LE PEDINE E LA SCACCHIERA:
XXXX XXXXX
Ricercatore di Diritto del lavoro Dipartimento di Scienze giuridiche “X. Xxxx”
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna mailto: xxxx.xxxxx@xxxxx.xx
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LE PEDINE E LA SCACCHIERA:
LIMITI SOVRANAZIONALI ALL’EFFICACIA DEROGATORIA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA DI PROSSIMITÀ*
di Xxxx Xxxxx
1. Decentramento negoziale e contrattazione collettiva “di prossimità”
La tendenza allo spostamento del baricentro regolativo delle relazioni di lavoro è riscontrabile da alcuni anni pressochè ovunque in Europa1. Tale fenomeno coinvolge la contrattazione collettiva decentrata nelle più disparate materie, dai livelli salariali all’organizzazione del lavoro, dall’utilizzo di contratti flessibili alle tecniche di protezione della salute e sicurezza, dalle classificazioni professionali ai percorsi di formazione.
Le giustificazioni che di norma si pongono a fondamento delle politiche di decentramento negoziale delle condizioni di lavoro sono ricollegabili ad esigenze di flessibilizzazione della disciplina dei rapporti di lavoro, di aumento della specificità delle singole imprese o comparti produttivi, ovvero di predisposizione di social plans in grado di ammortizzare, a livello di impresa, evenienze sfavorevoli per i livelli occupazionali od i rapporti di lavoro2.
La legislazione italiana (art. 8, l. n. 148/2011) si caratterizza, rispetto ad altre riforme coeve o di poco successive (fra tutte conta segnalare quella spagnola del luglio 20123 e quelle francesi del 2004, 2008 e 20124), per una particolare asprezza nei modi e nei tempi della sua approvazione – tanto che il medium prescelto è stato un urgente decreto legge -‐ , e per un’inedita estensione degli ambiti soggettivi ed oggettivi della potestà derogatoria affidata alla contrattazione collettiva di prossimità5, in direzione opposta a quella delineata dagli accordi interconfederali 2009-‐20136.
Fra i commentatori non vi è chi non abbia avanzato dubbi più o meno consistenti di incostituzionalità dell’intera operazione realizzata con l’art. 87. Superato il primo vaglio di
* Versione provvisoria presentata in data 30/9/2013 nella forma del conference paper.
1 Sciarra, L’evoluzione della contrattazione collettiva. Appunti per una comparazione nei paesi dell’Unione Europea, in Riv. It. Dir. Lav., 2006, IV, 447 ss.; Xxxxxx, Sistemi contrattuali e regolazione legislativa in Europa, in Dir. Lav. rel. Ind., 2005, 581 ss.
2 Treu, Le deroghe contrattuali nel modello tedesco, in Dir. Rel. Ind., 2011, 328 ss.; Keune M., Decentramento salariale: la regolamentazione e l'uso di clausole di deroga sui salari in sette paesi europei, in Dir. Rel. Ind., 2011, 333 ss., riprendendo lo studio sviluppato per Eurofond, Clausole di deroga sui salari nei contratti collettivi settoriali in sette Paesi europei, Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, Xxxxxxx, 0000.
3 Su cui cfr. Baylos Grau A. (coord. da), Políticas de austeridad y crisis en las relaciones laborales: la reforma del 2012, Bomarzo, Albacete, 2013, spec. Parte V.
4 Su cui cfr. Xxxxxxx E., Xxxxxxx C., Droit du travail, Dalloz, Paris, 2013, spec. Cap. 9.
5 Xxxxxxxxx, Il rapporto tra la legge e la contrattazione collettiva di prossimità nell'art. 8 del d.l. n. 138/2011, in Riv. Giur. Lav., 2012, I, 493 ss.
6 Xxxxxxxxxx A., Dopo l’accordo del 28 giugno 2011 (e l’art. 8 della l. n. 148): incertezze, contraddizioni, fragilità, in
Lav. Dir., 2012, 55 ss.
7 Tra gli altri cfr. Leccese, Il diritto sindacale al tempo della crisi. Intervento eteronomo e profili di legittimità costituzionale, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2012, 479 ss.; Xxxxxxxxxx A., Il limite del “rispetto della Costituzione”, in Riv. Giur. lav., 2012, I, 503 ss.; Xxxxxxx F., Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore,
compatibilità con gli artt. 39, 117 e 118 Cost., per non contrarietà rispetto al riparto di competenza della legislazione regionale (Corte Cost., 4 ottobre 2012, n. 221)8, occorre lasciare tali dubbi sullo sfondo della presente analisi, e tentare di ragionare più pragmaticamente, come se essi non esistessero che in un a priori tanto auspicabile quanto per ora difficilmente realizzabile9.
L’elenco delle materie nelle quali la contrattazione collettiva di prossimità (d’ora in poi CCP) -‐ espressione che consente di porre nel medesimo raggruppamento il contratto aziendale e quello territoriale10 -‐ «può» intervenire «anche» in deroga a norme di legge o di CCNL risulta estesissimo, benché non vi sia incertezza nel doverlo ritenere tassativo11. Esso ricomprende la disciplina degli impianti audiovisivi e l’introduzione di nuove tecnologie; le mansioni del lavoratore, la classificazione e l’inquadramento del personale; i contratti a termine, i contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, il regime della solidarietà negli appalti e i casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; la disciplina dell'orario di lavoro; le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro (comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le “partite Iva”), la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro; le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro.
Le pedine schierate sul campo dal legislatore hanno contorni relativamente definiti, sul piano della legittimazione e della rappresentatività, in larga misura confermati dai più recenti accordi interconfederali12. Ciò che invece rimane di incerta delimitazione è la scacchiera sulla quale esse sono autorizzate a muoversi e, all’interno di quella, quali posizioni siano inamovibili e quali, invece, consentano effettivi spazi di manovra alle parti sociali.
Nel valorizzare la funzione derogatoria del contratto collettivo decentrato la legge propone, intrecciate, diverse tecniche regolative. Per quanto qui interessa, all’enunciazione tassativa delle ipotesi, ambiti o materie sopra accennate, fa riscontro un rinvio generale a limiti “di sistema” derivanti sia da norme costituzionali, sia da fonti comunitarie ed internazionali. È nella specie su questo secondo gruppo di limiti che si intende dirigere l’attenzione.
