferimento alle agevolazioni contributive previste per l’assunzione di donne, risalta immediatamente come non siano stati richiamati in sede amministrativa anche gli incentivi a favore dell’occupazione femminile, secondo i criteri individuati all’art. 54, co. 1, lett. e) del D.Lgs. n. 276/2003.
Questo sarebbe avvenuto, secondo parte della dottrina116, perché i requisiti previsti nella medesima disposizione normativa sarebbero stati meno restrittivi di quanto le norme comunitarie in materia, invece, non richiedessero, tanto che, come vedremo, nella medesima circolare, proprio con riferimento agli incentivi da riconoscere a fronte dell’assunzione di lavoratrici, è stata adottata la previsione dell’art. 2, lett. f), punto xi) del Regolamento (Ce) n. 2204/2002117.
Pertanto, per l’assunzione con contratto di inserimento di donne aventi i soli requisiti previsti all’art. 54, co. 1, lett. e) del D.Lgs. n. 276/2003 appare corretto ritenere che le eventuali agevolazioni contributive potranno, allo stato, essere riconosciute solo nel rispetto del regime cd. de minimis (che permette l’erogazione di aiuti, a qualsiasi titolo concessi in favore dell’impresa, in misura pari a 100.000 euro per un periodo massimo di tre anni) nel cui computo, ovviamente, rientreranno anche gli incentivi erogati nei limiti del 25% del costo salariale che, essendo indifferenziati, non ricadano nel regime del divieto degli aiuti di Stato ex artt. 87 ed 88 del
114 Per completezza, si aggiunge che alla circolare ministeriale n. 31 del 2004 è stato altresì specificato che “gli incentivi di cui all’articolo 59 del decreto legislativo n. 276/03 rimangono soggetti all’obbligo di notifica preventiva per le imprese del settore della costruzione navale e dell’industria carboniera. Con riferimento alla questione relativa all’accertamento dello status del lavoratore, affinché il datore di lavoro possa essere garantito sulla sussistenza delle condizioni che permettono l’assunzione con il contratto di inserimento nonché il diritto ai benefici contributivi possono essere qui richiamate le istruzioni impartite dall’Inps, con circolare n. 117 del 30 giugno 2003”.
115 Xxxxxxxx D., op, cit., 2005, p. 13. L’Autore, traendo le conclusioni rispetto alle considerazioni sopra riportate, ha, infine, lucidamente sottolineato che “probabilmente è arrivato il momento di sostituire il consolidato e fortunato, a livello sociologico, binomio insider/outsider con quello di advantaged/disadvantaged worker”.
116 Pau E., op. cit., 2004, p. 2215.
117 L’articolo 2, lettera f), del Regolamento (CE) n. 2204/2002, qualifica come lavoratori svantaggiati, tra gli altri, “qualsiasi donna di un’area geografica al livello NutsII nella quale il tasso medio di disoccupazione superi il 100% della media comunitaria da almeno due anni civili e nella quale la disoccupazione femminile abbia superato il 150% del tasso di disoccupazione maschile dell’area considerata per almeno due dei tre anni civili precedenti”.
Trattato CE 118 . Come abbiamo già accennato, per il Ministero del lavoro le agevolazioni contributive maggiori al 25% del costo salariale annuo del lavoratore potranno essere riconosciute a fronte dell’assunzione di manodopera femminile solo qualora ricorrano condizioni ulteriori rispetto a quelle previste agli art. 54, co. 1, lett. e) e 59, co. 3, del Decreto.
Avendo, infatti, lo stesso Legislatore delegato previsto, da un parte (art. 54, co. 1, lett. e), la necessità di individuare con apposito decreto ministeriale le aree geografiche in cui il tasso di occupazione femminile (relativo a donne di qualsiasi età) fosse non inferiore almeno del 20 per cento di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superasse del 10 per cento quello maschile, e, dall’altra (in conformità ai parametri previsti al menzionato Regolamento UE
n. 2204/2002), che si dovesse trattare di aree geografiche in cui il “tasso medio di disoccupazione superi il 100% della media comunitaria da almeno due anni civili e nella quale la disoccupazione femminile abbia superato il 150% del tasso di disoccupazione maschile dell’area considerata per almeno due dei tre anni precedenti”, è stato necessario procedere al contemperamento di queste due diversi criteri.
Seppur con il ritardo dovuto “alla necessità di svolgere i dovuti approfondimenti tecnici in merito alle corrette soluzioni da adottare per l’individuazione delle aree geografiche”119, il Ministero del lavoro (di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze) ha così provveduto ad emanare, in data 22.10.2004, il decreto interministeriale necessario ad individuare (ex art. 54, co. 1, lett. e, come reinterpretato in virtù di quanto stabilito al D.Lgs. n. 251/2004) le aree geografiche ai fini della concessione delle agevolazioni contributive per le assunzioni di donne ivi residenti, facendo riferimento ai dati ufficiali sull’occupazione e disoccupazione nella pubblicazione “Forze di Lavoro”120 dell’Istat.
Con tale decreto interministeriale (art. 1) è stato deciso che, in relazione alla sussistenza dei presupposti giuridici per stipula di contratti di inserimento, “le aree territoriali di cui all’articolo 54, comma 1, lettera e), del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, sono identificate per gli anni 2004, 2005 e 2006 in tutte le Regioni e Province Autonome”.
Di contro, però, con l’art. 2 il Ministero ha disposto che le aree territoriali di cui all’articolo 2, lettera f), del Regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione del 12 dicembre 2002, rilevanti ai fini del riconoscimento degli sgravi contributivi, “sono identificate nelle Regioni Lazio, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna” 121.
118 Pau E., op. cit., 2004, p. 2217.
119 Resoconto stenografico dell’Assemblea della Camera dei Deputati, seduta n. 532 del 21 ottobre 2004, in cui è intervenuto l’Xx. Xxxxxxxx Xxxxxxx, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. L’On. Xxxxxxx, in questa occasione, ha inoltre chiarito che “i criteri dettati dall’articolo 54, comma 1, del decreto n. 276 del 2003, basati, come detto, sulla distanza tra tasso di occupazione o tasso di disoccupazione femminili e maschili della singola area geografica, non precisano se la distanza stessa sia da intendersi come differenza assoluta, in punti percentuali, tra i tassi maschile e femminile o di divario relativo tra gli stessi. A tal proposito, la soluzione che si intende adottare, quella del divario relativo, appare tuttavia non solo la più conforme al tenore letterale della norma, ma risulta anche l’unica che consentirà di stipulare contratti di inserimento per quelle donne che risiedono in aree svantaggiate, secondo la ratio dell’istituto”.
120 Dalla relazione tecnica al decreto ministeriale ex art. 54, co. 1, lett. e) del D.Lgs. n. 276/2003 si ricava, infatti, che “per il calcolo ci si è riferiti ai dati ufficiali sul tasso di disoccupazione e sul tasso di occupazione diffusi dall’Istat sulla base della rilevazione sulle Forze di lavoro, e pubblicati nel volume Forze Lavoro, media 2003”. In particolare, coerentemente con le definizioni utilizzate su base nazionale ed internazionale, ci si è riferiti “al tasso di disoccupazione generale (nella classe di età da 15 anni in su) ed al tasso di occupazione della fascia di età da 15 a 64 anni”.
121 Si rinvia a tal proposito alle due tavole del decreto ministeriale contenute nell’allegato 1 della presente
Pertanto, secondo quanto previsto all’art. 3 di tale decreto ministeriale, “gli incentivi econo- mici di cui all’articolo 59, comma 3, del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, si applicano ai contratti stipulati ai sensi dell’articolo 54, comma 1, lettera e), del medesimo decreto legislativo solo ove le lavoratrici siano residenti nei territori di cui all’articolo 2 del presente decreto”.
Come emerge chiaramente dalle disposizioni appena richiamate, si è proceduto al coordinamento della normativa nazionale con quella comunitaria, così da individuare il regime di incentivazione giuridicamente conforme al Regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione del 5 dicembre 2002 (come, del resto, esplicitamente previsto all’articolo 59, comma 3, del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, modificato dall’articolo 13 del Decreto
Legislativo ottobre 2004, n. 251).
Riepilogando sinteticamente i termini della questione, è possibile evidenziare che, se all’art. 54, co. 1, lett. e) si afferma semplicemente che possono essere sottoscritti contratti di inserimento con riferimento alle donne appartenenti alle aree territoriali in cui sussistano i presupposti individuati nella medesima disposizione normativa, solo a seguito del raffronto con le disposizioni comunitarie sarà possibile rinvenire le aree in cui a fronte dell’assunzioni di donne ivi residenti saranno altresì riconosciuti ai datori di lavori importanti sgravi contributivi.
Appare oltre modo utile riportare a tal proposito come parte della dottrina abbia sottolineato che “non va commesso l’errore di sovrapporre le aree ammesse alla stipulazione del contratto di inserimento con quelle che possano godere degli incentivi economici, in quanto le stesse non coincidono”122.
Ed allora, secondo quanto è possibile desumere dalla relazione tecnica al decreto inter- ministeriale testé illustrato, “posto che il regime sui Cil (ndr, contratto di inserimento lavorativo) non rispetta i limiti sull’intensità lorda dell’aiuto posti dall’articolo 4 del Regolamento123, esso
monografia.
122 Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 294.
123 Articolo 4, Creazione di posti di lavoro:
“1. I regimi di aiuti a favore della creazione di posti di lavoro e qualsiasi aiuto accordabile nell’ambito di tali regimi devono soddisfare le condizioni di cui ai successivi paragrafi 2, 3 e 4.
2. Quando i posti di lavoro sono creati in regioni e in settori non ammessi a beneficiare degli aiuti a finalità regionale in virtù dell’articolo 87, paragrafo 3, lettere a) e c), al momento della concessione dell’aiuto, l’intensità lorda dell’aiuto non deve superare:
a) il 15% per le piccole imprese;
b) il 7,5% per le medie imprese.
3. Quando i posti di lavoro sono creati in regioni e in settori ammessi a beneficiare degli aiuti a finalità regionale in virtù dell’articolo 87, paragrafo 3, lettere a) e c), al momento della concessione dell’aiuto, l’intensità netta dell’aiuto non deve superare il massimale corrispondente degli aiuti all’investimento a finalità regionale, fissato nella mappa in vigore all’epoca della concessione dell’aiuto, approvata dalla Commissione per ogni Stato membro: a tal fine si tiene conto, fra l’altro, della disciplina multisettoriale degli aiuti regionali destinati ai grandi progetti d’investimento (1).
Per le piccole e medie imprese, salvo altrimenti disposto dalla mappa, detto massimale è maggiorato di:
a) 10 punti percentuali al lordo, nelle regioni di cui all’articolo 87, paragrafo 3, lettera c), purché l’intensità totale netta dell’aiuto non superi il 30%; oppure
b) 15 punti percentuali al lordo, nelle regioni di cui all’articolo 87, par. 3, lettera a), purché l’intensità totale netta dell’aiuto non superi il 75%.
La maggiorazione rispetto al massimale per gli aiuti regionali si applica solo a condizione che il contributo del beneficiario non sia inferiore al 25% del finanziamento ottenuto e se i posti di lavoro sono mantenuti all’interno della regione ammissibile agli aiuti. Quando i posti di lavoro sono creati nella produzione, trasformazione o commercializzazione di prodotti di cui all’allegato I del trattato in aree considerate come zone svantaggiate a norma del regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio (2), si applicano i massimali maggiorati o, se del caso, i massimali più elevati previsti da detto regolamento.
4. I massimali di cui ai precedenti paragrafi 2 e 3 si applicano ad un’intensità di aiuto calcolata in
deve riguardare, ai sensi dell’articolo 5 del medesimo Regolamento124, lavoratori svantaggiati o disabili, come definiti dall’articolo 2”. Conseguentemente, come già evidenziato, l’articolo 2 del DM identifica, in vista dell’assunzione incentivata di lavoratori, le aree di cui al citato art. 2, lett. f), n. xi) del Regolamento CE n. 2204/2002.
Il suddetto decreto interministeriale, sebbene approvato in data 22.10.2004 dal Consiglio dei Ministri, non è stato tuttavia inviato alla Corte dei Conti ed è stato, successivamente, ritirato.
Pertanto, pur dopo i recenti interventi di modifica (D.Lgs. n. 251/004 e L. n. 80/2005), rimane ancora presente all’art. 54, co. 1, lett. e) del Decreto la previsione secondo cui dovrà comunque essere emanato un decreto interministeriale per la determinazione delle aree geografiche in cui sarà possibile procedere all’assunzione di donne con il contratto di inserimento; in attesa, si ritiene che, almeno nella versione non incentivata tramite lo sgravio contributivo, il ricorso alla tipologia contrattuale in esame per l’assunzione di lavoratrici possa avvenire, così come stabilito nel decreto ritirato, su tutto il territorio nazionale. Anche con riferimento a quanto previsto all’art. 59, co. 3, del D.Lgs. n. 276/2003, potrebbero mutuarsi le considerazioni esplicitate nel decreto ritirato ma, in tal senso, appare opportuno procedere con cautela ed attendere i prossimi provvedimenti del Legislatore delegato.
Fermo quanto sinora previsto per gli sgravi contributivi per l’assunzione delle donne, va contemporaneamente rilevato che gli incentivi giuridici costituiti del non computo ai fini delle normative che fanno riferimento al requisito dimensionale delle aziende, nonché dalla legittima- zione a stipulare un contratto a tempo determinato al di fuori delle previsioni dell’art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001, verranno comunque applicati, secondo quanto previsto all’art. 1, a “qualsiasi donna”, senza limitazione di età o altre condizioni particolari, residente in tutte le Regioni e Province Autonome125.
percentuale dei costi salariali connessi ai posti di lavoro creati per un periodo di due anni, alle seguenti condizioni:
a) i posti di lavoro creati devono rappresentare un incremento netto del numero di dipendenti sia dello stabilimento che dell’impresa interessati, rispetto alla media dei dodici mesi precedenti;
b) i posti di lavoro creati devono essere conservati per un periodo minimo di tre anni o di due anni nel caso delle Pmi; e
c) i lavoratori assunti per coprire i nuovi posti di lavoro creati non devono aver mai lavorato prima o devono aver perso o essere in procinto di perdere l’impiego precedente.
5. In caso di aiuti alla creazione di posti di lavoro concessi nell’ambito di regimi esentati a norma del presente articolo, è consentito un aiuto supplementare per l’assunzione di un lavoratore svantaggiato o disabile conformemente agli articoli 5 o 6.
124 Articolo 5, Assunzione di lavoratori svantaggiati e disabili:
“1. I regimi di aiuti a favore dell’assunzione di lavoratori svantaggiati e disabili da parte delle imprese e qualsiasi aiuto accordabile nell’ambito di tali regimi, devono soddisfare le condizioni di cui ai paragrafi 2 e 3.
2. L’intensità lorda di tutti gli aiuti relativi all’occupazione dei lavoratori svantaggiati o disabili di cui trattasi, calcolata in percentuale dei costi salariali su un periodo di un anno successivo all’assunzione, non deve superare il 50% per i lavoratori svantaggiati o il 60% per i lavoratori disabili.
3. Si applicano le seguenti condizioni:
a) quando l’assunzione non rappresenta un incremento netto del numero di dipendenti dello stabilimento interessato, il posto o i posti occupati devono essersi resi vacanti a seguito di dimissioni volontarie, di pensionamento per raggiunti limiti d’età, di riduzione volontaria dell’orario di lavoro o di licenziamenti per giusta causa e non a seguito di licenziamenti per riduzione del personale;
b) fatto salvo il caso di licenziamento per giusta causa, al lavoratore o ai lavoratori deve essere garantita la continuità dell’impiego per almeno 12 mesi”.
125 Si rileva come questo profilo sia stato ritenuto dalla rete delle Consigliere di parità provinciale e regionali del Veneto idoneo ad integrare una violazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne, non compensata dal potenziale incremento della occupazione femminile. In termini critici, parte della dottrina
1.10 Il regime sanzionatorio
Dal punto di vista sanzionatorio, infine, è stato già riportato quanto previsto in caso di assenza della forma scritta del contratto e del progetto individuale di inserimento, anche se, con riferimento a quest’ultima ipotesi, la sanzione dell’invalidità, in mancanza di una disposizione esplicita, è da ricavarsi in termini interpretativi in considerazione del fatto che tale progetto costituisce un elemento essenziale del contratto di inserimento. Peraltro, il Ministero del lavoro, con la circolare ministeriale n. 31 del 2004, ha posto fine ad ogni incertezza ermeneutica, stabilendo che, “in mancanza di progetto di inserimento il contratto è nullo e il lavoratore si intende assunto a tempo indeterminato con decorrenza dalla data di costituzione del rapporto”).
Occorre adesso analizzare quanto stabilito al quinto comma dell’art. 55 del Decreto in relazione alle gravi inadempienze, completamente imputabili al comportamento del datore di lavoro che, in costanza dell’esecuzione del progetto individuale di inserimento, hanno impedito il corretto completamento di tale progetto ed il soddisfacimento delle connesse finalità, precludendo il buon esito dell’adattamento delle competenze professionali del lavoratore alle mansioni cui è assegnato in azienda126. La sanzione prevista per questa eventualità è di natura meramente pecuniaria ed è stata originariamente determinata in misura pari alla “quota di contributi agevolati maggiorati del 100%”; poco più tardi, tuttavia, rilevandosi come quella appena riportata costituisse una sanzione eccessivamente lieve, la suddetta disposizione è stata modificata con il D.Lgs. n. 251/2004: pertanto, in caso di violazione dei doveri a suo carico previsti nel progetto individuale di inserimento, il datore di lavoro dovrà adesso versare, a titolo di sanzione, “la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta per il lavoratore avente lo stesso inquadramento legale e contrattuale, maggiorata del 100%”. Viene, in tal modo, assunto a riferimento il livello di inquadramento che il lavoratore avrebbe ottenuto al termine del proprio periodo di inserimento e, conseguentemente, adottato il parametro dell’effettivo trattamento previdenziale in tal caso dovuto: il trattamento sanzionatorio risulta affatto inasprito.
Di contro, va aggiunto che il Legislatore ha previsto che tale sanzione dovrà essere applicata in termini esclusivi, visto che, a seguito della modifica introdotta con l’art. 12 del D.Lgs. n. 251/2004, è stato stabilito che “la maggiorazione così stabilita esclude l’applicazione di qualsiasi altra sanzione prevista in caso di omessa contribuzione” (art. 55, co. 5).
In ogni caso, la scelta di non estendere, in presenza delle suddette gravi inadempienze, la sanzione della nullità del contratto e della instaurazione ab initio di un diverso contratto di lavoro a tempo indeterminato e, conseguentemente, di preferire la conservazione del rapporto di lavoro prescelto, appare ulteriormente dimostrativa di quanto il concreto svolgimento di un adeguato
(Xxxxxxxxxx M., Xxxxx e lavoro: la sottile linea tra discriminazioni e pari opportunità, in Adapt – Bollettino
n. 7 del 26 febbraio 2005, p. 5) ha, invece, sostenuto che “una interpretazione politicamente corretta e formalistica del principi di parità di trattamento si tradurrebbe, nella maggior parte dei casi, in uno strumento di conservazione delle diseguaglianze a favore dei lavoratori che detengono una posizione di vantaggio nel mercato del lavoro e dunque a favore degli uomini. È fondamentale riconoscere che la posizione di svantaggio di talune fasce di lavoratori, tra le quali (purtroppo), ma alla luce di dati statistici ufficiali e certi, siamo costretti ad annoverare le donne, richiede l’utilizzo di misure promozionali specifiche per il miglioramento della loro posizione nel mercato e tra queste rientra a pieno titolo il nuovo contatto di inserimento”.
126 Per contribuire a rendere chiaro il requisito della necessaria gravità delle inadempienze, rilevanti ai sensi dell’art. 55, co. 5, del Decreto, appare utile riportare quanto, a questo proposito, è stato affermato da Confindustria nella circolare n. 18018/2003: “Qualora sia stata concordata anche una fase di formazione, soltanto la totale carenza di svolgimento di attività formativa o l’obiettiva inadeguatezza della stessa rispetto ai criteri fissati nel progetto individuale, possono legittimare l’applicazione della sanzione di cui all’art. 55”.
percorso di adattamento, pur rappresentando un presupposto affatto significativo, non costituisca un elemento essenziale della sinora descritta disciplina, diversamente finalizzata alla ricolloca- zione del lavoratore nel mercato del lavoro; la differenza con il Cfl, a tal proposito, è affatto evidente.
La nozione di gravi inadempienze rimane, tuttavia, alquanto indefinita, perché né il Legislatore delegato, né i contratti collettivi conclusi dopo il settembre del 2003, hanno contribuito ad attribuire alla stessa compiutezza, quando invece ciò sarebbe stato fondamentale, anche per discriminare quest’ipotesi rispetto alla fattispecie di tutt’altra rilevanza in cui si siano verificate solo inadempienze non gravi, per cui non sono state, invece, previste apposite sanzioni. Su questo punto, probabilmente, servirebbe maggiore completezza, anche per consentire che i datori e i lavoratori siano più avvertiti in merito all’insieme dei diritti e dei doveri, nonché rispetto alle conseguenze giuridiche derivanti dal loro mancato rispetto o violazione, che, nel loro
insieme, scaturiscono dalla inesatta implementazione di un progetto individuale di inserimento. Peraltro, si concorda con quella parte della dottrina127 che ritiene che la verifica della sussi-
stenza di gravi inadempienze diverrà, pur nella sua complessità, possibile solo al termine dell’esecuzione del rapporto di lavoro, quando potrà essere valutato il grado di effettività dell’adempimento degli obblighi assunti dal datore di lavoro con la definizione negoziale del progetto individuale: a quel punto, inoltre, anche gli uffici ispettivi degli stessi enti previdenziali, interessati al recupero dei contributi eventualmente versati in misura inferiore rispetto al previsto, potranno proporre un’azione giudiziale per il recupero della omessa contribuzione.
È tuttavia allo stato non semplice immaginare come tale riscontro potrà avvenire efficacemen- te a consuntivo laddove non vengano, in costanza di esecuzione del rapporto, poste in essere una serie di istanze di verifica delle modalità e del livello di soddisfazione dell’adattamento del lavo- ratore al contesto produttivo di inserimento. In questo contesto, potrebbe essere davvero utile un supporto negoziale in termini di tipizzazione, nonché un’azione di monitoraggio condotta dalle parti collettive, anche attraverso gli Enti bilaterali di settore. Questo, tuttavia, non potrà di certo limitare il vaglio giurisdizionale, ma potrebbe contribuire alla diffusione del contratto di inseri- mento a prescindere dal consolidamento di un criterio giurisprudenziale che, essendo in questo caso prettamente ancorato a circostanze di fatto, difficilmente potrebbe peraltro divenire sistematico.
