SOMMARIO: 1. Pothier e la patrimonialità dell’obbligazione - 2. Il valore economico d’un interesse. - 3. La patrimonialità tra obbligazione e contratto - 4. La patrimonialità quale limite all’autonomia privata, inquadramento. - 5 All’origine della...
IL PROBLEMA DELLA PATRIMONIALITÀ DELL’OBBLIGAZIONE E DEL CONTRATTO.
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Di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
I l p r o b l e m a d e l l a p a t r i m o n i a l i t à d e l l ’ o b b l i g a z i o n e e d e l c o n t r a t t o ( T o m m a s o P e l l e g r i n i )
SOMMARIO: 1. Xxxxxxx e la patrimonialità dell’obbligazione - 2. Il valore economico d’un interesse. - 3. La patrimonialità tra obbligazione e contratto - 4. La patrimonialità quale limite all’autonomia privata, inquadramento. - 5 All’origine della confusione. - 6 L’art. 1225 c.c. e il valore d’uso “dialettizzato”, ossia critica alla patrimonialità quale limite all’autonomia privata -
7. Patrimonialità e causa del contratto. - 8 Patrimonialità e diritti patrimoniali. - 9. L’homo oeconomicus e i rapporti di cortesia, ossia la patrimonialità come punto di contatto tra dinamica economica e sistema giuridico. – 10. (segue) La funzione normativa del mercato e la funzione economica dell’ordinamento, riflessi applicativi.
ABSTRACT. Argomentando intorno alle funzioni del requisito della patrimonialità della prestazione, lo scritto si sviluppa intorno al seguente interrogativo: se la pattuizione di una clausola penale o di un corrispettivo rendano effettivamente patrimoniale una controprestazione in sé non patrimoniale.
Discussing about the functions of pecuniary requirement of the performance, the script is developed around the following question: if a penalty clause or a payment can transform a non economic performance into economic.
1. Xxxxxxx e la patrimonialità dell’obbligazione.
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Nel diritto contemporaneo al requisito della patrimonialità della prestazione sono state attribuite
La definitiva confutazione dell’irrisarcibilità del danno non patrimoniale4, abbinata alla valorizzazione dell’azione d’adempimento5 peraltro recentemente rinforzata dall’art. 614 bis c.p.c., modifica il dato di partenza dell’idea di Pothier6. La
molteplici funzioni. Per cominciare è bene promessa violata non resterà senza effetti anche se
selezionarne due: 1) distinguere l’obbligazione giuridica da altri impegni non sottomessi alla sua disciplina; 2) descrivere il contenuto del danno da inadempimento.
Può dubitarsi oggi che i due temi siano tra loro connessi, ma nessun dubbio colse Xxxxxxx che giustificava il requisito della patrimonialità (rectius: dell’«interesse apprezzabile in denaro») rilevando che «non può esservi obbligazione quando chi ha promesso di fare o non fare una cosa può violare impunemente la sua promessa»1. Solo un qualcosa di patrimoniale, secondo Xxxxxxx, può essere risarcito e solo ciò che può essere risarcito può essere obbligazione, ergo: solo un qualcosa di patrimoniale può essere obbligazione2. Risarcimento e giuridicità combaciano, nel senso che la seconda è costretta negli spazi angusti in cui viene relegata dal primo3. Così, appare evidente, il requisito della patrimonialità è una premessa logica dell’obbligazione su cui il legislatore non ha voce in capitolo, e in tale ottica è più che comprensibile il silenzio che sul punto contraddistingueva il Code del 1804 e il codice civile del 1865.
1 R.J. XXXXXXX, Trattato delle obbligazioni, Opere, Livorno, 1835, 99, par. 138
2 Aderiscono a quest’impostazione anche X. XXXXXXXX,
Riassunti di scritti di diritto civile, Il filangieri, 1897, 744-745;
X. XXXXXXXXX, Delle obbligazioni in generale, diritto civile italiano, part. II, vol. I, Padova, 1941, 282; X. XXXXXXX, La teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1948, 153 a parere del quale «bisogna che dell’inadempimento si possano valutare i danni: in un certo senso appunto l’art. 1174 ne è una eco»; X. XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, I, 1953, Milano, 52 : «è in vista […] dell’esecuzione forzata, che la legge richiede che la prestazione, per sé considerata, sia suscettibile di valutazione economica»; a suo modo anche X. Xxxx, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, in Riv. dir. civ., 1968, 255 si muove nel medesimo inquadramento, pur problematizzandolo. V. anche C.A. XXXXXXX, Le obbligazioni in generale, Obbligazioni e contratti, in Tratt. dir. priv., dir. X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 12, nota 25. Per una sommaria ricognizione dei sostenitori dell’idea di Xxxxxxx nella letteratura francese dell’ottocento v, Q. DE VINCENTIIS, Della patrimonialità della prestazione nelle obbligazioni contrattuali, in Studi in onore di X. Xxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, 249 ss.
3 X. X’XXXXXX, Lezioni di diritto civile, introduzione al diritto generale delle obbligazioni, Torino, 2014, 137: «La conformazione socio-giuridica dell’obbligazione implicherebbe dunque una necessaria omogeneità, in termini di misurabilità economica, tra la sanzione del vincolo e la prestazione dovuta».
non sintetizzata a priori in un valore economico e, dunque, fermando qui il discorso, nulla impedirebbe oggi la configurabilità di un’obbligazione non patrimoniale, salvo forse la difficoltà di comprendere in che cosa questa possa effettivamente consistere. Assorbita sembrerebbe quella che appare come un’appendice dell’idea di Xxxxxxx: l’automatica configurazione della patrimonialità là dove l’obbligazione sia accompagnata o da una clausola penale o da un
4 Ci riferiamo alla risarcibilità del danno non patrimoniale genericamente inteso. Fin troppo noto è poi il definitivo sdoganamento del danno non patrimoniale da inadempimento compiuto dalle S.U. del 2008. Ci limitiamo qui a segnalare che già CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 230 avvertiva che accedendo alla risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento «il problema di assicurare la presenza di una sanzione sarebbe risolto, praticamente per ogni ipotesi di inadempimento».
