DOTTORATO DI RICERCA
Università degli Studi di Cagliari
“IL DIRITTO DEI CONTRATTI”
Ciclo XXIII
AUTONOMIA TESTAMENTARIA E TUTELA DEI LEGITTIMARI
Settore scientifico disciplinare di afferenza IUS/01 DIRITTO PRIVATO
Presentata da: Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx Coordinatore Dottorato: Prof. ssa Xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxx: Xxxx. Xxxxx Xxxxxx
Esame finale anno accademico 2009 - 2010
A Xxxxxxxxx Xxxxxx
INDICE
Premessa 5
CAPITOLO I 9
Autonomia privata e diritto successorio
1. Autonomia privata, autonomia testamentaria e 9
natura giuridica del testamento.
2. La causa del negozio a causa di morte 21
3. L‟evento morte e la sua relazione con il negozio testamentario 26
4. Questioni relative all‟applicabilità dell‟art. 1322 c.c.
al testamento 31
5. I limiti all‟autonomia testamentaria 37
CAPITOLO II 45
“Diseredazione”: esclusione, dalla successione ab intestato, di un successore non legittimario
1. Significato del termine “diseredazione” 45
2. Il problema della validità di una scheda testamentaria contenente soltanto la clausola di “diseredazione” di
un successore non necessario 48
3. Analisi storica dell‟istituto 52
4. Differenze rispetto alle seguenti figure: la preterizione,
la revoca di precedenti disposizioni testamentarie e l‟indegnità 64
CAPITOLO III 76
Argomenti contro e argomenti a favore della clausola di “diseredazione”
1. L‟inammissibilità di un testamento contenente
solo la clausola di “diseredazione” di un successore ab intestato 76
2. Validità della disposizione che impedisce la vocazione
ex lege dell‟escluso 82
3. Tesi che subordina la validità della clausola di “diseredazione” alla possibilità di ricavare,
in via ermeneutica, un‟istituzione implicita a favore dei
successibili ex lege non esclusi 94
4. Problemi interpretativi relativi alla clausola di
“diseredazione” e disciplina applicabile 102
5. La questione dell‟operatività della rappresentazione
a favore dei discendenti dell‟escluso 107
CAPITOLO IV
Diseredazione e tutela dei legittimari 111
1. I caratteri della successione necessaria e il principio 111
di intangibilità della legittima.
2. L‟acquisto della qualità di erede nel vigente sistema successorio 118
3. La posizione giuridica del legittimario pretermesso 135
4. La diseredazione di un successore necessario, l‟istituzione
nella quota di riserva e il legato in sostituzione di legittima 141
5. La successione necessaria e le istanze di riforma 148
BIBLIOGRAFIA 153
PREMESSA
È ampiamente dibattuto se i privati, nell‟esercizio dell‟autonomia negoziale, possano ricorrere a strumenti diversi dal testamento al fine di disporre delle proprie sostanze per il tempo successivo alla morte. È discusso, altresì, se sia riconosciuta al testatore la possibilità, nei limiti imposti dalla legge, di determinare liberamente il contenuto dell‟atto di ultima volontà.
La risoluzione delle questioni in esame presuppone, in primis, un‟attenta analisi della categoria del negozio giuridico e del concetto di autonomia privata ex art. 1322 c.c. Soltanto prendendo le mosse da tali premesse è possibile comprendere i tratti distintivi del testamento, la cui funzione, come emerge dal dettato legislativo (art. 587 c.c.), è quella di determinare la sorte dei rapporti giuridici di un soggetto per il tempo successivo alla sua morte.
L‟esigenza di garantire la continuità dei rapporti giuridici facenti capo al de cuius ha reso l‟atto di ultima volontà uno strumento insostituibile per assicurare la tutela di interessi costituzionalmente garantiti e il rispetto di principi quali la personalità dell‟individuo (art. 2 Cost.), la proprietà privata (art. 42 Cost.) ed il risparmio (art. 47 Cost.).
Nella presente trattazione, sarà affrontata la dibattuta questione della natura giuridica del testamento e saranno analizzati i principali orientamenti dottrinali in materia. Si può anticipare, fin d‟ora, che la soluzione più convincente sembra essere quella abbracciata dalla dottrina prevalente, ai sensi della quale le disposizioni testamentarie avrebbero natura negoziale e sarebbero espressione dell‟autonomia privata. La volontà del testatore, lungi dall‟avere solo la funzione di indirizzare la vocazione, sarebbe la fonte della vicenda successoria, della quale determinerebbe il destinatario e l‟oggetto. L‟intervento della legge in ordine alla regola predisposta dal privato costituirebbe la reazione comune dell‟ordinamento di fronte a tutti gli atti con i quali i soggetti dispongono della propria sfera giuridica. Pertanto, la natura negoziale del testamento non sarebbe esclusa dalla previsione di effetti legali, destinati a verificarsi indipendentemente dalla volontà del testatore e anche contro la volontà di questi.
Potendo il negozio mortis causa contenere clausole di vario tipo, occorre domandarsi se in esso vi sia un‟unica causa o se, piuttosto, siano ravvisabili tante cause distinte quante sono le singole disposizioni che lo compongono. Nel presente lavoro, si darà ampio risalto sia alla tesi secondo la quale ogni clausola presupporrebbe una propria causa sia a quella secondo cui le determinazioni del testatore, complessivamente considerate, rappresenterebbero i diversi modi attraverso i quali la causa (unica) dell‟atto troverebbe concreta realizzazione.
Una volta risolta in senso positivo la questione relativa alla natura negoziale del testamento, sarà necessario verificare l‟applicabilità, in materia successoria, del principio di autonomia privata di cui all‟art. 1322 c.c. Considerato che l‟art. 1324 c.c., nel prevedere l‟applicabilità delle norme sui contratti agli atti unilaterali, si riferisce, letteralmente, ai soli atti tra vivi aventi contenuto patrimoniale, è fortemente discusso se la disciplina di cui agli artt. 1321 ss. c.c. possa essere richiamata anche in materia testamentaria. La questione in esame, lungi dal rivestire importanza meramente teorica, consentirà di stabilire entro quali limiti possa esplicarsi la libertà di testare e quali disposizioni possano essere contenute in un testamento.
Tra i limiti all‟autonomia testamentaria, merita particolare attenzione la cosiddetta clausola di diseredazione, clausola con la quale l‟ereditando esclude che una determinata persona possa essere chiamata alla sua eredità.
L‟analisi del significato del termine “diseredazione” e un approfondito excursus storico dell‟istituto saranno utili al fine di comprendere la problematica de qua. In particolare, si osserverà come l‟espressione “diseredazione”, stante il principio di intangibilità della legittima (artt. 457, comma 3, e 549 c.c.), non riguardi i legittimari, bensì indichi l‟esclusione, dalla delazione ab intestato, dei successori non necessari. Sotto il profilo storico, sarà esaminata la figura della exheredatio nel diritto romano, a partire dalla prima fase dell‟epoca arcaica, continuando con il periodo preclassico e classico, per concludere, infine, con l‟epoca postclassica e giustinianea. Sarà oggetto di studio anche la successiva evoluzione dell‟istituto fino ad arrivare al Codice Napoleonico, al Codice Civile del 1865 e, infine, al codice attualmente in vigore.
Saranno, poi, messe in luce le principali differenze tra la clausola di esclusione dalla successione e figure che, con essa, presentano alcuni punti di contatto: la preterizione, la revoca di precedenti disposizioni testamentarie e l‟indegnità. In particolare, sarà oggetto di analisi la pretermissione, che si verifica nell‟ipotesi in cui il testatore, al fine di escludere un determinato successore, esaurisca l‟intero asse ereditario, prevedendo l‟attribuzione di beni a favore di altri soggetti e, eventualmente, disponendo sostituzioni a catena per il caso in cui gli eredi e/o i legatari non possano o non vogliano, rispettivamente, accettare l‟eredità o conseguire il legato (artt. 688 e 691 c.c.).
In mancanza di una disciplina positiva sulla diseredazione, occorre domandarsi se il testatore, al di fuori del campo di azione della successione necessaria, possa escludere dall‟eredità un potenziale erede ab intestato mediante una volontà espressa di segno negativo. Al riguardo, la quasi unanime dottrina non ravvisa particolari problemi nel caso in cui la cosiddetta clausola di diseredazione si accompagni a disposizioni attributive a favore di altri soggetti. Il problema nasce, invece, nell‟ipotesi in cui la scheda testamentaria non preveda alcuna disposizione positiva, ma si limiti a esprimere la volontà (negativa) di escludere dalla successione uno o più soggetti.
Attraverso l‟analisi delle tesi sostenute dalla dottrina e mediante l‟esame delle pronunce giurisprudenziali, si cercherà di chiarire se il testatore, nell‟esercizio dell‟autonomia privata, possa manifestare una volontà, la quale non sia volta ad attribuire beni a determinati soggetti, bensì sia diretta esclusivamente a diseredare uno o più successibili ex lege (purché non legittimari). Saranno, così, analizzati i principali orientamenti in materia: quello che esclude la validità della clausola suddetta, quello che ne riconosce tout court l‟ammissibilità e, infine, quello che, al fine di attenuare le conseguenze negative dell‟invalidità di un testamento contenente la diseredazione, accoglie una soluzione di compromesso, escludendo la sanzione della nullità nell‟ipotesi in cui, dalla clausola di esclusione dalla successione, si possa ricavare, implicitamente, la non equivoca volontà di istituire eredi i soggetti non esclusi.
Saranno oggetto di approfondimento anche i principali problemi interpretativi connessi alla clausola di diseredazione, il più importante dei quali
è, senza dubbio, quello relativo all‟operatività del meccanismo della rappresentazione (artt. 467 ss. c.c.) a favore dei discendenti dell‟escluso.
L‟ultima parte del lavoro sarà dedicata all‟analisi della disciplina della successione necessaria e al principio di intangibilità della legittima. Dopo aver approfondito le problematiche relative alla natura giuridica dell‟eredità e all‟acquisto della qualità di erede nel vigente sistema successorio, sarà dedicato ampio spazio alla posizione giuridica del legittimario pretermesso nonché agli effetti giuridici conseguenti alla diseredazione di un successore necessario.
Relativamente ai legittimari, saranno esaminate le ipotesi di esclusione dei medesimi dalla porzione disponibile: l‟istituzione di erede nella quota di riserva ed il legato in sostituzione di legittima.
La ricerca si concluderà, infine, con una riflessione sulle regole a tutela dei successori necessari e sull‟opportunità, in una prospettiva de iure condendo, di conservare la relativa disciplina nel nostro sistema giuridico.
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CAPITOLO I
Autonomia privata e diritto successorio
SOMMARIO: 1. Autonomia privata, autonomia testamentaria e natura giuridica del testamento – 2. La causa del negozio a causa di morte – 3. L’evento morte e la sua relazione con il negozio testamentario – 4. Questioni relative all’applicabilità dell’art. 1322 c.c. al testamento – 5. I limiti all’autonomia testamentaria.
Paragrafo 1
Autonomia privata, autonomia testamentaria e natura giuridica del
testamento
Il potere, riconosciuto al testatore, di regolare i propri interessi per il periodo successivo alla morte è espressione del principio di autonomia negoziale ex art. 1322 c.c. (1). Ai fini della presente trattazione, sarà utile, seppur prescindendo da un‟analisi dettagliata delle singole tesi, premettere
(1) Per l‟analisi del concetto di successione e, più specificamente, per l‟esame della nozione di successione mortis causa, v. X. XXXXXX, Principi di diritto testamentario, Torino, 1957, p. 9 ss.; X. XXXXXXXX, Le successioni e le donazioni, Padova, 1982, p. 3 ss.; X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, Milano, 1941, p. 4 ss.; C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia - Le successioni, Milano, 2005, p. 529 ss.; X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, in Tratt. dir. priv. diretto da X. XXXXXXXX, volume 6, Xxxx XX, Successioni, Torino, 1997, p. 5 ss.; X. XXXXXXXX, Diritto delle successioni, Roma, 2004, p. 5 ss.; ID, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2006, p. 1 ss. e 25 ss.; ID, Nozioni di diritto ereditario, Torino, 1993, p. 1 ss e
16 ss.; X. XXXXXXX, voce: “Successione, II) Successione a causa di morte”, in Enc. giur. Treccani, XXX, Roma, 1993, p. 1 ss.; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, Milano, 2002, p. 5 ss. e 11 ss.; X. XXXXXXX FERRARA, Le successioni per causa di morte, I) Parte generale, Xxxx I, Xxxxxxxx – Problemi fondamentali, Napoli, 1959, p. 30 ss. e 37 ss.; X. XXXXXXXXX, voce: “Successione, I) Profili generali”, in Enc. giur. Treccani, XXX, Roma, 1993, p. 1 ss.; A. DE CUPIS, voce: “Successione, I) Successione nei diritti e negli obblighi”, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1250 ss.; ID, voce: “Successione, II) Successione ereditaria, a) Diritto privato”, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1257 ss.; M. DI XXXXX, Le successioni nel diritto comparato, in Successioni e donazioni a cura di X. XXXXXXXX, Xxxxxx XX, Xxxxxx, 0000, p. 448 ss.; X. XXXXX, Successioni in generale, in Comm. cod. civ. a cura di X. XXXXXXXX e X. XXXXXX, Libro secondo: Successioni. Artt. 456 – 511, Bologna – Roma, 1980, p. 1 ss.; X. XXXXXX‟, voce: “Successione nei diritti”, in Noviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1971, p. 605 ss.; X. XXXXXXXXXXX, voce: “Successioni (diritto civile): parte generale”, in Noviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1971, p. 748 ss.; X. XXXXXXX, Le successioni in diritto comparato, Torino, 2002, p. 1 ss.
brevi cenni sul concetto di autonomia privata e analizzare i tratti salienti della figura del negozio giuridico (2).
Come è noto, la codificazione vigente, differenziandosi dal codice germanico, non contiene una nozione e una regolamentazione generale del negozio giuridico, i cui tratti essenziali sono stati delineati dalla dottrina. I negozi giuridici sono manifestazioni di volontà con le quali i privati regolano i propri interessi nei rapporti reciproci, creando, modificando, accertando o estinguendo rapporti giuridici. In base alla concezione che esalta la volontà creatrice dell‟individuo (concezione soggettiva), l‟atto di autonomia privata si caratterizzerebbe non soltanto per la coscienza e la volontarietà dell‟atto (3), ma anche per la consapevolezza e la volontarietà degli effetti giuridici (4): la volontà
(2) La bibliografia in materia di negozio giuridico è molto ampia. Senza presunzione di completezza, si possono indicare le opere che seguono. Tra le opere generali: X. XXXXXX, La teoria generale del contratto, Torino, 1955, p. 1 ss.; X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico (Ristampa corretta della II edizione), Napoli, 1994, p. 43 ss.; C. M. XXXXXX, Diritto civile, 3 - Il contratto, Milano, 2000, p. 7 ss.; X. XXXXXXX FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1966, p. 1 ss.; X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. e xxxx. già diretto da X. XXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX e continuato da X. XXXXXXXXXXX, Xxxxxx, 0000,
p. 17 ss.; X. XXXXX, Xx xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 23 ss.; X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, p. 125 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1969, p. 1 ss.; X. XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961, p. 1 ss. Il tema è trattato diffusamente anche nella manualistica: X. XXXXXXX, Diritto privato, Padova, 2008, p. 221 ss.; X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, Napoli, 2007, p. 769 ss.; X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, Milano, 2009, p. 193 ss.; A.
TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 2005, p. 99 ss.; X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2007, p. 151 ss.; X. XXXXXX, Diritto civile. Lezioni, Napoli, 2008, p. 63 ss.
Per le voci enciclopediche: X. XXXXXXX, voce: “Negozio giuridico, II) Diritto privato, a) Premesse problematiche e dottrine generali”, in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, p. 932 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, voce: “Negozio giuridico, I) Profili generali”, in Enc. giur. Xxxxxxxx, XX, Xxxx, 0000, p. 1 ss.
(3) Per la distinzione tra fatti giuridici, atti giuridici e atti negoziali, v. X. XXXXX, voce: “Atti giuridici”, in Noviss. Dig. it., I, 2, Torino, 1958, p. 1504 ss.; ID, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 9 ss.; X. XXXXXX, voce: “Fatto giuridico”, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 941 ss.; X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, cit., p. 1 ss.; X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 81 ss.; X. XXXXXXX, voce: “Fatto giuridico – Fattispecie”, in Noviss. Dig. it., VII, Torino, 1961, p. 111 ss.; X. XXXXXXXXX, voce: “Fatto giuridico”, in Enc. giur. Treccani, XIV, Roma, 1989, p. 1 ss.; X. XXXXXXXX, voce: “Atto giuridico, I) Diritto privato”, in Enc. giur. Xxxxxxxx, XX, Xxxx, 0000, p. 1 ss.;
X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, voce: “Atto giuridico (diritto privato)”, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 203 ss.; ID, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 106; X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, cit., p. 157 ss.; X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto civile, cit., p. 80 ss.; X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto privato, cit., p. 52 ss.; X. XXXXXX, Diritto civile. Lezioni, cit., p. 61 ss.
(4) Si tratta della nota definizione di F. C. VON SAVIGNY, System des heutigen romischen Rechts, Berlin, 1840. La teoria del negozio giuridico, ignota ai giureconsulti romani, è stata delineata dai giuristi del XVII secolo e ha raggiunto il suo pieno sviluppo nella seconda metà del XIX secolo, grazie all‟opera dei Pandettisti tedeschi, i quali osservarono come fenomeni diversi del diritto civile quali, ad esempio, il matrimonio, il contratto e il testamento, presentassero una nota comune: una manifestazione di volontà alla quale l‟ordinamento ricollega la produzione di determinati effetti giuridici, conformi al contenuto della volizione. Sulle origini della categoria del negozio giuridico, cfr. C. M. XXXXXX, Diritto civile, 3 - Il contratto, cit., p. 7 ss.; X. XXXXXXX, Autonomia privata nei contratti e negli altri atti giuridici, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x. 000.
dell‟uomo, manifestandosi all‟esterno, sarebbe diretta a realizzare effetti giuridici conformi agli effetti pratici voluti dal medesimo soggetto agente (5).
Considerata l‟incidenza degli atti negoziali sugli interessi di altri soggetti, parte della dottrina ha avvertito l‟esigenza di garantire la sicurezza delle relazioni economiche, introducendo i correttivi dell‟autoresponsabilità e dell‟affidamento (6): si tratta di precisazioni, che segnano il superamento della concezione puramente volontaristica del negozio giuridico, senza tuttavia snaturare l‟essenza dell‟atto di autonomia privata, inteso come espressione della volontà individuale (7).
(5) E‟ discusso se gli effetti giuridici siano il risultato diretto e immediato della volontà privata o se si producano soltanto a seguito del comando normativo. In base a un primo orientamento, sarebbe la volontà dei privati a dar vita agli effetti giuridici e l‟ordinamento avrebbe solo la funzione di porre limiti esterni all‟autonomia negoziale, limiti rappresentati dalle norme imperative, dall‟ordine pubblico e dal buon costume. I fautori di tale tesi affermano che la volontà degli effetti non implicherebbe, tuttavia, la consapevolezza della “costruzione giuridica” degli effetti medesimi e precisano, altresì, che non tutti gli effetti sarebbero stabiliti dalla volontà delle parti, potendo il rapporto contrattuale essere determinato anche dalla legge e da altre fonti esterne al contratto (c.d. fonti eteronome). Tale tesi si espone ad alcune obiezioni di fondo. In primis, si osserva che, se si aderisse a tale impostazione, qualsiasi atto, seppure privo di una funzione socialmente apprezzabile, potrebbe, purché sorretto dall‟intento delle parti, produrre gli effetti di un negozio giuridico. In secondo luogo, si osserva che, se si accogliesse tale tesi, ci si dovrebbe interrogare sull‟ammissibilità di una volontà negativa delle parti, volta a escludere la rilevanza degli effetti giuridici prodottisi. Secondo un altro orientamento, le parti del negozio giuridico mirerebbero esclusivamente alla realizzazione di un risultato pratico, che il diritto prenderebbe in considerazione: il negozio sarebbe la fattispecie produttiva degli effetti, che l‟ordinamento ad essa ricollega, effetti conformi a quelli voluti dai privati. Sul punto, v. X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 775 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, voce: “Negozio giuridico, I) Profili generali”, cit., p. 4; X. XXXXXX, Il negozio giuridico è un atto di volontà, in Giur. it., 1948, IV, p. 41 ss.
(6) In forza del principio di autoresponsabilità, colui che effettua una dichiarazione negoziale può essere giuridicamente vincolato anche per una dichiarazione non conforme alla volontà reale e, addirittura, per un atto che non abbia realmente voluto. Sul punto, vedi C. M. XXXXXX, Diritto civile, 3 - Il contratto, cit., p. 21 ss., il quale illustra la stretta correlazione tra il principio di autoresponsabilità e quello di affidamento. L‟Autore precisa che colui che immette dichiarazioni negoziali nel traffico giuridico (o tiene un comportamento che abbia un significato negoziale) determina, nel destinatario, “l’affidamento che l’atto sia serio e conforme al suo obiettivo significato”. E‟ importante precisare che il principio dell‟affidamento, elaborato dalla dottrina per gli atti inter vivos, non opera per il negozio mortis causa, nel quale assume rilevanza l‟effettiva volontà del testatore. Sul punto, v. X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 439.
(7) In base alla teoria della volontà (concezione soggettiva del negozio giuridico), la volontà dovrebbe essere manifestata all‟esterno, attraverso la dichiarazione. Tuttavia, una dichiarazione alla quale non corrispondesse una reale volontà del soggetto non avrebbe valore di negozio. Le ipotesi, nelle quali la legge attribuisce rilevanza a una dichiarazione negoziale non conforme alla volontà interna del soggetto, costituirebbero eccezioni alla regola generale, eccezioni fondate sull‟esigenza di tutela dell‟affidamento. Per un‟analisi della concezione soggettiva del negozio giuridico e delle critiche alla stessa, vedi X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 54 ss.; C. M. XXXXXX, Diritto civile, 3 - Il contratto, cit., p. 18 ss.; X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 36 ss.; X. XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, cit., p. 105 ss.
In base a una diversa concezione del negozio giuridico (concezione oggettiva), ai fini di un ordinato svolgimento dei traffici commerciali, l‟essenza dell‟atto di autonomia privata sarebbe rappresentata dalla dichiarazione del soggetto agente e non dalla sua volontà psichica: l‟ordinamento attribuirebbe rilevanza alla dichiarazione negoziale, sulla quale la controparte (o il destinatario del negozio giuridico) abbia fatto affidamento (8).
Nell‟ambito delle concezioni oggettive dell‟atto di autonomia privata, si colloca anche la teoria precettiva, ai sensi della quale le manifestazioni di volontà dei soggetti nascerebbero, prima ancora che sul terreno giuridico, su quello sociale. In base a tale orientamento, gli interessi dei privati esisterebbero, nella vita di relazione, indipendentemente dalla tutela loro riconosciuta dall‟ordinamento (9) e la sanzione giuridica costituirebbe un elemento aggiuntivo e logicamente posteriore: attraverso il riconoscimento dell‟autonomia privata, gli atti di autoregolamento dei propri interessi, sorti nella vita sociale, acquisterebbero il valore di negozi giuridici (10). In conclusione, l‟autonomia privata sarebbe un fenomeno socialmente rilevante e ogni negozio costituirebbe un “fatto sociale”, il quale si identificherebbe nel
(8) Per un esame della teoria della dichiarazione (concezione oggettiva del negozio giuridico), elaborata in Germania e diffusasi in Italia, cfr. C. M. XXXXXX, Diritto civile, 3 - Il contratto, cit., p. 18 ss.; X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 38 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, cit., p. 63; X. XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, cit., p. 105 ss. Sul concetto di dichiarazione, v. X. XXXXXXXXX, voce: “Dichiarazione”, in Enc. giur. Xxxxxxxx, X, Xxxx, 0000, p. 1 ss.; X. XXXXXXXXXXX, voce: “Dichiarazione, I) Teoria generale”, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 371 ss.
(9) La teoria precettiva, elaborata dalla dottrina tedesca, è stata ripresa dalla dottrina italiana. Cfr. X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 43 ss. A p.46, l‟Autore sostiene che la coscienza sociale attribuisce carattere impegnativo all‟autoregolamento prima ancora che l‟atto assurga alla dignità di negozio giuridico. L‟efficacia vincolante riconosciuta al negozio già sul terreno sociale determina, in caso di inosservanza della regola di condotta, la nascita di sanzioni sia di carattere specifico (es.: misure di autotutela) sia di carattere generico (es.: perdita o diminuzione del credito sociale con conseguente difficoltà o impossibilità di concludere nuovi affari).
(10) Di fronte all‟interesse perseguito dai privati, l‟ordinamento può assumere tre diverse posizioni: può presentare un atteggiamento di indifferenza, così ignorando il negozio; può considerare l‟interesse socialmente rilevante e meritevole di tutela, riconoscendo il negozio e offrendo al medesimo protezione giuridica; può giudicare l‟interesse riprovevole, avversando il negozio e provocando effetti contrari allo scopo pratico perseguito dai privati. Se il sistema giuridico non conferisce tutela all‟atto di autonomia privata, si avrà un negozio in senso sociale con una corrispondente funzione pratica, ma non un negozio in senso giuridico. Nel caso in cui il l‟ordinamento ignori il negozio, manifestando un atteggiamento di indifferenza nei confronti dell‟interesse perseguito dai privati, si avrà un atto giuridicamente irrilevante. Nel caso in cui, invece, il sistema combatta il negozio, considerando riprovevole l‟interesse perseguito, si avrà un atto giuridico (in senso stretto) illecito. Sul punto, v. X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 54 e p. 113 ss.
potere dei soggetti di autoregolamentare i propri interessi personali e patrimoniali (11).
Il bisogno dei privati di regolamentare i propri interessi, proprio degli ordinamenti che riconoscono la proprietà individuale (12), emerge anche in materia di successione mortis causa: il testamento è l‟atto con il quale un soggetto determina la sorte dei propri rapporti giuridici per il tempo successivo alla morte (art. 587 c.c.) (13).
L‟atto di ultima volontà, particolarmente diffuso in passato, ha perso gran parte della sua rilevanza sia a causa di preoccupazioni di carattere fiscale (14) sia in considerazione del mutamento del concetto sociale di proprietà e dell‟oggetto della medesima, non più costituito, in prevalenza, da immobili (15). Resta ferma, tuttavia, la convinzione che il testamento rappresenti uno
(11) Il negozio contiene una statuizione, un “precetto dell’autonomia privata” in ordine agli interessi di chi lo pone in essere. Così X. XXXXX, op. ult. cit., p. 56.
(12) Soltanto nei sistemi giuridici che riconoscono la proprietà individuale l‟autonomia privata può regolare fenomeni quali la circolazione dei beni, la prestazione dei servizi e la trasmissione a causa di morte. L‟osservazione è di X. XXXXX, op. ult. cit., p. 47.
(13) Relativamente al legame tra la successione mortis causa e la proprietà privata, v. C.
M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia - Le successioni, cit., p. 534; X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 6 ss.; X. XXXXXXXX, Diritto delle successioni, cit., p. 26 ss.; ID, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 27 ss.; ID, Nozioni di diritto ereditario, cit., p. 17 ss.; X. XXXXX, Successioni in generale, cit., p. 17. Cfr. anche X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit.,
p. 12, il quale, dopo aver affermato che il fenomeno della successione a causa di morte è strettamente legato all‟istituto della proprietà, precisa come l‟esigenza di trasmettere i propri beni a causa di morte sia propria non soltanto dei regimi capitalistici, ma anche di quelli socialisti. L‟Autore spiega che, nei regimi a struttura socialista, occorre distinguere tra i beni di produzione e i beni di consumo: i primi, essendo preordinati alla creazione di altri beni, non possono appartenere ai privati e, conseguentemente, non possono formare oggetto di successione ereditaria; i secondi, essendo destinati a soddisfare direttamente bisogni umani (es.: alimenti, indumenti, ecc …), possono, in genere, essere oggetto di successione a causa di morte.
(14) L‟imposta di successione, abolita dalla Legge 18 ottobre 2001, n. 383, è stata di nuovo introdotta dalla finanziaria 2007.
(15) Sul punto, X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, Milano, 1976, p. 4 e 5; X. XXXXXXX, Successione per testamento e trasformazioni sociali, Milano, 1972, p. 1 ss.; X. XXXXXXXX, Testamento e sopravvenienza, Padova, 2003, p. 2 e 3; X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, p. 471 e nota n. 1.
Cfr. anche X. XX XXXXX, Le disposizioni testamentarie modificative ed estintive del rapporto obbligatorio, Milano, 2005, p. 11, note n. 13 e 14, il quale affronta la questione del declino quantitativo e qualitativo del testamento. Sotto il primo profilo, rileva che, negli ultimi anni, sembrerebbe esservi stata un‟inversione di tendenza con un notevole incremento del numero dei testamenti. Relativamente al secondo profilo, l‟Autore critica l‟affermazione secondo la quale il testamento sarebbe utilizzato principalmente dalle classi medie e medio – basse e soltanto per patrimoni di modesta consistenza, osservando che le classi suddette rappresentano più del 90% della popolazione italiana.
Per l‟analisi dei principali istituti alternativi al testamento, i quali realizzano interessi analoghi a quelli che possono essere soddisfatti con l‟atto mortis causa, cfr. A. PALAZZO, Autonomia contrattuale e successioni anomale, Napoli, 1983, p. 1 ss.
strumento insostituibile al fine di garantire la continuità dei rapporti giuridici facenti capo al de cuius: mediante tale atto e, più in generale, attraverso il meccanismo della successione a causa di morte, l‟ordinamento assicura la tutela di interessi costituzionalmente garantiti e il rispetto di principi quali la personalità dell‟individuo (art. 2 Cost.), la proprietà privata (art. 42 Cost.) ed il risparmio (art. 47 Cost.) (16).
La successione mortis causa può essere ab intestato o testamentaria, a seconda che sia regolata dalla legge (17) o dalla volontà del defunto, manifestata nel testamento (art. 457, comma 1, c.c.) (18).
(16) Sulla necessità di rivitalizzare l‟istituto del testamento, X. XXXXXXX, Quid novi in tema di successioni mortis causa?, in Nuova giur. civ. comment., 1997, II, p. 14.
(17) Per un quadro generale sulla successione legittima, v. X. XXXXXXXX, Le successioni e le donazioni, cit., p. 311 ss.; ID, voce: “Successione, III) Successione legittima”, in Enc. giur. Treccani, XXX, Roma, 1993, p. 1 ss.; X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, cit., p. 49 ss e 157 ss.; C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia - Le successioni, cit., p. 711 ss.; X. XXXXXXXX, Diritto delle successioni, cit., p. 142 ss.; ID, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 185 ss.; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 321 ss.; X. XXXXXXXX, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tratt. dir. priv. diretto da X. XXXXXXXX, Volume 5, Tomo I, Successioni, Torino, 1997, p. 426 ss. e 487 ss.; X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, Volume IV: la famiglia. Le successioni. La tutela dei diritti. Il fallimento, Padova, 2004, p. 185 ss.; X. XXXXXXX, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, in Tratt. dir. civ. e xxxx. già diretto da X. XXXX e X. XXXXXXXX e continuato da X. XXXXXXX, Volume XLIII, Tomo 1, Milano, 1999, p. 3 ss.; X. XXXXXXXXXX, voce: “Successione,
III) Successione legittima, c) Diritto privato”, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1323 ss.; X. XXXXXXXXX, voce: “Successioni (diritto civile): successione legittima”, in Noviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1971, p. 765 ss.; X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXX, voce: “Successione legittima”, in Noviss. Dig. it., Appendice, VII, Torino, 1987, p. 620 ss.
(18) Numerosi sono i contributi dottrinali relativi al testamento e alla successione testamentaria. Cfr. X. XXXXXX, Il testamento (Riproduzione dell’edizione del 1936), Napoli, 1978, p. 3 ss.; ID, La successione testamentaria, in Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxx, Xxxxxx X, Xxxxxx, 0000, p. 1 ss.; ID, Principi di diritto testamentario, cit., p. 25 ss.; X. XXXXXXXX, Le successioni e le donazioni, cit., p. 337 ss.; ID, voce: “Successioni (diritto civile): successione testamentaria”, in Noviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1971, p. 805 ss.; ID, voce: “Successione testamentaria”, in Noviss. Dig. it., Xxxxxxxxx, VII, Torino, 1987, p. 636 ss.; X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, cit., p. 205 ss.; C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia - Le successioni, cit., p. 727 ss.; X. XXXXXXXXX XXXX, Delle successioni testamentarie, in Comm. cod. civ. a cura di X. XXXXXXXX e X. XXXXXX, Libro secondo: Successioni. Artt. 587 – 600, Bologna – Roma, 1993, p. 1 ss.; ID, Il testamento, cit., p. 1 ss.; ID, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 1 ss.; X. XXXXXXXX, Diritto delle successioni, cit., p. 155 ss.; ID, Il testamento: lineamenti, Padova, 1995, p. 1 ss.; ID, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 201 ss.; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 369 ss.; X. XXXX, Testamento, Milano, 1951, p. 1 ss.; X. XXXXXXXXX, Il testamento: norme e casi, Padova, 1995, p. 1 ss.; ID, voce: “Testamento”, in Enc. giur. Xxxxxxxx, XXXX, Xxxx, 0000, p. 1 ss.; A. DE CUPIS, voce: “Successione, V) Successione testamentaria”, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1378 ss.; X. XXXXXXX, Successione per testamento e trasformazioni sociali, cit., p. 1 ss.; X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, Volume IV: la famiglia. Le successioni. La tutela dei diritti. Il fallimento, cit., p. 201 ss.; X. XXXXX, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Volume I, Milano, 1947,
p. 1 ss.; X. XXXXXX, Autonomia privata e testamento, Milano, 1970, p. 1 ss.; A. LISERRE, Formalismo negoziale e testamento, Milano, 1966, p. 1 ss.; M. L. LOI, Le successioni testamentarie (artt. 587 – 623 c.c.), in Giur. sistem. dir. civ. e comm. fondata da X. XXXXXXX, Torino, 1992, p. 1 ss.; X. XXXXXX, Favor legis e testamento, Milano, 1970, p. 1 ss.; X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, cit., p. 471 ss.; X. XXXXXX, Il testamento, Xxxxxx, 0000, x. 0 xx.
Xx discute se sia ammissibile una duplice fonte della vocazione (19), legale e testamentaria (20), o se, invece, la causa immediata della vocazione sia sempre e solo la legge (21).
Non potendo, in questa sede, affrontare la questione in modo dettagliato, ci si limita ad osservare che l‟affermazione del carattere esclusivamente legale della vocazione (22) ha condotto parte della dottrina, come si vedrà infra, a escludere la natura negoziale del testamento (23).
Tra gli studiosi del diritto, la riconducibilità del testamento nell‟ambito della categoria del negozio non è del tutto pacifica. Il problema della natura giuridica dell‟atto di ultima volontà non è meramente teorico, ma determina
(19) Secondo la dottrina maggioritaria, il termine “vocazione” indicherebbe l‟aspetto soggettivo del fenomeno successorio, ossia la designazione di coloro che dovranno succedere al defunto. Con il termine “delazione”, invece, si alluderebbe all‟aspetto oggettivo della vicenda, consistente nell‟offerta del patrimonio ereditario a un soggetto, il quale avrebbe il potere di acquistarlo mediante un atto di accettazione. Relativamente alle differenze tra vocazione e delazione, v. X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, cit., p. 35; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 17 e 18; X. XXXXXXX FERRARA, Le successioni per causa di morte, I) Parte generale, Xxxx I, Xxxxxxxx – Problemi xxxxxxxxxxxx, xxx., x. 00 ss.