Sempre con riferimento al progetto individuale di inserimento, nulla, tuttavia, esclude che, quanto non previsto direttamente ex lege (la nullità e la conseguente conversione del contratto), non venga, invece, disposto in sede giurisdizionale128, qualora, una volta accertata l’irrilevanza concreta attribuita dal datore di lavoro all’esecuzione di un progetto individuale di inserimento, venga ricostruita l’effettiva volontà delle parti di stipulare indebitamente un ordinario contratto di lavoro subordinato, ma giuridicamente ed economicamente più vantaggioso. Anche in questo
127 Bellocchi P., op. cit., 2004, p. 635.
128 Viene, in tal senso, sottolineato (Xxxxxxxx M.G., 2004, p. 432) come “se – a giudizio del giudice – il progetto non ha a monte un’indagine sulle difficoltà soggettive ad inserirsi nel contesto lavorativo o non contiene misure congrue a superarle, non potrà essere qualificato come progetto individuale di inserimento ai sensi dell’art. 55”. Da tale assunto dovrebbe così ricavarsi la sussistenza di un “non-contratto di inserimento” che dovrà essere ricondotto ad altra fattispecie. La dottrina appena richiamata, ai fini dell’individuazione del regime giuridico a questo punto applicabile, evidenzia (p. 434) che qualora, a tal fine, si opti per la fattispecie di contratto di lavoro subordinato “potrà anche tenersi fermo il termine, ma solo se ricorrono tutte le condizioni di legge perché l’apposizione di termine sia legittima, a partire dalle ragioni tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo dell’art. art. 1, D.Lgs. n. 368/2001, e dalla loro puntuale esplicitazione”.
caso, infatti, potrebbe, secondo parte della dottrina, essere verosimilmente dichiarata la sussistenza di un normale rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le medesime parte che avevano illegittimamente stipulato un contratto di inserimento129.
Secondo taluni, inoltre, in questa eventualità “il contratto deve essere convertito in un normale contratto di lavoro, trattandosi di mancata attuazione della condizione ovvero del presupposto legale statuito per l’esistenza stessa di questa peculiare specie contrattuale; anche in questa circostanza viene, infatti, meno il connotato che identifica e caratterizza il sotto-tipo ed il contratto è, di conseguenza, da ricondursi entro lo schema causale del rapporto di lavoro subordinato. Dunque, anche all’ipotesi di inadempimento da parte del datore di lavoro delle obbligazioni tipiche nascenti dal progetto di inserimento dovrebbe riconnettersi la dissoluzione del contratto di inserimento nel prototipo normativo, con le conseguenti garanzie e tutele per il lavoratore”130.
Contro la possibilità della trasformazione del contratto originario in uno diverso a tempo indeterminato, si pone, invece, chi, pur condividendo la deviazione funzionale dalla causa del contratto di inserimento, in presenza di gravi inadempienze del datore di lavoro rispetto agli obblighi assunti nel progetto individuale di inserimento, ritiene che “non possa risultarne anche l’effetto (ulteriore) più radicale della conversione della relazione negoziale originaria in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Ciò in difetto di previsione di legge specifica”131, come invece avveniva in costanza di applicazione del Cfl, secondo quanto previsto all’art. 3, co. 9, della L. n. 863/1984. In tal senso, infatti, le sole ipotesi di conversione con riferimento al contratto di inserimento sarebbero state tassativamente individuate ai sensi dell’art. 56 del Decreto.
Appare, inoltre, corretta l’interpretazione di chi rileva che la mancata esecuzione del progetto individuale di inserimento incida sulla rilevanza dell’adempimento dell’obbligazione, così da rendere esperibili i rimedi (il risarcimento del danno, l’eccezione di inadempimento, ecc.) che “il nostro ordinamento predispone in caso di mancata esecuzione dei contratti a prestazioni sinallagmatiche”132. Peraltro, a titolo di deterrente contro i comportamenti di quei datori di lavoro che intendano far un uso improprio del contratto di inserimento, dovrebbero esercitare una influenza non trascurabile la sanzione della cessazione dei benefici del sottoinquadramento, degli eventuali sgravi contributivi e del non computo del lavoratore nella base dimensionale dell’impresa.
129 In tal senso si veda Trivellini R, op. cit., 2004, p. 307 e, soprattutto, Alleva G., (op. cit., 2003, p. 912); quest’ultimo sostiene che non possa essere trascurata la circostanza che il progetto individuale di inserimento è definito come condizione per l’assunzione con contratto di inserimento, ossia come presupposto per la nascita di questo specifico rapporto di lavoro. Tale Autore ritiene che, onde evitare prassi, fuorvianti rispetto alle finalità legislative, di ricorso abusivo a tale tipologia contrattuale, possa essere determinante il ruolo della contrattazione collettiva nell’individuare piani di inserimento che abbiano una conformazione “alta ed impegnativa”, coerentemente alla stessa ratio legis che dovrebbe ispirare l’attuazione del contratto di inserimento. La sanzione prevista all’art. 55, co. 5, diverrebbe in simili circostanze aggiuntiva alla riquali- ficazione del rapporto di lavoro.
130 Vincieri M., op. cit., 2004, p. 69; Balletti E., op. cit., 2004, p. 426 (“la mancata realizzazione del progetto individuale di inserimento si traduca in inadempimento agli obblighi contrattuali, tale da poter importare anche lo stesso travisamento funzionale del modello negoziale del contratto di inserimento”).
131 Balletti E., op. cit., 2004, p. 435. Analogamente, altra parte della dottrina (Xxxxxxxx D., op. cit., 2004, p. 300) sostiene che trattandosi di “un contratto a termine, agevolato in funzione dell’adattamento delle competenze professionali del lavoratore ad un determinato contesto lavorativo, ((…) mancando quest’ultimo, viene meno l’agevolazione”; del medesimo avviso, Xxxxxxxxx P., op. cit., 2004, p. 637.
132 Xxxxxxx X. e Saracini P., op. cit., 2004, p. 43.
Per le medesime ragioni, si rileva che in caso di mancato rispetto dell’obbligo del manteni- mento del 60% dei lavoratori assunti nei 18 mesi precedenti con contratto di inserimento, non possa comminarsi la sanzione della trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato, visto come tale sanzione sia stata prevista in modo specifico solo per il difetto di forma di cui all’art. 56 del D.Lgs. n. 276/2003, ma, come osservato in dottrina, nulla esclude che in questo caso possa configurarsi un’ipotesi di “conversione in un contratto a tempo determinato, cosa che dovrebbe comportare sia il pagamento della contribuzione integrale che la retribuzione per il livello di attività svolto e non per quello riferito ai due livelli inferiori”133.
1.11 Regime transitorio dei Cfl
Ferma la scelta legislativa di eliminare il ricorso al contratto di formazione e lavoro, si è provveduto a disciplinarne il regime transitorio che riducesse quanto più possibile i problemi organizzativi e gestionali che una simile scelta avrebbe potuto comportare.
Le parti sociali, infatti, hanno provveduto alla stipula dell’Accordo Interconfederale del 13.11.2003 con riferimento ai contratti, appartenenti a questa tipologia, stipulati sulla base di progetti approvati o presentati agli organismi, amministrativi o collettivi, competenti, precedentemente alla data di entrata in vigore del Decreto (24.9.2003).
Di fondamentale importanza ai fini della comprensione delle ragioni del regime transitorio appaiono le premesse contenute in tale Accordo, laddove è stato precisato che “l’alto numero di progetti di formazione e lavoro presentati agli organismi preposti alla loro approvazione prima della data di entrata in vigore del decreto n. 276/2003”, nonché la circostanza che, da una parte, la previgente disciplina prevedeva “un non breve arco temporale, successivo all’approvazione, nel corso del quale è possibile effettuare le assunzioni progettate”, e, dall’altra, che tale breve arco temporale fosse “funzionale allo svolgimento delle necessarie operazioni di ricerca e selezione del personale da assumere”, avevano complessivamente contribuito a determinare una condizione fattuale per cui la mancata attuazione di tali attività propedeutiche avrebbe potuto finire per incidere “in termini negativi sulla scelta aziendale di procedere alle assunzioni”, compromettendo, più in generale, l’autonoma gestione organizzativa della forza lavoro nelle singole aziende.
In questo Accordo, proprio sulla base di siffatte premesse, è stato così concordato che:
1) i Cfl “stipulati, anche successivamente al 23 ottobre 2003, in base a progetti approvati entro tale data, esplicano integralmente i loro effetti fino alla scadenza per ciascuno di essi prevista, conformemente alla disciplina previgente in materia di contratti di formazione e lavoro”;
2) “i progetti per contratti di formazione e lavoro il cui deposito risulti avvenuto entro il 23 ottobre 2003 possono proseguire il loro iter di valutazione secondo le modalità precedentemente in vigore per i diversi comparti produttivi e, se approvati, saranno attivatati esplicando integralmente i loro effetti fino alla scadenza per ciascuno di essi prevista, conformemente alla disciplina previgente in materia”;
3) “le assunzioni saranno effettuate nell’arco di tempo previsto dalle delibere regionali o dalle intese interconfederali o settoriali che disciplinano la materia”.
Tuttavia, con l’art. 14 del cd. decreto correttivo, il D.Lgs. n. 251/2004, è stato aggiunto al
133 Massi E., op. cit., 2004, p. 2504.
D.Lgs. n. 276/2003, l’art. 59 bis (“Disciplina transitoria dei contratti di formazione lavoro”), in cui è stato confermato che le aziende avrebbero potuto procedere ad assunzioni con Cfl se i relativi contratti fossero stati stipulati nel periodo compreso tra il 24.10.2003 ed il 31.10.2004, sulla base dei progetti specificamente autorizzati entro la data del 23.10.2003134.
Come visto, nell’Accordo Interconfederale del novembre 2003 era stato invece concordato che avrebbero potuto essere stipulati Cfl anche sulla base di progetti semplicemente presentati entro il 23 ottobre 2003 e solo successivamente approvati.
Inoltre, sempre secondo l’art. 59 bis del Decreto è stato stabilito che le nuove assunzioni con questo contratto dovranno essere condizionate al rispetto dei limiti numerici e, soprattutto, temporali che esplicitamente contenuti nei progetti per cui sarà intervenuta l’apposita autorizzazione. Xxxxxxx, ancora, aggiungere come con l’introduzione dell’art. 59 bis sia stato individuato un tetto ai Cfl, stipulati durante il regime transitorio, per cui potranno essere riconosciuti gli incentivi in precedenza, invece, diffusamente erogati: è stato, infatti, stabilito che i correlati benefici economici verranno riconosciuti, “nel limite massimo complessivo di 16.000 lavoratori”, ai soli datori di lavoro che, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del cd. decreto correttivo per i contratti già avviati o entro 30 giorni dalla stipula del contratto per tutte le altre fattispecie (in questo secondo caso, pertanto, la sottoscrizione del contratto dovrà avvenire entro il 31 ottobre 2004, mentre la presentazione della domanda all’Inps per il riconoscimento delle agevolazioni contributive dovrà essere inoltrata entro il 30 novembre 2004), abbiano effettivamente inoltrato specifica richiesta all’Inps, indicando il numero dei contratti di formazione e lavoro stipulati ed allegando copia delle previste autorizzazioni relative ai pertinenti progetti formativi. La fruibilità dei benefici cessa, così, di essere automatica e viene non solo configurata, ma anche condizionata alla sussistenza di requisiti di forma, nonché alla verifica degli oneri di presentazione appena indicati135.
Infatti, fermo il citato limite quantitativo, è stato altresì stabilito che l’Inps dovrà, entro il 15.10.2004, valutare ed assentire le richieste di incentivazione adottando il criterio cronologico della loro presentazione, dando comunque la priorità ai Cfl che saranno stati stipulati nell’ambito dei contratti d’area e di patti territoriali.
134 Si veda a tal proposito il Messaggio Inps n. 31319 del 6 ottobre 2004.
135 Peraltro, sempre nel messaggio richiamato nella nota precedente, l’Inps ha stabilito che “per quanto riguarda gli aspetti connessi all’assolvimento della contribuzione concernente i lavoratori rientranti nella disciplina transitoria, si fa presente che, stante l’impianto legislativo, non sarà possibile per i datori di lavoro operare alcuna forma di riduzione contributiva fino a quando non sarà intervenuta la prevista autorizzazione dell’Istituto. La contribuzione riferita ai suddetti lavoratori va quindi assolta in misura intera. Le modalità operative per il recupero dei maggiori contributi versati dai datori di lavoro verranno illustrate successivamente”.
2. IL CONTRATTO DI INSERIMENTO NELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA DEL 2003/2004*
2.1 Ambito dell’indagine
La presente indagine avrà ad oggetto le modalità di recepimento dell’istituto del contratto di inserimento da parte della contrattazione collettiva.
Come noto il contratto di inserimento, disciplinato dagli artt. 54-59 del D.Lgs. n. 276/2003, ha sostituito, nel settore privato, il contratto di formazione e lavoro.
Il legislatore, pur non operando una netta cesura rispetto al passato, è intervenuto con il principale intento, che si percepisce già dal nomen iuris, di definire l’istituto in modo tale da renderlo realmente complementare all’apprendistato, e non, come era stato fino ad oggi nell’esperienza pratica, fungibile rispetto ad esso.
Da un lato, quindi, il classico contratto a causa mista, volto all’apprendimento di un mestiere o professionalità, dall’altro un istituto (più moderatamente) finalizzato all’inserimento di partico- lari soggetti nel contesto organizzativo aziendale, auspicabilmente in vista della stabilizzazione del rapporto.
Rispetto a tale funzione centrale dell’istituto, quella formativa rimane una finalità meramente eventuale. La novità più importante, infatti, è costituita dal venir meno dell’obbligo di formazione teorica (art. 55, co. 4), alla quale si accompagna l’introduzione, in luogo del progetto formativo, di un “progetto individuale di inserimento”.
Coerentemente, poi, il termine massimo del contratto viene portato da 24 a 18 mesi, mentre viene introdotto un termine minimo, prima non contemplato, di 9136.
Sia pure nell’ambito di una sostanziale linea di continuità, alcune novità, orientate a favorire la parte datoriale e quindi a rendere più appetibile il ricorso all’istituto, si registrano anche sul versante della disciplina degli incentivi economici e normativi (v. la generalizzazione della regola del non computo dei lavoratori in inserimento), e delle disposizioni volte a favorire la stabiliz- zazione del rapporto (art. 54, co. 3, il quale ha introdotto una “franchigia” di 4 lavoratori in inse- rimento non mantenuti in servizio alla scadenza del termine, esclusi dal computo del limite del 60%, il rispetto della quale è la condizione per procedere a nuove assunzioni con tale contrat- to137).
* A cura di Riccardo Del Punta, Università di Firenze – Facoltà di giurisprudenza, Dipartimento di diritto privato e processuale.
136 Ciò a fronte di termini assai più estesi per quanto riguarda il contratto di apprendistato (massimo 3 anni per l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione; da 2 a 6 anni per apprendistato professionalizzante; circa l’apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione, la durata sarà invece determinata dalle singole regioni).
137 Si noti che tale disposizione è in grado di vanificare, almeno nelle realtà di piccole e medie dimensioni, l’efficacia della regola di cui all’art. 54, co. 3, liberalizzando sostanzialmente il ricorso all’assunzione in inserimento, e potendo favorire l’utilizzo distorto della figura contrattuale. Vedremo in seguito in che modo la contrattazione di categoria ha inteso intervenire su questa delicata materia.
Tracciate queste prime considerazioni d’insieme, quel che emerge dal dato normativo è però una figura contrattuale sfocata, dai contorni ampi, la cui modulazione in concreto è riservata, conformemente al trend che caratterizza l’intero decreto ma che qui appare particolarmente marcato, alla fonte collettiva.
È infatti il contratto collettivo, di ogni livello, che è chiamato a determinare “anche all’interno degli Enti bilaterali, le modalità di definizione dei piani individuali di inserimento con particolare riferimento alla realizzazione del progetto, anche attraverso il ricorso ai fondi interprofessionali per la formazione continua, in funzione dell’adeguamento delle capacità professionali del lavoratore, nonché le modalità di definizione e sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento diretti ad agevolare” l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore stesso al contesto lavorativo (art. 55, co. 2).
Alla fonte collettiva è quindi riservata la concreta determinazione dell’oggetto stesso del contratto, o meglio, dei suoi elementi essenziali, nel quadro di una delega legale sostanzialmente “in bianco”, essendo, la fonte delegata, chiamata a delineare le modalità di definizione del progetto di inserimento (e quindi, in concreto, anche a caratterizzare l’istituto in termini di continuità o discontinuità rispetto al passato).
Alla contrattazione collettiva, sempre di ogni livello, è poi demandata la possibilità di stabilire eventuali percentuali massime dei lavoratori assunti con contratto di inserimento (art. 58, co. 2), nonché di derogare alla regola dell’esclusione dal computo dei limiti numerici previsti dalla legge o dai contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti (art. 59, co. 2).
È però dall’art. 58, co. 1, in modo particolare, che può ricavarsi una competenza generalizzata della fonte contrattuale, legittimata a disciplinare il rapporto di lavoro in inserimento in ogni dettaglio, nel quadro delle generali previsioni normative, e, quindi, in ultima analisi, a dare forma compiuta all’istituto.
L’analisi che segue, che avrà come oggetto i primi sviluppi della contrattazione di categoria, si incentrerà dunque, in prevalenza, sulla verifica delle modalità con le quali si è inteso definire il percorso di inserimento.
Vedremo poi se e in che misura le parti sociali hanno posto limiti all’utilizzabilità dell’istituto, ed eventualmente quali tipi di limiti: percentuali, con riferimento alle clausole di contingentamento, o di carattere oggettivo, legati alle professionalità cui l’inserimento è preordinato. Inoltre, saranno oggetto di esame gli interventi di regolamentazione dell’incentivo alla stabilizzazione del rapporto di cui all’art. 54, co. 3.
Successivamente, verranno esaminati gli interventi relativi agli istituti incentivanti, con par- ticolare riferimento al sottoinquadramento ed alle eventuali deroghe alla regola del non computo. Verrà infine verificato in che modo si è inteso disciplinare il rapporto di lavoro rispetto all’orario, al trattamento in caso di malattia e infortunio, all’eventuale apposizione di termini alla durata del contratto diversi rispetto a quelli legali, all’anzianità di servizio in caso di stabilizzazione del rapporto ecc.
Particolare attenzione sarà posta sulle discipline differenziate per il caso di reinserimento e sui meccanismi di informazione e verifica, introdotti al fine di permettere un controllo sindacale sull’utilizzo della figura contrattuale e sull’effettiva attuazione dei progetti di inserimento.
L’analisi partirà dall’Accordo Interconfederale dell’11 febbraio 2004 che, stipulato ai sensi dell’art. 86, co. 13, ha dettato una disciplina transitoria dell’istituto, sbloccandone l’operatività138.
138 Si ricorda infatti che l’intervento della contrattazione collettiva costituiva conditio sine qua non ai fini dell’entrata a regime del contratto di inserimento. Era previsto, peraltro, un meccanismo di regolamentazione
2.2 L’Accordo Interconfederale dell’11 febbraio 2004
L’Accordo Interconfederale dell’11 febbraio 2004, facendo seguito all’intervento in materia di Contratto di formazione e lavoro, del 13 novembre 2003, ha chiuso il cerchio della disciplina della fase transitoria tra le due forme contrattuali.
Esso riveste particolare importanza ai fini della presente analisi per il fatto che, oltre a trovare tuttora attuazione in numerosi comparti, ha costituito il modello di riferimento della contratta- zione successiva, la quale, ove non ha inteso rinviare ad esso, integralmente139 o parzialmente (molti contratti riservano all’accordo un’efficacia suppletiva), ha spesso riprodotto nella sostanza le disposizioni ivi contenute.
Passiamo quindi ad esaminarne il contenuto.
In primo luogo, le parti hanno individuato un contenuto necessario del contratto di inserimento, che dovrà indicare la durata, l’orario di lavoro “determinato sulla base del contratto collettivo applicato, in funzione che si tratti di contratto a tempo pieno o parziale”, la categoria di inquadramento, l’eventuale periodo di prova140 “così come previsto dal contratto collettivo applicato per la categoria…e il livello di inquadramento attribuiti al lavoratore”, oltre che il trattamento in caso di malattia e infortunio non sul lavoro “disciplinato secondo quanto previsto in materia dagli accordi per la disciplina del contratto di formazione e lavoro o, in difetto, dagli accordi collettivi applicati in azienda, riproporzionato in base alla durata del rapporto…e comunque non inferiore a settanta giorni”.
Circa il progetto individuale di inserimento, esso dovrà indicare “la qualificazione al conseguimento della quale è preordinato” e “la durata e le modalità della formazione”. Quest’ultima dovrà essere “non inferiore a 16 ore, ripartita fra l’apprendimento di nozioni di prevenzione antinfortunistica [da impartirsi nella fase iniziale del rapporto] e di disciplina del rapporto di lavoro ed organizzazione aziendale ed accompagnata da congrue fasi di addestramento specifico, impartite anche con modalità di e-learning, in funzione di adeguamento delle capacità professionali del lavoratore”.
Le parti si sono poi riservate di verificare, nell’ambito dei Fondi interprofessionali per la formazione continua (quelli istituiti ai sensi dell’art. 118 L. 388/2000), la possibilità di sostenere anche progetti formativi per i contratti di reinserimento, riprendendo così, in termini meramente programmatici, quanto già previsto dall’art. 55, co. 2 per il contratto di inserimento in generale.
L’accordo si limita quindi a fornire una traccia per la definizione del progetto di inserimento (e non poteva essere altrimenti, dato il carattere transitorio e intersettoriale dell’intervento), e reintroduce, sia pure in termini molto blandi, l’obbligo formativo.
Ad attenuare notevolmente la portata “restauratrice” della previsione, oltre che la scarsità delle ore di formazione previste, sta peraltro il fatto che l’obbligo di formazione antinfortunistica si ricava già, in generale, dal D.Lgs. 626/1994 e, con specifico riferimento al contratto di inserimento (in forza del generale rinvio operato dall’art. 58, co. 1) dall’art. 7, co. 1, D.Lgs.
da parte del Ministero del lavoro, tramite decreto (art. 55, co. 3), nel caso in cui, entro 9 mesi dell’entrata in vigore della legge, non fosse intervenuta la contrattazione (in questo caso di primo livello) a dettare le modalità di definizione del progetto individuale di inserimento; prerogativa che il Ministero ha rinunciato ad esercitare, avendo, con circolare 31/2004, espressamente richiamato l’Accordo Interconfederale per quanto riguarda la disciplina transitoria.
139 Ccnl Bancari, quadri, direttivi e aree professionali (Abi), 12 febbraio 2005 e Ccnl Cooperative sociali, 26 maggio 2004.
140 Si ricorda che l’apposizione del patto di prova, ritenuta legittima, nel silenzio della legge, con riferimento al Cfl, è ora implicitamente consentita dall’art. 54, co. 3.