5 Quanto nel testo può trovarsi in nuce già in BARASSI, La teoria generale delle obbligazioni, cit., 149 che pur aderendo all’impostazione di Xxxxxxx, a ragione sottolineava l’emancipazione dell’obbligazione dal suo equivalente monetario attuata per il tramite della possibilità di
«adempimento coattivo in natura». Cfr. anche A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 252 che al consueto ancoraggio della patrimonialità al risarcimento obbietta «la possibilità di ottenere la esecuzione in forma specifica dell’obbligo rimasto inadempiuto […] e, comunque, l’adempimento dell’obbligo potrebbe essere reso anche indirettamente “coercibile” per mezzo di altri strumenti» e v. sul punto anche l’articolata impostazione di D’ANGELO, Lezioni di diritto civile, cit., 137 ss. che sarà a breve accennata nel testo. Sulla supremazia dell’azione di adempimento sul risarcimento per equivalente v. anche la relazione al codice sub. art. 2058 (Codice civile, Testo e Relazione ministeriale, Roma, 1943, 181, punto 802). Cfr. X. XXXXXXX, Adempimento e responsabilità contrattuale, Napoli, 2011, spec. 412 dove viene precisato che «l’obbligazione esplica senza dubbio una funzione attributiva, ma non già di un mero valore economico» e va dunque scartata la ricostruzione del vincolo «ove in ultima analisi quel che conta è la sua suscettibilità di valutazione economica» che renderebbe inevitabile l’approdo «al risarcimento del danno poiché l’obbligazione si rivel[erebbe] nulla di più che strumento di attribuzione di un determinato valore economico e non già di uno specifico bene o utilità».
6 X. XXXXXXX, L’oggetto della obbligazione, in Jus, 1952, 156- 157 già definiva «in piena decadenza» quella corrente dottrinale
«che riduce l’obbligazione a puro fenomeno di responsabilità patrimoniale». E su questo superamento cfr. quanto sul tema del requisito della patrimonialità in rapporto al risarcimento scrivono X.XXXXX, Il contratto, cit., 230, nota 3 e X. XXXXX, La patrimonialità della prestazione e l’interesse del creditore. Brevi note sull’art. 1174 c.c., in Jus, 2008, 488.
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corrispettivo7. Definitivamente contraddetta dovrebbe considerarsi l’idea che vuole – peraltro in perfetta concordanza di significati con l’art. 20598 – l’equiparazione patrimonialità-valore di mercato.
Ma il quadro non appare così nitido.
Indipendentemente dai significati ulteriori
ed opposto piano rispetto all’idea dichiarata da Xxxxxxx. Se il requisito della patrimonialità trovava la sua ratio generale nei limiti della risarcibilità, e questa, come si è detto, circoscrive la prima, qui invece è la controprestazione a dirci che quella è un’obbligazione, e da ciò se ne deve poi dedurre
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esplicitamente attribuiti a questa patrimonialità solo in una fase successiva, già nella ricostruzione di Xxxxxxx può intravedersi un vulnus teorico – precipitato dell’approccio sostanzialmente pratico del suo trattato – precisamente là dove viene dichiarata l’automatica patrimonialità dell’obbligazione sorta in presenza d’un corrispettivo. La vicina questione della clausola penale non pone particolari interrogativi, il problema di Xxxxxxx è il risarcimento, la clausola penale questo problema risolve9. Il corrispettivo, invece, con il risarcimento non ha connessioni dirette10. Sostenere il contrario significherebbe equiparare il risarcimento alla restituzione di ciò che si è dato, mentre se di restituzione si vuole parlare, di restituzione di ciò che si dovrebbe ricevere, e non di ciò che si è dato, dovrebbe discorrersi11. A scanso di equivoci, è bene sottolineare che proprio Xxxxxxx diede un decisivo contributo all’emancipazione del risarcimento dalla controprestazione, svincolandolo definitivamente dal limite quantitativo – di romana memoria – del valore del duplum di quest’ultima12. L’ancoraggio alla controprestazione agisce, dunque, su un diverso
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7 XXXXXXX, Trattato delle obbligazioni, cit., 99, par. 139: «se io avessi convenuto con voi che verreste per un anno ad Orleans a studiar legge, questa convenzione sarebbe nulla e non ne risulterebbe alcuna obbligazione; perché questo fatto, a cui io non ho interesse alcuno, non può essere l’oggetto di una obbligazione verso di me. Ma se avessi convenuto di darvi dieci doppie se veniste a studiar legge ad Orleans, od anche coll’obbligo di venirvi, la convenzione sarebbe valida […]. Secondo questo principio è stata giudicata valida la promessa fatta da un nipote allo zio di non più giuocare, sotto pena di trecento lire che egli si obbligava di dargli mancando alla sua promessa».
8 È pacifico che il significato di “patrimoniale” nell’art. 2059 sia “avente valore di mercato”. Cfr. X. XXXXXXXXXX, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 57, 97-98 e 263; X. XXXXX, Xx xxxxxxxxxxxxxx xxxxxx, Xxxxxx, 0000, 64 s. e X. XXXXXXXXXX, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1996, 111.
9 Cfr. XXXXXXXXX, Delle obbligazioni in generale, cit., 284 che mosso dalla necessità di «evitare l’arbitrio magistratuale» nel risarcimento, sottolinea come la clausola penale trasformi «in vera obbligazione un semplice debito».
10 Qualcosa di analogo può leggersi in CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 241, che anzi, più in generale, problematizza anche la risarcibilità d’una prestazione avente valore di mercato, rimasta inadempiuta.
11 Cfr., X. XXXXXXX, I rimedi specifichi, Le tutele contrattuali e il diritto europeo, in Scritti per Xxxxxx xx Xxxx, Napoli, 2012 passim; ID., Alcune precisazioni in tema di responsabilità contrattuale, in Eur. dir. priv., 2014 passim.
12 V. M. BARCELLONA, Inattuazione dello scambio e sviluppo capitalistico, Milano, 1980, spec. 34 ss.
l’ammissibilità d’un risarcimento. La controprestazione, e non la possibilità d’un risarcimento, giurifica la promessa e se così stanno le cose a questo pezzetto dell’idea di Xxxxxxx deve riconoscersi, per così dire, valore dispositivo e non dichiarativo di meri presupposti logici. Il fatto che subito dopo aver enunciato questi principi, Xxxxxxx abbia affrontato il tema dell’obbligazione naturale corrobora quest’impostazione e avalla l’idea che
«non è tanto […] dalla sanzione del risarcimento del danno [che] debba desumersi la patrimonialità della prestazione, ma è la natura patrimoniale dei rapporti che costituiscono la materia del diritto delle obbligazioni che ha determinato la formazione di regole, e un apparato rimediale, ad essa appropriati»13.
Dopo aver aggiunto la postilla intuitiva che nell’impostazione di Xxxxxxx questo rapporto a segno invertito tra risarcimento e giuricità presuppone un contratto, è interessante rilevare – a conclusione di quest’introduzione e ad anticipazione di quanto seguirà – che più d’un autore è portato a chiedersi se, nel quadro appena descritto, la clausola penale e il corrispettivo rendano effettivamente patrimoniale una controprestazione in sé non patrimoniale, o se non sia più corretto sostenere che entrambi rendano semplicemente giuridico un dovere che comunque resta non patrimoniale14. Dati i suoi scarsi risvolti pratici e la tautologia in cui può cade la risposta (indagare la definizione di patrimonialità premettendone una definizione data), la domanda potrebbe apparire oziosa, ma ciò non vuol dire che la domanda sia insignificante. Come si cercherà di porre in rilievo, il disaccordo della dottrina sul punto non è altro che il nucleo del problema della patrimonialità ridotto a disputa terminologica.
