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IL RECEPIMENTO DELLE NUOVE DIRETTIVE SUI CONTRATTI PUBBLICI
La giurisprudenza amministrativa sulle procedure di affidamento di contratti pubblici
1. Premessa
Questa relazione prende le mosse da una ricognizione delle sentenze pubblicate dell’ultimo triennio (2012 – 2014) dal Consiglio di Stato in relazione al contenzioso sulle procedure di affidamento di contratti regolati dal codice di cui al d.lgs. n. 163/2006, vale a dire quelli <<aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere>> delle pubbliche amministrazioni o soggetti equiparati.
Sulla base di questa analisi è possibile distinguere tre principali “aree” di controversie in materia, suddivise secondo la natura e l’omogeneità delle questioni in esse trattate. Un primo settore è quello dei ricorsi nei quali si pongono questioni concernenti l’ammissione delle imprese alle gare; vi è quindi una quota di controversie (o nell’ambito di queste ultime, di motivi) concernenti le modalità di svolgimento della procedura di affidamento; inoltre, un gruppo di impugnative nelle quali si censura l’operato della stazione appaltante nella valutazione delle offerte (anche in questo caso, con maggiore frequenza, di motivi nell’ambito di ricorsi più articolati e contenenti censure riconducibili alle altre tipologie di questioni, come sopra suddivise); infine, l’ultimo “filone” è quello nel quale si controverte sulla legittimità di atti di ritiro in autotutela della gara da parte dell’amministrazione (bando, aggiudicazione provvisoria o aggiudicazione definitiva).
2. La suddivisione del contenzioso amministrativo in materia di appalti
L’analisi svolta (ma anche l’esperienza concreta dello scrivente, ancorché parziale) ha fatto emergere una decisa preponderanza delle questioni concernenti l’ammissione delle imprese alle gare. Meno rilevanti sono i motivi di impugnativa nei quali si contestano le modalità di svolgimento della procedura di affidamento. Quasi mai questi ultimi esauriscono il novero dei motivi articolati in un singolo ricorso. Anche le impugnative indirizzate alla valutazione delle offerte ha minore rilevanza e, conseguentemente, minore produzione giurisprudenziale rispetto alle controversie incentrate sull’ammissione alle procedure di gara.
Tuttavia, nell’ambito di quest’ultimo filone hanno un peso considerevole le questioni concernenti la verifica di anomalia dell’offerta, e tra queste soprattutto quelle nelle quali si contesta il giudizio positivo reso dall’amministrazione all’esito di questa sub-fase della procedura, e dunque si impugna la mancata esclusione dell’aggiudicataria per supposta incongruità dell’offerta, rispetto a quelle nelle quali viene invece censurata l’esclusione dell’offerta temporaneamente individuata come la migliore all’esito della relativa valutazione. Esiguo è infine anche il contenzioso sui provvedimenti di ritiro in autotutela degli atti di gara.
Le ragioni di questa diversa distribuzione qualitativa del contenzioso sono agevolmente intuibili.
Vi è innanzitutto un fattore che potrebbe essere definito di carattere normativo.
Questo è riconducibile alla più cospicua regolamentazione di carattere primario e secondario che sotto diversi profili interessa la selezione degli operatori economici titolati a partecipare a procedure di affidamento di contratti pubblici. Limitando lo sguardo al codice “appalti” ed al regolamento di attuazione attualmente vigenti, ed in particolare agli appalti nei settori ordinari (parte II del codice), possono innanzitutto essere richiamate le disposizioni concernenti i <<requisiti dei partecipanti alle procedure di affidamento>> (capo II del titolo I; artt. 34 – 52). Queste sono a loro volta affiancate da un’analitica disciplina di carattere attuativo contenuta nel regolamento di attuazione di cui al d.p.r. n. 207/2010, ripartita tra il sistema di qualificazione degli esecutori di lavori (artt. 60 – 104) ed i requisiti di capacità negli appalti di servizi e forniture (artt. 275 – 281). Si possono poi richiamare gli artt. 73 e 74, relativi alle forme delle modalità di presentazione delle domande di partecipazione alla gara e delle offerte e 75, sulla cauzione provvisoria.
Nella stessa area si collocano anche le questioni concernenti i controlli sugli atti delle procedure di affidamento e sul possesso dei requisiti, e dunque sull’applicazione, rispettivamente, degli artt. 12 e 48 del codice “appalti”.
A questa normativa fondamentale si affianca quella richiamata o in qualche modo rilevante ai fini dell’ammissione alle procedure di affidamento di contratti pubblici: dalle norme sulla semplificazione amministrativa (d.p.r. n. 445/2000), al codice civile e penale, per quanto concerne, da un lato, i tipi di impresa previsti nel nostro ordinamento giuridico e le relative vicende giuridiche modificative – estintive, nonché la loro organizzazione interna e funzionamento e, dall’altro lato, i reati che possono incidere sull’affidabilità morale ai sensi dell’art. 38 cod. contratti pubblici, nonché le disposizioni di natura processuale relative
all’organizzazione ed al funzionamento del casellario giudiziale ed alle modalità per conseguire l’estinzione del reato. Non va poi trascurata la legislazione speciale, relativa, sotto il primo profilo poc’anzi enucleato, al c.d. “terzo settore” e, sotto il secondo profilo, la normativa antimafia, recentemente compendiata nel codice di cui al d.lgs. n. 159/2011, anch’essa assai rilevante in ordine al possesso dei requisiti di ordine generale.
Pertanto, può certamente affermarsi che una quota di contenzioso sia in qualche modo fisiologicamente determinata dai dubbi e le incertezze di carattere applicativo che sorgono dal coordinamento tra diversi corpora normativi ed in particolare dall’innesto di settori di legislazione nel troncone generale delle regole di azione dell’amministrazione pubblica in cui si sostanzia il diritto amministrativo.
Inoltre, con specifico riguardo ai requisiti da ultimo menzionati, vengono poi in rilievo nell’ambito del contenzioso amministrativo sui contratti pubblici aspetti connessi al fallimento ed alle altre procedure concorsuali, la legislazione, sempre mutevole, fiscale e previdenziale.
Minore, ma comunque non trascurabile, è il rilievo della normativa citata per quanto concerne i requisiti di qualificazione e capacità tecnico-professionale ed economico- finanziaria, in relazione ai quali il contenzioso è comunque inferiore dal punto di vista quantitativo rispetto a quello concernente le tipologie di operatori economici ammessi alle gare e le loro caratteristiche ed a quello nel quale si controverte intorno al possesso dei requisiti di ordine generale.
Rivolgendo nuovamente lo sguardo al codice dei contratti pubblici, un ruolo fondamentale hanno le norme di carattere “procedimentale”, contenute negli artt. 38, 46 e 46- bis, oggetto di recenti e significativi interventi normativi, l’ultimo dei quali, forse il più incisivo, è quello di cui al d.l. 90/2014, conv. con l. n. 114/2014, recante, tra l’altro,
<<misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza normativa>>.
Le modifiche apportate alle disposizioni ora richiamate sono particolarmente qualificanti dei più recenti indirizzi di politica legislativa in materia di appalti pubblici, incentrati appunto sulla riduzione del contenzioso sia attraverso la semplificazione degli oneri documentali a carico delle imprese partecipanti alle procedure di affidamento che l’ampliamento dei casi in cui la stazione appaltante può soccorrere l’impresa partecipante in caso di incompletezze o non chiarezza della documentazione, con conseguente restringimento delle ipotesi di applicazione della sanzione dell’esclusione dalla gara. Il tutto al fine di non restringere eccessivamente il confronto competitivo e dunque la concorrenza.
Salvo che per il citato intervento legislativo, con riguardo alle modifiche precedenti si registrano significativi contributi giurisprudenziali, complessivamente posti nella direzione tracciata dal legislatore ed auspicata dai governi promotori delle novelle normative.
Rimanendo sul piano dell’analisi quantitativa del contenzioso amministrativo in materia di appalti pubblici, e passando all’area di questo riguardante le modalità di svolgimento della gara, è possibile notare subito una minore incidenza delle disposizioni del d.lgs. n. 163/2006 ad essa pertinente. Vengono essenzialmente in rilievo in questo caso le regole sulle comunicazioni e sulla verbalizzazione degli atti di gara (artt. 77 – 79-bis) sulla commissione giudicatrice in di gara da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 84); le disposizioni del regolamento di attuazione relativa all’apertura delle buste in caso di gare in cui il metodo selettivo sia questo ora citato (artt. 120, comma 2, e 283, comma 2, d.p.r. n. 207/2010); ed i principi generali di trasparenza ed imparzialità (art. 2, comma 1, del codice), relativamente alle modalità di conservazione delle buste e verbalizzazione delle operazioni di gara e delle attività svolte dalla commissione.
Le questioni concernenti la valutazione delle offerte si incentrano sulla corretta applicazione dei criteri di selezione e di verifica delle offerte sospettate di anomalia, previsti dagli artt. 81 a 89 del codice (nonché 118 – 121 del regolamento di attuazione), cui va aggiunto l’art. 76, relativo alle varianti progettuali.
Infine, nella quota di contenzioso riguardante gli atti di ritiro delle gare si pongono con grande frequenza questioni concernenti le fasi di queste ultime, come scandite dall’art. 11 del codice, in combinato con le norme generali sul potere di autotutela contenute nella legge generale sul procedimento amministrativo, e cioè gli artt. 21-quinquies e 21-nonies, rispettivamente per la revoca e l’annullamento d’ufficio.
3. I fattori del contenzioso amministrativo sugli appalti pubblici
Le cause all’origine del concentrarsi del contenzioso sull’ammissione alle procedure di affidamento non sono comunque legate alla sola massa critica di norme positive o principi generali applicabili alla specifica materia.
E’ certamente predicabile una relazione di proporzionalità diretta tra lo stock di legislazione ed il contenzioso giurisdizionale ad essa relativo, anche in modelli teorici nei quali si ipotizzi che gli operatori agiscano con comportamenti razionali. A titolo esemplificativo possono essere ricordate le innumerevoli questioni di non sempre agevole
decifrabilità poste da requisiti di ordine generale previsti dal più volte citato art. 38 del codice appalti. Ciò sia per quanto riguarda la parte “sostanziale”, e cioè la sussistenza delle cause ostative alla partecipazione elencate nel comma 1, sia per le implicazioni più strettamente “procedimentali” poste da queste ultime, e dunque sulle modalità con cui tali requisiti devono essere attestati dalle imprese, per le quali vengono in rilievo i commi 1-ter, 2, 3, ed ora, in seguito alle modifiche apportate dal citato d.l. 90/2014, il comma 2-bis.
Tuttavia, a questa correlazione si affiancano fattori che possono essere definiti di carattere “qualitativo” e che traggono origine per lo più da ragioni di strategia processuale. Con quest’ultima notazione si vuole alludere al risultato conseguibile da parte di colui che agisce, il quale costituisce una variabile essenziale nell’ambito della decisione di intraprendere un contenzioso, e precisamente in sede di valutazione dei costi-opportunità.
Quando infatti si contesti l’altrui ammissione si tende al massimo risultato conseguibile per effetto della proposizione del ricorso giurisdizionale, e cioè l’esclusione “secca” dell’aggiudicataria dalla gara e, grazie agli strumenti di tutela introdotti dal d.lgs. n. 53/2010 ed ora disciplinati agli artt. 121 – 124 cod. proc. amm., l’aggiudicazione o il subentro nel contratto in luogo di quella (evidentemente, questa considerazione presuppone il caso che tipicamente si presenta all’attenzione degli organi di giustizia amministrativa, tanto da costituire il paradigma dei giudizi in materia di appalti, e cioè l’impugnazione degli atti di gara da parte dell’impresa seconda classificata, o dell’unica altra impresa partecipante).
Il tasso di conflittualità è ulteriormente alimentato dalla contro-impugnazione che l’aggiudicataria evocata in giudizio può svolgere attraverso lo strumento del ricorso incidentale c.d. “escludente”. Quest’ultimo, reciprocamente rivolto a contestare l’ammissione della ricorrente principale, alla luce dei consolidati principi giurisprudenziali interni che impongono l’esame prioritario delle censure escludenti la legittimazione ad agire della ricorrente principale consente all’aggiudicataria di massimizzare in sede processuale il vantaggio sostanziale conseguito all’esito della gara [sentenze dell’Adunanza plenaria 7 aprile 2011, n. 4, 30 gennaio 2014, n. 7 e 25 febbraio 2014, n. 9, che ha “riletto” il temperamento stabilito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza Fastweb (4 luglio 2013, C-100/12), per il caso di censure “incrociate” delle litiganti uniche partecipanti alla gara]. In virtù di queste peculiari regole processuali vigenti nel micro-settore del contenzioso amministrativo sugli appalti pubblici si assiste spesso ad un vero e proprio “fuoco di sbarramento” di censure sull’ammissione della ricorrente principale svolte in via incidentale dall’aggiudicataria, che naturalmente alimenta il numero delle controversie e reca con sé i
rischi di oscillazioni giurisprudenziali sull’interpretazione delle norme concernenti la partecipazione alle procedure di affidamento.
Il risultato descritto finora: scalzare l’impresa vincitrice del confronto competitivo consumatosi nella gara, non è invece ottenibile quando le censure siano indirizzate alle modalità di svolgimento della gara. In questo caso, infatti, l’impresa ricorrente non può ottenere il bene della vita consistente nell’aggiudicazione o nel contratto, ma – come costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa in sede di esame delle domande di reintegrazione in forma specifica o per equivalente - la relativa soddisfazione passa necessariamente dalla rinnovazione della gara, a partire dal punto nel quale se ne è accertata giudizialmente l’illegittimità.
L’unica eventualità di ristoro che si profila in questo caso, laddove la rinnovazione non sia possibile perché, ad esempio, il contratto è stato già stipulato ed eseguito (in ipotesi perché la ricorrente vittoriosa nel merito è risultata invece soccombente nella fase cautelare), è dunque quella del risarcimento della chance (sulla quale si veda la recente pronuncia della V Sezione del Consiglio di Stato 22 dicembre 2014, n. 6264, che ha affermato la natura ontologica della chance quale elemento attivo del patrimonio di ciascuna partecipante a procedure di affidamento la cui offerta sia stata ammessa alla conseguente selezione, poi non concretizzatasi a causa delle illegittimità consumatesi nella procedura di affidamento, valutabile a fini risarcitori in caso di impossibilità di stabilire l’esito della gara).
La valutazione costo - opportunità dell’impugnazione attraverso motivi di questa ultima specie è dunque decisamente sbilanciata a favore dei primi. Non è quindi un caso, ma anzi è proprio in ragione in ciò che controversie “pure” sulle modalità di svolgimento della gara sono raramente riscontrabili e censure rientranti in questa tipologia sono spesso dedotte in via gradata, nell’ambito di impugnative concernenti principalmente l’ammissione dell’aggiudicataria alla gara.
4. Recenti risposte legislative per contrastare l’eccesso di contenzioso
In ragione di quanto da ultimo descritto i più recenti e significativi interventi correttivi di carattere legislativo al codice appalti, a partire dal d.l. “sviluppo” n. 70/2011 per finire al già citato d.l. n. 90/2014, si sono concentrati sui poteri di soccorso istruttorio delle stazioni appaltanti. Questi possono a ragione essere considerati una risposta agli eccessi in base a quanto ritenuto da molti osservatori è arrivato il contenzioso sugli appalti pubblici.
Per rimanere a fatti legati a scelte di strategia processuale, non può trascurarsi il peso di recenti pronunce dell’Adunanza plenaria e anche delle Sezioni semplici del Consiglio di Stato che hanno notevolmente circoscritto la possibilità di ottenere la caducazione della gara per meri sospetti che le offerte possano essere state alterati a causa di non precise modalità con cui è stata verbalizzata conservazione dei plichi: Ad. plen. 3 febbraio 2014, n. 8; Sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5253).
Permane tuttora un filone di contenzioso sulla composizione della commissione giudicatrice di procedure di affidamento con il metodo selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la quale l’art. 84 d.lgs. n. 163/2006 detta una serie di prescrizioni puntuali.
Le principali questioni all’attenzione della giurisprudenza riguardano il rispetto del requisito dell’esperienza dei commissari <<nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto>> (comma 2) e l’esistenza della causa di incompatibilità per i membri diversi dal presidente, derivante dall’avere svolto <<altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta>> (comma 4).