Argini naturali rispetto all’onnivora capacità derogatoria della CCP rimangono, per un verso, la normativa antidiscriminatoria, per l’altro, quella incentrata sulla salute e sicurezza
in Arg. Dir. Lav., 2011, 1137 ss.; Ales E., Dal caso fiat al “caso Italia”. Il diritto del lavoro “di prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, in Dir. Rel. Ind., 2011, 1061 ss.; Xxxxxxx G., Il contratto collettivo dopo l'art. 8 del decreto n. 138/2011, in Arg. dir. lav., 2011, 1249 ss.; Liso F., Brevi note sull’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e sull’articolo 8 della legge 148/2011, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2012, 453 ss.; Xxxxxxx Xxxxxxxxxx G., Accordo interconfederale 28 giugno 2011 e art. 8 d.l. 138/2011 conv. con modifiche l. 148/2011: molte divergenze e poche convergenze, in Arg. Dir. Lav., 2011, 1124 ss.
8 Pubblicata in Arg. Dir. Lav., 2012, 1219, con nota adesiva di Xxxxxxx, Contrattazione collettiva e limiti costituzionali, ivi, 1223 ss.; in Riv. it. dir. lav. 2012, II, 903, con nota di Xxxx, La prima pronuncia della Corte costituzionale sull'art. 8 l. n. 148/2011: la norma non invade la competenza regionale ma le «specifiche intese» non hanno un ambito illimitato.
9 Per quanto consta, nel momento in cui si scrive (settembre 2013), non sono state sollevate in via incidentale ulteriori questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, l. n. 148/2011. La norma è invece oggetto di un quesito referendario di iniziativa popolare, la cui ammissibilità è stata rinviata (ex art. 31, legge n. 352/1970) in conseguenza dello scioglimento dei due rami del Parlamento (D. P. R. 22 dicembre 2012, n. 225).
10 Napoli M., Osservazioni sul sostegno legislativo alla contrattazione aziendale, in Nogler L., Corazza L. (a cura di),
Risistemare il diritto del lavoro. Liber amicorum Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Milano, 2012, 684 ss.
11 Carinci F., Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, cit., 1160, parla di «eccesso di incontinenza».
12 Per un raffronto critico cfr. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx G., Accordo interconfederale 28 giugno 2011 e art. 8 d.l. 138/2011 conv. con modifiche l. 148/2011: molte divergenze e poche convergenze, cit., 1124 ss.
dei lavoratori, anche nel panorama comparato saldamente appannaggio della potestà normativa statuale 13 , e comunque fornite di solida copertura nel diritto dell’Unione Europea14.
Limiti espressi alla facoltà di deroga sono stati individuati, in sede di conversione del decreto legge n. 138/2011, per un verso, nel «rispetto della Costituzione», per l’altro, nei
«vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali». A quanti hanno da subito rilevato il carattere pleonastico della precisazione15 -‐ dato che la legge ordinaria non potrebbe comunque consentire deroghe alle norme costituzionali, comunitarie e internazionali -‐, si è a mio avviso correttamente ribattuto che tale precisazione «consente di focalizzare l’attenzione sui limiti della possibilità di deroga, inducendo ad un maggiore senso di responsabilità nell’utilizzo di tale facoltà»16.
Altri settori della dottrina, interpretando tali limiti, indicati dalla prima parte dell’art. 8, comma 2-‐bis, ne hanno rimarcato la funzione sostanzialmente immobilizzante rispetto a quasi tutti i possibili interventi della CCP. Sono tanti e tali i fondamenti costituzionali del diritto del lavoro che in sostanza non vi sarebbe spazio alcuno per la CCP di intervenire in deroga alla legge o al CCNL senza violare un principio espresso dalla Carta17.
Addirittura, per la genericità di talune formulazioni, potrebbe osservarsi l’esistenza anche di “pre-‐limiti”, consistenti in ostacoli tecnico-‐giuridici che impediscono di considerare legittimo il meccanismo stesso di deroga alla legge ed alla contrattazione settoriale da parte della CCP. Ad esempio, ove si volesse riscoprire la teorica dell’incorporazione, un pre-‐limite potrebbe consistere nel fatto che le norme del contratto collettivo potrebbero intendersi come cristallizzate nel regolamento individuale. In realtà, poiché per l’art. 2077 c.c. ogni modifica del contratto collettivo si trasferisce sul contratto individuale, tale prospettazione si è dimostrata inaccoglibile nel nostro ordinamento, per cui se viene meno per effetto di deroghe una norma del contratto collettivo, scompare a regime pure il vantaggio individuale18.
Al più avrebbe senso chiedersi se il tipo stesso «lavoro subordinato» sia disponibile dalla CCP, ciò in quanto l’art. 8 autorizza deroghe sulle «modalità di disciplina del rapporto di lavoro», cioè in sostanza su tutto il diritto del lavoro. E a tal riguardo non è revocabile in dubbio che la CCP non possa sottrarre porzioni di trattamento agli effetti negoziali caratteristici della subordinazione. L’applicazione della disciplina inderogabile del diritto del lavoro non può essere esclusa rispetto a rapporti di lavoro oggettivamente subordinati, sia
13 Cfr. amplius Ales E. (a cura di), Health and Safety at Work. European and Comparative Perspective, The Hague, 2013.
14 Cfr., per la prima, la Dir. 2000/78 e la Dir. 2000/43; per la seconda, l’art. 153 TFUE e la Dir. 89/391.
15 Per tutti Xxxxxxx, Profili costituzionali della disciplina del sistema di tutele del diritto del lavoro subordinato, in
Riv. Giur. Lav., 2012, 471 ss., spec. 475-‐476.
16 Xxxxxxx X., Articolo 8: analisi di una norma mal scritta, in Eguaglianza & Libertà, 2011.
17 Romagnoli, La deriva del diritto del lavoro (Perché il presente obbliga a fare i conti col passato), in Lav. Dir., 2013, 3 ss.; Xxxxxxxx, L’art. 8 è contro la Costituzione, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 8 agosto 2011. Contra De Xxxx Xxxxxx, Prime valutazioni e questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 148 del 2011, in Arg. Dir. Lav., 2012, 19 ss., spec. 21-‐22.
18 Xxxxxxxx, «Apocalittici» e «integrati» alle prese con l’art. 8 della legge n. 148 del 2011: il problema della disponibilità del tipo, in Lav. Dir., 2012, 19 ss.
quando la legge offre direttamente una tale qualificazione, sia quando la legge ne demanda la determinazione all’autonomia collettiva19.