13 Così D’ANGELO, Lezioni di diritto civile, cit., 140.
14 Xxxxxxxx può essere l’impostazione X. XXXXXXXX,
Obbligazioni (diritto privato), in Enc del dir., Milano, 1979,
182 a parere del quale la controprestazione (così come la penale) non patrimonializza la prestazione ma – esclusivamente
– giuricizza il vincolo e nello stesso senso X. XXXXXXXXXX, L’obbligazione, xxxxx xx xxxxxxx xxxxxx, x. X, Xxxx, 0000, 13 a parere del quale la clausola penale e la controprestazione «non trasformano la prestazione non patrimoniale in patrimoniale, ma costituiscono piuttosto l’indice che le parti hanno voluto mettere in essere un rapporto giuridico». Altrettanto corretta potrebbe però essere anche l’affermazione contraria (X. XXXXX, Il contratto, Milano, 2011, 8) che assegna a tali casi una
«patrimonializzazione indiretta» che «rende patrimoniale l’intero accordo» (corsivo omesso).
L’appalesamento di questo problema è il primo obbiettivo delle pagine che seguono, obbiettivo in vista del quale è necessario soffermarsi brevemente su ciò che a mente dell’art. 1174 è chiamato a reagire con questa patrimonialità: la prestazione a
pertanto un elemento, non l’unico, della realizzazione concreta dell’interesse19, l’unico nella sfera di controllo del debitore. Quando la relazione al codice argomenta la non patrimonialità dell’interesse del creditore ex 1174 scrivendo che
cui è tenuto il debitore e l’interesse del creditore. «il diritto mira a realizzare e a tutelare anche le più
2. Il valore economico d’un interesse.
La dottrina appare concorde nel definire la prestazione come «comportamento diretto ad uno scopo»15 e l’interesse come «tensione di volontà verso un fine»16. Alcuni grattacapi potrebbero essere ispirati dalla possibilità di far coincidere lo scopo della prestazione del debitore con il fine della volontà del creditore. Se così fosse, scopo della prestazione e volontà del creditore dovrebbero considerarsi alla stregua di sinonimi, o comunque manifestazioni d’uno stesso evento materiale, e illogica sarebbe pertanto una norma, quale il 1174, che ad uno stesso fatto/concetto ritiene di poter attribuire requisiti incompatibili, la patrimonialità, ma anche la non patrimonialità. La situazione è però, come noto, più complessa.
In uno dei tentativi più celebri di dare sostanza al concetto d’interesse, Xxxxxxxxxx scriveva: «la fame è un bisogno; il pane è un bene; poter mangiare il pane, questo è un interesse»17. Si valorizza in tal modo l’etimologia dell’interesse identificato in ciò che sta in mezzo – inter est, per l'appunto – tra il bisogno e il suo appagamento: tra l’essere affamati e l’essere sazi, c’è il poter mangiare. Applicando quest’impostazione all’obbligazione si è portati a ritenere che prestazione e interesse non coincidano poiché è ben possibile che d’innanzi a un adempimento perfetto ci si trovi comunque davanti a un interesse insoddisfatto. A tacer d’argomenti sistematici più complessi: Xxxx, a pochi passi dalla consegna, si lascia sfuggire dalle mani il pane che cade in una pozzanghera18. La prestazione diviene
00 X. xxx X. XXXXXXX, Xx obbligazioni nel diritto civile italiano, Roma, 1915, 185. Cfr. MENGONI, 168 che specifica poi (Ibidem, 175, nota 1): «è fuor dubbio che l’art. 1174 intende per “prestazione” non la semplice attività del debitore, ma un’attività seguita da un risultato di valore economico». v. anche X’Xxxxxx, Lezioni di diritto civile, cit., 134 ss.
16 X. XXXXXXX, L’oggetto della obbligazione, cit., 164. Cenni di problematizzazione dell’interesse in riferimento all’art. 1174 si trovano in X. XXXX-ZENCOVICH, Interesse del creditore e danno contrattuale non patrimoniale, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, 00 xx. xxx. X. XXXXXXX, Il rapporto obbligatorio, in Tratt. dir. civ., Milano, 2015, 165 ss.
17 X. XXXXXXXXXX, Il danno e il reato, Padova, 1926, 12 18BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 59: «la legge non garantisce l’effettivo soddisfacimento dell’interesse concreto. La proprietà di un cavallo, ad esempio, per quanto protetta dal diritto, non garantisce certamente al proprietario di
alte idealità», quest’impostazione sembra essere confermata20. Confermata sulle premesse, ma problematica sulle conseguenze: quale valore economico può avere la soddisfazione d’un bisogno o la realizzazione d’un desiderio? Ciò che si intende porre in evidenza è che l’interesse così formulato, salvo il fine di lucro dell’attività mercantile21, è concetto incompatibile con l’aggettivizzazione patrimoniale/non patrimoniale. La patrimonialità, ossia l’attribuzione di un valore economico, sia esso oggettivo o soggettivo (o meglio: oggettivo relativo), presuppone l’interazione tra due persone – questo vuole la definizione di prezzo come punto d’incontro tra domanda e offerta – e in questo senso il valore economico non è altro che il precipitato dell’attribuzione d’un significato sovra-individuale, sociale tout court se per valore intendiamo valore di mercato. Il bisogno e il desiderio, invece, sono attribuzioni di significato individuale e da ciò il corollario: finché non ci troveremo a mercanteggiare sul prezzo del pane, finché la nostra domanda (il nostro interesse) non incontrerà un’offerta (un’offerta di prestazione), non potrà avere un valore economico il nostro mangiare, così come, d’altronde, non potrà avere un valore
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non essere sbalzato di sella». In chiave ben più analitica affronta la questione X. XXXXXXX, Economie individuali e connessione contrattuale, Milano, 1997, spec. 74 ss.
19 X. XXXXXXX, L’oggetto della obbligazione, cit., 162:
«l’interesse tutelato dal diritto di credito non è mai il godimento di una cosa, ma un interesse strumentale rispetto a quello». Cfr. CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 203 ss. a parare del quale la prestazione consiste in una modifica della realtà («accadimenti satisfatori») in cui deve sfociare un comportamento del debitore, ma l’interesse del creditore non si identifica in questi accadimenti poiché
«esprime invece la relazione intercorrente tra essi e il bisogno di tale soggetto, cosicché l’esistenza di un suo interesse appare concetto ben diverso da quello di “soddisfazione dell’interesse del creditore”, intesa come adempimento della prestazione».