Sulla prima questione il Consiglio di Stato è incline a ritenere imprescindibile una specifica e comprovata attitudine e preparazione dei commissari nel settore oggetto del contratto da affidare, a garanzia della effettiva capacità dell’organo straordinario preposto alla valutazione tecnica delle offerte di giudicarne il merito e la rispondenza agli interessi dell’amministrazione con la dovuta cognizione di causa, e dunque del principio costituzionale di buon andamento (Sez. III, 18 giugno 2012, n. 3550). Sul punto, si soggiunge che attraverso la rigorosa individuazione dei componenti della commissione giudicatrice, il deficit di tutela giurisdizionale dovuto ai ristretti margini entro i quali è confinato il sindacato del giudice amministrativo nei confronti della valutazione delle offerte in procedure di affidamento da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (Sez. III, 15 luglio 2011, n. 4332).
Con riguardo alla seconda questione, si riconduce generalmente la previsione di cui al citato comma 4 all’altro principio costituzionale sancito dall’art. 97 e cioè l’imparzialità dell’amministrazione, che con riguardo alle commissioni giudicatrici è declinato dalla disposizione del codice dei contratti in esame nel senso di porre un argine preventivo rispetto al pericolo di possibili effetti distorsivi prodotti dalla partecipazione alle commissioni giudicatrici di soggetti quali progettisti, dirigenti che abbiano emanato atti del procedimento di gara e che siano intervenuti a diverso titolo nella procedura concorsuale, definendo i
contenuti e le regole della procedura (Sez. V, 28 aprile 2014 n. 2191 e 14 giugno 2013, n. 3316; sulla portata espansiva della regola si veda la sentenza dell’Adunanza plenaria 7 maggio 2013,
n. 13). A questo riguardo, si registra un contrasto recentemente insorto tra la III e la V Sezione circa la possibilità del responsabile unico del procedimento di affidamento ex art. 10 cod. contratti pubblici di fare parte della commissione giudicatrice: possibilità affermata dalla prima (5 novembre 2014, n. 5456) e invece negata dalla seconda (sentenza 4 novembre 2014 n. 5441).
Non mancano infine controversie nelle quali si fa questione del rispetto del divieto, sancito dal comma 8 dell’art. 84, di ricorso a commissari esterni alla stazione appaltante, salvo accertata carenza in organico di adeguate professionalità. In alcuni casi è stata infatti ritenuta illegittima la nomina da parte di un Comune di un membro esterno in assenza di qualsiasi motivazione sull’esito della preventiva verifica della presenza di figure professionali adeguate all’interno dell’ente (Sez. V, 22 maggio 2012 n. 2963).
Il contenzioso in questa specifica materia, relativamente più cospicuo di quello concernente in generale le modalità di svolgimento delle procedure di gara, è dunque ragionevolmente riconducibile alla sopra accennata analitica regolamentazione delle modalità di nomina e composizione dell’organo preposto alla valutazione delle offerte contenuta nell’art. 84 del codice appalti.
Per quanto concerne specificamente il ricorso a commissari esterni, il problema potrebbe in prospettiva risolversi attraverso la costituzione di centrali di committenza, secondo il disegno organizzativo prefigurato nei più recenti interventi normativi sul codice appalti (si allude alla realizzazione dei <<soggetti aggregatori>> previsti dall’art. 9 d.l. n. 66/2014, conv. con l. n. 89/2014 e sulla costituzione delle centrali di committenza previste a livello locale dall’art. 33, comma 3-bis, codice appalti, come più volte modificato, da ultimo dal d.l. n. 90/2014, conv. con l. 114/2014). Infatti, la III Sezione ha di recente ritenuto non violato il divieto di cui al comma 8 nel caso di componente dell’amministrazione destinata a ricevere le prestazioni del contratto posto a gara, laddove quest’ultima è stata invece accentrata presso una centrale di committenza a livello regionale (sentenza 12 dicembre 2014,
n. 6114). In questo modo, infatti, si realizza una maggiore flessibilità nella composizione delle commissioni giudicatrici, alleviando le amministrazioni locali più piccole dai problemi legati alla scarsità di professionali adeguate per ogni contratto cui debbano fare ricorso.
5. Il ruolo “deflattivo” della giurisprudenza amministrativa
La giurisprudenza costituisce invece un fattore decisivo del contenzioso relativamente più ridotto sulle modalità di valutazione delle offerte rispetto a quello sull’ammissione alla gara delle concorrenti.
In questo caso, le prospettive di esito positivo dell’impugnativa passano attraverso la “stretta via” del sindacato giurisdizionale su valutazioni delle stazioni appaltanti costituenti tipiche espressione di discrezionalità tecnica, in particolare nelle procedure da aggiudicare con criteri non meccanicistici, quale l’offerta economicamente più vantaggiosa ex art. 83 cod. contratti pubblici.
Pur costituendo il cuore della procedura di affidamento, anche in questo caso non sono frequenti i ricorsi esclusivamente rivolti a questa specifica fase. E ciò appunto perché il giudizio che la commissione di gara è chiamata ad a svolgere sulla rispondenza delle proposte contrattuali formulate dalle imprese partecipanti agli interessi dell’amministrazione, quali cristallizzati nel progetto di contratto posto a gara, è evidente espressione di scelte di merito, per quanto la normativa primaria e secondaria cerchi di “ingabbiare” questo momento decisionale al fine di renderlo quanto più trasparente e percepibile.
In primo luogo, si afferma costantemente che l’individuazione dei criteri di selezione sulla base dei quali la commissione deve effettuare la valutazione di propria competenza (massimo ribasso o offerta economicamente più vantaggiosa) spetta ovviamente alla stazione appaltante, in base alle caratteristiche ed all’oggetto del contratto (art. 81, comma 2, del codice) e che la maggiore idoneità dell’uno o dell’altro costituisce espressione tipica della discrezionalità amministrativa, sindacabile dal giudice amministrativo nei soli limiti della manifesta illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza o macroscopico travisamento del fatto (in questo senso è la costante giurisprudenza; da ultimo: Sez. IV, 27 gennaio 2014, n. 355).
Con specifico riguardo al caso in cui l’amministrazione opti per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in virtù del quale la selezione avviene su parametri di natura tecnica, attinenti alla qualità dell’opera, della fornitura o del servizio, secondo i parametri esemplificativamente indicati dall’art. 83 e necessariamente predeterminati nel bando, nella lettera di invito o nel disciplinare; con specificazione del peso di ciascun elemento o sub-elemento di valutazione (art. 83, commi 1 - 4), la giurisprudenza amministrativa è saldamente attestata sulle seguenti posizioni:
I) anche nella scelta dei criteri di valutazione delle offerte, ivi compreso il peso da attribuire a tali singoli elementi e agli eventuali sub – criteri e sub – pesi, nonché compreso
l’equilibrio tra la componente tecnica e quella economica delle offerte, l’amministrazione gode di un ampio potere valutativo di stampo discrezionale, in quanto direttamente correlato all’interesse pubblico sotteso al contratto, cosicché il sindacato del giudice amministrativo è consentito entro limiti assai ristretti (Sez. III, 15 aprile 2013, n. 2032; Sez. IV, 6 maggio 2013, n. 2444, Sez. V, 10 gennaio 2013, n. 88);
II) i criteri di giudizio debbono essere precisati dal bando e conosciuti dai concorrenti prima ancora della presentazione delle offerte (Sez. V, 17 luglio 2014, n. 3769; 7 gennaio 2013,
n. 7, 12 giugno 2012, n. 3445). Pertanto, il bando non può demandare o delegare (esplicitamente o tacitamente) alla commissione la formulazione dei criteri di giudizio e se lo facesse sarebbe illegittimo; in ogni caso, la formulazione dei criteri da parte della commissione non sopperisce alla mancanza o incompletezza della relativa indicazione del bando (cfr. Sez. V, 8 aprile 2014, n. 1668, 3 giugno 2013, n. 3036);
III) sono comunque vietate commistioni tra criteri soggettivi di qualificazione, necessari alla partecipazione alla gara e preesistenti alla formulazione dell’offerta, ed i criteri concernenti invece la valutazione oggettiva di quest’ultima ai fini dell’aggiudicazione del contratto, pena altrimenti la possibilità di violare la par condicio tra i concorrenti (ex multis: Sez. V, 20 agosto 2013, n. 4191, 24 aprile 2013, n. 2282); tuttavia, in particolare negli appalti pubblici di servizi e forniture, in base alla constatazione che a volte è ravvisabile una commistione inestricabile tra canoni oggettivi di valutazione delle offerte e requisiti soggettivi si consente una commistione tra i due allorché i criteri di valutazione stabiliti in sede di bando valorizzino quei profili soggettivi diretti a riverberarsi in modo specifico sull'espletamento dell’attività oggetto del contratto (come nel caso del possesso di determinate certificazioni di qualità: Sez. III, 21 dicembre 2011, n. 6777; Sez. V, 23 gennaio 2012, n. 266);
IV) non è tuttavia precluso alla commissione, ma anzi risponde ai sopra evidenziati principi di trasparenza ed imparzialità, disporre dei margini di discrezionalità consentiti dai criteri, sub-criteri e sub-pesi di valutazione stabiliti nel bando, e pur senza esservi tenuta, ed in ogni caso prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte, procede ad esternare i propri criteri di giudizio, sempre che questi non abbiano l’effetto di alterare e squilibrare l’impianto dei criteri dettati dal bando (Sez. III, 27 settembre 2012, n. 5111); fermo restando che questa autolimitazione della discrezionalità valutativa non può in ogni caso estendersi alla integrazione dei sub-criteri di valutazione delle offerte (Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3036, 15 maggio 2013, n. 2622, 15 maggio 2013 n. 2625; Sez. VI, 4 settembre 2014, n. 4514);
V) i criteri e sub-criteri di valutazione devono essere sufficientemente determinati, al fine di rendere riconoscibile l’iter logico e valutativo in cui si estrinseca il giudizio della commissione di gara e di consentirne il sindacato in sede giurisdizionale amministrativa (Sez. III, 15 settembre 2014, n. 4698, 18 ottobre 2013 n. 5060, 4 settembre 2013, n. 4431; Sez. V, 24 marzo 2014, n. 1428);
VI) nel caso di enucleazione analitica dei parametri valutativi, il sindacato giurisdizionale nei confronti di tali scelte, è consentito unicamente in casi di abnormità, sviamento e manifesta illogicità, senza possibilità che il giudice amministrativo possa sostituire un proprio giudizio a quello effettuato dalla commissione di gara (Sez. V, 12 giugno 2013, n. 3239, 18 febbraio 2013, n. 978);
VII) inoltre, è generale affermazione della giurisprudenza amministrativa quella secondo cui il punteggio numero soddisfa l’obbligo di motivazione quando appunto siano prefissati con chiarezza e adeguato grado di dettaglio i criteri di valutazione, in modo tale cioè da rendere evidente il percorso decisionale seguito dalla commissione nel valutare le offerte (da ultimo: Cons. Stato, Sez. V, 8 agosto 2014, n. 4251, 30 giugno 2014, n. 3288, 13 maggio 2014, n. 2444, 24 ottobre 2013 n. 5160, 12 giugno 2012, n. 3445; Sez. VI, 3 luglio 2014 n. 3361); in caso di difetto di adeguata specificazione dei criteri la puntuale motivazione dei singoli punteggi attribuiti è invece necessaria: Sez. III, 1 agosto 2014, n. 4067, 10 dicembre 2013, n. 5909, 18 ottobre 2013, n. 5060, 4 settembre 2013, n. 4431, 25 febbraio 2013, n. 1169);
VII) in particolare, è assolto l’obbligo di motivazione del giudizio di valutazione delle offerte con punteggio matematico nel caso in cui il criterio di attribuzione dei punteggi sia quello del c.d. confronto a coppie, ferma rimanendo l’esigenza che a monte siano stati debitamente specificati i parametri valutativi (sub criteri e relativi pesi), se del caso integrati da criteri motivazionali (Sez. IV, 21 gennaio 2013, n. 341; Sez. V, 12 giugno 2012 n. 3445; Sez. VI, 19 marzo 2013, n. 1600);
IX) il principio di fondo dell’indirizzo da ultimo richiamato è stato fatto proprio dall’Adunanza plenaria nella sentenza 25 luglio 2012, n. 30, la quale ha stabilito la regola secondo cui in caso di annullamento parziale della procedura di gara comportante l’obbligo di rinnovare la valutazione delle offerte, ciò può avvenire anche a posteriori, quando quelle delle altre imprese siano già state effettuate, sempre che i criteri siano sufficientemente analitici ed oggettivi, giacché la valutazione dell’offerta relativa all’offerta pretermessa si inserisce in un quadro nel quale <<emergono con compiutezza, unitamente ai criteri di valutazione stabiliti dalla lex specialis ed alle ulteriori specificazioni eventualmente determinate dalla commissione (nei
limiti consentiti dall’art. 83 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 cit.), anche le linee concretamente seguite da quest’ultima nella loro applicazione>>.
Considerazioni analoghe possono essere svolte per quanto concerne il sub-filone nel quale le censure sulla valutazione delle offerte si appuntino in particolare sugli esiti della verifica di anomalia.
Anche in questo specifico settore la giurisprudenza amministrativa è consolidata su posizioni tendenti a restringere gli ambiti nei quali l’operato delle stazioni appaltanti è sindacabile, in considerazione dei margini di discrezionalità di cui questa gode.
Di seguito si sintetizzano le principali questioni e gli orientamenti giurisprudenziali formatisi su di esse:
a) il procedimento di cui all’art. 88 del codice (dopo le modifiche introdotte dal d.l. n. 78/2009) deve essere obbligatoriamente rispettato prima di procedere all’esclusione (Sez. V, 19 novembre 2012, n. 5846);
b) l’obbligo dell’amministrazione di assicurare il contraddittorio nel sub-procedimento di verifica dell’anomalia non implica la confutazione puntuale di tutte le osservazioni svolte dagli interessati, essendo sufficiente che il provvedimento amministrativo sia corredato da una motivazione che renda nella sostanza comunque percepibile la ragione del mancato accoglimento delle deduzioni difensive del privato (Sez. V, 2 luglio 2012, n. 3850);
c) in caso di giudizio favorevole, l’obbligo motivazionale assume minore pregnanza, potendo esaurirsi nel rinvio agli atti del sub-procedimento (Sez. III, 10 aprile 2014 n. 1744; Sez. v, 17 gennaio 0000, x. 000, 00 xxxxx 0000, x. 0000; Sez. VI, 15 marzo 2013, n. 1558);
d) il rinvio agli atti del sub-procedimento è sufficiente anche in caso di giudizio di anomalia, se in esso la verifica sia stata condotta analiticamente, assicurando il contraddittorio all’impresa e dei relativi esiti si dia conto negli atti (Sez. IV, 2 luglio 2014, n. 3315);
e) l’utile pari a zero è indice di anomalia, sul quale può fondarsi in via esclusiva il giudizio di esclusione dell’offerta (Sez. III, 11 aprile 2012, n. 2073; Sez. IV, 30 maggio 2013, n. 2956, 23 luglio 2012, n. 4206; Sez. V, 15 aprile 2013, n. 2063, 25 febbraio 2014, n. 900); non può invece condurre alle medesime conseguenze un utile comunque minimo, ancorché irrisorio (Sez. III, 9 luglio 2014, n. 3492; Sez. V, 13 maggio 2014 n. 2444, 13 marzo 2014, n. 1176);
f) la verifica dell’anomalia non ha carattere sanzionatorio e non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, ma è piuttosto finalizzato ad accertare se in concreto l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto: esso mira piuttosto a garantire e tutelare l’interesse
pubblico concretamente perseguito dall’Amministrazione attraverso la procedura di gara per la effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell’esecuzione dell’appalto (Sez. IV, 10 marzo 2014, n. 1085; Sez. V, 5 settembre 2014, n. 4516, 8 luglio 2014 n. 3459, 27 maggio
2014 n. 2752; Sez. VI, 7 settembre 2012, n. 4744); sono dunque consentite incongruità di taluni prezzi o di talune voci di costo purché assorbibili nell’ambito di un’offerta complessivamente affidabile (Sez. III, 27 marzo 2014 n. 1487);
g) in sede di verifica delle offerte anomale si può consentire: I) o una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite), lasciando le voci di costo invariate; II) oppure un aggiustamento di singole voci di costo, che trovi il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o normative che comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili; non sono invece ammesse rimodulazioni di voci di costo senza alcuna motivazione, mosse dal solo scopo di ‘far quadrare i conti’ ossia di assicurarsi che il prezzo complessivo offerto resti immutato e si superino le contestazioni sollevate dalla stazione appaltante su alcune voci di costo (Sez. VI, 20 settembre 2013, n. 4676, 7 febbraio 2012, n. 636);
h) il sindacato sulle valutazioni tecnico-discrezionali della commissione di gara è consentito solo in caso di evidente illogicità o di erroneità fattuale che rendano palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta e l’erroneità del giudizio della commissione di gara (Ad. plen., 29 novembre 2012, n. 36; Sez. III, 21 ottobre 2014, n. 5196, 9 luglio 2014, n. 3492, 27 marzo 2014, n. 1487, 5 dicembre 2013, n. 5781; Sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2220; Sez. V, 17 luglio 2014, n. 3805, 8 aprile 2014, n. 1667, 17 gennaio 2014, n. 210, 26 settembre 2013, n. 4761, 26 giugno 2012, n. 3737; in questa sede può essere citata anche la giurisprudenza delle Sezioni unite della Cassazione, adita in sede di ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione ex art. 111, ultimo comma, Cost.: Xxxx., Sez. un., 16 luglio 2014, n. 16239).