2. I limiti sovranazionali: opportunità o vincolo per la contrattazione collettiva di prossimità?
Ciò detto sul piano generale, occorre entrare in medias res ed enucleare i singoli limiti immaginabili in forza del disposto di cui all’art. 8, comma 2-‐bis. In particolare si focalizzerà l’attenzione sui vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali, e sulla definizione delle relative tecniche di tutela. Solo all’esito di tale illustrazione, si potrà verificare se la delega affidata alla CCP debba ritenersi sostanzialmente inutile o inutilizzabile, in virtù di una presunta onnipervasività dei vincoli costituzionali e sovranazionali; ovvero se la loro combinazione consenta, invece, di disegnare una scacchiera dalle dinamiche variabili sulla quale possano rinvenirsi ambiti non trascurabili per la CCP nell’introduzione di deroghe alla disciplina generale (legge e CCNL).
L’inserimento del comma 2-‐bis in sede di conversione del d.l. n. 138/2011 dà conto della necessità di fissare una sorta di minimum floor, al di sotto del quale neppure le ampie formulazioni delle materie e delle finalità della CCP possono spingersi. Come dire che, nell’autorizzare la CCP a derogare (ovviamente anche in pejus) alle discipline fissate da legge e CCNL, il legislatore ha sentito il bisogno di indirizzarne l’azione, fornendole al tempo stesso un imperativo limitante ed un criterio orientativo. In tal senso deve essere ricordato specialmente l’art. 153 TFUE, che contempla fra i compiti dell’Unione quello di «sostenere e completare» l'azione degli Stati membri nel miglioramento dell'ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori, delle condizioni di lavoro, della sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori, della protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro, dell’informazione e consultazione dei lavoratori.
Se dunque una prima indicazione viene ricercata nelle fonti primarie del diritto dell’Unione, essa milita chiaramente nella direzione di accrescimento della protezione sociale, dando facoltà agli Stati membri unicamente di mantenere o stabilire «misure, compatibili con i trattati, che prevedano una maggiore protezione» (art. 153, comma 4 TFUE).
2.1. Limiti derivanti «dalle normative comunitarie»
La disamina dei limiti derivanti dal diritto dell’Unione europea deve giocoforza essere preceduta da una precisazione, tanto scontata quanto opportuna, e cioè che l’impropria espressione «normative comunitarie» contenuta nell’art. 8, comma 2-‐bis non può che interpretarsi in senso a-‐tecnico come «normative dell’Unione», includendo quell’insieme di
19 D’Antona, Limiti costituzionali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 1995, 63 ss. e da ultimo Avondola, Legge, contratto e certificazione nella qualificazione dei rapporti di lavoro, Napoli, 2013, 187 ss.
fonti di ius positum (trattati, regolamenti, direttive) e di sentenze della Corte di giustizia che oggi formano il diritto dell’Unione europea20.
Sotto un diverso aspetto, per evitare indebite sovrapposizioni, occorre chiarire altresì che l’art. 8 non può e non deve considerarsi una sorta di medium perenne attraverso il quale l’Italia esercita la facoltà, contemplata nell’art. 153 TFUE, di attuare le direttive mediante la contrattazione collettiva. Per l’art. 8 si tratta, infatti, di operare deroghe alla disciplina legislativa e contrattuale, e non di attuare questa o quella fonte sovranazionale21.
Se è vero che nel contesto europeo sono più i principi a valere delle singole tecniche normative, riferendosi ad essi sembra possibile individuare chiaramente i seguenti ostacoli sostanziali e procedurali invalicabili per la CCP.
a) Occorre in primo luogo considerare il principio antiabusivo nel ricorso a tipologie di lavoro flessibile, in forza del quale, a prescindere dalle singole misure che gli Stati membri adottano in sede di implementazione delle Direttive settoriali, gli strumenti normativi da essi utilizzati devono dirigersi a prevenire l’utilizzo abusivo, ossia l’aggiramento, del contratto in questione (cfr. ad es. Dir. 1999/70/CE, in materia di lavoro a tempo determinato). Al riguardo la giurisprudenza della Corte di giustizia negli ultimi anni ha chiarito come la discrezionalità degli Stati membri, nella scelta delle misure che impediscano l’abuso dei contratti flessibili, è comunque sottoposta ad un vincolo di scopo (c.d. principio dell’effetto utile): si porrebbe perciò in contrasto con tale principio l’introduzione, da parte della CCP, di disposizioni in deroga idonee a rendere di fatto libero ed indiscriminato (id est non sorretto da ragioni obiettive) il ricorso al contratto a termine e/o la sua reiterazione22.
b) Un secondo principio che funge da limite generale alla discrezionalità del legislatore nazionale, e che si riflette sulle facoltà da esso delegate alla CCP, si impernia sulla normativa antidiscriminatoria, nelle sue complesse e più evolute varianti, per cui è fatto divieto alle discipline nazionali di risultare direttamente o indirettamente discriminatorie in ragione di una serie di fattori, la cui portata e potenzialità è tuttora in evoluzione (cfr. Dir. 2000/78/CE e Dir. 2000/43/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro)23.
c) In senso differenziale rispetto alla non discriminazione, il principio della parità di trattamento fra uomo e donna, espresso specie sul piano retributivo dall’art. 157 TFUE e dalla Dir. 2006/54/CE, in materia di pari opportunità, viene impiegato dal legislatore europeo anche per garantire che l’utilizzo di contratti di lavoro flessibili non si risolva in danno dei livelli minimi di trattamento economico e normativo di cui godono normalmente i lavoratori subordinati comparabili (cfr. ad es. art. 5, Dir. 2008/104/CE, in materia di lavoro tramite agenzia, e art. 4.1, Dir. 97/81/CE, in materia di lavoro part-‐time).
d) Maggiormente diretto a preservare i livelli già raggiunti dai singoli Stati membri, vi è poi il principio del non regresso, in virtù del quale non è consentito, in sede di attuazione delle
20 Gottardi, Deroga della legge e rispetto della normativa comunitaria, in Riv. Giur. Lav., 2012, I, 521 ss., qui 526.
21 Per la dimostrazione puntuale della diversità di piani sui quali agiscono i due meccanismi di delega cfr. Delfino,
Contratti collettivi di prossimità e deroga alle normative europee, in Dir. Lav. Merc., 2012, III, 465 ss.