20 Cfr. X’XXXXXX, Lezioni di diritto civile, cit., 104 che sottolinea come l’art. 1174 «da un lato si riferisce, interminatamente, a “un interesse” e, dall’altro, ammette che, pur dovendo la prestazione essere patrimoniale, l’interesse del creditore possa non esserlo, così implicandosi che esso possa non identificarsi con il vantaggio per il patrimonio del creditore specularmente coincidente con l’esecuzione della prestazione».
21 Ma nessuno, in assenza del riferimento alla non patrimonialità dell’interesse, ha mai pensato che una promessa obbligasse solo nel caso in cui il creditore fosse un mercante, come grossomodo si sente in dovere di precisare XXXXXXXX, Riassunti di diritto civile, cit., 666 che specifica, dunque, che coloro che insistono su questo punto «sfondano un uscio aperto, quando menano tanto scalpore per cosa che da noi non si nega».
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economico il singolo comportamento cui il debitore si xxxxxxx00. In altre parole, ciò che ha valore economico è solo l’incontro tra la prestazione e l’interesse, non la prestazione, né l’interesse in sé considerati e, pertanto, il valore di quest’ultimo –
salvo, lo ripetiamo, l’interesse per così dire
considerare che, ponendo l’attenzione ora sulla prima, ora sulla seconda parte della norma – come se queste fossero, per l'appunto, in contraddizione – l’art. 1174 è stato utilizzato sia dai sostenitori25 sia dagli avversari26 del danno non patrimoniale da inadempimento27 ed è intuitivo che se fosse stato
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speculativo – non è distinguibile dal valore dell’oggetto della prestazione. L’esempio da secoli proposto a vivificazione d’una prestazione economica a ridosso d’un interesse non economico, è il concerto organizzato in occasione d’un festeggiamento. Ciò che qui si sostiene è semplicemente che in casi come questo è arbitrario porre la paga dei musicisti a valutazione della prestazione, potendo benissimo questa essere considerata anche una valutazione economica dell’interesse che così diviene patrimoniale23. Certo, si potrebbe controbattere che la prestazione dei musicisti ha un oggettivo valore economico indipendentemente dall’incontro con il singolo interesse, ma ciò – oltre a dare per scontato ciò che invece è controverso, ossia che per patrimoniale debba intendersi “avente valore di mercato” – nasconde le possibili contraddizioni, di cui a breve ci si occuperà, cui conduce l’artificio della separazione stagna dell’interesse dalla prestazione in punto d’attribuzione economica.
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E che nell’art. 1174 un qualcosa di contraddittorio ci sia, è ben più d’un sospetto avendo a mente l’inconsistenza palesata dalla norma nell’annoso dibattito sul danno non patrimoniale da inadempimento. A suggerire un’empirica confutazione della capacità dell’«infelice»24 art. 1174 di farsi portatore di significato, infatti, basta
22 Siamo portati a leggere in quest’ottica il seguente frammento di M. BARCELLONA, Attribuzione normativa e mercato nella teoria dei beni giuridici, Quadrimestre, 1987, 677: «il potere di obbligarsi è giuridicamente limitato a quanto può assumere rilevanza economica, ma l’assunzione di rilevanza economica è dal sistema fatta dipendere non dalla mera idoneità della prestazione a soddisfare un qualche bisogno bensì unicamente dalla circostanza che essa si presenti attualmente come “offerta” e si giustapponga ad una potenziale domanda». Un piccolo accenno in tal senso si trova già in DE VINCENTIIS, Patrimonialità della prestazione, cit., 361.
23 Specifichiamo che questa controprestazione economica del creditore sarebbe valore della prestazione solo se si riuscisse a dimostrare che per un costo inferiore il debitore non avrebbe fornito la prestazione (proprio nel senso di diseconomicità della prestazione) e sarebbe valore dell’interesse solo se si riuscisse a dimostrare che per una somma superiore il creditore non avrebbe avuto interesse alla prestazione. La definizione di prezzo come incontro, rende fuorviante porsi questo tipo di domande, a cui peraltro è quasi impossibile dare risposta.
24 GORLA, Il contratto, cit., 240 che alcune pagine prima (ibidem, 227) già ebbe modo di segnalare come dinnanzi all’art. 1174 «siamo in presenza di una concezione piuttosto vaga e generica o di quelle nebulose generalizzazioni, che fanno rompere il capo all’interprete, quando voglia vedere di che cosa veramente si tratti».
sufficientemente chiaro cosa vogliano dire “interesse non patrimoniale” e “prestazione patrimoniale”, questo non sarebbe potuto accadere.
3. La patrimonialità tra obbligazione e contratto.
Prima di proseguire con la tesi che si propone, è bene riportare i dubbi sollevati in dottrina sull’effettiva applicabilità del requisito della patrimonialità alla prestazione genericamente intesa, essendo da più parti emersa l’idea che tale requisito – nonostante il tenore letterale dell’art. 117428 – debba riferirsi alla sola prestazione di fonte contrattuale29. Nel dare alla norma valore dispositivo, lo si vedrà, non si può che convergere su tale risultato30, e già avevamo sottolineato come la “parte dispositiva” del ragionamento di Xxxxxxx presupponesse un contratto. Vari argomenti sono stati proposti sul punto. «Tutto l’art. 1174 in realtà
25 XXXXXXX, Il rapporto obbligatorio, cit., 177: «si suole affermare che il riferimento, nell’art. 1174 c.c., all’interesse non patrimoniale del creditore esprime, nell’ambito della responsabilità contrattuale, il principio della risarcibilità del danno non patrimoniale». V., anche TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1968, n. 211, 528, nota 1 e X. XXXXXXXX, Danno non patrimoniale e responsabilità contrattuale,in Riv. crit. Dir. priv., 128.
26 V. G. XXXXXXXXX, Delle obbligazioni in generale, diritto civile italiano, part. II, vol. I, Padova, 1941, 282; C.A. XXXXXXX, L’inadempimento delle obbligazioni, Padova, 2008, 17 a parere del quale «il principio del carattere economico della prestazione (art. 1174) impedisce, nel silenzio della legge, di considerare come elemento risarcibile la frustrazione dell’interesse non patrimoniale». Cfr anche A. DE CUPIS, Il danno, milano, 1972, 127 ss.
27 Lo rileva anche F. SALERNO, «il diritto non serve a capricci e a voglie frivole» (Note in tema di inadempimento e danno non patrimoniale risarcibile), in Giur. it., 2010, 110.
28 CIAN, Interesse alla prestazione e patrimonialità della prestazione, cit., 202: «l’art. 1174 c.c., come sembra deducibile dalla sua formulazione e collocazione, rappresenta, almeno in apparenza, una norma generale, valida per ogni categoria di obbligazioni».