Come accennato sopra, la produzione giurisprudenziale è più nutrita sulla verifica di anomalia dell’offerta rispetto a questioni strettamente concernenti la valutazione delle offerte. Le ragioni di questa preferenza sono in parte analoghe a quelle per le quali l’area di contenzioso più vasta è quella concernente l’ammissione alle procedure di affidamento: l’accoglimento delle censure dirette a contestare la mancata esclusione dell’offerta poi risultata aggiudicataria consente di ottenere per via giudiziaria quanto non avvenuto nella gara e quindi eliminare l’impresa vittoriosa. In questo filone si riproduce quindi lo schema descritto a proposito delle controversie relative all’ammissione e le prospettive di piena soddisfazione
della pretesa azionata attraverso il conseguimento dell’aggiudicazione o il subentro nel contratto.
Nell’ambito della quarta area del contenzioso amministrativo sugli appalti pubblici, quella relativa ai provvedimenti di ritiro in autotutela degli atti di gara, le pronunce emesse dal Consiglio di Stato sono raggruppabili attorno a specifiche questioni di stampo impugnatorio, che per lo più fungono da premessa per esaminare domande di risarcimento danni o indennizzo.
Di seguito si elencano le principali questioni affrontate dalla giurisprudenza:
I) posto che ai sensi dell’art. 81, comma 3, cod. contratti pubblici l’amministrazione può
<<non procedere all’aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all’oggetto del contratto>>, si ricava il corollario secondo cui la mancata conferma dell’aggiudicazione provvisoria non costituisce espressione di autotutela amministrativa, e non richiede quindi di osservare le garanzie procedimentali per essa previste dall’art. 21- quinquies l. n. 241/1990, né, conseguentemente, essa dà all’aggiudicataria provvisoria titolo all’indennizzo previsto da quest’ultima disposizione (Sez. III, 28 febbraio 2014, n. 942, 4
settembre 2013, n. 4433);
II) i presupposti del potere previsto dal citato art. 81, comma 3, d.lgs. n. 163/2006, sono oggetto di valutazioni ampiamente discrezionale, perché afferenti all’utilità ed alla convenienza economica del contratto posto a gara e dunque a valutazioni impinguenti il merito sotteso alla scelta di contrattare o meno (Sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1766); quest’ultima pronuncia ha anche chiarito che allo scadere del termine perentorio di 30 giorni per l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria (previsto dall’art. 12, comma 1), l’aggiudicazione definitiva diviene (ai sensi dell’art. 11, comma 5), atto vincolato e
<<concretamente esigibile da parte del privato>>, in quanto oggetto di un obbligo per l’amministrazione (<<attesa la natura vincolata di tale atto e l’inesistenza di poteri interdittivi della pubblica amministrazione>>), sebbene atto distinto dal primo (in termini non dissimili anche Sez. V, 13 marzo 2014, n. 1251); resta in ogni caso salvo l’esercizio da parte dell’amministrazione della facoltà di non procedere a quest’ultima ai sensi del citato art. 81, comma 3, o del generale potere di autotutela amministrativa nei confronti della gara;
III) all’esercizio dei poteri di autotutela consegue l’obbligo di motivare in ordine alle esigenze di ripristinare la legalità violata attraverso la relativa comparazione con l’affidamento del privato conseguente allo spirare del termine (in quest’ultimo senso: Sez. III, 7 maggio 2012, n. 2607, che ha affermato l’illegittimità del sopravvenuto diniego di approvazione
fondato sul riscontro ex post del difetto di un requisito di moralità professionale dell’aggiudicataria);
IV) l’esercizio dello ius poenitendi deve essere motivato, pena altrimenti l’illegittimità dello stesso, anche nei confronti della concorrente terza graduata, rimasta in gara dopo l’esclusione delle prime due (Sez. V, 7 giugno 2013, n. 3125);
V) nel caso di decorso infruttuoso del termine di cui all’art. 12, comma 1, è comunque esclusa la formazione in via tacita dell’aggiudicazione definitiva (Sez. III, 16 ottobre 2012, n. 5282), ed in ogni caso l’amministrazione conserva il potere di recedere dalla gara (Sez. III, 31 gennaio 2014, n. 467);
VI) la verifica dei requisiti dichiarati in sede di gara dall’impresa dichiarata poi aggiudicataria provvisoria, ai sensi del citato art. 12, comma 1, è condizione di efficacia e non già di validità dell’aggiudicazione definitiva, non è soggetta ad impugnazione, trattandosi di attività doverosa; impugnazione che deve invece essere rivolta a quest’ultima (Ad. plen. 31 luglio 2012, n. 31), se emanata, ancorché sia stata precedentemente impugnata l’aggiudicazione provvisoria, a pena di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse (Sez. V, 13 marzo 2014, n. 1251, sopra citata);
VII) pertanto, l’atto conclusivo delle procedure di affidamento di contratti pubblici è sempre e comunque l’aggiudicazione definitiva, mentre la verifica in ordine al possesso dei requisiti <<costituisce una mera condizione di efficacia>>, come previsto dall’art. 11, comma 8 cod. contratti pubblici. (Sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1516; in termini anche Sez. III, ord. 23 aprile 2013, n.1465). Come chiarito nelle pronunce ora citate, la tesi contraria condurrebbe all’inaccettabile conseguenza per cui <<l’aggiudicazione stessa verrebbe ad assumere diversa valenza provvedimentale (e lesività) a seconda che la verifica de qua sia stata o meno condotta, come pure può accadere, prima dell’aggiudicazione medesima>> (sentenza n. 1516 del 16 marzo 2012, poc’anzi citata);
IX) peraltro, costituisce principio generalmente accolto presso la giurisprudenza amministrativa quello secondo cui l’amministrazione può legittimamente esercitare il potere di revocare gli atti dell’intera gara, ancorché questa sia culminata con l’aggiudicazione definitiva, ogniqualvolta addivenga ad un ripensamento circa le ragioni di utilità e convenienza economica del contratto (Sez. IV, 14 gennaio 2013, n. 156; Sez. V, 2 maggio 2013, n. 2400);
X) inoltre, anche il contratto stipulato, una volta divenuta efficace l’aggiudicazione, può eventualmente essere soggetto, in base all’ordinamento della stazione appaltante, ad
approvazione, che in base all’art. 12, comma 2, deve intervenire nel termine di 30 giorni dalla stipula. Questo potere di approvazione, riconducibile al sistema dei controlli interni dell’amministrazione, non può essere esercitato una volta spirato il termine suddetto, al quale la citata disposizione correla la formazione del provvedimento tacito di approvazione; pertanto, il provvedimento positivo di controllo formatosi per silentium può essere rimosso unicamente mediante l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione aggiudicatrice (Sez. III, 7 maggio 2012, n. 2607);
XI) è costante l’affermazione secondo cui la mancata emissione del provvedimento di aggiudicazione definitiva dopo l’aggiudicazione provvisoria costituisce un evento <<del tutto fisiologico>> (Sez. III, 24 maggio 2013, n. 2838; Sez. VI, 19 gennaio 2012, n. 195), trovando lo stesso una propria specifica disciplina nel codice dei contratti pubblici (artt. 11, comma 11, 12 e 48, comma 2, del d.lgs. 163/2006);
XII) inoltre, in base al citato indirizzo giurisprudenziale, stante il carattere meramente interinale e non conclusivo del procedimento di gara dell’aggiudicazione provvisoria, al relativo ritiro non si applicano le garanzie partecipative ed i presupposti sostanziali di esercizio del potere di autotutela di cui alla legge n. 241/1990 (Sez. III, 24 maggio 2013, n. 2838, 11 luglio 2012, n. 4116; Sez. V, 28 dicembre 2011, n. 6951, 20 aprile 2012, n. 2338); del pari, attesa la sua inidoneità a generare affidamenti meritevoli di tutela in ordine alla successiva stipulazione ed esecuzione del contratto, la revoca della gara che l’amministrazione decida di disporre allorché la stessa è giunta a tale fase non genera per quest’ultima l’obbligo di corrispondere all’aggiudicataria provvisoria l’indennizzo previsto dall’art. 21-quinquies l. n. 241/1990 (Sez. III, 24 maggio 2013, n. 2838; X.x.xxx., 00 xxxxxxx 0000, x. 00), xx xxxxx xxxx fonda una responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 cod. civ.;
XIII) ad opposte conclusioni la giurisprudenza è giunta con riguardo alla revoca che intervenga dopo l’aggiudicazione definitiva. In questo caso l’atto di ritiro deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento a pena di illegittimità (C.g.amm, 12 dicembre 2013, n. 929); ed adeguatamente motivato, attraverso l’indicazione dei motivi di interesse pubblico che giustificano l’esercizio del potere di autotutela e della comparazione con il contrapposto affidamento maturato dall’aggiudicatario definitivo in relazione alla futura stipula ed esecuzione del contratto posto a gara (Cons. Stato, Sez. III, 15 maggio 2012, n. 2805; Sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 662);
XIV) si ritiene in generale che la revoca della gara possa legittimamente fondarsi sull’insostenibilità economica del contratto (Sez. III, 31 gennaio 2014, n. 467; Sez. V, 2
maggio 2013, n. 2400; C.g.amm., 25 gennaio 2013, n. 47), anche per effetto della riduzione degli stanziamenti di bilancio (Cons. Stato, Sez. III, 26 settembre 2013, n. 4809); su una rivalutazione dell’opportunità di ricorrere al mercato (Sez. III, 16 ottobre 2012, n. 5282); per effetto dell’accertata equivocità del bando di gara (Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831) o della sopravvenuta inidoneità del progetto di contratto alle esigenze dell’amministrazione (Sez. III, 14 gennaio 2013, n. 156);
XV) quanto alle conseguenze derivanti dall’esercizio del potere di revoca occorre innanzitutto distinguere a seconda che questo venga ritenuto legittimo, dall’ipotesi in cui invece si accerti un vizio di legittimità: nel primo caso, oltre alla richiesta dell’indennizzo di cui al citato art. 21-quinquies, è anche possibile azionare, chiaramente in via alternativa, la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, laddove si provi che questa ha tenuto un comportamento contrario al dovere di comportarsi secondo buona fede nelle trattative, ai sensi del parimenti citato art. 1337 cod. civ.; ciò sulla base del principio espresso in passato dall’Adunanza Plenaria, secondo cui l’accertamento di tale forma di responsabilità non è preclusa dall’accertamento della legittimità del provvedimento di ritiro in autotutela (sentenza 5 settembre 2005 n. 6; in termini anche: Sez. V, 7 settembre 2009, n. 5245, nonché, per il caso di annullamento d’ufficio, 30 dicembre 2011, n. 7000);
XVI) le due sopradette domande hanno causa petendi e petitum tra loro incompatibili: la revoca presuppone infatti la liceità del comportamento dell’amministrazione ed è limitata al solo danno emergente ai sensi del comma 1-bis dell’art. 21-quinquies l. n. 241/1990, al contrario della responsabilità precontrattuale, la quale si fonda invece sull’illiceità di detto comportamento, sulla colpa dell’amministrazione, e comporta il ristoro anche del lucro cessante (Sez. III, 28 febbraio 2014, n. 942, 14 gennaio 2013, n. 156, 11 luglio 2012, n. 4116);
XVII) l’obbligo di corrispondere l’indennizzo scaturisce dall’esercizio dello ius poenitendi che si manifesta attraverso il ritiro dell’intera gara per legittimi motivi di pubblico interesse, potendo l’amministrazione sottrarsi ad esso, ai sensi dell’art. 81, comma 3, cod. contratti pubblici, solo allorché le offerte presentate non sono rispondenti agli obiettivi che la stessa si è prefissata mediante la decisione di affidare il contratto posto a gara (Sez. III, 16 ottobre 2012, n. 5282);
XVIII) deve peraltro precisarsi che in base a quanto recentemente affermato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 20 giugno 2014, n. 14), il potere di revoca non è più esercitabile dall’amministrazione una volta stipulato il contratto, potendo sciogliersi da quest’ultimo unicamente a mezzo del recesso ex art. 134 del codice e dunque
dovendo soggiacere alle conseguenze economiche per esso previste (pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite, ai sensi del comma 1 della disposizione ora menzionata);
XIX) in caso di accertata responsabilità precontrattuale il ristoro del danneggiato è limitato al c.d. interesse negativo, il quale è parametrato non già all’interesse all’esecuzione del contratto poi venuta meno, ma alla lesione della libertà negoziale che si consuma nel coinvolgimento in trattative precontrattuali poi sfociate in un nulla di fatto; conseguentemente, sono risarcibili ex art. 1337 citato le spese sostenute per la partecipazione alla gara e la perdita di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, se adeguatamente provata, rispettivamente a titolo di danno emergente e di lucro cessante (e per la cui quantificazione viene generalmente impiegato un criterio equitativo ex art. 1226 cod. civ., parametrato all’importo dell’offerta dell’impresa danneggiata: Ad. plen. 5 settembre 2005, n. 6); Nella citata pronuncia n. 662 del 7 febbraio 2012 la IV Sezione ha anche affermato spettare a titolo di responsabilità contrattuale il cd. “danno curriculare” dato dall’impossibilità di far valere nelle future contrattazioni il requisito economico pari al valore del contratto non eseguito, sul rilievo che il fatto colpevole dell’amministrazione interviene, in caso di revoca dell’aggiudicazione definitiva, quando il contraente è già stato individuato (in senso conforme si è espressa la III Sez. nella sentenza n. 156 del 14 gennaio 2013 e la V, nella sentenza 17 marzo 2014, n. 1323, in una fattispecie di improvvisa interruzione delle trattative nell’ambito di una procedura per l’affidamento del contratto di concessione di costruzione e gestione di una discarica mediante project financing); infine in applicazione del principio compensatio lucri cum damno, dall’ammontare del risarcimento deve essere dedotto l’utile che l’impresa danneggiata abbia conseguito per effetto della proroga tecnica del contratto precedente nelle more dell’espletamento della procedura di gara fonte del suo pregiudizio (Sez. III, 31 gennaio 2014, n. 467).
6. Il settore di contenzioso a maggiore tasso di criticità: le impugnazioni sull’ammissione alle procedure d’appalto
Analizzate le aree di conflittualità di minore impatto, la ricognizione dello stato attuale della giurisprudenza amministrativa non può che sottostare all’“eterno ritorno” sulla parte più ampia di contenzioso, quello sull’ammissione alla gara, volutamente lasciata per ultimo in omaggio alla sua maggiore incidenza quantitativa.
A questo riguardo deve quindi farsi ritorno all’art. 38 del codice dei contratti pubblici più volte menzionato in questa relazione.
Nel prevedere che: <<Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti…>> che versano nei casi poi elencati, la disposizione in parte recepisce (rielaborandole) ipotesi già contemplate a livello comunitario (in particolare all’art. 45 della direttiva 2004/18/CE sul coordinamento delle procedure di appalto nei settori ordinari), introducendone autonomamente, in conseguenza di una facoltà non preclusa al legislatore nazionale (in particolare, la legittimità dell’ampliamento rispetto al novero delle cause ostative di matrice comunitaria è stata affermata dalla Corte di Giustizia UE, nel rispetto dei principi di parità di trattamento e trasparenza: sentenza 19 maggio 2009, C-538/07).