(20) Nel diritto romano, la successione legittima e quella testamentaria si trovavano, reciprocamente, in rapporto di esclusione (nemo pro parte testatus, pro parte intestatus decedere potest): la prima interveniva in forma puramente sussidiaria, qualora mancasse totalmente la seconda. La regola romanistica, caduta in disuso già nel diritto intermedio, non è presente nell‟attuale sistema giuridico, nel quale è ammissibile il concorso delle due forme di delazione rispetto al patrimonio di uno stesso de cuius (art. 457, comma 2, c.c.). Sul punto, v.
X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, cit., p. 41 ss.
(21) Sul tema, v. X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 11 ss.; ID, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 20. L‟Autore considera soltanto la chiamata a titolo di erede, precisando che, in quella a titolo di legato, la fonte legale è ridotta a un numero esiguo di ipotesi. Relativamente ai casi di legato ex lege, si considerino le ipotesi contemplate dagli artt. 540, comma 2, 548, comma 2, 580 e 594 x.x. Xxx xxxxx, x. xxxxx X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, Vocazione legale e vocazione testamentaria, in Riv. dir. civ., 1942, p. 193 ss.
(22) Cfr. X. XXXXXX‟, La vocazione ereditaria diretta e indiretta, in Raccolta di scritti, Xxxx X, Milano, 1980, p. 17 ss., 27 ss. e 33 ss., il quale osserva che il testatore potrebbe solo designare concretamente la persona del successore, mentre la designazione astratta sarebbe opera della legge. Più precisamente, sia lo scioglimento del vincolo, che lega i beni alla persona del titolare, sia la successione a causa di morte non dipenderebbero dalla volontà del singolo: lo scioglimento del vincolo deriverebbe dalla morte del titolare e la successione mortis causa sarebbe comunque prevista e regolata dalla legge. Si osservi che l‟Autore riconosce, accanto alla vocazione e alla delazione, l‟autonoma figura della “designazione”. Contra X. XXXXXXX FERRARA, Le successioni per causa di morte, I) Parte generale, Xxxx X, Principi – Problemi xxxxxxxxxxxx, xxx., x. 00 ss., secondo il quale la “designazione” potrebbe essere considerata una figura giuridica autonoma, distinta dalla vocazione e dalla delazione, solo qualora si accogliesse la premessa del carattere esclusivamente legale della vocazione. In caso di accoglimento della tesi della duplice fonte della vocazione (legale e testamentaria), la premessa verrebbe a cadere, con conseguente impossibilità di ammettere la figura della “designazione”.
(23) Come osserva X. XXX, La diseredazione. Contributo allo studio del contenuto del testamento, Torino, 1966, p. 152, l‟esclusione della natura negoziale del testamento è un corollario possibile, ma non necessario, della tesi che propugna il carattere esclusivamente legale della vocazione.
conseguenze pratiche di grande rilievo. Si pensi, in particolare, alla possibilità di colmare, mediante il ricorso alle norme sul contratto, le lacune nella disciplina legislativa del testamento e, più in generale, all‟opportunità di applicare, in materia successoria, il principio di autonomia privata ex art. 1322
c.c. (24).
Al riguardo, non si può non rilevare come la stessa figura del negozio giuridico, intesa come categoria concettuale unitaria, si esponga a critiche e contestazioni da più parti. Si suole mettere in evidenza, in particolare, l‟eccessiva astrattezza del genus negozio, nel quale sarebbero compresi atti profondamente diversi tra loro per natura, struttura e disciplina legislativa (contratti, negozi di diritto familiare, promesse unilaterali, testamento, ecc …) (25). A ciò si aggiunga che il negozio giuridico, legato a un sistema liberale – capitalistico, sembrerebbe porsi in netto contrasto con la diversa realtà socio – economica dei nostri tempi, nella quale si tende a dare maggior risalto alla figura del contratto (26).
Per quanto concerne la questione relativa alla natura giuridica dell‟atto di ultima volontà, si segnalano, in dottrina, posizioni profondamente divergenti. Secondo una prima tesi, l‟inquadramento del testamento nell‟ambito della categoria del negozio giuridico sarebbe frutto di una valutazione priva di sufficiente consapevolezza critica, la quale non terrebbe conto della particolare funzione e delle peculiarità di disciplina, che caratterizzano l‟atto a causa di morte (27). Un‟analisi più approfondita dell‟atto in esame condurrebbe a conclusioni diametralmente opposte: il rapporto successorio,
(24) La questione relativa all‟applicabilità dell‟art. 1322 c.c. al testamento sarà affrontata nel paragrafo n. 4 di questo capitolo.
(25) Relativamente alla dubbia utilità, sul piano pratico, della categoria del negozio giuridico, cfr. X. XXXXXX, La teoria generale del contratto, cit., p. 12 ss.; C. M. XXXXXX, Diritto civile, 3 - Il contratto, cit., p. 9; X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 36; X. XXXXXXX, Autonomia privata nei contratti e negli altri atti giuridici, cit., p. 272; G. B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966,
p. 9 ss.; X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 68 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, voce: “Xxxxxxx xxxxxxxxx, I) Profili generali”, cit., p. 1.
(26) Relativamente alle valutazioni di ordine politico e sociale, che inducono a rivedere criticamente la categoria unitaria del negozio giuridico, cfr. X. XXXXXXXXXXXX, voce: “Xxxxxxx xxxxxxxxx, I) Profili generali”, cit., p. 2 e gli Autori ivi citati. Si segnala che anche il concetto di contratto è stato oggetto di critiche, in quanto considerato inidoneo a ricomprendere le nuove e differenti realtà degli affari. Sul punto, v. C. M. XXXXXX, Diritto civile, 3 - Il contratto, cit., p. 10;
X. XXXXXXX, voce: “Xxxxxxx xxxxxxxxx, II) Diritto privato, a) Premesse problematiche e dottrine generali”, cit., p. 946.
(27) Così X. XXXXXX, Autonomia privata e testamento, cit., p. 50 ss.
indipendentemente dalla sussistenza di un testamento, nascerebbe in forza della legge. Più precisamente, l‟atto di ultima volontà, lungi dall‟assumere natura negoziale, non costituirebbe il titolo della successione, ma sarebbe un mero presupposto degli effetti giuridici, che l‟ordinamento ad esso riconnette (28). In altri termini, mancherebbe, nel testamento, la corrispondenza tra il contenuto dell‟atto e la misura dell‟effetto: dalla sua redazione non scaturirebbe alcuna conseguenza corrispondente alla determinazione volitiva del defunto, tanto meno l‟effetto successorio in senso tecnico (29). L‟unico effetto derivante dal perfezionamento del testamento, ossia quello di imprimere una certa direzione alla vocazione (designando i destinatari della medesima e determinando quantitativamente il suo oggetto), non sarebbe in alcun modo qualificabile come effetto negoziale. Si tratterebbe di un effetto minimo, di segno negativo, volto ad escludere l‟operatività della successione legittima. Xxxx richiederebbe uno specifico atto di revoca affinché operasse di nuovo la successione ab intestato (30). L‟esclusione della natura negoziale del testamento imporrebbe, in tema di interpretazione, di avere riguardo non solo alla volontà del testatore al momento della testamenti factio, ma anche alla volontà di questi al momento dell‟apertura della successione e dell‟acquisto mortis causa (31).
A sostegno della tesi in esame sono state addotte argomentazioni, che si basano sul particolare modus operandi dell‟evento morte e sulla necessità di un atto di accettazione dell‟eredità. In particolare, si è osservato che il differimento dell‟efficacia del testamento al momento della morte del suo autore e la necessità dell‟accettazione dell‟eredità da parte del chiamato (rectius: delato) sarebbero la prova tangibile dell‟impossibilità di individuare un effetto negoziale riconducibile alla redazione dell‟atto (32). Altra argomentazione, certamente meno pregnante delle precedenti, ma non per questo meno significativa, fa leva sul carattere non negoziale di talune figure di cosiddetta revoca tacita del testamento (es.: distruzione del testamento olografo o ritiro del testamento segreto): l‟ammissibilità di ipotesi di revoca non aventi natura negoziale non
(28) Cfr. X. XXXXXX, op. ult. cit., p. 141.
(29) In tal senso, X. XXXXXX, op. ult. cit., p. 199.
(30) Cfr. X. XXXXXX, op. ult. cit., p. 217 e p. 220. L‟Autore rileva come non sia possibile individuare un effetto diretto del testamento, che vada al di là di tale risultato minimo.
(31) Così X. XXXXXX, op. ult. cit., p. 414 ss.
(32) In tal senso, X. XXXXXX, op. ult. cit., p. 232 ss.
consentirebbe di ricondurre l‟atto di ultima volontà nella categoria degli atti di autonomia privata (33).
Secondo una diversa impostazione, l‟atto mortis causa, pur avendo natura negoziale, presenterebbe significative differenze rispetto agli atti di autonomia privata (patrimoniali) inter vivos, con la conseguente impossibilità di ricondurre le varie figure nell‟ambito della medesima categoria giuridica (34). Mentre il contratto e, più in generale, i negozi inter vivos sarebbero diretti a creare, modificare o estinguere rapporti giuridici (35), il testamento sarebbe privo di una reale forza creatrice, essendo la legge la fonte del fenomeno successorio (36). In base alla teoria in esame, l‟unica fonte immediata e diretta della vocazione sarebbe la legge. La volontà del testatore non sarebbe un titolo giuridico idoneo a legittimare l‟attribuzione della complessa posizione giuridica ereditaria, ma servirebbe soltanto ad imprimere alla vocazione, in modo, peraltro, non sempre vincolante per l‟ordinamento, una determinata direzione (37).
Secondo la dottrina prevalente, le disposizioni testamentarie avrebbero natura negoziale e sarebbero, pertanto, espressione dell‟autonomia privata (38):
(33) Cfr. X. XXXXXX, op. ult. cit., p. 221.
(34) In dottrina, si osserva come l‟erroneo accostamento del testamento al contratto derivi dall‟assenza di una disciplina del negozio giuridico e dalla conseguente opera di configurazione effettuata dalla dottrina. Sul punto, G. B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 39 ss.
(35) Così G. B. XXXXX, op. ult. cit., p. 52, il quale afferma che, mediante il contratto, “le parti veramente creano qualche cosa che prima non c’era e che senza il loro intervento non si sarebbe mai verificata”. V. anche X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954, p. 167 e 168, il quale sottolinea come l‟atto inter vivos sia “destinato a regolare un conflitto di interessi tra il dichiarante e i destinatari della dichiarazione” e a “circolare ed operare nel comune commercio giuridico”. L‟Autore osserva che l‟atto di ultima volontà si discosta in modo significativo dall‟atto tra vivi, in quanto è caratterizzato dall‟assenza di controinteressati in senso tecnico ed è destinato a regolare gli interessi propri del suo autore per il tempo in cui questi avrà cessato di vivere.
(36) Cfr. G. B. XXXXX, op. ult. cit., p. 53. L‟Autore spiega che, nonostante alcune norme riconducibili al cosiddetto favor testamenti possano indurre a credere il contrario, “la forza creatrice del testamento” è “più apparente che reale”.
(37) In tal senso, X. XXXXXX‟, La vocazione ereditaria diretta e indiretta, cit., p. 18. Secondo l‟Autore, la volontà del testatore non darebbe vita al fenomeno successorio, ma si limiterebbe ad avviarlo e ad imprimergli una certa direzione, direzione che potrebbe, comunque, essere rettificata o cambiata dalla legge.
(38) La qualificazione del testamento in termini di atto di autonomia privata è ricorrente nei testi di carattere generale sul negozio giuridico, nelle opere istituzionali e universitarie nonché nelle principali monografie dedicate all‟atto di ultima volontà. Cfr. X. XXXXXX, Il testamento, cit., p. 113; ID, Principi di diritto testamentario, cit., p. 26; C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia - Le successioni, cit., p. 731; X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 15 e, in particolare, nota n. 29; ID, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 86; X. XXX, La diseredazione, cit., p. 147 ss.; X. XXXXXXXX, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 206 ss.; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 418; X. XXXXX, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Volume I, cit., p. 32 e 33.
la volontà del testatore, lungi dall‟avere solo la funzione di indirizzare la vocazione, sarebbe la fonte della vicenda successoria, della quale determinerebbe il destinatario e l‟oggetto. Solo in assenza di una determinazione volitiva del defunto, il rapporto successorio troverebbe la propria fonte nella legge (39).
Il testamento sarebbe caratterizzato da un‟ampia libertà di autodeterminazione del disponente, come confermato da numerosi aspetti della disciplina dell‟istituto, dai quali emerge il ruolo preponderante del requisito della volontà (40). A titolo esemplificativo, si considerino il divieto dei patti successori (art. 458 c.c.); il divieto di testamento congiuntivo o reciproco (art.
589 c.c.); il divieto di rappresentanza per la redazione del testamento; la previsione di un‟ampia legittimazione per l‟azione di annullamento sia in caso di vizi della volontà (art. 624 c.c.) sia in caso di incapacità a disporre per testamento (art. 591, ultimo comma, c.c.); la possibilità di ottenere l‟annullamento per incapacità naturale sulla base della semplice incapacità di intendere o di volere, senza dover provare, in deroga all‟art. 428, comma 1, c.c., il grave pregiudizio per l‟autore (art. 591, n. 3, c.c.); la possibilità di confermare le disposizioni testamentarie nulle (art. 590 c.c.).
La tesi, che nega la qualifica di atto di autonomia privata al testamento, si espone a un‟obiezione di fondo: l‟intervento della legge in ordine alla regola predisposta dal privato non rappresenta una caratteristica esclusiva del fenomeno successorio, ma costituisce la reazione comune dell‟ordinamento di fronte agli atti con i quali i soggetti dispongono della propria sfera giuridica. Pertanto, la natura negoziale dell‟atto e la rilevanza della volontà del suo autore non sono escluse dalla previsione di effetti legali, che possono verificarsi indipendentemente dalla volontà del testatore e anche contro la volontà di questi (41). Tra gli effetti de
(39) Come è stato autorevolmente osservato da X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 62 ss., la concezione soggettiva del negozio manifesta la sua inadeguatezza dinanzi all‟atto mortis causa, non riuscendo a spiegare, in modo esaustivo, come possa avere rilevanza giuridica una volontà, la quale non sia riferibile a una persona vivente e capace. L‟Autore utilizza tale argomentazione per evidenziare i limiti della teoria del dogma della volontà e per sostenere la bontà della teoria precettiva, da lui propugnata.
(40) Sul ruolo della volontà nel testamento, X. XXXXXX, L’elemento volitivo nel negozio testamentario, Torino, 1964, p. 1 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit.,
p. 159 ss.
(41) In tal senso, X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 15 e, in particolare, nota n. 29; ID, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 22 ss., p. 46 e 90; X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, Vocazione legale e vocazione testamentaria, cit., p. 197.
quibus, devono essere annoverati il differimento dell‟efficacia del testamento al momento della morte del suo autore, la necessità dell‟accettazione del chiamato per l‟acquisto dell‟eredità (art. 459 c.c.), l‟operatività della rappresentazione anche in caso di successione testamentaria (art. 467, comma 2, c.c.) e, infine, l‟intangibilità dei diritti dei legittimari (artt. 457, comma 3, 536 ss. e 549 c.c.).
In particolare, la circostanza che gli effetti del testamento siano procrastinati alla morte dell‟autore non è incompatibile con la natura negoziale dell‟atto e trova la propria giustificazione nel ruolo che tale evento assume nella vicenda successoria. Come si vedrà infra, infatti, il decesso del testatore contribuisce a caratterizzare la funzione dell‟atto e, quindi, la sua causa (42).
Relativamente all‟accettazione dell‟eredità, occorre precisare che essa non è un elemento costitutivo del testamento, bensì un negozio unilaterale autonomo. Tra la volontà del testatore e quella di chi accetta non può formarsi il consenso poiché, quando il delato dichiara di accettare, il testatore è già morto. La necessità di un atto di accettazione dell‟eredità si pone in linea con il principio generale, secondo il quale, salvo che non sia la legge a consentirlo, non è ammissibile l‟ingerenza unilaterale, produttiva di effetti sfavorevoli, nell‟altrui sfera giuridica (43). Si consideri che, nonostante la legge richieda un atto di accettazione per poter conseguire l‟eredità, il chiamato (rectius: delato) acquista, sin dal momento dell‟apertura della successione, una situazione giuridica soggettiva attiva: il diritto di accettare l‟eredità medesima (44).
Per quanto concerne l‟istituto della rappresentazione, è importante osservare che la sua operatività non si pone in contrasto con la volontà del testatore, in quanto il subentrare dei discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente presuppone che il defunto non abbia disposto alcuna sostituzione (art. 467, comma 2, c.c.). A ciò si aggiunga che la rappresentazione costituisce un‟applicazione del principio di conservazione: se non operasse tale istituto, si verificherebbe l‟accrescimento tra coeredi (art. 674 c.c.) o, in mancanza dei
(42) In tal senso, X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 94. Relativamente alla causa del testamento e al ruolo che l‟evento morte assume nella vicenda negoziale, si vedano i paragrafi n. 2 e n. 3 di questo capitolo.
(43) L‟osservazione è di X. XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., p. 94 e 95. Il principio dell‟intangibilità della sfera giuridica altrui sarà analizzato in modo dettagliato nel paragrafo n. 4 di questo capitolo.
(44) Sull‟accettazione dell‟eredità, X. XXXXXXXX, Le successioni e le donazioni, cit., p. 71 ss.; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 151 ss.; X. XXXXX, Successioni in generale, cit., p. 112 ss. e 217 ss.
presupposti dello stesso, si avrebbe la caducazione della disposizione testamentaria con conseguente devoluzione agli eredi legittimi della porzione dell‟erede mancante (art. 677, comma 1, c.c.) (45).
Infine, la libertà testamentaria non può spingersi fino a escludere i diritti dei legittimari, ossia dei soggetti che, stante il particolare vincolo (di parentela o di coniugio) che li lega al defunto, hanno diritto a una quota intangibile del patrimonio ereditario (46).
Paragrafo 2
La causa del negozio a causa di morte
Il testamento è lo strumento giuridico che consente ai privati di regolare l‟assetto dei propri rapporti, patrimoniali e non patrimoniali, per il tempo successivo alla morte (art. 587 c.c.). Esso è definito dalla dottrina come atto di ultima volontà, ossia come atto revocabile fino all‟ultimo istante di vita (usque ad vitae supremum exitum) e che produce effetto verso i terzi solo dopo la morte del disponente. Si suole parlare, in contrapposizione agli atti inter vivos, di atto a causa di morte, intendendosi, con tale espressione, l‟atto “che ha per funzione sua propria di regolare rapporti e situazioni che vengono a formarsi in via originaria con la morte del soggetto o che dalla sua morte traggono comunque una loro autonoma qualificazione” (47).
L‟atto di ultima volontà è una species nell‟ambito del genus atto mortis causa: la categoria degli atti a causa di morte comprende, infatti, non soltanto il testamento (atto mortis causa unilaterale e revocabile), definito, più specificamente, come atto di ultima volontà (48), ma anche l‟istituzione
(45) Cfr. X. XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., p. 90 e X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 417.
(46) Il tema della tutela dei legittimari sarà oggetto di trattazione analitica nel capitolo IV.
(47) Il pensiero riportato tra virgolette è di X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 41.
(48) X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 87, precisa che, pur essendo previsto, nel nostro sistema giuridico, un solo atto di ultima volontà, non è escluso che il risultato voluto possa essere realizzato mediante l‟utilizzo di un differente schema negoziale e che altre manifestazioni di autonomia privata possano svolgere una funzione analoga a quella del testamento. A titolo esemplificativo, l‟Autore precisa che un usufrutto può essere costituito non solo per testamento (legato di usufrutto), ma anche mediante contratto.
contrattuale di erede o di legatario, meglio nota come patto successorio istitutivo (atto mortis causa bilaterale e irrevocabile) (49).
Stante la nullità dei patti successori (art. 458 c.c.) (50), la distinzione sopra illustrata perde la sua ragion d‟essere. Pertanto, salvo che non si riconosca natura mortis causa, in deroga al divieto dei patti successori, all‟attribuzione effettuata, mediante contratto a favore di terzo, dopo la morte dello stipulante (art. 1412 c.c.) (51), l‟unico negozio a causa di morte ammesso nel nostro ordinamento è l‟atto di ultima volontà (52).
La causa del negozio testamentario è costituita dalla regolamentazione degli interessi del disponente per il tempo successivo alla sua morte (53). Come si vedrà in modo più dettagliato, l‟evento morte, al verificarsi del quale è differita la produzione degli effetti giuridici del testamento, contribuisce a caratterizzare la stessa funzione causale dell‟atto.
(49) Per la distinzione tra atto mortis causa e atto di ultima volontà, v. X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 22 ss.; ID, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 103 e 104; X. XXXXXXXXXXX, voce: “Atto mortis causa”, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 232 ss.; ID, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 52; X. XXXXXX, Autonomia privata e testamento, cit., p. 35; X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, cit., p. 472, nota n. 4.
(50) Sul divieto della delazione contrattuale e sulla conseguente nullità dei patti successori, X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, cit., p. 45 ss.; C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia - Le successioni, cit., p. 556 ss.; X. XXXXXXXX, Diritto delle successioni, cit., p. 18 ss.; ID, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 18 ss.; ID, Nozioni di diritto ereditario, cit., p. 13 ss.; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 25 ss.; M. V. XX XXXXXX, voce: “Patto successorio”, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 533 ss.; X. XXXXX, Successioni in generale, cit., p. 93 ss.; X. XXXXX, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Volume I, cit., p. 35 ss.; X. XXXX, voce “Successione, X) Fenomeni parasuccessori”, in Enc. giur. Treccani, XXX, Roma, 1993, p. 2 ss.
(51) Sul contratto a favore del terzo con effetti dopo la morte dello stipulante, vedi X. XXXXX, Successioni in generale, cit., p. 110 ss., il quale ritiene che il contratto in esame avrebbe natura mortis causa e costituirebbe un‟eccezione al divieto dei patti successori. In senso contrario si esprime la dottrina prevalente, secondo la quale l‟ipotesi in esame configurerebbe un atto inter vivos: la stipulazione opererebbe immediatamente a favore del terzo, come confermato dal fatto che, in caso di premorienza del terzo allo stipulante, la prestazione deve essere eseguita nei confronti degli eredi del terzo medesimo. Per tutti, v. X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 37.
(52) Cfr. X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 23; ID, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 105; X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit.,
p. 52. Gli Autori citati osservano che, mentre la qualificazione mortis causa atterrebbe al profilo oggettivo – funzionale dell‟atto (regolamentazione di una situazione post mortem), la qualificazione in termini di atto di ultima volontà concernerebbe, piuttosto, l‟elemento della forma e il modo in cui la manifestazione rileva nei confronti dei terzi.
(53) Per l‟analisi del concetto di causa in generale, si vedano le trattazioni generali sul negozio giuridico e i manuali citati nella nota n. 2. Cfr. anche le principali voci enciclopediche sul tema: X. XXXXX, voce: “Causa del negozio giuridico”, in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1959, p. 32 ss.; A. DI MAJO, voce: “Causa del negozio giuridico”, in Enc. giur. Xxxxxxxx, XX, Xxxx, 0000, p. 1 ss.; X. XXXXXXXXXX, voce: “Causa, c) Diritto privato”, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 547 ss. Relativamente alla causa del testamento, X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 253 ss.; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 441 ss.; X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, cit., p. 503.
E‟ importante non confondere la causa dell‟atto di ultima volontà con i motivi, ossia con le ragioni soggettive che spingono il testatore a effettuare determinate disposizioni (54). Come è noto, i motivi sono semplici impulsi psichici che, rilevando soltanto nella sfera interna dell‟autore (55), sono privi di valore giuridico. Essi acquistano rilevanza esclusivamente nelle ipotesi di errore sul motivo (art. 624, comma 2, c.c.) e di motivo illecito (art. 626 c.c.) (56).
Il testamento è un atto unilaterale a titolo gratuito, ma non è un atto di liberalità, in quanto non determina un impoverimento di un soggetto e il conseguente arricchimento di un altro. Essendo la sua efficacia differita al momento della morte del disponente, esso non produce, per questi, un immediato depauperamento. A ciò si aggiunga che, qualora l‟eredità sia oberata di debiti (hereditas damnosa), dal testamento può non discendere alcun arricchimento a favore del beneficiario (57).
La causa del testamento non può essere identificata con l‟attribuzione post mortem di beni “per spirito di liberalità”. La funzione del testamento è, infatti, “dispositiva” e consiste, come si è già precisato, nella determinazione dell‟assetto dei rapporti giuridici (patrimoniali e non) dei quali il testatore sia titolare. Il profilo “attributivo” della vicenda, al quale fa riferimento l‟espressione “spirito di liberalità”, è estraneo alla funzione economico – sociale del negozio testamentario e, conseguentemente, non entra a far parte del
(54) In ordine ai motivi del negozio giuridico e alle differenze rispetto al concetto di causa,
v. X. XXXXXXXXX, Riconoscimento di proprietà a favore di alcuni eredi, interpretazione del testamento e rilevanza dei “motivi”, in Giur. merito, 1974, I, p. 389 ss.; X. XXXXXXX, “Causa” e “motivo” nella disciplina del testamento, in Giur. it., 1972, I, 1, c. 730 ss.; X. XXXXXXXX, voce: “Motivi”, in Enc. giur. Xxxxxxxx, XX, Xxxx, 0000, p. 1 ss.; X. XXXXX, voce: “Motivo del negozio giuridico”, in Noviss. Dig. it., X, Torino, 1964, p. 970 ss.; X. XXXXXXXX, Sulla rilevanza del motivo nel testamento, in Giur. merito, 1979, p. 488 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Causa e motivi del regolamento testamentario, Napoli, 2000, p. 1 ss.; X. XXXXX, voce: “Motivi, a) Diritto privato”, in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, p. 269 ss.
(55) Secondo C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia - Le successioni, cit., p. 729, i motivi, che si traducono in finalità che l‟atto è diretto a realizzare, non sono estranei alla causa dell‟atto di ultima volontà, ma concorrono a specificarla: “essi, precisamente, concorrono a integrare la causa concreta del testamento”.
(56) In tema di errore sul motivo, v. X. XXXX, In margine all’interpretazione dell’art. 624 c. 2 cod. civ., in Foro pad., 1972, I, c. 406 ss.; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 440;
X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 195 ss.
(57) Così X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, cit., p. 473, il quale mette in evidenza le differenze tra la donazione e il testamento. La prima è un atto inter vivos a struttura contrattuale ed è caratterizzata dallo spirito di liberalità; il secondo è un atto mortis causa a struttura unilaterale e non è necessariamente caratterizzato dallo spirito di liberalità (caso in cui le passività siano superiori alle attività).
congegno causale del negozio medesimo, potendo rilevare, al massimo, sub specie di motivo (58).
Si discute se il testamento sia un negozio tipico, ossia se ad esso corrisponda una causa unica o se, piuttosto, esso sia caratterizzato da tante cause distinte quante sono le singole disposizioni che lo compongono (59). Come è noto, l‟atto di ultima volontà può contenere disposizioni di vario tipo: istituzione di erede, legato, divisione del testatore, nomina di esecutore testamentario, designazione di un tutore, riconoscimento del figlio naturale, ecc ….
Secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, l‟atto de quo costituirebbe una mera forma documentale, atta ad accogliere una pluralità di negozi a causa di morte, il cui contenuto può consistere sia in disposizioni patrimoniali che in disposizioni non patrimoniali (60). L‟unità del testamento sarebbe data non dal contenuto negoziale, bensì dalla documentazione unitaria e dall‟unicità del disponente. Più precisamente, l‟unità del documento e della persona dell‟autore non implicherebbero unità di negozio: la qualificazione di atto di autonomia privata dovrebbe attribuirsi non al testamento, ma alle singole disposizioni che lo compongono (61). L‟autonomia negoziale di ogni clausola sarebbe confermata dal fatto che anche una sola disposizione potrebbe esaurire il contenuto dell‟atto di ultima volontà. Nulla vieterebbe al disponente, infatti, di redigere tanti testamenti, ossia tanti documenti, formalmente perfetti, quante sono le singole disposizioni che intende effettuare. La teoria in esame sarebbe
(58) In tal senso, X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 47, che precisa come il riferimento allo “spirito di liberalità” sia una specificazione destinata ad assegnare alla vicenda una caratterizzazione “soggettiva”, di per sé estranea alla funzione economico – sociale del testamento. Sul tema, v. anche X. XXXX, Atto di liberalità e motivi dell’attribuzione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, p. 354 ss.
(59) Sulla questione, v. X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 256 e 257.
(60) In dottrina, X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 311; X. XXXXXX, Autonomia delle disposizioni testamentarie ed inquadramento del testamento nel sistema giuridico, in Foro it., 1949, I, c. 566 ss.; X. XXXXXX, Impostazione del testamento nella giurisprudenza romana, nei codici e nella dommatica moderna, in Riv. dir. civ., 1966, I, p. 445 ss.; X. XXXXXXXXX, Divergenza fra dichiarazione e volontà nella disposizione testamentaria, in Riv. dir. civ., 1937, p. 413 e 414.
In giurisprudenza, Cass., 16 febbraio 1949, n. 253, in Foro it., 1949, I, c. 566 ss., con nota di
X. XXXXXX; Cass., 27 marzo 1957, n. 1057, in Foro it., 1958, I, c. 326 ss.; Cass., 18 aprile 1958, n. 1269, in Giust. civ., 1958, II, 1, p. 2186 ss.
(61) X. XXXXXX, Autonomia delle disposizioni testamentarie ed inquadramento del testamento nel sistema giuridico, cit., c. 568, osserva che, allo stesso modo, se nel medesimo documento la stessa persona effettua più donazioni, non si ha una sola liberalità, ma tante liberalità quante sono le singole entità donate.
suffragata anche dalla possibilità di revocare non soltanto il testamento nel suo complesso, ma anche le singole disposizioni che lo compongono (62).
Corollario della tesi appena esposta sarebbe il regime giuridico indipendente di ciascuna clausola: nel rispetto della forma testamentaria e dei requisiti di capacità del disponente, l‟invalidità di una disposizione testamentaria non determinerebbe, di per sé, l‟invalidità delle altre. Secondo i fautori dell‟orientamento in esame, in presenza di una clausola nulla, la validità delle altre non deriverebbe dal principio utile per inutile non vitiatur, il quale si riferisce alle clausole o parti di un unico negozio. Nel caso del testamento, non si avrebbe validità parziale, ma validità totale del negozio in cui si concreterebbe la singola disposizione (63).
Pur senza abbracciare una tesi estrema come quella sopra illustrata, alcuni Autori ritengono che il negozio testamentario sia caratterizzato dalla sussistenza di molteplici cause, tante quante sono le singole disposizioni che il testatore inserisce nell‟atto di ultima volontà (64).
Sembra preferibile, tuttavia, l‟orientamento in base al quale le determinazioni del testatore, complessivamente considerate, sarebbero dirette ad attuare la funzione dell‟atto mortis causa, ossia la regolamentazione dei rapporti giuridici per il tempo successivo alla morte. In altri termini, le singole disposizioni, che compongono il testamento, anziché presupporre ciascuna una propria causa, rappresenterebbero i diversi modi attraverso i quali la causa (unica) dell‟atto trova concreta realizzazione: il testamento costituirebbe uno
(62) X. XXXXXX, Autonomia delle disposizioni testamentarie ed inquadramento del testamento nel sistema giuridico, cit., c. 568, osserva che lo stesso legislatore avrebbe offerto una chiara indicazione nel senso della autonomia negoziale delle singole clausole, come dimostrato dal fatto che, nel titolo III del libro II del codice civile, la sezione V del capo V è intitolata “Della revocazione delle disposizioni testamentarie”. Inoltre, l‟Autore precisa che, nel caso di revoca legale per sopravvenienza di figli ex art. 687 c.c., vengono meno le istituzioni di erede e i legati, ma tutte le altre disposizioni restano ferme.
(63) E‟ fatto salvo il caso in cui l‟invalidità investa l‟intero atto di ultima volontà o quello in cui vi sia un rapporto di subordinazione tra le disposizioni. In quest‟ultima ipotesi, il venir meno della disposizione principale farà necessariamente cadere anche la disposizione subordinata. A titolo esemplificativo, si consideri che, se l‟onere non passa al sostituito ex art. 690 c.c., caduta la disposizione a favore dell‟istituito, cadrà anche il modus.
X. XXXXXX, Autonomia delle disposizioni testamentarie ed inquadramento del testamento nel sistema giuridico, cit., c. 569, conclude spiegando che la parola “testamento” può essere intesa in due modi diversi. In un primo significato, essa indica la somma delle singole disposizioni testamentarie, ossia un complesso di negozi giuridici indipendenti. In tal senso, il legislatore parla di “atto” (art. 587, comma 1, c.c.), ossia di un atto che può racchiudere una pluralità di negozi. In un secondo significato, la parola indica la singola disposizione testamentaria, considerata come negozio giuridico autonomo.
(64) Cfr., per tutti, X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, cit., p. 250.
schema negoziale caratterizzato da una funzione unitaria. La tesi in esame troverebbe conforto nella asserita necessità, ai fini dell‟interpretazione dei negozi giuridici, di una valutazione complessiva delle varie disposizioni (art. 1363 c.c.) (65).
Paragrafo 3
L’evento morte e la sua relazione con il negozio testamentario
Al fine di comprendere pienamente la funzione dell‟atto di ultima volontà, occorre chiarire quale sia il rapporto intercorrente tra l‟atto medesimo e l‟evento morte. Come è noto, il testamento, di per sé valido fin dal momento della sua redazione, non produce effetti prima del decesso del suo autore e, conseguentemente, non provoca, per questi, un immediato depauperamento (66). Il fatto che il testamento, prima del verificarsi dell‟evento morte, sia tamquam non esset ha rappresentato, come già sottolineato nel corso della presente trattazione, una delle argomentazioni più pregnanti a favore della tesi, la quale esclude il carattere negoziale del testamento (67).
Il differimento dell‟efficacia al momento del decesso del disponente è in armonia con la funzione dell‟atto de quo: essendo il testamento un negozio destinato a regolare post mortem i rapporti dell‟autore, la sua causa viene ad essere caratterizzata dall‟evento morte. In tal senso, l‟atto di ultima volontà si differenzia dagli atti in cui la morte non rientra nel congegno causale dell‟attribuzione, ma costituisce semplicemente la condizione o il termine
(65) Così X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 42; ID, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 257. L‟Autore osserva come l‟istituzione di erede e il legato, pur essendo disposizioni nominate e tipiche, facciano parte di un unico schema negoziale, caratterizzato da una funzione unitaria. Pertanto, in quanto momenti di un unico “programma”, tali disposizioni non possono assumere la veste di autonomi “tipi” negoziali dotati di una funzione e, quindi, di una causa propria.
(66) E‟ importante sottolineare la diversa natura giuridica del testamento e dell‟evento morte: il testamento è un negozio giuridico o, secondo una tesi minoritaria, un atto giuridico non negoziale, mentre la morte è un fatto giuridico in senso stretto. Sull‟evento morte e sulla sua relazione con la vita che si spegne, si veda l‟interessante contributo di X. XXXXXXX FERRARA, Il momento della morte è fuori della vita?, in Riv. dir. civ., 1961, I, p. 134 ss.
(67) Si rinvia a quanto già esposto nel paragrafo n. 1 di questo capitolo.
dell‟attribuzione medesima (68). Si pensi alle donazioni a causa di morte, le quali, nonostante qualche voce contraria, avrebbero natura di atti inter vivos e, come tali, sarebbero pienamente valide. Esse sarebbero caratterizzate, infatti, dall‟attualità dello spoglio e non sarebbero altro che donazioni sottoposte alla condizione o al termine della morte del donante, evento, questo, che nessuna norma giuridica reputa illecito (69).