368/2001, in materia di contratto a termine, così che la disposizione appare, almeno in parte, meramente esecutiva di uno specifico obbligo imposto dalla legge.
Passando alla disciplina del rapporto, l’accordo, al punto 8), si preoccupa di porre una regola di parità di trattamento, ponendo il divieto di esclusione del lavoratore in inserimento “dall’utilizzazione dei servizi aziendali…ovvero dal godimento delle relative indennità sostitu- tive…nonché di tutte le maggiorazioni connesse alle specifiche caratteristiche dell’effettiva prestazione lavorativa previste dal contratto collettivo applicato (lavoro a turni, notturno, festivo, ecc.)”. Si noti che, anche in questo caso, la prescrizione appare meramente confermativa di quanto disposto dall’art. 6 del D.Lgs. 368/2001, che pone il principio di non discriminazione dei lavoratori a termine rispetto ai lavoratori con contratto a tempo indeterminato.
Al punto 9), viene reintrodotta la regola della computazione del periodo di inserimento, ai fini dell’anzianità di servizio, nel caso di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato; regola già prevista con riferimento al Cfl (art. 3, co. 6, L. 863/1984), ma che non aveva trovato riscontro nella disciplina normativa del nuovo istituto. È però prevista un’eccezione assai rilevante, tale da porre seri dubbi sulla reale portata della clausola contrattuale: l’esclusione della computabilità del suddetto periodo ai fini degli istituti di carattere economico o che prevedano progressioni automatiche di carriera in funzione del mero trascorrere del tempo.
Accanto a queste previsioni di carattere immediatamente precettivo, le parti hanno inteso dare “suggerimenti” alle fonti collettive di livello inferiore, come nel caso in cui l’accordo si riferisce a possibili durate del contratto “inferiori alla massima indicata”, da stabilirsi da parte della contrattazione collettiva con riferimento al “reinserimento di soggetti con professionalità compatibili con il nuovo contesto organizzativo”.
Vedremo come la distinzione tra inserimento e reinserimento, che trova la sua fonte nell’art. 54, co. 1, sarà fatta propria dalla contrattazione sia con riferimento alla durata del rapporto che rispetto alla regola del sottoinquadramento.
Da segnalare infine che l’accordo, al punto 2), con una precisazione opportuna che sarà ripresa dalla quasi totalità degli accordi di categoria141, definisce “disoccupati di lunga durata” ai sensi dell’art. 54, co. 1, lett. b), “in base all’art. 1, co. 1, del Decreto Legislativo n. 181/2000 coloro che, dopo aver perso un posto di lavoro o cessato un’attività di lavoro autonomo, sono in cerca di nuova occupazione da più di 12 mesi”.
2.3 Le modalità di definizione dei progetti individuali di inserimento
Gli accordi di categoria, intervenuti nella disciplina dell’inserimento a partire dalla tornata contrattuale del 2004, hanno inteso in termini molto restrittivi il proprio ruolo regolatore con riferimento alla definizione del progetto di inserimento individuale. In molti settori, infatti, le
141 Ccnl Giocattoli (Confindustria) 24 maggio 2004; Ccnl Fotoincisione tessile, 28 giugno 2004; Ccnl Legno e arredamento (Confindustria), 21 luglio 2004; Ccnl Legno e arredamento (Confapi), 22 settembre 2004; Ccnl Pelli e cuoio (Confindustria), 21 maggio 2004; Ccnl Occhiali (Confindustria), 27 maggio 2004; Ccnl Istituzioni socio-assistenziali (Uneba), 27 maggio 2004; Ccnl Calzature (Confindustria), 18 maggio 2004; Ccnl Penne, matite e spazzole, 8 giugno 2004; Ccnl Commercio (Cooperative di consumo), 2 luglio 2004; Ccnl Agricoltura (impiegati e quadri), 27 maggio 2004; Ccnl Ombrelli-Ombrelloni, 2 luglio 2004; Ccnl Commercio (Confcommercio), 2 luglio 2004; Ccnl Attività industriali della filiera ittica e dei retifici, 15 giugno 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Uniontessile), 4 maggio 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Confindustria), 24 aprile 2004; Ccnl Grafici (Confindustria), 24 febbraio 2004. Il Ccnl Piccola e media industria alimentare (Confapi), 6 maggio 2004, è l’unico nel quale le parti, forse con un eccesso di scrupolo, si impegnano a chiedere chiarimenti al Ministero circa la portata della definizione.
parti si sono sostanzialmente limitate a riprendere il contenuto dell’Accordo Interconfederale142, mentre in altri, sempre nel quadro di quanto da esso previsto, si è inteso unicamente dare maggiore concretezza alle previsioni in materia di formazione, senza nulla aggiungere circa le “modalità di definizione del progetto di inserimento”.
È il caso di quei contratti che, sfruttando la previsione di cui all’art. 55, co. 2, hanno affidato agli Enti bilaterali la definizione dei programmi di formazione143.
In molti casi si è poi genericamente previsto che la formazione possa essere interna o esterna. Solamente nel settore edile, invece, data forse le peculiarità del lavoro e dei relativi rischi, è previsto che essa dovrà essere impartita dalle Scuole Edili, nell’ambito di programmi definiti da Formedil144, o comunque resa da “enti di formazione operanti sul territorio”145.
Da notare, inoltre, che solamente due contratti di categoria, e con esclusivo riferimento all’ambito delle piccole e medie imprese, hanno previsto il ricorso ai Fondi interprofessionali per la formazione continua di cui all’art. 118 L. 388/2000, e specificamente al “Fondo formazione Pmi”, così che può dirsi sostanzialmente ignorato il tentativo di agganciare l’attuazione dei progetti di inserimento, ed il loro finanziamento, nell’ambito degli istituti della formazione continua (cosa che, lo ricordiamo, è resa possibile dall’art. 55, co. 2 e ha trovato conferma nelle previsioni dell’Accordo Interconfederale dell’11 febbraio 2004)146.
In alcune ipotesi, poi, gli accordi di categoria hanno regolato i progetti di inserimento in termini ancor più blandi e generici di quanto previsto dall’Accordo Interconfederale: è il caso del Ccnl nel settore della Nettezza urbana (Aziende private), del 23 novembre 2004, che si limita ha porre un obbligo di formazione teorica di 16 ore, senza specificarne il contenuto, e dei Ccnl nel settore del Legno e arredamento (Confapi, 22 settembre 2004 e Confindustria, 21 luglio 2004), che prevedono unicamente l’obbligo formativo, sempre di 16 ore, in materia antinfortunistica.
L’unico caso in cui la formazione è meramente eventuale è invece quello del Ccnl nel settore Tessile, abbigliamento, moda (Uniontessile), del 4 maggio 2004.
Non mancano però i casi (rari per la verità) in cui le parti hanno inteso porre un obbligo formativo più pesante rispetto a quello di cui all’Accordo Interconfederale, forse anche in ragione della maggiore complessità dell’attività lavorativa che caratterizza i relativi settori147.
In generale, se si esclude l’aspetto della formazione teorica, sono pochi i contratti di categoria
142 Ccnl Cooperative sociali, 26 maggio 2004; Ccnl Istituzioni socio assistenziali (Anaste), 25 maggio 2004; Ccnl Istituzioni socio assistenziali (Uneba), 27 maggio 2004; Ccnl Bancari, quadri, direttivi e aree professionali (Abi), 12 febbraio 2005; Ccnl Agricoltura (impiegati e quadri), 27 maggio 2004; Ccnl Farmacie municipalizzate, 12 marzo 2004; Ccnl Gomma e plastica (Confindustria), 2 giugno 2004; Ccnl Piccola e media industria alimentare (Confapi), 6 maggio 2004.
143 Giocattoli (Confindustria), 24 maggio 2004; Ccnl Fotoincisione tessile, 28 giugno 2004; Ccnl Pelli e cuoio (Confindustria), 21 maggio 2004; Ccnl Occhiali (Confindustria), 27 maggio 2004; Ccnl Calzature (Confindustria), 18 maggio 2004; Ccnl Penne, matite, spazzole, 8 giugno 2004; Ccnl Ombrelli-Ombrelloni, 2 luglio 2004; Ccnl Attività industriali della filiera ittica e dei retifici, 15 giugno 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Confindustria), 24 aprile 2004; Ccnl Grafici (Confindustria), 24 febbraio 2004. Il Ccnl Commercio (Confcommercio), 2 luglio 2004, prevede che il programma di inserimento venga definito “dagli enti accreditati competenti”.
144 Ccnl Edili (Cooperative), 24 maggio 2004; Edili (Confindustria), 20 maggio 2004.
145 Ccnl Edili (Artigianato), 1° ottobre 2004.
146 Ccnl Piccola e media industria alimentare (Confapi), 6 maggio 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Uniontessile), 4 maggio 2004.
147 Ccnl Chimici (Confindustria), 28 maggio 2004, che pone un obbligo di formazione teorica di 32 ore; Ccnl Energia e Petrolio, 1° aprile 2004, che porta la formazione a 40 ore per i contratti di durata fino a 12 mesi, e 60 per gli altri. Il Ccnl Commercio (Confcommercio), 2 luglio 2004, stabilisce un tetto minimo di 24 ore, salvo il caso di reinserimento, per il quale l’obbligo scende a 16 ore.
che hanno disciplinato le modalità di definizione dei progetti di inserimento, limitandosi, peraltro, a prevedere l’affiancamento al lavoratore di un tutor.
Si tratta dei Ccnl settori Commercio (Cooperative di consumo), 2 luglio 2004 (per il quale l’affiancamento di un tutor è peraltro previsto come eventuale, nei casi di “qualifiche di partico- lare contenuto professionale o specialistico”), Consorzi di Bonifica, 2 luglio 2004 (in cui è previ- sto che il tutor “sia inquadrato in categoria non inferiore a quella di sbocco del lavoratore”), e Energia e petrolio, 1° aprile 2004 (il quale prevede che il tutor dovrà essere indicato nel progetto di inserimento, dotato “di formazione e di competenze adeguate” e seguirà il lavoratore per l’intera durata del rapporto).
Sostanzialmente, quindi, la contrattazione di categoria, sul solco dell’esperienza dell’Accordo Interconfederale, si è limitata a fornire una traccia, delegando ai livelli inferiori il compito di regolamentare il progetto di inserimento nell’ambito degli ampi confini da essa tracciati.
Questa scelta, che appare coerente con l’esigenza di conformare il percorso di inserimento al contesto aziendale e locale, ha trovato infatti riscontro nella contrattazione decentrata, che è generalmente intervenuta in termini più specifici.
Quasi tutti i contratti di secondo livello esaminati hanno infatti introdotto l’obbligo di affiancare un tutor al lavoratore148 e previsto obblighi di formazione generalmente assai più incisivi di quelli ora esaminati, conformati alle competenze da acquisire ed al contesto di inserimento149.
Infine, prima di concludere la disamina delle questioni attinenti alla disciplina del percorso di inserimento, è il caso di fare riferimento alla previsione, contenuta nell’art. 55, co. 2, che affida alla contrattazione di ogni livello il compito di definire “le modalità di definizione e sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento diretti ad agevolare” l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore stesso al contesto lavorativo, al solo fine di sottolineare il suo carattere oscuro, ed il fatto che è stata sostanzialmente ignorata dalla contrattazione collettiva di ogni livello150.
2.4 I limiti alla stipulazione
Il decreto, all’art. 54, co. 3, ha ripreso il limite, già previsto rispetto al Cfl, per il quale non si può procedere ad assunzioni di lavoratori in inserimento se non sono stati mantenuti in servizio almeno il 60% dei lavoratori il cui contratto di inserimento scaduto nei 18 mesi precedenti.
La regola ha l’evidente finalità di evitare che l’istituto diventi un mero strumento di flessibilità in mano al datore di lavoro, sganciato da ogni prospettiva, sia pure non vincolante, di
148 Ccpl Commercio (Confcommercio, Confesercenti), Provincia di Palermo, 7 ottobre 2004; Cia Gruppo Torinese Trasporti SpA, 22 aprile 2004; Cia Calearo Antenne Srl; Cia Enel, 25 maggio 2004.
149 Cia Ilva SpA, 12 novembre 2003, che prevede 80 ore di formazione nel caso di contratto di 18 mesi (e riproporzionate per quelli di durata inferiore), di cui 16 di contenuto eguale a quello previsto dall’Accordo Interconfederale, le restanti riservate alla formazione specifica per ogni “famiglia professionale” (24 h) e alla formazione/addestramento personalizzati (40 h). Cia Enel, 25 maggio 2004, che ha portato la formazione a 90 ore. Il Cia Gruppo Torinese Trasporti SpA, 22 aprile 2004, prevede 130 ore di formazione, da impartirsi nei primi 20 giorni di lavoro. Il Ccpl Commercio (Confcommercio, Confesercenti), Provincia di Palermo, 7 ottobre 2004, innalza l’obbligo di formazione teorica a 24 ore e, curiosamente, prevede periodi aggiuntivi di formazione teorica per il caso di reinserimento; inoltre affida all’Ente bilaterale provinciale, a richiesta, il compito di fornire gratuitamente la formazione.
150 L’unico contratto che se ne occupa è il Ccnl del settore Tessile, abbigliamento, moda (Uniontessile), del 4 maggio 2004, il quale demanda agli Enti bilaterali la possibilità di definire le suddette modalità.
stabilizzazione del rapporto. C’è però un’importante differenza rispetto al passato, in quanto il legislatore ha introdotto una franchigia, stabilendo che nella percentuale suddetta non debbano essere computati 4 rapporti scaduti e non rinnovati; previsione, questa, fortemente criticata, giacché in grado di vanificare la portata della regola, soprattutto con riferimento alle realtà di piccole e medie dimensioni.
D’altro canto il decreto introduce, all’art. 58, co. 2, la possibilità, prima non prevista, che i contratti collettivi introducano limiti percentuali di lavoratori assunti in inserimento rispetto al totale della forza lavoro.
In questo quadro, l’intervento della fonte collettiva assume rilievo decisivo per conformare il potere datoriale, in modo tale da evitare prassi distorte nell’utilizzo del contratto di inserimento (di questo erano consapevoli le parti sociali quando, con l’Accordo Interconfederale dell’11 febbraio 2004, hanno invitato la contrattazione collettiva a introdurre misure volte alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro in inserimento).
Dall’analisi della contrattazione di categoria intervenuta fino a questo momento risulta però che le prerogative di cui all’art. 55, co. 2, non sono state generalmente esercitate.
Sono solamente due, infatti, i contratti che sono intervenuti ponendo limiti percentuali: il Ccnl nel settore bancario, per quadri, direttivi e aree professionali (Abi), del 12 febbraio 2005, il quale pone il limite del 5% dei lavoratori in inserimento rispetto al totale della forza lavoro, e il Ccnl delle Istituzioni socio-assistenziali (Uneba), del 27 maggio 2004, che pone un limite del 30%, riferito però globalmente al personale in inserimento, a termine, con contratto di apprendistato, di formazione e lavoro e somministrato.
Altri contratti di categoria, anche se sempre in numero limitato, hanno invece preferito intervenire sulla regola di cui all’art. 54, co. 3, rendendola più incisiva.
È il caso del Ccnl del settore Commercio (Cooperative di consumo), del 2 luglio 2004, che ha innalzato la percentuale al 75% e eliminando la regola della franchigia dei 4 rapporti non rinnovati; del Ccnl del settore Farmacie municipalizzate, del 12 marzo 2004 (doppia soglia, del 70% dei c. di inserimento e dell’80% di quelli di reinserimento, eliminata la franchigia); del Ccnl settore Commercio (Confcommercio), del 2 luglio 2004 (immutata la percentuale, ma viene meno al franchigia)151.
Alcuni contratti intervengono in maniera poco chiara, elevando il limite percentuale, ma nulla dicendo circa la regola della franchigia, sì che risulta dubbio se le parti abbiano inteso eliminarla o meno (è il caso del Ccnl per le Aziende private di nettezza urbana, del 23 novembre 2004, che porta il limite al 65%; del Ccnl per il settore dell’Energia e petrolio, del 1° aprile 2004, che passa dal 60% ai 2/3; il Ccnl per le Istituzioni socio assistenziali iscritte all’Anaste, del 25 maggio 2004, si limita invece a ribadire la percentuale del 60%).
Infine il Ccnl per i Consorzi di bonifica, del 2 luglio 2004, innalza il limite al 70%, ma sancisce espressamente il mantenimento della “franchigia”.
Nella sostanza, quindi, solamente 1/3 dei contratti di categoria che hanno disciplinato la figura contrattuale hanno posto limiti alla stipulazione dei contratti di inserimento più incisivi di quelli legali. Si può comunque ritenere che la questione sarà oggetto di regolamentazione più stringente da parte della contrattazione decentrata, come risulta già da un esame, anche se solo
151 Si noti che questo contratto è l’unico che introduce un meccanismo di controllo, prevedendo un obbligo in capo al datore di lavoro, che voglia procedere ad assunzioni con contratto di inserimento, di darne comunicazione preventiva ad un apposita commissione istituita presso l’Ente bilaterale territoriale, al fine della verifica del rispetto del limite percentuale di conferma.
parziale, dei primi contratti aziendali intervenuti in materia152. Per concludere, si deve notare che nessun contratto si è preoccupato, come forse sarebbe stato opportuno fare, di prevedere una disciplina transitoria della regola di cui all’art. 54, co. 3, stabilendo che ai fini del calcolo della percentuale del 60% si dovesse tener conto anche dei lavoratori con contratto di formazione e lavoro.
Nell’ambito della presente disamina, occorre infine verificare come la contrattazione collettiva si è atteggiata rispetto a limiti previsti dalla normativa in tema di Cfl e venuti meno con riferimento all’inserimento.
Si tratta della previsione di cui alla legge n. 407/1990, art. 8, co. 5, che, in coerenza con lo scopo propriamente formativo del contratto, demandava ai contratti nazionali o agli accordi interconfederali la possibilità di escludere il ricorso al Cfl per le professionalità elementari e connotate da compiti generici o ripetitivi.
Nonostante il netto affievolimento della causa formativa nel contratto di inserimento, alcuni accordi di categoria hanno comunque escluso il ricorso all’istituto per le qualifiche inquadrate al livello più basso153. Nessuna contratto ha invece ripreso la disposizione, contenuta all’art. 3, co. 1, L. 862/1984, che escludeva il ricorso al Cfl per quei datori che avevano sospensioni di lavoro in atto o avevano proceduto a riduzioni di personale nei 12 mesi precedenti (salvo che l’assunzione non fosse diretta all’acquisizione di professionalità diverse da quelle interessate alla sospensione o riduzione).
2.5 La disciplina degli incentivi economici e normativi
Tralasciando ogni questione attinente agli incentivi di carattere contributivo, che non riguardano la contrattazione collettiva, i due strumenti con i quali il legislatore ha voluto favorire l’assunzione in inserimento sono quelli, già previsti con riferimento al Cfl, ma resi più favorevoli, del sottoinquadramento (per un massimo di due livelli rispetto a quello corrispondente alle mansioni svolte, art. 59, co. 1)154 e dell’esclusione dei lavoratori in inserimento “dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti per l’applicazione di particolari normative e istituti” (art. 59, co. 2)155.
Rispetto alla regola del sottoinquadramento, la stragrande maggioranza dei contratti di categoria è intervenuta con lo scopo di limitarla ad un solo livello per l’ipotesi del reinserimento156. A questo fine è generalmente inteso per reinserimento, conformemente a quanto
152 Cia Ilva SpA, 12 novembre 2003, che pone l’obiettivo, per la scadenza dello stesso accordo, che i lavoratori in inserimento non superino il 16% della forza lavoro. Ccpl Commercio (Confcommercio, Confesercenti), Provincia di Palermo, 7 ottobre 2004, che pone il limite, molto elevato, del 50%, rispetto, però, ai lavoratori a
t. indeterminato, prevedendo altresì che, nel caso in cui il datore non abbia alle sue dipendenze lavoratori a tempo indeterminato, il limite sia di 3 lavoratori in inserimento. Xxx Xxxx, 27 settembre 2004, per il quale i lav. in inserimento non possono superare il 10% della forza lavoro. Da notare infine che il con il Cia del Gruppo Torinese Trasporti SpA, del 22 aprile 2004, parte datoriale si è impegnata a mantenere in servizio almeno il 90% dei lavoratori assunti con contratto di inserimento.
153 Ccnl Commercio (Cooperative di consumo), 2 luglio 2004; Ccnl Nettezza urbana (Aziende private), del 23 novembre 2004; Consorzi di bonifica, 2 luglio 2004. Per la contrattazione territoriale si veda Ccpl Commercio (Confcommercio, Confesercenti), Provincia di Palermo.
154 Si ricorda che per il Cfl il sottoinquadramento non poteva essere superiore ad un livello (art. 16, co. 3, L. n. 451/1994).
155 Per il Cfl era invece previsto il computo ai fini dell’applicazione dell’art. 18 St. lav. (L. 108/1990).
156 Ccnl Giocattoli (Confindustria) 24 maggio 2004; Ccnl Fotoincisione tessile, 28 giugno 2004; Ccnl Pelli e cuoio (Confindustria), 21 maggio 2004; Ccnl Occhiali (Confindustria), 27 maggio 2004; Ccnl Edili
stabilito nell’Accordo Interconfederale, quello “di soggetti con professionalità compatibili con il nuovo contesto organizzativo”, non mancando però definizioni più stringenti157.
Solamente il Ccnl per il settore del Commercio (Cooperative di consumo), del 2 luglio 2004, prevede invece una sorta di “salario di ingresso”, per cui il sottoinquadramento passa da due a un livello trascorsa la metà del periodo di inserimento, anche se previsioni analoghe sono contenute in alcuni dei contratti di secondo livello, più idonei a dettare regolamentazioni così dettagliate158. Tre accordi di categoria si preoccupano poi di precisare (forse con eccesso di zelo, potendo essere dato per scontato) che il sottoinquadramento sarà di un livello in caso di svolgimento di
mansioni corrispondenti al penultimo159.
Generalmente, comunque, se si esclude il caso del reinserimento, non si rinvengono limiti rilevanti alla regola legale, con l’eccezione del Ccnl del settore chimico (Confindustria), del 28 maggio 2004, che esclude in generale il sottoinquadramento, per limitarlo poi ad un livello per i lavoratori del comparto “Lubrificanti/Gpl”, e del Ccnl per le Farmacie municipalizzate, del 12 marzo 2004, che lo esclude per gli “assistenti farmacisti”. Nella contrattazione decentrata si registra invece il Cia Avis, del 27 settembre 2004, che pone il limite generalizzato di un livello di declassamento.
Anche con riferimento alla regola del non computo dei lavoratori in inserimento l’intervento della contrattazione collettiva è stato, fino a questo momento, molto limitato.