29 Cfr., però, X. XXXXXXX, Lineamenti di diritto delle obbligazioni, Torino, 2011, 5-6 che, dopo aver distinto la questione della patrimonialità da altre questione attinenti al titolo contrattuale, espressamente ritiene che l’art. 1174 si apprezzi non tanto in relazione all’obbligazione contrattuale,
«ma in relazione a vicende che si svolgono al di fuori di una cornice contrattuale, e nelle quali risulta dirimente stabilire quali doveri siano sussumibili nella figura del rapporto obbligatorio».
30 ROLFI, La patrimonialità della prestazione, cit., 490
si riferisce alle obbligazioni volontarie», scriveva Gorla31, argomentando – in chiara aderenza all’impostazione patrimonialità-risarcimento – che nelle obbligazioni non contrattuali «è assurdo pensare che la legge imponga delle prestazioni per
connotati peculiari che il requisito della patrimonialità può assumere se fatto reagire con la fonte contrattuale dell’obbligo. Riferita all’obbligazione in sé considerata, la patrimonialità sembra stretta nel piano logico del quadro impostato
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loro natura non suscettibili in astratto della […] da Xxxxxxx, giusto o sbagliato che sia; riferita
sanzione»32. È d'altronde diffuso il convincimento che «l’art. 1174 ha trasferito sul terreno dell’obbligazione un requisito che opera, invece, sul terreno delle sue fonti e, in particolare, sul terreno del contratto»33 e nella stesa ottica è stato anche rilevato sia come le due norme «operano una sorta di reciproco rinvio»34, sia come «l’interprete […] si vede costretto a prendere atto di una duplicazione di clausole generali, con riguardo al titolo e con riguardo al rapporto»35. Interessante è poi l’argomento recente portato da quella dottrina che vede nelle obbligazioni di fonte non contrattuale una tendenziale «funzione di ripristino di un precedente depauperamento di un soggetto, sicché in realtà il problema della patrimonialità è già risolto in radice, nel momento stesso in cui – alla luce dell’ordinamento giuridico – si stabilisce che, in presenza di una certa fattispecie che comporta depauperamento, si ha il sorgere dell’obbligazione»36 e dunque in questi casi, prosegue il frammento, la patrimonialità «interviene nella stessa fase di “costruzione ermeneutica” della fattispecie fonte dell’obbligazione»37. D’altronde, allargando la visuale, chiarifica un’ultima dottrina:
«riguardo alle obbligazioni derivanti da fattispecie legali, trovando esse nella legge il proprio fondamento e la determinazione del proprio statuto, non sembra che possa essere esclusa la costituzione del vincolo obbligatorio, a ragione della mancanza dei requisiti stabiliti dall’art. 1174»38.
La carrellata di opinioni riportate rischia però di mettere in ombra il tema di fondo che ne anima la gran parte, e in un certo senso le giustifica, ossia i
31 X. XXXXX, Il contratto, I, Milano, 1954, 227, nota 1.
32 Ibidem, 239.
33 X.XXXXXXX, Trattato di diritto civile, x. XX, Xxxxxx, 0000, 8.
34 P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996, 236.
35 BRECCIA, Le obbligazioni, cit., 52.
36 ROLFI, La patrimonialità della prestazione, cit., 490
37 ROLFI, La patrimonialità della prestazione, cit., 490, nota 19
38 Così D’ANGELO, Lezioni di diritto civile, cit., 131 che prosegue poi «infatti, se le norme qualificano come obbligazioni i vincoli da esse imposti, ma difetta alcuno dei requisiti stabiliti dall’art. 1174, si tratterà di sciogliere caso per caso la seguente alternativa ermeneutica: la disposizione, in deroga alla delimitazione dell’applicazione della parte generale delle obbligazioni in funzione della nozione che risulta dall’art. 1174, stabilisce l’applicabilità di tale normativa al dovere che impone, ovvero deve ritenersi impropria la qualificazione legislativa e non assoggettare il dovere imposto alla diretta applicazione del regime delle obbligazioni». V. anche Ibidem, 140 ss.
espressamente al contratto, un’ulteriore domanda si pone all’interprete: può questa patrimonialità costituire un limite all’autonomia privata?
4. La patrimonialità quale limite all’autonomia privata, inquadramento.
La questione che ora si intende trattare viaggia parallela al tema storicamente più controverso sul requisito della patrimonialità, ossia se questa debba essere intesa in senso oggettivo o soggettivo39, tema che sembra ridursi alla possibilità – prevalentemente ma non unanimemente negata – di ricondurre la suscettibilità di valutazione economica alla stregua d’un elegante sinonimo d’un più pratico “valore di mercato”.
Proponiamo qui di considerare questo dibattito, nella sua essenza, una manifestazione di due diverse concezioni dei rapporti tra ordinamento e soggetto privato, Stato e società, incarnate in due modelli antitetici di sviluppo capitalistico40 che frettolosamente potrebbero considerarsi cronologicamente succedutisi in Italia con il passaggio dal vecchio al nuovo codice. Premessa di quanto si vuole sostenere è che il paradigma del contratto e della “forza di legge” della volontà, al cambio di codice, appare recessivo rispetto al diverso paradigma del negozio giuridico e della “fattispecie che produce effetti”41. Recessivo ma
39 Vedi la questione già in POLACCO, Le obbligazioni, cit., 198 ss. recentemente sul tema ROLFI, La patrimonialità della prestazione, cit., 495 ss.
40 Diffidente verso questo tipo di inquadramento ci sembra X. XXXXXXXXXX, Il capitalismo come vicenda giuridica, Relazioni industriali, 1983, spec. 192 dove può leggersi: «se pure è innegabile la consonanza tra codificazione e interessi della borghesia la quale contemporaneamente realizza la sua affermazione storica, non è corretto dedurne un rapporto di implicazione reciproca tra codificazione e capitalismo».