Per quanto riguarda il legame tra l‟atto mortis causa e l‟evento morte, si segnalano, in dottrina, diversi orientamenti. Secondo una prima tesi, il testamento, al momento del suo perfezionamento, sarebbe un semplice progetto o un atto in via di formazione, che richiederebbe una volontà continuativa e permanente e sarebbe destinato a trovare compimento alla morte del suo autore. Ciò troverebbe conferma nella possibilità, riconosciuta a questi, di revocare l‟atto di ultima volontà fino al suo ultimo istante di vita (artt. 679 ss. c.c.). In altri termini, in assenza di un atto di revoca, la volontà del
(68) E‟ importante non confondere il testamento con i negozi connessi alla morte, ossia con i negozi i cui effetti giuridici dipendono dal decesso di un determinato soggetto. Questi ultimi, non attribuendo diritti successori e non ponendo, a carico dell‟autore, limiti alla disponibilità dei beni né, tanto meno, alla libertà testamentaria, non rientrano nella previsione di cui all‟art. 458 c.c. Un negozio è configurabile come atto di ultima volontà solo qualora costituisca, per chi lo pone in essere, lo strumento di disposizione dei propri beni per il tempo successivo alla morte. Per un esame dei negozi connessi alla morte, v. X. XXXXXXXX, Diritto delle successioni, cit., p. 22 ss.
(69) Relativamente alle donazioni cum moriar e si praemoriar, nelle quali la morte non è l‟evento che determina l‟attribuzione patrimoniale, ma solo una modalità o una condizione dell‟attribuzione medesima, v. X. XXXXXXXX, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit.,
p. 22 ss.; ID, Nozioni di diritto ereditario, cit., p. 15; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit.,
p. 34 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 45 e 46; X. XXXX, voce “Successione, X) Fenomeni parasuccessori”, cit., p. 9 ss.; X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento,
b) Diritto privato”, cit., p. 472, nota n. 5. Contra C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia - Le successioni, cit., p. 562, secondo il quale le ipotesi considerate sarebbero invalide per contrasto con il divieto dei patti successori. L‟Autore afferma che gli atti in esame, essendo finalizzati alla disposizione dei beni del donante per il tempo successivo alla sua morte, avrebbero la medesima funzione del testamento: nelle donazioni de quibus, in altri termini, la morte costituirebbe la causa dell‟attribuzione. In conclusione, trattandosi di contratti, come tali irrevocabili, tali donazioni sarebbero nulle ex art. 458 c.c. Si segnala l‟opinione di X. XXXXX, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Volume I, cit., p. 37 ss., il quale afferma che la validità della donazione a causa di morte dovrebbe essere verificata caso per caso, valutando se, nell‟ipotesi concreta, il donante e il donatario abbiano inteso, con tale contratto, dissimulare un patto successorio. Si consideri che, mentre la donazione può avere ad oggetto solo beni presenti del donante (art. 771, comma 1, c.c.), il patto successorio può avere ad oggetto anche beni futuri del disponente (e, persino, tutta la sua eredità o una quota di essa). Inoltre, può accadere che il donante, attraverso una donazione sottoposta al termine iniziale della sua morte, intenda effettuare, in sostanza, una donazione con riserva di usufrutto, figura, quest‟ultima, senza dubbio ammessa.
disponente, al momento dell‟apertura della successione, sarebbe implicitamente confermata e assumerebbe carattere definitivo (70).
In contrario, è stato rilevato che, ferma restando la possibilità di revocare le disposizioni testamentarie, l‟autore dell‟atto mortis causa, attraverso un negozio dispositivo perfetto, esprimerebbe una volontà seria e definitiva (71). A sostegno di ciò, si afferma che, se il testamento fosse un mero progetto, sarebbe necessaria, al fine di conferire carattere definitivo al medesimo, un‟ulteriore manifestazione di volontà di segno positivo.
Ciò, invece, non è richiesto da alcuna disposizione legislativa, essendo sufficiente, per determinare l‟apertura della successione, il sopraggiungere della morte del testatore (72). Si osserva, altresì, che la qualificazione in termini di atto in via di formazione renderebbe necessaria la perseverantia in voluntate, ossia la persistenza dell‟elemento volitivo fino al momento del decesso dell‟autore. Come è noto, invece, è irrilevante, in assenza di un atto di revoca, un semplice mutamento della volontà interna del testatore.
A ciò si aggiunga che l‟accertamento della capacità di testare è effettuato al momento della testamenti factio (art. 591 c.c.) e che, pertanto, la sopravvenuta incapacità del disponente non è di ostacolo alla validità del negozio (73). La previsione del potere di revoca non può essere addotta a sostegno della tesi, che qualifica il testamento come un mero progetto o un atto in via di formazione poiché, dal punto di vista logico – giuridico, la revoca
(70) Cfr. X. XX XXXXXXXX – F. MAROI, Istituzioni di diritto privato, Milano – Messina, 1950, p. 458; X. XXXXXXXX CITATI, La reviviscenza delle disposizioni testamentarie revocate, in Riv. dir. civ., 1931, p. 221 ss.
(71) Così C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia - Le successioni, cit., p. 733; X. XXXXX, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Volume I, cit., p. 39 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 59.
(72) Sul punto, X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 59 e 60.
(73) In tal senso, X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, cit., p. 206 ss. A questa obiezione cerca di ribattere X. XXXXXXXX CITATI, La reviviscenza delle disposizioni testamentarie revocate, cit., p. 221 ss., il quale afferma che “il sopravvenire dell’incapacità mette il soggetto nell’impossibilità di volere o disvolere, e perciò la sua volontà si può considerare persistente fino all’ultimo momento in cui il testatore potè volere; cosicché è logico che il testamento debba restar fermo”. Contra X. XXXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 59, nota n. 49, secondo il quale, relativamente all‟incapacità sopravvenuta, non è ammissibile che assuma rilevanza la volontà immediatamente precedente allo stadio di incapacità. Se si considera la perseverantia in voluntate un requisito del testamento, non si può affermare la validità del testamento medesimo, qualora esso non sia più sorretto da un‟idonea volontà.
implica l‟avvenuto perfezionamento di un atto da revocare (74). Si consideri, inoltre, che la legge, attribuendo valore giuridico al testamento in ipotesi diverse dalla morte, quali la dichiarazione di assenza (art. 50 c.c.), riconosce, implicitamente, la rilevanza dell‟atto mortis causa fin dal momento della sua redazione. Infine, anche dalla lettura del codice penale, che considera reato la distruzione, la soppressione, l‟alterazione e l‟occultamento del testamento olografo, anche qualora tali fatti siano avvenuti durante la vita del testatore (artt. 490 e 491 c.p.), si evince che il testamento è un negozio giuridico vero e proprio, già formato e perfetto, fin dal momento della sua redazione.
In base a una diversa impostazione, il decesso del disponente costituirebbe una condicio iuris, al verificarsi della quale il negozio testamentario, già perfetto fin dal momento della sua redazione, produrrebbe effetti giuridici (75). Occorre precisare che, all‟interno di tale orientamento, vi è stato chi, pur distinguendo tra il momento perfezionativo dell‟atto di ultima volontà e il momento di produzione degli effetti del medesimo, ha preferito qualificare la morte dell‟autore in termini diversi. Più precisamente, se si osserva il fenomeno successorio nel suo complesso, è evidente che la morte costituisce il presupposto di fatto, l‟antecedente logico del fenomeno medesimo. Se si analizza, specificamente, l‟atto di ultima volontà, si può notare come il medesimo evento costituisca la componente causale dell‟atto, rendendo necessaria, di conseguenza, una qualificazione in termini di condicio iuris o di termine iniziale incertus quando o, ancora, di fatto determinante o costitutivo dell‟efficacia dell‟atto (76).
La principale obiezione elaborata nei confronti della teoria in esame fa leva sul totale distacco, caratterizzante il negozio testamentario, tra il perfezionamento dell‟atto e la produzione dei suoi effetti: mentre le fattispecie a formazione
(74) Cfr. X. XXXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 60 e, in particolare, nota n. 51, il quale precisa che un atto non ancora perfetto non richiede una revoca. Qualora il soggetto abbia cambiato parere e voglia impedire il perfezionamento della fattispecie, è sufficiente che egli si astenga dall‟effettuare la dichiarazione.
(75) Così X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 311; X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 198. Cfr. anche X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, cit., p. 477 e p. 503. L‟Autore rileva che, indipendentemente dalla qualificazione giuridica del testamento, non si deve fare confusione tra l‟atto di ultima volontà e i suoi effetti: l‟atto è perfetto, se ne sussistono i requisiti richiesti, nel momento della dichiarazione della volontà, mentre gli effetti si producono in un momento differito.
(76) Per un quadro delle diverse posizioni dottrinali relative all‟inquadramento giuridico dell‟evento morte, v. X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 25 ss.; ID, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 108; X. XXXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 62 ss.
progressiva, pur sospendendo o differendo gli effetti finali del negozio, producono effetti prodromici e determinano l‟insorgere di un‟aspettativa, l‟atto di ultima volontà, invece, è totalmente improduttivo di effetti, ancorché preliminari, prima della morte del suo autore (77).
Altra parte della dottrina individua, nel testamento, un doppio stadio di rilevanza giuridica: il negozio, in sé pienamente valido fin dal momento della testamenti factio, produrrebbe effetti immediati per il suo autore (come confermato dalla necessità di un atto di revoca per privarlo di efficacia), mentre acquisterebbe valore giuridico nei confronti dei terzi solo con il verificarsi dell‟evento morte (78).
(77) Cfr. X. XXXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 61 ss. e, in particolare, p. 64. L‟Autore precisa che, pur essendo possibile configurare un terzo interessato, quale l‟erede o il legatario, si deve escludere, tuttavia, che questi sia titolare, durante la vita del testatore, di un‟aspettativa giuridicamente tutelata e che possa spettargli un‟azione diretta ad ottenere provvedimenti conservativi. Vedi anche X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, cit., p. 207, il quale mette in luce le differenze tra la condizione e l‟evento morte: mentre la condizione, attraverso il meccanismo della retroattività (art. 1360 c.c.), è proiettata anche verso il passato, la morte, invece, guarda soltanto all‟avvenire.
(78) In tal senso, X. XXXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 61 ss. A pag. 65, l‟Autore afferma che “l’evento della morte nello schema dell’atto di ultima volontà è propriamente un elemento che resta al giusto mezzo fra i concetti di perfezione ed efficacia dell’atto: non è un elemento costitutivo del negozio, non è un semplice requisito di sua efficacia; è qualcosa di meno che il primo, qualcosa di più che il secondo”. A pag. 68, prevede che la morte “non è un semplice requisito di efficacia perché non sospende soltanto l’efficacia del negozio, ma ne condiziona piuttosto la stessa rilevanza giuridica verso i terzi (per ogni e qualsiasi categoria di terzi l’atto di ultima volontà è, prima della morte, un semplice fatto storico, non ancora un negozio); non è un elemento costitutivo dell’atto perché è estraneo alla struttura di questo e il negozio è perfetto, come atto di autonomia privata, al momento stesso in cui è formato”.
Paragrafo 4
Questioni relative all’applicabilità dell’art. 1322 c.c. al testamento
Una volta risolta in senso positivo la questione relativa alla natura negoziale del testamento, occorre domandarsi se trovi applicazione, in materia successoria, il principio di autonomia privata di cui all‟art. 1322 c.c. La norma citata, se da un lato consente ai soggetti dell‟ordinamento di dare un assetto ai propri rapporti e interessi, dall‟altro, prevede i limiti entro i quali l‟autonomia negoziale può manifestarsi (79).
Considerato che l‟art. 1324 c.c., nel prevedere l‟applicabilità delle norme sui contratti agli atti unilaterali, si riferisce, letteralmente, ai soli atti tra vivi aventi contenuto patrimoniale (80), è discusso se la disciplina di cui agli artt. 1321 ss. c.c. possa essere richiamata in materia testamentaria (81). La questione in esame, lungi dal rivestire importanza meramente teorica, consente di stabilire entro quali limiti possa esplicarsi la libertà di testare e quali disposizioni possano essere contenute in un testamento (82).
Il primo problema da affrontare concerne la possibilità di fare ricorso, nell‟ambito delle successioni a causa di morte, a negozi diversi dal testamento (83). Tale questione investe, in via più generale, il problema della atipicità dei negozi
(79) Le parti non soltanto hanno il potere di determinare liberamente il contenuto del negozio, nei limiti imposti dalla legge (art. 1322, comma 1, c.c.), ma possono anche concludere contratti che non hanno una disciplina specifica (contratti atipici) purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l‟ordinamento giuridico (art. 1322, comma 2, c.c.). In ordine al concetto di autonomia negoziale, cfr. X. XXXXX, voce: “Autonomia privata”, in Noviss. Dig. it., I, 2, Torino, 1958, p. 1559 ss.; X. XXXXXXX, Autonomia privata nei contratti e negli altri atti giuridici, cit., p. 265 ss.; X. XXXXXXXXX, voce: “Autonomia, c) Autonomia privata”, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 366 ss.
(80) Nel codice civile sono disciplinati non soltanto i contratti, ma anche atti unilaterali di carattere patrimoniale, i quali costituiscono espressione dell‟autonomia privata (es.: recesso unilaterale, promesse unilaterali, titoli di credito ecc …). Relativamente a tali atti, in assenza di una disciplina di carattere generale, trovano applicazione le norme sui contratti. Come osserva
X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, cit., p. 502, dall‟art. 1324 c.c. si può ricavare l‟intenzione del legislatore di addivenire a una nozione generale degli atti inter vivos a contenuto patrimoniale, nozione che è stata delineata e sviluppata ad opera della dottrina.
(81) Nonostante esuli dalla nostra indagine, merita di essere ricordato che non del tutto pacifico è l‟inquadramento dell‟ambito di applicazione dell‟art. 1324 c.c., il quale, nel parlare di “atti unilaterali”, non distingue tra gli atti giuridici in senso stretto e gli atti aventi natura negoziale. Sul punto, X. XXXXXX, voce: “Atti unilaterali, I) Diritto civile”, in Enc. giur. Treccani, III, Roma, 1988, p. 1 ss.; X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 87 ss. e 772 ss.; V. M. XXXXXXXXX, voce: “Atti unilaterali”, in Noviss. Dig. it., I, 2, Torino, 1958, p. 1527 ss.
(82) Si rinvia al paragrafo n. 5 di questo capitolo per l‟analisi dei principali limiti alla libertà del disponente e per la questione relativa all‟ammissibilità di alcune disposizioni testamentarie.
(83) Sul tema, G. B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 35 ss.
unilaterali, che sarà opportuno illustrare brevemente (84). Come è noto, è controverso, in dottrina, se l‟art. 1322, comma 2, c.c., il quale si riferisce ai contratti, trovi applicazione anche per gli atti aventi struttura unilaterale e se, pertanto, siano ammissibili negozi unilaterali atipici (85).
In base all‟orientamento tradizionale, sarebbe preclusa ai privati la possibilità di porre in essere negozi a struttura unilaterale diversi da quelli espressamente previsti e disciplinati dalla legge. Le principali argomentazioni addotte a sostegno della tesi in esame sono costituite dalla previsione di tipicità delle promesse unilaterali ex art. 1987 c.c. (86) e dal principio dell‟intangibilità dell‟altrui sfera giuridica (invito domino beneficium non datur). In particolare, non sarebbe consentita, salvi i casi espressamente contemplati dalla legge, una modificazione della sfera giuridica del terzo a prescindere dal suo consenso: per il terzo, il negozio giuridico è “res inter alios acta aliis nec nocere nec prodesse potest” (87).
Secondo altra parte della dottrina, invece, sarebbero ammissibili anche i negozi unilaterali atipici purché diretti a produrre effetti vantaggiosi per i terzi (88). L‟argomento testuale, fondato sull‟art. 1987 c.c. e utilizzato dai sostenitori della
(84) X. XXXXXX, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, p. 19 ss. si sofferma sulle diverse accezioni del principio di tipicità e, in particolare, su quella descrittiva (o enunciativa) e su quella normativa (o precettiva). La prima indicherebbe la presenza, nel mondo giuridico, di schemi negoziali predisposti dalla legge. La seconda indicherebbe che ai privati è preclusa sia la possibilità di creare nuove figure negoziali diverse da quelle espressamente previste dalla legge (tipicità della causa o della funzione) sia la possibilità di determinare liberamente il contenuto di quelle nominate (tipicità del contenuto). L‟Autore osserva che, relativamente alla seconda delle accezioni (normativa o precettiva), sarebbe più opportuno parlare di “tassatività”. La dottrina, solitamente, utilizza indistintamente i termini “tipicità”, “tassatività” e “nominatività”. Per un tentativo di attribuire a ciascuno di tali termini un preciso significato, v. X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 116.
(85) Cfr. X. XXXXXXXXX, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969, p. 1 e ss.; ID, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali, Napoli, 1997, p. 1 e ss.
(86) Sulle promesse unilaterali e sui negozi unilaterali, v. X. XXXXXX, Delle promesse unilaterali, in Comm. cod. civ. a cura di X. XXXXXXXX e X. XXXXXX, Libro quarto: delle obbligazioni. Artt. 1960 – 1991, Bologna – Roma, 1974, p. 406 ss.; X. XXXXXXX, Diritto privato, cit., p. 387 ss.; X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 693 ss. e 772 ss.; X. XXXXX, Il potere della volontà nella promessa come negozio giuridico, in Riv. dir. comm., 1956, I, p. 18 ss.;
X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 771 ss.; X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto privato, cit., p. 156 ss. e 259 ss.; X. XXXXXX, Diritto civile. Lezioni, cit., p. 371 ss.
(87) La tesi tradizionale vede, nel contratto, l‟unico strumento generale di esplicazione dell‟autonomia privata. Si ritiene che il negozio unilaterale non possa, al di fuori dei casi consentiti dalla legge, intaccare la sfera giuridica di un soggetto che ne sia rimasto estraneo. In tal senso, X. XXXXXXX, Autonomia privata nei contratti e negli altri atti giuridici, cit., p. 273; X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 172; V. M. XXXXXXXXX, voce: “Atti unilaterali”, cit., p 1528.
(88) Così X. XXXXXX, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit., p. 67 ss., 101 ss. e 165 ss.; G. B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 30.
tesi opposta, si rivela particolarmente debole, in quanto la disposizione citata, essendo dettata in materia di obbligazioni, può essere invocata solo a favore della tipicità dei negozi unilaterali produttivi di effetti obbligatori e non di quelli operanti in modo diverso. A ciò si aggiunga che l‟argomentazione in esame postula una piena coincidenza tra la categoria dei negozi unilaterali ad effetti obbligatori e quella delle promesse unilaterali, coincidenza che non appare dimostrata in alcun modo: tra i negozi unilaterali e le promesse unilaterali non c‟è integrale corrispondenza, ma solo un rapporto di genus a species.
Numerose sono le argomentazioni addotte a favore della teoria in esame. In primis, si osserva che l‟art. 1324 c.c. detta un rinvio all‟intera disciplina del contratto, disciplina, questa, comprensiva del secondo comma dell‟art. 1322 c.c., contenente il principio di atipicità dei negozi giuridici. Si osserva, altresì, che il legislatore, nel prevedere il principio di atipicità delle fonti delle obbligazioni (art. 1173 c.c.), ha implicitamente ammesso che i negozi possano produrre effetti obbligatori anche al di fuori dei casi previsti dalla legge. Inoltre, si consideri che, rispetto a una particolare categoria di promesse unilaterali, quelle incorporate in un titolo di credito, sembra essere stata prevista, implicitamente, la possibilità di creare nuovi tipi, oltre quelli espressamente disciplinati. Più precisamente, il legislatore, escludendo l‟emissione al portatore, al di fuori dei casi stabiliti dalla legge, dei titoli di credito contenenti l‟obbligazione di pagare una somma di denaro (art. 2004 c.c.), sembra implicitamente aver ammesso, in tutti gli altri casi, l‟emissione di titoli di credito innominati.
Le argomentazioni illustrate sono certamente significative, ma la più importante è, senza dubbio, quella che fa leva sul ridimensionamento del principio dell‟intangibilità della sfera giuridica altrui. Non esiste un‟assoluta inviolabilità della sfera del terzo, ma soltanto l‟esigenza della sua salvaguardia. Al riguardo, la dottrina distingue, nell‟ambito degli effetti che il negozio può produrre nei confronti del terzo, gli effetti diretti (o immediati) e quelli indiretti (o riflessi). Considerato che ogni atto della realtà giuridica coinvolge non soltanto il suo autore, ma anche i soggetti che, indirettamente, entrano in contatto con lui, è evidente che tutti i negozi producono effetti riflessi per i terzi. Il problema della protezione della sfera altrui, pertanto, concerne
esclusivamente gli effetti diretti (o immediati) (89). E‟ certo che questi ultimi non possano consistere in effetti sfavorevoli o, comunque, non del tutto favorevoli per il terzo: non avendo il terzo prestato il suo assenso, la sua sfera giuridica non può essere modificata in peius. Qualora gli effetti diretti implichino, invece, l‟attribuzione di una situazione giuridica attiva o l‟eliminazione di una posizione passiva o, ancora, il miglioramento o l‟attenuazione, rispettivamente, di una posizione attiva o passiva già acquisita (effetti favorevoli), essi possono scaturire da un atto unilaterale, senza che sia necessario il preventivo assenso dell‟interessato. Resta fermo, comunque, il potere del terzo di manifestare, verosimilmente in un congruo termine, una volontà contraria alla produzione di tali effetti. Attraverso il rifiuto, il terzo esprime la volontà di sottrarsi a quella vicenda giuridica e consente alla propria sfera di riacquistare l‟originaria consistenza. Naturalmente, se il terzo non pone in essere alcun atto di rifiuto, gli effetti prodottosi a suo favore divengono inattaccabili. Le considerazioni appena svolte trovano conforto nelle previsioni normative relative all‟acquisto del legato (art. 649, comma 0, x.x.), xxxx xxxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxxx xxx xxxxxx (xxx. 1236 c.c.) e al contratto a favore del terzo (art. 1411 c.c.) (90).
Una volta ammessa l‟atipicità dei negozi unilaterali in generale, resta da chiedersi se, al fine di disporre delle proprie sostanze per il tempo successivo alla morte, sia possibile ricorrere a strumenti negoziali diversi dal testamento. Dalla lettura dell‟art. 457, comma 1, c.c., il quale esclude cause di delazione diverse dalla legge e dal testamento, e dell‟art. 458 c.c., il quale vieta i patti successori, si evince come l‟atto di ultima volontà rappresenti, nell‟attuale sistema giuridico, l‟unico negozio idoneo ad attribuire beni post mortem. A ciò si aggiunga che la successione a causa di morte implica una successio in universum ius e che, in deroga alla regola generale, secondo la quale il mutamento dell‟obbligazione nel lato passivo richiede il consenso del creditore (artt. 1268, comma 1, 1272, comma 1, 1273, comma 2, c.c.), la vicenda mortis
(89) X. XXXXXX, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit., p. 77 e 78, spiega il significato delle espressioni “effetti diretti” ed “effetti riflessi”. La prima locuzione allude agli effetti giuridici la cui fattispecie è costituita dal negozio giuridico; la seconda, invece, indica le vicende o modificazioni giuridiche che si ricollegano, in via immediata, non al negozio, ma ai suoi effetti (diretti).
(90) Sul tema, X. XXXXXXXXX, Struttura della remissione. Spunti per una dottrina del negozio unilaterale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, II, p. 1291 ss.; C. M. BIANCA, Diritto civile,
3. Il contratto, cit., p. 11 ss.; X. XXXXX, Autonomia privata e promesse unilaterali, in Banca, borsa e tit. cred., 1960, I, p. 481 ss.; X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 25 ss.
causa determina il subingresso dell‟erede nel complesso dei rapporti giuridici (attivi e) passivi facenti capo al defunto, indipendentemente dall‟assenso dei creditori. Pertanto, considerato il carattere eccezionale dell‟effetto giuridico appena illustrato, si deve escludere che i privati, al fine di regolare post mortem i propri interessi, possano ricorrere a strumenti diversi dal testamento (91).
Le nozioni di tipo e di interesse meritevole di tutela, che si trovano nella disciplina del contratto, si impoveriscono di contenuto, se trasfuse nella materia testamentaria (92). Un problema di tipo, con riferimento all‟atto di ultima volontà, non potrebbe porsi, in quanto non sembrerebbe esistere, nell‟attuale sistema giuridico, un‟alternativa atipica al testamento. Non troverebbe spazio, in materia successoria, neppure il concetto di meritevolezza degli interessi perseguiti (93). Le peculiarità di disciplina dell‟atto mortis causa e la diversità, rispetto al contratto, delle esigenze sottese a tale atto impedirebbero di effettuare il giudizio di meritevolezza dell‟interesse di cui all‟art. 1322, comma 2,
(91) In tal senso, X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 435; G. B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 58; X. XXXXX, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Volume I, cit., p. 34; X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 222.
(92) Così X. XXXXXXXX, Recensione a X. XXX, La diseredazione – Contributo allo studio del contenuto del testamento, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x. 00.
(93) Come è noto, in dottrina vi è diversità di opinioni sul concetto di meritevolezza degli interessi ex art. 1322, comma 2, c.c. Secondo una prima ricostruzione, il giudizio sulla meritevolezza degli interessi perseguiti coinciderebbe con quello sulla liceita: gli interessi non meritevoli di tutela sarebbero quelli illeciti, ossia quelli contrari a norme imperative, all‟ordine pubblico e al buon costume. In tal senso, G. B. XXXXX, Ancora in tema di meritevolezza dell’interesse, in Riv. dir. comm. 1979, I, p. 12 ss.; ID, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 406 ss.; ID, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, XX, x. 00; X. XXXXXXX, Considerazioni in tema di contratto atipico, giudizio di meritevolezza e norme imperative, in Riv. dir. priv., 2003, I, p. 62 ss.
Secondo una diversa impostazione, il giudizio di cui all‟art. 1322, comma 2, c.c. non coinciderebbe con quello di liceità, essendo qualitativamente diverso e di contenuto più ampio. Identificare il giudizio sulla meritevolezza degli interessi perseguiti con quello sulla liceità significherebbe, considerata l‟esistenza dell‟art. 1343 c.c., svuotare di contenuto l‟art. 1322, comma 2, c.c. La liceità sarebbe condizione necessaria, ma non sufficiente di per sé sola, a giustificare il riconoscimento dell‟atto di autonomia privata. Così X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 193; X. XXXXXXXX, Il contratto atipico, Milano, 1981, p. 24 ss.; X. XXXXXXX, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 52 ss. e, in particolare, p. 57 ss.
Relativamente al contenuto vero e proprio del giudizio di meritevolezza, vi è un variegato panorama di opinioni, che vanno dalla necessità della corrispondenza a un‟esigenza pratica e a un interesse sociale durevole fino alla necessità di un‟utilità sociale secondo i dettami dell‟art. 42 Cost. Sul punto, X. XXXXXXXX, Questioni sull’art. 1322 cod. civ., in Riv. dir. comm., 1976, II,
p. 263 ss.; X. XXXXX, Causa tipica, motivo rilevante, contratto illecito, in Foro it., 1971, I, c. 2377 ss.
c.c. (94). Quest‟ultimo giudizio avrebbe valore solo qualora, per la realizzazione dell‟interesse, si costituisse, si modificasse o si estinguesse un rapporto giuridico. Essendo il testamento privo di una reale forza creatrice, una verifica in termini di meritevolezza dell‟interesse perseguito non avrebbe alcun significato (95). A ciò si aggiunga che l‟art. 1322, comma 2, c.c. andrebbe riferito solo ai negozi atipici: il negozio testamentario, proprio per essere stato riconosciuto come tipo dalla legge (artt. 587 ss. c.c.), avrebbe già scontato, in sede normativa, il giudizio di meritevolezza degli interessi perseguiti (96).
Occorre ricordare l‟opinione di altra dottrina, secondo la quale l‟art. 1322, comma 2, c.c. sarebbe applicabile (in via analogica o direttamente) al negozio testamentario sia relativamente al concetto di tipo sia con riguardo al concetto di meritevolezza degli interessi perseguiti (97). Quanto al tipo, la dottrina più moderna ha individuato i cosiddetti istituti alternativi al testamento, strumenti negoziali che consentono di realizzare un risultato analogo a quello dell‟atto di ultima volontà: la regolamentazione post mortem degli interessi del disponente (98).
(94) Cfr. G. B. XXXXX, Xxxxx e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 58 ss., secondo il quale, considerate le differenze tra il testamento e i negozi inter vivos, i principi di autonomia contenuti nell‟art. 1322 c.c. non sarebbero applicabili al testamento. Più precisamente, non soltanto non sarebbe possibile creare negozi atipici in materia testamentaria, ma non sarebbe neppure ammissibile un giudizio sulla meritevolezza di tutela dell‟interesse perseguito, giudizio, quest‟ultimo, che presupporrebbe, per il perseguimento dell‟interesse, la costituzione, la modificazione o l‟estinzione di un rapporto giuridico.
(95) Si osservi che, secondo parte della dottrina, la mancanza di forza creatrice dell‟atto di ultima volontà si giustificherebbe con il fatto che causa immediata della vocazione sarebbe sempre e solo la legge. Relativamente alla questione dell‟ammissibilità di una duplice fonte della vocazione, si rinvia alle considerazioni svolte nel paragrafo n. 1.
(96) Così X. XXXXXXXX, Interpretazione del testamento (Riproduzione dell’edizione del 1952), Napoli, 1978, p. 146 e 147.
(97) In tal senso, X. XXX, La diseredazione, cit., p. 196 ss.
(98) Sono state individuate alternative in senso stretto al testamento (negozi trans mortem) e alternative in senso lato al testamento (negozi inter vivos con effetti post mortem). Nella prima categoria rientrerebbero il contratto a favore del terzo, il contratto di assicurazione sulla vita a favore del terzo, la rendita vitalizia e il vitalizio alimentare. Si tratta di ipotesi in cui l‟uscita del bene dal patrimonio del disponente avverrebbe prima della sua morte, mentre la definitività dell‟attribuzione a favore del beneficiario si verificherebbe solo dopo la morte dell‟autore, il quale potrebbe vanificare il predisposto assetto patrimoniale sino all‟apertura della successione. Rientrerebbero nella seconda categoria, invece, la donazione modale con adempimento post mortem del modus e la donazione si praemoriar, ipotesi, queste, caratterizzate dal fatto di produrre effetti dopo la morte del loro autore.
Per un‟analisi delle manifestazioni dell‟autonomia privata che, in concreto, assolvono funzioni analoghe a quella propria del testamento, v. X. XXXXXXX, Autonomia contrattuale e successioni anomale, cit., p. 1 ss.
Relativamente al giudizio di meritevolezza degli interessi perseguiti, esso costituirebbe un fondamentale strumento ermeneutico per verificare la validità delle disposizioni testamentarie atipiche (99).
Si discute, altresì, se si applichi al negozio testamentario il primo comma dell‟art. 1322 c.c. e se, conseguentemente, sia riconosciuta al testatore la possibilità, nei limiti imposti dalla legge, di determinare liberamente il contenuto dell‟atto.
Secondo parte della dottrina, i privati, al fine di disporre delle proprie sostanze per il periodo successivo alla morte, non soltanto potrebbero avvalersi di un unico atto, il testamento, ma potrebbero utilizzare, per determinare il contenuto dell‟atto medesimo, esclusivamente gli schemi dell‟istituzione di erede e del legato (100). L‟accoglimento dell‟orientamento de quo implica l‟inammissibilità, nel nostro sistema giuridico, di disposizioni mortis causa atipiche o di contenuto negativo (101).
In base a una diversa impostazione, che appare preferibile, la tipicità del negozio testamentario non implicherebbe la tipicità del suo contenuto. La libertà del testatore sarebbe talmente ampia da legittimare, persino, la previsione di disposizioni dal contenuto futile o bizzarro, con l‟unico limite della liceità dei motivi sottesi alle disposizioni medesime e fermo restando, naturalmente, il rispetto dei principi fondamentali del diritto successorio (102).
Paragrafo 5
I limiti all’autonomia testamentaria
Il legislatore attribuisce ai privati il potere di regolamentare post mortem i propri interessi attraverso il negozio testamentario, individuando i destinatari e
(99) Così X. XXXXXXXXX XXXX, Delle successioni testamentarie, cit., p. 43 – 45; ID, Il testamento, cit., p. 46 e 47; X. XXX, La diseredazione, cit., p. 196 ss., spec. p. 203 e 204.
(100) Cfr. X. XXXXXXX, Autonomia privata nei contratti e negli altri atti giuridici, cit., p. 272, il quale, relativamente agli atti aventi contenuto non patrimoniale e a quelli, che pur avendo tale contenuto, siano a causa di morte, esclude l‟applicabilità, sia in via diretta che in via indiretta, delle norme che disciplinano i contratti. L‟Autore precisa che gli atti di diritto familiare e il testamento trovano, nel codice civile, una propria disciplina e che, in caso di lacune, è possibile fare ricorso ai principi generali desumibili dal sistema.
(101) La questione relativa all‟ammissibilità delle clausole atipiche e di contenuto negativo sarà illustrata nel paragrafo n. 5 di questo capitolo.
(102) Così X. XXXXXXXX, Autonomia negoziale e diritto ereditario, in Riv. notar., 2000, II, p. 789 ss.
determinando l‟oggetto della successione a causa di morte. Come si è già precisato nel paragrafo precedente, è discusso se la libertà riconosciuta al testatore sia soggetta alle medesime limitazioni previste per gli atti inter vivos (103). Per questi ultimi, come è noto, l‟ordinamento giuridico ha il potere di valutare le manifestazioni dell‟autonomia privata alla stregua della rilevanza sociale e della meritevolezza dell‟interesse perseguito.
Al fine di verificare l‟ammissibilità di alcune disposizioni testamentarie, è opportuno premettere qualche considerazione in ordine al contenuto del testamento. Esso si caratterizza per la sua varietà: l‟atto di ultima volontà può essere fonte di diritti, di obbligazioni, di raccomandazioni, di obblighi soltanto morali e può contenere sia dichiarazioni di volontà che atti non negoziali (104).
Attraverso il testamento può verificarsi persino un illecito, come avviene nel caso della disposizione testamentaria che integri gli estremi di una fattispecie di reato o nell‟ipotesi del legato infamante (105).
L‟atto mortis causa regola non soltanto interessi patrimoniali del disponente (cosiddetto contenuto patrimoniale del testamento o testamento in senso sostanziale) (art. 587, comma 1, c.c.), ma anche interessi non economici
(103) In ordine alla necessità di apporre limiti all‟autonomia privata in generale, v. X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 53; X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 781 ss.; X. XXXXXXXXXXX, L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giur. it., 1999, I, p. 229 ss. Sui limiti alla libertà testamentaria, cfr. C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia. Le successioni, cit., p. 730 ss.; X. XXXXXXXX, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 28 ss.; ID, Nozioni di diritto ereditario, cit., p. 19 ss.; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit.,
p. 418 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 114 ss.
(104) Per le obbligazioni nascenti dal testamento, v. X. XXXXXXXX, Le obbligazioni di fonte successoria, in Studium Iuris, 2003, I, p. 41 ss.; X. XXXXXXXXX, Le obbligazioni testamentarie, Milano, 1980, p. 9 ss.
Il testatore può utilizzare l‟atto di ultima volontà anche per fare raccomandazioni ai propri figli, riguardanti lo studio o il comportamento secondo sani principi, o per invitarli a evitare contrasti e dissidi nella divisione dei beni. Tali dichiarazioni non producono alcuna conseguenza giuridica e rappresentano un semplice consiglio o una mera raccomandazione morale, salvo che il testatore non attribuisca loro rilevanza giuridica attraverso i meccanismi del modus o della condizione.