Gli unici accordi che hanno posto deroghe ai sensi dell’art. 59, co. 2, sono infatti il Ccnl per la Piccola e media industria alimentare, del 6 maggio 2004, che ha stabilito il computo dei lavoratori in inserimento per quanto riguarda la determinazione del numero dei componenti le Rsu e ai fini della determinazione dell’ammontare dei permessi sindacali.
Solamente il Ccnl per il settore Edile (cooperative), del 24 maggio 2004, e il Cia Avis, del 27 settembre 2004, hanno invece reintrodotto la regola del computo ai fini della soglia numerica per l’applicazione dell’art. 18 St. lav. (prevista, lo ricordiamo, con riferimento ai Cfl a seguito della
L. 108/1990, e venuta meno rispetto all’inserimento).
(Confindustria), 20 maggio 2004; Ccnl Gomma e plastica (Confindustria), 2 giugno 2004; Ccnl Calzature (Confindustria), 18 maggio 2004; Xxxx Xxxxx, matite e spazzole, 8 giugno 2004; Ccnl Agricoltura (impiegati e quadri), 27 maggio 2004; Ccnl Ombrelli-Ombrelloni, 2 luglio 2004; Ccnl Edili (Artigianato), 1° ottobre 2004; Ccnl Commercio (Confcommercio), 2 luglio 2004; Ccnl Attività industriali della filiera ittica e dei retifici, 15 giugno 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Confindustria), 24 aprile 2004; Ccnl Grafici (Confindustria), 24 febbraio 2004; Ccnl Edili (cooperative), 24 maggio 2004. Per la contrattazione territoriale vedi Ccpl Commercio (Confcommercio, Confesercenti), Provincia di Palermo, 7 ottobre 2004.
157 Ccnl Gomma e plastica (Confindustria), 2 giugno 2004, per il quale la limitazione del sottoinquadramento opera per i lavoratore che abbiano svolto, per più di 12 mesi, la stessa mansione cui è preordinato l’inserimento, o mansioni analoghe in aziende dello stesso comparto. Xxxx Commercio (Confcommercio), 2 luglio 2004, nel quale sono considerati in reinserimento quei soggetti che, negli 18 mesi prima dell’assunzione, abbiano, per almeno 3 mesi, svolto le stesse mansioni, oppure seguito specifici corsi formativi di reinserimento presso Enti bilaterali, istituzioni pubbliche o centri di formazione accreditati.
158 Cia Enel, 25 maggio 2004, che prevede il passaggio di livello dopo 12 mesi. Cia Ilva SpA, 12 novembre 2003, che stabilisce, solamente in caso di “bassa scolarità” e con riferimento alle mansioni di 3° categoria, il passaggio dalla 1° alla seconda trascorsi 6 mesi dall’instaurazione del rapporto. Xxx Xxxxxxx Xxxxxxx Xxx, 27 gennaio 2004, che, con esclusivo riferimento ai lavoratori collocati al livello più basso, stabilisce il passaggio a quello superiore trascorsi 10 mesi.
159 Ccnl Legno e arredamento (Confindustria), 21 luglio 2004; Ccnl Legno e arredamento (Confapi), 22 settembre 2004; Ccnl Nettezza urbana (Aziende private), del 23 novembre 2004.
2.6 La disciplina del rapporto di lavoro
Come già rilevato, la contrattazione collettiva di ogni livello, anche in forza dell’espresso potere normativo conferitogli dall’art. 58, co. 1, è chiamata a dettare la disciplina del rapporto di lavoro in inserimento, derogando eventualmente alla normativa suppletiva in tema di contratto a termine.
Esamineremo quindi in che modo la parti hanno inteso regolare l’istituto, con particolare riferimento alla durata del contratto, all’orario di lavoro, al trattamento in caso di malattia, al patto di prova, all’anzianità di servizio in caso di stabilizzazione del rapporto, oltre che al godimento dei benefici contrattuali in genere, riconosciuti al personale a tempo indeterminato.
Circa la durata del rapporto, alcuni contratti hanno previsto una disciplina differenziata per l’ipotesi di reinserimento, limitandola in questo caso ad un massimo di 12 mesi160. Particolare attenzione merita poi il Ccnl per il settore del Commercio (Confcommercio), del 2 luglio 2004, il quale prevede che la durata del rapporto verrà ridotta rispetto ai 18 mesi massimi, per un periodo corrispondente a quello in cui il lavoratore reinserito, negli ultimi 18 mesi, ha svolto le stesse mansioni (anche se l’accordo prevede un durata minima, in ogni caso, di 12 mesi).
Al di là dell’ipotesi del reinserimento, sono invece pochi i contratti che prevedono limitazioni circa la durata del contratto.
Oltre al Ccnl per il settore del Commercio (Confcommercio), del 2 luglio 2004, solamente altri due accordi, i Ccnl per il settore Edile (Artigianato), del 1° ottobre 2004, e quello per il settore chimico (Confindustria), del 28 maggio 2004, stabiliscono che il contratto debba avere una durata minima di 12 mesi, in luogo dei 9 mesi posti dalla legge.
In due casi, invece, le parti sono intervenute in modo più dettagliato, predeterminando la durata del rapporto in funzione della qualifica cui l’inserimento è preordinato (Ccnl per la Piccola e media industria alimentare, del 6 maggio 2004161) o fissando, per ciascuna qualifica, la durata massima dello stesso (Ccnl dei Consorzi di bonifica, del 2 luglio 2004162).
Circa la contrattazione di secondo livello, si segnalano invece il Cia Enel, del 25 maggio 2004, che fissa la durata del rapporto, in ogni caso, a 18 mesi, e il Ccpl per il settore del Commercio (Confcommercio, Confesercenti), provincia di Palermo, del 7 ottobre 2004, il quale pone il termine massimo a 12 mesi per le qualifiche di 5° e 6° livello, prorogabile fino a 18 a patto che venga impartita una formazione teorica ulteriore di 16 ore163. Per quanto riguarda la disciplina dell’orario di lavoro, alcuni contratti, come già previsto dall’Accordo Interconfederale, effettuano un semplice rinvio alle previsioni del contratto collettivo164, mentre la maggior parte di
160 Ccnl Istituzioni socio assistenziali (Anaste), 25 maggio 2004; Ccnl Nettezza urbana (Aziende private), del 23 novembre 2004; Ccnl Istituzioni socio-assistenziali (Uneba), 27 maggio 2004; Ccnl Edili (Confindustria), 20 maggio 2004; Ccnl Gomma e plastica (Confindustria), 2 giugno 2004; Ccnl Edili (Artigianato), 1° ottobre 2004; Ccnl Grafici (Confindustria), 24 febbraio 2004; Ccnl Edili (cooperative), 24 maggio 2004.
161 Che prevede una durata di 9 mesi per il conseguimento delle qualifiche di livello 7° e 8°, di 16 mesi per le qualifiche del 6°, di 18 mesi per quelle di livello superiore.
162 Che pone una durata massima di 11 mesi per il conseguimento di qualifiche del 2° e 3° livello, di 14 per quelle di 4° e 5° livello, di 18 per quelli superiori.
163 Da notare che l’accordo citato si pone in contrasto con il Ccnl per il settore del Commercio (Confesercenti), per il quale il contratto non può avere una durata inferiore ai 12 mesi (regola espressamente posta come inderogabile da parte della contrattazione integrativa).
164 Ccnl Legno e arredamento (Confindustria), 21 luglio 2004; Ccnl Legno e arredamento (Confapi), 22 settembre 2004; Ccnl Istituzioni socio-assistenziali (Uneba), 27 maggio 2004; Ccnl Edili (Confindustria), 20 maggio 2004; Ccnl Agricoltura (impiegati e quadri), 27 maggio 2004; Ccnl Edili (Artigianato), 1° ottobre 2004; Ccnl Edili (cooperative), 24 maggio 2004.
essi non si esprime, così che si può dire che le regole contrattuali in tema di orario saranno applicabili anche ai lavoratori in inserimento.
Quasi tutti gli accordi, poi, sia di categoria che di secondo livello (e nello stesso senso era intervenuto l’Accordo Interconfederale), prevedono espressamente che il contratto possa svolger- si a tempo parziale165. In proposito, l’unico che pone una disciplina speciale è il Ccnl per il set- tore del Commercio (Confcommercio), del 2 luglio 2004, il quale stabilisce che l’orario di lavoro non potrà comunque essere di durata inferiore al 50% di quello previsto per il tempo pieno.
La contrattazione è intervenuta massicciamente per disciplinare il trattamento in caso di malattia del lavoratore in inserimento, sulla scorta della previsione contenuta nell’Accordo Interconfederale di cui si è dato conto nel par. 1.7).
Di tutti gli accordi, solamente il Ccnl per le Farmacie municipalizzate, del 12 marzo 2004, prevede però la proroga del rapporto per la durata corrispondente al periodo di astensione per malattia, mentre tutti gli altri si limitano a disciplinare il trattamento economico e il periodo di comporto.
Si pone, con riferimento a questa previsione, il problema se la proroga contrattualmente prevista possa comunque estendere la durata del contratto oltre il termine massimo stabilito dalla legge, di 18 mesi, o se quest’ultimo sia invece inderogabile. Si ricorda, infatti, che il legislatore, all’art. 57, co. 2, stabilisce la regola della proroga, anche oltre il limite legale, per i soli casi di astensione per lo svolgimento del servizio militare, civile e per maternità, così che potrebbero ritenersi illegittime deroghe ulteriori di fonte contrattuale.
Al di là di tale questione, tutti i contratti si preoccupano di stabilire che il trattamento economico riservato ai lavoratori in inserimento sarà lo stesso contrattualmente previsto per i lavoratori subordinati di pari livello.
Circa la durata del comporto, invece, alcuni contratti di categoria hanno operato un semplice rinvio a quanto previsto nell’Accordo Interconfederale166, mentre i più hanno dettato discipline differenziate. Un buon numero di accordi fissa il periodo di comporto, in ogni caso, a 70 giorni, il minimo stabilito nell’Accordo Interconfederale167; altri hanno invece previsto che la durata sia innalzata a 80 gg. nel caso di rapporti di durata superiore ai 15 mesi168.
165 Giocattoli (Confindustria) 24 maggio 2004; Ccnl Fotoincisione tessile, 28 giugno 2004; Ccnl Legno e arredamento (Confindustria), 21 luglio 2004; Ccnl Legno e arredamento (Confapi), 22 settembre 2004; Ccnl Istituzioni socio assistenziali (Anaste), 25 maggio 2004; Xxxx Xxxxx e cuoio (Confindustria), 21 maggio 2004; Ccnl Occhiali (Confindustria), 27 maggio 2004; Ccnl Istituzioni socio-assistenziali (Uneba), 27 maggio 2004; Ccnl Bancari, quadri, direttivi e aree professionali (Abi), 12 febbraio 2005; Ccnl Piccola e media industria alimentare (Confapi); Ccnl Edili (Confindustria), 20 maggio 2004; v Gomma e plastica (Confindustria), 2 giugno 2004; Ccnl Calzature (Confindustria), 18 maggio 2004; Ccnl Penne, matite e spazzole, 8 giugno 2004; Ccnl Ombrelli-Ombrelloni, 2 luglio 2004; Ccnl Chimici (Confindustria), 28 maggio 2004; Ccnl Edili (Artigianato), 1° ottobre 2004; Ccnl Attività industriali della filiera ittica e dei retifici, 15 giugno 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Uniontessile), 4 maggio 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Confindustria), 24 aprile 2004; Ccnl Grafici (Confindustria), 24 febbraio 2004; Ccnl Edili (cooperative), 24 maggio 2004; Cia Enel, 25 maggio 2004; Cia Gruppo Torinese Trasporti SpA, 22 aprile 2004; Cia Avis, 27 settembre 2004.
166 Ccnl Istituzioni socio-assistenziali (Uneba), 27 maggio 2004; Ccnl Bancari, quadri, direttivi e aree professionali (Abi), 12 febbraio 2005; v Agricoltura (impiegati e quadri), 27 maggio 2004; Ccnl Cooperative sociali, 26 maggio 2004.
167 Edili (Confindustria), 20 maggio 2004; Ccnl Gomma e plastica (Confindustria), 2 giugno 2004; Ccnl Edili (Artigianato), 1° ottobre 2004; Ccnl Edili (Cooperative), 24 maggio 2004; Ccnl Grafici (Confindustria), 24 febbraio 2004.
168 Giocattoli (Confindustria), 24 maggio 2004; Ccnl Fotoincisione tessile, 28 giugno 2004; Ccnl Pelli e cuoio (Confindustria), 21 maggio 2004; Ccnl Occhiali (Confindustria), 27 maggio 2004; Ccnl Calzature
I Ccnl per il settore del legno e arredamento (Confapi, del 22 settembre 2004, e Confindustria, del 21 luglio 2004) pongono il comporto in ogni caso a 80 giorni, anche per sommatoria.
Alcuni contratti intervengono in modo più specifico e con previsioni di miglior favore: è il caso del Ccnl per le aziende private di nettezza urbana, del 23 novembre 2004, che pone il comporto a 70 giorni per i contratti di 9 mesi, innalzandolo di 9 giorni per ogni mese di lavoro aggiuntivo, e del Ccnl per la Piccola e media industria alimentare, del 6 maggio 2004, per il quale il periodo di conservazione del posto è di 70 giorni per i contratti di 9 mesi, 80 per quelli fino a 16, 90 per quelli di durata superiore. È infine da segnalare il Ccnl per il settore tessile, abbigliamento, moda (Uniontessile), del 4 maggio 2004, per il quale il trattamento in caso di malattia può arrivare fino a 135 giorni169.
Solamente due contratti invece, non affrontano il problema del comporto, limitandosi ad effettuare un generico rinvio alla disciplina contrattuale prevista per i lavoratori subordinati170.
Circa la contrattazione di secondo livello, quando se ne è occupata, essa ha previsto periodi di comporto assai più favorevoli rispetto a quelli stabiliti dalla contrattazione nazionale171.
Pressoché inesistente è stato invece l’intervento della contrattazione rispetto alla disciplina dell’infortunio su lavoro. L’unico contratto che se ne occupa è il Cia Enel, del 25 maggio 2004, il quale stabilisce che il trattamento, pari a quello previsto per i lavoratori subordinati dello stesso livello, sarà erogato fino alla scadenza del termine contrattuale.
Tutti i contratti prevedono invece una disciplina del periodo di prova (istituto che, lo ricordiamo, trova ora espresso riconoscimento all’art. 54, co. 3).
Molti accordi di categoria riproducono la clausola contenuta nell’Accordo Interconfederale, prevedendo che il suddetto periodo abbia una durata pari a quella prevista contrattualmente per il livello di inquadramento attribuito al lavoratore172. Numerosi sono anche quelli che riferiscono la durata della prova a quella prevista per il livello di inquadramento cui l’inserimento è preordinato173.
(Confindustria), 18 maggio 2004; Xxxx Xxxxx, matite, spazzole, 8 giugno 2004; Ccnl Ombrelli-Ombrelloni, 2 luglio 2004; Ccnl Attività industriali della filiera ittica e dei retifici, 15 giugno 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Confindustria), 24 aprile 2004.
169 L’accordo, modellato sull’Accordo Interconfederale del 31 marzo 1995, in tema di Cfl, distingue tra l’ipotesi di “più malattie senza ricadute ovvero con ricaduta che si verifichi oltre i 30 giorni successivi alla fine della precedente” e quella di malattie con ricadute entro i 30 giorni. Nel primo caso, il comporto è di 70 gg. per i contratti sino a 14 mesi, innalzato progressivamente fino a giungere a 90 gg. per il contratto di 18 mesi; nel secondo il periodo di conservazione del posto è invece di 70 gg. per il caso di contratto di 9 mesi, innalzato progressivamente fino a 135 gg. per il contratto di 18 mesi.
170 Ccnl Istituti socio assistenziali (Anaste), 25 maggio 2004; Ccnl Commercio (Cooperative di consumo), 2 luglio 2004.
171 È il caso del Cia Enel, del 25 maggio 2004, 135 giorni di comporto, anche per sommatoria; e del Ccpl per il settore del Commercio (Confcommercio, Confesercenti), Provincia di Palermo, del 7 ottobre 2004, che prevede un comporto che va dai 90 gg., per i contratti di 9 mesi, fino ad arrivare a 180 gg. per quelli di 18.
172 Ccnl Giocattoli (Confindustria) 24 maggio 2004; Ccnl Fotoincisione tessile, 28 giugno 2004; Ccnl Istituzioni socio assistenziali (Anaste), 25 maggio 2004; Ccnl Istituzioni socio-assistenziali (Uneba), 27 maggio 2004; Ccnl Bancari, quadri, direttivi e aree professionali (Abi), 12 febbraio 2005; Ccnl Piccola e media industria alimentare (Confapi), 6 maggio 2004; Ccnl Edili (Confindustria), 20 maggio 2004; Ccnl Gomma e plastica (Confindustria), 2 giugno 2004; Ccnl Commercio (Cooperative di consumo), 2 luglio 2004; Ccnl Chimici (Confindustria), 28 maggio 2004; Ccnl Edili (Artigianato), 1° ottobre 2004; Ccnl Energia e petrolio, 1° aprile 2004; Ccnl Commercio (Confcommercio), 2 luglio 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Uniontessile), 4 maggio 2004; Ccnl Grafici (Confindustria), 24 febbraio 2004; Ccnl Edili (cooperative), 24 maggio 2004.
173 Ccnl Legno e arredamento (Confindustria), 21 luglio 2004; Ccnl Legno e arredamento (Confapi), 22 settembre 2004; Ccnl Pelli e cuoio (Confindustria), 21 maggio 2004; Ccnl Occhiali (Confindustria), 27 maggio 2004; Ccnl Calzature (Confindustria), 18 maggio 2004; Xxxx Xxxxx, matite e spazzole, 8 giugno
Solamente tre contratti di categoria si preoccupano di dettare una disciplina differenziata; è il caso del Ccnl Nettezza urbana (Aziende private), del 23 novembre 2004, per il quale la durata della prova è pari ad 1/6 della durata complessiva del contratto, del Ccnl Agricoltura (Impiegati e quadri), del 27 maggio 2004 (45 gg. per i contratti fino a 12 mesi, 2 mesi per gli altri) e del Farmacie municipalizzate, del 12 marzo 2004, (30 giorni).
Nell’ambito della contrattazione decentrata, si registrano i Xxx Xxxx, del 25 maggio 2004 (3 mesi), Ilva, del 12 novembre 2003, e Gruppo Torinese Trasporti, del 22 aprile 2004 (entrambi 2 mesi).
Un ulteriore aspetto della disciplina del rapporto preso in esame dalla contrattazione collettiva è quello relativo al godimento dei benefit e degli emolumenti comunque legati alle modalità della svolgimento della prestazione.
Molti contratti riprendono integralmente la previsione contenuta nell’Accordo Interconfede- rale (peraltro, come già rilevato, meramente confermativa del principio di non discriminazione di cui all’art. 6 del D.Lgs. 368/2001), ponendo il divieto di esclusione del lavoratore in inserimento “dall’utilizzazione dei servizi aziendali…ovvero dal godimento delle relative indennità sostitu- tive…nonché di tutte le maggiorazioni connesse alle specifiche caratteristiche dell’effettiva prestazione lavorativa previste dal contratto collettivo applicato (lavoro a turni, notturno, festivo, ecc.)”174.
Altri accordi di categoria, in aggiunta a tale previsione, si preoccupano di demandare alla contrattazione decentrata la determinazione di quali, tra i premi e altri emolumenti da essa previsti, siano compatibili con la figura contrattuale175. Si segnalano infine il Ccnl Chimica (Confindustria), del 28 maggio 2004, che esclude per i lavoratori in inserimento l’indennità di posizione organizzativa (ma, lo ricordiamo, è l’unico ad escludere il sottoinquadramento), e il Ccnl Energia e petrolio, del 1° aprile 2004, che prevede la possibilità per i lavoratori in inserimento di iscriversi al fondi di previdenza integrativa e al fondo integrativo sanitario.
Per concludere, si deve rilevare che la contrattazione collettiva è intervenuta massicciamente sulla questione del computo del periodo di inserimento ai fini dell’anzianità di servizio, nel caso di stabilizzazione del rapporto.
Ciò è però avvenuto, nella stragrande maggioranza dei casi, per riprendere la previsione contenuta nell’Accordo Interconfederale, che pone la regola del computo, escludendola però con riferimento a quegli istituti che ricollegano determinati benefici economici e progressioni di carriera al mero trascorrere del tempo 176 . Sono invece molto pochi gli accordi che hanno
2004; Xxxx Xxxxxxxx-Xxxxxxxxxx, 2 luglio 2004; Ccnl Consorzi di bonifica, 2 luglio 2004; Ccnl Attività industriali della filiera ittica e dei retifici, 15 giugno 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Confindustria), 24 aprile 2004.
174 Istituzioni socio assistenziali (Anaste), 25 maggio 2004; Ccnl Istituzioni socio-assistenziali (Uneba), 27 maggio 2004; Piccola e media industria alimentare (Confapi), 6 maggio 2004; Ccnl Gomma e plastica (Confindustria), 2 giugno 2004; Agricoltura (impiegati e quadri), 27 maggio 2004; Ccnl Commercio (Confcommercio), 2 luglio 2004; Attività industriali della filiera ittica e dei retifici, 15 giugno 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Uniontessile), 4 maggio 2004;
175 Ccnl Giocattoli (Confindustria) 24 maggio 2004; Ccnl Fotoincisione tessile, 28 giugno 2004; Ccnl Pelli e cuoio (Confindustria), 21 maggio 2004; Ccnl Occhiali (Confindustria), 27 maggio 2004; Ccnl Calzature (Confindustria), 18 maggio 2004; Ccnl Penne, matite e spazzole, 8 giugno 2004; v Ombrelli-Ombrelloni, 2 luglio 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Confindustria), 24 aprile 2004; Ccnl Grafici (Confindustria), 24 febbraio 2004.
176 Ccnl Giocattoli (Confindustria) 24 maggio 2004; Ccnl Fotoincisione tessile, 28 giugno 2004; Ccnl Legno e arredamento (Confapi), 22 settembre 2004; Ccnl Pelli e cuoio (Confindustria), 21 maggio 2004; Ccnl Occhiali (Confindustria), 27 maggio 2004; Ccnl Istituzioni socio-assistenziali (Uneba), 27 maggio 2004; Ccnl
reintrodotto la regola della piena computabilità (Ccnl Istituzioni socio assistenziali (Anaste), 25 maggio 2004; Ccnl Commercio (Cooperative di consumo), 2 luglio 2004; Ccnl Energia e petrolio, 1° aprile 2004. Per quanto riguarda il livello decentrato, Cia. Avis, 27 settembre 2004).
2.7 Informazione e controllo sindacale
Nella contrattazione di categoria sono pochi gli accordi che hanno sin qui previsto obblighi di informazione in capo al datore di lavoro, in favore delle Xx.Xx., circa l’andamento dei contratti di inserimento.