41 Quest’impostazione è debitrice di A. DI MAJO, Contratto e negozio, linee di una vicenda, Categorie giuridiche e rapporti sociali. Il problema del negozio giuridico, a cura di X. Xxxxx, Milano, 1978, 103 che scrive: «nella riduzione della volontà del privato a fattispecie che è condizione di effetti [ossia la fenomenologia del negozio giuridico] può intravedersi l’elemento di novità dell’elaborazione pandettistica del negozio. Su questo aspetto la dottrina non ha meditato a sufficienza, essendosi limitata a registrare la continuità tra l’elaborazione pandettistica del negozio e quella giusnaturalistica del contratto. Il salto di qualità è invece da intravedere proprio nella traduzione della volontà del privato in termini di “fattispecie” e cioè di formula organizzativa che
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non soppiantato in modo netto e definitivo, e proprio dalla convivenza di questi due modelli – nel codice, ma soprattutto nella dottrina che si è occupata di questa patrimonialità – nasce la difficoltà d’inquadramento sistematico del requisito
in discorso interpretato come limite all’autonomia
norma analoga al nostro 117445, sotto l’influenza di questo secondo modello – di cui è superfluo sottolineare le concordanze con la strategia economica fascista – nasce l’idea della patrimonialità quale limite all’autonomia privata, idea logicamente incompatibile con una definizione
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privata. Proseguendo per gradi, può sostenersi che sotto le formule di “influenza della dottrina francese” ed “influenza della dottrina tedesca”, non si celi altro, nella materia che ci occupa, che una più significativa – tendenzialmente inconsapevole42 – adesione al modello di sviluppo capitalistico francese del ‘700 contrapposta all’adesione al modello di sviluppo capitalistico tedesco di fine ‘800. La distanza tra i due modelli può essere rappresentata con l’immagine d’un capitalismo per così dire dal basso, la cui forza propulsiva veniva ricondotta allo spontaneo agire dei soggetti attori economici, quello francese, e un capitalismo in un certo senso calato, ossia coordinato e strutturato per preciso disegno governativo, quello tedesco43. I traffici umani, i rapporti di produzione e di scambio, vanno accompagnati lì dove stanno andando per la Francia della rivoluzione borghese, e vanno invece condotti lì dove debbono andare per la Germania bismarckiana44. Sebbene nel BGB non si trovi
soggettiva di patrimonialità, dinnanzi alla quale alcun limite sarebbe configurabile, venendo questo ridotto all’ossimoro d’un limite nella disponibilità dei privati. Patrimonialità come sinonimo di “avente valore di mercato”, dunque: questo è il corollario della patrimonialità quale limite all’autonomia privata46.
Ciò che ha un valore di mercato è ciò che socialmente viene considerato portatore d’un determinato valore d’uso47, il valore d’uso idiosincratico non diviene valore di scambio al di fuori della singola trattativa. Un capitalismo calato, eterodiretto, dove lo Stato coltiva l’ambizione di addomesticare l’iniziativa economica si disinteressa dello scambio che non ha ad oggetto ciò che ha un valore sociale: lo Stato, per il tramite dell’ordinamento, non ha alcun interesse a fornire il suo potere coercitivo a pretese cui la società, per il tramite del mercato, non attribuisce valore.
Accolte queste premesse – appare evidente – il giudizio di patrimonialità assume le forme di un
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connota l’aspetto dinamico del sistema […]. Il significato della traduzione della volontà del privato in termini di “fattispecie produttiva di effetti voluti” e cioè in formula organizzativa della dinamica giuridica è di introdurre un nuovo tipo di rapporto tra il privato e l’ordinamento. Questo nuovo tipo di rapporto tra privato e ordinamento vede quest’ultimo direttamente “coinvolto” nella ricostruzione della autonomia del soggetto in una formula organizzativa precisa». Lo stesso di Xxxx prosegue poi (Ibidem, 105) sottolineando che «volendo trovare un referente politico a questo mutamento, si può dire che quel referente è in un modo nuovo di collocarsi della stessa iniziativa economica all’interno dell’ordinamento». Nello stesso senso può leggersi il recente X. XXXXX, Capitalismo e diritto civile, Bologna, 2015, spec. 44.
42 Xxxxx “inconsapevolezza” del giurista visto come anello «in una catena di eventi che egli NON vede interamente» v. la rilettura di Hayek proposta da X. XXXXXXXX, Il giudici e le regole nella teoria e nella politica del diritto di Xxxxxxxxx Xxxxxx xxx Xxxxx, in Pol. Dir., 2009, spec. 345.
43 Sempre DI MAJO, Contratto e negozio, cit., 105-106 scrive:
«il back-ground del contratto è la società libero-scambista che vede il nascere delle prime forme di capitalismo commerciale. Attraverso il negozio al contrario si manifesta la necessità di funzioni “ordinanti” da parte dello stato, anche sul terreno dell’organizzazione delle iniziative economiche». V. anche SALVI, Capitalismo e diritto civile, cit., 31 ss. e 41 ss. Livella questa distinzione, tra gli altri, X. XXXXXXXXXX, L’evoluzione dell’autonomia contrattuale fra ideologie e princìpi, in Quaderni fiorentini, 2014, 591, la quale pone «il concettualismo pandettistico […] in una naturale sintonia con la visione liberale della società borghese e con una concezione economica di stampo liberista» facendosi così, la dottrina tedesca del tempo, interprete della smithiana mano invisibile.
44In un certo senso, nel così circoscritto panorama francese il mercato «rappresenta per l’ordine giuridico un semplice
presupposto», laddove nel contesto tedesco può forse vedersi l’emergere d’una «regola giuridica [che] si fa strumento di ortopedia […] del voluto dalle parti, finalizzata a renderlo coerente con obbiettivi altri», ortopedia che troverà più compiuta manifestazione là dove caricata dell’istanza volta ad
«una società più giusta e più eguale», inaugurando così ciò che
X. XXXXXXX, Diritto provato e capitalismo, Napoli, 2010, passim (da cui sono presi i virgolettati proposti in questa nota, Ibidem, 10) definisce il “capitalismo.2”.
45 Per una ricognizione dello scontro dottrinario che interesserò la letteratura tedesca sul punto v. X. XXXXXXXXX, La pecuniarietà dell’interesse, Appendice a F.C. di Savigny, Le obbligazioni, v.II, Torino, 1915, 356 ss.
46 X. XXXX, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 242, a parere del quale se veramente la patrimonialità dovesse distinguere il giuridico dal non giuridico, ossia porre un limite all’autonomia privata, solo dal prezzo di mercato potrebbe essere integrata, poiché «è chiaro che nessuna limitazione esisterebbe se fosse dato ai singoli di creare, con un’apposita clausola del contratto, la patrimonialità della prestazione. Se è destinata a servire come limite all’autonomia privata, la patrimonialità deve essere costituita da una caratteristica che inerisce alla prestazione indipendentemente da quanto hanno voluto i soggetti che l’hanno fatta oggetto del loro accordo». Cfr. D. La ROCCA, Diritti e denaro, Il valore della patrimonialità, Milano, 2006, 37; ROLFI, La patrimonialità della prestazione, cit., 496.
47 Ed è per questo che la «dimensione sociale del valore» (Xxxxxxxxxx, La nuova responsabilità civile, 821, nota 56) racchiusa nel prezzo di mercato può essere definita – come fa
X. XXXXXXXXXX, Danno giuridico, in Enc. Dir., aggiornamento, I, Milano, 1997, 470 – una «valorazione di normalità sociale».
giudizio di utilità tipologica48 e quella che può apparire come un’eccezione alla patrimonialità49, ossia ciò che in Germania prima e in Italia poi50, contemporaneamente, o quasi, all’affermarsi di questa patrimonialità, prese le sembianze
In apertura si era già posta in evidenza la “parte dispositiva” dell’idea di Xxxxxxx, il quale perfettamente integrato nel sistema che contribuì ad edificare, difficilmente avrebbe considerato la patrimonialità come un giudizio d’utilità tipologica
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dell’attuale seconda parte dell’art. 1174, cioè da cui l’ordinamento potesse far discendere la
“dell’interesse anche non patrimoniale”, a ben vedere, non è un’eccezione al requisito della patrimonialità, ma una specificazione del giudizio tipologico, che non solo alle dirette determinazioni del mercato deve essere riferito51. Di «interesse anche non patrimoniale, purché socialmente apprezzabile» parlava Betti52, e il non detto è proprio che là dove l’interesse è patrimoniale, l’apprezzamento sociale è in re ipsa.