(105) Il testatore può attribuire a un dato soggetto la proprietà di un bene, esplicitando un motivo non nobile oppure manifestando parole offensive nei suoi confronti. A titolo esemplificativo, si consideri una disposizione di questo tipo: “Lego a Tizio un mazzo di xxxxxxxxxxx affinché possa continuare nella sua professione”.
Talvolta, le espressioni irriguardose sono utilizzate dal disponente per rendere esplicite le ragioni che l‟hanno spinto a manifestare la volontà (negativa) di diseredazione. In alcuni casi, le disposizioni suddette, costituendo mera espressione di antipatia o rancore, non producono alcun effetto giuridico. In altri casi, invece, esse determinano la violazione di diritti fondamentali della persona quale, ad esempio, l‟onore. Nasce, così, il problema di stabilire se l‟erede debba rispondere dei danni connessi all‟offesa all‟onore perpetrata dal testatore. Sul punto, X. XXXXXXXX, L’illecito posto in essere per mezzo del testamento, in Tratt. dir. succ. e donaz. diretto da X. XXXXXXXX, Volume II: la successione testamentaria, Xxxxxx, 0000, x. 0000 xx.
(xxxxxxxxxx contenuto non patrimoniale del testamento o testamento in senso formale) (art. 587, comma 2, c.c.) (106).
Giova ricordare che altra parte della dottrina propone la distinzione tra testamento in senso negoziale e testamento in senso documentale. Il primo è quello che contiene disposizioni di carattere patrimoniale, mentre il secondo è quello che contempla soltanto disposizioni non patrimoniali e svolge soltanto la funzione di veicolo di trasmissione di dette disposizioni (cosiddetta funzione veicolare del testamento) (107). La distinzione tra testamento come negozio e testamento come documento risulta ancor più evidente, se si considera che la successione testamentaria resta unica anche nel caso in cui i documenti testamentari siano, in concreto, più di uno. La suddetta distinzione, inoltre, rileva in tema di capacità d‟agire, come nel caso del riconoscimento del figlio naturale, che può essere fatto, in un testamento olografo, da chi abbia compiuto almeno sedici anni (art. 250, ultimo comma, c.c.), ma non ancora i diciotto, corrispondenti alla maggiore età richiesta per poter validamente fare testamento (art. 591, comma 2, n. 1, c.c.): si avrà, quindi, un documento testamentario valido ex art. 587, comma 2, c.c. ai fini del riconoscimento del figlio naturale, ma non si avrà un valido negozio testamentario, con conseguente apertura della successione legittima per l‟individuazione degli eredi.
Il contenuto non patrimoniale del testamento non è in contrasto col contenuto patrimoniale del medesimo, ma è una mera eccezione al principio generale, ai sensi del quale l‟atto di ultima volontà è destinato a regolare post mortem gli interessi economici del disponente. La dottrina prevalente e la pressoché unanime giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, sostengono, infatti, che la patrimonialità costituisca la caratteristica fondamentale del
(106) Cfr. X. XXXXX, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Volume I, cit.,
p. 28, il quale distingue tra testamento in senso sostanziale e testamento in senso formale. Il primo, definito nell‟art. 587, comma 1, c.c., indica l‟atto di ultima volontà, che contiene essenzialmente disposizioni aventi ad oggetto beni; il secondo, definito nell‟art. 587, comma 2, c.c., si riferisce all‟atto, che ha soltanto la forma del testamento, ma che non contiene disposizioni patrimoniali, ma solo disposizioni di altra natura.
Si veda anche X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 1 ss., che ha elaborato la distinzione tra “contenuto tipico” e “contenuto atipico” del testamento. In proposito, v. X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, cit., p. 474, nota n. 18, il quale ritiene che l‟espressione “contenuto atipico” potrebbe generare confusione e preferisce utilizzare la dizione “contenuto non patrimoniale”.
(107) Così X. XXXX, Testamento, cit., p. 33.
testamento. Ciò trova conferma nel dettato legislativo, che descrive il negozio mortis causa come l‟atto con il quale si dispone delle proprie “sostanze” (art. 587, comma 1, c.c.) (108) e che attribuisce efficacia alle disposizioni di carattere non patrimoniale (anche) se contenute in un atto che ha (solo) la forma del testamento (art. 587, comma 2, c.c.). Come spiegato nella relazione al codice civile, “il testamento, nella sua nozione tradizionale e nella sua funzione pratica, è l’atto con cui si provvede alla destinazione dei beni post mortem … esso può contenere disposizioni non patrimoniali, ma ciò, indubbiamente, costituisce una mera accidentalità … e, quindi, per evitare l’apparente contraddizione tra il primo e il secondo comma dell’art. 587 c.c., si è ritenuto opportuno modificare quest’ultimo in modo che ne emergesse chiaro il concetto che, in mancanza di disposizioni patrimoniali, si può parlare di atto rivestito delle forme testamentarie, ma non di testamento”. In sintesi, la patrimonialità è il dato qualificante del negozio testamentario: in assenza di disposizioni di carattere patrimoniale, ancorché vi sia un documento rivestito della forma del testamento, non si avrà successione testamentaria e i successori a titolo universale saranno individuati in base alle regole della successione ab intestato.
L‟art. 587, comma 2, c.c. prescrive che le disposizioni di carattere non patrimoniale debbano essere espressamente contemplate dalla legge (109). E‟ discusso se la norma in esame debba essere interpretata letteralmente, attribuendo validità soltanto alle disposizioni non patrimoniali previste dalla
(108) Il termine “sostanze” indica non i beni ma, più in generale, i diritti patrimoniali tout court e i debiti. In proposito, v. X. XXXXXX, La successione testamentaria, cit., p. 14 e 15, il quale mette in rilievo l‟atecnicità del termine “sostanze”, che indicherebbe il solo attivo del patrimonio del testatore, mentre il testamento è uno strumento idoneo a regolare la successione mortis causa anche relativamente al passivo patrimoniale (costituzione, trasmissione ed estinzione dei debiti). L‟Autore osserva, altresì, come sia impreciso il riferimento alle “proprie” sostanze, considerato che il legislatore considera valide, in certi casi, anche disposizioni testamentarie aventi ad oggetto beni che non sono nel patrimonio dell‟ereditando (artt. 651, 653 e 656 c.c.). Propone, quindi, di sostituire la formula legislativa con quella più generica di “atto con il quale taluno dispone in materia patrimoniale”.
(109) Secondo X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, cit., p. 474, le disposizioni non patrimoniali, che la legge consente siano contenute in un testamento, sarebbero vere e proprie disposizioni a causa di morte, non potendo essere accolta la tesi di chi attribuisce alle disposizioni in esame natura inter vivos.
legge come contenuto di una clausola testamentaria (110) o se, invece, sia preferibile una lettura estensiva (111).
Se si accogliesse una lettura restrittiva del secondo comma della disposizione citata, avrebbero valore esclusivamente disposizioni non patrimoniali quali la costituzione della fondazione (art. 14, comma 2, c.c.) (112), il riconoscimento del figlio naturale (artt. 254 e 256 c.c.) (113), la dichiarazione della volontà di legittimare un figlio naturale (artt. 254, comma 2, e 285, comma 1, c.c.), la designazione del tutore o del protutore del minore (artt. 348, comma 1, e 355 c.c.), la designazione del curatore speciale per l‟amministrazione dei beni attribuiti, per testamento, a un minore (art. 356, comma 1, c.c.), la designazione, da parte del genitore superstite, dell‟amministratore di sostegno (art. 408, comma 1, c.c.), la riabilitazione dell‟indegno (art. 466, comma 1, c.c.), la revoca, per testamento, del beneficio del contratto a favore del terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante (art. 1412, comma 1, c.c.), la designazione del beneficiario del contratto di assicurazione sulla vita a favore di un terzo e la revoca della designazione medesima (artt. 1920, comma 2, e 1921, comma 1, c.c.) e la confessione stragiudiziale (art. 2735, comma 1, c.c.).
In caso di lettura estensiva, invece, sarebbero ammissibili anche disposizioni non patrimoniali, per le quali la legge non preveda espressamente l‟attuazione in forma testamentaria. A titolo esemplificativo, si considerino la revoca dell‟atto costitutivo della fondazione (art. 15, comma 1, c.c.) (114), la dichiarazione con cui il genitore, che per ultimo ha esercitato la potestà,
(110) Così X. XXXXXXXX, Le successioni e le donazioni, cit., p. 376; X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, cit., p. 474.
(111) In tal senso, X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 11 ss.
(112) E‟ importante ricordare che, mentre la costituzione della fondazione ha carattere non economico, l‟atto di dotazione, invece, è di tipo patrimoniale.
(113) Si osservi che, pur essendo il testamento un atto revocabile fino all‟ultimo istante di vita, la revocabilità è, talvolta, esclusa per legge, in considerazione della natura e della finalità della disposizione testamentaria. Ciò accade proprio nel caso in cui il testamento contenga il riconoscimento del figlio naturale: il riconoscimento è irrevocabile e, anche se contenuto in un testamento revocato, produce i suoi effetti (dal giorno della morte del testatore) (art. 256 c.c.).
(114) Considerato che l‟art. 15, comma 1, c.c. non prescrive una forma particolare per la revoca dell‟atto costitutivo della fondazione, si ritiene ammissibile una revoca testamentaria anche qualora la fondazione sia stata costituita inter vivos per atto pubblico. L‟unica condizione per la revoca testamentaria è che, al momento dell‟apertura della successione, non sia ancora intervenuto il riconoscimento della personalità giuridica o che il fondatore non abbia fatto iniziare l‟attività dell‟ente. Occorre ricordare, infine, che la facoltà di revoca è una prerogativa del fondatore e che, qualora questi muoia senza aver effettuato alcuna disposizione in merito, essa non si trasmette ai suoi eredi (art. 15, comma 2, c.c.).
esclude una persona dall‟ufficio di tutore o di protutore del figlio minore (art. 350, n. 2, c.c.) (115), le disposizioni sulla pubblicazione postuma delle opere dell‟ingegno (art. 24 Legge 22 aprile 1941, n. 633) (116), quelle relative alla sorte della corrispondenza e degli scritti confidenziali del defunto (art. 93, comma 4, Legge 22 aprile 1941, n. 633) (117) o, infine, quelle riguardanti l‟esposizione, la riproduzione o l‟immissione nel mercato del proprio ritratto (art. 96, comma 2, Legge 22 aprile 1941, n. 633) (118).
La dottrina si è interrogata su numerose disposizioni, patrimoniali e non, che, pur non avendo alcun appiglio normativo, sono dirette a realizzare interessi (leciti) del testatore. A titolo esemplificativo, si considerino i legati atipici, con particolare riferimento al legato di contratto, la prelazione testamentaria, la costituzione di garanzie reali o personali e la clausola penale testamentaria (119).
Sono state oggetto di critiche e contestazioni anche disposizioni quali la previsione di un termine ex voluntate testatoris per l‟accettazione dell‟eredità
(120) o la clausola volta a escludere, totalmente o parzialmente, il diritto di
(115) Il legislatore, prevedendo che non possano essere nominati tutori coloro che siano stati esclusi dal genitore che, per ultimo, ha esercitato la potestà, richiede, genericamente, una disposizione scritta (art. 350, n. 2, c.c.).
(116) L‟oggetto della legge citata è rappresentato dalle opere dell‟ingegno di carattere creativo, che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all‟architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione (artt. 1 - 5 Legge 22 aprile 1941, n. 633). La pubblicazione postuma delle opere inedite spetta agli eredi dell‟autore o ai legatari delle opere stesse, a meno che l‟autore non abbia espressamente vietato la pubblicazione o non l‟abbia affidata ad altri (art. 24, comma 1). L‟autore può anche fissare una data, prima della quale le opere non possano essere pubblicate (art. 24, comma 2). Il legislatore, infine, precisa che, in caso di dissenso tra le persone incaricate delle pubblicazione, decide l‟autorità giudiziaria, sentito il pubblico e ministero e fermo il rispetto della volontà del testatore, qualora risulti da atto scritto (art. 24, comma 3).
(117) Le corrispondenze epistolari e gli scritti di natura confidenziale non possono essere portati a conoscenza del pubblico senza il consenso dell‟autore e del destinatario (art. 93, comma 1, Legge 22 aprile 1941, n. 633). Dopo la morte dell‟autore o del destinatario, occorre il consenso dei loro più stretti congiunti (art. 93, comma 2). In caso di dissenso tra i congiunti, decide l‟autorità giudiziaria, sentito il pubblico ministero (art. 93, comma 3), fermo restando il rispetto della volontà del defunto, qualora risulti da atto scritto (art. 93, comma 4).
(118) Il ritratto di una persona non può, senza il suo consenso, essere esposto, riprodotto o messo in commercio (art. 96, comma 1, Legge 22 aprile 1941, n. 633). Dopo la morte del soggetto, si applicano le disposizioni di cui all‟art. 93 della medesima legge.
(119) Cfr. X. XXXXXXX FERRARA, Le clausole testamentarie atipiche, in Dir. e giur., 1972, p. 825 ss.
(120) Sul tema, X. XXXXXXXX XX., Il termine “ex voluntate testatoris” per l’accettazione dell’eredità, in Riv. dir. civ., 1957, I, p. 383 ss.; X. XXXXXXXXXXXXX, Autonomia privata e termine ex voluntate testatoris per l’accettazione dell’eredità, in Giur. it., 1960, IV, c. 115 ss.
prelazione spettante ai coeredi ex art. 732 c.c. (121). La prevalente dottrina ha escluso la validità di queste ultime clausole, affermando che la libertà del testatore non può sacrificare prerogative riconosciute dalla legge a determinati soggetti e non può modificare regole previste da norme imperative (122).
Le disposizioni mediante le quali si modifica o si estingue un rapporto obbligatorio già esistente pongono rilevanti problemi di coordinamento tra i principi del diritto ereditario e le regole dettate in materia di obbligazioni. Relativamente alla disposizioni testamentarie modificative, si pensi al trasferimento del credito, alla delegazione, all‟espromissione e all‟accollo effettuati per testamento. Per quanto concerne le disposizioni estintive, si considerino figure quali la datio in solutum testamentaria, la novazione testamentaria, la compensazione e la remissione effettuate per testamento (123). Hanno suscitato ampi dibattiti in dottrina, infine, le disposizioni negative (124),
le quali, anziché attribuire diritti al beneficiario, prevedono divieti o escludono l‟acquisto di situazioni giuridiche soggettive. Si pensi al divieto di alienazione, al divieto di concorrenza e, soprattutto, alla cosiddetta clausola di diseredazione. Quest‟ultima, volta a escludere dalla chiamata ereditaria un successore ex lege (non legittimario), sarà oggetto di trattazione specifica nei capitoli successivi.
Se si accogliesse la tesi, illustrata nel precedente paragrafo, ai sensi della quale i privati godrebbero di un‟ampia autonomia testamentaria, soggetta esclusivamente al giudizio di liceità (125), si dovrebbe concludere per l‟ammissibilità di molte delle disposizioni sopra citate (126). Pertanto, il testatore
(121) Cfr. V. DURANTE, voce: “Prelazione e riscatto, III) Retratto successorio”, in Enc. giur. Treccani, XXIII, Roma, 1990, p. 2.
(122) Si osservi che parte della dottrina considera ammissibile il patto, stipulato dagli eredi e/o dai legatari, volto a escludere la pubblicazione del testamento olografo, al fine di evitare le spese notarili, pur dando piena esecuzione alle disposizioni contenute nel testamento medesimo. La liceità del patto è esclusa da coloro che sostengono il carattere inderogabile della norma che prescrive l‟obbligo di pubblicare il testamento (art. 620 c.c.). Sul punto, F. XXXXXXXX, Il patto di non pubblicare il testamento olografo, in Riv. notar., 1994, p. 1007 ss.
(123) Il tema è stato trattato da X. XX XXXXX, Le disposizioni testamentarie modificative ed estintive del rapporto obbligatorio, cit., p. 21 ss.
(124) Per l‟analisi delle disposizioni negative, X. XXXXXXXXX, L’autonomia testamentaria e le disposizioni negative, in Riv. dir. civ., 1970, I, p. 39 ss.
(125) Sul tema, X. XXXXXXXX, Autonomia negoziale e diritto ereditario, cit., p. 789 ss.
(126) Naturalmente, spetta al giudice, nei casi dubbi, verificare che non sia stato travalicato il limite della liceità. Si osservi che, talvolta, è la legge stessa a sacrificare l‟interesse del testatore a favore di altri interessi, considerati prevalenti: si pensi al divieto di concedere ipoteca per testamento (art. 2821, comma 2, c.c.).
potrebbe inserire nel testamento disposizioni atipiche di qualunque natura purché lecite e fermo restando, naturalmente, il rispetto di alcune regole fondamentali del diritto ereditario quali il divieto dei patti successori (art. 458 c.c.), il divieto di sostituzione fedecommissaria al di fuori dei casi consentiti dalla legge (art. 692, ultimo comma, c.c.) e il principio di intangibilità dei diritti dei legittimari (artt. 457, comma 3, 536 ss. e 549 c.c.).
CAPITOLO II
“Diseredazione”: esclusione, dalla successione ab intestato, di un successore non legittimario
SOMMARIO: 1. Significato del termine “diseredazione” – 2. Il problema della validità di una scheda testamentaria contenente soltanto la clausola di “diseredazione” di un successore non necessario – 3. Analisi storica dell’istituto – 4. Differenze rispetto alle seguenti figure: la preterizione, la revoca di precedenti disposizioni testamentarie e l’indegnità.
Paragrafo 1
Significato del termine “diseredazione”
La clausola di diseredazione consiste nell‟espressa dichiarazione che taluno non debba essere erede. In altri termini, con essa si esclude che una determinata persona possa essere chiamata all‟eredità del disponente (127).
Al fine di comprendere le principali problematiche sottese all‟istituto della diseredazione e prima di analizzarne l‟excursus storico, è necessario chiarire il significato della parola utilizzata per descrivere tale fenomeno giuridico. Numerosi equivoci, infatti, sono stati generati dall‟uso di tale formula, la quale, come è noto, costituisce, nella lingua italiana, l‟omologo del sostantivo latino exheredatio. Non è chiaro quale accezione debba essere attribuita all‟espressione “diseredazione” e, più precisamente, quale sia l‟ambito soggettivo di applicazione dell‟istituto (128).
(127) Numerosi sono gli Autori che si sono occupati del tema della diseredazione. Per un primo inquadramento dell‟istituto, v. X. XXXXXXXX, voce: “Diseredazione, c) diritto vigente”, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 102 ss. Tra i contributi monografici, l‟opera più importante è, senza dubbio, quella di X. XXX, La diseredazione, cit., p. 1 ss. Tra le opere più recenti, cfr. X. XXXXX, La diseredazione, Torino, 1998, p. 1 ss.
(128) Sul significato del termine “diseredazione”, v. X. XXX, op. ult. cit., p. 9 ss.; X. XXXX, Diseredazione e rappresentazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1956, I, p. 386; X. XXXXXXXX, In margine alla clausola di diseredazione: la tematica della c.d. volontà meramente negativa, in Riv. notar., 1981, p. 747.
Secondo una prima tesi (129), l‟espressione riguarderebbe esclusivamente i successori necessari, ossia i soggetti elencati nell‟art. 536 c.c. che, come è noto, hanno diritto a una quota di riserva del patrimonio del defunto (130). In base a tale impostazione, l‟esclusione dalla successione dei soggetti non legittimari non costituirebbe una diseredazione in senso tecnico.
La principale argomentazione a favore di tale tesi si fonda su ragioni storiche: il diritto romano classico, come si vedrà infra, ammettendo la exheredatio degli heredes sui per giusta causa, riconosceva al testatore la facoltà di escludere dalla successione coloro che ne avessero diritto. Dal momento che, nel nostro ordinamento, soltanto i successori necessari hanno diritto a una quota intangibile dell‟asse ereditario, non sarebbe corretto parlare di “diseredazione” in presenza di successibili ex lege (non legittimari), essendo questi ultimi privi di ogni diritto concreto sull‟eredità. In conclusione, di diseredazione vera e propria si potrebbe parlare, a rigore, soltanto per i legittimari.
Tuttavia, stante il principio di intangibilità della legittima (artt. 457, comma 3, e 549 c.c.), si dovrebbe concludere per l‟inammissibilità, nel nostro sistema giuridico, di una diseredazione in senso tecnico. Potendo il testatore disporre dei beni che costituiscono la quota disponibile come meglio crede, sarebbe ammissibile, invece, una clausola con la quale egli si limitasse a escludere dall‟eredità alcuni successori ab intestato. Dal punto di vista giuridico, sarebbe più corretto qualificare la disposizione testamentaria in esame come “clausola di esclusione di eredi legittimi (non legittimari)” anziché come “diseredazione” (131).
(129) Cfr. X. XXXXXXXX, Diseredazione ed esclusione di eredi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1968, p. 1197 ss.; ID, Le successioni e le donazioni, cit., p. 35, nota n. 1.
(130) Si tratta del coniuge, degli ascendenti legittimi, dei figli legittimi, legittimati, adottivi e naturali (art. 536 c.c.). A questi soggetti devono essere aggiunti il coniuge al quale non sia stata addebitata la separazione (art. 548, comma 1, c.c.) e il figlio naturale non riconoscibile (arg. ex art. 594 c.c.).
(131) Così X. XXXXXXXX, Diseredazione ed esclusione di eredi, cit., p. 1197 ss., il quale ammette la volontà meramente negativa, diretta ad escludere dalla successione gli eredi ab intestato.
Secondo l‟orientamento maggioritario (132), stante il principio di intangibilità della quota di riserva, il testatore non potrebbe manifestare la volontà (negativa) di escludere dalla successione un legittimario. Quest‟ultimo potrebbe essere escluso soltanto dalla porzione disponibile mediante un‟istituzione nella sola quota di riserva o attraverso un legato in sostituzione di legittima ex art. 551 c.c. In conclusione, la “diseredazione” avrebbe un campo di operatività più ristretto di quello che aveva nel diritto romano: oggi, con tale locuzione, si indicherebbe l‟esclusione, dalla delazione ab intestato, di un successore non necessario.
Il fatto che la diseredazione, in diritto romano, fosse limitata agli heredes sui (dai quali discendono, grossomodo, i successori necessari dell‟attuale sistema giuridico) e che essa fosse considerata superflua per gli eredi legittimi, i quali non fossero sui, ha una precisa spiegazione. In epoca romana, infatti, il testamento doveva contenere, obbligatoriamente, l‟istituzione di erede. Qualora fosse stato istituito un soggetto estraneo alla famiglia, occorreva anche una espressa exheredatio del suus heres. Era superflua, invece, la diseredazione degli eredi ab intestato, che non fossero sui heredes. In altri termini, i Romani non conoscevano una volontà di esclusione che fosse fine a se stessa e ricorrevano alla diseredazione (di un suus heres) allo scopo di attribuire efficacia all‟istituzione di un erede estraneo (133).
Nonostante la prima tesi risulti abbastanza convincente, prevale, in dottrina e in giurisprudenza, il secondo orientamento citato. L‟espressione “diseredazione” sarà, quindi, utilizzata, nel prosieguo della trattazione, come equivalente di “esclusione”, per indicare la facoltà del disponente di paralizzare, in sede di successione ab intestato, la chiamata ereditaria di uno tra i soggetti virtualmente designati dalla legge.
(132) Cfr. F. M. BANDIERA, Sulla validità della diseredazione, in Riv. giur. sarda, 1991, p. 403; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 133; X. XXXXX, Se debba riconoscersi efficacia a una volontà testamentaria di diseredazione, in Foro pad., 1955, I, c. 50; X. XXXXXXX, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 22, nota n. 59; X. XXXXX, Le disposizioni testamentarie negative, in Foro pad., 1977, I, c. 303.; X. XXXXXXXX, Recensione a X. XXX, La diseredazione – Contributo allo studio del contenuto del testamento, cit.,
p. 94. Secondo Xxxx., 20 giugno 1967, n. 1458, in Xxxx xxx., 0000, X, x. 000 xx. (xx può leggere anche in Giust. civ., 1967, I, p. 2032 ss.), il testatore potrebbe esercitare il potere di diseredazione soltanto nei limiti della intangibilità della quota di legittima.
(133) Per l‟analisi storica dell‟istituto della diseredazione, si veda il paragrafo n. 3 di questo capitolo.
Si osservi che la facoltà di diseredazione dei successori ab intestato – ove se ne ammetta la validità - non è senza limiti: il testatore non può diseredare tutti i potenziali eredi legittimi, compreso lo Stato. Una disposizione così congegnata sarebbe nulla, in quanto in contrasto con l‟interesse pubblico, sotteso alla disciplina della successione mortis causa, a che sia garantita, in ogni caso, la continuità dei rapporti giuridici facenti capo al de cuius.
Una clausola, la quale escludesse dalla successione tutti gli eredi legittimi, compreso lo Stato, sarebbe nulla. Qualora, invece, essa si riferisse a tutti i successori ab intestato, senza fare menzione dello Stato, potrebbe essere interpretata come un‟implicita istituzione a favore di quest‟ultimo (134).
Resta aperta l‟ulteriore questione, la quale esula, per il momento, dalla presente indagine, relativa alle conseguenze giuridiche di una disposizione testamentaria, che sia diretta a escludere un successore necessario dalla devoluzione della quota di legittima (135).
Paragrafo 2
Il problema della validità di una scheda testamentaria contenente soltanto la clausola di “diseredazione” di un successore non necessario
La clausola di esclusione dalla successione di un erede ab intestato non trova una disciplina positiva nel nostro ordinamento né per quanto riguarda la sua nozione né per quanto riguarda la sua ammissibilità ed efficacia. Nasce, dunque, il problema di stabilire se e in quale modo il testatore possa ottenere il risultato di escludere un determinato soggetto dalla propria successione. La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato tre diverse ipotesi, ognuna delle quali presenta caratteristiche proprie e pone all‟attenzione dell‟interprete diverse problematiche.
(134) Sul punto, X. XXXXXXX, Appunti sulla diseredazione, in Riv. notar., 1996, p. 1120, nota n. 67. In giurisprudenza, x. Xxx. Xxxxxxx, 00 maggio 2003, in Gius, 2003, p. 1913 ss.
Per l‟esame della tesi, che ravvisa, nella diseredazione, un‟istituzione implicita a favore dei soggetti non esclusi, x. xxxxxxxx XXX, xxxxxxxxx x. 0.
(135) Quest‟ultima problematica sarà analizzata, nel dettaglio, nel paragrafo n. 4 del capitolo IV.
La prima ipotesi è quella in cui il testatore, attraverso istituzioni di erede e/o legati, disponga di tutte le proprie sostanze a favore di altri soggetti, senza fare alcuna menzione di colui che intende escludere. In questo caso, essendo l‟esclusione dalla successione una conseguenza indiretta delle disposizioni mortis causa, non può parlarsi, propriamente, di diseredazione. Un testamento così concepito è valido ed efficace, in quanto si limita a realizzare una preterizione (o pretermissione): mediante l‟attribuzione di tutti i beni ad altri soggetti, la persona non menzionata risulta essere, di fatto, esclusa dalla successione. Di conseguenza, fatta salva la facoltà dei legittimari pretermessi di esercitare l‟azione di riduzione, al fine di reintegrare la propria quota di legittima, un testamento che realizzi una pretermissione è pienamente ammissibile (136).
La seconda possibilità è che il testatore, in una scheda contenente la chiamata all‟eredità di un determinato soggetto, manifesti anche la volontà di diseredare un successibile ex lege. Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, un testamento di questo tipo non creerebbe problemi all‟interprete. In un negozio mortis causa contenente anche disposizioni attributive di beni, infatti, l‟espressa esclusione di un determinato soggetto avrebbe soltanto la funzione di rafforzare il contenuto positivo delle disposizioni medesime e non integrerebbe una diseredazione (137).
Infine, può accadere che la scheda testamentaria non preveda alcuna disposizione positiva, ma si limiti a esprimere la volontà (negativa) di escludere dalla successione uno o più potenziali eredi ab intestato. In questo caso, occorre domandarsi se il testatore, nell‟esercizio dell‟autonomia privata, possa manifestare una volontà, la quale non sia volta ad attribuire beni a determinati soggetti, bensì sia diretta esclusivamente a diseredare uno o più successibili ex lege (purché non legittimari).
(136) Relativamente alle differenze tra diseredazione e preterizione, si rinvia al paragrafo n. 4 di questo capitolo.
(137) Così Xxxx., 5 aprile 1975, n. 1217, in Rep. Foro it., 1975, voce: “Successione ereditaria”, n. 50. Nell‟ipotesi considerata, la clausola di diseredazione sarebbe sostanzialmente inutile, dal momento che il testatore conseguirebbe ugualmente il risultato di devolvere l‟eredità al soggetto positivamente menzionato.
Secondo X. XXXXXXXX, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 221 ss., in presenza di disposizioni testamentarie attributive, l‟aggiunta di una clausola di diseredazione potrebbe spiegarsi con l‟intento di offendere il soggetto diseredato.
Al riguardo, esistono due orientamenti contrapposti, che saranno esaminati, nel dettaglio, nel capitolo III. La dottrina tradizionale (138) e parte della giurisprudenza, specialmente di legittimità (139), escludono la validità e l‟efficacia della clausola suddetta. Altra dottrina (140) e parte della giurisprudenza, soprattutto di merito (141), invocando ragioni di vario tipo, manifestano, invece, un atteggiamento di apertura.
La tesi negativa si fonda su molteplici ragioni: sulla pretesa preminenza della successione legittima rispetto alla successione testamentaria; sulla configurazione della diseredazione come ulteriore ipotesi di indegnità non prevista dal legislatore; sulla radicata e diffusa convinzione che il contenuto del testamento debba consistere, necessariamente, nell‟attribuzione di beni; sull‟impossibilità, stante l‟assenza di una disciplina legislativa, di ricondurre la diseredazione nell‟alveo delle disposizioni testamentarie ex art. 587, comma 2, c.c.; su ragioni di carattere storico; sul convincimento che la clausola de qua,
(138) Così X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 134; X. XXXX, Diseredazione e rappresentazione, cit., p. 385 ss.; X. XXXXX, L’esclusione testamentaria di eredi, in Riv. dir. civ., 1941, p. 228 ss.; ID, Se debba riconoscersi efficacia a una volontà testamentaria di diseredazione, cit., c. 47 ss. e, soprattutto, c. 52; X. XXXXXXX, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 23; X. XXXXXXXX, In margine alla clausola di diseredazione: la tematica della c.d. volontà meramente negativa, cit., p. 744 ss.; X. XXXXXXXX, voce: “Diseredazione, c) diritto vigente”, cit., p. 102 ss.
(139) Cfr., per tutte, Cass., 20 giugno 1967, n. 1458, cit.
(140) In tal senso, X. XXXXXXXX, Diseredazione ed esclusione di eredi, cit., p. 1182 ss.; F.
M. BANDIERA, Sulla validità della diseredazione, cit., p. 408; C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia – Le successioni, cit., p. 739; X. XXXXXXXXX XXXX, Delle successioni testamentarie, cit.,
p. 95 ss.; ID, Il testamento, cit., p. 136 ss.; ID, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 274 ss.; M. BIN, La diseredazione, cit., p. 1 ss.; X. XXXXXX, Funzione del testamento e riconducibilità della disposizione di esclusione del successibile ex lege (non legittimario) all’assegno divisionale semplice c.d. indiretto, in Riv. giur. sarda, 1992, p. 27 ss.; ID, La c.d. diseredazione: riflessioni sulla disposizione testamentaria di esclusione, in Riv. notar., 1992, p. 505 ss.; X. XXXXXXXX, Recensione a X. XXX, La diseredazione – Contributo allo studio del contenuto del testamento, cit., p. 95 ss.; C. SAGGIO, Diseredazione e rappresentazione, in Vita not., 1983, II, p. 1788 ss.; X. XXXXXXXXX, Esclusione testamentaria degli eredi e diritto di rappresentazione, in Giur. it., 1955, I, 2, c. 749 ss.; ID, L’autonomia testamentaria e le disposizioni negative, cit., p. 39 ss.
(141) Xxx. Xxxx. Xxxxx, 0 maggio 1977, n. 227, in Xxx. xxxxx., 0000, x. 000 xx. (xx può leggere anche in Foro pad., 1977, I, c. 302 ss. con nota di X. XXXXX); Trib. Nuoro, 15 settembre 1989, n. 359, in Riv. Giur. sarda, 1991, p. 389 ss., con nota di F. M. BANDIERA; Trib. Catania, 21 febbraio 2000, in Giur. it., 2001, c. 70 ss., con nota di X. XXXXXXX; Trib. Catania, 28 marzo 2000, in Familia, 2001, p. 1210, con nota di X. XXXXXX; App. Firenze, 9 settembre 1954, in Foro pad., 1955, I, c. 47 ss., con nota di X. XXXXX (si può leggere anche in Giur. it., 1955, I, 2, c. 749 ss., con nota di X. XXXXXXXXX); App. Napoli, 21 maggio 1961, in Foro pad., 1962, I, c. 939 ss.; App. Genova, 16 giugno 2000, in Giur. merito, 2001, II, p. 937, con nota di
X. XXXXXXX DI XXXXXXXX. Contra, invece, Trib. X. Xxxxx Xxxxx Vetere, 25 maggio 1960, in
Foro pad., 1961, I, c. 369 ss.
essendo ispirata, nella normalità dei casi, da sentimenti di odio o rancore, non soddisfi interessi meritevoli di tutela secondo l‟ordinamento giuridico (142).
A favore della tesi positiva, sono state addotte le seguenti argomentazioni: è stata confutata la tesi della preminenza della successione ab intestato rispetto a quella testamentaria; sono state messe in luce le differenze tra l‟istituto della diseredazione e quello dell‟indegnità; si è dimostrato che il contenuto del testamento non si esaurisce nell‟istituzione di erede e nel legato, ma comprende tutte le manifestazioni di volontà, genericamente idonee a regolare post mortem la sorte del patrimonio, comprese quelle aventi contenuto negativo; si è osservato che anche la clausola di esclusione dalla successione può soddisfare interessi meritevoli di tutela secondo l‟ordinamento giuridico; si è riscontrata l‟assenza di limiti di ordine pubblico e di ragioni ostative alla diseredazione; è stato messo in evidenza che, stante la pacifica ammissibilità della preterizione, non vi sarebbero ragioni per escludere la validità di un‟espressa diseredazione; è stato riconosciuto, infine, il potere del testatore, nell‟esercizio dell‟autonomia negoziale, di inserire nella scheda una clausola, che non esprima altro che la volontà di diseredare (143).
Parte della giurisprudenza, spinta dal proposito di attenuare le conseguenze negative dell‟invalidità di un testamento contenente la diseredazione, ha accolto una soluzione di compromesso: ha escluso la sanzione della nullità nell‟ipotesi in cui, dalla clausola di esclusione dalla successione, si possa ricavare, implicitamente, la non equivoca volontà del testatore di istituire eredi i soggetti non esclusi (144). Come si vedrà, anche questa soluzione, che si fonda su una complessa operazione ermeneutica, ha suscitato dubbi e perplessità, non essendo chiaro se sia ammissibile
(142) Per la tesi che nega la validità della clausola di diseredazione e per le relative argomentazioni, si veda il paragrafo n. 1 del capitolo III.
(143) Le argomentazioni a favore della clausola di esclusione dalla successione saranno analizzate nel paragrafo n. 2 del capitolo III.