Il Ccnl Gomma e plastica (Confindustria), 2 giugno 2004, prevede un’informazione annuale, o, a richiesta, trimestrale, alle Rsu; il Ccnl Energia e petrolio, 1° aprile 2004, un’informazione annuale sempre alle Rsu.
È particolare il Ccnl Commercio (Confcommercio), 2 luglio 2004, che, oltre all’informazione annuale, prevede che il datore che voglia procedere ad assunzioni in inserimento, debba darne preventiva comunicazione ad apposita commissione istituita presso l’Ente bilaterale territoriale, al fine della verifica del rispetto del limite percentuale di rapporti trasformati a t. indeterminato negli ultimi 18 mesi (art, 54, co. 3).
Si segnala inoltre il Ccnl Commercio (Cooperative di consumo), 2 luglio 2004, che pone un obbligo di informazione e verifica periodica, con le Rsu, circa i risultati della formazione svolta.
Per incidens, pare comunque possibile ritenere che un obbligo generale di informazione circa l’andamento dei contratti di inserimento si ricavi già dall’art. 9 D.Lgs. 368/2001, in forza del richiamo contenuto all’art. 58, co. 1.
La contrattazione decentrata – limitatamente ai contratti che si è potuto esaminare – è intervenuta, in argomento, in termini più stringenti:
▪ il Ccpl Commercio (Confcommercio, Confesercenti), provincia di Palermo, 7 ottobre 2004, prevede che, entro 30 gg. dalla costituzione del rapporto, il datore sia tenuto a dare comu- nicazione all’osservatorio creato all’interno dell’Ente bilaterale territoriale, degli elementi essenziali del contratto e del progetto formativo. Entro 30 gg. dalla scadenza del termine, allo stesso osservatorio, deve essere data comunicazione circa lo svolgimento del rapporto, la sua trasformazione o meno a tempo indeterminato, e dei motivi dell’eventuale mancata trasfor- mazione;
▪ il Cia Ilva SpA, 12 novembre 2003, prevede che i progetti individuali di inserimento siano illustrati alla Rsu, e introduce incontri semestrali per verificare l’andamento dei piani d’inserimento, con eventuali interventi in caso di “criticità”;
▪ infine, il Cia del Gruppo Torinese Trasporti SpA, 22 aprile 2004, prevede un monitoraggio della formazione da parte dell’“Osservatorio sulla formazione”, oltre ad una periodica verifica della stessa con le Rsu.
Piccola e media industria alimentare (Confapi), 6 maggio 2004; Ccnl Edili (Confindustria), 20 maggio 2004; Ccnl Gomma e plastica (Confindustria), 2 giugno 2004; Ccnl Calzature (Confindustria), 18 maggio 2004; Ccnl Penne, matite e spazzole, 8 giugno 2004; Ccnl Agricoltura (impiegati e quadri), 27 maggio 2004; Ccnl Ombrelli-Ombrelloni, 2 luglio 2004; Ccnl Edili (Artigianato), 1° ottobre 2004; Ccnl Commercio (Confcommercio), 2 luglio 2004; Ccnl Attività industriali della filiera ittica e dei retifici, 15 giugno 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Uniontessile), 4 maggio 2004; Ccnl Tessile, abbigliamento, moda (Confindustria), 24 aprile 2004; Ccnl Grafici (Confindustria), 24 febbraio 2004; Ccnl Edili (cooperative), 24
maggio 2004.
3. Il contratto di inserimento: una lettura di genere*
Adottare una prospettiva di genere, nell’analisi dei fenomeni socio-politici in generale, ed in questo settore in particolare, significa adottare “una prospettiva differenziata a seconda del sesso, al fine di analizzare gli effetti delle politiche sulla situazione rispettivamente degli uomini e delle donne a cominciare dall’individuazione dei loro diversi bisogni”177.
Le differenze che esistono tra uomini e donne, infatti, sono di natura biologica e sociale. Adottando la variabile sesso ci si riferisce alle differenze determinate biologicamente e che hanno valenza statistica. Parlando di genere178, invece, ci si riferisce alle differenze sociali tra le donne e gli uomini che sono apprese, possono cambiare col tempo e presentano notevoli variazioni tra differenti culture e all’interno di una stessa cultura179. Entrambe le dimensioni sono significative nell’affrontare una tematica complessa come la riforma del mercato del lavoro180.
La chiave di lettura di questo processo è quella indicata dall’art. 1, co. 1, D.Lgs. n. 276 del 2003 secondo la quale l’intero provvedimento è “finalizzato ad aumentare, nel rispetto delle disposizioni relative alla libertà e dignità del lavoratore di cui alla legge 20 maggio 1970 n. 300…alla parità tra uomini e donne di cui alla legge 9 dicembre 1977 n. 903…e alle pari opportunità tra i sessi di cui alla legge 10 aprile 1991 n. 125… i tassi di occupazione e a promuovere la qualità e la stabilità del lavoro anche attraverso contratti a contenuto formativo e contratti a orario modulato compatibili con le esigenze delle aziende e le aspirazioni dei lavoratori”181.
* A cura di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx.
177 Commissione europea – DG V Occupazione e affari sociali, 100 parole per la parità, 2002.
178 Nel linguaggio comune, tuttavia, spesso il termine genere, ha progressivamente sostituito, quasi ne fosse un sinonimo, il sostantivo donne, in modo da alcuni autori ritenuto improprio (cfr. Xxxx X., Gender as a Postmodern Category of Paralysis, in “Women History Review”, 1994; Xxxxx X.X, Il “genere”: un’utile categoria di analisi storica, in “Rivista di storia contemporanea”, 1987, e Gender and Politics of History, 1988; Buttafuoco A., Dizionario di storiografia).
179 Commissione europea, Guida alla valutazione di impatto rispetto al sesso, 2002.
180 Rispetto alla significatività in relazione al genere: “Si dovrebbe tener presente che il genere costituisce una differenza strutturale che riguarda l’intera popolazione. Né le donne né gli uomini dovrebbero venir trattati alla stregua di un gruppo d’interesse specifico tra i diversi gruppi d’interesse. Al contrario, il genere influisce, spesso rafforzandole, sulle diversità e vulnerabilità legate ad altre differenze strutturali quali razza//appartenenza etnica, classe, età, disabilità, tendenza sessuale, ecc. Politiche che possono sembrare neutre rispetto al sesso ad un esame più attento possono risultare diverse nei loro effetti per le donne e gli uomini. Perché? Perché riscontriamo diversità sostanziali nelle vite delle donne e degli uomini nella maggior parte degli ambiti politici; diversità a motivo delle quali politiche apparentemente neutre si ripercuotono in modo diverso sulle donne e gli uomini e rafforzano le disparità esistenti. Le politiche rivolte a determinati gruppi di destinatari/gruppi di popolazione o che hanno dirette implicazioni per essi sono quindi, in maggiore o minore misura, significative in relazione al genere” (Commissione europea – Guida alla valutazione di impatto rispetto al sesso, cit.)
181 Per pari opportunità si intende “l’assenza di ostacoli alla partecipazione politica economica e sociale tra i due sessi” (Commissione europea, 100 parole per la parità, op. cit.) e quindi il raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne, conseguibile tramite misure finalizzate alla realizzazione di condizioni di eguale possibilità di riuscita o di pari occasioni favorevoli (Ministero pari opportunità Glossario, xx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx). Si definisce Gender mainstreaming invece l’inserimento della
3.1 L’inserimento, il reinserimento e le problematiche di genere
Il contratto di inserimento ha come obiettivo quello di garantire la collocazione o la ricollocazione nel mercato del lavoro di soggetti socialmente più deboli individuati, tassativamente, dal legislatore (art. 54, comma 1) 182 , tra cui rientra esplicitamente il target “donne” (per gli aspetti di dettaglio normativo si veda il paragrafo inerente l’analisi giuridica dell’istituto).
La Riforma del mercato del lavoro si inserisce, pertanto, in un contesto segnato dalla permanenza di un forte squilibrio di genere: 42,7% delle donne attive contro il 69,3% degli uomini. Il tasso di disoccupazione femminile è dell’11,6% ossia 4,8 punti percentuali in più rispetto alla componente maschile. Al decrescere del livello del titolo di studio si riduce il tasso di occupazione femminile e soprattutto aumenta la differenza rispetto ai valori medi della componente maschile. Le prestazioni femminili nel mercato del lavoro sono, quindi, più critiche di quelle dell’intera popolazione, sia osservando le fasce di età, sia a parità di titolo di studio ed in tutte le aree di residenza. Il modello di partecipazione delle donne al mercato del lavoro nel corso della vita è profondamente cambiato durante questi ultimi anni e ha portato a un superamento dei modelli tradizionali costruiti su base dell’età. Si è passati dalla classica configurazione a “L rovesciata” (che per le donne indicava un precoce ingresso nelle forze di lavoro e una progressiva uscita al momento del matrimonio o della maternità) e dal modello a “M” (con uscite temporanee dal mercato del lavoro in età centrale e il reingresso una volta cresciuti i figli) a un modello di partecipazione “a campana”, simile a quello osservato per gli uomini. Secondo tale schema, si inizia a lavorare al termine dell’iter formativo e si smette a conclusione del percorso di xxxxxx000.
A questo scenario va aggiunta qualche considerazione a proposito delle fasce lavorative che non partecipano al mercato del lavoro, cd. “inattive”. L’Italia in questo senso detiene un primato negativo in Europa. Il 49,3% della popolazione con più di 15 anni è inattiva, contro la media europea del 56,7%. Esaminare questo fenomeno da un punto di vista di genere evidenzia che le ragioni per la mancata partecipazione al mercato da parte di uomini e donne sono profondamente diverse 184 . Il percorso formativo per i giovani, il pensionamento per gli over 50, malattia, invalidità e ragioni familiari contraddistinguono le scelte maschili. Per le donne, invece, sono gli impegni familiari a determinare l’esclusione dal mercato del lavoro. Nello specifico, sono fattori determinanti l’inattività sia la presenza di figli (il tasso di attività delle donne con figli è il 48,2% contro il 51,5% delle donne senza figli) che di anziani da accudire (il tasso di attività delle donne con tali impegni supera di poco il 30% contro il 49,8% di coloro che dichiarano di non
prospettiva di genere – e quindi la considerazione dei diversi bisogni e condizioni di uomini e donne – in ogni scelta e programmazione in campo politico, sociale ed economico al fine di eliminare gli ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale delle donne (per superare le discriminazioni di genere e favorire le pari opportunità). Si parla invece di “uguaglianza di genere” come equità di trattamento tra i generi che può esprimersi sia attraverso la parità di trattamento sia attraverso un trattamento diverso ma considerato equivalente in termini di diritti, vantaggi, obblighi e opportunità (ibidem).
182 In questo senso dispone espressamente l’art. 55, comma 4, dove si precisa che nel contratto di inserimento la formazione è solo eventuale. Restano in ogni caso applicabili, se più favorevoli, le disposizioni di cui all’articolo 20 della legge 23 luglio 1991, n. 223, in materia di contratto di reinserimento dei lavoratori disoccupati.
183 Temi in piano – La distribuzione per età delle non forze lavoro, in Rapporto Isfol 2004, cap. 1, par. 1.3 p. 62, Isfol, Tiellemedia, ed. 2004
184 Cfr. Temi in piano – Gli inattivi: dimensioni e caratteristiche, in Rapporto Isfol 2004, cap. 1, par. 1.3 pp. 56- 60, Isfol, Tiellemedia, ed. 2004.
averne). Un altro importante fattore che incide sull’inattività femminile è la maternità. Al 2003 sono circa 2 milioni e 300 mila le donne che lasciano il lavoro per assumere la condizione di casalinga, la maggior parte delle quali (57,2%) compie tale scelta entro i nove mesi dalla nascita185. Il fenomeno di “slittamento” verso l’inattività si accentua, crescendo di quasi il 20%186 con la nascita di figli successivi al primo.
Lo conferma l’indagine Istat Maternità e strategie di conciliazione: “Ci sono donne che perdono il lavoro dopo la nascita dei figli (il 6% di tutte quelle che lavoravano in gravidanza è stata licenziata, in alcuni casi il loro contratto è terminato oppure è cessata l’attività del datore di lavoro).. Più numerose sono le donne che decidono di abbandonare il lavoro (il 14% di chi lavorava in gravidanza), per gli orari inconciliabili con i nuovi impegni familiari o per potersi dedicare completamente alla famiglia. Ma questa scelta è in alcuni casi destinata ad avere pesanti conseguenze sulla condizione socio-economica della famiglia. Quando entrambi i genitori lavorano, è il 16% delle famiglie che si è trovato a dover fronteggiare situazioni di difficoltà economiche dopo la nascita del bambino. Quando le madri sono casalinghe, al contrario, questa proporzione sale al 26%. Infine, tra le donne che risultano in cerca di occupazione ben il 37% ha dichiarato di avere avuto problemi economici”187.
Il settore quindi nettamente maggioritario in termini di inattività è quello legato al lavoro domestico, anche se in progressiva diminuzione (-7,4% tra il 1993 e il 2003), concentrato soprattutto nelle aree del Mezzogiorno (oltre il 52% delle donne).
Lasciare il lavoro, tuttavia, è, nell’intenzione di molte madri, una scelta momentanea. Tra tutte le donne che hanno svolto una attività lavorativa nel corso della loro vita, che non lavorano in gravidanza, il 71% desidera tornare a lavorare in futuro. Mentre questa percentuale scende al 50% per le donne che non hanno mai lavorato.
Queste caratteristiche delineano il quadro del bacino potenziale delle donne che intendono entrare/rientrare nel mercato del lavoro, alle quali può essere applicabile il contratto di inserimento.
Considerando i margini di applicabilità dell’istituto rispetto all’universo femminile, bisogna pertanto distinguere, la problematica dell’inserimento da quella del reinserimento lavorativo. Rispetto al primo, le differenze di genere sono meno marcate di quanto non lo siano rispetto al secondo. Tra l’inserimento e il reinserimento al lavoro, infatti, emergono specifiche problema- tiche di genere, quali la gestione della maternità e la conciliabilità tra vita e lavoro, sopra delineate. Pertanto letta in quest’ottica la vera sfida del contratto di inserimento, riconosciuta anche dalle organizzazioni sindacali e datoriali non è tanto nell’agevolazione all’accesso al mercato del lavoro, quanto nel reinserimento delle donne nei circuiti professionali.
Si tratta pertanto formalmente di uno strumento contrattuale che per la prima volta prevede uno specifico impegno politico rispetto alla categoria di coloro che intendono rientrare nel mercato del lavoro, target “ombra” di diversi istituti contrattuali in passato.
3.2 Le donne come target del contratto di inserimento
L’art 54 del D.Lgs. 276/03 (si veda par. 1.3), indica alla lettera e) le donne come gruppo
185 Cfr. Temi in piano – Le ragioni della mancata partecipazione al mercato del lavoro, in Rapporto Isfol 2004, cap. 1, par. 1.3, p. 58, Isfol, Tiellemedia, ed. 2004.
186 Istat, Prima indagine campionaria condotta sulle nascite, 2003.
187 Istat, Prima indagine campionaria condotta sulle nascite, cit.
bersaglio dell’istituto contrattuale in esame e rimanda ad un decreto ministeriale per l’individuazione delle aree geografiche “in cui il tasso di occupazione femminile (…) sia inferiore almeno del 20 per cento di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 10 per cento quello maschile”, condizione necessaria per stipulare contratti di inserimento lavorativo con le donne residenti, a prescindere da ogni altro requisito del lavoratore.
Come per altri versi già analizzato al par. 1.9, tale Decreto interministeriale, recentemente ritirato, si riferiva per l’individuazione del livello territoriale di riferimento, pur essendo possibili altre scelte, al livello Nuts2, (regionale) anche per coerenza con quanto previsto dall’articolo 2, lett. f), n. xi) del Regolamento 2204/2002/CE.
Tuttavia, anche l’analisi condotta sul livello NutsIII (province), è stato dimostrato188, avrebbe condotto approssimativamente alla stessa conclusione189.
L’articolo 1 del Decreto, pertanto, individuava tutte le regioni e province autonome quali aree in cui sarebbe stato possibile stipulare contratti di inserimento con donne per gli anni 2004, 2005, 2006, poiché in tutte le regioni risultavano soddisfatti i criteri previsti dall’art. 54 lettera e) (confronta tav. 1 nell’Allegato 1).
Pertanto, le donne in quanto tali sono una categoria per cui si prevede in via generalizzata su tutto il territorio nazionale la possibilità di essere assunte con contratto di inserimento.
Tuttavia, l’azienda potrà usufruire degli incentivi ad hoc solamente se la donna destinataria del contratto risieda nelle zone che soddisfano i requisiti dell’art. 5 del Regolamento Ce 2204/2002.
Il DM 21.10.2004 all’art 2 aveva proceduto a individuare queste aree 190 nelle Regioni del Lazio, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna (cfr. par. 1.9 e tav. 2 , nell’allegato 1).
Accanto agli incentivi economici applicabili ai target previsti al citato art. 54, si aggiunge quanto previsto dall’art 59 del D.Lgs. 276/03: “Durante il rapporto di inserimento, la categoria di inquadramento del lavoratore non può essere inferiore, per più di due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è preordinato il progetto di inserimento oggetto del contratto” e continua al comma 2: “Fatte salve specifiche previsioni di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di inserimento sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti”.
Si tratta in questo caso di una forma indiretta di “incentivazione” alle imprese, che incide sul versante del costo del lavoro, applicabile stavolta in tutte le Regioni a tutti i target previsti dall’art. 54 e quindi anche alle “donne di qualsiasi età”, che pertanto potranno essere inquadrate fino a due livelli al di sotto della categoria che spetta alle mansioni corrispondenti a quelle cui è
188 Xxxxxxxxxx M., Donne e lavoro: la sottile linea tra discriminazioni e pari opportunità, in Adapt, Bollettino 7, 26 febbraio 2005.
189 In questo caso su 110 province, ne sarebbero state escluse, con effetti irrazionali dal punto di vista della applicazione della misura, solo 25, ossia le province di Torino, Vercelli, Novara, Biella, Aosta, Milano, Mantova, Belluno, Gorizia, Trieste, Piacenza, Parma, Reggio Xxxxxx, Modena, Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì, Firenze, Pisa, Siena, Perugia, Ancona, Macerata, Ascoli Xxxxxx.
190 Tali aree sono state identificate utilizzando, per le regioni e le province autonome, i dati rilevati dall’Istat con la rilevazione sulle forze lavoro, e pubblicati nei volumi “Forze Lavoro” relativi agli anni 2001, 2002 e 2003; per quanto riguarda la media europea i dati utilizzati sono quelli pubblicati dall’Eurostat (banca dati New Cronos), con riferimento alla media dell’Europa a quindici membri.
finalizzato il progetto di inserimento (per gli esiti della problematica del sottoinquadramento, si rinvia al par. 1.9). Tale previsione ha sollevato un forte dibattito tra giuristi e sociologi che ha portato al ritiro del decreto stesso. Di seguito se ne riporta una sintesi.
3.3 Il dibattito
La presente ricerca, condotta dall’Isfol – Area “Mercato del lavoro” – con interviste sul campo a organismi sindacali, datoriali e imprese, ha evidenziato che le possibilità offerte dal contratto di inserimento, così come descritto, da un lato sono percepite come un’importante opportunità occupazionale per le lavoratrici al fine di ridurre il gap numerico tra i due sessi nel mercato del lavoro. Dall’altro, tuttavia, presentano alcuni rischi. Il contratto di inserimento potrebbe risultare penalizzante per le donne, le quali potrebbero essere sistematicamente assunte con un contratto diverso e che invece con questo istituto sono relegate in una prospettiva temporanea che oltretutto consente il sottoinquadramento di due livelli contrattuali.
I punti di opposizione al provvedimento sono essenzialmente due e vertono da un lato sulla identificazione a livello generale della “donna” come “soggetto svantaggiato” tout court e dall’altro sul relativo inquadramento e trattamento retributivo, legato all’inserimento.
Parte della dottrina191 ha segnalato che “Le donne sono diventate categoria di svantaggio sociale. È questo il risultato di recenti interventi normativi sui nuovi contratti di inserimento. Da ora in poi il contratto di inserimento può essere stipulato in tutto il territorio nazionale per le donne, in quanto tali, bastando appartenere al genere femminile per essere assunte con un contratto che, non solo, è di durata determinata (da 9 a 18 mesi), ma prevede anche il sottoinquadramento retributivo fino a due livelli. Non credo che ci potessimo aspettare una tale deriva. Non potevamo aspettarci che le donne in quanto tali potessero essere considerate categorie di svantaggio sociale! Né, soprattutto, che si finisse per ritorcere contro le donne quegli strumenti positivi della promozione della parità di opportunità costruiti finora. Eppure nella Carta Costituzionale è scritto il vincolo costituzionale della parità di diritti e di retribuzione tra donne e uomini. Non è la prima volta che ci troviamo davanti a un esempio di “salario di ingresso”, ma finora era riservato ai giovani, proprio in quanto categoria di transizione. Le donne si potrebbero trovare di fronte a questo contratto ogni volta che vengono assunte, si tratti di nuovo ingresso nel mondo del lavoro, di reingresso, di mobilità da un posto di lavoro a un altro. Dal linguaggio del sogno, della democrazia compiuta, della partecipazione equilibrata ad una nuova brutale realtà: la differenza del tasso di occupazione tra donne e uomini diventa fonte di autorizzazione per trattamenti normativi ed economici peggiorativi, in violazione dei principi costituzionali”.
Analogo richiamo alla violazione dei principi costituzionali proviene dalle consigliere di parità della Regione Veneto in una lettera aperta alla Consigliera nazionale di parità, al Ministro del Lavoro e delle Pari Opportunità, laddove viene affermato che “la possibilità del sottoinqua- dramento di due livelli, che comporta un differenziale retributivo e la stipula a termine del contratto a tutte le donne in quanto tali, significa la violazione del principio costituzionale di parità di trattamento tra uomini e donne”. In alcuni casi aziendali, esaminati dalla indagine qualitativa Isfol, si è evidenziato come la problematica del sottoinquadramento possa essere ridotta nella contrattazione aziendale. Tuttavia, il principio della “istituzionalizzazione” del
191 Xxxxxxxx X., Donne precarie a vita, in L’Unità, 19 novembre 2004.
sottoinquadramento, con i relativi riflessi sulla retribuzione, applicabili tout court alle donne in quanto tali, è oggetto di un forte dissenso soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali.