Date per conosciute le singole cause ostative tipizzate dal comma 1 dell’art. 38, di seguito si analizzano le principali questioni che la norma sul possesso dei requisiti di partecipazione comporta.
Innanzitutto, facendo applicazione dei principi e delle regole generali concernenti la documentazione amministrativa, di cui al d.p.r. n. 445/2000, il codice dei contratti pubblici consente l’utilizzo delle dichiarazioni sostitutive di certificazione o di atto notorio (art. 38, comma 2).
La portata degli obblighi dichiarativi ed il loro corretto adempimento da parte dei partecipanti a procedure di affidamento ha alimentato un notevole contenzioso davanti agli organi di xxxxxxxx amministrativa, al punto da indurre i commentatori a parlare di giudizi finalizzati ad una vera e propria “caccia all’errore”. Con questa espressione si è soliti definire quei ricorsi nei quali i motivi di illegittimità dedotti si incentrano non già, o comunque non solo, sul mancato possesso dei requisiti di partecipazione delle imprese concorrenti, ma anche nella omessa, incompleta o non chiara dichiarazione circa tale possesso.
Nell’ambito di questo filone, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che la completezza delle dichiarazioni in ordine al possesso dei requisiti di ordine generale costituisce <<un valore in sé>> della gara, il cui mancato rispetto rende legittima l’esclusione della concorrente, a prescindere dal possesso o meno dei requisiti, quand’anche l’obbligo dichiarativo non discendesse in via diretta da una norma di legge o regolamento, ma dal bando di gara (tra le moltissime: Cons. Stato, Sez. III, 15 gennaio 2014, n. 123, 16 marzo 2012 n. 1471; Sez. IV, 19 dicembre 2012, n. 6539; Sez. V, 16 ottobre 2013, n. 5023, 8
novembre 2012, n. 5693, 31 marzo 2012, n. 1896; Sez. VI, 11 aprile 2014, n. 1771, 10 dicembre
2012, n. 6291).
Lungi tuttavia dal rappresentare un esercizio di pedante formalismo, l’orientamento in esame affondava le proprie radici nella necessità di assicurare il rispetto della par condicio tra tutte le imprese partecipanti, ed in virtù del quale era esclusa la possibilità di rimettere in termini, attraverso il meccanismo del soccorso istruttorio di cui all’art. 46, comma 1, codice dei contratti pubblici, l’impresa che avesse omesso di presentare tutta la documentazione amministrativa prevista dal bando di gara.
Come accennato sopra, a questo fenomeno il legislatore ha cercato di porre rimedio.
Quali tappe fondamentali di questo indirizzo di politica legislativa possono essere individuate, dapprima, l’introduzione del principio di tassatività delle cause di esclusione, introdotto dal citato d.l. “sviluppo” n. 70/2011 (conv. con l. n. 106/2011), attraverso l’introduzione del comma 1-bis all’art. 46 del codice dei contratti pubblici. In virtù di tale disposizione, la sanzione dell’esclusione viene ricondotta ad ipotesi di: <<mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti>>; di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali; ed ancora nelle ipotesi di violazione del principio di segretezza delle offerte, a causa della non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi. Contemporaneamente, è stata introdotta la sanzione della nullità per i bandi e le lettere di invito che abbiano previsto <<ulteriori prescrizioni a pena di esclusione>>.
Come ha avuto modo di precisare al riguardo l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 25 febbraio 2014, n. 9, la disposizione sancita dal comma 1-bis è chiaramente ispirata ai principi di massima partecipazione alle gare e del divieto di aggravio del procedimento, in funzione della massima concorrenzialità che presiede al settore dei contratti pubblici di matrice comunitaria.
In forza di questa disposizione costituiscono cause legittime di esclusione solo le violazioni previste dalla normativa di carattere primario e secondario (in primis il codice dei contratti pubblici ed il relativo regolamento di esecuzione di cui al d.p.r. n. 207/2010), intese come norme prevedenti adempimento a pena di esclusione, ma anche di inammissibilità, decadenza, irricevibilità e simili.
Leggendo invece la norma in chiave funzionale, le cause di esclusione vengono individuate sulla scorta di due diversi criteri, e cioè:
a) da un lato, si stabilisce che è causa di esclusione la violazione di prescrizioni imposte dal codice dei contratti pubblici, dal regolamento di esecuzione o da altre leggi; il richiamo generico alle leggi va precisato, in una con la giurisprudenza costituzionale, nel senso che si tratti esclusivamente di leggi statali, posto che: I) <<… l'intera disciplina delle procedure ad evidenza pubblica è riconducibile alla tutela della concorrenza, con la conseguente titolarità della potestà legislativa, in xxx xxxxxxxxx, xx xxxx xxxx Stato; in particolare, la disciplina delle procedure di gara, la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione mirano a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei principi costituzionali di trasparenza, di parità di trattamento, di non discriminazione >> (Corte cost. 7 novembre 2013, n. 259; 26 febbraio 2013, n. 28); II) le norme di semplificazione amministrativa sono ricondotte alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, in quanto <<anche l’attività amministrativa, [...] può assurgere alla qualifica di “prestazione” (quindi, anche i procedimenti amministrativi in genere), della quale lo Stato è competente a fissare un “livello essenziale” a fronte di una specifica pretesa di individui, imprese, operatori economici ed, in generale, di soggetti privati>> (ex plurimis e da ultimo, Corte cost., 5 aprile 2013, n. 62; 20 luglio 2012, n. 207; 16 luglio 2012, n. 188; 27 giugno 2012, n. 164). La nuova disposizione deve essere intesa nel senso che l’esclusione dalla gara è disposta sia nel caso in cui il codice, la legge statale o il regolamento attuativo la comminino espressamente, sia nell’ipotesi in cui impongano “adempimenti doverosi” o introducano, comunque, “norme di divieto” pur senza prevedere espressamente l’esclusione ma sempre nella logica del numerus clausus. Questa interpretazione del principio di tassatività delle cause di esclusione, in forza della quale la tassatività può ritenersi rispettata anche quando la legge, pur non prevedendo espressamente l’esclusione, imponga, tuttavia, adempimenti doverosi o introduca norme di divieto, è stata espressamente affermata dall’Adunanza plenaria nel senso della non necessità, ai sensi dell’art. 46, comma 1-bis, codice dei contratti pubblici, che la sanzione della esclusione sia espressamente prevista dalla norma di legge allorquando sia certo il carattere imperativo del precetto che impone un determinato adempimento ai partecipanti ad una gara (cfr. sentenze 16 ottobre 2013, n. 23 e, in particolare, 7 giugno 2012, n. 21);
b) dall’altro lato, avendo il comma 1-bis recepito prassi ed elaborazioni giurisprudenziali
consolidate, introduce direttamente una serie di cause di esclusione: I) incertezza assoluta sul
contenuto o provenienza dell’offerta; II) non integrità dei plichi; III) altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi tali da dimostrare in concreto la violazione del principio di segretezza delle offerte. Si tratta nel complesso di violazioni di carattere non meramente formale, ma lesive di interessi sostanziali sottese alle procedure di appalto, e precisamente alle esigenze di genuinità del confronto concorrenziale e di contrasto a potenziali fattori di distorsione e collusione, comportanti un inquinamento del momento di formazione delle offerte. Le ipotesi contemplate sono comunque descritte in termini ampi, suscettibili di essere riempite di contenuti da parte delle stazioni appaltante (oltre che dall’Autorità di vigilanza in sede di predisposizione dei bandi tipo), il cui denominatore comune, di tipo negativo, è rappresentato solamente dall’esclusione della rilevanza di violazioni di carattere formale. Ciò, del resto, in linea con quanto lo stesso codice dei contratti pubblici prevede in alcuni casi di irregolarità meramente documentali (art. 73, comma 4, e 74, comma 3, in tema di mancato utilizzo dei moduli predisposti dalla stazione appaltante; art. 153, comma 21, in tema di esclusione di alcuni soggetti proponenti nella finanza di progetto).
La cogenza delle cause legali di esclusione rende evidente il carattere non solo formale del principio di tassatività, ma anche e soprattutto la sua indole sostanziale: la riforma del 2011, infatti, ha inteso selezionare e valorizzare solo le cause di esclusione rilevanti per gli interessi in gioco, a quel punto imponendole come inderogabili non solo al concorrente ma anche alla stazione appaltante. Il legislatore ha così inteso effettuare direttamente il bilanciamento tra l’interesse alla massima partecipazione alle gare di appalto ed alla semplificazione, da un lato, e quello alla speditezza dell’azione amministrativa ed alla parità di trattamento, dall’altro, mettendo l’accento sui primi a scapito dei secondi ma salvaguardando una serie predefinita di interessi, selezionati ex ante, perché ritenuti meritevoli di una maggior protezione rispetto ad altri, in guisa da sottrarli alla discrezionalità abrogatrice della stazione appaltante.
Il principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare è stato poi rafforzato attraverso la previsione testuale della nullità delle clausole difformi, cioè delle clausole della legge di gara che prevedono adempimenti sanzionati dall’esclusione al di fuori dei casi tipici. La sanzione della nullità, in luogo di quella classica dell’annullabilità dell’atto amministrativo, è riferita letteralmente alle singole clausole della legge di gara esorbitanti dai casi tipici.
Ciò comporta pertanto l’applicazione dei principi in tema di nullità parziale e segnatamente dell’art. 1419, comma 2, cod. civ., a tenore del quale la nullità di singole clausole non comporta la nullità dell’intero atto se le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative, senza che si possa indagare sulla presenza di una difforme volontà della
stazione appaltante di non adottare il bando privo della clausola nulla, ma fermo l’esercizio, ovviamente, degli ordinari poteri di autotutela (cfr., per una recente applicazione del principio vitiatur se non vitiat in materia di gare pubbliche, Ad. plen., 20 maggio 2013, n. 14). Degno di menzione è il fatto che la nullità di tali clausole incide sul regime dei termini di impugnazione e sui meccanismi di rilievo di tale radicale forma di invalidità. La domanda di nullità si propone infatti nel termine di decadenza di centottanta giorni e può sempre essere eccepita dalla parte resistente ovvero rilevata dal giudice d’ufficio (art. 31, comma 4, c.p.a.). Proprio quest’ultima possibilità costituisce un argine rispetto a comminatorie espulsive contenute nei bandi di gara e non riconducibili alle ipotesi tassativamente previste dal legislatore, consentendo al giudice di paralizzare motivi di impugnazione volti ad ottenere l’esclusione dell’altra parte per ragioni di carattere meramente formale e privi di effettivo
rilievo ai fini del corretto svolgimento della procedura di gara.
Nella sentenza n. 9 del 25 febbraio 2014 sopra citata, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha individuato una casistica di ipotesi che possono verificarsi:
a) legge di gara che esplicitamente recepisce (o rinvia) (al)le disposizioni del codice dei contratti pubblici, del regolamento attuativo o di altre leggi statali, che prevedono adempimenti doverosi a pena di esclusione; in tal caso la violazione dell’obbligo conduce de plano all’esclusione dell’impresa;
b) legge di gara silente sul punto; in tal caso la portata imperativa delle norme che prevedono tali adempimenti conduce, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., alla etero - integrazione del bando e successivamente, in caso di violazione dell’obbligo, all’esclusione del concorrente (cfr. sul punto Ad. plen., 5 luglio 2012, n. 26; 13 giugno 2012, n. 22);
c) legge di gara che, in violazione del principio di tassatività, introduce cause di esclusione non previste dal codice, dal regolamento attuativo o da altre leggi statali; in tal caso la clausola escludente è nulla, priva di efficacia e dunque disapplicabile da parte della stessa stazione appaltante ovvero da parte del giudice;
d) legge di gara che, in violazione dei precetti inderogabili stabiliti a pena di esclusione dal codice, dal regolamento attuativo o da altre leggi statali, espressamente si pone in contrasto con essi ovvero detta una disciplina incompatibile; in tal caso occorre un’impugnativa diretta della clausola invalida per potere dedurre utilmente l’esclusione dell’impresa che non abbia effettuato il relativo adempimento.
Quest’ultima ipotesi è conseguenza del fatto che, secondo i consolidati principi in materia di bandi di gara (espressi sempre dall’Adunanza plenaria: sentenze 28 luglio 2011, n. 14; 24
maggio 2011, n. 9; 27 gennaio 2003, n. 1), secondo cui il bando: 1) è un atto amministrativo generale, d’indole imperativa, recante il compendio delle regole (ed in particolare quelle afferenti alle cause di esclusione), cui devono attenersi sia i concorrenti che l’Amministrazione; 2) è costitutivo di effetti eventualmente anche derogatori rispetto alla disciplina introdotta dalle fonti di rango primario o regolamentare e come tale non disapplicabile da parte dell’Amministrazione e del giudice amministrativo, potendo essere oggetto solo di specifica impugnativa; 3) deve essere interpretato secondo il criterio formale (testuale ed oggettivo), con esclusione di letture ermeneutiche in chiave soggettiva ed integrativa, e con l’applicazione automatica e vincolata dell’esclusione laddove previsto dalla normativa di gara.
Seconda fondamentale tappa legislativa nella direzione della massima concorsualità e della riduzione del contenzioso amministrativo sono le regole introdotte di recente con la riforma della pubblica amministrazione, di cui al d.l. n. 90/2014 (conv. con l. n. 114/2014).
Con quest’ultimo intervento legislativo sono aggiunti i commi 2-bis e 1-ter rispettivamente agli artt. 38 e 46 del codice dei contratti pubblici. Il primo sancisce la fondamentale regola secondo cui <<la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive>> relative al possesso dei requisiti di affidabilità morale comportano il pagamento in favore della stazione appaltante di una sanzione pecuniaria (dall’1 per mille all’1 per cento della valore del contratto posto a gara e comunque fino a 50.000 euro, garantito dalla cauzione provvisoria ex art. 75 del codice) e, contemporaneamente, la possibilità che tali mancanze, incompletezze o irregolarità essenziali vengano sanate entro un termine, non superiore a dieci giorni, fissato dalla stazione appaltante. Per le irregolarità <<non essenziali>> ed i casi di <<mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili>>, nessuna conseguenza è invece prevista.
Il comma 1-ter dell’art. 46 stabilisce invece che le disposizioni del comma 2-bis dell’art. 38, ora viste, si applicano <<a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara>>, generalizzando in questo modo l’applicazione dell’istituto anche per le dichiarazioni concernenti i requisiti speciali.
Con le norme in esame (applicabili alle gare bandite successivamente al 25 giugno 2014) si persegue l’obiettivo di limitare al massimo le ipotesi di esclusione per mancato possesso dei requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento, rendendo obbligatorio per le stazioni appaltanti il soccorso istruttorio ex art. 46 del codice, e consentendo in tal modo alle
imprese di sanare mancanze nella documentazione amministrativa presentata in allegato alle proprie offerte, oltre al pagamento di una sanzione pecuniaria. In questo modo si aspira anche ad una deflazione del contenzioso.
Pertanto, a fronte di dichiarazioni mancanti, incomplete o prive di elementi essenziali la stazione appaltante non può più escludere il concorrente, ma deve assegnare un termine massimo di dieci giorni perché sia effettuata la necessaria regolarizzazione. Il termine in questione deve ritenersi perentorio, sulla falsariga di quello previsto per la verifica del possesso dei requisiti all’art. 48 del codice appalti (e come chiarito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 25 febbraio 2014, n. 10). Solo il mancato rispetto di questo termine legittima quindi l’espulsione dell’impresa concorrente.
Prima dell’intervento legislativo in esame, il terreno era stato “arato” in sede nomofilattica dall’Adunanza plenaria, con una serie di pronunce, per lo più relative a questioni concernenti la causa ostativa derivante da precedenti penali [art. 38, comma 1, lett. c)], nelle quali si è dato rilievo fondamentale all’effettiva mancanza del requisito, più che alle relative modalità con le quali questo era stato dichiarato in sede di domanda di partecipazione dalle imprese (si tratta delle sentenze 4 maggio 2012, n. 10, relativa agli amministratori di aziende cedute alla partecipante alla gara; 7 giugno 2012, n. 21, per gli amministratori di società incorporate; 16 ottobre 2013, n. 23, sui procuratori speciali).