(144) In tal senso, Trib. Reggio Xxxxxx, 27 settembre 2000, in Vita not., 2001, I, p. 694 ss., con nota di X. XXXXXXXXX (si può leggere anche in Notar., 2002, p. 47 ss., con nota di X. XXXXXXXX); App. Cagliari, 5 dicembre 1990, n. 302, in Riv. giur. sarda, 1991, p. 389 ss., con nota di F. M. BANDIERA; App. Cagliari, 12 gennaio 1996, in Riv. giur. sarda, 1998, p. 1 ss., con nota di A. PINNA VISTOSO; Cass., 20 giugno 1967, n. 1458, cit.; Cass., 23 novembre 1982,
n. 6339, in Foro it., 1983, I, 2, c. 1652 ss., con nota di X. XX XXXXX; Cass., 18 giugno 1994, n. 5895, in Riv. giur. sarda, 1995, p. 579 ss., con nota di D. ONANO (si può leggere anche in Giur. it., 1995, I, 1, c. 1564 ss. con nota di X. XXXXXX e in Notar., 1995, p. 11 ss., con nota di X. XXXXXXXXXX).
un‟istituzione di erede che non risulti da una dichiarazione scritta di volontà e che lasci un ampio margine di incertezza relativamente alle persone stesse degli istituiti (145).
In conclusione, non essendo prevista, nel diritto vigente, la facoltà di diseredazione, occorre domandarsi se il testatore, al di fuori del campo di azione della successione necessaria, possa limitarsi a escludere un successibile ex lege, senza contestuale positiva disposizione dei propri beni. Dal punto di vista tecnico – giuridico, il problema è quello di stabilire se sia o meno ammissibile una clausola di tale contenuto, che sia logicamente e giuridicamente autonoma, ossia svincolata da eventuali disposizioni attributive.
Paragrafo 3
Analisi storica dell’istituto
Al fine di comprendere le problematiche sottese alla figura della diseredazione, è opportuno procedere a un‟analisi storica dell‟istituto, il quale, come è noto, affonda le sue radici nel diritto romano (146).
Per quanto concerne la prima fase del periodo antico (147), si ritiene che la diseredazione non fosse ancora conosciuta o, comunque, che non fosse ammissibile. Secondo un certo orientamento, non sarebbe stato possibile, in quel periodo, avere altri eredi all‟infuori dei propri figli: gli unici eredi sarebbero
(145) La tesi della diseredazione come istituzione implicita a favore dei successibili ex lege
non esclusi sarà esaminata nel paragrafo n. 3 del capitolo III.
(146) Per una ricostruzione storica dell‟istituto della diseredazione, v. X. XXX, La diseredazione, cit., p. 51 ss.; X. XXXXXXXX, Corso di diritto romano, Volume VI, Le successioni. Parte generale (Ristampa corretta della I edizione), Milano, 1974, p. 47 ss.; X. XXXXXXX, voce: “Diseredazione (diritto romano)”, in Noviss. Dig. it., V, Torino, 1960, p. 1113 ss.; F. XXXXXXXX, voce: “Diseredazione, a) Diritto romano”, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 95 ss.; L. DI LELLA, voce: “Successione, IV) Successione necessaria, a) Diritto romano”, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1338 ss.; X. XXXXX, L’esclusione testamentaria di eredi, cit., p. 232 ss.; X. XXXXXXXXXXX, voce: “Successioni (diritto romano)”, in Noviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1971, p. 714 ss.; X. XXXXXXXX, voce: “Diseredazione, b) Diritto intermedio”, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 99 ss.; X. XXXXXXX, Appunti di diritto romano privato, Padova, 2007, p. 79 ss.; X. XXXXXXXX, In margine alla clausola di diseredazione: la tematica della c.d. volontà meramente negativa, cit., p. 744; X. XXXXX, Le disposizioni testamentarie negative, cit., c. 303; X. XXXXXXXX, Istituzioni di diritto romano, Torino, 1991, p. 157 ss., p. 633 ss. e 927 ss.; ID, Istituzioni di diritto romano. Sintesi, Torino, 1998, p. 501 ss.
(147) Per un esame della disciplina della successione mortis causa nel periodo antico, v. X. XXXXXXXX, Istituzioni di diritto romano, cit., p. 157 ss.
stati i sui heredes, ossia i filii familias del defunto. In altri termini, sarebbe stata preclusa all‟ereditando, qualora avesse avuto persone immediatamente sottoposte alla sua potestas, la facoltà di fare testamento (148).
Parte della dottrina osserva che, relativamente all‟epoca arcaica, sarebbe opportuno distinguere tra “successori” ed “eredi” (149). Ciò si spiega con il fatto che, nelle XII tavole, il titolo di erede (suus heres) era attribuito solo al discendente: quest‟ultimo era sottoposto alla patria potestas del defunto e diveniva sui iuris con la sua morte. Tutti gli altri soggetti (successori non eredi) potevano soltanto prendere possesso del patrimonio ereditario (150).
Come si vedrà infra, nel passaggio dal periodo antico a quello preclassico, venne meno la suddetta differenza di titolo, ma rimase, tuttavia, un significativo elemento di differenziazione relativamente all‟acquisto dell‟eredità: gli heredes sui et necessarii (e gli heredes necessarii) acquisivano il patrimonio ereditario in modo automatico, al momento della morte del de cuius; tutti gli altri soggetti (heredes voluntarii), invece, divenivano titolari del patrimonio del defunto solo con un atto di accettazione (aditio), fermo restando il potere di rifiuto.
Nella seconda fase del periodo antico, si diffusero negozi mortis causa attraverso i quali era possibile regolare, anche in presenza di figli, la sorte dei propri rapporti giuridici per il tempo successivo alla morte. Tali negozi erano
(148) X. XXXXXXX, voce: “Diseredazione (diritto romano)”, cit., p. 1113 e X. XXXXXXXX, Istituzioni di diritto romano, cit., p. 160, in contrasto con l‟opinione del Xxxxxxxx, affermano che il testamento non fu, nel primo periodo antico, l‟atto con cui il pater familias designava il suo successore come capo della famiglia. Relativamente alla potestas del pater familias, v. X. XXXXXX, Corso di istituzioni di diritto romano, Volume III: diritto di famiglia – diritto ereditario – donazioni, Milano, 1936, p. 19 ss.
(149) Così X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 161.
(150) Finché i successori non eredi non prendevano possesso dei beni ereditari, il patrimonio non apparteneva ad alcuno e chiunque poteva impossessarsi del medesimo oppure di singoli beni, senza commettere furto. Nel caso in cui vi fosse un soggetto, il quale avesse titolo per l‟acquisto dell‟eredità, questi poteva rivendicare i beni dal terzo estraneo e acquistare il patrimonio ereditario, salvo che il terzo non avesse già usucapito il patrimonio medesimo. In quest‟ultimo caso, si verificava la usucapio pro herede, per il cui compimento era necessario il possesso protratto per un anno. Qualora, invece, il terzo avesse preso possesso di singoli beni ereditari, l‟usucapio si sarebbe compiuta con il decorso del tempo richiesto dalla natura del bene. Le XII tavole richiedevano il possesso di due anni per l‟usucapione di beni immobili (res soli), mentre per tutti gli altri beni era sufficiente il decorso di un anno. Si osservi che, per l‟usucapione del patrimonio ereditario, era sufficiente il decorso di un anno, anche qualora il patrimonio comprendesse beni immobili: la ragione è che non si possedevano i singoli beni, bensì il patrimonio nel suo complesso (hereditas). Per l‟esame della usucapio pro herede, v. X. XXXXXX, Corso di istituzioni di diritto romano, Volume III: diritto di famiglia – diritto ereditario – donazioni, cit., p. 100 ss.
idonei a conferire a determinati soggetti il titolo di eredi. Le fonti menzionano due tipi di testamento: il testamentum calatis comitiis e il testamentum in procinctu. Nonostante la frammentarietà dei dati forniti dalle fonti, è possibile enucleare i caratteri fondamentali delle due forme di testamento (151).
Il primo era un atto solenne che comportava la partecipazione dei Calata comitia, ossia dei comizi curiati convocati di fronte al collegio dei pontefici. Al fine di comprendere l‟importanza di tale forma di testamento, occorre rammentare che, in quell‟epoca, come si è già precisato, gli unici eredi erano i sui heredes, ossia i filii familias del defunto. Un soggetto estraneo poteva divenire erede soltanto acquisendo, attraverso un idoneo atto giuridico, la posizione di filius familias. Il testamentum calatis comitiis era proprio lo strumento mediante il quale l‟estraneo diveniva un suus heres, ossia il mezzo con cui un soggetto assumeva lo status di filius del testatore, con efficacia rinviata al momento della morte di questi e a condizione di sopravvivergli (152).
Relativamente al testamentum in procinctu, le notizie sono scarse e l‟unico dato certo è che tale atto veniva compiuto dinanzi all‟esercito schierato in battaglia. Si ritiene che l‟esercito schierato sostituisse i comizi curiati e che, pertanto, tale forma di testamento fosse una mera variante del testamentum calatis comitiis, idonea ad attribuire a un estraneo la posizione giuridica di filius familias affinché divenisse suus heres del testatore. Accanto a tale tesi, si registra l‟opinione di chi, invece, ritiene che tale testamento contenesse soltanto disposizioni a titolo particolare, ossia legati (153).
Gli inconvenienti del testamentum calatis comitiis e del testamentum in procinctu furono superati dalla diffusione della mancipatio familiae. Si trattava di un atto inter vivos, con il quale si effettuava una mancipatio del patrimonio (familia) a favore del soggetto al quale si voleva far pervenire la maggior parte dei propri beni (familiae emptor). Il disponente (mancipio dans), attraverso una nuncupatio, incaricava il familiae emptor di trasmettere, dopo la propria morte, una parte di quei beni a determinati soggetti. Come si può notare, pur
(151) Cfr. X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato romano, Torino, 1993, p. 647 ss.; X. XXXXXXX, Appunti di diritto romano privato, cit., p. 80.
(152) Sul punto, X. XXXXXXXX, Le forme classiche di testamento. Lezioni di diritto romano raccolte da X. XXXXXXX, Volume I, Torino, 1966, p. 29 ss.; X. XXXXXX, Corso di istituzioni di diritto romano, Volume III: diritto di famiglia – diritto ereditario – donazioni, cit., p. 128 ss.; X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 169.
(153) Così X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 31 ss.; X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 170.
trattandosi di un atto inter vivos, la mancipatio familiae serviva a regolare post mortem la sorte dei propri beni (154).
Fu dalla mancipatio familiae che si sviluppò, verosimilmente tra la seconda metà del IV e la prima metà del III secolo a.C., un nuovo tipo di testamento, noto come testamentum per aes et libram (155). L‟essenza dell‟atto era rappresentata dalla nuncupatio, la quale non era più costituita da istruzioni del mancipio dans al familiae emptor, bensì da disposizioni imperative immediatamente efficaci, che non richiedevano alcuna attività del familiae emptor per essere attuate. Più precisamente, con la nuncupatio, il testatore enunciava oralmente e pubblicamente le sue ultime volontà oppure (a partire da un certo momento storico) dichiarava di aver scritto tali volontà in tavolette di cera, che esibiva sigillate (156).
La disposizione più importante del testamentum per aes et libram era l‟istituzione di erede (heredis institutio) (157) che, probabilmente, era già espressa con le parole risultanti dalle fonti successive: “Titius heres esto” (158).
(154) Sulla mancipatio familiae, v. X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p.. 32 ss.; X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 81.
(155) Relativamente alla disciplina della successione ereditaria nel periodo preclassico e classico, v. X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 633 ss.
(156) Si osservi che, all‟inizio del periodo preclassico, il testamentum per aes et libram era orale. Nel corso di quel periodo, tuttavia, si diffuse l‟uso, ammesso dai giuristi, di scrivere le disposizioni testamentarie su tavolette di cera, le quali erano presentate chiuse alle persone che prendevano parte al rito. Tale uso divenne il più praticato già all‟inizio del periodo classico.
Relativamente al testamentum per aes et libram, v. X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 75 ss.; X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 81.
(157) L‟heredis institutio riguardava l‟intera hereditas e poteva essere limitata soltanto da concorrenti istituzioni di erede. Pertanto, se un soggetto era istituito erede in una quota del patrimonio ereditario e nessun altro era chiamato all‟eredità, egli era considerato erede per l‟intero, non potendosi aprire la successione ab intestato per la parte rimanente. Come è noto, infatti, vigeva il principio della incompatibilità tra la successione legittima e la successione testamentaria (nemo pro parte testatus, pro parte intestatus decedere potest). In forza di tale principio, qualora alcuni eredi testamentari non avessero accettato l‟eredità, le loro quote non venivano devolute secondo le regole della successione legittima, ma si accrescevano agli altri eredi testamentari, i quali avessero accettato. Si aveva accrescimento a favore degli eredi testamentari anche nell‟ipotesi in cui il testatore non avesse disposto dell‟intero asse ereditario.
Occorre ricordare che il principio della incompatibilità tra la successione legittima e quella testamentaria poteva essere derogato in alcune ipotesi. Una di queste era quella del testamentum militis (testamento dei soldati): i soldati, infatti, erano autorizzati a fare testamento senza l‟osservanza di numerose regole sia formali che sostanziali. Sul testamento militare, v. X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 35 ss.; X. XXXXXX, Corso di istituzioni di diritto romano, Volume III: diritto di famiglia – diritto ereditario – donazioni, cit., p. 131 ss.
(158) L‟istituzione di erede doveva essere collocata all‟inizio del testamento e doveva essere formulata in latino, in quanto l‟uso del greco fu ammesso soltanto a partire dalla fine del periodo classico. Per l‟heredis institutio doveva essere utilizzata una formula imperativa: le parole più usate erano “Titius heres esto” (Tizio sia erede), ma era ammessa anche l‟espressione “Titium heredem esse iubeo” (ordino che Xxxxx sia mio erede). Formule come “Titium heredem esse volo” o “Titium heredem instituo”, invece, erano ritenute inidonee. Sul punto, v. X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 84.
Altra importante disposizione era rappresentata dalla diseredazione (exheredatio): si trattava di una solenne dichiarazione (Xxxxxx exheres esto) con la quale il pater familias escludeva uno o più discendenti dalla propria successione, privandoli della (connaturata) qualità di sui heredes, ossia dello status che, in epoca arcaica, aveva impedito di istituire eredi persone diverse e che, nella prima fase del periodo antico, probabilmente, aveva addirittura impedito di fare testamento.
Nel periodo preclassico e classico, si faceva un largo uso della facoltà di scegliere i propri successori, determinando, così, la prevalenza della successione testamentaria rispetto a quella legittima. In particolare, al fine di conservare l‟unità del patrimonio familiare, era possibile concentrare i propri beni nelle mani di un unico figlio o di alcuni soltanto dei propri figli. A ciò si aggiunga che l‟ereditando, spinto dal proposito di dare rilevanza a rapporti di amicizia, politici e di affari, poteva prevedere legati o istituzioni ereditarie a favore di persone estranee.
La libertà testamentaria, tuttavia, non era illimitata: ad essa erano poste alcune significative limitazioni. In primis, l‟esclusione di determinati figli dalla successione era subordinata, come si è già anticipato, ad un‟espressa exheredatio (diseredazione). In secondo luogo, era attribuito a determinati soggetti il potere di impugnare il testamento con lo strumento della querela inofficiosi testamenti, qualora le disposizioni in esso contenute fossero ritenute ingiuste.
E‟ opportuno soffermarsi, in particolare, sulla possibilità, riconosciuta al pater familias, di concentrare l‟eredità su uno o alcuni dei suoi figli, escludendo gli altri dalla successione. Affinché il pater familias potesse avvantaggiare un suus (o alcuni sui) a scapito di un altro (o di altri), era necessario che fosse inserita nel testamento una solenne exheredatio (diseredazione), la quale privasse i sui della loro veste (connaturata) di eredi (Xxxxxx exheres esto). Vigeva la regola secondo la quale i sui dovessero essere istituiti o diseredati (aut instituendi aut exheredandi sunt): l‟exheredatio era simmetrica all‟heredis institutio. Dopo aver istituito eredi uno o più figli e dopo aver diseredato gli altri, il testatore era solito prevedere legati di proprietà a favore degli esclusi e un legato di usufrutto a favore della propria vedova.
Occorre precisare che l‟efficacia della diseredazione era subordinata all‟esistenza e alla validità del testamento e, conseguentemente, all‟esistenza e alla validità della heredis institutio in esso contenuta (159). In altri termini, affinché l‟esclusione di erede fosse valida, era necessario che, in luogo del diseredato, fosse istituito validamente un altro soggetto: un testamento contenente soltanto l‟exheredatio era privo di valore (160).
Relativamente alla exheredatio, la giurisprudenza preclassica distingueva tra i figli maschi, da un lato, e le figlie femmine e gli ulteriori discendenti del testatore, dall‟altro. Mentre i primi dovevano essere diseredati con espressa indicazione del loro nome (161), per i secondi, invece, si faceva riferimento, genericamente, ai soggetti diversi da quelli istituiti eredi (ceteri omnes exheredes sunto).
La differenza tra i figli e le figlie si manifestava anche in relazione al fenomeno della pretermissione. Se un figlio maschio non veniva menzionato nel testamento (praeteritus), senza essere espressamente diseredato, il testamento era nullo e si apriva la successione ab intestato (162). In caso di pretermissione (praeteritio) di figlie o di ulteriori discendenti del testatore, invece, il testamento conservava la sua validità. In quest‟ultimo caso, tuttavia, qualora i soggetti istituiti eredi fossero anch‟essi sui heredes, la loro parte doveva essere ridotta in modo da consentire ai praeteriti di conseguire la medesima quota di eredità che sarebbe loro spettata in forza della successione legittima; qualora, invece, i soggetti istituiti fossero extranei, la loro parte si riduceva alla metà dell‟eredità, con la conseguenza che l‟altra metà era devoluta ai pretermessi (163).
(159) La diseredazione, come disposizione accessoria dell‟istituzione di erede, ne seguiva la sorte: se cadeva l‟institutio, ad esempio per rinuncia o premorienza dell‟erede istituito, perdeva efficacia anche la exheredatio.
(160) Da tutto ciò si ricava che il diritto romano non attribuiva efficacia a una volontà meramente negativa di diseredazione. Sulla exheredatio in diritto romano, v. X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato romano, cit., p. 666 ss.
(161) Si ammetteva, tuttavia, l‟omissione del nome, nel caso in cui, per individuare la persona, bastasse l‟indicazione della qualifica. Ad esempio, qualora si trattasse di figlio unico, era sufficiente l‟espressione “Filius meus exheres esto”.
(162) I Xxxxxxxxx, a differenza dei Proculiani, ritenevano che la circostanza che il
praeteritus fosse premorto al padre non bastasse a sanare la nullità del testamento.
(163) Si trattava di uno dei casi in cui la successione testamentaria operava per una parte soltanto dell‟eredità, mentre l‟altra parte era devoluta secondo le regole della successione legittima.
Relativamente ai postumi sui (164), occorre ricordare che il loro sopravvenire, senza distinguere tra figli, figlie e nipoti, produceva l‟effetto di invalidare il testamento. Al riguardo, la giurisprudenza, considerandoli capaci di succedere (165), propose, al fine di preservare la validità del negozio mortis causa, di istituirli o di diseredarli. In altri termini, il testamento era invalido soltanto in caso di nascita di postumi non istituiti eredi o non diseredati.
Per quanto concerne la querela inofficiosi testamenti, si osservi che, qualora le disposizioni testamentarie fossero ritenute ingiuste, il testamento poteva essere impugnato da un parente stretto (discendente, ascendente, fratello o sorella), il quale fosse stato escluso dalla successione (166). Più precisamente, legittimato attivo era colui che, se non vi fosse stato testamento, sarebbe stato erede ab intestato; la veste di convenuto, invece, era assunta, nel processo, dal beneficiario dell‟istituzione di erede. Tale mezzo di impugnazione, nato nel periodo preclassico, veniva fatto valere dinanzi al Tribunale dei centumviri, che continuò ad essere l‟organo competente anche durante il periodo classico.
Come si può notare, dal punto di vista sostanziale, l‟impugnazione si basava sull‟asserita ingiustizia del testamento, ingiustizia costituita dalla violazione, da parte dell‟ereditando, del dovere di affetto e di assistenza (officium pietatis) nei confronti del figlio diseredato (o del prossimo congiunto non contemplato nel testamento). Dal punto di vista formale, si ricorreva a un espediente: si riteneva che il testatore, il quale, senza giustificato motivo,
(164) I postumi, a rigore, erano i soggetti già concepiti al momento della morte dell‟ereditando e nati successivamente a tale momento. Tuttavia, si consideravano postumi anche i soggetti nati dopo la redazione del testamento. Infine, erano considerati tali anche coloro che, già nati, ma non sui, al momento della confezione del testamento, fossero diventati sui a seguito di negozi o fatti giuridici.
(165) Di regola, la capacità di succedere, in diritto romano, era attribuita solo ai soggetti che, al momento della morte dell‟ereditando, fossero già nati. Tuttavia, tale capacità, sia per la successione testamentaria che per quella ab intestato, fu riconosciuta anche ai postumi, ossia a coloro che, al momento dell‟apertura della successione, fossero soltanto concepiti. L‟unica condizione era che si trattasse di discendenti del de cuius (postumi sui). Soltanto a partire da un momento storico successivo fu possibile che i postumi succedessero ab intestato anche come adgnati (postumi alieni). Relativamente alla testamenti factio, v. X. XXXXXX, Corso di istituzioni di diritto romano, Volume III: diritto di famiglia – diritto ereditario – donazioni, cit., p. 132 ss.; X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato romano, cit., p. 659 ss.
(166) Le cause della diseredazione non erano determinate. Xxxxx era lasciato all‟arbitrio dei giudici centumvirali, competenti in materia successoria, i quali valutavano se il diseredato avesse meritato l‟esclusione dalla successione. Sulla querela inofficiosi testamenti, v. X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato romano, cit., p. 671 ss.; X. XX XXXXX, voce: “Successione, IV) Successione necessaria, a) Diritto romano”, cit., p. 1340 ss.; X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 93 ss.
avesse escluso dalla successione un figlio o un parente stretto, fosse affetto da apparenza di pazzia (color insaniae), ossia fosse incapace di intendere o di volere al momento della redazione dell‟atto.
In caso di accoglimento della querela inofficiosi testamenti, il testamento era invalidato e divenivano inefficaci non soltanto l‟istituzione di erede, ma anche tutte le altre disposizioni testamentarie (legati, fedecommessi, manomissioni) a favore di soggetti rimasti estranei al processo: l‟eredità, pertanto, era devoluta secondo le regole della successione legittima (167). Nel caso in cui, invece, la querela inofficiosi testamenti fosse esperita senza successo, il soggetto che l‟aveva proposta diveniva indegno.
In epoca classica, al fine di limitare il ricorso a tale mezzo di impugnazione, la prassi giudiziaria elaborò la regola, secondo cui la querela inofficiosi testamenti era preclusa a colui che avesse ricevuto, dall‟ereditando, almeno un quarto (168) di ciò che gli sarebbe spettato in forza della successione ab intestato (169).
Al fine di completare il quadro relativo alla successione testamentaria in epoca preclassica e classica, è opportuno illustrare, brevemente, i principi relativi all‟acquisto dell‟eredità (170). Al riguardo, occorre distinguere tra varie categorie di soggetti: gli heredes sui et necessarii e gli heredes necessarii divenivano titolari del patrimonio ereditario automaticamente, al momento
(167) Xxxxxx accadere che i legittimati attivi e/o quelli passivi fossero più di uno. In tal caso, la querela inofficiosi testamenti era esperita da ogni legittimato attivo per conto proprio e, separatamente, nei confronti di ogni legittimato passivo. Ciò determinava la nascita di diversi processi, che potevano essere assegnati ciascuno a una sezione differente del Tribunale dei centumviri. La querela inofficiosi testamenti poteva essere accolta per alcuni e respinta per altri, con la conseguenza che il testamento era parzialmente valido e che si aveva concorso della successione ab intestato con quella testamentaria. Occorre precisare che, nell‟ipotesi considerata, anche i legati e i fedecommessi avevano validità parziale, mentre le manomissioni degli schiavi erano considerate valide per l‟intero.
(168) Fu proprio da tale regola che si sviluppò, in epoca postclassica, il principio, secondo il quale il testatore doveva riservare ai parenti più stretti almeno un quarto dell‟asse ereditario (portio legitima).
(169) Si trattava di una regola assai discutibile, in quanto lo strumento della querela inofficiosi testamenti, idoneo a invalidare l‟intero testamento, era concesso solo a colui che avesse ricevuto meno di un quarto di quanto gli sarebbe spettato ab intestato. Una Costituzione di Xxxxxxxx, al fine di superare tale incongruenza, stabilì che colui che avesse ricevuto una quota inferiore al quarto non potesse esperire la querela inofficiosi testamenti, nel caso in cui il testatore avesse disposto che la quota medesima fosse integrata secondo il giudizio di un uomo corretto (arbitratu boni viri).
(170) Relativamente ai vari tipi di eredi e alle varie forme di accettazione, cfr. X. XXXXXXXX, Corso di diritto romano, cit., p. 227 ss.; X. XXXXXXXXX, voce: “Successione, III) Successione legittima, a) Diritto romano”, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1299 ss.; X. XXXXXXX, xx. xxx. xxx., x. 00 xx.
xxxxx xxxxx dell‟ereditando (171); tutti gli altri soggetti (heredes voluntarii o heredes extranei), invece, acquistavano l‟eredità soltanto a seguito di un atto di accettazione (aditio), fermo restando il potere di rifiuto (172).
Gli heredes sui et necessarii, come si è già precisato, erano i discendenti dell‟ereditando, sottoposti alla sua patria potestas, che divenivano sui iuris con la sua morte (173). Tra gli heredes sui et necessarii rientravano anche la moglie in manu e le mogli in manu dei discendenti, che fossero premorti. Gli heredes necessarii, invece, erano gli schiavi dell‟ereditando, da lui manomessi nel testamento, ossia dichiarati liberi e, nel contempo, istituiti eredi (174). Gli heredes voluntarii (o heredes extranei), infine, erano tutti gli altri soggetti diversi da quelli sopra elencati.
Il fatto che gli heredes sui et necessarii e gli heredes necessarii acquistassero l‟eredità automaticamente, al momento della morte dell‟ereditando, si spiegava, per i primi, in ragione dello stretto vincolo familiare che li legava al de cuius (175) e, per i secondi, in virtù dell‟inestimabile valore del
(171) Alla morte dell‟ereditando, si verificava la delazione dell‟eredità, attraverso la quale l‟hereditas veniva messa a disposizione dell‟erede chiamato. Per gli heredes sui et necessarii e per gli heredes necessarii, delazione e acquisto coincidevano.
(172) Nel caso dell‟heres voluntarius, il quale acquistava l‟eredità solo con l‟aditio, vi era un intervallo di tempo tra il momento della delazione dell‟eredità e quello dell‟acquisto. In tale intervallo, il patrimonio ereditario non apparteneva a nessuno e i giuristi romani, talvolta, dissero che l‟eredità giaceva (hereditatem iacere). Da qui, è nata l‟espressione, medioevale e moderna, “hereditas iacens” (eredità giacente).
(173) I filii familias e gli schiavi sottoposti all‟altrui potere potevano essere istituiti eredi, ma l‟acquisto si produceva in capo al loro pater o dominus. Per questo motivo, era necessaria la capacità di ricevere di costoro e l‟accettazione (aditio) poteva essere fatta solo con il loro iussum.
(174) I propri schiavi potevano essere istituiti eredi solo con una contemporanea
xxxxxxxxxx, la quale serviva a renderli non soltanto liberi, ma anche cittadini romani.
(175) L‟acquisto automatico dell‟eredità poteva rivelarsi svantaggioso, nel caso in cui l‟eredità fosse oberata di debiti (hereditas damnosa). A partire da un certo momento storico, fu consentito al testatore di arginare tale inconveniente, inserendo nell‟istituzione di erede le parole “si volet” (se vorrà), in modo da subordinare l‟acquisto dell‟eredità alla manifestazione di una volontà positiva. A ciò si aggiunga che il pretore introdusse un rimedio di carattere generale, concedendo agli heredes sui et necessarii il potere di astenersi (beneficium abstinendi), ossia di dichiarare di non volere acquistare l‟eredità, in modo da ottenere che il pretore non li considerasse eredi. Il pretore concedeva loro un‟exceptio contro i creditori ereditari, qualora questi ultimi avessero agito per soddisfare i propri diritti. Il beneficio di cui sopra non poteva essere concesso qualora gli heredes sui et necessarii avessero compiuto atti di gestione del patrimonio ereditario o qualora avessero rimosso o fatto rimuovere qualcosa dall‟eredità. Sugli heredes sui et necessarii, v. X. XXXXXX, Corso di istituzioni di diritto romano, Volume III: diritto di famiglia – diritto ereditario – donazioni, cit., p. 92 ss.
dono della libertà ricevuto dal padrone, dono che avrebbe reso inconcepibile una mancata accettazione (176).
L‟accettazione (aditio) da parte degli heredes voluntarii poteva consistere in un negozio formale (cretio) oppure in un atto di gestione del patrimonio ereditario, il quale implicasse la volontà di essere erede (pro herede gestio) (177).
La cretio, probabilmente sorta solo per la successione testamentaria, divenne poi possibile anche per la successione legittima. Essa consisteva in una dichiarazione orale e, in caso di successione testamentaria, era prescritta solitamente dallo stesso de cuius. Questi, di regola, poneva all‟erede istituito un termine entro il quale la cretio doveva essere pronunciata. Alla prescrizione del testatore si accompagnava, normalmente, una exheredatio (diseredazione): se il chiamato non effettuava la cretio, perdeva definitivamente l‟eredità.
In tutti i casi di successione ab intestato e, in caso di successione testamentaria, qualora il defunto non avesse imposto all‟erede istituito la prescrizione di cernere o, pur avendo previsto tale prescrizione, non vi avesse apposto un termine o non vi avesse aggiunto una exheredatio, il chiamato poteva accettare l‟eredità in qualunque momento. Al fine di rimuovere una situazione di incertezza prolungata, il pretore, su istanza dei creditori, poteva imporre al chiamato un tempus ad deliberandum (termine per decidere), decorso il quale, qualora non fosse intervenuta l‟accettazione, il chiamato si considerava rinunziante (178).
Tra le principali modificazioni apportate alla successione testamentaria nel periodo postclassico e giustinianeo (179), merita di essere ricordato il superamento del rigido formalismo che aveva caratterizzato il testamento in
(176) Gli heredes necessarii non potevano astenersi dall‟acquisto dell‟eredità: essi erano eredi in ogni caso. Si osservi, comunque, che il pretore concesse loro lo strumento della separatio bonorum, attraverso il quale essi potevano limitare ai beni dell‟asse ereditario l‟esecuzione intentata dai creditori, così evitando sia l‟espropriazione dei beni acquistati dopo la manomissione sia la ductio della propria persona.
(177) E‟ discusso se fosse consentito anche un terzo tipo di aditio e, più precisamente, se fosse ammessa una dichiarazione espressa non formale di accettazione dell‟eredità. Probabilmente, già nel corso dell‟epoca classica, si ammise che la pro herede gestio potesse essere costituita non solo da un comportamento concludente, ma anche da una dichiarazione espressa non formale di accettazione dell‟eredità. Sull‟accettazione dell‟eredità, v. X. XXXXXX, Corso di istituzioni di diritto romano, Volume III: diritto di famiglia – diritto ereditario – donazioni, cit., p. 94 ss.
(178) Si osservi che, in epoca giustinianea, la regola classica fu ribaltata: scaduto il termine prefissato, il chiamato era considerato accettante.
(179) Per l‟evoluzione storica delle nome sulla successione ereditaria nel periodo postclassico e giustinianeo, cfr. X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 927 ss.
epoca classica. Relativamente all‟heredis institutio, Xxxxxxxxxx abolì la necessità della formula imperativa (Titius heres esto) e stabilì che fosse sufficiente l‟impiego di termini dai quali risultasse, in modo chiaro e non equivoco, la volontà del testatore; Xxxxxxxxxxx abolì, invece, la regola secondo cui l‟istituzione di erede doveva trovarsi all‟inizio del testamento.
In generale, in epoca postclassica e giustinianea, vi fu un riconoscimento sempre maggiore della libertà di testare, accompagnato, tuttavia, dal rafforzamento dei limiti all‟autonomia testamentaria. Si affermò con forza il principio secondo il quale i parenti più stretti avevano diritto a una quota intangibile del patrimonio (portio legitima), anche contro la volontà del testatore, purché non avessero posto in essere comportamenti riprovevoli, tassativamente indicati dal legislatore (180). Xxxxxxxxxxx stabilì che il parente stretto, il quale avesse ricevuto dal testatore meno di quanto gli spettasse, potesse esperire l‟actio ad implendam legitimam (dalla quale deriva la moderna azione di riduzione), al fine di ottenere la reintegrazione della quota di riserva (181). Il congiunto, il quale fosse stato diseredato o preterito, invece, poteva intentare la querela inofficiosi testamenti (182).
Nel diritto giustinianeo, la diseredazione fu regolata dalla Novella 115, con la quale si stabilì che i discendenti e gli ascendenti potessero essere diseredati soltanto nelle ipotesi in cui avessero posto in essere gravi atti, tassativamente previsti dalla legge (iustae causae), fermo restando il potere del testatore di perdonarli. Si osservi che, in quell‟epoca, era necessaria l‟indicazione della specifica causa di esclusione dalla successione, ma non era più necessario che la diseredazione fosse effettuata nominatim (183).
Per quanto concerne i meccanismi di acquisto dell‟eredità, si osservi che, nel diritto postclassico occidentale, si diffuse il principio secondo cui anche gli heredes sui et necessarii potessero divenire eredi solo a seguito di un atto di
(180) In epoca postclassica, il testatore doveva riservare ai parenti più stretti almeno un quarto del suo patrimonio (portio legitima). Xxxxxxxxxxx, con la Novella 18, elevò la legittima a un terzo dell‟eredità, se i figli erano al massimo quattro, e alla metà, nel caso in cui i figli fossero in numero superiore.
(181) Al fine di stabilire l‟entità della quota di legittima e al fine di verificare entro quali limiti essa dovesse essere integrata, occorreva tenere conto di quanto l‟erede necessario avesse già ricevuto dal testatore per atti inter vivos (es.: donazioni) o per atti mortis causa (es.: legati).
(182) In caso di accoglimento della querela inofficiosi testamenti, a differenza del periodo preclassico e classico, perdeva efficacia solo l‟istituzione di erede, mentre tutte le altre disposizioni restavano valide.
(183) Cfr. F. XXXXXXXX, voce: “Diseredazione, a) Diritto romano”, cit., p. 98.
accettazione. Xxxxxxxxxxx ritornò alla distinzione classica, stabilendo che essi acquistassero automaticamente l‟eredità (184).
L‟istituto della diseredazione, nato nel diritto romano, ha conosciuto, nel corso dei secoli, periodi di fulgore e periodi di declino (185). Quanto ai Germani, essi non conoscevano, in origine, né il testamento né la diseredazione. Il testamento fu adottato solo in seguito (186), ma senza accogliere i due canoni fondamentali del diritto romano: il principio dell‟istituzione di erede come requisito essenziale per la validità del testamento (heredis institutio caput et fundamentum totius testamenti) e la regola dell‟incompatibilità tra successione legittima e successione testamentaria (nemo pro parte testatus, pro parte intestatus decedere potest). Relativamente alle successive vicende dell‟istituto della diseredazione nella storia del diritto italiano, si osservi che il potere di escludere taluni soggetti dalla successione non fu mai senza limiti: soltanto il compimento di gravi atti, stabiliti dalla legge, poteva giustificare l‟esercizio del potere in questione (187).