5. All’origine della confusione.
Non solo a questa patrimonialità “dirigista” può attribuirsi una funzione normativa.
48 Chiaro sul punto è BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 58 a parere del quale la formula dell’art. 1174 «va intesa nel senso che la prestazione deve essere oggettivamente idonea a soddisfare un interesse tipico del creditore».
49 Che il riferimento all’interesse anche non patrimoniale possa considerarsi un’eccezione alla patrimonialità ci viene suggerito da fatto che tradizionalmente (a cominciare da Xxxxxxxx, Riassunti di scritti di diritto civile, cit., 665) questa regola viene riconnessa a Windscheid e Xxxxxxx (che pur non la formularono in termini così chiari) e che l’obbiettivo dei due fosse proprio quello di confutare la necessaria patrimonialità dell’obbligazione.
50 Nonostante CIAN sostenga (Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 229) «che nella letteratura tedesca non sempre, anzi raramente, si distingue fra patrimonialità della prestazione e patrimonialità dell’interesse», può trovarsi in XXXXXXXX, Riassunti di diritto civile, cit., 664 ss. e in PACCHIONI, La pecuniarietà dell’interesse, cit., spec. 335 ss. la precisa riconduzione della distinzione alla dottrina tedesca.
51 In questo senso può essere letto DI XXXX, Xxxxx obbligazioni in generale, cit., 251 dove scrive: «la tradizione, storica e dottrinale, che accompagna il principio applicato all’art. 1174 rende difficile “spezzare” la norma in due parti, da una parte il principio secondo cui la prestazione deve avere contenuto patrimoniale, dall’altra, il principio che essa deve rispondere a un interesse, anche morale, dell’avente diritto. Carattere patrimoniale della prestazione e interesse anche morale dell’avente diritto costituiscono un abbinamento inscindibile, proprio per ragioni storicamente emergenti» (corsivi omessi).
52 BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 51, nella cui scia è inquadrabile XXXXXXXX, Obbligazioni, cit., 186 più esplicito nel mescolare meritevolezza e patrimonialità là dove scrive che «il giudizio sulla patrimonialità della prestazione […] deve esprimersi in termini obbiettivi, adeguandolo alle convinzioni generalmente accettate nell’ambiente sociale con riguardo alla deducibilità in rapporto ad un comportamento individuale. Occorre controllare se sotto il profilo sociale sia considerato ammissibile, e positivamente apprezzato che quel comportamento costituisca materia di un rapporto vincolante di fronte al diritto, giustificandosi così il sacrificio patrimoniale di un soggetto […] e l’utilità di un altro soggetto».
qualifica di obbligazione53. Esclusa questa “parte dispositiva”, la patrimonialità per Xxxxxxx, lo si ripete, non era altro che una premessa logica dell’obbligazione. Quando invece il giurista di Orléans faceva discendere la qualifica di obbligazione alla promessa connessa ad una controprestazione, ma lo stesso può dirsi per la promessa accompagnata da una clausola penale, ciò che avveniva era la valorizzazione della volontà delle parti, che a quella determinata promessa, più o meno consapevolmente, avevano deciso di attribuire effetti giuridici54. È fin troppo facile notare come la patrimonialità “alla Xxxxxxx” esprima una regola diametralmente opposta alla patrimonialità dirigista. La prima va incontro ai privati, e giuricizza ciò che i privati vogliono, la seconda dai privati si allontana, e impedisce di giuricizzare ciò che i privati potrebbero volere. Che entrambe le regole siano state incardinate nella medesima “patrimonialità” è ciò che ha reso il 1174 una «di quelle nebulose generalizzazioni, che fanno rompere il capo all’interprete, quando voglia vedere di che cosa veramente si tratti»55.
L’impostazione storicizzata qui proposta è volta a far emerge la distanza tra le due patrimonialità, alla luce della quale appaiono nulla più d’un pasticcio – malcelato dalla distinzione tra prestazione e interesse – le parole con cui la relazione al codice accompagnava l’art. 1174:
53 Cfr. l’inquadramento storico dei codici civili liberali delineato da SALVI, Capitalismo e diritto civile, cit., 17 xx. x x. xxxxx xx xxxxxx 0 e 10 delle obbligazioni presentate da J. DOMAT, Le leggi civili disposte nel loro naturale ordine, X. Xxxxx, 1825, 55-56, dove espressamente si legge che (regola 9)
«è in arbitrio di tutte le persone capaci di contrarre di obbligarsi con ogni sorta di convenzioni, come loro piace, e di diversificarle secondo le differenti qualità degli affari, e secondo l’infinita diversità delle combinazioni, che negli affari producono le congiunture e le circostanze», salvo il limite, continua Domat con la regola 10, della liceità.
54 Nella valorizzazione di tale caratteristica vi è l’impostazione di XXXXXXXXXX e XXXXXXXX (v. retro, nota 8) che preferiscono considerare comunque non patrimoniale la prestazione senza valore di mercato connessa ad una controprestazione economica.
55 Così un già riportato XXXXX, Il contratto, cit. 227. X. XXXX, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 243, che nel sintetizzare alcuni snodi intermedi della sua approfondita analisi scrive: «voglio dire che il legislatore non potrebbe in nessun caso avere risolto – ponendo un unico requisito: quello della patrimonialità – le due diverse questioni, dell’applicazioni di una sanzione in caso di inadempimento, da un lato, e dei limiti dell’autonomia privata dall’altro».
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«L’interesse alla prestazione non deve essere necessariamente pecuniario, perché il diritto mira a realizzare e a tutelare anche le più alte idealità: basta che includa uno scopo ritenuto utile secondo l’apprezzamento predominante nella coscienza
sociale, cioè indipendentemente dal giudizio
6. L’art. 1225 c.c. e il valore d’uso “dialettizzato”, ossia critica alla patrimonialità quale limite all’autonomia privata.