Se dunque l’obiettivo del legislatore è chiaro, forse meno è lo strumento dallo stesso predisposto, a causa di una formulazione della norma non proprio felice, con il rischio che punti di tensione, destinati a scaricarsi sotto forma di contenzioso, saranno costituiti dalla distinzione tra irregolarità, mancanze ed incompletezze essenziali e non essenziali, tenuto conto che per le prime è prevista l’applicazione di una sanzione pecuniaria che può non essere indifferente per l’impresa che abbia a subirla.
Già a livello di teoria generale del diritto, l’accostamento del predicato dell’essenzialità ad un termine quale irregolarità dà luogo ad un ossimoro di non facile soluzione e dall’altro canto si nega qualsiasi obbligo di regolarizzazione per dichiarazioni o documenti non indispensabili. Occorre allora ricordare che l’irregolarità è tradizionalmente intesa come la forma meno lieve di difformità dell’atto rispetto al suo paradigma legale, tale da non sfociare in un vizio invalidante, mentre concetti come essenzialità ed indispensabilità alludono ad elementi costitutivi della fattispecie, la cui mancanza dovrebbe determinare l’invalidità dell’atto.
I dubbi applicativi sono innanzitutto destinati a “scaricarsi” sulle pubbliche amministrazioni, poste di fronte all’alternativa tra l’imposizione dell’obbligo di regolarizzazione e contemporanea escussione parziale della cauzione provvisoria e quella di procedere senza domandare alcunché alle imprese concorrenti.
Un’ipotesi ricostruttiva - in assenza, allo stato, di riscontri di carattere giurisprudenziale – potrebbe essere quella di considerare essenziali ed indispensabili quelle dichiarazioni e quei documenti atti a comprovare il possesso dei requisiti o delle altre condizioni necessarie per la partecipazione alla gara.
Un ulteriore profilo di criticità deriva dal fatto che il nuovo sistema delineato dalle norme in commento si riferisce non solo alle dichiarazioni sostitutive di certificazione o di atto notorio relative ai requisiti (non solo di ordine generale, ma anche di idoneità professionale e di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale), ma anche ad altri
<<elementi>> che devono essere prodotti in sede di gara, ma che tuttavia la norma non specifica.
Si pone quindi il dubbio se si tratti: a) di elementi inerenti alle dichiarazioni ed al loro processo formativo; b) oppure, se si tratti di altri elementi relativi alla partecipazione alla gara e previsti dal codice, dal regolamento o dal bando in relazione al particolare oggetto del contratto da aggiudicare.
Quest’ultima ipotesi sembra quella maggiormente aderente alla genesi della norma, modificata in sede di conversione del decreto, e soprattutto al dato letterale, visto che il comma 38, comma 2-bis, distingue chiaramente i due oggetti (elementi da un lato e dichiarazioni dall’altro) ed impiega un termine onnicomprensivo come l’irregolarità, suscettibile di abbracciare ogni profilo connesso al procedimento di formazione delle dichiarazioni, come ad esempio l’allegazione della fotocopia del documento di identità del dichiarante.
La tesi è ulteriormente avvalorata dalla lettura della norma con l’art. 73 del codice, il quale, nel disciplinare la forma ed il contenuto delle domande di partecipazione, impone alle imprese di inserire in queste ultime <<gli elementi prescritti dal bando e, in ogni caso, gli elementi essenziali per identificare il candidato e il suo indirizzo, e la procedura a cui la domanda di partecipazione si riferisce, e sono corredate dei documenti prescritti dal bando>> (comma 2); ed alle stazioni appaltanti di richiedere << gli elementi essenziali di cui al comma 2 nonché gli elementi e i documenti necessari o utili per operare la selezione degli operatori da invitare, nel rispetto del principio di proporzionalità in relazione all’oggetto del contratto e alle finalità della
domanda di partecipazione>> (comma 3). Analogamente, l’art. 74, nel regolare le forme ed i contenuti delle offerte richiede che in esse siano inseriti <<gli elementi prescritti dal bando o dall’invito ovvero dal capitolato d’oneri, e, in ogni caso, gli elementi essenziali per identificare l’offerente e il suo indirizzo e la procedura cui si riferiscono, le caratteristiche e il prezzo della prestazione offerta, le dichiarazioni relative ai requisiti soggettivi di partecipazione>>.
Occorre in ogni caso essere consapevoli che questa tesi interpretativa determina la riconduzione nella fattispecie <<elementi>> di svariate tipologie di atti previsti dal codice dei contratti, dal regolamento attuativo o da altre disposizioni di legge come mezzi con i quali attestare il rispetto di condizioni e presupposti necessari alla partecipazione alla gara: si pensi alla cauzione provvisoria, all’attestazione di versamento del contributo o avere effettuato il sopralluogo ed esaminato la documentazione progettuale, la dichiarazione di accettazione dei patti di legalità ex art. 1, comma 17, l. n. 190/2012 eventualmente sottoscritti dalla stazione appaltante.
In questo caso, è opportuno, a tutela della buona fede e dell’affidamento delle imprese concorrenti, che in sede di normativa di gara la stazione appaltante individui con il dovuto grado di precisione e dettaglio le irregolarità sotto questo profilo essenziali e quali siano a tal fine gli elementi ritenuti indispensabili. Ciò al fine prevenire successive contestazioni in ordine all’applicazione della sanzione pecuniaria e, in ipotesi di mancata regolarizzazione nel termine perentorio previsto, dell’esclusione dalla gara.
Laddove la stazione appaltante intende invece gli elementi come connessi esclusivamente alle dichiarazioni, deve comunque esplicitare il contenuto dell’obbligo documentale e dichiarativo complessivamente gravante sulle imprese. Una simile scelta presuppone tuttavia che la mancanza di altre dichiarazioni non sostitutive di certificazione o atto di notorietà ai sensi del d.p.r. n. 445/2000, ma riconducibili alle tipologie delle dichiarazioni di accettazione o di impegno e di altri documenti previsti da norme di legge come necessari per partecipare alla gara (come appunto la cauzione provvisoria) sia espressamente prevista a pena di esclusione, in caso di mancata regolarizzazione, e di sanzione pecuniaria.
Il comma 2-bis dell’art. 38 “scommette” decisamente sulle stazioni appaltanti e sulla loro capacità di confezionare bandi di gara chiari ed in grado di orientare i comportamenti degli operatori economici potenziali partecipanti. La norma può dunque essere considerata un investimento che il legislatore ha fatto su un accorto esercizio della discrezionalità amministrativa nella determinazione della lex specialis.
In attesa dei primi contributi giurisprudenziali sull’applicazione delle novità introdotte dall’ultima novella al codice, un iniziale riconoscimento della portata delle novità introdotte con l’ultima novella al codice appalti proviene da una recente pronuncia dell’Adunanza plenaria che, nella direzione della semplificazione degli oneri dichiarativi posti a carico dei concorrenti, ha interpretato l’art. 38 nel senso che la dichiarazione ivi prevista sull’assenza delle condizioni ostative alla partecipazione alla gara, può riferirsi alla sussistenza di tutti i relativi requisiti, mentre non è necessaria l’indicazione dettagliata della mancanza di ogni situazione ostativa prevista dalla legge, né è necessaria la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri rappresentativi dell’impresa cui si riferiscono i requisiti di moralità personali, quando questi ultimi possano essere agevolmente identificati mediante l’accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici; pertanto, una dichiarazione sostitutiva così resa risulta completa e non necessita di integrazioni o di regolarizzazioni mediante l’uso dei poteri di soccorso istruttorio ex art 46 d.lgs. n. 163/2006 (Ad. plen. 30 luglio 2014, n. 16).
Da ultimo, anche la VI Sezione, e sempre in una controversia cui il soccorso istruttorio “allargato” non era ratione temporis applicabile, (sentenza 5 gennaio 2015, n. 18) ha affermato che l’istituto, come da ultimo rimodulato <<sembra addirittura superare espressamente l’interpretazione giurisprudenziale più rigorista che riteneva legittima l’esclusione a fronte dell’omessa allegazione della documentazione sul possesso dei requisiti di idoneità morale (…) secondo le scelte del legislatore più recente (…) sembra confermato il venir meno del principio dell'esclusione automatica dalla gara>>.
Rimane inoltre da verificare l’effetto di deflazione del contenzioso, obiettivo dichiarato della novità normativa in commento e che potrebbe tuttavia concentrarsi sull’applicazione della sanzione pecuniaria prevista per il caso di carenze “essenziali” della documentazione amministrativa presentata in sede di gara (per una prima applicazione si vedano le ordinanze del TAR Lombardia – Milano, 27 novembre 2014, n. 1604 e, in appello, Cons. Stato, Sez. III, 17 dicembre 2014, n. 5809).
7. Analisi casistica del contenzioso relativo all’ammissione agli appalti pubblici: a) i requisiti di ordine generale
Di seguito si analizzano le principali questioni che si pongono con riguardo ai singoli requisiti di affidabilità morale previsti dal comma 1 dell’art. 38 del codice dei contratti pubblici la cui sussistenza costituisce più di frequente oggetto di ricorso giurisdizionale (e
dunque seguendo l’elencazione alfabetica prevista e nel comma 1 in questione, con conseguente “salto” delle ipotesi sui quali non si registra un significativo contenzioso):
a) il divieto di partecipazione alle gare pubbliche ai soggetti che si trovino in stato di fallimento, di liquidazione coatta amministrativa e di concordato preventivo, contempla un’eccezione per il c.d. “concordato in continuità aziendale” di cui all'art. 186-bis l. fallimentare (r.d. 267/1942, introdotto con l’articolo 33 d.l. n. 83/2012, conv. con. l. 134/2012; ricorre quest’ipotesi quando: I) nel piano di concordato ex art. 161, 2 comma, lett. e), l. fall. sia espressamente prevista la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore; II) ovvero la cessione dell’azienda in esercizio o ancora il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società anche di nuova costituzione; la giurisprudenza ha precisato che norma consente la partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici non solo alle imprese che sono già state ammesse al concordato con continuità aziendale e hanno già ottenuto il decreto di ammissione, ma anche a quelle che abbiano presentato domanda di ammissione al concordato preventivo previa autorizzazione del tribunale (Cons. Stato, Sez. IV, 3 luglio 2014, n. 3344; nello stesso senso: Sez. III, 14 gennaio 2014, n. 101);
c) l’esclusione per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità incidenti sulla moralità professionale sussiste fino a che non sia stata ottenuta la riabilitazione ex art. 178 cod. pen., dichiarata con provvedimento del giudice penale (ex multis: Cons. Stato, Sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 736; Sez. VI, 3 ottobre 2014, n. 4937); la stessa regola vale per l’estinzione del reato e la revoca della condanna; è costante l’affermazione presso la giurisprudenza che la valutazione della gravità delle condanne riportate dai concorrenti e la loro incidenza sulla moralità professionale spetta esclusivamente alla stazione appaltante e non già ai concorrenti, i quali sono tenuti ad indicare tutte le condanne riportate, ai sensi del comma 2 dell’art. 38, non potendo essi operare alcun filtro, ciò implicando un giudizio meramente soggettivo inconciliabile con la ratio della norma (da ultimo, Sez. IV, 22 marzo 2012, n. 1646; Sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4932, 5 settembre 2014, n. 4528, 8 agosto 2014, n. 4253, 17 giugno 2014, n. 3092; 24 marzo 2014, n. 1428; 27 gennaio 2014, n. 400; 6 marzo 2013, n. 1378; Sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2597); sotto questo profilo, si richiede la completezza delle dichiarazioni (ma l’indirizzo è suscettibile di riconsiderazione alla luce delle novità introdotte dal d.l. n. 90/2014), in modo da consentire alle amministrazioni appaltanti, di poter verificare con immediatezza e tempestività se ricorrono ipotesi di condanne per reati gravi che incidono sulla moralità professionale, potendo così evitarsi ritardi e rallentamenti nello svolgimento della procedura ad evidenza pubblica di scelta del contraente, così realizzando quanto più
celermente possibile l’interesse pubblico perseguito proprio con la gara di appalto (Sez. III, 8 settembre 2014, n. 4543, 17 agosto 2011, n. 4792; Sez. V, 1378 del 6 marzo 2013; Sez. VI, 10 dicembre 2012, n. 6291); la motivazione in ordine alla gravità del reato va effettuata da parte della stazione appaltante quando questa sia negativa e conduca quindi all’esclusione dell’impresa e non già quando questa sia positiva, potendo la stessa desumersi dall’ammissione alla gara (Sez. IV, 30 giugno 2011, n. 3924; Sez. V, 24 marzo 2014, n. 1428, 21 ottobre 2013, n.