22 Cfr. Aimo, La Corte di giustizia e il lavoro non standard: vincoli e implicazioni negli ordinamenti nazionali, in Riv. Giur. Lav., 2012, I, 147 ss.; Xxxxxxxx, La giurisprudenza della Corte di giustizia sui contratti di lavoro a termine e il suo rilievo per l'ordinamento italiano, in Riv. Giur. Lav., 2012, I, 721 ss.
23 Per un riepilogo cfr. di recente Xxxxxxxxxx, Le discriminazioni nel lavoro: nozione, interessi, tutele, Xxxxxx, 0000.
Direttive, di introdurre misure che comportino un abbassamento nei livelli di protezione rispetto al quadro normativo precedente (cfr. ad es. Dir. 1999/70/CE). In vero il principio in parola non ha valore assoluto, ed anzi ammette che arretramenti di tutela possano essere introdotti per motivi di politica sociale del tutto diversi dall’obbligo di trasposizione delle regole dell’Unione, benché resti fermo anche rispetto a normative di non diretta attuazione delle direttive europee (cfr. per tutte Xxxxx Xxxxx., 00 novembre 2005, C-‐144/04, Xxxxxxx)24.
e) Vi è poi da considerare la clausola sociale orizzontale, espressa dagli obiettivi sociali
contenuti nell’elenco di cui all’art. 9 TFUE (piena occupazione, progresso sociale, lotta all’esclusione sociale ed alle discriminazioni, giustizia e protezione sociale, parità tra uomini e donne, solidarietà tra generazioni). A prescindere dalla vincolatività e coercibilità di tali principi, non sembra inutile ricordare come fino al Trattato di Lisbona i diritti sociali dovevano essere solo “tenuti presenti”, ma non costituivano un limite invalicabile né un vincolo di scopo per gli Stati25. Sembrerebbe porsi in netto contrasto con i menzionati obiettivi dell’Unione l’azione di uno Stato membro che autorizzasse la contrattazione collettiva a ridurre od ostacolare il perseguimento degli obiettivi medesimi.
f) Leggendo l’ambigua espressione contenuta nella lett. e) dell’art. 8, comma 2, là dove consente deroghe con riferimento «alle modalità di assunzione», ci potrebbe interrogare se la CCP possa ad esempio introdurre una disciplina semplificata di assunzione, in deroga alle disposizioni di cui all’art. 39, d.l. n. 112/2008 (conv. in l. n. 133/2008) e della l. n. 4/1953, che fissano un sistema di comunicazioni amministrative e di informazione al singolo lavoratore circa gli elementi essenziali del rapporto di lavoro. Sul punto un limite espresso potrebbe essere rappresentato dalla disciplina di cui alla Dir. 91/533, nella quale (art. 2) si prevede che il datore di lavoro sia tenuto a comunicare al lavoratore «gli elementi essenziali del contratto o del rapporto di lavoro», tra i quali sono annoverati l’identità delle parti, il luogo di lavoro, il titolo, grado, qualità o categoria dell'impiego attribuiti al lavoratore, la data d'inizio del contratto o del rapporto di lavoro, ed altri26.
g) Pur nel contrasto di opinioni circa il significato da attribuire all’espressione «conseguenze del recesso» contenuta nell’elenco dell’art. 8, occorre segnalare come il diritto dell’Unione si preoccupi in più luoghi di tutelare il lavoratore in caso di licenziamento: già nella Dir. 98/59/CE in materia di licenziamenti collettivi, ma specialmente nell’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea27. Ove con tale espressione di intendesse toccare la cruciale materia dei licenziamenti, l’intervento della CCP avrebbe tanti e tali contrappesi (costituzionali, europei, internazionali), da potersi dubitare della sua stessa ammissibilità. Alla luce delle modifiche ora introdotte dalla l. n. 92/2012 proprio in materia di licenziamenti, il riferimento alle «conseguenze del recesso» sembra potersi interpretare in modo simbolico, quale portato storico del dibattito sulla riformulazione dell’art. 18 St. lav. (nel 2011 all’apice
24 In merito cfr. Corazza, Lavoro a termine e clausole di non regresso, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2008, 499 ss., spec. 509.
25 Ferrara M. D., L’integrazione europea attraverso il “social test”: la clausola sociale orizzontale e le sue possibili applicazioni, in Riv. Giur. lav., 2013, I, 295 ss.; Xxxxxxx, Diritti sociali fondamentali e regolazione del mercato nell'azione esterna dell'Unione Europea, in Riv. Giur. lav., 2013, I, 321 ss.
26 Lassandari, Il limite del «rispetto della costituzione», in Riv. Giur. Lav., 2012, I, 507.
27 Cfr. per tutti Orlandini, La tutela contro il licenziamento ingiustificato nell'ordinamento dell'unione europea, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2012, 619 ss., ove viene valorizzata la cogenza dell’art. 30 in termini di conseguenze sanzionatorie del licenziamento ingiustificato.
dell’agenda di Governo, anche sulla spinta delle istituzioni finanziarie internazionali). Tanto più che in nessun altro Paese europeo una delega incontrollata ed in peius alla contrattazione aziendale o territoriale sarebbe immaginabile con riguardo alla protezione contro il licenziamento28.
h) Il riferimento, contenuto nella lett. a) dell’art. 8, comma 2 agli impianti audiovisivi ed alla introduzione di nuove tecnologie coinvolge il tema della privacy e protezione dei dati personali sul luogo di lavoro. La disciplina dettata dalle Dir. 95/46/CE, 2002/14/CE e 2002/58/CE, nonché dalla Raccomandazione n. R (89)2 del Consiglio d’Europa restituisce un quadro tanto generale quanto sfumato in termini di efficacia, ma rappresenta pur sempre un limite invalicabile dalla CCP, considerati i valori della dignità e della riservatezza implicati nella relativa regolazione29. In special modo l’introduzione di nuove tecnologie30, fonti potenziali di lesione di tali beni giuridici, costituisce un terreno privilegiato per saggiare la capacità della disciplina sovranazionale di arginare ed orientare le deroghe della CCP.
i) A chiudere questa schematica esemplificazione delle tecniche generali di limitazione della CCP deve infine essere richiamato il principio della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti, incluso tra i diritti fondamentali dell’ordinamento comunitario (cfr. gli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). Detto principio involge il rapporto tra diritto interno e diritto comunitario, nella misura in cui gli Stati membri sono tenuti ad assicurare forme di tutela quantomeno equivalenti rispetto a quelle previste dai diritti nazionali per situazioni analoghe (principio di equivalenza), nonché a garantire che l’esercizio del diritto non risulti eccessivamente difficile o addirittura impossibile (principio di effettività) (cfr. Xxxxx Xxxxx., 00 ottobre 2009, C-‐63/08, Pontin)31.