Per quanto concerne i sistemi giuridici settecenteschi precedenti alla Rivoluzione Francese, si osservi che essi confondevano la diseredazione con l‟incapacità a succedere per ingratitudine o indegnità. La situazione rimase identica anche durante la Rivoluzione, periodo in cui si manifestò un atteggiamento ostile nei confronti dell‟istituto, e sotto il vigore del Codice Civile Napoleonico, che si limitò a disciplinare l‟indegnità (188).
La diseredazione riapparve in numerosi codici di Stati italiani, tra cui il Codice Albertino. In quest‟ultimo codice, la figura della diseredazione e quella
(184) Giustiniano introdusse un‟importante novità: a differenza del periodo classico, in cui l‟esercizio dello ius abstinendi serviva ad ottenere che il pretore non considerasse erede il suus heres, nel periodo postclassico, invece, il potere di xxxxxxxxxx aveva l‟effetto di far venir meno ipso iure la condizione di erede.
(185) Cfr. X. XXXXX, L’esclusione testamentaria di eredi, cit., p. 235 ss.; X. XXXXXXXX, voce: “Diseredazione, b) Diritto intermedio”, cit., p. 99 ss.
(186) Si ritiene che il testamento sia comparso tra le popolazioni germaniche dopo le invasioni nell‟occidente romano e in seguito all‟instaurarsi di rapporti di convivenza e di coabitazione con le popolazioni romane.
(187) Dalle fonti tardo romane del Medioevo risulta che veniva applicata la stessa Novella 115 di Giustiniano, che prevedeva quattordici fattispecie di ingratitudine, che giustificavano la diseredazione del figlio da parte del padre (diseredazione dei discendenti), e otto, che regolavano la diseredazione nel caso inverso (diseredazione degli ascendenti). Si discuteva, in Italia, se i quattordici casi di diseredazione fossero tassativi o se avessero carattere meramente esemplificativo.
(188) Il Codice Napoleonico, reagendo contro gli abusi dei genitori nei confronti dei figli, abolì l‟istituto della diseredazione. Tale codice, considerando prevalente l‟esigenza di tutela della famiglia, limitava fortemente l‟autonomia testamentaria.
dell‟indegnità andavano di pari passo ed erano riconducibili, rispettivamente, a due diverse categorie di atti. Vi erano alcuni atti, di particolare gravità, che rendevano indegno ipso iure colui che li avesse compiuti, indipendentemente dal fatto che si trattasse di un parente o di un estraneo. Restava fermo, tuttavia, il potere del testatore di evitare l‟applicazione della sanzione, riabilitando l‟autore degli atti medesimi. Gli atti della seconda categoria, complessivamente meno gravi, implicavano l‟attribuzione al testatore del potere di diseredare i discendenti e gli ascendenti, ossia i legittimari (189).
La mancata previsione, nel Codice Civile del 1865, di una disciplina della diseredazione fu spiegata, nella Relazione ministeriale, sia con l‟assorbimento della diseredazione medesima nella figura dell‟indegnità sia con l‟argomentazione, ai sensi della quale l‟esclusione dalla successione, dettata da sentimenti di vendetta, sarebbe stata immorale e in contrasto con la dottrina, che propugnava il perdono (190).
Paragrafo 4
Differenze rispetto alle seguenti figure: la preterizione,
la revoca di precedenti disposizioni testamentarie e l’indegnità
Occorre distinguere la diseredazione da altre figure, prima fra tutte la preterizione (o pretermissione), la quale trae origine dalla praeteritio del diritto romano (191). Come si è già anticipato, si ha preterizione nell‟ipotesi in cui il testatore, al fine di escludere un determinato successore, esaurisca l‟intero asse ereditario, prevedendo l‟attribuzione di beni a favore di altri soggetti e,
(189) Cfr. X. XXXXX, L’esclusione testamentaria di eredi, cit., p. 238 ss.; X. XXXXXXXX, voce: “Diseredazione, b) Diritto intermedio”, cit., p. 101.
(190) Sul punto, v. X. XXX, La diseredazione, cit., p. 54 ss.; X. XXXXX, L’esclusione testamentaria di eredi, cit., p. 240 ss.
(191) Sulla differenza tra la diseredazione e la preterizione, v. X. XXXXXX, La c.d. diseredazione: riflessioni sulla disposizione testamentaria di esclusione, cit., p. 506, nota n. 2;
X. XXXXX, L’esclusione testamentaria di eredi, cit., p. 231; ID, Se debba riconoscersi efficacia a una volontà testamentaria di diseredazione, cit., c. 48; X. XXXXX, Le disposizioni testamentarie negative, cit., c. 303; X. XXXXXXXX, La clausola di diseredazione, in Riv. notar., 2000, II, p. 916;
C. SAGGIO, Diseredazione e rappresentazione, cit., p. 1791.
Si osservi che il termine “preterizione” è utilizzato in un‟accezione differente in tema di divisione testamentaria (art. 735 c.c.).
eventualmente, disponendo sostituzioni a catena per il caso in cui gli eredi e/o i legatari non possano o non vogliano, rispettivamente, accettare l‟eredità o conseguire il legato (artt. 688 e 691 c.c.) (192). In altri termini, la pretermissione implica un‟esclusione di fatto dalla successione, conseguente a un‟attribuzione testamentaria in favore altrui (193). Naturalmente, resta ferma la facoltà, in capo ai soggetti pretermessi, i quali siano anche legittimari, di esercitare l‟azione di riduzione, al fine di reintegrare la quota di legittima loro spettante (artt. 553 ss. c.c.). È evidente come l‟esclusione dalla successione si ponga, nel caso considerato, come una conseguenza non diretta, bensì mediata, delle disposizioni a causa di morte. Nell‟ipotesi di diseredazione, invece, la volontà (negativa) del testatore è diretta in modo immediato a escludere un determinato soggetto dall‟eredità.
La differenza tra la pretermissione e la diseredazione non è soltanto teorica, ma presenta importanti risvolti pratici. Si consideri, infatti, che il soggetto preterito conserva la qualità di successibile e l‟eredità può essere a lui devoluta ab intestato (purché non vi siano o, comunque, non vengano alla successione altri eredi legittimi appartenenti a una classe o a un ordine successorio prevalenti), nel caso in cui l‟erede istituito non possa o non voglia accettare e non sussistano i presupposti perché operino, nell‟ordine, i meccanismi della sostituzione, della rappresentazione e dell‟accrescimento.
A ciò si aggiunga che il successore pretermesso viene ad essere di nuovo chiamato all‟eredità, in forza delle regole della successione ex lege, anche nel caso in cui la delazione testamentaria non vada a buon fine, ad esempio perché il testamento sia nullo o revocato. La diseredazione – ammesso che essa sia legittima - produce, invece, conseguenze differenti rispetto a quelle sopra esposte: il soggetto diseredato non può, in alcun caso, succedere al de cuius,
(192) L‟esclusione dalla successione, realizzata con il meccanismo della pretermissione, è meramente eventuale, in quanto è subordinata all‟accettazione degli eredi istituiti e al mancato rifiuto dei legatari. Al fine di scongiurare le conseguenze del mancato acquisto dei soggetti beneficiati, ossia al fine di eliminare ogni possibilità di apertura della successione ab intestato, il testatore può prevedere sostituzioni a catena, l‟ultima delle quali, eventualmente, a favore di un ente pubblico, oppure un‟unica sostituzione plurima (art. 689 c.c.), disposta a beneficio di un numero sostanzialmente illimitato di sostituiti. Sul punto, X. XXXX, Manuale di tecnica testamentaria, Padova, 1996, p. 31.
(193) Ad esempio, il testatore, il quale abbia tre fratelli, Xxxxx, Xxxx e Xxxxxxxxx, può realizzare la preterizione del terzo attraverso una disposizione positiva a favore dei primi due, del seguente tenore: “Nomino miei eredi Xxxxx e Xxxx”.
avendo quest‟ultimo manifestato espressamente la volontà di escluderlo dalla devoluzione dell‟eredità (194).
Si consideri che l‟ereditando può rafforzare la preterizione attraverso l‟esclusione del soggetto pretermesso. Più precisamente, la pretermissione può essere accompagnata sia da una diseredazione espressa (“Nomino miei eredi Xxxxx e Xxxx, nulla volendo attribuire a Xxxxxxxxx”) sia da una diseredazione implicita (“Dei miei tre fratelli nomino eredi esclusivamente Xxxxx e Xxxx”) (195).
Si segnala anche la diversa opinione di chi non vede alcuna differenza, di fatto, tra la pretermissione di un successibile non legittimario e la diseredazione apertis verbis del medesimo. In base a tale orientamento, il testatore, qualora disponesse di tutte le proprie sostanze a favore di uno o più soggetti, effettuerebbe, sostanzialmente, una diseredazione automatica di tutti i potenziali eredi ab intestato, ai quali non avesse fatto alcuna attribuzione patrimoniale. Pertanto, la sua eventuale dichiarazione di non voler lasciare nulla a una determinata persona non produrrebbe effetti ulteriori rispetto a quelli che già derivano dalla preterizione (196).
(194) Cfr. C. SAGGIO, Diseredazione e rappresentazione, cit., p. 1791. Si veda anche X. XXXXXXXX, In margine alla clausola di diseredazione: la tematica della c.d. volontà meramente negativa, cit., p. 744 ss., che affronta la questione relativa alla devoluzione ab intestato dei beni acquisiti al patrimonio del disponente dopo la redazione della scheda testamentaria, nel caso in cui quest‟ultima contenga esclusivamente legati e non istituzioni di erede. L‟Autore si domanda se sia possibile ipotizzare una diseredazione implicita, da far valere nella devoluzione legittima dei beni sopravvenuti, al fine di escludere il successibile pretermesso anche in ordine a questi beni. L‟Autore risponde, a nostro avviso giustamente, in senso negativo: il soggetto preterito succederà ex lege nei beni acquisiti dall‟ereditando dopo la redazione del testamento.
X. XXXXX, Se debba riconoscersi efficacia a una volontà testamentaria di diseredazione, cit., c. 49, osserva come non abbia senso distinguere tra una diseredazione espressa e una diseredazione tacita. Soltanto la prima, intesa come volontà di escludere dalla successione un determinato soggetto, rappresenta una vera e propria diseredazione. La seconda, che colpirebbe i soggetti non contemplati nel testamento, costituirebbe una mera pretermissione.
(195) Sulla validità di tale diseredazione in funzione meramente rafforzativa si è espressa la Corte di Cassazione: Cass., 20 giugno 1967, n. 1458, cit.; Cass., 5 aprile 1975, n. 1217, cit.
(196) In tal senso, X. XXXXX, Le disposizioni testamentarie negative, cit., c. 303. Cfr. anche
X. XXXXXXXX, Diseredazione ed esclusione di eredi, cit., p. 1186, il quale precisa che la diseredazione ha, come presupposto, il fatto che l‟ereditando non abbia disposto dei propri beni o, comunque, che ne abbia disposto soltanto in parte.
Per quanto concerne la revoca di precedenti disposizioni testamentarie (art. 679 ss. c.c.), si osservi che essa presenta alcuni punti in comune con la clausola di diseredazione (197). Al riguardo, è opportuno rammentare che una delle caratteristiche fondamentali dell‟atto di ultima volontà è la sua revocabilità (art. 587, comma 1, c.c.): essendo il testamento un negozio diretto a regolare la sorte dei propri rapporti per il tempo successivo alla morte e non producendo esso effetti prima di quel momento, non vi è ragione di impedire che la volontà già manifestata possa essere revocata. Si osservi che il legislatore non si è limitato a sancire il principio della revocabilità del negozio mortis causa, ma lo ha considerato come un principio di ordine pubblico, come si desume dal divieto della rinunzia alla facoltà di revoca (art. 679 c.c.) e dalla previsione della nullità dei patti successori istitutivi (art. 458 c.c.), i quali, avendo natura contrattuale, sarebbero per ciò stesso irrevocabili (198).
Mentre la diseredazione – purché se ne riconosca l‟ammissibilità - impedisce la delazione, escludendo ogni possibilità di succedere e paralizzando sia il titolo legale sia altro titolo testamentario (es.: si pensi a quanto eventualmente già previsto a titolo di legato), la revoca consiste nell‟eliminazione di un precedente titolo testamentario. Come si può notare, entrambi gli istituti cancellano la chiamata ereditaria, ma mentre la diseredazione ha una portata più ampia, comportando l‟esclusione (anche) dalla successione ab intestato, la revoca di precedenti disposizioni implica, per definizione, la rimozione di quanto contenuto in un precedente testamento (199). E‟ interessante osservare che l‟effetto di paralizzare il titolo successorio legale potrebbe essere ricondotto anche alla revoca, qualora si aderisse alla tesi secondo cui la revoca di una precedente disposizione può, a seconda dei casi, essere considerata un‟implicita esclusione dalla successione legittima. In base
(197) Sulla revoca del testamento, v. X. XXXXXX, Il testamento, cit., p. 165 ss.; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 541 ss.; X. X‟XXXXX, voce: “Revoca delle disposizioni testamentarie”, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 232 ss.; X. XXXXX, voce: “I) Revoca in generale,
a) Diritto privato”, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 196 ss.; X. XXXXX XXXXXX, voce: “Revoca degli atti, II) Revoca del testamento”, in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 1991, p. 1 ss.
Sulla revoca in generale, intesa come potere di manifestare una volontà contraria a una precedente dichiarazione, al fine di impedire che la dichiarazione medesima produca effetti giuridici, x. X. X. XXXXXXX, xxxx: “Xxxxxx xxxxx xxxx, X) Profili generali – Dir. Civ.”, in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 1991, p. 1 ss.; X. XXXXXX, voce: “Revoca (diritto privato)”, in Noviss. Dig. it. XV, Torino, 1968, p. 808 ss.
(198) Sul punto, X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 543.
(199) Cfr. X. XXXXXXXXX, L’autonomia testamentaria e le disposizioni negative, cit., p. 57.
a tale orientamento, la reale volontà del testatore sarebbe frustrata se, nonostante la revoca, il successibile, istituito con disposizione poi revocata, succedesse ugualmente, in forza delle regole della successione ab intestato (200).
E‟ opportuno, fin d‟ora, precisare che, nel dibattito relativo all‟ammissibilità della clausola di diseredazione, una delle argomentazioni a favore della tesi positiva è costituita proprio dalla previsione legislativa della revoca espressa delle disposizioni testamentarie (art. 680 c.c.).
Infatti, come meglio si vedrà, se si negasse efficacia alla diseredazione, si dovrebbe escludere anche la validità di un testamento che, senza contenere disposizioni attributive di beni, si limitasse a revocare precedenti disposizioni contenute in un‟altra scheda (201).
Al fine di completare il quadro relativo alle principali figure che presentano punti di contatto con la diseredazione, è opportuno illustrare i caratteri fondamentali dell‟indegnità a succedere. Come è noto, l‟ordinamento giuridico sanziona, dichiarandolo “escluso dalla successione come indegno”, colui che pone in essere una serie di comportamenti riprovevoli nei confronti del defunto, rendendosi colpevole di gravi offese alla persona del medesimo (o del coniuge o dei suoi prossimi congiunti) oppure alla sua libertà testamentaria (art. 463 c.c.) (202).
L‟istituto de quo affonda le sue radici nel diritto romano (203): colui che si fosse macchiato di atti di una certa gravità nei confronti dell‟ereditando poteva
(200) La questione sarà analizzata, in modo dettagliato, nel paragrafo n. 4 del capitolo III.
(201) Sul punto, si veda il paragrafo n. 2 del capitolo III.
(202) Numerosi sono i contributi dottrinali in materia di indegnità. Senza presunzione di completezza, si segnalano le seguenti opere: X. XXXXXXXXX, Sul fondamento dell’indegnità a succedere, in Foro it., 1955, I, c. 1187 ss.; X. XXXXXXXX, Le successioni e le donazioni, cit., p. 34 ss.; X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, cit., p. 61 ss.; X. XXXXXXX, Natura giuridica dell’indegnità a succedere, in Foro pad., 1950, I, c. 843 ss.; C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia – Le successioni, cit., p. 550 ss.; X. XXXXXXXX, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 45 ss.; ID, Nozioni di diritto ereditario, cit., p. 30 ss.; X. XXXX, Successioni per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità, Milano, 1954,
p. 80 ss.; M. COMPORTI, Riflessioni in tema di autonomia testamentaria, tutela dei legittimari, indegnità a succedere e diseredazione, in Familia, 2003, p. 27 ss.; X. XXXXX, Successioni in generale, cit., p. 159 ss.; X. XXXXXXX, L’indegnità, in Tratt. dir. priv. diretto da X. XXXXXXXX, Volume 5, Tomo I, Successioni, Torino, 1997, p. 83 ss.; X. XXXXXX, L’indegnità a succedere, in Tratt. dir. succ. e donaz. diretto da X. XXXXXXXX, Volume I: la successione ereditaria, Milano, 2009, p. 937 ss.; X. XXXXXXX, voce: “Indegnità a succedere”, in Enc. giur. Treccani”, XVI, Roma, 1989, p. 1 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Della capacità di succedere. Dell’indegnità, in Comm. cod. civ. fondato e già diretto da X. XXXXXXXXXXX e continuato da F. D. BUSNELLI, Artt. 462 – 466, Milano, 2003, p. 31 ss.; ID, Il problema dell’indegnità di succedere. Contributo allo studio dei procedimenti successori privati, Padova, 1970, p. 1 ss.; X. XXXX, Successioni a causa di morte e donazioni: manuale pratico, Padova, 2005, p. 21 ss.
(203) Sulle origini dell‟istituto, v. X. XXXXX, voce: “Indegnità (diritto romano)”, in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, p. 592 ss.
beneficiare della delazione, ma non poteva trattenere i beni acquistati, i quali venivano attribuiti al fisco (indignus potest capere sed non potest retinere).
Come si può notare, già in diritto romano era evidente la differenza tra l‟istituto dell‟indegnità e quello della exheredatio: il primo era previsto a tutela di superiori ragioni di interesse pubblico; il secondo, consentendo al testatore di escludere taluno dalla propria successione, mirava, invece, a tutelare un interesse strettamente privato.
La ratio dell‟indegnità a succedere, da taluni rinvenuta nella presunta volontà del testatore (204), deve essere individuata, più correttamente, nella riprovazione, sociale prima ancora che legislativa, nei confronti di chi abbia posto in essere comportamenti riprovevoli nei confronti dell‟ereditando o delle persone a lui più vicine (205).
Pur avendo elementi in comune con la sanzione penale (206), l‟indegnità presenta caratteristiche distinte rispetto alla pena di natura pubblicistica. Trattandosi di una pena privata, l‟indegnità ha carattere strettamente personale: essa è stabilita a favore di un soggetto (l‟ereditando), leso in un proprio interesse, e procura un vantaggio soltanto a colui che abbia richiesto la relativa tutela (207).
(204) In base a tale teoria, il de cuius, se avesse previsto l‟atto commesso dall‟erede, avrebbe revocato la propria disposizione. A conferma di questa tesi, si osserva che il testatore, attraverso un atto di riabilitazione, può far venir meno gli effetti dell‟indegnità, manifestando la volontà che l‟indegno venga alla sua successione.
(205) Il fondamento oggettivo dell‟istituto è confermato dal fatto che l‟indegnità priva il soggetto colpito anche dei diritti che egli abbia in qualità di legittimario, ossia dei diritti a lui spettanti indipendentemente dalla volontà del testatore. La diversa tesi, secondo la quale il fondamento dell‟indegnità sarebbe costituito dalla presunta volontà del testatore, si espone a un‟obiezione di fondo: l‟omicidio involontario non è causa di indegnità, eppure risulta difficile ipotizzare che, in questo caso, la volontà del defunto fosse in senso favorevole alla successione di quel soggetto. Sulla ratio della figura, v. X. XXXXXXXXX, Sul fondamento dell’indegnità a succedere, cit., c. 1187 ss.; X. XXXXXXX, voce: “Indegnità a succedere”, cit., p. 2.
(206) La sanzione civile dell‟indegnità a succedere, al pari di una sanzione penale, svolge una funzione di prevenzione e repressione dell‟illecito. Inoltre, si consideri che, nel diritto penale, la morte del reo estingue non soltanto il reato (art. 150 c.p.), ma anche la pena (art. 171 c.p.). Allo stesso modo, si osservi che, nel caso in cui muoia il soggetto, nei confronti del quale sia stata intentata l‟azione diretta a far valere l‟indegnità, la sanzione dell‟esclusione dalla successione non può essere applicata agli eredi.
(207) Il nostro ordinamento prevede numerose ipotesi di pena privata, tra le quali meritano di essere ricordate, per quanto riguarda la materia successoria e delle donazioni, le seguenti: la decadenza dal beneficio di inventario, nel caso in cui siano posti in essere determinati atti senza l‟autorizzazione giudiziaria (art. 493, comma 1, c.c.); la decadenza dal medesimo beneficio, qualora l‟erede, in caso di opposizione, non osservi le norme stabilite dall‟art. 498 c.c. o non compia la liquidazione o lo stato di graduazione nel termine stabilito dall‟art. 500 c.c. (art. 505, comma 1, c.c.); la revocazione della donazione per ingratitudine (art. 801 c.c.). Sui caratteri della sanzione di indegnità, v. X. XXXXXXXXXXX, Il problema dell’indegnità di succedere, cit., p. 144 ss.
Le ipotesi di indegnità a succedere, la maggior parte delle quali costituiscono reati (208), sono contemplate dal codice civile (art. 463 c.c.) (209). Ad esse si deve aggiungere la fattispecie, delineata dal codice penale, relativa alla condanna per la commissione di alcuni delitti contro la libertà sessuale (art. 609 nonies, n. 3, c.p.) (210).
L‟esclusione dell‟indegno dalla successione della persona offesa rappresenta una grave conseguenza giuridica e, come tale, può essere comminata soltanto nei casi tassativamente previsti dalla legge (211).
Relativamente alla natura giuridica dell‟indegnità, si osservi che, nel codice civile abrogato, nonostante l‟art. 727 parlasse dell‟indegno come “escluso” (212), l‟indegnità era descritta come un‟ipotesi di incapacità a succedere (art. 725 c.c. 1865) (213). Già sotto il vigore del vecchio codice, come
(208) Fatta eccezione per la denunzia calunniosa e la falsa testimonianza (art. 463, n. 3., c.c.), per le quali è la legge stessa a richiedere, in via pregiudiziale, l‟accertamento del reato in sede penale, non è necessario, ai fini della pronuncia di indegnità a succedere, che sia previamente intervenuta una condanna penale né che il reato sia perseguibile. Nonostante la questione civile sia indipendente da quella penale, occorre che il soggetto, il quale si sia macchiato di atti costituenti reato, sia imputabile secondo i principi del diritto penale.
Si osservi, inoltre, che, nei confronti dell‟imputato, della parte civile e del responsabile civile, che si siano costituiti o che siano intervenuti nel processo penale, la sentenza irrevocabile di condanna, già pronunciata in sede penale, ha efficacia di giudicato in sede civile (art. 654 c.p.p.).
(209) Per un esame delle singole ipotesi di indegnità, cfr. X. XXXXXXXX, Le successioni e le donazioni, cit., p. 38 ss.; X. XXXX, Successioni per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità, cit., p. 87 ss.; X. XXXXXX, L’indegnità a succedere, cit., p. 955 ss.; X. XXXXXXX, voce: “Indegnità a succedere”, cit., p. 3 ss. Cfr. anche X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, cit., p. 62, il quale osserva come le cause di indegnità varino in base al grado di sensibilità di un popolo.
Si osservi che la legge 8 luglio 2005, n. 137 ha aggiunto, nel codice civile, un‟ulteriore ipotesi di indegnità a succedere: è indegno chi, essendo decaduto dalla potestà di genitore nei confronti della persona della cui successione si tratta, non sia stato reintegrato nella potestà genitoriale alla data di apertura della successione (art. 463, n. 3 bis, c.c.). A differenza del regime previgente, in cui il genitore decaduto dalla potestà perdeva soltanto l‟usufrutto legale sui beni del figlio minore (art. 465 c.c.), si prevede, oggi, che il genitore perda anche il diritto di acquistare mortis causa i beni medesimi. Sul punto, X. XXXXXXXX, La nuova causa di indegnità a succedere, in Notar., 2005, p. 679 ss.; X. XXXXXXXX, Modificato l’art. 463 c.c.: introdotta una nuova causa di indegnità, in Studium Iuris, 2005, II, p. 1150 ss.
(210) Relativamente all‟ipotesi di indegnità contemplata dall‟art. 609 nonies, n. 3, c.p., si leggano le considerazioni svolte e la bibliografia citata da X. XXXXXX, L’indegnità a succedere, cit., p. 972 ss.
(211) L‟interprete non può, in via analogica, prevedere casi di indegnità a succedere diversi rispetto a quelli espressamente contemplati dalla legge. Ad esempio, non sarebbe un‟ipotesi di indegnità a succedere l‟esclusione del coniuge superstite, al quale fosse stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato (art. 585, comma 2, c.c.). Sul punto, v. X. XXXXX, Successioni in generale, cit., p. 172; A. NATALE, L’indegnità a succedere, cit., p. 938, nota n. 6.
(212) Nell‟art. 727 del c.c. del 1865 si leggeva: “Chi fu escluso, come indegno ecc …”
(213) L‟art. 725 del c.c. del 1865 recitava: “Sono incapaci, come indegni, di succedere ecc …”
si può notare, non vi era certezza sulla qualificazione giuridica da attribuire all‟istituto de quo.
Nel sistema giuridico vigente, i dati legislativi non consentono di pervenire a una soluzione certa e, in dottrina, si contendono il campo due tesi contrapposte (214).
Secondo un orientamento minoritario (215), l‟indegnità sarebbe una forma di incapacità a succedere, ossia un impedimento alla delazione che, in quanto tale, opererebbe ipso iure fin dal momento dell‟apertura della successione (216). La sanzione scatterebbe a seguito della semplice commissione di uno degli atti contemplati dall‟art. 463 c.c., associata all‟assenza di un atto di riabilitazione.
A sostegno della tesi in esame, sono state addotte sia argomentazioni letterali che argomentazioni di tipo sistematico. Si è osservato, in primo luogo, che lo stesso legislatore non dice che l‟indegno “può essere escluso dalla successione”, ma stabilisce che egli “è escluso” (art. 463 c.c.), facendo così pensare a un effetto legale connesso al compimento di fatti che integrano l‟indegnità. La rimozione dall‟eredità, pertanto, non sarebbe subordinata a una scelta discrezionale degli interessati, ma sarebbe fondata sulla stessa volontà del legislatore.
La legge precisa, altresì, che l‟indegno “è ammesso a succedere” attraverso un atto di riabilitazione (art. 466, comma 1, c.c.). Da ciò si argomenta, a contrario, che il soggetto non riabilitato dal de cuius sarebbe incapace a succedere.
A ciò si aggiunga che l‟art. 2662 c.c., che disciplina la trascrizione degli acquisti mortis causa in luogo di altri chiamati, dopo aver parlato dell‟acquisto, che si ricolleghi alla morte o alla rinunzia di uno dei chiamati, fa riferimento, nel secondo comma, all‟acquisto che dipenda da “altra ragione che impedisce ad alcuno dei chiamati di succedere”. In questa espressione rientrerebbe anche
(214) Sul punto, v. X. XXXXXXX, Natura giuridica dell’indegnità a succedere, cit., c. 843 ss.
(215) Cfr. X. XXXXXXX, Natura giuridica dell’indegnità a succedere, cit., c. 843 ss.; C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia – Le successioni, cit., p. 550; X. XXXX, Successioni per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità, cit., p. 80; X. XXXXX, Successioni in generale, cit., p. 159 ss.
(216) Relativamente alla capacità di succedere, v. X. XXXXXXXX XX., voce: “Capacità di ricevere per testamento”, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 64 ss.; ID., voce: “Capacità di succedere a causa di morte”, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 54 ss.
l‟indegnità, descritta, appunto, come una causa di incapacità a succedere, ossia come un fatto impeditivo della delazione.
Infine, il fatto che l‟indegno sia obbligato a restituire i frutti a lui pervenuti dal momento dell‟apertura della successione e non dal momento della proposizione della domanda giudiziale (art. 464 c.c.) proverebbe che egli è incapace ab origine.
Se si accogliesse la tesi dell‟incapacità a succedere, si produrrebbero alcune importanti conseguenze sul piano pratico: l‟indegnità opererebbe automaticamente, la relativa azione sarebbe imprescrittibile e avrebbe natura di mero accertamento, la sentenza sarebbe di tipo dichiarativo (217).
Al fine di confutare tale tesi, si mettono in luce alcune differenze concettuali tra l‟indegnità e l‟incapacità a succedere. A differenza dell‟indegnità, che opera solo nei confronti di un determinato chiamato, il quale si sia reso colpevole di atti riprovevoli verso un determinato de cuius, l‟incapacità ha carattere generale e impedisce la delazione relativamente alla successione di qualunque defunto. Inoltre, mentre l‟indegnità ammette la riabilitazione, non altrettanto può dirsi per l‟incapacità, i cui effetti non possono venir meno (218).
Si segnala anche un orientamento intermedio, che propone una soluzione di compromesso: mentre sarebbe indispensabile un accertamento giurisdizionale della causa che determina l‟indegnità, l‟esclusione dalla successione, una volta intervenuto l‟accertamento indicato, opererebbe ipso iure (219).
Prevale, in dottrina (220), la tesi secondo la quale l‟istituto di cui agli artt.
463 ss. c.c. costituirebbe un‟ipotesi di esclusione dalla successione: al momento della morte dell‟ereditando, si produrrebbe la delazione a favore dell‟indegno, ma gli effetti dell‟acquisto di costui verrebbero meno ex tunc, per effetto dell‟intervento del giudice. A sostegno di quest‟ultimo orientamento, si invocano sia il tenore letterale dell‟art. 463 c.c., che si riferisce a chi “è escluso
(217) Secondo X. XXXXX, Successioni in generale, cit., p. 164, l‟azione sarebbe quella di petizione di eredità.
(218) Sul punto, X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 125; X. XXXXXXX,
L’indegnità, cit., p. 116.
(219) In tal senso, X. XXXXXXXXXXX, Il problema dell’indegnità di succedere, cit., p. 5 ss.
(220) Cfr. X. XXXXXXXX, Le successioni e le donazioni, cit., p. 37; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 125; X. XXXXX, Falsità di testamento e indegnità a succedere, in Riv. giur. sarda, 1996, p. 67 ss.; ID, Indegnità a succedere, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, II, p. 928 ss.
dalla successione come indegno”, sia il principio romanistico, richiamato nella Relazione al codice civile vigente (221), secondo cui indignus potest capere sed non potest retinere (222).
A ciò si aggiunga che il legislatore ha scelto di disciplinare l‟indegnità in un capo autonomo rispetto a quello relativo alla capacità di succedere, così manifestando l‟intenzione di tenere distinte le due figure (223).
Se l‟indegnità fosse configurata come un‟ipotesi di esclusione dalla successione, il soggetto sospettato di essere indegno si troverebbe in una situazione analoga a quella dell‟erede istituito sotto condizione risolutiva: egli sarebbe immediatamente delato, con conseguente diritto di accettare l‟eredità e di esercitare i poteri di cui all‟art. 460 c.c. (224). Una volta accettata l‟eredità, egli potrebbe intentare tutte le azioni che competono all‟erede (azione di petizione dell‟eredità, azione di riduzione). Si produrrebbero, infine, alcune importanti conseguenze pratiche: l‟azione sarebbe soggetta all‟ordinario termine decennale di prescrizione e la sentenza di accoglimento avrebbe natura costitutiva.
Si può affermare, in armonia con quanto sostenuto da autorevole dottrina, che tanto l‟indegnità quanto la diseredazione costituiscono cause di “rimozione dall‟eredità”: esse comportano la perdita dei diritti successori nel caso in cui un soggetto, avendo tenuto una condotta offensiva verso il defunto, sia considerato
(221) Nella Relazione al libro delle successioni e donazioni, si legge quanto segue: “si è adottata, in proposito, una precisa risoluzione, consacrando la tesi fondata sulla tradizione romanistica che l’indegno potest capere sed non potest retinere poiché è sembrato opportuno rimettere all’iniziativa degli interessati l’attuazione della sanzione”.
(222) Contra X. XXXX, Successioni per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità, cit., p. 80, secondo il quale il principio romanistico, richiamato nei lavori preparatori del codice civile vigente, sarebbe stato invocato a sproposito. E‟ sì vero che, in diritto romano, l‟indegnità era causa di esclusione dall‟eredità, ma è altrettanto vero che essa aveva, in quel sistema giuridico, un significato che non ha nel diritto moderno. La sanzione dell‟indegnità, infatti, era costituita dalla devoluzione dei beni (bona erepticia) al Fisco. Ciò presupponeva, logicamente, che l‟indegno divenisse erede o legatario, ossia che fosse capace di succedere. E‟ per questo motivo che, come si diceva, “indignus potest capere, sed non potest retinere”. Con riferimento al nostro sistema giuridico, l‟Autore osserva che, se l‟indegno fosse capace di acquistare i beni e dovesse restituirli una volta pronunciata l‟indegnità, i beni medesimi dovrebbero essere devoluti ai successori dell‟indegno e non, come invece accade, ai chiamati in subordine del de cuius.
(223) Così X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 125.
(224) Si osservi che, tra l‟istituto dell‟indegnità e quello della istituzione di erede sottoposta a condizione risolutiva, vi è una fondamentale differenza relativamente alla disciplina della restituzione dei frutti: mentre l‟indegno deve restituire i frutti a lui pervenuti dopo l‟apertura della successione (art. 464 c.c.), l‟erede istituito sotto condizione risolutiva non deve restituire i frutti se non dal giorno in cui si è verificata la condizione (art. 646 c.c.). L‟osservazione è di X. XXXX, Successioni per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità, cit., p. 81.
non meritevole di succedere (225). Esistono, tuttavia, alcune significative differenze tra l‟istituto dell‟indegnità e quello della diseredazione (226).
In primis, mentre la prima figura trova espressa disciplina nel codice civile vigente (artt. 463 ss. c.c.), la seconda è frutto di elaborazione dottrinale ed è oggetto di vivaci contrasti sia tra gli studiosi del diritto che in giurisprudenza.
Si osservi, in secondo luogo, che i due istituti mirano a tutelare interessi di tipo diverso: l‟indegnità è posta a presidio di un interesse pubblico, ripugnando alla coscienza sociale che taluno possa succedere a un soggetto, pur avendo compiuto atti biasimevoli nei suoi confronti; la diseredazione, invece, tutela l‟interesse privatistico del testatore a escludere dalla propria successione un erede ab intestato (purché non legittimario), a lui non gradito.
Le due fattispecie si differenziano anche sotto un altro profilo: mentre l‟indegnità consiste in una sanzione stabilita dalla legge, le cui cause sono tassativamente elencate, la diseredazione, invece, trova la propria fonte nella volontà testamentaria e può essere disposta per i motivi più vari.
Inoltre, si consideri che, a differenza della diseredazione, la quale, nel vigente sistema giuridico, non può riguardare i successori necessari (227), l‟istituto di cui agli artt. 463 ss. c.c. priva l‟indegno di tutti i suoi diritti mortis causa, compresi quelli a lui spettanti nella veste di legittimario.
Parte della dottrina ipotizza, infine, un‟ulteriore differenza: il meccanismo della rappresentazione (artt. 467 ss. c.c.), ammesso con certezza nel caso dell‟indegnità (228), non opererebbe per la diseredazione.
(225) In tal senso, X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 123.
(226) Per le differenze tra la diseredazione e l‟indegnità, v. X. XXXXXXXX, Diseredazione ed esclusione di eredi, cit., p. 1188 ; X. XXXXXXXX, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 221 ss.; X. XXXXXXXXXXX, voce: “Successioni (diritto civile): parte generale”, cit., p. 755.