Rispetto all’identificazione tra genere e categoria di svantaggio, di contro, è stato osservato che “a livello sostanziale tuttavia il decreto non considera la donna debole in quanto tale ma in quanto oggettivamente discriminata sul mercato del lavoro” 192 . Sarebbero dunque i dati a confermare l’esistenza di un mercato fortemente segregante sulla base di genere. “Le donne quindi, non sono diventate per decreto “categoria di svantaggio sociale, ma dai dati preoccupanti che emergono, risultano essere già oggi, di fatto e stando alle statistiche nazionali, persone a rischio di esclusione sociale e soggette alla disoccupazione o al lavoro sommerso. Dati che peraltro si confermano, non solo da una valutazione sviluppata sulla base di dati regionali, ma anche sull’analisi dei dati provinciali. E ciò risulta ancor più evidente nel confronto comparato, che vede l’Italia con tassi di occupazione femminile mediamente di 10/15 punti percentuali inferiori rispetto a quelli degli altri paesi europei. Di qui i dilemmi cui sono sottoposti i decisori politici e le parti sociali. Applicare un piatto formalismo, che garantisca sulla carta pari diritti ma che, nella realtà, si traducono in evidenti fenomeni di discriminazione e segregazione delle donne, oppure applicare con coraggio norme sperimentali e terapie shock volte a portare l’Italia, in breve tempo, su parametri occupazionali della popolazione femminile in linea con la realtà degli altri paesi europei?”193.
Il dibattito riporta in auge il mai sopito contrasto sui temi delle azioni promozionali, volte, in regimi speciali, a ridurre situazioni di evidenti disparità di genere, con un insito potenziale discriminatorio, anche se finalizzate ad un obiettivo non di eguaglianza ma di equità.
Recentemente, con la L. n. 80/2005, cd. Decreto Competitività, è stato affrontato uno dei nodi critici sopra illustrati, così da rendere non applicabile rispetto al target donne il sottoinquadramento di livello previsto invece per tutti gli altri destinatari individuati dall’art. 54, co. 1, del D.Lgs. n. 276/2003194.
192 Tiraboschi M., op. cit., 2005.
193 Tiraboschi M., op. cit., 2005.
194 A tal proposito, si rinvia al par. 1.9.
4. Potenzialità, vantaggi e criticità del contratto di inserimento*
4.1 Il potenziale campo di applicazione del contratto di inserimento
In assenza di dati in materia195, è utile interrogarsi circa l’estensione del potenziale campo di applicazione del contratto di inserimento. A tal fine abbiamo effettuato una proiezione sugli ultimi micro-dati dell’indagine sulle forze di lavoro dell’Istat disponibili, risalenti all’anno 2003. Attenendosi al testo dell’art. 54, e limitandosi ai soli soggetti in cerca di occupazione, il potenziale bacino di interesse del nuovo istituto supera di poco il milione e cinquecento mila disoccupati (v. tab. 1).
Tab. 1 - Stima del campo di applicazione del contratto di inserimento (esclusi disabili) in base ai dati del 2003*, (dati in migliaia)
Xxxx-Xxxxx | Xxxx-Xxx | Xxxxxx | Xxx | Xxxxx | ||
Xxxxxxx 00-00 | 118 | 60 | 136 | 405 | 200 | 919 |
Disoccupati di lunga durata 29-32 | 14 | 5 | 29 | 80 | 43 | 171 |
Over 50 | 30 | 18 | 26 | 61 | 44 | 178 |
Espulsi | 78 | 35 | 79 | 142 | 97 | 431 |
Totale** | 205 | 104 | 234 | 624 | 337 | 1503 |
Donne | 170 | 98 | 183 | 425 | 224 | 1.100 |
Totale** | 253 | 139 | 285 | 754 | 402 | 1.832 |
Categoria
Area di residenza
Totale
* Sono state considerate le sole persone in cerca di occupazione.
** Il totale differisce dalla somma per colonna a causa delle sovrapposizioni tra gruppi. Fonte: elaborazione Isfol su dati Istat-RTFL.
Il target è costituito prevalentemente da giovani disoccupati (919 mila) e da individui che manifestino la volontà di riprendere un’attività lavorativa dopo due anni di inattività (lettera d) dell’art. 54). Inoltre, la maggior parte dei soggetti che rientrano nelle categorie di persone eleggibili si concentrano nel Mezzogiorno. Qualora nel conteggio fossero reintrodotte le donne di cui alla lettera e) del citato articolo, il campo di applicazione della disciplina e, quindi, il numero di potenziali soggetti precedentemente in cerca di occupazione assumibili con contratto di inserimento, salirebbe ad oltre un milione e ottocentotrentamila individui, in maggioranza donne
* A cura di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx.
195 Al momento della redazione di questo documento i principali istituti di fornitura dei dati (Istat dal lato delle statistiche ed Inps dal lato amministrativo) non ha ancora rilasciato dati né in forma individuale, né aggregata circa la consistenza del ricorso al contratto di inserimento. L’Isfol ha avviato indagini campionarie autonome presso famiglie ed imprese per valutare la diffusione dei principali istituti scaturiti dalla nuova legislazione del mercato del lavoro. I primi dati saranno diffusi nell’estate 2005.
(1 milione e 100 mila) 196 . Se si tiene conto del fatto che, sempre nel 2003, il numero di disoccupati ammontava a poco più di 2 milioni, ci si può facilmente rendere conto come il contratto di inserimento possa potenzialmente considerarsi uno strumento generalizzato per la maggioranza delle nuove assunzioni che attingano dal bacino dei disoccupati.
Quest’ultima proposizione trova un limite di carattere amministrativo, ma anche potenziali estensioni.
Il problema amministrativo risiede nel fatto che per la attestazione dello status di disoccupato di lunga durata occorre una apposita certificazione della Direzioni provinciali del lavoro competente. Qualora l’individuo non siano stato preso in carico da un Cpi, in virtù ad esempio dell’omissione dal colloquio previsto ai sensi del D.Lgs. 297/2002, lo status di disoccupato di lunga durata non potrebbe essere comprovato da alcuna documentazione. Stante tuttavia il fatto che questa evenienza riguarda una parte del già esiguo del bacino dei disoccupati di lunga durata tra i 29 ed i 32 anni (cfr. sempre tab. 1), il target di riferimento del contratto di inserimento non dovrebbe ridursi sensibilmente.
La potenziale estensione del target dipende invece dal fatto che nello stesso potrebbe essere incluse anche persone che si trovano fuori dal mercato del lavoro (inattivi). Questo perché l’apparato legislativo, e non potrebbe essere altrimenti, non fa esplicito riferimento, se non nella lettera b) dell’art. 54 alla condizione di ricerca di lavoro. Inoltre, ci si permetta l’inciso, la definizione statistica di disoccupazione – dalla quale abbiamo ricavato la stima del target – differisce dalla definizione amministrativa di tale status, senza che sia possibile con certezza stabilire quale delle due sia la più estesa197. In generale, un qualsiasi individuo che soddisfi le condizioni di cui alle lettere a), c), d), e), f) che, precedentemente inattivo, intenda trovare un’occupazione diventa immediatamente eleggibile per un contratto di inserimento198.
4.2 Il regime delle agevolazioni
Rispetto all’art. 54 del D.Lgs. 276/2003, la circolare ministeriale n. 31 del 21/07/2004 ha notevolmente ampliato il numero dei soggetti cui si applica il regime delle agevolazioni contributive in caso di assunzione con contratto di inserimento (cfr. al par. 1.3). Alla luce di queste novità, e sulla stessa scorta dei dati presentati nel paragrafo precedente, i nostri calcoli ci portano a quantificare, per difetto, in quasi 1 milione e 370 mila le potenziali assunzioni agevolate (cfr. tab. 2).
La sottostima di tale quantità deriva dai seguenti fattori:
196 Si fa qui riferimento al DM 22/10/2004, poi ritirato, che estendeva a tutte le regioni italiane la facoltà di ricorrere al contratto di inserimento per le assunzioni di donne.
197 Si ricordi che la definizione statistica di persona in cerca di lavoro implica una ricerca attiva di lavoro nei quattordici giorni immediatamente precedenti l’indagine campionaria, mentre quella amministrativa dipende dall’ottemperanza alle norme previste dal richiamato D.Lgs. 297/2002. Confronti sugli aggregati sono ancora difficoltosi a causa dei ritardi nella costituzione della Borsa continua nazionale del lavoro.
198 Non è questa la sede per approfondire il tema; tuttavia diversi lavori hanno analizzato i flussi tra condizioni occupazionali rilevando come una rilevante quota di neo-occupati ogni anno sia costituita da persone che l’anno o addirittura il trimestre precedente erano classificate dall’Istat come inattive. Per le prime evidenze in materia si può fare riferimento a Centra M., Discenza A. R., Xxxxxxxxxxx E., Strumenti per le analisi di flusso nel mercato del lavoro – Una procedura per la ricostruzione della struttura longitudinale della Rilevazione trimestrale Istat sulle forze di lavoro, Monografie sul mercato del lavoro e le politiche per l’impiego, n. 2/2001, Isfol, Xxxx, 0000; il tema è stato poi trattato in maniera estesa anche in Brandolini A., Xxxxxxxxx P., Xxxxxxx E., Does the ILO definition capture all Unemployment?, CHILD Working Paper, Torino, 2003.
▪ ci si è riferiti nuovamente alle sole persone in cerca di occupazione;
▪ dal computo sono stati esclusi i cittadini disabili, i cittadini extracomunitari ed i disoccupati di qualsiasi fascia di età che vivano da soli con figli a carico;
▪ per i giovani in età inferiore ai 25 anni ci si è riferiti ai soggetti che abbiano siano stati disoccupati negli ultimi 6 mesi e non in sei degli ultimi otto come stabilito dalla circolare;
▪ per i giovani in età inferiore ai 25 anni ci si è riferiti ai soggetti che abbiano siano stati disoc- cupati negli ultimi 12 mesi e non nei in dodici degli ultimi sedici come stabilito dalla circolare.
Nel computo effettuato si tiene conto solamente di quelle “donne residenti in un’area geografica nella quale il tasso di disoccupazione superi il 100 percento della media comunitaria da almeno due anni e nella quale la disoccupazione femminile abbia superato il 150 percento del tasso di disoccupazione maschile per almeno due dei tre anni precedenti” (Reg. CE 2002/2204) che rispondono ai criteri di eleggibilità per la stipula del contratto (cfr. sempre circolare n. 31). Qualora nel computo vengano reinserite le donne di qualsiasi fascia di età (lettera e) dell’art. 54), le assunzioni agevolate salirebbero a quasi un milione e 650 mila (si vedano le ultime due righe della tab. 2).
Tab. 2 - Stima dei soggetti assumibili in regime di agevolazione (esclusi extracomunitari, disabili e disoccupati con figli a carico) in base ai dati del 2003*, (dati in migliaia)
Area di residenza
Nord-Ovest | Nord-Est | Centro | Sud | Isole | ||
A | 45 | 13 | 60 | 212 | 105 | 434 |
Ai | 15 | 4 | 31 | 113 | 51 | 214 |
B | 14 | 5 | 29 | 80 | 43 | 171 |
C | 30 | 18 | 26 | 61 | 44 | 178 |
D | 78 | 35 | 79 | 142 | 97 | 431 |
Ii | 101 | 46 | 100 | 297 | 186 | 730 |
Ei | 80 | 284 | 159 | 523 | ||
Totale*** | 167 | 74 | 211 | 596 | 324 | 1.372 |
Ei esteso | 107 | 409 | 224 | 740 | ||
Totale*** | 192 | 94 | 250 | 722 | 389 | 1.647 |
Categoria** Totale
* Sono state considerate le sole persone in cerca di occupazione.
** Legenda:
A - Giovani in età 18-25 in cerca di lavoro da più di 6 mesi. Xx - Xxxxxxx in età 25-28 in cerca di lavoro da più di 12 mesi;.
B. Disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni. C - Over-50 privi di un posto di lavoro.
D - Disoccupati da oltre due anni;.
Ii - Eleggibili (lettere a-f dell’art. 54) di qualsiasi età con titolo di studio inferiore alla scuola secondaria superiore.
Ei - Donne di cui alle lettere a), b), c), d) residenti in un'area geografica nella quale il tasso di disoccupazione superi il 100 percento della media comunitaria da almeno due anni e nella quale la disoccupazione femminile abbia superato il 150 percento del tasso di disoccupazione maschile per almeno due dei tre anni precedenti.
*** Il totale differisce dalla somma algebrica delle colonne per la presenza di sovrapposizioni. Fonte: elaborazione Isfol su dati Istat-RTFL.
Il confronto con i dati in tab. 1 permette di desumere con estrema facilità quanto sia elevato il grado di “copertura” del regime di agevolazioni rispetto al potenziale reclutamento di persone in cerca di occupazione. Tale rapporto si assesta attorno al 90% rispetto a tutto il territorio nazionale
e supera tale soglia nel Mezzogiorno (cfr. tab. 3, colonna A). Qualora il DM 22/10/2004 fosse ancora in vigore il grado di copertura sarebbe ulteriormente maggiorato (colonna B). Nelle regioni meridionali della penisola sfiorerebbe il 100%, mentre nel Nord della penisola scenderebbe in misura non sensibile199.
Tab. 3 - Rapporto tra assunzioni agevolate e target di riferimento per il contratto di inserimento (stime su dati 2003)
Area di residenza A | B |
Nord-Ovest 81,6 | 76,0 |
Nord-Est 71,2 | 67,4 |
Centro 87,3 | 87,9 |
Sud 91,8 | 95,8 |
Isole 92,8 | 96,7 |
Totale 88,5 | 89,9 |
Fonte: elaborazione su dati Istat-RTFL, 2003. | |
4.3 I trade-off tra le diverse tipologie contrattuali a termine |
Nonostante l’esteso regime di benefici e la relativa semplicità di applicazione, il contratto di inserimento non ha trovato una diffusione sistematica nel tessuto produttivo italiano. Per comprendere meglio quali siano le possibili spiegazioni sottostanti il poco apprezzamento mostrato dalla domanda di lavoro verso il nuovo istituto occorre forse comprenderne le eccentricità rispetto alle tipologie di lavoro a termine esistenti o appena scomparse dal panorama del mercato del lavoro italiano.
Si parte dalla premessa che le imprese facciano ricorso al lavoro a termine per due motivi:
▪ per fra fronte a picchi produttivi, previsti o imprevisti;
▪ per prolungare il periodo di prova di potenziali neo-assunti, ovvero per verificare l’idoneità dei soggetti al lavoro; per estensione rientrano in questa categoria anche i contratti a causa mista, che prevedono un periodo di accostamento tra formazione e lavoro, volto ad arricchire le capacità professionali dei candidati ed, eventualmente, a preparare gli stessi per un ingresso definitivo nell’organico aziendale.
Per la prima tipologia di causali, le imprese ricorrono generalmente al contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o alla somministrazione di lavoro (per alcune mansioni ed in determinati settori di attività si può anche ipotizzare il ricorso a forme di lavoro parasubordinato quali il lavoro a progetto); per quanto attiene invece alla seconda categoria di motivazioni il Legislatore italiano ha immaginato una serie di contratti ad hoc quali apprendistato, Contratti di formazione e lavoro (Cfl), ed, in forma più sfumata e ridotta, tirocini, borse lavoro, stage, ecc.
È ovvio che la distinzione effettuata presenta nella pratica diverse forme di sovrapposizione.
Al di là di abusi, pur praticati, circa l’utilizzo di contratti incentivati quali il Cfl e l’apprendistato, per attività routinarie o eccezionali di produzione, il contratto di lavoro a tempo determinato viene spesso utilizzato quale strumento di selezione del personale da reclutare. Inoltre la legislazione in materia può avere spesso condizionato in maniera significativa la scelta imprenditoriale verso una o l’altra tipologia contrattuale (ad. es. la difficoltà di utilizzare
199 L’effetto dell’estensione a tutte le regioni della facoltà di assumere donne mediante il contratto di inserimento aumenta infatti nel Nord Italia il numero delle assunzioni non agevolate.
l’apprendistato nella grande manifattura e di contro la sua versatilità rispetto al mondo artigiano). Il contratto di inserimento potrebbe essere posto, quantomeno per assonanza terminologica, nella seconda categoria di tipologie causali testé proposte per il ricorso al lavoro a termine. Particolare rilievo in tale qualificazione assume la cd. clausola di mantenimento (art. 54, comma 3), che regola la possibilità di effettuare, allo scadere dei contratti in essere, nuove assunzioni
tramite il contratto di inserimento.
In altre parole, l’intento del Legislatore di creare meccanismi di stabilizzazione dell’occupa- zione, finisce per determinare la natura stessa del contratto. Concretamente, tuttavia, salvo azien- de di grandi dimensioni e massiccio ricorso al contratto di inserimento, la franchigia di quattro contratti non trasformati, riduce sensibilmente i vincoli imposti dalla citata clausola. D’altro canto, pur riecheggiandone i contenuti, è difficile comparare l’istituto ai vecchi contratti a causa mista, rimanendo la formazione e l’addestramento meramente facoltativi200.
La novità dell’istituto consiste infatti nell’aver superato il binomio tra lavoro e formazione che caratterizzava il Cfl ed avere introdotto quello tra lavoro e riadattamento delle competenze, obbligando il datore di lavoro a porre in essere una serie di adempimenti che possano permettere di attuare efficacemente quanto previsto nel progetto di inserimento.
Questo aspetto non può che incidere, oltre che sulla natura del rapporto di lavoro, anche sulla platea dei potenziali utenti del contratto di inserimento, che non potranno che essere soggetti già in possesso di competenze e capacità professionali, da rimodulare in funzione della nuova esperienza lavorativa.
Tale linea di argomentazione escluderebbe, almeno astrattamente, dalla categoria dei soggetti interessati dalle assunzioni con contratto a termine i giovani inoccupati o le persone prive di qualsiasi esperienza in ambiti affini a quelli dove la nuova attività lavorativa verrebbe effettivamente svolta.
D’altro canto è assai difficile ipotizzare che il contratto di inserimento possa essere un valido sostituto del contratto di lavoro a tempo determinato. Pur presentando infatti notevoli incentivi dal lato retributivo e contributivo rispetto a quest’ultimo, infatti, la previsione di una durata minima non inferiore ai nove mesi (art. 57 comma 1), scoraggia il datore di lavoro ad utilizzare contratti di inserimento in circostanze di carattere eccezionale e transitorio quali picchi produttivi e produzioni stagionali, che, nei casi più estremi, difficilmente richiedono un’attività prolungata per oltre sette mesi. Rimane la possibilità, offerta dalla richiamata franchigia di quattro mancate trasformazioni, dell’utilizzo ripetuto di contratti di inserimento ai fini dell’abbattimento del costo del lavoro. In tal caso, tuttavia, è lecito supporre che tale rotazione continua di manodopera possa essere applicata solo in contesti poco sindacalizzati e per mansioni a bassissimo contenuto di capitale umano. Da una parte, infatti, un uso “spregiudicato” dell’istituto troverebbe opposizione nelle rappresentanze aziendali dei lavoratori, dall’altra i costi connessi con l’addestramento e la sostituzione di manodopera professionalizzata sconsiglierebbero il ricorso continuativo al contratto di inserimento per ricoprire figure medio-alte nell’organico aziendale. Tra l’altro i seppur esigui costi di formazione di base e quelli relativi al progetto individuale di inserimento potrebbero finire per erodere parte dei vantaggi retributivi e contributivi connessi con una siffatta politica di gestione del personale. Vi sono infine da registrare alcune criticità che possono osta- colare una maggiore diffusione del contratto di inserimento. Seppur transitorio, il sotto-inqua-
200 Anche l’Accordo Interconfederale del febbraio 2004 ribadisce, nella sostanza, come la formazione non sia un elemento essenziale del contratto di inserimento, fissando in sole 16 ore la quantità minima di formazione da somministrare ai neo-assunti.
dramento di due livelli può determinare una sensibile riduzione del salario percepito dai lavoratori. Soprattutto per mansioni che prevedono un livello di inquadramento già poco retribu- ito, o per contratti di inserimento a tempo parziale, l’esiguità del compenso potrebbe scoraggiare l’offerta di lavoro dall’accettazione di tale contratto. È probabile in tal senso che la reputazione del datore di lavoro, ovvero la sua effettiva volontà di trasformazione del contratto di lavoro a fine periodo, possa divenire determinante nella propensione del disoccupato ad accettare l’offerta di un contratto di inserimento201. Si deve tener presente come la retribuzione sia un fattore fondamentale nelle scelte dell’offerta di lavoro (cd. salario di riserva) e come questo fattore possa giocare ruoli diversi a seconda delle caratteristiche soggettive, del contesto territoriale e del contenuto della prestazione contrattata. In contesti ove la disoccupazione è a livelli frizionali, quali il Nord della penisola italiana, è probabile che le forze del mercato (la concorrenza tra le imprese per il reclutamento di manodopera qualificata) possano spingere in alto il salario di ingresso nel mercato del lavoro. In termini economici, la cosiddetta outside option, per la persona in cerca di occupazione, ovvero il salario alternativo disponibile per altri contratti di lavoro è più elevato di quello offerto dal contratto di inserimento. In tal caso, a quest’ultimo verrebbe lasciato uno spazio residuale, per mansioni a basso contenuto di professionalità e specializzazione e quindi per soggetti deboli in termini di caratteristiche soggettive). In altri contesti (si veda ad esempio il caso dell’Accordo Provinciale di Palermo presentato in questo volume), vi è il rischio che la outside option del lavoro sommerso sia maggiormente appetibile non solo per il datore di lavoro, ma anche per il lavoratore stesso, finendo per annullare qualsiasi convenienza connessa con il ricorso ad un contratto di inserimento.
Un’altra criticità che potrebbe generare ostacoli alla diffusione dell’istituto in esame sono i costi connessi alla formazione. Questi costi sono di due specie: quelli diretti relativi agli esborsi per eventuali tutor o docenti e la predisposizione o l’acquisto del materiale, e quelli opportunità, derivanti dalla mancata esecuzione dell’attività da parte del lavoratore. È implicito come, seppur in maniera variabile, per un’azienda di piccole dimensioni l’incidenza di tali costi sia assai più consistente di quella sopportata da un’azienda più strutturata. Tali considerazioni sono comunque assai attenuate dalla ridotta quantità di ore di formazione previste dalla disciplina e dall’Accordo Interconfederale del febbraio 2004 in tema di contratto di inserimento.
Sia nella sua natura che nella sue concreta applicazione, il contratto di inserimento sembra pertanto configurarsi come un istituto ibrido, che non risponde appieno né ai requisiti di contratto di effettivo inserimento in azienda, né tanto meno a quelli di un contratto per usi transitori ed eccezionali. L’esperienza sin qui cumulata nel contesto italiano è quella di un ricorso al contratto di inserimento solo in contesti dove, a fronte della urgenza di ricorrere al mercato per integrare la pianta organica, non erano disponibili altre forme incentivate di assunzione quale era il vecchio Cfl e quale sarà, nelle aspettative degli operatori, il futuro apprendistato.
201 Anche il Cfl prevedeva un quasi analogo (un livello di sotto-inquadramento) e più duraturo periodo di riduzione salariale (24 mesi). Tuttavia la clausola di contingentamento era in quel caso più stringente.