All’esito dell’esame dei diversi ambiti oltre i quali le deroghe introdotte dalla CCP non possono spingersi (ma se ne potrebbero elencare molti altri32), occorre esaminare il quomodo di tali deroghe, come indicato più o meno chiaramente dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Soccorrono sul punto alcune decisioni rese in merito ai rapporti fra legge e contrattazione collettiva ed ai limiti che quest’ultima incontra nel delegare le parti sociali ad intervenire.
In una decisione riguardante la deroga introdotta per contratto collettivo alla disciplina dell’età pensionabile (dei piloti Lufthansa), la Corte ha affermato (con formulazione alquanto contorta) che «gli Stati membri possono, mediante norme di delega, autorizzare le parti sociali ad adottare misure ai sensi di tale art. 2, n. 533, nei settori cui detta disposizione si riferisce,
28 In generale sul tema cfr. da ultimo Xxxxxxxxxx (a cura di), Le discipline dei licenziamenti in Europa. Ricognizioni e confronti, Milano, 2013, in corso di pubblicazione.
29 Cfr. da ultimo Giubboni, Potere datoriale di controllo e diritto alla privacy del lavoratore. Una sinossi delle fonti europee e internazionali, in Riv. Giur. Lav., 2012, 81 ss., spec. 93.
30 Su cui cfr. per tutti Tullini (a cura di), Tecnologie della comunicazione e riservatezza nel rapporto di lavoro. Uso dei mezzi elettronici, potere di controllo e trattamento dei dati personali, Xxxxxx, 0000.
31 In argomento cfr. Monaco M. P., Gli ultimi interventi della Corte di giustizia in relazione al tema della donna lavoratrice, in Dir. Rel. Ind., 2010, 281 ss.
32 Cfr. spec. Xxxxxxxx, Deroga della legge e rispetto della normativa comunitaria, cit., 523-‐524.
33 L’art. 2, n. 5 della Dir. 2000/78 fa salve le misure previste dalla legislazione nazionale ritenute «necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui».
rientranti negli accordi collettivi e a condizione che tali norme di delega siano sufficientemente precise per garantire che dette misure rispettino i requisiti enunciati al citato art. 2, n. 5». La Corte ne desume che una misura che fissa a 60 anni l’età limite a partire della quale i piloti non possono più esercitare la loro attività lavorativa, mentre la normativa nazionale e quella internazionale fissano tale età a 65 anni, non è una misura necessaria alla sicurezza pubblica e alla tutela della salute ai sensi del medesimo art. 2, n. 5»34.
In senso addirittura più generale, una pronuncia coeva in materia di orario di lavoro ha ricordato che, «quando il diritto dell’Unione lascia agli Stati membri la facoltà di derogare a talune disposizioni di una direttiva [anche mediante delega alla contrattazione collettiva], questi sono tenuti ad esercitare il proprio potere discrezionale nel rispetto dei principi generali del diritto dell’Unione, tra cui va annoverato il principio della certezza del diritto»35.
Ebbene, tanto il requisito della «sufficiente precisione» delle norme di delega quanto quello della «certezza del diritto» impongono di riflettere sugli effettivi spazi di manovra delle parti sociali nell’esercizio dei poteri derogatori ad esse riconosciuti dall’art. 8.
2.2. Limiti derivanti dalle convenzioni internazionali
Sul fronte dei limiti derivanti dalle Convenzioni internazionali, un problema preliminare è stabilire se il vincolo individuato dall’art. 8 consenta di includere tutte le Convenzioni e le Raccomandazioni OIL, senza che occorra uno specifico atto di ratifica da parte del nostro Paese36, ovvero se ci si debba limitare alle sole materie coperte da atti ratificati in Italia ai sensi degli artt. 10 e 80 Cost.37. Secondo la prima tesi, occorrerebbe interpretare la norma alla luce dell’art. 35 Cost., per cui in sostanza tutte le norme del diritto del lavoro andrebbero rispettate, e di contro, se l’effetto limitativo si fermasse alle sole Convenzioni ratificate, la disposizione sarebbe pleonastica dato che l’autonomia collettiva non può mai introdurre deroghe a norme di diritto internazionale vigenti38.
Ferma restando la fragilità, e in concreto la scarsa pregnanza, del vincolo in parola, la tesi che ne estende l’efficacia a tutte le Convenzioni OIL impiega argomenti in tutto controvertibili. Anzitutto quello letterale, ove si considerino le innumerevoli imperfezioni tecniche di cui è costellata l’intera disposizione, ed in specie il comma 2-‐bis, che non sembrano potersi mobilitare in un senso o nell’altro. In secondo luogo la lettura “costituzionalmente orientata” (ex art. 35 Cost.) non sembra sufficiente ad interpretare il riferimento alle Convenzioni internazionali in senso estensivo. Ma neppure ragionando a contrario – ossia ritenendo inutile il disposto normativo ove riferito alle sole Convenzioni ratificate – sembra potersi estendersi la portata naturale della norma, essendo essa riferita al «rispetto» dei «vincoli» derivanti dalle
34 Xxxxx Xxxxx., 00 settembre 2011, causa C-‐447/09, Xxxxxx, in Dir. Rel. Ind., 2011, 1187.
35 Xxxxx Xxxxx., 00 ottobre 2010, causa C-‐227/09, Xxxxxxx, in Riv. It. Dir. Lav., 2011, II, 480 e in Foro It. 2011, IV, 391.
36 Xxxxxxx, Speziale, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la “rivoluzione di agosto” del diritto del lavoro, in WPCSDLE Xxxxxxx X’Xxxxxx, n. 132/0000.XX, 48 ss.; Xx Xxxxx A., Il potere sindacale nell’ordinamento (debole) del lavoro. Vicende e prospettive, Torino, 2012, 196 ss.
37 Xxx Xxxxx, Cronache da una transizione confusa (su art. 8, l. n. 148/2011, e dintorni), in Lav. Dir., 2012, 31 ss.
38 Di Stasi A., op. cit., 200.
Convenzioni internazionali. È vero che in altri ordinamenti il riferimento alle Convenzioni OIL ha consentito di ritenere inammissibile una disciplina -‐ come ad esempio, quella del contrat nouvelles embauches per contrarietà alla Convenzione n. 158 sui licenziamenti39 -‐, ma è anche vero che essa in Francia è stata ratificata, già dal 1989, ossia appena quattro anni dopo la sua entrata in vigore40. Peraltro, come le Convenzioni ratificate non fanno sorgere diritti in capo ai singoli41, a maggior ragione, nelle materie per le quali l’Italia non ha ratificato le Convenzioni OIL, sussistono vincoli di scopo e di mezzi assai deboli per il legislatore nazionale. Solo in tal senso allora possono rinvenirsi limitazioni, sostanziali o procedurali, per la contrattazione di prossimità in deroga, al confronto con le normative internazionali42.