5122; Sez. VI, 21 maggio 2014, n. 2622, 24 giugno 2010, n. 4019); per quanto concerne l’ipotesi del <<socio di maggioranza>> in caso di società con meno di quattro soci, questa deve ritenersi applicabile anche ai due soci di s.r.l. titolari ciascuno del 50% delle quote (Ad. plen. 6 novembre 2013, n. 24), ma in conformità ai principi del favor partecipationis e di tassatività delle clausole di esclusione, va limitato al socio unico persona fisica e non già in caso di socio persona giuridica (Sez. V, 8 aprile 2014, n. 1648); l’ipotesi dell’amministratore con poteri di rappresentanza viene estesa anche al procuratore ad negotia munito di poteri decisionali tale da renderlo assimilabile ad un amministratore di fatto ex art. 2639, comma 1, cod. civ. (Ad. plen. 16 ottobre 2013, n. 23); l’assenza di precedenti penali deve essere dichiarata anche per gli amministratori con poteri di rappresentanza delle aziende o rami d’azienda ceduti (Ad. plen. 4 maggio 2012, n. 10) o delle società incorporate alla partecipante alla gara (Ad. plen. 7 giugno 2012, n. 21) nell’anno antecedente alla pubblicazione del bando, in quanto da considerarsi amministratori cessati; per facilitare gli obblighi dichiarativi del rappresentante legale dell’impresa partecipante l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha recentemente stabilito, nella sentenza 30 luglio 2014, n. 16, che: a) la dichiarazione sostitutiva relativa all’assenza delle condizioni preclusive previste dall’art. 38 può essere legittimamente riferita in via generale ai requisiti previsti dalla norma e non deve necessariamente indicare in modo puntuale le singole situazioni ostative previste dal legislatore; b) la dichiarazione in questione non deve contenere la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri rappresentativi dell’impresa, quando questi ultimi possano essere agevolmente identificati mediante l’accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici; c) una dichiarazione sostitutiva confezionata nei sensi di cui alle precedenti lettere a) e b) è completa e non necessita di integrazioni o regolarizzazioni mediante l’uso dei poteri di soccorso istruttorio;
f) la grave negligenza o mala fede nell’esecuzione di appalti precedentemente affidati dalla
stazione appaltante o la commissione di gravi errori professionali non richiede invece un accertamento definitivo, ma rispettivamente una <<motivata valutazione della stazione appaltante>> o un accertamento autonomo <<con qualsiasi mezzo di prova>>, e da in
entrambi casi luogo ad un giudizio di carattere discrezionale in cui è affidata all’amministrazione l’individuazione del ‘punto di rottura’ dell’affidamento in ordine alla corretta esecuzione dell’appalto da affidare, sindacabile solo in casi di manifesta irragionevolezza del giudizio, pena altrimenti lo sconfinamento del giudice amministrativo in apprezzamenti afferenti il merito dell’attività (Cass., Sez. un. 17 febbraio 2012, n. 2312; Cons. Stato, Sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5063, 14 maggio 2013, n. 2610);
g) la regolarità dal punto di vista fiscale è esclusa in caso di violazioni gravi e definitivamente accertate (come previsto dall’art. 45 della direttiva n. 2004/18), ed è finalizzata ad accertare la sussistenza dei presupposti di generale solvibilità dell’eventuale futuro contraente della pubblica amministrazione, senza tuttavia correlare l’esclusione dalla gara ad un qualsiasi inadempimento agli obblighi tributari, ma solo ad un legislativamente qualificato, così da contemperare la suddetta esigenza di ordine imperativo con la massima concorsualità (Ad. plen. 20 agosto 2013, n. 20); in conseguenza di ciò si consente la partecipazione di imprese ammesse alla rateizzazione di pregressi debiti tributari, purché la relativa domanda sia stata accolta dall’amministrazione finanziaria (Ad. plen. 5 giugno 2013, n. 15);
h) l’avere presentato false dichiarazioni o falsa documentazione a gare risultanti nel casellario informatico di cui all’art. 7 d.lgs. n. 163/2006 comporta l’automatica esclusione dalla gara; l’iscrizione al casellario informatico costituisce atto dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (ora Autorità nazionale anticorruzione) a seguito di doverosa segnalazione delle stazioni appaltanti in seguito al controllo sul possesso dei requisiti ex art. 48 del codice dei contratti; la giurisprudenza amministrativa è orientata a ritenere che l’obbligo di segnalazione sussista non solo in caso di requisiti di capacità tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria, ma anche in relazione ai requisiti di ordine generale (Xx. xxxx. 4 maggio 2012, n. 8);
i) come per le violazioni di carattere tributario, anche quelle contributive devono essere gravi e definitivamente accertate: il requisito della gravità non può essere apprezzato in via autonoma dalle stazioni appaltanti, ma consegue al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC) negativo da parte del competente ente previdenziale (Ad. plen. 4 maggio 2012, n. 8, sopra citata); non così per l’ulteriore elemento costituito dalla definitività della violazione, per il quale si ammette un potere valutativo autonomo della stazione appaltante (in questo senso: Sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5064), ricavato, dapprima dagli artt. 5 e 7 del d.m. lavoro e previdenza sociale 24 ottobre 2007 (contenente norme sul documento
unico di regolarità contributiva), i quali prevedono che l’ente previdenziale debba ad invitare l’impresa a sanare la propria posizione in caso di mancanza dei requisiti di regolarità contributiva ed ora, dall’invito alla regolarizzazione è previsto a livello di legislazione primaria, con l’art. 31, comma 8 d.l. n. 69 del 2013 (“Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia”, conv. con l. n. 98/2013);
l) la dichiarazione di essere in regola sulla normativa a tutela del lavoro dei disabili ex art. 17 l. 68/1999 viene ritenuto un fondamentale requisito di partecipazione, indipendentemente perciò anche dalla sua previsione nel bando di gara, comportante la conseguente esclusione dalla gara (Sez. V, 29 gennaio 2013, n. 857; ma di questo indirizzo va verificata l’attualità alla luce dell’introduzione dell’art. 38, comma 2-bis, ad opera del d.l. n. 90/2014); quando invece questa dichiarazione sia stata resa, ma appaia di tenore equivoco o contraddittorio, deve farsi applicazione del soccorso istruttorio ex art. 46, comma 1, del codice dei contratti pubblici (Sez. III, 9 maggio 2014, n. 2376; Sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3361), a meno che la contraddittorietà della dichiarazione sia tale da farla risultare come inesistente, con esclusione del potere di chiedere chiarimenti o integrazioni (Sez. III, 18 aprile 2011, n. 2385; Sez. V, 24 marzo 2011, n. 1792);
m-quater) sono esclusi dalla gara i soggetti che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima gara, in una situazione di controllo di cui all’art. 2359 cod. civ. o in una qualsiasi relazione anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte siano imputabili ad un unico centro decisionale; l’applicazione della norma, specie con riferimento alla ipotesi della <<relazione anche di fatto>> comporta un accertamento in concreto, condotto mediante elementi probatori di carattere indiziario, i quali devono essere rigorosi, obiettivi e concludenti (Sez. V, 15 maggio 2013, n. 2631, 18 luglio 2012, n, 4189; Sez. VI, 22 febbraio 2013, n. 1091); in particolare, nel caso di collegamento sostanziale deve essere provata in concreto l’esistenza di elementi oggettivi e concordanti tali da ingenerare pericolo per il rispetto dei principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio tra i concorrenti; eventuali comunanze a livello strutturale sono, quindi, di per sé insufficienti, essendo necessario verificare se tale comunanza abbia avuto un impatto concreto sul rispettivo comportamento nell’ambito della gara, con l’effetto di determinare la presentazione di offerte riconducibili ad un unico centro decisionale, sì che la sola somiglianza della veste formale delle offerte non dimostra l’identità del centro decisionale, che invece postula una somiglianza del contenuto sostanziale delle offerte o una loro differenza voluta e studiata per turbare la gara (Sez. V, 20 giugno 2013, n. 4198); può ritenersi accertato il collegamento
sostanziale allorché le offerte evidenziano analoghe modalità di presentazione e dichiarazione; i versamenti in denaro per la partecipazione alla gara sono stati eseguiti in successione presso lo stesso sportello postale; le dichiarazioni di presentazione delle rispettive offerte sono identiche e redatte con la medesima forma e strumento; la sede legale corrisponde all'indirizzo di residenza e domicilio di entrambi gli amministratori delle due ditte (Sez V, 2 maggio 2013, n. 2397); o ancora in caso di intrecci personali tra gli assetti societari delle due imprese, e da certificazioni ottenute il medesimo giorno, nonché da fideiussioni bancarie a titolo di cauzione provvisoria rilasciate dalla stessa banca nello stesso giorno (Sez. VI, 8 maggio 2012, n. 2657).
7.1 (segue): i requisiti speciali
Passando ora ai requisiti speciali di qualificazione e di capacità tecnico – professionale ed economico – finanziaria, deve subito notarsi che il contenzioso sviluppatosi su di essi risente del carattere discrezionale delle scelte riservate alla stazione appaltante in sede di loro previsione nel bando di gara.
Come visto a proposito delle impugnative rivolte alla valutazione delle offerte, il profilo ora ricordato costituisce un fattore di moderazione della conflittualità. Le questioni concernenti il possesso o la corretta dichiarazione e verifica dei requisiti speciali sono infatti quantitativamente inferiori rispetto a quelle relative ai requisiti di ordine generale.
In sintesi, per quanto concerne i requisiti di capacità economica, date le opzioni consentite dall’art. 41 del d.lgs. 163/2006 (secondo cui queste possono essere alternativamente comprovate mediante referenze bancarie, bilanci dell’impresa o fatturato globale d’impresa e fatturato specifico nel settore oggetto di gara) la giurisprudenza amministrativa tende a riconoscere alle stazioni appaltanti di un’ampia discrezionalità in ordine all’individuazione della documentazione da produrre al fine della comprova della capacità economica e finanziaria dei concorrenti, consentendo a queste di prevedere nel bando l’acquisizione di
Già in precedenza, la giurisprudenza amministrativa aveva affermato la necessità, anche nei settori delle forniture e dei servizi, di sottoporre a sindacato di ragionevolezza e proporzionalità il potere discrezionale dell’amministrazione nell’individuazione dei criteri di selezione del contraente privato, in particolare laddove fossero richiesti requisiti ulteriori a quelli strettamente necessari in relazione alla tipologia e consistenza quantitativa dell’oggetto dell’affidamento (Sez. IV, 4 giugno 2013, n. 3081).
<<uno o più>> dei documenti in questione (comma 1 dell’art. 41), escludendo ad esempio che la produzione da parte del concorrente dei bilanci e del fatturato globale degli anni di riferimento possa surrogare la richiesta delle referenze bancarie contemplata dalla lex specialis (Sez. V, 17 luglio 2014, n. 3821, 27 maggio 2014, n. 2728). Si afferma inoltre che i requisiti di capacità economica prescritti nel bando di gara devono essere ragionevoli, adeguati e proporzionati rispetto all’oggetto ed al valore complessivo dell’appalto (cfr. Corte di giustizia UE, 18 ottobre 2012, C-218/11; a tutela delle piccole e medie imprese si segnala la previsione di illegittimità delle clausole dei bandi di gara che fissano <<senza congrua motivazione, limiti di accesso connessi al fatturato aziendale>> (art. 41, comma 2, ultimo periodo, cod. contratti pubblici, inserito dalla l. n. 135/2012).
Nell’ambito dei requisiti di capacità economica rientra anche quello di capitale minimo, che talvolta le amministrazioni aggiudicatrici impongono come condizione di ammissione alle procedure di affidamento di contratti.
La giurisprudenza ha al riguardo ritenuto legittime le clausole che impongono il possesso di un determinato capitale sociale, anche senza distinguere tra società di capitali e società di persone, trattandosi di elemento che funge da garanzia per l’amministrazione in ordine alla solidità ed affidabilità dell’impresa (Sez. V, 6 dicembre 2012, n. 6257).
I requisiti di capacità tecnica sono requisiti speciali concernenti l’esperienza e l’affidabilità organizzativa del concorrente, desunta, tra l’altro, dall’avere svolto negli ultimi tre anni forniture o servizi analoghi a quelli oggetto di gara; dal possesso di specifiche attrezzature tecniche idonee ad eseguire l’appalto richiesto; il possesso di un certo numero medio annuo di dipendenti e di dirigenti; la produzione di apposita campionatura del materiale da offrire (nel caso di forniture) o la produzione dei curricula professionali (nel caso di servizi), e così via (art. 42). Anche in questo caso si richiede alla stazione appaltante di indicare i requisiti di capacità tecnica necessari, nel limite della ragionevolezza e proporzionalità (art. 42, comma 3), e precisare nel bando o nella lettera d’invito quale siano i documenti che le imprese devono produrre a comprova del relativo possesso (comma 2). Al fine di agevolare le imprese partecipanti nella dimostrazione di questi requisiti e le stazioni appaltanti nella verifica degli stessi, il comma 3-bis dell’art. 42, inserito dalla legge n. 106/2011, di conversione del d.l. sviluppo n. 70/2011, come poi modificato dalla l. n. 35/2012, obbliga queste ultime ad inserire nella Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all’articolo 6-bis del presente codice dei contratti pubblici i certificati di esecuzione degli appalti pubblici di servizi e forniture da loro conclusi.
Uno degli aspetti che determina i maggiori dubbi e costituisce conseguentemente fonte di
contenzioso presso il giudice amministrativo è rappresentato dalla nozione di lavori o servizi
<<analoghi>> o <<similari>>, che comunemente le stazioni appaltanti impiegano nei bandi di gara al fine di verificare la capacità tecnica delle imprese partecipanti.
La giurisprudenza è al riguardo orientata nel senso che in omaggio al principio del favor partecipationis, la portata dei requisiti speciali richiesti dalla normativa di gara deve essere interpretata in modo da evitare l’introduzione di una barriera di ingresso anticompetitiva che restringa, in modo non ragionevole e non necessario, la platea dei potenziali competitori; pertanto, nell’ipotesi in cui siano impiegate espressioni di quelle poc’anzi dette il generico riferimento all’esperienza maturata nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto deve
essere riempito di contenuto seguendo un approccio ermeneutico estensivo, idoneo a valorizzare precedenti contratti che pur se non perfettamente sovrapponibili a quello oggetto della specifica gara rivelino la maturazione di capacità tecniche e operative utili, sul piano teleologico, a dimostrare la specifica affidabilità dell’impresa con riguardo all’oggetto delle prestazioni dedotte nel contratto di cui alla procedura di gara (Sez. V, 20 settembre 2012, n. 5009). Nondimeno, l’analogia o la similarità non può essere dilatata fino a comprendervi qualsiasi attività che sia stata comunque svolta da un’impresa, anche se non abbia alcuna attinenza con l’oggetto dell’appalto (Sez. III, 25 giugno 2013, n. 3437; Sez. V, 17 luglio 2014,
n. 3800, 8 aprile 2014, n. 1668, 17 marzo 2009, n. 1589).
I requisiti speciali (ma anche quelli di ordine generale, secondo quanto stabilito dall’Adunanza plenaria nella sentenza 4 maggio 2012, n. 8), sono oggetto di verifica da parte delle stazioni appaltanti ai sensi dell’art. 48 del codice dei contratti.
Questa disposizione prevede che prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima (termine perentorio, come stabilito dall’Adunanza plenaria nella sentenza 25 febbraio 2014, n. 10), il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico- organizzativa richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in esso prevista. Nell’ipotesi in cui la prova non sia fornita, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria ex art. 75 del codice e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i conseguenti provvedimenti sanzionatori (comma 1). Analoga previsione è prevista per l’aggiudicatario ed il concorrente che lo segue in graduatoria (comma 2). Anche in questo caso si afferma la natura perentoria del termine di 10 giorni ivi previsto (da ultimo: Sez. III, 30 aprile 2014, n. 2274).
Oltre ai requisiti di capacità tecnica ed economica, il codice dei contratti pubblici prevede la facoltà per le stazioni appaltanti di richiedere alle imprese concorrenti di provare di essere in possesso di iscrizioni in albi, registri o di essere in possesso di determinate autorizzazioni. Si tratta dei cc.dd. requisiti di idoneità professionale, cui si riferisce l’art. 39 del codice di cui al d.lgs. n. 163/2006.
Ciò al fine di verificare che le attività economiche svolte dalle imprese concorrenti siano inerenti al contratto pubblico da affidare, a pena di esclusione nel caso in cui tale inerenza non sia ravvisabile (Sez. IV, 2 dicembre 2013, n. 5279).
Nei casi in cui il bando di gara prescriva l’iscrizione al registro delle imprese, in conformità al comma 1 dell’art. 39 in esame, la verifica di inerenza deve avere riguardo alla categoria di iscrizione presso la Camera di commercio, a prescindere dall’oggetto sociale indicato nello statuto sociale, perché occorre avere esclusivo riguardo all’attività effettivamente esercitata (Sez. VI, 20 ottobre 2014, n. 5168).
Nell’ambito dei requisiti speciali di partecipazione alle procedure di affidamento di appalti pubblici sono comprese ai sensi dell’art. 43 anche le certificazioni di qualità, rilasciati da organismi indipendenti <<per attestare l’ottemperanza dell'operatore economico a determinate norme in materia di garanzia della qualità>>. In questo caso, la disposizione del codice “appalti” appena citata impone alle stazioni appaltanti di fare riferimento <<sistemi di assicurazione della qualità basati sulle serie di norme europee in materia e certificati da organismi conformi alle serie delle norme europee relative alla certificazione>>; ciò, peraltro, non in via esclusiva, giacché la medesima disposizione obbliga le medesime stazioni appaltanti a riconoscere <<altre prove relative all’impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità prodotte dagli operatori economici>>.
In relazione a quest’ultima previsione, la giurisprudenza può effettuare un riscontro concreto circa il rispetto da parte delle imprese concorrenti di standard di qualità, equivalenti a quelli stabiliti nell’ambito di sistemi di certificazione riconosciuti (Sez. V, 12 novembre 2013, n. 5375).
7.2 (segue): avvalimento e subappalto
Nell’ambito delle questioni concernenti i requisiti di qualificazione e capacità tecnico- professionale si colloca il nutrito contenzioso sorto intorno all’avvalimento previsto dall’art. 49 del codice dei contratti pubblici.
Come noto, l’avvalimento è un istituto di origine schiettamente europea, creato con finalità espansive della concorrenza, con il quale si consente a soggetti che siano privi dei requisiti di partecipazione a procedure di affidamento di concorrervi ricorrendo ai requisiti di altri soggetti (su questo punto: Sez. V, 5 dicembre 2012, n. 6233).
Caratteristiche strutturali dell’istituto sono l’irrilevanza per la stazione appaltante dei rapporti intercorrenti tra il concorrente ed il soggetto avvalso, essendo indispensabile unicamente che il primo dimostri di poter disporre dei mezzi del secondo (Sez. IV, 20 novembre 2008, n. 5742, 16 febbraio 2012, n. 810; Sez. VI, 31 luglio 2014, n. 4056).
La giurisprudenza amministrativa ha al riguardo precisato che l’avvalimento è un contratto consensuale bilaterale e a effetti obbligatori, nella cui ragione è evidente un’essenziale finalità pubblicistica, insita nella funzione di voler supplire, davanti alla stazione appaltante, alla mancanza in capo all’impresa concorrente di requisiti soggettivi necessari per l’aggiudicazione del contratto; pertanto l’impresa ausiliaria non può essere considerato un soggetto del tutto terzo ed estraneo rispetto alla gara, tant’è vero che ai sensi del comma 4 dell’art. 49 esso assume una responsabilità solidale nell’esecuzione del contratto; nella prodromica sede di gara l’impresa ausiliaria spende quindi una sua qualità soggettiva mettendola contrattualmente a disposizione dell’ausiliato per quella gara, impegnandosi non soltanto verso l’impresa ausiliata, ma anche verso la stazione appaltante a garantire di avere e di mettere a disposizione di quella concorrente le risorse di cui quella stessa è carente e che sono reputate indefettibili (Sez. VI, 31 luglio 2014, n. 4056).