5. Il contratto di inserimento: prime percezioni da parte delle imprese*
Il contratto di inserimento, normato dagli art. 54-59 del D.Lgs. 276/03, e in seguito dalla circolare ministeriale del 21 luglio 2004 n. 31, è uno degli istituti contrattuali di più recente recepimento da parte dei Ccnl. Tuttavia, ancor prima di valutarne le caratteristiche all’interno della contrattazione, è possibile individuare alcune indicazioni provenienti dalle aziende, rispetto alle potenzialità di questo istituto contrattuale. A livello locale/settoriale sono state diverse le indagini che consentono di avere una prima panoramica relativa alla propensione delle imprese all’utilizzo del contratto di inserimento.
Un sondaggio interno di Assolombarda 202 del settembre 2004 ha coinvolto 354 aziende, intervistate sull’utilizzo delle nuove forme contrattuali introdotte dalle riforma (eccetto il lavoro a progetto, l’apprendistato e i contratti di somministrazione perché considerati come “continua- zione della legislazione precedente”). Circa il 60,6% delle imprese intervistate ha dichiarato di volere utilizzare il contratto d’inserimento. Le altre forme contrattuali sono così distribuite: 22,6% contratto di lavoro intermittente (job on call); 17,4% staff leasing; 11,8% tirocini estivi; 6,3% contratto di lavoro condiviso (job sharing). A utilizzare le nuove forme di flessibilità saranno per l’89,2% le imprese medio grandi con oltre 250 dipendenti. Seguono le medie imprese (50-249 dipendenti) col 55,1%. Fanalino di coda (33,7%) le piccole imprese con 16-49 dipendenti e 21,4% le imprese con meno di 15 dipendenti.
L’Indagine congiunturale previsionale dell’Unione degli Industriali di Roma, (2004) condotta sui settori Manifatturiero e Xxxxxxxxx Xxxxxxxx ha evidenziato che la percentuale di aziende che utilizza o prevede di utilizzare una o più delle nuove forme contrattuali introdotte dalla Riforma è pari al 29% (fig. 1).
Tale utilizzo riguarda prevalentemente i contratti di inserimento, indicati dal 17% delle aziende, seguiti dalla somministrazione a tempo indeterminato o staff leasing (8% delle aziende), il lavoro intermittente per il 5% del campione e i tirocini estivi per il 4%. Nell’ambito delle altre forme contrattuali previste dal decreto, fanno ricorso alla somministrazione a tempo determinato il 26% delle aziende, che dichiara di avere assunto alle dirette dipendenze il 29% dei “lavoratori in affitto”. Rispetto alle future applicazioni del contratto di inserimento, l’indagine svolta in ogni provincia dalla Rete delle Camere di commercio e delle Unioncamere regionali, coinvolgendo un campione di oltre 100 mila imprese, rappresentativo dei diversi settori economici e delle singole realtà provinciali, ha evidenziato che più del 58% delle assunzioni previste dalle imprese contemplano un tipo di contratto a tempo indeterminato, che risulta essere, quindi, quello ancora maggiormente utilizzato – sia nell’industria (50,3%) che nei servizi (63,4%) – con una percentuale lievemente superiore a quella dell’Xxxxxx, xxx Xxxx-Xxx x xx Xxxxxx Xxxxxxx. Per alcuni comparti come trasporti, credito e servizi alle imprese raggiunge valori superiori al 70%. Il contratto a tempo determinato è previsto per oltre un quarto (30,4%) delle nuove assunzioni e
* A cura di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx.
viene privilegiato nelle costruzioni (48,1%) e in alcuni comparti dell’industria manifatturiera come alimentare e produzione metalli; per quanto riguarda il terziario, negli alberghi, ristoranti e servizi turistici (38,7%). Il contratto d’inserimento, in particolare riguarda il 3,8% delle assunzioni previste. Maggiore è l’attenzione all’apprendistato (6,2%).
La notazione interessante è che la Riforma applicata ai contesti provinciali sembra avere per effetto una diminuzione dei contratti a tempo indeterminato (quasi 7 punti percentuali in meno rispetto allo scorso anno) e la crescita del contratto a tempo determinato (14 punti in più rispetto al 2003) che riassorbe anche buona parte dei precedenti contratti di formazione e lavoro (che pesavano fino al 2003 per oltre il 10%). L’attuale contratto di inserimento si attesta invece solo al 3,8% (tab. 4).
Fig. 1 - Utilizzo da parte delle aziende, nel corso del 2004, delle forme contrattuali innovative previste dal Decreto Biagi
0% 2% 4% 6% 8% 10% 12% 14% 16% 18%
Contratti di inserimento 17%
Staff leasing 8%
Lavoro intermittente 5% Tirocini estivi di orientamento 4% Lavoro ripartito (job sharing) 0%
Fonte: Xxxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxx 0000.
Tab. 4 - Assunzioni previste dalle imprese per tipo di contratto - valori assoluti e %
Anno
Totale assunzioni
Contratto a tempo indeterminato
Contratto formazione e lavoro/contratto inserimento
Tempo Apprendistato Altri determinato
2001 | 8.003 | 65,0 | 12,8 | 15,3 | 5,9 | 1,1 |
2002 | 6.698 | 61,6 | 11,4 | 18,5 | 7,1 | 1,5 |
2003 | 6.536 | 64,5 | 10,4 | 16,5 | 7,6 | 1,0 |
2004 | 6.595 | 58,6 | 3,8 | 30,4 | 6,2 | 1,0 |
Fonte: Unioncamere, Sistema informativo Excelsior 2004.
Si tratta ovviamente solo di alcuni spunti di riflessione rispetto ad una realtà ancora in divenire, che vanno letti in relazione alle dinamiche della contrattazione nazionale, decentrata e aziendale e in relazione ai casi aziendali di seguito riportati che evidenziano peculiarità e criticità delle prime applicazioni concrete.
6. Confronto sindacale*
Ai fini di un’attenta valutazione della rilevanza dell’introduzione del D.Lgs. n. 276/2003 sulle dinamiche del mercato del lavoro italiano, occorre immediatamente registrare il ruolo e le responsabilità che sono state conferite alla contrattazione collettiva nazionale e di II livello rispetto alla regolamentazione di molti degli istituti contrattuali nel medesimo decreto previsti.
Nel xxxxx xxxxx xxxxxxxx xx xxxxx xxxxxxxxx e condotta per la realizzazione della presente monografia, è stata organizzata una serie di incontri con esponenti delle associazioni sindacali e datoriali di rilievo nazionale, onde cogliere le loro impressioni rispetto alla stagione negoziale che si è aperta a seguito della recente riforma del mercato del lavoro e, ove possibile, valutare anche il ruolo dalle stesse esercitato in fase di consultazione precedente al settembre del 2003.
In tale contesto, con riferimento al contratto di inserimento, le esperienze raccolte sono state diverse e differenziate tra loro.
A livello nazionale intercategoriale, l’indagine di capo è stata organizzata in maniera meno capillare, dal momento che è stata attribuita maggiore rilevanza alla disamina delle esperienze maturate nei singoli settori produttivi. In quest’ambito, è stato possibile discutere, insieme ad interlocutori oltremodo qualificati, circa alcuni interessanti profili della misura contrattuale in esame, ma, in verità, gli elementi ivi ricavati non ne permettono un approfondimento significativo.
Sul contratto di inserimento, in Confindustria (Area relazioni industriali – Affari sociali), infatti, non è stato possibile acquisire elementi significativi (si rinvia, comunque, al contributo del Dott. Usai, riportato nella parte giuridica della presente monografia) per dar conto della loro posizione al tavolo sindacale; tuttavia, si è registrata l’astratta ed attenta disponibilità di tale associazione datoriale verso le attività di formazione, benché nell’Accordo Interconfederale del febbraio del 2004 siano state previste soltanto 16 ore di formazione, giudicate peraltro simboliche, visto che le stesse serviranno esclusivamente ad accompagnare il lavoratore nel suo ingresso in azienda.
Anche sul versante sindacale, il rappresentante del Dipartimento politiche attive per il lavoro della Cgil, su tale istituto contrattuale non ha fornito indicazioni di particolare rilievo, a riprova del fatto che, a dispetto di altri temi ed istituti introdotti con il D.Lgs. n. 276/2003, questa tipologia contrattuale ha destato davvero minori contrasti in seno al confronto collettivo. In quest’occasione, peraltro, è stata fatta rilevare, così come peraltro emerge dal medesimo testo negoziale, l’importanza del rapporto tra l’Accordo Interconfederale del febbraio 2004 (“con il presente Accordo Interconfederale, cui concordemente viene attribuita efficacia transitoria e comunque sussidiaria della contrattazione collettiva, secondo i livelli e le titolarità attualmente previsti, le parti in epigrafe, ferme restando le norme di legge che disciplinano l’istituto, provvedono a definire gli elementi ritenuti essenziali per consentire ai datori di lavoro in tutti i comparti produttivi una fase di prima applicazione dei contratti di inserimento e di reinserimento
* A cura di Xxxxx Xxxxxxxx.
previsti dal Decreto Legislativo n. 276/03, anche al fine di evitare che si determini una soluzione di continuità nei flussi di assunzione, specie delle cosiddette fasce deboli”) e l’impianto delle relazioni industriali, come scaturito dalla definizione del Protocollo del luglio 1993, e come, conseguentemente, sia stato convenuto che anche i successivi negoziati collettivi di categoria avrebbero dovuto ispirarsi al richiamato archetipo.
Con particolare riguardo alla formazione, l’individuazione di un periodo di 16 ore nell’Accordo Interconfederale, invece, secondo il sindacato, sarebbe stata l’evidente espressione di un compromesso al ribasso, in quanto le organizzazioni sindacali, complessivamente consi- derate, avevano richiesto almeno 80 ore di formazione, mentre le organizzazioni di categoria datoriali, forti di quanto previsto all’art. 55, co. 4, del D.Lgs. n. 276/2003 (“la formazione eventualmente effettuata...”) avevano avanzato proposte per un numero di ore di formazione inferiore anche a quello infine determinato nel medesimo accordo.
A livello territoriale intercategoriale, come premesso, l’indagine si è sviluppata con l’ambizione di raccogliere le valutazioni di coloro che hanno affrontato la stagione negoziale in ambiti certamente più limitati. Al contempo, però, questi ambiti limitati diventano assolutamente significativi in considerazione, specie in particolari zone del nostro paese, delle peculiarità della classe imprenditoriale e del tessuto economico-produttivo locale, nonché della differenziata disponibilità degli attori sociali operanti in un determinato territorio rispetto al confronto aperto e dinamico sulle novità legislative, di volta in volta introdotte.
Quelli appena elencati costituiscono complessivamente aspetti che non possono che acquisire una autonoma ed immediata incidenza ai fini del distinto utilizzo delle diverse misure contrattuali oggi utilizzabili per la gestione delle risorse umane in azienda.
Anche con riferimento al contesto territoriale, dunque, si darà conto – seppur in modo non sistematico, a causa della non totale sovrapponibilità delle esperienze di cui i nostri interlocutori costituivano espressione – dei diversi incontri organizzati, invitando il lettore a ricavare gli spunti maggiormente interessanti rispetto ai temi in questa sede trattati.
Il primo incontro significativo è stato organizzato con il Responsabile delle relazioni industriali di Unionapi a Milano.
Durante questo incontro, si è appreso che in una indagine delle sede milanese di Unionapi dell’aprile 2003, presentata al Ministro Xxxxxx nel giugno 2004, in merito alle prospettive della riforma del mercato del lavoro, gli associati avrebbero prevalentemente affermato il proprio malumore rispetto alla cessazione del regime di efficacia del contratto di formazione e lavoro (Cfl). Le relative procedure per l’approvazione dei progetti e la stipula di questo tipo di contratto di lavoro cd. a causa mista erano, infatti, molto agili, soprattutto grazie alla possibilità riconosciuta a ben individuate strutture bilaterali di procedere all’apposizione del visto di conformità ai pertinenti progetti di formazione (negli accordi interconfederali sul Cfl, infatti, erano state stabilite specifiche modalità su formazione adeguata, retribuzione, durata, che rendevano molto chiara la regolamentazione di riferimento). L’iter procedimentale per la stipula dei Cfl, come derivante nel suo complesso dalla cooperazione tra le parti sociali a livello territoriale, veniva completato in circa ttimana, mentre in Commissione regionale tripartita (Crt) i tempi necessari risultavano assolutamente maggiori, arrivando anche a 4-5 mesi.
Xxxxxxxx tiene a rilevare, inoltre, come, già del settembre 2003, avrebbe esplicitamente avvertito i propri consociati della necessità di depositare tempestivamente i progetti per la stipula degli ultimi Cfl, ma la possibilità offerta dall’Accordo Interconfederale del novembre 2003 per il regime transitorio dei medesimi contratti non sarebbe stata sfruttata in modo adeguato.
In tale periodo, infatti, sarebbero sono stati approvati in Unionapi circa 10 progetti a settimana, mentre in precedenza, soprattutto prima che si facessero sentire gli effetti della recessione economica, venivano approvati nel medesimo lasso temporale circa 350 progetti.
Peraltro, durante tutta la vigenza delle Leggi. n. 863/1984 e n. 451/1994, la percentuale di conferma dei Cfl scaduti in nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato è stata molto elevata, misurabile approssimativamente intorno al 75-80%.
Il Cfl, continua Unionapi, difficilmente sarà sostituito, in termine di applicazione, dal contratto di inserimento; appare più verosimile che possa essere sostituito dall’apprendistato professionalizzante. Le aziende, infatti, preferiscono assumere con contratto di apprendistato giovani sino ai 24 anni; dopo tale età, lo strumento contrattuale preferito, al momento, sarebbe certamente il contratto di lavoro a termine, ex D.Lgs. n. 368/2001.
Quest’ultima tipologia contrattuale è, infatti, davvero intensamente applicata in provincia di Milano: si stima che le aziende consociate ne facciano ricorso per la gestione di circa il 20-25% della propria forza lavoro, a fronte della stipula di contratti aventi una durata media pari a 6-8 mesi, che peraltro vengono spesso prorogati.
Con particolare riferimento al contratto di inserimento, vengono mossi rilievi critici rispetto all’opportunità della previsione contenuta nell’Accordo Interconfederale circa la somministra- zione di formazione per un totale di 16 ore, anche perché, ferma l’esiguità di tale periodo, apparirebbe naturale che, in esecuzione del rapporto, venga infine rimessa all’autonomia negoziale delle parti la definizione delle modalità maggiormente adeguate alla gestione del profilo formativo. Inoltre, non essendo previsto alcun organo autonomo deputato alla certifica- zione della formazione (l’Ente bilaterale, infatti, non potrebbe essere considerato un soggetto terzo), la medesima previsione finisce inevitabilmente per acquisire poca utilità pratica. Secondo Unionapi, pertanto, la regolamentazione della formazione, almeno con riferimento al contratto di inserimento, verrà definita nel dettaglio nella contrattazione collettiva aziendale, soprattutto in funzione dei fabbisogni formativi palesati dalle singole imprese.
In generale, inoltre, viene comunicato che, ad ottobre 2004, Unionapi Milano avrebbe ricevuto dalle aziende consociate non più di 15 di richieste di informazioni sul contratto di inserimento e che, dai dati in loro possesso, alla medesima data nella provincia di Milano sarebbero stati stipulati al massimo 15 contratti di inserimento, di cui tre con riferimento a donne over 50. In una sola ipotesi sarebbe stato assunto con tale tipologia contrattuale un giovane di cui alla categoria sub art. 54, co. 1, lett. a) del D.Lgs. n. 276/2003.
Vengono, altresì, manifestati dubbi sull’opportunità di proporre a lavoratori over 50 ed alle lavoratrici la sottoscrizione di un contratto che prevede un sottoinquadramento di 2 livelli, perché questo costituirebbe un forte deterrente dal punto di vista retributivo, visto che determinerebbe una perdita in busta paga stimabile tra i 100 ed i 150 euro al mese. Nella provincia di Milano, infatti, le retribuzioni, oltre al limite tabellare da Ccnl, sono fortemente influenzate dagli importi dei superminimi, differenziati per livello di inquadramento, e questo contribuirebbe a rendere il contratto di inserimento davvero poco appetibile rispetto alle categorie appena evidenziate.
L’Ente bilaterale di di settore è nato a Milano nel 1989 e si è occupato soprattutto della formazione per il Cfl e, seppur con minore intensità, anche della formazione ai lavoratori su temi della sicurezza sui luoghi di lavoro (L. n. 626/1994). Secondo il rappresentante di Unionapi, proprio a fronte della solidità dell’esperienza pregressa, occorrerebbe tornare ad investire sui contenuti della bilateralità e conferire nuova forza, soprattutto per quanto riguarda il contratto di inserimento ed l’apprendistato, alla formazione, anche a distanza (Fad), visto che, almeno in
questo momento, non sembrano sufficienti le richieste per riempire le aule dei centri di formazione.
Viene, infine, argomentata da Unionapi un’interessante riflessione sulla certificazione dei rapporti di lavoro, anche di quello conseguente alla stipula di un contratto di inserimento, seppur tale istituto, specie a causa delle resistenza sindacali, non sia stato ancora attuato a Milano e provincia (almeno sino alla data dell’incontro, ottobre 2004): il rappresentante di Unionapi, infatti, propone, consapevole della costruttiva interazione in sede bilaterale sui temi della formazione, un passaggio sperimentale in cui possano essere adottate prassi di conformità a specifici standard, così come è avvenuto con riferimento all’applicazione dei Cfl nelle commissioni bilaterali.
Sarebbero, a tal fine, necessari schemi di buone pratiche assolutamente condivisi e, solo a seguito del consolidamento dell’esperienza in tal modo avviata, si potrebbe infine arrivare ad introdurre la suddetta certificazione, senza particolari difficoltà e conflitti.
La novità e il mancato dialogo iniziale sulla efficacia di tale istituto, in sintesi, avrebbe reso il confronto sindacale più aspro di quanto non avrebbe potuto essere desunto dalla mera interpretazione delle disposizioni legislative di riferimento.
Per quanto riguarda il contesto datoriale, è stato inoltre possibile incontrare nell’ottobre del 2004 a Torino i rappresentanti delle relazioni industriali di Federapi, associazione che copre il 50% delle aziende metalmeccaniche piemontesi.
È stato confermato come quello attuale sia un periodo davvero difficile per l’aziende presenti in questo territorio: basti considerare come a causa della crisi industriale ed economico- finanziaria che ha interessato la FIAT siano stati persi circa 13.000 posti di lavoro nell’indotto.
Soprattutto a causa delle attuali difficoltà, sarebbero in questo momento davvero rare le nuove assunzioni; anzi verrebbe già considerato un importante risultato la positiva definizione di un accordo di mobilità. Significativo è, in questo senso, il ricorso alla cassa integrazione ordinaria che nel 2003 ha fatto registrare il proprio massimo in Piemonte.
Anche per questo motivazioni, le aziende consociate, dalle informazioni in possesso di Federapi, rispetto al contratto di inserimento, avrebbero sinora mostrato maggiore interesse per altre tipologie contrattuali, tra quelle modificate o introdotte con il D.Lgs. n. 276/2003, come la somministrazione di lavoro ed il lavoro a chiamata, cd. job on call. In queste ipotesi, infatti, i minori oneri economici ed amministrativi che tali tipologie comportano rispetto a contratti di lavoro da cui scaturisce un rapporto di lavoro più duraturo e strutturato sono particolarmente apprezzati dalle aziende.
Tra gli strumenti complessivamente previsti nel D.Lgs. n. 276/2003, tuttavia, dovrebbe essere il contratto di apprendistato, soprattutto per gli incentivi contributivi, l’istituto principe ai fini dell’ingresso nel mercato del lavoro. Ferma questa prima impressione, vengono tuttavia avanzate serie perplessità sulla effettività della formazione che potrà essere somministrata in costanza di esecuzione di tale rapporto di lavoro.
Sul contratto di inserimento, in generale, non è stato possibile raccogliere informazioni, dal momento che i rappresentanti di Federapi hanno comunicato di non aver ricevuto alcuna richiesta di informazioni da parte delle aziende consociate, né, dalle medesime, alcuna comunicazione circa l’avvio di nuove assunzioni con tale tipologia contrattuale.
Nel complesso, il giudizio sul D.Lgs. n. 276/2003 di Xxxxxxxx non è completamente positivo, in quanto lo stesso non sarebbe espressivo di una vera cultura liberista, rimanendo troppo accentuata la regolamentazione del rapporto di lavoro rimessa alla fonte collettiva.
Il ricorso ad una piena flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, infatti, rimane una priorità non ancora pienamente soddisfatta secondo il giudizio delle aziende che ritengono che una ancor maggiore flessibilizzazione dei rapporti di lavoro avrebbe potuto facilitare una organizzazione aziendale più adeguata al mantenimento, ed eventualmente all’incremento, delle quote di mercato e alla soddisfacente e tempestiva evasione degli ordini e delle commesse di volta in volta ricevute dalle singole aziende.
Proprio per questo, i rappresentanti di Federapi rilevano come gli stessi abbiano sovente in- contrato difficoltà nel confronto diretto con i propri associati insoddisfatti dal non potere utiliz- zare in modo ancor più libero le modalità di flessibilizzazione del rapporto di lavoro disponibili dal settembre 2003. Di contro, però, le resistenze sindacali sarebbero state affatto rilevanti ed, a quel punto, la priorità a tutti i livelli di contrattazione è diventata la conclusione, in sé, degli accordi, selezionando le battaglie contrattuali che sarebbe stato necessario effettivamente condurre, rispetto ad altre, giudicate di minore importanza, che sono state, invece, accantonate.
Sempre in Piemonte, il gruppo di lavoro dell’Isfol ha incontrato i vertici della Cgil regionale. È emerso immediatamente come per l’economia piemontese il momento sia tutt’altro che favorevole: le grandi imprese sono in crisi e non assumono personale; molto consistente sarebbe
inoltre il ricorso alla cassa integrazione ed agli ammortizzatori sociali.
Si sarebbe verificato un incremento occupazionale solo nel settore terziario, soprattutto con riferimento all’occupazione femminile e, in particolare, in virtù di un maggiore ricorso, in questo settore, al lavoro part-time.
Inoltre, tutta la contrattazione collettiva aziendale sarebbe, in applicazione di quanto previsto ai sensi del Protocollo del luglio 1993, allo stato bloccata sul confronto per il biennio economico, dal momento che sono ancora in corso o in fase di stallo le trattative per il rinnovo della parte normativa di alcuni tra i più importanti, in termini di lavoratori interessati, accordi collettivi nazionali.
Peraltro, non è stata ancora avviata una nuova stagione di contrattazione collettiva territoriale perché rispetto al II livello manca nei Ccnl un rinvio alla contrattazione confederale; il rinvio ai sensi del Protocollo del luglio 1993 è infatti alla contrattazione di categoria e questa è, come visto, bloccata in questo momento. Solo con riferimento all’artigianato vi sarebbe, invece, una contrattazione collettiva territoriale significativa.