(227) In merito al significato del termine “diseredazione” e all‟ambito soggettivo di applicazione dell‟istituto, si rinvia a quanto già esposto nel paragrafo n. 1 di questo capitolo.
(228) Per quanto concerne l‟indegnità a succedere, occorre ricordare che, con la pronuncia della relativa sentenza, si verifica una situazione analoga a quella di colui che non può accettare l‟eredità.
Pertanto, opereranno, nell‟ordine, i meccanismi della sostituzione, della rappresentazione e dell‟accrescimento. In mancanza, l‟eredità sarà devoluta agli eredi legittimi del de cuius.È discusso se sia richiesta un‟accettazione da parte dei chiamati ulteriori. Secondo una prima tesi, la risposta sarebbe negativa, in quanto la proposizione dell‟azione diretta a far valere l‟indegnità configurerebbe un‟ipotesi di accettazione tacita ex art. 476 c.c. In base a un diverso orientamento, ipotizzare un‟accettazione tacita sarebbe pericoloso poiché significherebbe negare ai chiamati in subordine la possibilità di rinunziare o di accettare l‟eredità con beneficio d‟inventario.
Sulla successione per rappresentazione dei discendenti dell‟indegno, v. E. XXXXXXX,
L’indegnità, cit., p. 114 ss.
Come meglio si vedrà nel prosieguo della trattazione, infatti, è fortemente discusso se i discendenti dell‟escluso possano subentrare nel luogo e nel grado dell‟ascendente diseredato (229).
(229) La questione, relativa all‟operatività della rappresentazione in caso di diseredazione, sarà analizzata, in modo più approfondito, nel paragrafo n. 5 del capitolo III.
CAPITOLO III
Argomenti contro e argomenti a favore della clausola di “diseredazione”
SOMMARIO: 1. L’inammissibilità di un testamento contenente solo la clausola di “diseredazione” di un successore ab intestato – 2. Validità della disposizione che impedisce la vocazione ex lege dell’escluso – 3. Tesi che subordina la validità della clausola di “diseredazione” alla possibilità di ricavare, in via ermeneutica, un’istituzione implicita a favore dei successibili ex lege non esclusi – 4. Problemi interpretativi relativi alla clausola di “diseredazione” e disciplina applicabile – 5. La questione dell’operatività della rappresentazione a favore dei discendenti dell’escluso.
Paragrafo 1
L’inammissibilità di un testamento contenente solo la clausola di “diseredazione” di un successore ab intestato
Dottrina e giurisprudenza sono state chiamate a pronunciarsi sulla validità di un testamento contenente esclusivamente la clausola di diseredazione. La questione, affrontata in questo capitolo, verte sull‟esclusione di un successore ab intestato, che non sia un legittimario. Esula dai confini della presente trattazione, per il momento, l‟ulteriore problematica, relativa alle conseguenze giuridiche di una disposizione testamentaria, la quale privi un
successore necessario dalla quota di riserva (230).
Occorre domandarsi se il testatore, senza contestuale positiva attribuzione dei propri beni, possa escludere dalla successione uno o più soggetti, i quali vi sarebbero chiamati in base alle regole della successione legittima. Più precisamente, il problema è quello di stabilire se l‟autonomia testamentaria possa manifestarsi, oltre che con disposizioni positive (es.: istituisco erede Xxxxx), anche con disposizioni negative del seguente tenore: “escludo dalla successione mio fratello Xxxx”; “diseredo il mio parente Xxxx”; “non voglio che Xxxx riceva nulla dalla mia eredità”, “escludo Xxxxx, mio legittimario, dalla
(230) Tra i numerosi contributi dottrinali in materia di diseredazione, si annoverano i seguenti: X. XXXXXXXX, Diseredazione ed esclusione di eredi, cit., p. 1182 ss.; F. M. BANDIERA, Sulla validità della diseredazione, cit., p. 402 ss.; X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, cit., p. 254 ss.; X. XXXXXXXXXX, La c.d. xxxxxxxx di diseredazione, in Notar., 1995, p. 14 ss.; X. XXXXXXX, Brevi cenni su un’ipotesi di diseredazione anomala implicita, in Giur. it., 2000, c. 1801 ss.; X. XXXXXXX, Brevi note sulla diseredazione, in Giur. it., 2001, c. 70 ss.; C.
M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia – Le successioni, cit., p. 739 ss.; X. XXXXXXXXX XXXX, Delle successioni testamentarie, cit., p. 95 ss.; ID, Il testamento, cit., p. 136 ss.; ID, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 274 ss.; X. XXX, La diseredazione, cit., p. 1 ss.; X. XXXXXXXX, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 221 ss.; ID, Nozioni di diritto ereditario, cit., p. 98; X. XXXXXXXXX, Clausola di diseredazione e testamento, in Vita not., 2001, I, p. 694 ss.; X. XXXX, Diseredazione e rappresentazione, cit., p. 385 ss.; M. COMPORTI, Riflessioni in tema di autonomia testamentaria, tutela dei legittimari, indegnità a succedere e diseredazione, cit., p. 27 ss.; X. XXXXXX, Funzione del testamento e riconducibilità della disposizione di esclusione del successibile ex lege (non legittimario) all’assegno divisionale semplice c.d. indiretto, cit., p. 27 ss.; ID, La c.d. diseredazione: riflessioni sulla disposizione testamentaria di esclusione, cit., p. 505 ss.; X. XXXXXXX, Appunti sulla diseredazione, cit., p. 1093 ss.; X. XX XXXXX, nota a Cass., 23 novembre 1982, n. 6339, in Foro. it., 1983, I, 2, c. 1652 ss.; X. XXXXX, L’esclusione testamentaria di eredi, cit., p. 228 ss.; ID, Se debba riconoscersi efficacia a una volontà testamentaria di diseredazione, cit., c. 47 ss.; X. XXXXXXX, E’ forse ammessa la diseredazione occulta dei legittimari?, in Giust. civ., 1993, I, p. 2522 ss.; X. XXXXXX, Validità del testamento di contenuto meramente diseredativo, in Familia, 2001, p. 1210 ss.; X. XXXX, Manuale di tecnica testamentaria, cit., p. 27 ss.; A. C. JEMOLO, La diseredazione, in Riv. dir. civ., 1965, II, p. 504 ss.; S. T. XXXXXXX, Non è ammessa la diseredazione occulta dei legittimari: brevi cenni sull’usucapione a domino, in Giur. it., 1995, I, 1, c. 917 ss.; X. XXXXXXX, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 22 ss.; X. XXXXXXXX, In margine alla clausola di diseredazione: la tematica della c.d. volontà meramente negativa, cit., p. 744 ss.; X. XXXXXXX DI XXXXXXXX, Xxxxxxxx di diseredazione e autonomia negoziale del disponente, in Giur. merito, 2001, II, p. 938 ss.; X. XXXXXXX, Le disposizioni testamentarie. La diseredazione, in Tratt. dir. succ. e donaz. diretto da
X. XXXXXXXX, Volume II: la successione testamentaria, Milano, 2009, p. 263 ss.; X. XXXXXX, Volontà testamentaria e diseredazione, in Riv. notar., 1957, p. 109 ss.; D. ONANO, Diseredazione: istituzione implicita anche nel caso di dubbio sulla effettiva esistenza della volontà istitutiva, in Riv. giur. sarda, 1995, p. 586 ss.; X. XXXXX, Le disposizioni testamentarie negative, cit., c. 301 ss.; X. XXXXXXXX, La clausola di diseredazione, cit., p. 913 ss.; A. PINNA VISTOSO, Diseredazione, istituzione implicita e riabilitazione del diseredato: un nuovo caso giurisprudenziale sulla volontà testamentaria di esclusione, in Riv. giur. sarda, 1998, p. 6 ss.; X. XXXXXXXX, Autonomia testamentaria ed esclusione di eredi, in Notar., 2002, p. 49 ss.; X. XXXXXXXX, Recensione a X. XXX, cit., p. 95 ss.; X. XXXXX, La diseredazione, cit., p. 1 ss.; C. SAGGIO, Diseredazione e rappresentazione, cit., p. 1788 ss.; X. XXXXXXXX, voce: “Diseredazione, c) diritto vigente”, cit., p. 102 ss.; X. XXXXXXXXX, Esclusione testamentaria degli eredi e diritto di rappresentazione, cit., c. 749 ss.; ID, L’autonomia testamentaria e le disposizioni negative, cit., p. 39 ss.
porzione disponibile” (231). Come si vedrà, la problematica in esame coinvolge alcuni temi centrali della disciplina delle successioni mortis causa quali il contenuto del testamento, l‟autonomia testamentaria e i limiti alla stessa.
Secondo parte della dottrina (232) e della giurisprudenza (233), la diseredazione non sarebbe ammissibile poiché comporterebbe una modificazione delle norme della successione legittima, modificazione che, stante il superiore interesse della famiglia, a tutela del quale le norme medesime sono poste, non sarebbe consentita all‟autonomia privata (234). L‟orientamento in esame si fonda su una peculiare lettura dell‟art. 457, comma 2, c.c., che sembrerebbe indicare la disciplina successoria legale come la regola e quella testamentaria come l‟eccezione (235). La successione ab intestato perseguirebbe sempre e istituzionalmente un fine di interesse superiore, ragion per cui le norme che la disciplinano non avrebbero carattere meramente suppletivo, bensì dispositivo: sarebbero norme ispirate a fini di utilità generale, derogabili dalla volontà dei privati per soddisfare particolari esigenze (236). Qualunque modifica del regolamento legale di successione sarebbe subordinata all‟esistenza di un valido testamento, contenente disposizioni attributive: soltanto disponendo dei propri beni il testatore potrebbe pervenire a un risultato diverso o contrario rispetto a quello previsto dalla successione ab intestato. In conclusione, un atto di ultima volontà, il quale contenesse
(231) Per quanto concerne l‟ultima formula utilizzata, relativa all‟esclusione di un successore necessario dalla quota disponibile, si osservi che il testatore può ottenere il medesimo risultato mediante un‟istituzione di erede nella sola quota di riserva o attraverso un legato in sostituzione di legittima ex art. 551 c.c.
(232) Sul punto, X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 134; X. XXXX, Diseredazione e rappresentazione, cit., p. 385 ss.; X. XXXXX, L’esclusione testamentaria di eredi, cit., p. 228 ss.; ID, Se debba riconoscersi efficacia a una volontà testamentaria di diseredazione, cit., c. 47 ss. e, soprattutto, c. 52; X. XXXXXXX, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 23; X. XXXXXXXX, In margine alla clausola di diseredazione: la tematica della c.d. volontà meramente negativa, cit., p. 744 ss.; X. XXXXXXXX, voce: “Diseredazione, c) diritto vigente”, cit., p. 102 ss. Cfr. anche X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, Vocazione legale e vocazione testamentaria, cit., p. 200, il quale, tuttavia, nella nota n. 27, ammette l‟efficacia della clausola di diseredazione facendo ricorso alla formula dell‟istituzione implicita.
(233) Cfr., per tutte, Cass., 20 giugno 1967, n. 1458, cit.
(234) Per un esame della successione ab intestato e del suo fondamento, si rinvia alla bibliografia citata nel capitolo I, paragrafo n. 1, nota n. 17.
(235) La tesi de qua si basa sulla presunta prevalenza della successione ab intestato su quella testamentaria: l‟interesse del gruppo familiare sarebbe preminente rispetto alle esigenze di carattere individuale sottese al regolamento testamentario.
(236) Cfr. X. XXXXXXX, Le successioni per causa di morte, cit., p. 52 ss.; X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, Vocazione legale e vocazione testamentaria, cit., p. 199.
esclusivamente la clausola di diseredazione di un potenziale erede legittimo, sarebbe invalido.
Da più parti si è sostenuto, altresì, che considerare valida la clausola di diseredazione significherebbe ammettere che la volontà dei privati possa essere fonte di un‟ipotesi di indegnità, ulteriore rispetto a quelle tassativamente previste dalla legge. Se si considera la gravità degli effetti giuridici che il legislatore riconnette all‟istituto disciplinato dagli artt. 463 ss. c.c., risulta evidente come non sia ammissibile un‟estensione delle cause di indegnità ad opera dei privati (237).
L‟invalidità di un testamento contenente soltanto la diseredazione di un successibile ex lege è stata affermata anche sulla base di considerazioni riguardanti il contenuto dell‟atto di ultima volontà. L‟individuazione delle disposizioni patrimoniali suscettibili di essere validamente contenute in una scheda testamentaria deve essere condotta in base ai principi di cui agli artt.
587 e 588 c.c. La nozione di testamento sembra escludere che il contenuto della scheda possa esaurirsi in una clausola di esclusione dalla successione. Il legislatore, infatti, descrive il negozio mortis causa come l‟atto con cui taluno “dispone”, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte o parte delle proprie sostanze (art. 587, comma 1, c.c.).
Il termine “disposizione”, secondo i fautori della tesi dell‟inammissibilità della diseredazione, dovrebbe essere interpretato restrittivamente, nel senso di atto di attribuzione patrimoniale a favore di un soggetto determinato. Ciò troverebbe conferma nell‟art. 588, comma 1, c.c., il quale individua l‟istituzione di erede e il legato come disposizioni mortis causa, idonee a realizzare un‟attribuzione patrimoniale (238). La diseredazione, non implicando una positiva attribuzione di beni, non sarebbe riconducibile alle suddette figure tipiche e, conseguentemente, non potrebbe esaurire il contenuto del
(237) Secondo X. XXXXX, L’esclusione testamentaria di eredi, cit., p. 241 e 242, consentire al testatore di diseredare un successibile ab intestato significherebbe riconoscere arbitrariamente ai privati “la possibilità di creare nuovi casi di indegnità all’infuori di quelli tassativamente previsti dalla legge”.
(238) Cfr. X. XXXXXXX, Autonomia privata nei contratti e negli altri atti giuridici, cit., p. 272, secondo il quale i privati, al fine di regolare post mortem la sorte dei propri rapporti giuridici, non soltanto potrebbero utilizzare un unico atto, il testamento, ma dovrebbero ricorrere esclusivamente, per determinare il contenuto del medesimo, ai due schemi dell‟istituzione di erede e del legato. Nello stesso senso, X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 317 e 326.
testamento. Per non inficiare la validità dell‟atto di ultima volontà, la clausola in esame dovrebbe necessariamente ricollegarsi a un contenuto positivo dell‟atto medesimo (239).
Riallacciandosi al dogma della preminenza della successione legittima, i fautori della tesi in esame affermano che soltanto vere e proprie disposizioni testamentarie potrebbero modificare le regole della successione ab intestato. In altri termini, il potere del testatore di modificare il regolamento legale di successione potrebbe essere esercitato soltanto attraverso le disposizioni che, a norma dell‟art. 588, comma 1, c.c., possono considerarsi testamentarie: la diseredazione, stante il suo contenuto meramente negativo, non rientrerebbe tra quelle disposizioni.
Se si esclude la natura di disposizione patrimoniale della diseredazione, resta da chiedersi se la clausola de qua possa essere inquadrata tra le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento (art. 587, comma 2, c.c.). La dottrina ha concluso che la clausola di esclusione dalla successione, non essendo prevista da alcuna disposizione legislativa, non potrebbe rientrare neppure in questa categoria. Per ritenerla ammissibile, sarebbe necessario tornare al punto di partenza, ossia considerarla una disposizione tipica del testamento ex art. 587, comma 1, c.c., strada, questa, non percorribile per le ragioni già esposte (240). In conclusione, la clausola di diseredazione sarebbe invalida sia nel caso in cui si attribuisse ad essa carattere patrimoniale sia nel caso inverso (241).
La questione della validità della diseredazione si intreccia con la tematica dell‟autonomia testamentaria e dei limiti ad essa posti. Occorre stabilire se il potere del testatore di regolare post mortem i propri interessi possa spingersi fino al punto di stabilire che la persona indicata non benefici in alcun caso dei suoi beni. Al riguardo, numerosi Autori e alcune pronunce della Cassazione hanno dato al quesito risposta negativa: nonostante l‟ampia libertà
(239) In tal senso Cass., 20 giugno 1967, n. 1458, cit.
(240) Così C. SAGGIO, Diseredazione e rappresentazione, cit., p. 1792 e 1793.
(241) Nella prima ipotesi, l‟inammissibilità della diseredazione deriverebbe dal riconoscimento del carattere esclusivamente attributivo del testamento nonché dalla configurabilità dell‟istituzione di erede e del legato quali uniche disposizioni patrimoniali che esauriscono il contenuto “tipico” dell‟atto di ultima volontà. Nella seconda ipotesi, invece, l‟invalidità della clausola scaturirebbe dalla necessaria tipicità delle disposizioni ex art. 587, comma 2, c.c., ossia dall‟impossibilità di inserire, in una scheda testamentaria, disposizioni non patrimoniali non espressamente contemplate dalla legge.
riconosciuta al testatore, sarebbe inammissibile una disposizione di carattere negativo, che esaurisse l‟intero contenuto del testamento (242).
Si osserva, altresì, che la clausola di diseredazione non soddisferebbe interessi meritevoli di tutela poiché risulterebbe ispirata, nella normalità dei casi, da sentimenti di odio, vendetta o livore (243).
Infine, a sostegno della tesi negativa, può essere invocata un‟ulteriore e non meno decisiva argomentazione, fondata su ragioni di carattere storico. Nel corso dei secoli, a partire dalla Novella 115 di Giustiniano, la diseredazione, ove prevista, è sempre stata circoscritta a cause gravi, tassativamente indicate dal legislatore. Oggi, invece, stante il silenzio della legge, se si riconoscesse validità a tale istituto, si attribuirebbe al testatore il potere di disporre l‟esclusione dalla successione senza limite alcuno e, quindi, anche per i motivi più futili e capricciosi (244).
A conclusione del discorso, è opportuno soffermarsi sulle tecniche redazionali consigliate a chi voglia ottenere il risultato di escludere dalla propria successione un potenziale erede ab intestato. Se si accoglie la tesi dell‟invalidità della clausola di diseredazione, l‟unica strada percorribile è quella della preterizione, ossia quella di disporre dell‟intero patrimonio attraverso una o più istituzioni di erede e di prevedere, altresì, sostituzioni a catena per il caso in cui l‟erede o gli eredi istituiti non possano o non vogliano accettare l‟eredità. L‟ultima delle sostituzioni dovrà, preferibilmente, essere disposta a favore di un ente pubblico, in modo da ridurre al minimo il rischio di apertura della successione legittima (245).
(242) Giova ribadire che, secondo i fautori dell‟orientamento in esame, la volontà di escludere dalla successione un potenziale erede legittimo sarebbe ammissibile soltanto se accompagnata da disposizioni di tipo attributivo. Resta ferma, naturalmente, la possibilità di ricorrere allo strumento della pretermissione, ossia la possibilità di effettuare disposizioni attributive, le quali esauriscano in tutto o in parte il patrimonio ereditario, realizzando, così, un‟esclusione indiretta dei successibili non menzionati.
(243) C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia – Le successioni, cit., p. 740, afferma che la nullità della clausola in esame discenderebbe dalla mancanza di meritevolezza della causa che la sorregge. Cfr. anche X. XXXXX, L’esclusione testamentaria di eredi, cit., p. 249, il quale, in termini ancora più drastici, descrive la diseredazione come una “ferita morale”, che comporta “un grave disonore per il diseredato”.
(244) Così X. XXXX, Diseredazione e rappresentazione, cit., p. 385 e X. XXXXX, L’esclusione testamentaria di eredi, cit., p. 232 ss.
(245) Sul punto, X. XXXX, Manuale di tecnica testamentaria, cit., p. 31.
Paragrafo 2
Validità della disposizione che impedisce la vocazione ex lege dell’escluso
Secondo un diverso orientamento, sostenuto da numerosi Autori (246) e da parte della giurisprudenza, soprattutto di merito (247), una scheda testamentaria priva di disposizioni attributive e contenente esclusivamente una clausola di diseredazione sarebbe valida. A favore di questa tesi, che appare preferibile, sono state invocate varie argomentazioni, tutte particolarmente significative (248).
Nel precedente paragrafo è stata illustrata l‟argomentazione, secondo la quale la diseredazione non sarebbe ammissibile poiché implicherebbe una modificazione (non consentita) del regolamento legale di successione. Questa tesi presuppone che il problema del rapporto tra la successione ab intestato e quella testamentaria sia risolto nel senso di una chiara prevalenza della prima sulla seconda. Ciò, tuttavia, si pone in aperto contrasto con il dettato normativo, ai sensi del quale non si fa luogo alla successione legittima se non quando manchi, in tutto o in parte, quella testamentaria (art. 457, comma 2, c.c.). Il favor per la successione testamentaria e la conseguente propensione a conservare il più possibile l‟efficacia dell‟atto di ultima volontà emergono da numerose norme del codice civile, quali la conferma delle disposizioni testamentarie nulle (art. 590 c.c.), la cosiddetta regola sabiniana, in forza della quale la condizione illecita o impossibile vitiatur sed non vitiat (art. 634 c.c.), la
(246) In tal senso, X. XXXXXXXX, Diseredazione ed esclusione di eredi, cit., p. 1182 ss.; F.
M. BANDIERA, Sulla validità della diseredazione, cit., p. 408; C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia – Le successioni, cit., p. 739; X. XXXXXXXXX XXXX, Delle successioni testamentarie, cit.,
p. 95 ss.; ID, Il testamento, cit., p. 136 ss.; ID, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 274 ss.; M. BIN, La diseredazione, cit., p. 1 ss.; X. XXXXXX, Funzione del testamento e riconducibilità della disposizione di esclusione del successibile ex lege (non legittimario) all’assegno divisionale semplice c.d. indiretto, cit., p. 27 ss.; ID, La c.d. diseredazione: riflessioni sulla disposizione testamentaria di esclusione, cit., p. 505 ss.; X. XXXXXXXX, Recensione a X. XXX, La diseredazione – Contributo allo studio del contenuto del testamento, cit., p. 95 ss.; C. SAGGIO, Diseredazione e rappresentazione, cit., p. 1788 ss.; X. XXXXXXXXX, Esclusione testamentaria degli eredi e diritto di rappresentazione, cit., c. 749 ss.; ID, L’autonomia testamentaria e le disposizioni negative, cit., p. 39 ss.
(247) Xxx. Xxxx. Xxxxx, 0 maggio 1977, n. 227, cit.; Trib. Nuoro, 15 settembre 1989, n. 359, cit.; Trib. Catania, 21 febbraio 2000, cit.; Trib. Catania, 28 marzo 2000, cit.; App. Firenze, 9 settembre 1954, cit.; App. Napoli, 21 maggio 1961, cit.; App. Genova, 16 giugno 2000, cit. Contra, invece, Trib. X. Xxxxx Xxxxx Vetere, 25 maggio 1960, cit.
(248) Interessante è il contributo di X. XXX, op. ult. cit., p. 1 ss., in cui l‟Autore rivede pazientemente tutti i dogmi sui quali si fonda la teoria dell‟invalidità della diseredazione.
regola in base alla quale l‟onere impossibile o illecito si considera non apposto (art. 647, comma 3, c.c.) (249).
Autorevole dottrina afferma che, nel rapporto tra la successione testamentaria e quella legittima, la prima prevarrebbe sulla seconda. Le norme della successione ab intestato, in base a questa impostazione, avrebbero carattere meramente suppletivo: esse sarebbero destinate a sopperire a un‟eventuale mancanza di dichiarazione del privato (250). Stabilendo che le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari (art. 457, comma 3, c.c.), il legislatore sembrerebbe aver individuato, nella tutela dei successori necessari, l‟unico limite all‟autonomia testamentaria. Entro questo limite, pertanto, il de cuius potrebbe sempre derogare alle norme della successione ex lege, esprimendo una valida volontà testamentaria, tanto di contenuto positivo quanto di contenuto negativo (251).
Secondo altri Autori, il preteso contrasto tra il superiore interesse della famiglia, che sarebbe alla base della successione legittima, e gli interessi individuali legati al regolamento testamentario sarebbe più apparente che reale. In altri termini, non sarebbe possibile ragionare in termini di prevalenza di una piuttosto che dell‟altra forma di successione: entrambe sarebbero previste a tutela dell‟interesse individuale dell‟ereditando (252). La clausola di diseredazione, pertanto, non detterebbe disposizioni alternative a quelle della successione ab intestato e la sua funzione sarebbe quella, insieme alle
(249) In passato, un‟ulteriore argomentazione era costituita dalla fissazione della capacità di testare al compimento del diciottesimo anno di età (art. 591, comma 2, n. 1, c.c.), in deroga alla regola generale, in forza della quale la capacità di agire si acquistava al raggiungimento del ventunesimo anno. Si osservi che, oggi, a seguito della modifica dell‟art. 2 c.c., le due forme di capacità vengono a coincidere.
(250) X. XXXXXXX, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 6, spiega che le norme sulla successione legittima hanno carattere suppletivo, in quanto presuppongono l‟assenza di un negozio testamentario; dal punto di vista dei poteri riconosciuti all‟autonomia privata, invece, essere si qualificano come dispositive, essendo suscettibili di essere derogate.
(251) Per il superamento del dogma della preminenza della successione legittima, v. X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 17 ss.; X. XXX, op. ult. cit., p. 88 ss.; X. XXXXXXXX, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, cit., p. 487 ss.; X. XXXXX, Successioni in generale, cit., p. 79 ss.
(252) Cfr. X. XXXXXXXXX XXXX, Delle successioni testamentarie, cit., p. 13. Secondo X. XXXXXXXX, Diseredazione ed esclusione di eredi, cit., p. 1195, la finalità della successione ab intestato sarebbe quella di assicurare l‟esistenza di un continuatore della personalità del defunto e, quindi, l‟esistenza di un erede.
disposizioni che regolano la successione legittima, di determinare le designazioni che, in concreto, regolano il fenomeno successorio (253).
Si osservi, infine, che quello di “famiglia” è un concetto storicamente relativo, percepito dalla coscienza comune in modo differente a seconda delle epoche storiche e condizionato dalle variabili economiche, sociali e politiche di un dato ambiente sociale. E‟ a tutti evidente come, a seguito delle profonde trasformazioni che hanno caratterizzato gli ultimi due secoli, la vecchia famiglia patriarcale sia stata sostituita da un nucleo familiare più ristretto, composto, essenzialmente, da genitori e figli (254).
E‟ facilmente confutabile anche l‟argomentazione, secondo la quale la clausola di esclusione dalla successione sarebbe invalida, in quanto attribuirebbe al testatore il potere di creare nuove ipotesi di indegnità all‟infuori di quelle previste dalla legge. Tale argomentazione è viziata da un improprio accostamento tra gli istituti dell‟indegnità e della diseredazione, i quali, seppure producano entrambi la perdita dei diritti successori, si differenziano sotto molteplici aspetti (255).
L‟asserita ammissibilità della clausola di diseredazione si basa sulla possibilità di ricomprendere la disposizione de qua nel contenuto del testamento, così come normativamente previsto. Occorre, a questo punto, chiarire se la diseredazione abbia contenuto patrimoniale o meno. Come si è già precisato all‟inizio del presente lavoro (256), risponde a un‟esigenza sentita nella prassi che, attraverso il testamento, il suo autore regoli non soltanto interessi patrimoniali (cosiddetto contenuto patrimoniale del testamento) (art. 587, comma 1, c.c.), ma anche interessi non economici (cosiddetto contenuto non patrimoniale del testamento) (art. 587, comma 2, c.c.). In dottrina, si suole distinguere tra il testamento in senso sostanziale e il testamento in senso formale: il primo è il negozio giuridico, che contiene, essenzialmente, disposizioni attributive di beni (art. 587, comma 1, c.c.); il secondo è un atto avente la forma del testamento, ma contenente disposizioni non patrimoniali
(253) X. XXXXXXXX, Diseredazione ed esclusione di eredi, cit., p. 1194 ss., afferma che, con la diseredazione, si avrebbe un vero e proprio concorso tra la successione testamentaria e la successione legittima: la prima determinerebbe l‟esclusione di un successibile ex lege; la seconda regolerebbe, per tutto il resto, il fenomeno successorio.
(254) Sul punto, X. XXX, op. ult. cit., p. 101 ss.
(255) In proposito, si rinvia al paragrafo n. 4 del capitolo II.
(256) Al riguardo, si vedano le considerazioni svolte nel paragrafo n. 5 del capitolo I.
(art. 587, comma 2, c.c.) (257). Secondo altra dottrina, ai sensi dell‟art. 587 c.c., si profilerebbe la distinzione tra contenuto tipico e contenuto atipico del testamento (258): il primo comma della disposizione citata si riferirebbe al contenuto tipico, ossia alle disposizioni che regolano interessi economici dell‟ereditando; il secondo comma, invece, riguarderebbe il contenuto atipico, nel quale rientrerebbero le disposizioni di carattere non patrimoniale, le quali utilizzano il negozio testamentario come mero veicolo di emissione della volontà.
Per quanto concerne le disposizioni patrimoniali, il testatore può regolare post mortem i propri interessi economici in vari modi: può effettuare unicamente istituzioni di erede; può designare eredi e legatari; può, infine, limitarsi a disporre legati, con conseguente operatività delle regole della successione legittima per l‟individuazione del successore a titolo universale. Il testamento può contenere, altresì, disposizioni che, seppure patrimoniali, non si identifichino con l‟istituzione di erede e con il legato (259). Secondo autorevole dottrina, per le disposizioni testamentarie di tipo patrimoniale, non attributive della qualità di erede o di legatario, si dovrebbe osservare la regola generale, secondo la quale esse sarebbero ammissibili soltanto se previste anche come atti unilaterali negoziali inter vivos (260).
Le disposizioni patrimoniali, da un lato, e quelle non patrimoniali, dall‟altro, sono sottoposte a un diverso regime giuridico. Per le prime, infatti, la disciplina è contenuta nelle disposizioni del codice civile relative al testamento e al suo contenuto; per le seconde, invece, le norme che ne determinano la
(257) In tal senso, X. XXXXX, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Volume I, cit., p. 28. L‟Autore precisa che l‟atto avente la forma di un testamento può essere: o un testamento in senso materiale o sostanziale, qualora contenga disposizioni attributive di beni; o un testamento in senso puramente formale, qualora non contenga disposizioni aventi ad oggetto beni, ma soltanto disposizioni di altra natura, che la legge consente di effettuare anche nella forma testamentaria.
(258) Così X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 1 ss. e 219 ss. Sulla possibilità di confusione ingenerata dall‟espressione “contenuto atipico” e sull‟opportunità di utilizzare, al suo posto, la dizione “contenuto non patrimoniale, cfr. X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, cit., p. 474, nota n. 18.
(259) Per quanto riguarda le disposizioni patrimoniali (attributive e non) estranee alla summa divisio delineata dall‟art. 588, comma 1, c.c., si pensi, a titolo esemplificativo, alla disposizione di ricognizione del debito (art. 1988 c.c.), la quale esoneri il creditore dall‟onere di provare il titolo del suo diritto, così facilitandolo nell‟ottenimento, dagli eredi, di quanto a lui dovuto.
(260) In tal senso, C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia – Le successioni, cit., p. 736.
validità ed efficacia devono essere ricercate aliunde, fermo restando il rispetto delle prescrizioni di forma stabilite per l‟atto di ultima volontà.
Giova ricordare che la commissione parlamentare aveva aspramente criticato la formula dell‟art. 587 c.c., rea di aver attribuito alle disposizioni non patrimoniali una posizione sussidiaria rispetto a quelle di contenuto economico. La commissione riteneva, altresì, che vi fosse un contrasto tra il primo comma, che poneva come carattere essenziale del testamento il suo contenuto patrimoniale, e il secondo comma, che ammetteva la sussistenza di un testamento, pur in assenza di disposizioni suscettibili di valutazione economica (261). A ciò si è obiettato che, stante la funzione del negozio testamentario, le disposizioni patrimoniali costituirebbero la regola, mentre quelle non patrimoniali rappresenterebbero una “mera accidentalità” (262), giustificata dall‟esigenza di attribuire efficacia alle disposizioni non attributive di beni, anche in presenza di un atto di ultima volontà privo di contenuto economico. In altri termini, il secondo comma dell‟art. 587 c.c. non sarebbe in contrasto con quanto dettato dal primo comma, ma ne costituirebbe soltanto un‟attenuazione.
Ai sensi dell‟art. 587, comma 2, c.c., le disposizioni di carattere non patrimoniale devono essere contemplate dalla legge. E‟ discusso se l‟articolo in esame debba essere interpretato in senso letterale o se, invece, sia preferibile una lettura estensiva del medesimo. Alla tradizionale corrente di pensiero, secondo cui le disposizioni aventi contenuto non economico sarebbero ammissibili solo nei casi in cui il legislatore espressamente consenta che siano compiute in forma testamentaria (263), si contrappone un altro orientamento, secondo cui potrebbero essere incluse nel testamento anche disposizioni non patrimoniali che non siano esplicitamente contemplate dalla legge purché sia rispettata una delle forme testamentarie (264).
In altri termini, se si interpretasse l‟art. 587 c.c. in senso letterale, si dovrebbe riconoscere validità esclusivamente alle disposizioni non patrimoniali
(261) Sul punto, X. XXXXXXXX, Le successioni e le donazioni, cit., p. 375.
(262) Così X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 375.
(263) Così X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 376; X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, cit., p. 474.
(264) Cfr. X. XXXXXXXXX XXXX, Delle successioni testamentarie, cit., p. 82; X. XXXXXXX,
Successioni e donazioni, cit., p. 436; X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit.,
p. 11 ss.
previste dalla legge come contenuto di una clausola testamentaria. A titolo esemplificativo, si considerino disposizioni quali la costituzione della fondazione (art. 14, comma 2, c.c.), il riconoscimento del figlio naturale (artt. 254 e 256 c.c.), la dichiarazione della volontà di legittimare un figlio naturale (artt. 254, comma 2, e 285, comma 1, c.c.), la designazione del tutore o del protutore del minore (artt. 348, comma 1, e 355 c.c.), la designazione del curatore speciale per l‟amministrazione dei beni attribuiti, per testamento, a un minore (art. 356, comma 1, c.c.), la designazione, da parte del genitore superstite, dell‟amministratore di sostegno (art. 408, comma 1, c.c.), la riabilitazione dell‟indegno (art. 466, comma 1, c.c.), la revoca, per testamento, del beneficio del contratto a favore del terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante (art. 1412, comma 1, c.c.), la designazione del beneficiario del contratto di assicurazione sulla vita a favore di un terzo e la revoca della designazione medesima (artt. 1920, comma 2, e 1921, comma 1, c.c.), la confessione stragiudiziale (art. 2735, comma 1, c.c.) (265).
Qualora, invece, si interpretasse l‟articolo de quo in senso estensivo, sarebbero ammissibili anche disposizioni non patrimoniali, le quali non trovano, nella legge, una propria disciplina, che ne consenta l‟attuazione nella forma del testamento (266). A titolo esemplificativo, si considerino la revoca dell‟atto costitutivo della fondazione (art. 15, comma 1, c.c.), la dichiarazione con cui il genitore, che per ultimo ha esercitato la potestà, esclude una persona dall‟ufficio di tutore o di protutore del figlio minore (art. 350, n. 2, c.c.), le disposizioni sulla pubblicazione postuma delle opere dell‟ingegno (art. 24 Legge 22 aprile 1941, n. 633), quelle relative alla sorte della corrispondenza e degli scritti confidenziali del defunto (art. 93, comma 4, Legge 22 aprile 1941, n. 633) e, infine, quelle riguardanti l‟esposizione, la riproduzione o l‟immissione nel mercato del proprio ritratto (art. 96, comma 2, Legge 22 aprile 1941, n. 633). Pertanto, se si aderisse a quest‟ultimo orientamento, che appare
(265) Secondo i fautori dell‟orientamento in esame, un‟argomentazione decisiva sarebbe costituita dai lavori preparatori, durante i quali all‟originaria proposta della commissione reale (art. 140 del progetto preliminare del libro delle successioni), la quale prevedeva che fosse valido anche il testamento contenente soltanto disposizioni aventi “carattere giuridico”, fu sostituita, nel progetto ministeriale (art. 130), la formula che fu poi adottata nel codice civile.