Venendo ora alle singole tematiche toccate da Convenzioni e Raccomandazioni OIL, si potrebbero segnalare le seguenti questioni di compatibilità.
a) Un primo vincolo “strutturale” risulta dalla già citata Convenzione n. 158 in materia di licenziamenti, là dove si esclude che la disciplina su tale istituto possa essere demandata alla contrattazione collettiva. Specie se letto alla luce di quanto osservato retro (al n. 2.1, lett. g), tale vincolo consente di interpretare definitivamente in senso restrittivo l’ultima parte dell’art. 8, comma 2 lett. e), per cui le «conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro» potrebbero, al più, consistere nella disciplina del preavviso e del Tfr, e non invece nei regimi di tutela applicabili al licenziamento illegittimo43.
b) Con riguardo al lavoro dei minori, la pervasività dei divieti fissati nelle Convenzioni n. 138 e 182 44 e dalle relative Raccomandazioni non consente di intravvedere alcuno spazio di intervento derogatorio da parte della CCP.
c) La Convenzione n. 181 sulle agenzie per l’impiego private -‐ che fissa principi assai generali quali la non discriminazione (art. 5), la protezione dei dati personali del lavoratore somministrato (art. 6), il divieto di addebitargli costi diretti (art. 7), la tutela dei lavoratori migranti (art. 8), e altri – introduce unicamente la facoltà per lo Stato di introdurre limitazioni nell’uso di tale forma di impiego per particolari categorie di lavoratori o rami di attività, per cui difficilmente potrebbe costituire un vincolo all’eventuale estensione dei «casi di ricorso alla somministrazione di lavoro». La ratio protettiva e la maggiore precettività delle disposizioni di cui alla Dir. 2008/104/CE rendono in questo caso superfluo il richiamo ai limiti derivanti dalle convenzioni internazionali.
d) La facoltà per la CCP di introdurre deroghe in punto alle mansioni, all’inquadramento ed alla classificazione del personale deve tenere conto della Convenzione n. 142 sulla
39 Su cui cfr. da ultimo Lokiec P., Regards sur l'actualité du droit du travail en France, in Riv. It. Dir. Lav., 2012, III, 133 ss.
40 Non sembra inutile ricordare come l’Italia non abbia ratificato la Convenzione n. 158 del 1982 (cessazione della relazione di lavoro ad iniziativa del datore di lavoro), contrariamente ad altri Stati membri dell’Unione (ad es. Francia, Spagna, Xxxxxxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxxxx).
00 Xxx. ad es. l'art. 3 della Convenzione n. 103 sulla protezione della maternità, ratificata con la l. 19 ottobre 1970
n. 864, che viene considerato operante nell'ordinamento interno «col solo valore di criterio di interpretazione» (Corte Cost., 23 maggio 1995, n. 193, in Riv. Crit. Dir. Lav., 1995, 831, nota di Del Punta).
42 Cfr. in generale Xxxxxxxx, Xxxxxxx, L’organizzazione internazionale del lavoro. Diritti fondamentali dei lavoratori
e politiche sociali, Napoli, 2007.
43 Xxxxxxx, La contrattazione collettiva aziendale dopo l'articolo 8 del decreto l. 13 agosto 2011, n. 138, in Dir. rel. ind., 2012, 16 ss.
44 Ratificate in Italia rispettivamente con legge n. 157/1981 e con legge n. 148/2000: in argomento per tutti cfr. Xxxx, Xxxxxx, Pertile (a cura di), Child Labour in a Globalized World. A legal analysis of ILO action, Ashgate, 2008.
valorizzazione delle risorse umane e i percorsi di formazione, informazione e orientamento. Tale Convenzione, ratificata in Italia con legge n. 68/1979, prevede che ogni Stato adotti e sviluppi politiche e programmi «completi e concordati di orientamento e formazione professionale, stabilendo, in particolare, grazie ai servizi pubblici dell'impiego, una stretta connessione tra orientamento, e formazione professionale e impiego» (art. 1). Anche in questo caso difficilmente si possono rilevare limiti sostanziali alle eventuali deroghe introdotte dalla CCP.
e) In materia di ferie del lavoratore, gli spazi di intervento della CCP sono fortemente limitati dal convergere di due fonti sovranazionali: per un verso, la Convenzione n. 132, ratificata in Italia con legge n. 157/1981, fissa un tetto minimo di ferie di tre settimane da garantire a tutti i lavoratori ed inoltre il principio per cui le ferie maturate devono essere godute entro 18 mesi dalla fine dell’anno di maturazione; per altro verso, la Dir. 2003/88/CE dispone che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane (art. 7.1), delle quali viene altresì esclusa la possibilità di essere sostituite da apposite indennità, se non a fine rapporto (art. 7.2). per l’operare di tali fonti sovranazionali sarebbe invalido un accordo di prossimità che prevedesse, ad esempio, al liquidazione delle ferie non godute in misura tale da intaccare i minimi sopra segnalati.
f) In parallelo rispetto a quanto sopra detto circa la Dir. 95/46/CE e le sue implementazioni
nel nostro ordinamento sulla materia della privacy, occorre segnalare il Code of practice on the protection of workers’ personal data, adottato dall’OIL nel novembre 2006, privo di forza cogente ma contenente rilevanti guidelines per i legislatori nazionali, che nel delegare i propri poteri non potranno non assecondarle45.
Alla luce della disamina delle citate fonti normative OIL, deve ricordarsi come di recente la stessa Organizzazione, nell’ambito di dichiarazioni ufficiali, abbia inteso muoversi in direzione diametralmente opposta rispetto ai legislatori di alcuni importanti Paesi (specialmente Gran Bretagna e Stati Uniti), rimarcando che la contrattazione collettiva settoriale o comunque nazionale rimane un «baluardo ineliminabile per il mantenimento delle condizioni di lavoro». In netta contrapposizione rispetto alla tendenza segnalata in apertura del presente contributo, il decentramento contrattuale (insieme al calo dei tassi di sindacalizzazione) è ritenuto uno dei fattori di maggiore criticità in ordine al peggioramento delle disuguaglianze ed all’incremento dell’instabilità sociale46.