Con specifico riferimento al contratto di inserimento, è stata confermata la scarsa applicazione in Piemonte di tale istituto; sembra, infatti, che le aziende (industria, commercio, artigianato) lo considerino poco interessante, mentre manifestino grande attenzione per l’apprendistato profes- sionalizzante che consentirebbe di assumere manodopera giovanile, a cui sono maggiormente interessate, ad un costo del lavoro sensibilmente più basso.
È stata illustrata una stima per cui sarebbero stati stipulati in Piemonte, almeno sino all’ottobre 2004, non più di 500 contratti d’inserimento; di contro, i contratti di formazione e lavoro effettivamente avviati negli ultimi tre anni erano stati: stati 16.400 nel 2000, 13674 nel 2001 e 11.000 nel 2002. Tale trend negativo del ricorso al Cfl, peraltro, sarebbe stato da addebi- tare non solo ai problemi insorti con l’Unione europea per la disciplina degli aiuti di Stato, ma anche alla stagnazione occupazionale che ha investito, in particolar modo, l’industria.
Allo stesso modo che per Xxxxxxxx, anche la Cgil conferma la forte attesa per l’emanazione della normativa regionale, in tema di apprendistato che dovrebbe permettere di sbloccare l’applicazione di tale istituto riscritto nel settembre del 2003 dal Legislatore. A tale proposito, la Cgil Piemonte auspica che all’interno della disciplina regionale dell’apprendistato venga definito
un limite elevato di ore di formazione (almeno 120) e che tale formazione non venga impartita, come invece sperano le associazioni datoriali, esclusivamente in azienda, ma che vengano organizzati appositi corsi di formazione all’esterno degli stabilimenti produttivi così da ampliare le conoscenze e le professionalità dei lavoratori coinvolti, permettendo a quest’ultimi, successivamente, di spendere tali maggiori conoscenze anche in un contesto aziendale diverso da quello in cui sono stati inizialmente assunti con il contratto di apprendistato.
7. IL SETTORE DELLE TELECOMUNICAZIONI*
7.1 Quadro generale
Il mercato delle Telecomunicazioni (Tlc) in Italia (servizi, apparati, reti e sistemi) si è attestato, alla fine del 2003, su un valore compreso tra i 40,9 miliardi di euro (+ 1,8%), secondo i dati Assinform, ed i 42,1 (+ 3,5%) stimati da Eito, con una crescita pari a più del 5% nel 2004. Le principali aree innovative con un ruolo di driver sono principalmente da riferirsi ai nuovi sistemi di telefonia mobile (Gprs, Umts)203, ai servizi su rete fissa legati alle soluzioni a banda larga (quali Adsl e reti in fibra ottica)204, alle tecnologie (VoIP, ad esempio) per la convergenza voce/dati/video sulla rete Internet e a quelle – basate su IP Vpn – per la trasmissione dei dati.
Nel corso degli ultimi anni, infatti, il settore Tlc ha visto progressivamente accrescere il proprio peso nell’economia italiana, in termini sia di contributo al Pil205 sia di numero di occupati (figg. 2 e 3).
Ciò riflette, peraltro, le ricadute occupazionali legate al processo di “terziarizzazione” che ha investito in via generale tutti i paesi europei, nei quali si è manifestato uno shift tendenzialmente crescente dal settore dell’industria a quello dei servizi (tab. 5).
Sotto tale profilo sembra interessante osservare che, con l’affermarsi di imprese ad “alto contenuto di servizi” ed il contestuale declino del cd. “modello fordista”, si è manifestato un progressivo spostamento del focus dalle figure “tipiche” dell’industria manifatturiera (“average production worker”, secondo la definizione Ocse) a nuove tipologie riconducibili alla sfera dei “lavori non standard”, sebbene la principale connotazione del settore sia da riferirsi all’ampio ricorso al lavoro a tempo parziale, particolarmente adeguato a far fronte all’andamento dei flussi di domanda da parte dell’utenza.
Il comparto Tlc è stato, peraltro, interessato nel nostro paese da un importante processo di liberalizzazione – regolato dalla Authority in materia (Autorità garante delle comunicazioni e del mercato) sulla base delle disposizioni della cd. “legge Maccanico” del 1997 e, successivamente, della L. n. 66/2001 e del “Codice di comunicazione elettronica” del 2003: ciò ha comportato la configurazione di aspetti peculiari legati ad esigenze emergenti del relativo apparato industriale
* A cura di Xxxxxxx Xx Xxxxxxxx.
203 Il mercato delle telecomunicazioni di rete mobile del 2003 (circa 21 miliardi di euro) è il settore che ha dimostrato maggior dinamismo. La sua variazione positiva nel 2003 rispetto al 2002 viene valutata nel 4,7% da Sirmi e nel 6,7% da Assinform; il numero di linee attive di telefonia mobile ha raggiunto una quota complessiva di 51,1 milioni (+6,7% rispetto al 2002). Tale risultato è legato sia alla forte crescita delle utenze Gprs, sia all’avvio dei servizi commerciali su rete Umts (453.000 utenti al 31 dicembre 2003).
204 Il mercato delle telecomunicazioni di rete fissa ha chiuso il 2003 con un valore di circa 20 miliardi di euro e una variazione negativa rispetto al 2002 stimata tra lo 0,5% (Sirmi) e il 3,0% (Assinform).
205 Dai dati dell’“Osservatorio della società dell’informazione”, realizzato da Federcomin e Ministero per l’innovazione e le tecnologie (settembre 2004), si stima per il biennio 2004-05 (2004, consuntivo; 2005, previsioni) una crescita del settore in Italia pari a 4-5 punti sopra quella del Pil (attestandosi ad un 6% tendenziale).
(si pensi, in particolare, alla cd. new economy che ha determinato un profondo mutamento delle figure professionali e della connotazione stessa del rapporto di lavoro).
Conseguentemente, si è manifestata l’esigenza di una regolamentazione ad hoc del settore Tlc, a mezzo di specifico Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl), nato proprio in considerazione dei mutamenti strutturali – di ordine tanto tecnologico quanto più strettamente organizzativo (aziendale e/o del lavoro) – che hanno investito l’industria delle telecomunicazioni nel corso dell’ultimo decennio.
Fig. 2 - Numero addetti nel settore Tlc (Italia, 1991 e 2001)
1991 2001
200000
180000
160000
140000
120000
100000
80000
60000
40000
20000
0
Telecomunicazioni Fabbricaz. e montaggio app.
elettrici per Telecom.
Totale settore Tlc
Fonte: Cnel, Rapporto sul mercato del lavoro 2003.
1991 2001 var.%
Telecomunicazioni 109141 108454 -0,6
Fabbricaz. e montaggio app. elettri 67744 45843 -32,3
Totale settore Tlc 178876 156298 -12,6
Fig. 3 - Variazione % del numero di addetti nel settore delle Tlc (Italia, 1991-2001)
10,0
5,0
0,0
-5,0
-10,0
-15,0
-20,0
-25,0
-30,0
-35,0
-40,0
-0,6
-12,6
-32,3
Telecomunicazioni
Fabbricaz. e montaggio app. elettrici per Telecom.
Totale settore Tlc
Fonte: Cnel, Rapporto sul mercato del lavoro 2003.
Tab. 5 - Quota dell’occupazione nel settore Tlc (UE15, 2003)
Paesi | Ind. manifatturiera | Servizi | di cui: | Tlc |
Austria | 26,4 | 73,4 | 23,6 | |
Belgio | 22,2 | 75,6 | 23,8 | |
Danimarca | 22,2 | 74,5 | 33,5 | |
Finlandia | 26,0 | 68,9 | 24,2 | |
Francia | 21,6 | 74,3 | n.d. | |
Germania | 27,2 | 70,3 | 37,8 | |
Grecia | 23,4 | 60,6 | n.d. | |
Irlanda | 27,7 | 65,8 | n.d. | |
Paesi Bassi | 19,0 | 77,7 | 22,2 | |
Portogallo | 32,3 | 55,0 | 27,8 | |
Regno Unito | 18,7 | 80,4 | 21,3 | |
Spagna | 29,1 | 65,3 | 22,4 | |
Svezia | 22,8 | 74,8 | 16,1 | |
Italia | 29,1 | 66,5 | 21,1 | |
UE 15 | 24,6 | 71,4 | 22,1 |
Fonte: elaborazione su dati Cnel (Rapporto sulla Tecnologia dell’Informazione e della Comunicazione in Italia, 2004) e Commissione europea (Employment in Europe 2004).
7.2 Contrattazione collettiva
Il primo (e, ad oggi, ultimo 206 ) Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl)207 per le Telecomunicazioni, sottoscritto da Confindustria e Cgil-Cisl-Uil il 28 giugno del 2000 (con scadenza della parte normativa il 31 dicembre 2004), è stato, essenzialmente, concepito nell’ottica di elaborare forme di tutela omogeneamente applicabili all’intero comparto Tlc, nel quale, proprio in virtù del processo di liberalizzazione del mercato di riferimento, cominciava ad affacciarsi una pluralità di soggetti in posizione di (potenziale) concorrenza all’ex monopolista Telecom Italia. Ciò anche per colmare un sempre meno giustificabile vuoto legislativo dovuto al “frazionamento contrattuale” vigente prima della stipula del Ccnl; fino ad allora, infatti, i lavoratori dell’area risultavano collocati in diversi ambiti: dal contratto dei metalmeccanici a quello del commercio (per molte software house e web agency) e dei bancari (nel caso di aziende di informatica legate a banche e assicurazioni) o dei grafici/aziende editoriali (per diverse imprese di informazione ed editoria multimediale). La contrattazione sviluppatasi nel corso dell’ultimo quadriennio ha inteso sostanzialmente armonizzare gli accordi collettivi nazionali ed aziendali nel senso di un complessivo nuovo assetto contrattuale delle Tlc208. Tale azione di armonizzazione ha riguardato il contratto nazionale proprio del gruppo delle aziende Telecom, Tiscali, Infostrada (New Wind), Vodafone-Omnitel, Albacom, Colt, Atlanet come pure i preesistenti contratti aziendali e di Gruppo di Wind, Blu, Telecom, Vodafone-Omnitel, Albacom, Infostrada. Ad oggi, il settore delle Telecomunicazioni non ha ancora conosciuto un’effettiva regolamentazione del contratto di inserimento dal momento che – come sopra accennato – il Ccnl
206 Il presente rapporto è stato redatto nel mese di dicembre 2004.
207 Si ricorda, in tale contesto, che il Ccnl italiano si configura come il secondo esempio di contratto nazionale dedicato alle Tlc in Europa.
208 Il punto di partenza per la realizzazione di un contratto ad hoc per il settore della telefonia è stato costituito da Telecom Italia, cui hanno fatto seguito Tim, Finsiel, Wind (dicembre 2001) e Vodafone-Omnitel (novembre 2003).
stipulato nel 2000, ben prima dell’introduzione del D.Lgs. n. 276/2003, è tuttora in vigore. Quest’ultimo Ccnl, dunque, non contempla specifiche previsioni in relazione alla nuova tipologia del “contratto di inserimento lavorativo”, che sarà verosimilmente oggetto di confronto in occasione del prossimo rinnovo, anche in virtù dell’Accordo interconfederale dell’11 febbraio 2004. Sebbene in relazione all’“inserimento” propriamente detto non risultino ad oggi accordi aziendali, è importante segnalare sul tema l’Accordo del 24 maggio 2004 tra Telecom Italia, Atesia, Telecontact Center e Cgil, Cisl e Uil, con il quale si è previsto l’uso di tale strumento a partire dal 2005 per un elevato numero di lavoratori.
7.3 Confronto sindacale
Nel corso delle nostre interviste209 è stato a più riprese ribadito come si sia effettivamente verificato nel tempo un progressivo avvicinarsi della categoria di rappresentanza degli interessi datoriali a quella sindacale (e viceversa), in funzione della definizione di nuove condizioni di lavoro, anche per sopravvenute dinamiche concorrenziali legate al processo di liberalizzazione del mercato di riferimento. Ciò naturalmente ha concorso a creare, in sede di stipula dell’attuale Ccnl, un clima ampiamente e reciprocamente propositivo che ha permesso di negoziare una piattaforma condivisa e ad oggi consolidata210.
Non sono mancati, tuttavia, momenti importanti di dissenso: ad esempio, lo sciopero proclamato dai sindacati dei dipendenti Vodafone Omnitel contro il passaggio dal contratto metalmeccanico (al quale si riconducevano i lavoratori dell’ex Olivetti, visto come quest’ultimo era il Ccnl applicato in azienda prima della cessione dell’azienda al Gruppo Mannesmann, prima, ed a Vodafone, dopo), a quello delle telecomunicazioni (che si è formalmente concretizzato il 1° gennaio 2003). Ciò essenzialmente a motivo dei timori legati alle problematiche di competitività, salari, orari di lavoro, professionalità relative all’industria metalmeccanica ed alle connesse difficoltà di misurarsi sulla realtà aziendale di un settore, quale appunto quello dell’Information & Communication Technology (Ict), profondamente diverso da quelli “tradizionali” ed in piena fase di “start-up”211.
A giudizio del sindacato, particolarmente significativo è l’accordo raggiunto nel maggio 2004 dai sindacati con le associazioni datoriali con riferimento al call center di Telecom-Atesia in cui erano operativi oltre 4.000 xx.xx.xx. e solo 177 addetti con rapporto di lavoro di tipo subordinato. Grazie all’intesa, è stato delineato un percorso finalizzato alla stabilizzazione professionale degli addetti Atesia, prevedendo, nello specifico, la trasformazione del 70% dei “contratti di
209 Nel presente paragrafo si riporta quanto emerso in sede di intervista ai responsabili della contrattazione a livello di associazioni sindacale (in particolare, la dott.ssa Xxxxxxxx Xxxxxxxxx dell’Ufficio legale del Sindacato dei lavoratori delle Comunicazioni-Slc, sentita in data 25 novembre 2004) e organizzazioni di rappresentanza degli interessi datoriali (nello specifico, l’Associazione industriale di categoria che raggruppa tutte le Società di Tlc (Asstel), con intervista, datata data 9 dicembre 2004, al xxxx. Xxxxx Xxxxxxx).
210 L’intero processo di negoziazione contrattuale si è avvalso della fattiva partecipazione delle rappresentanze aziendali con la verifica decisionale delle assemblee dei lavoratori, ed è scaturito nella stipula del Ccnl attualmente in vigore in cui sono state ricercate le soluzioni più “avanzate” possibili, riducendo quantitativamente – e, ove possibile, qualitativamente – le differenze fra vecchi e nuovi assunti. La parte riguardante gli orari ha visto il consolidamento e l’estensione delle normative esistenti a livello nazionale ed aziendale a tutti i lavoratori.
211 La principale preoccupazione dei rappresentanti sindacali verteva sul pieno mantenimento di alcuni istituti (quali, in particolare, concessione dei permessi retribuiti ed entità della contribuzione a carico dell’azienda per il fondo pensionistico complementare) che caratterizzavano il Ccnl metalmeccanico.
collaborazione” in rapporti di lavoro subordinato o, se relativi a commesse a termine, in “contratti a progetto”.
In questo accordo, inoltre, è stato concordato che Xxxxxx continuerà a gestire le attività Tim, avvalendosi di 1.100 addetti con rapporto di apprendistato, 550 addetti con contratti di inserimento e 1.350 addetti con tratto di lavoro a progetto, ed, ancora, che una quota di controllo su di essa verrà ceduta a un importante operatore nazionale di settore.
L’accordo è tanto più importante in quanto comprende (anche) la previsione di un riassetto della struttura aziendale, con lo scorporo da Atesia e la conseguente cessione a Telecontat (società collegata a Telecom, che è titolare del 100% del pacchetto azionario) del ramo d’azienda che si occupa di telefonia fissa; in base a tale riassetto in quest’ultima società saranno impegnati circa 750 addetti somministratati da agenzie per il lavoro ed altri 600 lavoratori assunti con contratto di apprendistato o di inserimento.
Da parte delle associazioni sindacali maggiormente rappresentative sono state sollevate, nell’arco del trascorso quadriennio, alcune questioni legate principalmente al rischio di “precarizzazione” dei rapporti di lavoro, alla diminuzione di occupazione negli appalti industriali, all’aumento del ricorso al lavoro sommerso, all’incremento di attività in outsourcing e alla cessione di rami d’azienda. I sindacati dei lavoratori ritengono, inoltre, che i processi di innovazione tecnologica, unitamente a quelli organizzativi e di mercato, abbiano determinato importanti modifiche dei contenuti e delle modalità della prestazione professionale, tali da lasciare ampio (in alcuni frangenti, eccessivo) margine all’utilizzo di tipologie contrattuali “flessibili” che consentono anche inquadramenti inferiori rispetto alla qualifica da acquisire. La gestione del contratto sin qui attuata, si sostiene, non avrebbe consentito di realizzare l’intreccio individuato dal Ccnl tra formazione e sviluppo degli inquadramenti e quindi la riforma di quest’ultimo. In tale contesto le aziende hanno utilizzato l’inquadramento previsto dal contratto in modo difforme creando notevoli differenze che vanno superate e risposto alle mutate condizioni professionali con strumenti non coerenti come gli incentivi individuali212.
Una delle richieste ipotizzate in sede sindacale, peraltro, è quella di estendere l’applicazione del Ccnl alle aziende che gestiscono servizi di call center e customer-care collegate alle imprese telefoniche, alle imprese di informatica applicata alle Tlc (sviluppo, esercizio software), a quelle che forniscono servizi di rete e alle aziende di “contenuti” (configurazione dei portali Internet, network-provider, servizi multimediali, e-learning, business-to-consumer)213.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, si propone di fare riferimento agli strumenti contrattuali già previsti nel Ccnl (contratti a termine, part-time, lavoro temporaneo) e a recepire gli accordi e gli orientamenti confederali in materia di contratti di inserimento e di apprendistato. Nello specifico del contratto di inserimento, si pone la necessità di definire ex novo regole specifiche per il settore. Emerge, peraltro, un possibile conflitto in ordine alla cd. “franchigia”, meccanismo grazie al quale – secondo la visione del sindacato Slg-Cgil, dichiaratosi fortemente
212 Si veda in proposito la bozza congiunta per il rinnovo del Ccnl delle Tlc elaborata da Slc-Cgil (Sindacato lavoratori comunicazione), FISTel-Cisl, (Federazione informazione spettacolo e telecomunicazioni), Uilcom- Uil (Unione italiana lavoratori della comunicazione), novembre 2004.
213 Ciò, ad auspicio dei sindacati, dovrebbe consentire di: superare le differenze in termini di inquadramento, tra aziende di diversi settori, di figure quali addetto customer, tecnico, impiegato amministrativo (supervisione e controllo, assistenza, ecc.); ridefinire i profili professionali (e relativi percorsi formativi) a livello di settore afferenti le diverse declaratorie adeguandoli alle modifiche dell’area di applicazione del Ccnl (es. Informatica, Spaziale, Logistica, Servizi amministrativi) ed alla evoluzione degli stessi legata ai processi produttivi.
critico verso l’ultima legislazione nazionale di riforma del mercato del lavoro – si può teoricamente continuare ad assumere sine die con successivi “contratti di inserimento”214; in tale contesto, si è, peraltro, sottolineato l’aspetto di “non obbligatorietà” per l’“inserimento” di un progetto ad hoc di formazione professionale (che, diversamente, accompagnava il Cfl), cui poi si è ovviato a mezzo dell’Accordo interconfederale sopra menzionato215.
Interessante è parsa la considerazione di Asstel che osserva come, mentre per il part-time può utilmente ipotizzarsi una modulazione di aspetti applicativi dello stesso (si pensi, ad esempio, alla turnazione) a livello aziendale216, rispetto al contratto di inserimento si presenti l’opportunità di concordare modalità applicative dello stesso a livello di Associazione, in modo che siano condivise/condivisibili dalla totalità delle aziende rappresentate.
Rispetto ad eventuali “effetti discriminatori” che l’adozione dell’istituto contrattuale in esame potrebbe comportare sulle condizioni dei lavoratori, l’intervistato per Asstel esclude tale possibilità, richiamando l’attenzione, in particolare, sul fatto che tale tipologia di assunzione, prevista in sostituzione del “contratto di formazione e lavoro”, ne riprende sostanzialmente la finalità, mirando, dunque, ad inserire in azienda risorse da sviluppare professionalmente. In tale contesto, si è ricordato come nel passato il tasso di stabilizzazione del Cfl sia stato particolarmente elevato nel settore Tlc.
Si condivide, peraltro, la ratio sottesa alla normativa di riforma che, in primo luogo, ha dovuto far fronte alle richieste comunitarie relative alla rimodulazione del Cfl (per incompatibilità della pertinente regolamentazione con la disciplina sugli Aiuti di Stato, ndr); in quanto di ciò consapevole, il sistema industriale nel suo complesso attendeva la razionalizzazione dell’impianto normativo sui contratti di lavoro cd. a causa mista.
Il rinnovato impianto legislativo ha, a giudizio dell’intervistato, sistematizzato gli strumenti contrattuali in maniera che fossero complementari gli uni agli altri: il riformato contratto di apprendistato, ad esempio, se pur scarsamente utilizzato nel settore Tlc, laddove “combinato” con l’inserimento può efficacemente sostituire il Cfl, di cui le aziende sembrano oggi in qualche modo “nostalgiche”.
Peraltro si è sottolineato come aziende importanti del settore, quali, in particolare, Telecom, abbiano nel passato con contratti di formazione e lavoro persone con qualifiche elevate o comunque con buone potenzialità; si presume, quindi, che tale fenomeno venga riconfermato anche con il contratto di inserimento, una volta che lo stesso sarà entrato a pieno regime.
Si pone, però, come più volte dichiarato, anche da parte dei responsabili delle aziende del set- tore, la necessità di rendere il quadro normativo il più possibile chiaro e completo, specificando, in particolare, l’aspetto del sistema degli incentivi di ordine economico-contributivo alle aziende.
214 Si ricorda che la nuova normativa, innovando la disciplina dei preesistenti Cfl, prevede, appunto, una franchigia – che deve ritenersi mobile – di quattro contratti non trasformati che vanno ulteriormente sottratti dal computo prima di verificare la condizione del mantenimento del 60 per cento dei lavoratori assunti con contratto di inserimento nei 18 mesi precedenti.
215 A tal proposito, l’organizzazione di rappresentanza delle aziende del settore (Asstel) ha contribuito all’individuazione delle modalità del progetto individuale d’inserimento, partecipando ai gruppi di lavoro di Confindustria e assistendo le Associate.
216 Emblematica sembra, a tal proposito, l’esperienza della H3g (per la quale si rinvia al par. 7.4 del presente capitolo) che ha esplicitato la necessità di garantire la propria visibilità sui “turni”; si ricorda, in particolare, come per l’azienda in questione, analogamente ad altre del settore, si presentino peculiarità – e relative problematiche – tipiche delle imprese in fase di start-up (Umts, nel caso di specie), fase particolarmente durevole quando si consideri le caratteristiche del ramo produttivo ad oggetto.