Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Sentenza 22 dicembre 2008, n. 29923
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Sentenza 22 dicembre 2008, n. 29923
Integrale
Lavoro a tempo parziale - contributi assicurativi - settore pulizie - orario minimo settimanale - art. 26, c.c.n.l. 21 maggio 1993 - interpretazione da parte del giudice di merito - conformità ai canoni legali di ermeneutica contrattuale - conseguenze
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXXXX Xxxxxx - Presidente
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxxx - Xxxxxxxxxxx
Dott. STILE Xxxxx - rel. Consigliere
Dott. DE XXXXXXX Xxxx - Consigliere
Xxxx. XXXXXX Xxxxxxxx - Xxxxxxxxxxx
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso 19893/2005 proposto da:
CO.GI.FE. S.C.A.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBALONGA 7, presso lo studio dell'avvocato XXXXXXXX XXXXXXXXXX, rappresentata e difesa dall'avvocato DE NOTARIIS XXXXXXXX, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DELLA XXXXXX 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati XXXXXXXX XXXXX, XXXXXXX XXXXXXXXXXX, XXXXXXX XXXXXXXX, XXXXX XXXXXXXX, giusta mandato in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 195/2004 della CORTE D'APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 13/07/2004 R.G.N. 311/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/10/2008 dal Consigliere Dott. XXXXX XXXXX;
udito l'Avvocato MARITATO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Xxxx. XXXXXX Xxxxx, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 5 luglio 2000 la soc. coop. a.r.l. CO.GI.FE., con sede in (OMESSO), a seguito di sentenza dichiarativa d'incompetenza emessa dal Tribunale di Campobasso, riassumeva davanti al Tribunale di Isernia, dichiarato competente, il processo che aveva instaurato contro l'INPS con ricorso 28 gennaio 2000.
Esponeva che, con verbale di accertamento 28 maggio 1999, l'INPS aveva contestato alla stessa la violazione del CCNL del settore pulizie, avendo assunto con contratto a tempo parziale una lavoratrice per un orario di lavoro settimanale inferiore al minimo stabilito di 14 ore.
Deduceva l'insussistenza della violazione poiche' essa societa', all'epoca, non poteva collocare la predetta lavoratrice in altri appalti ricadenti nel medesimo ambito territoriale.
Concludeva perche', accertata l'illegittimita' (recte: la legittimita') dei contratti a tempo parziale e, per converso, l'infondatezza dell'accertamento, venisse riconosciuto, in proprio favore, il diritto agli sgravi ed alla fiscalizzazione. Costituitosi, l'INPS sosteneva che la CO.GI.FE. forniva una lettura interpretativa dell'articolo 26 c.c.n.l. non condivisibile e chiedeva pertanto il rigetto del ricorso.
Espletata l'attivita' istruttoria, il Tribunale, con sentenza 15 gennaio 2002, respingeva la domanda.
Avverso tale decisione proponeva appello la societa', insistendo nel ritenere applicabile alla fattispecie, alla stregua del disposto di cui al richiamato articolo 26, il principio dell'orario minimo possibile e non quello dell'orario minimo inderogabile.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la CO.GI.FE. SCARL con un unico articolato motivo.
L'INPS resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il proposto ricorso la societa' CO.GI.FE., denunciando violazione di legge, ultrapetizione - Decreto Legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, in specie articoli 1 e 9, nonche' violazione e falsa interpretazione dell'articolo 26 del CCNL per le imprese di pulizia del 21 maggio 1993, illogicita' e contraddittorieta', ed ancora violazione del messaggio I.N.P.S. n. 5143 del 14.2.2005, lamenta che la Corte di Appello di Campobasso abbia erroneamente sostenuto che l'orario minimo, assolvendo alla funzione di garantire al lavoratore a tempo parziale un minimo retributivo, sarebbe eluso, se fosse riducibile agli effetti della retribuzione.
Altrettanto erroneamente, pertanto, il Giudice a quo avrebbe ritenuto che al lavoratore a tempo parziale di un'impresa di pulizie, anche quando sia impiegato per meno di 14 ore settimanali, debba essere corrisposto un salario ragguagliato all'orario minimo, con la conseguenza che l'impossibilita' di raggiungere detto orario minimo rientrerebbe nell'ambito dei rischi aziendali.
Ad avviso della ricorrente, tale lettura degli atti di causa costituirebbe una deviazione dal petitum e dalla causa petendi, concernenti la disciplina previdenziale e non l'entita' e quantita' delle retribuzioni, salvo a non confondere il rapporto previdenziale con il rapporto di lavoro.
Il motivo, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, e' infondato.