3. Efficacia ed effettività dei vincoli sovranazionali
Il punto di caduta delle questioni ora accennate consiste nell’interrogarsi sul problema della reale portata e dell’enforcement dei limiti di natura europea ed internazionale, ossia su come e da chi possano essere resi coercibili.
45 Cfr. Giubboni, Potere datoriale di controllo e diritto alla privacy del lavoratore. Una sinossi delle fonti europee e internazionali, cit., 91.
46 Cfr. Xxxxxx X., Weakening collective bargaining hurts recovery, ILO, Geneve, 12 settembre 2012, in xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxxxx/xxxxx-‐the-‐ilo/newsroom/comment-‐analysis/WCMS_189517/lang-‐-‐en/index.htm, secondo la più approfondita analisi curata dalla stessa A. in Xxxxxx S. (a cura di), The role of collective bargaining in the global economy. Negotiating for social justice, Ilo, Xxxxxx, 0000.
Secondo i primi commentatori, la giurisprudenza potrebbe aggredire direttamente ed immediatamente il testo collettivo sottopostole, dichiarandolo illegittimo in tutto o in parte per contrarietà a questo o quel limite47. Un’altra possibilità sarebbe quella di sollevare dinanzi alla Corte costituzionale, alla Corte di giustizia europea, od anche alla Corte Internazionale di giustizia dell’OIL, una questione pregiudiziale48.
Nel merito del sindacato giudiziale, il giudice potrebbe disapplicare la disposizione, introdotta dalla CCP, ove la ritenga palesemente in contrasto con le normative sovranazionali europee o internazionali. Oppure, per i problemi sopra affrontati, potrebbe ipotizzarsi l’ammissibilità di un giudizio di ragionevolezza, riferito agli elementi costitutivi della fattispecie abilitativa, e condotto attraverso una ponderazione della scelta derogatoria operata dalla CCP e delle finalità in concreto perseguite; ciò si risolverebbe in una disamina dell’adeguatezza e congruenza della scelta in deroga rispetto ai fini dichiarati49.
Ove l’esito di tale sindacato si risolvesse nell’accertamento della contrarietà del CCP rispetto ai principi costituzionali e sovranazionali, l’accordo andrebbe dichiarato (anche solo parzialmente) nullo, con riespansione della normativa inderogabile in sostituzione delle clausole invalide (art. 1419, 2° comma c.c.)50.
Quale che sia la soluzione che in concreto venga perseguita, il profilo delle tecniche di tutela mostra apertamente i margini di incertezza che contrassegnano il campo di azione delle parti sociali nell’ambito della CCP, e la stessa facoltà di reazione del singolo lavoratore. Specie se posta a confronto con l’amplissima discrezionalità entro la quale il giudice è viceversa chiamato a muoversi, si comprende come quest’ultimo finisca per giocare un ruolo decisamente più complesso rispetto a quello di «normale custode» della Costituzione e delle norme sovranazionali51. Il comma 2-‐bis dell’art. 8, pertanto, rischia di creare più problemi interpretativi di quanti la sua introduzione (ad opera della legge di conversione) mirasse a risolvere, rivelandosi un inciso destinato, invece che ad aumentare i margini di flessibilità organizzativa del datore di lavoro, ad alimentare un contenzioso giudiziario dagli esiti del tutto imprevedibili52.
4. Le prime esperienze di contrattazione di prossimità: le pedine, la scacchiera, il giocatore
Alla prova dei fatti, molte delle prime esperienze di CCP non pongono soverchi problemi di compatibilità rispetto alle normative sovranazionali accennate in precedenza53. Ad oggi gli
47 Carinci F., Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, cit.
48 Ales, Dal caso fiat al “caso Italia”. Il diritto del lavoro “di prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, cit.
49 Paolitto, Il sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità tra la norma inderogabile di legge e le lenti del giudice, Quaderni Fondazione Xxxxx Xxxxx. Saggi, n. 2.VIII, 16-‐17.
50 Xxxxxxxxx F., Il contratto collettivo nell’art. 8, d.l. n. 138 del 2011: problemi e prospettive, in Nogler L., Corazza L. (a cura di), Risistemare il diritto del lavoro. Liber amicorum Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Milano, 2012, 718 ss., spec. 724. 51 Xxxxxxxxx F., op. ult. cit., 725.
52 Tosi P., Gli assetti contrattuali fra tradizione e innovazione, in Arg. Dir. Lav., 2013, 506 ss.
53 Cfr. ad es. Trib. Venezia, 24 luglio 2013, n. 583, inedita per quanto consta, che, su ricorso di lavoratori non iscritti ai sindacati firmatari, ha confermato la validità ed efficacia di un accordo di prossimità volto a derogare alla disciplina del CCNL in materia di orario di lavoro (riduzione dell’orario normale settimanale a 34 ore).
accordi siglati e noti, nonché quelli dietro i quali si celano esperienze di CCP ex art. 854, hanno riguardato numerose materie, tra cui: l’utilizzo della somministrazione di lavoro a tempo determinato55; il lavoro straordinario, supplementare, il compenso per clausole elastiche e flessibili, il lavoro a turno, il lavoro domenicale o festivo anche svolto in normale orario di lavoro56; gli impianti audiovisivi57; l’ambiente e la sicurezza sul lavoro, l’orario di lavoro e la banca ore, il luogo di lavoro, le trasferte, la gestione delle ferie e i permessi retribuiti, gli indumenti di lavoro, il cambio di appalto 58 ; la dequalificazione professionale «in via temporanea e per un periodo prestabilito, con adeguamento della retribuzione in caso di ipotesi di internalizzazione di attività compiute da fornitori esterni» 59 ; il mutamento dell’orario multiperiodale e la liberazione del vincolo di solidarietà negli appalti60.
In una considerazione complessiva del limitato numero di accordi in deroga che hanno
dato attuazione all’art. 8, occorre rilevare come una parte di essi sia riconducibile ai mutamenti legislativi intervenuti di recente, essendo sovente diretti ad introdurre forme graduali di allineamento dei rapporti di lavoro alle novità introdotte negli anni 2012-‐201361. Altra parte sembra rispondere alla logica della sussidiarietà, nel senso di introdurre modifiche e adattamenti, anche peggiorativi, del contratto nazionale o della legge secondo le esigenze della singola azienda.