(266) Così X. XXXXXXXX, Le disposizioni non patrimoniali. Introduzione, in Tratt. dir. succ. e donaz. diretto da X. XXXXXXXX, Volume II: la successione testamentaria, Milano, 2009, p. 965 ss.
preferibile, si dovrebbe concludere, nel silenzio della legge, nel senso della piena libertà di disporre post mortem anche di interessi non patrimoniali (267).
Per quanto concerne, più specificamente, la diseredazione, essa - se ammissibile - sarebbe una vera e propria disposizione testamentaria a carattere patrimoniale. Il testatore potrebbe disporre dell‟assetto del suo patrimonio, così modificando il regolamento legale della successione, non soltanto con atti positivi di attribuzione, ma anche con una disposizione di contenuto negativo.
L‟orientamento in esame si basa su un‟interpretazione più ampia del termine “dispone” di cui all‟art. 587, comma 1, c.c. Se si considera la definizione tecnica di “disposizione”, intesa come mutamento giuridico idoneo a incidere direttamente e in modo negativo sul patrimonio dell‟autore, è immediatamente evidente come essa mal si adatti al negozio testamentario (268). In quest‟ultimo atto, in primo luogo, manca un elemento essenziale dell‟atto di disposizione in senso tecnico, ossia la diminuzione patrimoniale per il disponente: il testamento produce effetti solo al momento della morte del suo autore. A ciò si aggiunga che, mentre il concetto di atto di disposizione è nato per indicare una categoria di negozi che si contrappone a quella dei negozi obbligatori, il negozio testamentario non ha soltanto la funzione di regolare post mortem la sorte dei rapporti del suo autore, ma produce anche effetti obbligatori, come confermato dalla previsione e dalla disciplina del modus (art. 647 ss. c.c.) (269).
(267) Secondo X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 436 e X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 12, il legislatore ha voluto risolvere soltanto un problema di forma, chiarendo che le disposizioni che regolano interessi non economici debbano, per essere valide, essere contenute in un atto avente la forma di testamento. Cfr. anche C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia – Le successioni, cit., p. 737, nota n. 26, secondo il quale la previsione normativa di disposizioni testamentarie non patrimoniali potrebbe anche risultare, indirettamente, dalla riconosciuta disponibilità di taluni interessi morali.
(268) Per il concetto di disposizione, v. X. XXXXXXX – X. XXXXXXXXX, voce “Disposizione,
I) Atto di disposizione”, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 189 ss; X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX,
Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 220.
(269) Come osserva X. XXX, op. ult. cit., p. 226, “definire come atto di disposizione in senso tecnico un negozio i cui effetti possono essere meramente obbligatori equivarrebbe a cadere in una stridente contraddizione in termini”.
Si osservi, peraltro, che il concetto di “disposizione testamentaria” non può essere identificato con quello di “attribuzione” (270), come confermato da alcune espressioni legislative. Si allude, in particolare, alla soppressione, nell‟attuale art. 587, comma 1, c.c., dell‟inciso “in favore di una o più persone”, con il quale si chiudeva il corrispondente art. 759 del Codice Civile del 1865, soppressione che sembrerebbe confermare l‟abbandono della tradizionale concezione attributiva del testamento (271). La conferma della validità di tale lettura si rinviene nel comma 2 del medesimo articolo, il quale, riferendosi alle “disposizioni di carattere non patrimoniale”, non allude ad atti di disposizione di diritti in senso tecnico, bensì a “regole” e “precetti” negoziali (272).
Si consideri, inoltre, che numerose norme del codice civile contemplano disposizioni testamentarie le quali, pur avendo contenuto patrimoniale, non comportano un‟attribuzione in senso tecnico e sono autonome rispetto alle figure tipiche dell‟istituzione di erede e del legato. Si pensi alla modifica dell‟ordine di riduzione delle disposizioni testamentarie mediante la preferenza accordata a una di esse (art. 558, comma 2, c.c.), al modus (art. 647 c.c.) (273), al divieto testamentario di divisione (art. 713, commi 2 e 3, c.c.), alle norme dettate dal testatore per la divisione (cosiddetto assegno divisionale semplice) (art. 733, comma 1, c.c.) (274), alla dispensa dalla collazione (art. 737 c.c.), alla disposizione con cui il testatore deroga al principio della ripartizione dei debiti tra i coeredi in proporzione alle rispettive quote (art. 752 c.c.), alla disposizione
(270) Sul concetto di attribuzione, v. X. XXXXXX‟, voce “Attribuzione patrimoniale”, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 283 ss.
(271) Cfr. X. XXX, op. ult. cit, p. 237. Anche X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 317, ammette che, con l‟eliminazione dell‟inciso in questione, “potrebbe apparire legittima la conclusione che tutte le disposizioni di carattere patrimoniale, qualunque ne sia la natura e il contenuto, come quelle che valgono appunto a dare fisionomia propria all’atto testamentario, rientrino nel concetto di testamento in senso sostanziale”.
(272) Così X. XXX, op. ult. cit, p. 241, il quale osserva come il binomio disposizioni patrimoniali – disposizioni non patrimoniali, contemplato nell‟art. 587 c.c., presenti caratteristiche omogenee, con la conseguenza che, in entrambi i campi, al termine “disposizione” dovrebbe essere attribuito il medesimo significato.
(273) Accanto alla teoria tradizionale dell‟onere come elemento accessorio e accidentale del negozio giuridico, si è sviluppata la tesi moderna del modus come negozio autonomo. Quest‟ultimo orientamento sarebbe confermato dalle previsioni legislative dalle quali risulta la cosiddetta ambulatorietà dell‟onere (artt. 676, comma 2, 677, commi 2 e 3, c.c.). Sul punto, X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 487 ss.; X. XXXXXXX, Il modus testamentario, Napoli, 1990, p. 1 ss.; X. XXXXXXXXXX, Il “modus” testamentario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, II, p. 889 ss.
(274) Numerosi interpreti, al fine di restare fedeli alla tradizionale concezione attributiva del testamento, hanno ricondotto la figura dell‟assegno divisionale semplice entro lo schema del legato obbligatorio. Altri, invece, hanno preferito ricorrere allo schema del modus. Sul punto, X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 758.
contraria alla costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia (art. 1062, comma 2, c.c.), alla possibilità, per il testatore, di escludere il trasferimento della ditta per i successori mortis causa dell‟azienda (art. 2565, comma 3, c.c.) (275).
Giova rammentare che i fautori della tesi dell‟inammissibilità della diseredazione hanno qualificato le ipotesi sopra citate come disposizioni aventi carattere complementare e accessorio rispetto alla disposizione (principale) attributiva (276). Quest‟ultima obiezione non coglie nel segno, in quanto le clausole di cui sopra hanno carattere autonomo e indipendente e sono idonee a regolare particolari aspetti della vicenda successoria.
Un‟ulteriore riflessione deve essere dedicata all‟art. 588, comma 1, c.c., il quale, secondo parte della dottrina, circoscriverebbe il contenuto del testamento all‟istituzione di erede e al legato. E stato osservato che, con la disposizione citata, che contempla le disposizioni testamentarie indubbiamente più diffuse e più rilevanti, il legislatore ha voluto semplicemente risolvere la questione della distinzione tra successione a titolo universale e successione a titolo particolare. L‟art. 588, comma 1, c.c., pertanto, ha una funzione puramente accessoria rispetto alla definizione generale di testamento racchiusa nell‟art. 587, comma 1, c.c. Tutte le disposizioni patrimoniali di ultima volontà, anche se non attributive e anche se non identificabili, quindi, con l‟istituzione di erede o con il legato, possono costituire valido contenuto del testamento purché rispondano al requisito di liceità e di meritevolezza di tutela (277). D‟altro canto, se ci si limitasse a un‟interpretazione puramente letterale del combinato disposto degli artt. 587, comma 1, e 588, comma 1, c.c., si perverrebbe all‟assurda conclusione di includere nel contenuto del testamento il solo legato ad effetti reali, il quale ha ad oggetto diritti del testatore, e di escludere il cosiddetto legato obbligatorio, ossia il legato che pone a carico dell‟onerato
(275) Per un esame delle disposizioni citate, v. X. XXX, op. ult. cit., p. 227 ss.; X. XXXXXX, Funzione del testamento e riconducibilità della disposizione di esclusione del successibile ex lege (non legittimario) all’assegno divisionale semplice c.d. indiretto, cit., p. 35 ss.; ID, La c.d. diseredazione: riflessioni sulla disposizione testamentaria di esclusione, cit., p. 513 ss.
(276) In tal senso, Cass., 20 giugno 1967, n. 1458, cit. Cfr. anche X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 435, che le definisce come disposizioni complementari, aventi carattere accessorio rispetto all‟istituzione di erede e al legato.
(277) Così X. XXX, op. ult. cit, p. 243 ss.
un‟obbligazione e che fa sorgere a favore del legatario il diritto (di credito) di esigere la prestazione.
In sostanza, si può affermare che il termine “disposizione” debba essere interpretato non nel senso restrittivo di manifestazione di volontà riguardante la disposizione di diritti, ma nel senso più ampio di manifestazione di volontà, genericamente idonea a regolare post mortem la sorte del proprio patrimonio. Nel potere di “disporre” dei propri beni per testamento rientrerebbe, pertanto, anche la disposizione con efficacia meramente negativa, volta ad escludere dalla successione chi vi sarebbe altrimenti chiamato (278).
A conclusione del discorso sul concetto di “disposizione”, si può osservare che, anche qualora si volesse sostenere la funzione esclusivamente attributiva del testamento, la clausola di diseredazione potrebbe, comunque, essere letta come espressione della volontà di “non attribuire” (279).
Secondo una tesi, che ci appare particolarmente convincente, il riconoscimento della libera e sovrana volontà del testatore implicherebbe l‟accoglimento di una nozione ampia di testamento, idonea a comprendere disposizioni dal contenuto più vario. Fermo restando il rispetto di regole fondamentali del diritto successorio, prima fra tutte quella relativa all‟intangibilità dei diritti dei legittimari (artt. 457, comma 3, 536 ss. e 549 c.c.), l‟unico limite all‟autonomia testamentaria sarebbe costituito dalla liceità dei motivi sottesi alle disposizioni inserite nella scheda (280). Pertanto, nulla vieterebbe al disponente, nell‟esercizio dell‟autonomia negoziale, di inserire nell‟atto di ultima volontà una clausola di tipo negativo, la quale escludesse dalla successione i potenziali eredi ab intestato. Una disposizione di questo tipo consentirebbe all‟ereditando di avvantaggiare persone alle quali fosse affettivamente legato e, al contempo, di escludere dalla successione coloro che,
(278) Cfr. X. XXX, op. ult. cit., p. 238 e 239.
(279) Secondo X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 138 e 139, l‟autonomia testamentaria potrebbe manifestarsi anche nel non voler disporre a favore di una determinata persona. Pertanto, anche nella clausola di diseredazione sarebbe ravvisabile una precisa volontà, con la peculiarità che si tratterebbe di una dichiarazione avente contenuto non positivo, bensì negativo.
(280) Così X. XXXXXXXX, Autonomia negoziale e diritto ereditario, cit., p. 789 ss.; X. XXXXXXXXX, L’autonomia testamentaria e le disposizioni negative, cit., p. 39 ss.
Per un esame dell‟autonomia testamentaria e dei suoi limiti, si rinvia alle considerazioni già svolte nel paragrafo n. 5 del capitolo I.
pur essendo legati da un rapporto di parentela, fossero a lui sentimentalmente estranei (281).
La clausola di esclusione dalla successione sarebbe diretta a soddisfare interessi meritevoli di tutela (282): la volontà del testatore, seppure dettata da ragioni di odio, collera o rancore nei confronti del soggetto escluso, potrebbe trovare giustificazione nell‟intento di evitare al destinatario le conseguenze negative di una hereditas damnosa o di rendere più consistente l‟acquisto dei non diseredati (283).
Si osservi che l‟attuale ordinamento, discostandosi da precedenti fasi della storia del diritto (284) e da civiltà giuridiche profondamente diverse dalla nostra (285), ha respinto l‟idea di un sindacato sulla bontà dei sentimenti del testatore. Pertanto, un testamento dettato da sentimenti di collera o di odio è perfettamente valido, salvo che non si provi l‟incapacità naturale dell‟autore (art. 591, comma 2, n. 3, c.c.) o si accerti il motivo illecito determinante (art. 626 c.c.).
A sostegno della tesi dell‟ammissibilità della diseredazione, si possono invocare ulteriori argomentazioni, non meno decisive di quelle già illustrate. In primo luogo, è sì vero che la clausola in oggetto non trova fondamento in alcuna disposizione di legge, ma è altrettanto vero che nessuna norma la vieta espressamente: essa non contrasta con alcuna norma imperativa né con l‟ordine pubblico o il buon costume (286).
A ciò si aggiunga che, come si è più volte precisato, nulla vieta al testatore di effettuare una preterizione, ossia di disporre dei propri beni, in tutto o in parte, a favore di determinati soggetti, in modo tale da escludere dalla successione uno o più eredi ab intestato. Se si ammette tale facoltà, non si vede perché non si possa riconoscere al medesimo soggetto il potere di escludere, attraverso un‟espressa dichiarazione in tal senso, uno o più successibili (287).
(281) In tal senso, X. XXXXXXX DI XXXXXXXX, Xxxxxxxx di diseredazione e autonomia negoziale del disponente, cit., p. 938.
(282) Sul concetto di meritevolezza dell‟interesse perseguito, in relazione alla problematica della diseredazione, v. X. XXX, op. ult. cit, p. 204 ss.
(283) Sul punto X. XXXXXXX, Appunti sulla diseredazione, cit., p. 1107, nota n. 33.
(284) Si pensi all‟actio ab irato del diritto romano.
(285) Si consideri, in proposito, la previsione, nel diritto musulmano, di rimedi contro le disposizioni testamentarie poste in essere per collera, odio o rancore.
(286) Cfr. X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 140; X. XXX, op. ult. cit., p. 214 ss.
(287) In tal senso, X. XXX, op. ult. cit, p. 218.
Si consideri, inoltre, che la revoca espressa delle disposizioni testamentarie è valida anche se non accompagnata dalla manifestazione di una diversa volontà attributiva (art. 680 c.c.): il disponente può limitarsi a revocare un precedente testamento, senza prevedere alcuna disposizione positiva, il che determinerà la devoluzione del patrimonio ereditario secondo le regole della successione ab intestato. Conseguentemente, deve ritenersi ammissibile anche un atto di ultima volontà, che si limiti ad escludere un soggetto dalla successione, senza prevedere l‟attribuzione di beni ad altri (288).
Xxxxxx, infine, di essere ricordata la tesi di chi sostiene che la clausola di esclusione dalla successione sarebbe una species dell‟assegno divisionale semplice indiretto. Quest‟ultima figura ricorre quando il de cuius, nel dettare le norme relative alla ripartizione del suo patrimonio, esclude un erede (testamentario o legittimo) dall‟apporzionamento relativo a determinati beni ereditari. La diseredazione si differenzierebbe dall‟assegno divisionale semplice indiretto sotto il profilo quantitativo poiché riguarderebbe non singoli beni ereditari, bensì l‟intero patrimonio del disponente: nessun bene dovrebbe essere assegnato al successibile ab intestato indicato (289).
Si osservi che lo stesso Autore, che ha elaborato la tesi in esame, si è fatto carico di una critica significativa: mentre la diseredazione escluderebbe il potenziale erede legittimo dall‟intero fenomeno successorio, comprensivo dei rapporti attivi e passivi, l‟assegno divisionale indiretto, invece, sembrerebbe incidere soltanto su quelli attivi, con l‟assurda conseguenza che il successibile ab intestato, seppure escluso da qualsiasi apporzionamento, potrebbe essere destinatario della delazione ex lege, così subentrando nei debiti facenti capo al defunto. L‟Autore ritiene che tale obiezione possa essere superata, considerando l‟assegno divisionale semplice indiretto come espressione della
(288) Come osserva X. XXXXXXXX, Diseredazione ed esclusione di eredi, cit., p. 1200 e 1201, se si negasse efficacia alla clausola di diseredazione, si dovrebbe, coerentemente, ritenere non valido un testamento, il quale, senza contenere disposizioni attributive, si limitasse a revocare le disposizioni testamentarie anteriori.
(289) La tesi è stata elaborata da X. XXXXXX, Funzione del testamento e riconducibilità della disposizione di esclusione del successibile ex lege (non legittimario) all’assegno divisionale semplice c.d. indiretto, cit., p. 53 ss.; ID, La c.d. diseredazione: riflessioni sulla disposizione testamentaria di esclusione, cit., p. 532 ss. L‟Autore precisa che la diseredazione e l‟assegno divisionale semplice indiretto potrebbero anche coincidere sul piano concreto, nell‟ipotesi in cui, al momento dell‟apertura della successione, il patrimonio ereditario fosse costituito esclusivamente dai cespiti contemplati nell‟assegno.
volontà di escludere tout court dalla propria successione quel determinato soggetto (290).
Per quanto affascinante, la tesi in esame presta il fianco ad un‟obiezione di fondo: l‟assegno divisionale semplice, il quale produce effetti meramente obbligatori, non impedisce l‟instaurarsi della comunione ereditaria, anzi la presuppone (291), e a tale comunione non potrebbe, ovviamente, partecipare il diseredato. Inoltre, anche ammettendo che l‟escluso partecipasse alla comunione ereditaria e, poi, alla divisione (restando insoddisfatto in sede di apporzionamento), si violerebbe il dettato di cui all‟art. 733, comma 1, c.c., in quanto non si avrebbe coincidenza tra il valore dei beni, che nel caso di diseredazione sarebbe nullo, e la corrispondente quota astratta, nella quale dovrebbe ritenersi chiamato il diseredato (292).
Dal punto di vista redazionale, l‟accoglimento della tesi dell‟ammissibilità della diseredazione non richiede nessun particolare accorgimento: il testatore si limiterà ad effettuare un‟autonoma disposizione a contenuto negativo, diretta ad escludere uno o più successibili ex lege dalla devoluzione dell‟eredità (293).
(290) Così X. XXXXXX, Funzione del testamento e riconducibilità della disposizione di esclusione del successibile ex lege (non legittimario) all’assegno divisionale semplice c.d. indiretto, cit., p. 54.; ID, La c.d. diseredazione: riflessioni sulla disposizione testamentaria di esclusione, cit., p. 534.
(291) E‟ proprio questa la differenza rispetto alla divisione del testatore (cosiddetto assegno divisionale qualificato) ex art. 734 c.c., con la quale il testatore, allo scopo di impedire il formarsi di una comunione ereditaria, attribuisce in modo diretto e definitivo i beni destinati a formare le porzioni.
(292) In proposito, X. XXXXXXX, Appunti sulla diseredazione, cit., p. 1112, nota n. 47. Cfr. anche X. XXXXX, La diseredazione, cit., p. 173, nota n. 168, il quale osserva che, mentre la diseredazione implica l‟esclusione dalla successione, l‟assegno divisionale negativo, invece, determina l‟esclusione relativamente a singoli beni ereditari.
(293) Così X. XXXX, Manuale di tecnica testamentaria, cit., p. 32.
Paragrafo 3
Tesi che subordina la validità della clausola di “diseredazione” alla possibilità di ricavare, in via ermeneutica, un’istituzione implicita
a favore dei successibili ex lege non esclusi
Il riconoscimento della natura di disposizione testamentaria alla sola attribuzione di beni ha spinto la giurisprudenza di legittimità alla strenua ricerca di una volontà positiva del testatore anche in caso di clausola di diseredazione. Secondo i giudici della Suprema Corte, l‟esclusione dalla successione di alcuni chiamati ex lege (purché non legittimari) potrebbe essere interpretata come volontà (implicita) di disporre del patrimonio ereditario a favore degli altri eredi legittimi non diseredati (294). Come si può notare, l‟orientamento giurisprudenziale citato, seguito anche da autorevole dottrina (295), non reputa tout court ammissibile la disposizione mortis causa diretta ad escludere dalla successione il potenziale erede ab intestato, ma fonda la validità della disposizione medesima sul convincimento che la volontà negativa possa essere interpretata come implicita istituzione dei successibili ex lege non esclusi. Si consideri, ad esempio, un testatore che, avendo come eredi legittimi soltanto tre nipoti ex fratre, Xxxxx, Secondo e Xxxxx, così disponga: “Escludo dalla successione, tra i miei nipoti, soltanto Primo”. Secondo i fautori dell‟orientamento in esame, una clausola di questo tipo avrebbe un contenuto meramente negativo soltanto in apparenza; nella sostanza, invece, avrebbe carattere positivo (296).
Qualche esempio può essere utile al fine di comprendere la tesi in esame. Se il testatore scrivesse “Dei miei tre fratelli escludo solo Xxxxxxxxx”, la clausola sarebbe valida. Si avrebbe, infatti, una disposizione negativa dalla quale potrebbe oggettivamente dedursi un‟implicita volontà del testatore di
(294) Cfr. App. Cagliari, 5 dicembre 1990, n. 302, cit.; Cass., 20 giugno 1967, n. 1458, cit.; Cass., 23 novembre 1982, n. 6339, cit.; Cass., 18 giugno 1994, n. 5895, cit.
(295) Sul punto, X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, Vocazione legale e vocazione testamentaria, cit., p. 200, nota n. 27; X. XXXXXXXX, voce: “Diseredazione, c) diritto vigente”, cit., p. 102 e 103.
(296) Per un esame della tesi de qua, v. X. XXX, op. ult. cit., p. 16 ss., il quale osserva come essa si ricolleghi al principio dell‟ordinamento francese, secondo il quale “exclure, c’est instituer” .
istituire eredi altri soggetti. In altri termini, il testatore effettuerebbe un‟istituzione positiva implicita, la quale troverebbe una chiara base testuale nella dichiarazione di esclusione.
A diversa conclusione si dovrebbe pervenire qualora la scheda testamentaria contenesse espressioni del tipo “Diseredo mio fratello Xxxxxxxxx”, “Escludo Xxxxxxxxx dalla mia successione”, “Voglio che Sempronio nulla riceva dalla mia eredità”. In tal caso, infatti, dal testamento risulterebbe soltanto la volontà di escludere un successibile ab intestato e non vi sarebbe alcun appiglio testuale per giustificare un‟attribuzione positiva a favore di altri soggetti.
Come si può notare, tutto si risolve nell‟interpretazione della volontà del testatore (297): occorre verificare se il de cuius, nel dettare l‟esclusione di un successibile ex lege, intendesse determinare la devoluzione dei propri beni a favore di altri soggetti. La complessa operazione interpretativa deve essere condotta, secondo la dottrina, facendo ricorso alle regole di cui agli artt. 1362 e 1367 c.c., dettate in materia di contratto, ma ritenute applicabili, seppure con gli opportuni adattamenti, anche al testamento (298).
Ai sensi della prima disposizione citata, l‟interprete deve verificare quale sia stata l‟intenzione dell‟ereditando, senza limitarsi al senso letterale delle sue parole, valutando il suo comportamento complessivo, anche posteriore all‟atto di ultima volontà. Al riguardo, l‟interprete, qualora dal tenore letterale del testamento non sia ricostruibile in modo certo la volontà del de cuius, può utilizzare non soltanto elementi intrinseci alla scheda, ma anche elementi
(297) Sull‟interpretazione della volontà testamentaria, X. XXXXXXXX, Le successioni e le donazioni, cit., p. 427 ss.; X. XXXXXXXXXXXXX – G. P. BELLONI PERESSUTTI – X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX – X. XXXXX, La ricostruzione della volontà testamentaria. Il contenuto, i vizi, la simulazione, l’interpretazione, a cura di X. XXXXXXXX, Padova, 2005, p. 399 ss.; X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 356 ss.; X. XXXXXXXXX XXXX, Il testamento, cit., p. 77 ss.; ID, Il testamento, I) Profilo negoziale dell’atto: appunti delle lezioni, cit., p. 168 ss.; X. XXXXXXXX, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 217 ss.; ID, Nozioni di diritto ereditario, cit., p. 131 ss.; X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 445 ss.; X. XXXXXX, L’interpretazione del testamento, in Tratt. dir. succ. e donaz. diretto da X. XXXXXXXX, Volume II: la successione testamentaria, Milano, 2009, p. 1473 ss.; X. XXXXXXXX, Interpretazione del testamento, cit., p. 1 ss.; X. XXXXXXXXXX, voce: “Testamento, b) Diritto privato”, cit., p. 476 ss.
(298) Cfr. Cass., 21 febbraio 2007, n. 4022, in Mass. Giust. civ., 2007, c. 2 ss., secondo la quale, nell‟interpretazione del testamento, il giudice deve accertare, secondo il principio ermeneutico di cui all‟art. 1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l‟effettiva volontà del defunto. A tal fine, l‟interprete deve considerare, congiuntamente e in modo coordinato, l‟elemento letterale e quello logico, salvaguardando il rispetto del principio di conservazione della volontà testamentaria.
estrinseci quali, ad esempio, la personalità del testatore, la sua mentalità, la sua cultura, la sua condizione sociale, l‟ambiente in cui viveva, ecc … (299).
In base al principio ermeneutico di cui all‟art. 1367 c.c., occorre ricercare soluzioni interpretative che salvaguardino l‟esigenza di conservazione della volontà testamentaria: nel dubbio circa l‟esistenza o l‟inesistenza dell‟implicita volontà positiva, il principio di conservazione impone la scelta della prima soluzione poiché solo questa consente di affermare la validità della clausola di diseredazione (300).
Così interpretata, l‟esclusione dall‟eredità di un successibile ex lege, stante il suo contenuto positivo implicito, verrebbe a configurarsi come dichiarazione tacita di volontà e, al contempo, come dichiarazione per relationem: la designazione degli istituiti sarebbe determinata mediante il rinvio alla disciplina della successione legittima, escluso, ovviamente, il soggetto diseredato (301).
Per coloro che accolgono l‟orientamento in esame, resta da chiarire se la relatio effettuata con la clausola di diseredazione sia formale oppure sostanziale (302). Per risolvere il quesito, occorre illustrare i tratti salienti del testamento per relationem.
Con l‟espressione “relatio formale”, si allude all‟ipotesi in cui la volontà negoziale del testatore sia compiutamente individuata in tutti i suoi principali elementi e l‟autore rinvii a una fonte esterna per la determinazione dell‟oggetto
(299) Considerata la pretesa irrilevanza delle manifestazioni non formali della volontà testamentaria, è discusso se sia ammissibile l‟utilizzo di elementi interpretativi estrinseci alla scheda. Certamente, è possibile fare ricorso a questi ultimi qualora essi valgano a chiarire la volontà espressa nell‟atto di ultima volontà. Non è altrettanto certo, invece, se l‟interprete possa ricorrere agli elementi estranei, anche nel caso in cui il testo della scheda risulti già chiaro.
Sul punto, C. M. BIANCA, Diritto civile, 2. La famiglia – Le successioni, cit., p. 742; X. XXXXXXXXX, Pluralità di testamenti, revoca per incompatibilità e interpretazione, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 913 ss.; X. XXXXXXXXX, Interpretazione del testamento mediante elementi a esso estranei, in Giur. it., 1956, I, 1, c. 445 ss.
Secondo Xxxx., 18 giugno 1994, n. 5895, cit., la ricerca della implicita e contestuale volontà può avvenire “solo quando, dallo stesso tenore della manifestazione di volontà o dal tenore complessivo dell’atto che la contiene, risulti l’effettiva esistenza della anzidetta autonoma positiva volontà del dichiarante, con la conseguenza che solo in tal caso è consentito ricercare, anche attraverso elementi esterni e diversi dallo scritto contenente la dichiarazione di diseredazione, l’effettivo contenuto della volontà di istituzione”.
(300) X. XXXXXXX DI XXXXXXXX, Xxxxx cenni sul tema della diseredazione, in Vita not., 1999, II, p. 1093, mette in luce le differenze tra Xxxx., 20 giugno 1967, n. 1458 e Cass., 18 giugno 1994, n. 5895: nella prima sentenza, la Cassazione ha sancito la necessità di una valutazione caso per caso, volta a verificare la sussistenza di un‟implicita volontà di istituire i soggetti non esclusi; nella seconda, invece, la Suprema Corte, in base al principio di conservazione del negozio ex art. 1367 c.c., ha riconosciuto, comunque, la validità della scheda testamentaria, anche qualora sia dubbia l‟effettiva volontà del de cuius.
(301) Cfr. X. XXX, op. ult. cit., p. 18; X. XXXXXXX, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 25.
(302) Sul concetto di relatio formale e sostanziale, v. X. XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 87 ss.
o del soggetto della successione. Più precisamente, l‟ereditando effettua, attraverso la disposizione per relationem puramente formale, un rinvio a fatti e circostanze, i quali richiedono una mera attività di accertamento (303).
Con la formula “relatio sostanziale”, invece, si intende il caso in cui il testatore rimetta alla volontà altrui la determinazione del soggetto o dell‟oggetto della vicenda successoria. Si tratta, in altri termini, dell‟ipotesi in cui la stessa determinazione volitiva del disponente, relativa all‟individuazione dell‟oggetto del lascito o della persona del beneficiario, sia rimessa alla volontà di un soggetto estraneo (304).
Mentre la relatio formale, a patto che rispetti il principio di certezza, è consentita (305), la relatio sostanziale, implicando un‟attività volitiva da parte di un soggetto diverso dal testatore, non è ammessa (306), salvo le ipotesi espressamente previste dalla legge (307).
Un‟ipotesi peculiare di relatio è quella in cui il testatore, per l‟individuazione degli eredi o per la determinazione delle quote, si limiti a rinviare alle norme della successione ab intestato (308). Nel caso peculiare della diseredazione, la clausola può essere interpretata come implicita istituzione,
(303) Sul punto, x. X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, cit., p. 405 ss., il quale ricorre ai seguenti esempi: “Nomino erede universale quello tra i miei nipoti che conseguirà per primo la laurea in giurisprudenza”; “Lego a Tizio quella parte del fondo Tusculano che risulterà agricola in base agli strumenti urbanistici in vigore al momento della mia morte”; “Lego a mio nipote Xxxxx quello tra i miei cavalli che sarà primo al Gran Premio Lotteria di Agnano nell‟anno successivo alla mia morte”.
(304) X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 406, indica, come esempio di relatio sostanziale, il legato alternativo (art. 665 c.c.): “Lego a Tizio quello tra i miei due appartamenti in Napoli che sceglierà Caio”.
(305) Il legislatore stabilisce che è nulla ogni disposizione che si caratterizzi per l‟incertezza assoluta in ordine al destinatario (art. 628 c.c.).
(306) Ciò è confermato dalla previsione legislativa che commina la nullità della disposizione testamentaria, la quale faccia dipendere dall‟arbitrio di un terzo l‟indicazione dell‟erede o del legatario ovvero la determinazione della quota di eredità (art. 631, comma 1, c.c.).
(307) Tra i casi in cui la disposizione per relationem sostanziale è consentita, si annoverano il legato determinato per arbitrio altrui (art. 632, comma 1, c.c.), il legato remuneratorio (art. 632, comma 2, c.c.), il legato generico (art. 653 c.c.), il legato alternativo (art. 665 c.c.) e la divisione effettuata secondo la stima di un terzo (art. 733, comma 2, c.c.).
(308) Si pensi a espressioni del tipo “Dispongo delle mie sostanze come per legge” o “Voglio che dei miei beni si faccia la ripartizione come per legge”. Come si vedrà infra, è discusso se, nel caso considerato, si apra la successione testamentaria o quella legittima. Il problema della coincidenza della vocazione testamentaria con quella legittima è affrontato da X. XXXXXXX, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 26 ss. L‟Autore tiene distinta l‟ipotesi del rinvio all‟intero regolamento legale della successione (es.: “Dispongo delle mie sostanze come per legge”) da quella in cui il testatore istituisca gli stessi successibili ex lege in quote corrispondenti a quelle intestate (es.: il testatore, privo di coniuge, nomina eredi i propri figli in parti uguali).
mediante rinvio alla legge, dei soggetti non esclusi. In tale ipotesi, si avrebbe relatio formale, se la volontà del testatore si formasse autonomamente e se egli fosse pienamente consapevole della disciplina della successione ab intestato oggetto di rinvio (309); si avrebbe, invece, relatio sostanziale, con conseguenti dubbi di ammissibilità, nell‟ipotesi in cui il disponente, non conoscendo, al momento della redazione del testamento, il contenuto della disciplina legale richiamata, determinasse per relationem la stessa volontà negoziale (310).
Qualora si accolga la tesi dell‟istituzione implicita, occorre risolvere l‟ulteriore quesito relativo al titolo della successione, in forza del quale sarebbero chiamati i soggetti non diseredati. A fronte di chi ritiene che, in caso di rinvio alla legge, si aprirebbe la successione ab intestato (311), vi è chi sostiene, invece, che opererebbe la delazione testamentaria (312).
La differenza tra le due posizioni ha rilevanza pratica, nel caso in cui tra la redazione del testamento e la morte del disponente si verifichi un mutamento del regime legale: se si ritiene che si apra la successione legittima, si applicheranno le nuove norme vigenti al momento dell‟apertura della successione; se si ritiene che il titolo della successione sia costituito dal testamento, invece, sarà necessario interpretare la volontà del de cuius, al fine di stabilire se egli, rinviando al regolamento legale della successione, intendesse fare riferimento alla normativa in vigore al momento della redazione
(309) Ciò si verificherebbe qualora la volontà del testatore fosse diretta a istituire come suoi eredi legittimi persone da lui conosciute al momento della redazione dell‟atto. L‟onere di provare la mancata conoscenza, da parte del testatore, della disciplina legale oggetto di rinvio graverebbe sul soggetto interessato a far valere l‟inefficacia della diseredazione. Cfr. X. XXX, op. ult. cit., p. 22, nota n. 30, il quale sottolinea l‟estrema difficoltà pratica di tale prova.
(310) Cfr. X. XXX, op. ult. cit., p. 20 ss.
(311) Così X. XXXXXXXXX XXXX, Delle successioni testamentarie, cit., p. 98; X. XXXXXX, Autonomia privata e testamento, cit., p. 239. Cfr. anche X. XXXXXXX, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 29, secondo il quale si aprirebbe la successione legittima poiché la disposizione “non si limita a indicare nella legge una fonte estrinseca cui sia affidato solo il compito di designare i termini dell’attribuzione, bensì contiene un rinvio all’intero regolamento legale della successione”. In giurisprudenza, v. Trib. Nuoro, 15 settembre 1989, n. 359, cit.; Trib. Reggio Xxxxxx, 27 settembre 2000, cit.
(312) Così X. XXX, op. ult. cit., p. 27 e, in particolare, nota n. 41 e p. 135. Secondo Xxxx., 20 giugno 1967, n. 1458, cit., un testamento contenente un rinvio alla legge sarebbe valido, integrando un‟ipotesi di mera relatio formale. Il testatore, rinviando alla disciplina della successione ex lege, non si affiderebbe a una volontà altrui, ma a fatti e circostanze, costituenti criteri di determinazione dei beneficiari e delle loro quote.
Cfr. anche X. XXXXXXX, Appunti sulla diseredazione, cit., p. 1105 e D. ONANO, Diseredazione: istituzione implicita anche nel caso di dubbio sulla effettiva esistenza della volontà istitutiva, cit., p. 590, i quali rilevano la contraddittorietà della sentenza Xxxx., 18 giugno 1994, n. 5895 che, pur individuando nella clausola di diseredazione un‟implicita volontà istitutiva, dichiara aperta la successione legittima anziché quella testamentaria.