E' principio ripetutamente affermato da questa Corte che l'interpretazione del contratto - individuale o collettivo di diritto comune - e' riservata al giudice del merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimita', a un sindacato che e' limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo di una motivazione coerente e logica. Nell'interpretazione dei contratti, ivi inclusi i contratti collettivi di diritto comune, i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia in forza del quale i canoni strettamente interpretativi - tra i quali risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole - prevalgono su quelli interpretativi - integrativi; l'indagine sulla corretta applicazione di essi compete al giudice di merito e non e' sindacabile in sede di legittimita' se correttamente motivata (ex plurimis, Cass. 25 ottobre 2005 n. 20660).
Piu' in dettaglio - secondo la richiamata giurisprudenza - l'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice del merito e, come tale, puo' essere denunciata, in sede di legittimita', soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (articolo 1362 c.c. e ss., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3) oppure per vizio di motivazione (articolo 360 c.p.c., n. 5), con l'onere per il ricorrente, tuttavia, di indicare specificamente il punto ed il modo in cui l'interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica o la motivazione relativa risulti obiettivamente carente o logicamente contraddittoria, non potendosi, invece, limitarsi a contrapporre - inammissibilmente - interpretazioni o argomentazioni alternative - o, comunque, diverse - rispetto a quelle proposte dal giudice di merito ed investite dal sindacato di legittimita', esclusivamente, sotto i profili prospettati.
Nella specie, il Giudice a quo ha scandito il suo ragionamento attraverso i seguenti passaggi:
a) ha, in primo luogo, osservato che l'articolo 26 del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto dei lavoratori dipendenti dalla societa' prevede che il minimo settimanale dell'orario nei rapporti a tempo parziale non puo' essere inferiore a 14 ore e che qualora non sia possibile il raggiungimento di detto minimo in un'unica sede di servizio, le parti si danno atto che il rispetto dello stesso e' possibile solo a fronte della disponibilita' del lavoratore ad operare su piu' appalti ove l'impresa ne sia titolare nello stesso ambito territoriale;
b) ha, poi, preso atto, in maniera implicita ma non per questo poco chiara, che la CO.GI.FE. S.r.l. non aveva contestato di avere stipulato contratti a tempo parziale per orari inferiore a 14 ore settimanali, limitandosi a sostenere che, non essendo titolare di altri appalti - oltre a quello in cui la lavoratrice operava-nello stesso ambito territoriale, l'orario settimanale minimo di 14 ore poteva, per cio' stesso, essere ridotto;
c) ha, quindi, ritenuto tale assunto infondato in quanto la possibilita' di operare su piu' appalti, purche' non dislocati in diversi ambiti territoriali, si configurava all'evidenza quale misura preordinata al raggiungimento dell'orario minimo e non gia' quale misura residuale che, ove non praticabile, avrebbe comportato la rimozione dal rapporto di lavoro part-time, dell'orario minimo settimanale che, proprio perche' tale, non era suscettibile di tollerare approssimazioni per difetto.
Orbene tale interpretazione, oltre a non essere censurata mediante l'indicazione dei criteri interpretativi che sarebbero stati violati, non appare ne' illogica ne' contraddittoria, sicche' la critica avanzata finisce col ridursi alla prospettazione di una diversa interpretazione inammissibile in questa sede.
Ne' appare pertinente la deduzione di omessa valutazione, da parte del Giudice a quo, della disciplina contenuta nel Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 9, in base al quale, nel caso di part-time, i contributi previdenziali andrebbero calcolati in relazione all'orario pattuito nel contratto individuale, indipendentemente da eventuali soglie minime determinate dal CCNL di riferimento, trattandosi di disposizione non applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis; e, neppure, appare rilevante, ai fini del decisum, la precisazione, da parte dello stesso INPS, contenuta nel messaggio n. 5143 del 14.2.2005, favorevole - a dire della ricorrente - al proprio assunto, in quanto essa, oltre a non avere incidenza sul piano ermeneutico, non e' stata riprodotta nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza. Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, cui va prestata adesione, ove, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l'incongruita' o illogicita' della motivazione della sentenza impugnata per l'asserita mancata valutazione di risultanze processuali, e' necessario, al fine di consentire al giudice di legittimita' il controllo della decisivita' della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale e' precluso l'esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisivita' della risultanza stessa ( ex plurimis, Xxxx. 13 gennaio 1997 n. 265; v. anche Xxxx. 12 settembre 2000 n. 12025; Cass. 11 gennaio 2002 n. 317).
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in euro 10,00, oltre euro 3.000,00 per onorari ed oltre accessori di legge.