Assai più critico è l’impiego della CCP per intaccare snodi fondamentali di intere discipline. Un esempio concreto viene da un recente contratto collettivo aziendale – stipulato formalmente ex art. 5, comma 4-‐bis, d.lgs. n. 368/2001 ma che, incidendo in deroga alla disciplina sul contratto a termine, sembra inquadrarsi nell’ambito dell’art. 8 in esame. Tale accordo prevede l’introduzione della facoltà, per il datore di lavoro, di ampliare i vincoli temporali di prolungamento dei contratti a tempo determinato fino a 63 mesi (36 di legge più ulteriori 27 mesi)62. La previsione, anche se letta nell’ambito del solo art. 5, comma 4-‐bis, d.lgs.
n. 368/2001, in tanto può considerarsi legittima in quanto dal testo dell’accordo si possa desumere il rispetto della clausola n. 5 della Dir. 1999/70 come interpretata dalla Corte di giustizia.
54 Propongono attente e documentate disamine delle prime applicazioni dell’art. 8 Imberti, A proposito dell’art. 8 della legge n. 148/2011: le deroghe si fanno ma non si dicono, in Giorn Dir. Lav. Rel. Ind., 2013, 255 ss. e Xxxxxxxxxx L., Le prime ipotesi applicative della clausola 7 dell’Accordo interconfederale 28 giugno 2011 e dell’art. 8 della legge n. 148/2011, in Riv. Giur. Lav., 2013, I, 211 ss.
55 Accordo 21 settembre 2011, richiamato da Xxxxxx, X. Xxxxxx, Diritto sindacale, Bologna, 2012, 223-‐224.
56 Accordo territoriale di secondo livello, sottoscritto dall’Unione Commercio Turismo Servizi e P. M. I. della Provincia di Venezia, il 30 giugno 2012, reperibile in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
57 Accordo nella Banca Popolare di Bari del 2 febbraio 2012, reperibile in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
58 Contratto integrativo provinciale Unci – Fast – Fesica per la provincia di Roma concluso il 23 aprile 2012, reperibile in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx e in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xx-‐ content/uploads/2013/02/Cooperative_Integrativo_Roma_23-‐4-‐2012.pdf .
59 Accordo integrativo aziendale Infocert – RSU e Fim Cisl, 21 dicembre 2012, reperibile in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx e in xxx.xxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxxxxxxx/xxxx/xxxxxxx_xxxxxxxxx_Xxxxxxxx.xxx .
60 Accordo Ilva Paderno Dugnano 27 settembre 2011, esaminato in particolare da Xxxxxxxxx, Venturi, Le dubbie deroghe ex art. 8 alla solidarietà negli appalti: brevi note sul contratto aziendale dell’ILVA di Paderno Dugnano, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, 15 aprile 2013.
61 Cfr. ad es. l’Accordo di prossimità Golden Lady del 16 luglio 2012, che posticipa di 12 mesi l’entrata in vigore della nuova disciplina sull’associazione in partecipazione introdotta dalla legge n. 92/2012.
62 Accordo 21 dicembre 2011 Telecom Italia Media – SLC Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil.
Al riguardo la Corte ha più volte affermato che, nella valutazione della questione se il rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato sia giustificato da una ragione obiettiva, gli Stati membri «devono prendere in considerazione tutte le circostanze del caso concreto, compresi il numero e la durata complessiva dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi in passato con il medesimo datore di lavoro»63.
La durata massima consente dunque, come altri elementi, di apprezzare la ricorrenza delle ragioni obiettive che impediscono l’abuso della reiterazione dei contratti. Solo ragioni obiettive che permettono la prosecuzione e/o il rinnovo del contratto a termine per un tempo che complessivamente sfora il tetto legale possono considerarsi legittime ai sensi della citata clausola n. 5. Viene qui in gioco il principio antiabusivo richiamato nelle pagine che precedono, che permea molte delle discipline europee in materia di contratti flessibili, ma la cui concreta attuazione è tutt’altro che pacifica.
In tal senso occorre interrogarsi sulla proficuità di affidare alla CCP il delicatissimo compito di dettare norme contrattuali che si pongano non in contrasto con il principio antiabusivo, considerato che secondo molti interpreti neppure il legislatore – ad esempio nel settore pubblico con l’art. 36, comma 2, d.lgs. n. 165/2001-‐ sarebbe stato in grado di ottemperare correttamente a tale compito64.
Determinata con un certo grado di precisione la fisionomia degli attori in campo (le pedine), le mosse che sulla scacchiera esse possono intraprendere e viceversa quelle che sono loro impedite (per l’operare dei vincoli sovranazionali sopra esaminati), residuano tuttora numerose incertezze con riguardo al “motore immobile” del sistema, il vero e proprio giocatore della partita che in molti territori e presso molte imprese si sta svolgendo, ossia il giudice: questi è chiamato a controllare ex post la conformità dei prodotti di CCP rispetto a tanti e tali limiti (costituzionali, europei, internazionali) da lasciare aperta pressochè qualsiasi soluzione.
E per la vaghezza ed estensione degli ambiti e dei limiti entro i quali la CCP è autorizzata a muoversi, il sindacato giudiziario finisce per risultare ancora una volta l’approdo cui si è costretti a ricorrere; ciò pur in presenza di espressioni (o clausole) generali o generalissime65, dinanzi alle quali la funzione nomofilattica della Cassazione, riaffermata con decisione in alcune recentissime pronunce66, a stento riuscirà ad offrire risposte tempestive ed efficaci. L’azione delle parti sociali, specie a livello della singola impresa, viene lasciata in balia di se stessa e dell’equilibrio delle forze contrattuali di volta in volta verificato.
63 Fra le tante cfr. Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2012, causa C-‐586/10, Xxxxxx Xxxxx, in Dir. Rel. Ind., 2012, 585.
64 Non a caso dalla complessa vicenda giudiziaria che ha interessato vari ambiti del pubblico impiego, primo fra tutti quello scolastico, sono da ultimo scaturite due ordinanze di rimessione alla Corte di giustizia da parte della Corte Costituzionale italiana (cfr. Xxxxx Xxxx., 00 luglio 2013, nn. 206 e 207).
65 Paolitto, Il sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità tra la norma inderogabile di legge e le lenti del giudice, cit., 18.
66 Cfr. Cass., 14 marzo 2013, n. 6501, di prossima pubblicazione in Riv. It. Dir. Lav., n. 4/2013.