L’impresa che intenda avvalersi dei requisiti di un’altra deve necessariamente darne atto in sede di presentazione dell’offerta, al fine di consentire all’amministrazione di verificare ab initio la sussistenza in capo ad ogni partecipante dei requisiti richiesti dal bando, ai sensi dell’art. 49, comma 1, lett. a), recante una <<specifica indicazione dei requisiti stessi e dell’impresa ausiliaria>> (a questo riguardo, cfr.: Sez. V, 6 dicembre 2012, n. 6257). In conseguenza di tale dichiarazione, che assume carattere impegnativo per la concorrente, non è in seguito possibile rinunciare all’avvalimento, dovendosi applicare a tale ipotesi i limiti di modificazione soggettiva dei concorrenti elaborati a proposito dei raggruppamenti temporanei di imprese, in virtù dei quali il recesso di talune delle componenti mediante utilizzo dei requisiti dei soggetti residui se posseduti, è possibile solo se è dettata dalle esigenze organizzative della compagine concorrente e non anche quando ciò serve per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo ai componenti (Sez. V, 8 aprile 2014, n. 1647).
Dal canto suo, l’ausiliario è tenuto a riprodurre il contenuto del contratto di avvalimento in una dichiarazione resa nei confronti proprio della stazione appaltante [art. 49, comma 1, lett d) ed f)].
Inoltre, lo stesso ausiliario deve essere in possesso dei requisiti di ordine generale [art. 49, comma 1, lett c)].
Questa disposizione è interpretata dalla giurisprudenza amministrativa come indice dell’equiparazione delle società ausiliarie alle concorrenti ausiliate quanto alle dichiarazioni concernenti i requisiti di ordine generale, sulla base del principio per cui questi ultimi devono
comunque essere posseduti da tutti i soggetti che a qualsiasi titolo concorrono all’esecuzione degli appalti, in virtù dell’equiparazione tra concorrente ed ausiliaria posta dall’art. 49, comma 2, lett. c), cod. contratti pubblici (Sez. V, 8 aprile 2014, n. 1647, 3 dicembre 2012, n.
6164, 15 novembre 2012, n. 5870, 23 maggio 2011, n. 3077).
Tuttavia, facendo applicazione del principio della tassatività delle cause di esclusione, la V Sezione si è espressa in senso contrario (sentenza 14 febbraio 2013, n. 911), muovendo dal dato letterale dell’art. 49, comma 2, lett. b), a mente del quale il concorrente deve semplicemente allegare <<una dichiarazione sottoscritta dall'impresa ausiliaria attestante il possesso da parte di quest'ultima dei requisiti generali di cui all'art. 38>> e dalla diversa posizione, rispetto al contratto, tra ausiliaria e concorrente poi aggiudicataria del contratto, la quale è tenuta ai sensi dell'art. 49, comma 10, ad eseguire il servizio e solo ad esso è rilasciato il certificato di esecuzione. In un caso concernente l’omessa dichiarazione ex art. 38, comma 1, lett. m-ter d.lgs. n. 163/2006, da parte dei legali rappresentanti dell’ausiliaria, la Sezione V del Consiglio di Stato ha escluso che tale disposizione normativa possa ritenersi violata nel caso in cui la modulistica di gara non recava il riferimento alla specifica ipotesi da essa contemplata (sentenza 8 novembre 2012, n. 5692).
L’avvalimento è ammesso per i requisiti di capacità tecnica e professionale, mentre è escluso per quelli di ordine generale, dato il loro carattere strettamente personale, oltre che per i requisiti di idoneità professionale ex art. 39 (in questo senso, per quanto riguarda l’iscrizione camerale per alcuni servizi: Sez. V, 5 novembre 2012, n. 5595).
A conferma di questo divieto, il c.d. decreto “sblocca – Italia” n. 133/2014 ha aggiunto all’art. 49 il comma 1-bis, a mente del quale non è consentito l’avvalimento dell’iscrizione all’albo nazionale dei gestori ambientali di cui al d.lgs. n. 152/2006.
Si ammette invece l’avvalimento del fatturato o dell’esperienza (Sez. III, 25 febbraio 2014,
n. 895; Sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 810; Sez. V, 14 febbraio 2013, n. 911); del numero minimo di dipendenti (Sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 810; Sez. VI, 20 settembre 2013, n. 4676), nonché l’avvalimento di garanzia, nel quale l’ausiliaria mette in campo la propria solidità economica e finanziaria a servizio dell’aggiudicataria ausiliata, ampliando così lo spettro della responsabilità per la corretta esecuzione dell’appalto, ma che, tuttavia, non deve rimanere astratto, cioè svincolato da qualsivoglia collegamento con risorse e dotazioni aziendali, pena altrimenti la vanificazione della funzione di garantire la stazione appaltante dai rischi di inadempimento contrattuale (Sez. III, 22 gennaio 2014, n. 294; Sez. V, 6 agosto 2012, n. 4510).
Va poi segnalato che l’art. 49, comma 6, vietante, in via generale, agli operatori economici che partecipano ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione, delle capacità di più imprese, è risultato in contrasto con il diritto europeo in materia di procedure di affidamento di appalti pubblici, il quale consente il cumulo delle capacità di più operatori economici (così ha stabilito la Corte di Giustizia Ue, nella sentenza 10 ottobre 2013, in causa C-94/12). In base a questa pronuncia ciò che rileva è la dimostrazione da parte del candidato o dell’offerente, che si avvale delle capacità di uno o di svariati altri soggetti, di poter disporre effettivamente dei mezzi di questi ultimi che sono necessari all’esecuzione dell’appalto.
Il giudice europeo ha precisato che se è vero che alcuni contratti possono richiedere capacità particolari, non ottenibili attraverso la sommatoria di capacità di più soggetti, è anche vero che questa ipotesi è eccezionale e non può essere oggetto di una regola generale.
Pertanto, è ammesso il cosiddetto avvalimento plurimo o frazionato. Con esso l’aspirante all’aggiudicazione di un contratto di appalto raggiunge un determinato requisito di partecipazione avvalendosi anche di più soggetti (Sez. V, 9 dicembre 2013, n. 5847, in un caso in cui il requisito di capitale minimo imposto dal bando è stato soddisfatto congiuntamente da impresa ausiliaria e concorrente ausiliata; nella stessa linea si è nuovamente espressa la V Sezione, con le sentenze 28 aprile 2014, n. 2200 e 17 marzo 2014, n. 1327).
Sempre presso la giurisprudenza amministrativa di secondo grado si registra un diffuso consenso circa il fatto che in sede di avvalimento le imprese ausiliaria e concorrente ausiliata non possono limitarsi alla messa a disposizione del requisito, ma, ai sensi dell’art. 88 d.p.r. n. 207/2010, devono esplicitare questo impegno, dovendo quindi risultare in modo chiaro dal contratto e dalla dichiarazione di impegno da rendere alla stazione appaltante ai sensi della lett. d) dell’art. 49, comma 1, d.lgs. n. 163/2006, la messa a disposizione da parte dell’ausiliaria delle proprie risorse e del proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustifichino l’attribuzione del requisito (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti). Si ritiene per contro insufficiente la riproduzione nei contratti di avvalimento della formula legislativa in cui ci si limiti ad esternare l’impegno di mettere a disposizione della concorrente le <<risorse necessarie di cui è carente il concorrente>> (Sez. V, 27 gennaio 2014, n. 412, la quale ha precisato che l’esigenza di determinare con precisione l’oggetto dell’avvalimento sussiste anche con riferimento alla dichiarazione unilaterale dell’ausiliaria; in termini: Sez. III, 3 settembre 2013, n. 4386, 29
ottobre 2012, n. 5512; Sez. IV, 2 luglio 2014, n. 3336, 26 maggio 2014, n. 2675, 16 gennaio
2014, n. 135; Sez. V, 15 luglio 2014, n. 3716, 2 luglio 2014, n. 3317, 17 marzo 2014, n. 1322, 12
novembre 2013, n. 5348, 19 novembre 2012, n. 5853; Sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2365, 13 giugno 2013, n. 3310, concernenti l’avvalimento dell’attestazione SOA; Sez. V, 11 luglio 2014, n. 3574, 6 agosto 2012, n. 4510, con riguardo al requisito tecnico consistente nell’avere svolto servizi analoghi; Sez. V, 8 novembre 2012, n. 5692, relativa al personale; Sez. III, 17 giugno 2014, n. 3058; Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6256, per quanto concerne l’avvalimento del fatturato). Per parte della giurisprudenza amministrativa di secondo grado, peraltro, il richiamo all’attestazione SOA soddisfa le esigenze di specificazione dell’oggetto del contratto di avvalimento (Sez. V, 23 ottobre 2012, n. 5408, relativa anche all’avvalimento della certificazione di qualità aziendale). La specificazione dei mezzi aziendali è necessaria anche per il c.d. avvalimento di garanzia (Sez. III, 17 giugno 2014, n. 3057 e 12 novembre 2014, n. 5573). In senso parzialmente diverso, tuttavia, e cioè nel senso che in quest’ultimo caso è sufficiente l’indicazione del fatturato messo a disposizione, senza necessità che la messa a disposizione si estenda alle risorse ed ai mezzi aziendali (Sez. III, 4 dicembre 2014, n. 5978).
Al di là del precedente da ultimo citato, quello prevalente presso la giurisprudenza di secondo grado muove dall’esigenza di evitare la circolazione meramente cartolare dei requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento di appalti pubblici, fonte di possibili ripercussioni negative sulla corretta esecuzione dei contratti. Una chiarificazione in sede di recepimento delle direttive europee “di terza generazione” è in questo caso quanto mai decisiva, considerata il considerevole numero di controversie incentrate sulla questione.
Sussiste poi un contrasto presso la giurisprudenza del Consiglio di Stato in ordine alla possibilità che la certificazione di qualità aziendale possa essere oggetto di avvalimento.
Favorevole è la V Sezione, la quale fa leva sull’assenza di divieti normativi espressi, sulle finalità concorrenziali dell’istituto e sull’afferenza della certificazione alla capacità tecnica dell’impresa (sentenze 20 dicembre 2013, n. 6125, 6 marzo 2013, n. 1368, 10 gennaio 2013, n.
90, 23 ottobre 2012, n. 5408; nello stesso senso anche Sez. IV, 3 ottobre 2014, n. 4958).
In senso maggiormente restrittivo si è invece espressa la III Sezione, la quale ha osservato che la certificazione aziendale non può essere oggetto di avvalimento senza la messa a disposizione dell’intero complesso aziendale del soggetto al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità, essendo il relativo certificato inerente ad un determinato sistema aziendale e preordinato a garantire un elevato livello di esecuzione del rapporto contrattuale (sentenze 7 aprile 2014, n. 1636, 25 febbraio 2014, n. 887). Più precisamente, in quest’ultima pronuncia si è affermato che la predetta certificazione rientra nell’alveo dei requisiti soggettivi, ancorché
di carattere tecnico, essendo finalizzata ad assicurare l’espletamento del servizio da parte dell’impresa secondo un livello minimo di prestazioni accertato da un organismo qualificato, sulla base di parametri uniformi che valorizzano l’intera organizzazione aziendale.
Naturalmente, il legislatore europeo ha confermato l’istituto nelle direttive di terza generazione (in particolare, per i settori ordinari: art. 63 della direttiva 24/2014/UE).
Rispetto alla precedente direttiva 2004/18 (in particolare: art. 47), degno di particolare menzione è il fatto che nell’ammettere espressamente l’avvalimento dei requisiti di idoneità professionale e dell’esperienza si richiede che l’impresa ausiliaria esegua <<i lavori o i servizi per cui tali capacità sono richieste>>; per quanto riguarda invece l’avvalimento dei requisiti di capacità economica e finanziaria la direttiva lascia alla facoltà del legislatore nazionale quello di prevedere la responsabilità solidale di concorrente e ausiliaria per l’esecuzione del contratto.
Deve infine segnalarsi che l’istituto dell’avvalimento presenta alcuni punti di contatto ma anche significative differenze rispetto al subappalto.
Quest’ultimo, è quel contratto secondario o derivato, posto a valle del contratto di appalto ed attinente alla sua esecuzione (Sez. V, 16 aprile 2013, n. 2105, 26 marzo 2012, n. 1726). La complessiva disciplina sul subappalto, in particolare nel settore dei contratti di lavori pubblici, è finalizzata a sottrarre la regolamentazione del rapporto derivato tra appaltatore e subappaltatore margini di autonomia ed a consentire il controllo su di esso della stazione appaltante (Sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1224).
Il subappalto si differenzia strutturalmente dall’avvalimento, pur avendo la comune funzione di aumentare la concorrenza nelle procedure di affidamento di contratti pubblici. Il primo rappresenta un modo di essere dello svolgimento dei lavori, nel senso che un soggetto, pienamente qualificato e in possesso di tutti i requisiti, può affidare ad altra impresa una parte dei lavori, il secondo, invece, è un istituto di soccorso al concorrente già in sede di gara (Sez. V, 26 marzo 2012, n. 1726, Sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2508).
Ciò si evince dalla diversa regolamentazione giuridica dei due istituti. Le norme vigenti in materia di subappalto non richiedono che le società subappaltatrici debbano essere preventivamente individuate in sede di offerta, a differenza da quelle in materia di avvalimento, nel quale la società ausiliaria deve essere preventivamente indicata in sede di offerta. L’avvalimento, infatti, è un istituto che consente al concorrente di integrare i propri requisiti in sede di gara, mentre il subappalto, rappresenta una modalità di esecuzione dei lavori; la società ausiliaria non è un soggetto terzo rispetto alla gara, dovendosi essa
impegnare sia verso l’impresa concorrente sia - solidalmente - verso la stazione appaltante; nel subappalto, invece, il soggetto responsabile verso la stazione appaltante è la sola impresa appaltatrice, mentre il subappaltatore rimane estraneo alla procedura di gara e compare solamente in fase esecutiva.
Peraltro, pur non sostanziandosi in una causa di esclusione, la dichiarazione dell’impresa concorrente di volere subappaltare parte delle prestazioni oggetto di contratto deve necessariamente essere resa in sede di gara. La conseguenza di tale omissione consiste nell’impossibilità di ottenere la conseguente autorizzazione dalla stazione appaltante.
La giurisprudenza amministrativa ha poi precisato che la dichiarazione relativa al subappalto di parte dei lavori può essere limitata alla mera indicazione della volontà di concludere un subappalto, se il bando lo consente (Sez. III, 10 dicembre 2013, n. 5917), o se il concorrente sia a propria volta in possesso delle qualificazioni necessarie per l’esecuzione e dunque il ricorso al subappalto rappresenti per lui una mera facoltà, dovendo in caso contrario la dichiarazione in questione contenere l’indicazione del subappaltatore e la dimostrazione che questi è in possesso dei requisiti di qualificazione (Sez. III, 5 dicembre 2013, n. 5781, 4 settembre 2013, n. 4431; Sez. IV, 26 maggio 2014, n. 2675, 13 marzo 2014, n.
1224; Sez. V, 21 novembre 2012, n. 5900, 20 giugno 2011, n. 3698).
Il difetto di qualificazione comporta l’esclusione della concorrente che non ha indicato l’impresa subappaltatrice in sede di gara (Sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1224).
Nel caso in cui la concorrente sia in possesso delle qualificazioni necessarie, l’erronea dichiarazione relativa al subappalto può determinare l’impossibilità di ottenere la conseguente autorizzazione nella fase esecutiva del contratto (Sez. V, 19 giugno 2012, n. 3563, 23 gennaio 2012, n. 262; Sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2508).
Del pari, l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (ora Autorità nazionale anticorruzione) ha affermato che il superamento delle percentuali di ammissibilità del subappalto non comporta l’esclusione del concorrente, ma l’impossibilità di farvi ricorso in caso di aggiudicazione (parere di precontenzioso n. 13 del 14 febbraio 2013).
In questa fase è inoltre destinata ad essere effettuata la verifica del possesso dei requisiti in capo alla subappaltatrice (Sez. V, 25 luglio 2013, n. 3963).
E’ considerata generalmente legittima l’introduzione di limiti al subappalto ulteriori a quelli previsti dall’art. 118 cod. contratti pubblici. Detti limiti sono ammessi a condizione che ricorrano specifiche esigenze di natura tecnica ed organizzativa, di cui occorre dare conto nel bando di gara, e che possono essere sindacati sotto il profilo della logicità, ragionevolezza e
proporzionalità, in relazione al sacrificio al principio di massima partecipazione ed al sacrificio alla libertà imprenditoriale che con essi si determina (Sez. IV, 15 luglio 2013, n. 3857, che ha ritenuto legittimo il divieto in relazione a parti del servizio ritenute essenziali dall’amministrazione).
8. Il contenzioso sul risarcimento del danno negli appalti pubblici
Brevi cenni merita la questione del risarcimento dei danni da mancata aggiudicazione, frequentemente posta all’attenzione della giurisprudenza amministrativa e che – come testimoniano le alluvioni di Genova nello scorso autunno – possono costituire un fattore paralizzante dell’efficace svolgimento delle procedure di affidamenti degli appalti.
In estrema sintesi, il pregiudizio che viene immediatamente in rilievo per questa tipica forma di tutela in sede di contenzioso amministrativo sugli appalti pubblici è il mancato utile economico che l’impresa avrebbe ricavato da questi. Ad esso si aggiunge solitamente il danno “curriculare”, consistente nella mancata acquisizione di requisiti di capacità conseguenti all’esecuzione dell’appalto, da spendere in successive procedure di aggiudicazione e più in generale della perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale.
Fondamentale nella materia è la pronuncia della Corte di Giustizia UE 30 settembre 2010, C-314/09, la quale ha affermato che nella materia del danno da mancata aggiudicazione non occorre accertare l’elemento soggettivo dell’illecito e cioè se l’amministrazione aggiudicatrice abbia illegittimamente negato l’appalto per colpa. Pertanto, l’accertamento di responsabilità si fonda esclusivamente sull’accertamento di illegittimità dell’aggiudicazione e sulla constatazione di riflessi pregiudizievoli nella sfera patrimoniale dell’impresa ricorrente, posti in rapporto di causalità con detta illegittimità (cfr. Sez. V, 8 novembre 2012, n. 5686; Sez. VI, 3 settembre 201, n. 4392).
Proprio questa acquisizione costituisce una possibile controspinta ed un fattore di rallentamento e cautela nell’aggiudicazione e stipula dei contratti d’appalto, a causa del rischio di contenziosi da parte di imprese, per lo più appaltatori uscenti, che paventano l’intenzione di agire in giudizio al fine di procrastinare la loro sostituzione con il nuovo aggiudicatario, con il corollario della richiesta risarcitoria.
Nella materia costituisce una importante puntualizzazione la recentissima sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato n. 6450 del 31 dicembre 2014, la quale ha statuito che:
a) la qualificazione del danno da illecito provvedimentale rientra nello schema della responsabilità extra contrattuale disciplinata dall’art. 2043 c.c.; conseguentemente, per ottenere il ristoro è indispensabile, ancorché non sufficiente, che l’interesse legittimo o il diritto soggettivo sia stato leso da un provvedimento (o da comportamento) illegittimo dell’amministrazione reso nell’esplicazione (o nell’inerzia) di una funzione pubblica e la
xxxxxxx deve incidere sul bene della vita finale, che funge da sostrato materiale della situazione soggettiva e che non consente di configurare la tutela degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative, dei ritardi procedimentali, o degli interessi contra ius;
b) l’onere di provare la presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito extracontrattuale (condotta, evento, nesso di causalità, antigiuridicità), grava sulla parte privata danneggiata;
c) la prova dell’esistenza dell’antigiuridicità del danno deve intervenire all’esito di una verifica del caso concreto che faccia concludere per la sua certezza la quale, a sua volta, presuppone: l’esistenza di una posizione giuridica sostanziale; l’esistenza di una lesione che è configurabile (oltre ché nell’ovvia evidenza fattuale) anche allorquando vi sia una rilevante probabilità di risultato utile frustrata dall’agire (o dall’inerzia) illegittima della pubblica amministrazione;
d) non è invece necessario provare la colpa dell’amministrazione aggiudicatrice,
e) nelle ipotesi di responsabilità oggettiva, sul creditore danneggiato grava l’onere di provare il nesso di causalità, mentre sul danneggiante convenuto grava l’onere di provare il caso fortuito (inteso come specifico fattore capace di determinare autonomamente il danno), comprensivo del fatto del terzo (che abbia avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno) e di quello del danneggiato (rimanendo a suo carico il fatto ignoto in quanto inidoneo a eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell’accadimento);
f) il danno – inteso sia come danno evento che come danno conseguenza – e la sua quantificazione devono essere oggetto, da parte dell’attore, di un rigoroso onere allegatorio, potendosi comunque ammettere il ricorso alla prova per presunzioni, mentre il ricorso alla valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ. è ammesso soltanto in presenza di situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull'ammontare del danno; conseguentemente le parti non possono sottrarsi all'onere probatorio relativo al quantum debeatur e rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente neppure nel caso di consulenza tecnica d'ufficio cosiddetta "percipiente", che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova;
g) nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante si identifica con l’interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l'impresa avrebbe ricavato dall'esecuzione dell'appalto), sia il danno
c.d. curriculare (ovvero il pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta
esecuzione dell’appalto); trattandosi di voci costitutive di danno-evento ex art. 1223 c.c., conseguenti alla omessa aggiudicazione e stipulazione del contratto, il mancato utile non deve essere calcolato utilizzando il criterio forfettario di una percentuale del 10% del prezzo a base d'asta, ma sulla base dell'utile che effettivamente l’impresa pretermessa avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria; il criterio forfettario, infatti, si risolve in una automatica, inammissibile, applicazione analogica del criterio indennitario del 10% del prezzo a base d'asta ai sensi dell'art. 345 della l. n. 2248 del 1865, All. F; il mancato utile spetta nella misura integrale solo se la concorrente dimostra di non aver potuto altrimenti utilizzare mezzi e maestranze, in quanto tenuti a disposizione in vista dell'aggiudicazione; in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi, con la conseguente decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum;
h) il danno curriculare, a sua volta, ferma restando la sua puntuale allegazione, può essere equitativamente liquidato in una percentuale del mancato utile effettivamente provato; coerentemente deve escludersi che possano essere liquidate tutte le spese (incluse quelle generali), a qualunque titolo sostenute per la predisposizione dell’offerta e la partecipazione alla gara che la parte avrebbe dovuto sopportare anche se la procedura si fosse svolta legittimamente e che restano logicamente assorbite dalla percezione dell’utile effettivo;
i) spetta all’impresa danneggiata offrire la prova della percentuale di utile che avrebbe conseguito (sulla quale computare il danno curriculare), qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, cod. proc. amm.); quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni (specie patrimoniali), in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, comma 1, cod. civ.
Concentrandosi sulle questioni concernenti la quantificazione del risarcimento, abbandonata ormai la tesi secondo cui l’utile può essere determinato in via forfetaria, nella misura del 10% dell’offerta presentata dalla ricorrente (elaborata in applicazione analogica di quanto previsto in caso di recesso dell’amministrazione ex art. 134 del codice appalti), la
giurisprudenza afferma ormai costantemente, argomentando dalla necessità che, ai sensi dell’art. 124 del codice del processo amministrativo, che il danno sia provato. In particolare, è necessaria la prova, a carico dell'impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se essa fosse risultata aggiudicataria dell’appalto (ex multis: Sez. IV, 27 marzo 2014, n. 1478, 18 novembre 2013, n. 5453, 12 febbraio 2013, n. 848; Sez. V, 10 settembre 2014, n.
4586, 8 agosto 2014, n. 4248, 25 giugno 2014, n. 3220, 21 giugno 2013, n. 3397, 19 novembre
2012, n. 5846, 20 aprile 2012, n. 2317). La quale prova è desumibile in primis dall’offerta economica presentata dall’impresa danneggiata, o altrimenti può essere quantificata dall’amministrazione in seguito a condanna sui criteri ex art. 34, comma 4, del codice del processo.
Per quanto riguarda il danno curriculare, la giurisprudenza suole adottare un criterio di quantificazione equitativo puro, applicando gli artt. 2056 e 1226 cod. civ., trattandosi di pregiudizio non accertabile in termini oggettivi. Le pronunce di condanna oscillano tra il 5 ed il 2 per cento del valore del contratto.
Costituisce una acquisizione ormai, presso la giurisprudenza, che non vanno risarciti a titolo di danno da mancata aggiudicazione i costi sostenuti per la partecipazione alla gara, trattandosi di spese sostenute da chiunque partecipi alla procedura di affidamento e che sarebbero rimaste a carico dell’impresa danneggiata anche se la stessa non fosse stata illegittimamente privata del contratto ma lo avesse eseguito (Sez. III, 7 marzo 2013, n. 1381; Sez. IV, 27 marzo 2014, n. 1478, 13 dicembre 2013, n. 6000).
Nel caso in cui l’impresa non riesca a fornire la prova che in mancanza di illegittimità consumatesi nella procedura di gara si sarebbe aggiudicata il contratto, la stessa è ammessa a provare la perdita della relativa chance a fini risarcitori. In questo caso, l’utile presunto viene proporzionalmente ridotto in ragione delle concrete possibilità di vittoria ricavabili dagli atti e dallo stato della procedura (Sez. V, 21 giugno 2013, n. 3397; in termini analoghi, la stessa Sezione nelle sentenze 3 settembre 2013, n. 4376 e 15 aprile 2013, n. 2038 e, da ultimo, nella
sopra citata sentenza 22 dicembre 2014, n. 6264).
9. Considerazioni finali
La ricognizione sulla situazione attuale del contenzioso amministrativo in materia di appalti pubblici induce ad una iniziale riflessione.
Quanto più il quadro normativo si infittisce - indipendentemente dalle cause, che nella gran parte sono legate alle tecnicalità della materia trattata o al coordinamento di diversi corpi legislativi – tanto più crescono le occasioni di contenzioso o quest’ultimo tende a divenire complesso e dagli esiti imprevedibili, a causa della concreta possibilità di oscillazioni giurisprudenziali.
E’ certo difficilmente contestabile l’assunto che le controversie sono occasionate da un generale scadimento qualitativo della legislazione o dalla proliferazione di riforme, spesso inserite in provvedimenti emergenziali prive di respiro organico. Ma è del pari certo che ulteriore fattore di sviluppo del contenzioso è dato dal tasso di rigidità delle regole normative e dai vincoli che essa impone alle amministrazioni nella conduzione della procedura di gara. L’eccesso di regolazione può rappresentare una sicurezza per i funzionari amministrativi, attraverso la meccanicistica applicazione delle norme di legge, ma comporta il rischio di fughe dalle responsabilità che invece questi ultimi sono comunque chiamati ad assumersi.
L’analisi condotta in questa relazione sulle aree di sviluppo del contenzioso svolto dimostra che laddove la norma consente margini di manovra alle amministrazioni, un esercizio ragionevole del potere e della discrezionalità ad essa sotteso può indurre le parti a desistere dal proporre impugnative, perché l’esito difficilmente potrà arriderle (a prescindere poi dal fattore costo, notevolmente aumentato a causa di discussi interventi degli ultimi governi in carica, posti anche all’attenzione della Corte di giustizia dell’Unione).
Il giudice amministrativo è infatti un giudice “speciale” proprio perché – si afferma comunemente – meglio attrezzato rispetto a quello ordinario a comprendere l’operato dei pubblici poteri.
Un altro riconoscimento tributato al giudice amministrativo è la capacità di cogliere i cambiamenti di indirizzo legislativo. In questa ottica possono allora essere collocate alcune delle più significative pronunce nomofilattiche dell’Adunanza plenaria, seguite a stretto giro dal legislatore, in un continuum volto nel suo complesso ad arginare contenziosi incentrati sulla ricerca di cause di esclusione delle imprese avversarie per ragioni di carattere meramente formale.
E’ tuttavia auspicabile che questa linea di intervento sia percorsa dosando gli strumenti a disposizione delle stazioni appaltanti.
Ed infatti, da un lato si tende recentemente a circoscriverne la discrezionalità. Ciò in particolare avviene “a monte”, riconducendo ad ipotesi tassativamente fissate a livello primario le cause di esclusione dalle gare, e tipizzando i contenuti del bando, dall’altro la si
dilata “a valle”, mediante una decisa estensione del potere di soccorso istruttorio in favore delle imprese partecipanti alla competizione.
Non va trascurato che in questa direzione si muove il legislatore europeo, in relazione al quale si è in parte giocato in anticipo in casa.
Punti salienti della direttiva sugli appalti nei settori ordinari (2014/24/UE) che dovrà essere recepita entro aprile 2016 sono infatti:
I) ricorso all’autocertificazione, con l’introduzione del documento di gara unico europeo (DGUE, ex art. 59) <<che consiste in un’autodichiarazione aggiornata come prova documentale preliminare in sostituzione dei certificati rilasciati da autorità pubbliche o terzi>> e che quindi conterrà le informazioni relative all’operatore economico e l’autocertificazione dei requisiti necessari alla partecipazione alle gare (si tratta di una novità a livello europeo, ma senza alcun tratto realmente rivoluzionario per il nostro ordinamento in cui il processo di decertificazione è stato avviato da tempo, e da ultimo culminata con l’obbligo dal 1° luglio 2014 di ricorrere in via esclusiva alla Banca nazionale dei contratti pubblici presso l’Autorità nazionale anticorruzione: art. 6-bis, comma 1, cod. contratti pubblici);
II) possibilità di esaminare le offerte prima della documentazione amministrativa concernente i requisiti di partecipazione (art. 56, paragrafo 2);
III) l’introduzione di nuove procedure di affidamento che aumentano le possibilità di negoziazione tra la pubblica amministrazione e le imprese in corso di gara, come ad esempio i “partenariati per l’innovazione” (art. 31), che consentono alle autorità pubbliche di indire bandi di gara per risolvere un problema specifico, lasciando spazio alle autorità pubbliche e all’offerente per trovare insieme soluzioni innovative;
IV) maggiore articolazione e definizione delle possibilità di ricorso alla trattativa privata (procedura negoziata senza bando: art. 32) da parte delle stazioni appaltanti; solo per i settori ordinari, viene introdotta la procedura competitiva con negoziazione (art. 29: in risposta ad un bando le imprese inviano un’offerta iniziale che viene negoziata e progressivamente “limata” con l’amministrazione, fino ad arrivare all’offerta finale), accanto alla conferma del dialogo competitivo, entrambe in caso di contratti che per caratteristiche tecniche, giuridiche ed economiche, richiedono soluzioni innovative o presentino comunque un apprezzabile livello di complessità, o ancora per i quali l’amministrazione non sia in grado di definire le specifiche tecniche (art. 26);
V) preferenza, per quanto riguarda i criteri di aggiudicazione nell’assegnazione degli appalti, del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 67) e l’uso strategico
degli appalti per ottenere merci e servizi che promuovano l’innovazione, rispettino l’ambiente e contrastino il cambiamento climatico, migliorando l’occupazione, la salute pubblica e le condizioni sociali (art. 18, paragrafo 2).
Il disegno ispiratore complessivo è (e deve essere) quello di favorire la massima concorrenzialità e partecipazione degli operatori economici alle procedure d’appalto, a beneficio anche delle amministrazioni aggiudicatrici.
Con gli obiettivi e strumenti fissati nelle direttive di terza generazione si deve comunque coniugare una linea di intervento tendente verso modelli di amministrazione pubblica moderna, in grado di programmare i propri fabbisogni di beni, servizi e lavori e predisporre e svolgere le conseguenti procedure di aggiudicazione dei contratti, riducendo rigidità normative e burocratiche ed aumentando gli spazi di flessibilità progettuale, organizzativa e procedimentale.
In questo quadro si colloca anche il disegno di accentramento e riduzione delle stazioni appaltanti, spinta dalla necessità di conseguire risparmi finanziari, che dovrebbe consentire di allocare le risorse umane e strumentali ad una dimensione ottimale e consolidare la formazione di adeguate professionalità per la conduzione delle gare, supplendo alle difficoltà palesatesi negli ultimi anni a causa dei vincoli alle assunzioni nel pubblico impiego.