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subbiettivo che ne possa fare il soggetto del rapporto». Così esordisce la relazione dopo poche parole introduttive, e in questo frammento è palese il giudizio sociale-tipologico che accompagna l’obbligazione. Allontanandosi poi da questo modello e riprendendo letteralmente l’impostazione di Xxxxxxx, la relazione così prosegue: «la prestazione deve, invece, essere suscettibile di valutazione economica: senza di che non si potrebbe attuare la coazione giuridica predisposta dal diritto nel caso di inadempimento. La possibilità di valutazione economica non si ha soltanto se la prestazione abbia un intrinseco valore patrimoniale, ma anche quando lo riceve di riflesso dalla natura della controprestazione ovvero da una valutazione fatta dalle parti, come nel caso in cui si conviene una clausola penale. Da ciò la necessità di valutare la pecuniarietà della prestazione considerando il rapporto nel suo complesso».
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Per farsi venire dei dubbi sull’art. 1174, e smascherarne l’artificio, sarebbe bastato coordinare quanto trascritto con l’art. 1384 dettato in tema di riduzione della penale, con quell’«avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento» che prefigura un risarcimento strutturato sull’interesse e non sulla prestazione56. Come sarà specificato a breve, il danno contrattuale è la traduzione economica dell’interesse, non la traduzione economica della prestazione. Se pertanto voleva ribadirsi il piano impostato da Xxxxxxx – che comunque nella sua parte “dipositiva” doveva considerarsi incompatibile con la concezione dirigista di patrimonialità – all’interesse e non alla prestazione questo andava riferito. E sul punto si registra la convergenza di autorevole dottrina57.
56 Per i rapporti tra clausola penale e risarcimento v. da ultimo
F.P. PATTI, La determinazione convenzionale del danno, Napoli, 2015, 117 ss.
57 XXXXX, Il contratto, cit., 230-231, nota 3: «ciò che conta, per la possibilità [del risarcimento], è che l’interesse del creditore alla prestazione […] e non la prestazione, sia suscettibile di valutazione economica. Infatti, può darsi il caso di una prestazione non suscettibile di valutazione economica (tipica), ma rispetto alla quale il creditore possa mostrare di avere un interesse patrimoniale, cioè di subire un danno patrimoniale per l’inadempimento. Viceversa, può darsi il caso di una obbligazione con prestazione suscettibile in sé (come sacrificio o costo per compierla o ottenerla) di valutazione economica, al cui inadempimento tuttavia non sia applicabile la sanzione del risarcimento dei danni, perché l’interesse del creditore non è suscettibile di valutazione economica». Si tornerà sul punto al paragrafo successivo, ma fin d’ora, solo al fine di anticipare il
Indipendentemente dalle dichiarazioni che le vorrebbero conviventi, la domanda inevitabile è volta a decifrare quale delle due impostazioni – quella dirigista o quella di Xxxxxxx – sia stata abbracciata dal nostro ordinamento. A tal fine, e a tacer d’altri argomenti sistematici (contrari a ciò che qui seguirà) che si lasciano a piè di pagina58, appare
riscontro che l’idea di fondo di Xxxxx riceve nell’attuale letteratura, riportiamo le recenti parole di X. XXXXX, Sub art. 1223, Commentario del codice civile, Delle obbligazioni, diretto da X. Xxxxxxxxx, Milano, 2013, 180-181 che definisce incontestabile il dato di partenza secondo cui «occorre porre il creditore in una posizione economicamente equivalente a quella in cui si sarebbe venuto a trovare se l’adempimento si fosse realizzato e, per far sì che ciò accada, l’utilità che si associa al risarcimento va apprezzata nella portata più estesa, non certo limitata al valore della prestazione ineseguita».
58 X.XXXXXXX, La disciplina generale delle obbligazioni, xxxxx xx xxxxxxx xxxxxx, Xxxxxx, 0000, 51 argomenta l’oggettività della patrimonialità scrivendo che «al riguardo è indicativa la disciplina della novazione (artt. 1230-1235 c.c.). Il rapporto obbligatorio si estingue se le patri pattuiscono di sostituire l’oggetto o il titolo (arg. ex art. 1230, primo comma); la sostituzione del soggetto attivo o di quello passivo non costituisce un fenomeno di tipo novativo, ma soltanto una successione nel lato attivo ovvero nel lato passivo del rapporto obbligatorio, senza soluzione di continuità (arg. rispettivamente ex artt. 1260, primo comma, c.c. e 1235 c.c.)». Discreto seguito ha avuto poi l’argomento proposto da XXXXXXX, Le obbligazioni in generale, cit., 13 (ripreso anche da BRECCIA, Le obbligazioni, cit., 48 e in tempi recenti da X. XXXXXXXX, La patrimonialità della prestazione, in Le obbligazioni, a cura di
X. Xxxxxxxx, 1, Torino, 2004, 41 e ROLFI, La patrimonialità della prestazione, cit., 498 e 501) secondo il quale far dipendere la patrimonialità della prestazione dal valore della controprestazione, ossia ammettere che il requisito della patrimonialità sia declinato al soggettivo (o meglio: all’oggettivo relativo), rende inoperante l’art. 1448 poiché sottenderebbe l’irrilevanza della sperequazione tra prestazioni, sperequazione che è alla base dell’istituto. Il punto di partenza è che «una volta ammesso che la presenza di una prestazione di sicuro contenuto economico attribuisca carattere patrimoniale alla controprestazione, la quale di per sé non rivesta tale carattere, è difficile sottrarsi all’ulteriore conclusione, che il valore della prima prestazione sia anche misura del valore della seconda». Per un accenno di confutazione può qui porsi in rilievo che due sono gli elementi dell’art. 1448, la sperequazione e l’approffittamento. Solo centrando l’attenzione su questo secondo si comprende come la norma non possa confondersi con un giudizio sulla convenienza dell’affare (c.d. principio dell’insindacabilità del corrispettivo) ed anzi, «la disciplina della rescissione indica che lo squilibrio economico dello scambio contrattuale non è rilevante, se non nei casi estremi in cui la contrattazione risulti inquinata da circostanze anomale penalizzanti» (così XXXXX, Il contratto, cit., 364). È certamente vero che una patrimonialità soggettiva fa della prestazione economica il valore della sua controprestazione, ma
utile riprendere la definizione di interesse e calarla nel contesto contrattuale in cui, lo si è visto, la patrimonialità potrebbe caricarsi di funzioni ulteriori rispetto alla disciplina generale dell’obbligazione. Riprendendo un tema sviluppato,
quella degli interessi contemplati nel contratto»62 ed è dunque intesa – prosegue un’altra dottrina – «a circoscrivere il danno da risarcire entro il cerchio economico segnato dal valore d’uso che la prestazione dovuta presenta per la sua oggettiva
in riferimento alla patrimonialità, da Cian, il primo qualità o per la particolare destinazione economica
accostamento concettuale che si impone all’attenzione dell’interprete è quello tra l’interesse e i motivi59. Entrambi i concetti poggiano sulla volontà del contraente: l’interesse, come già detto, è la volontà diretta ad uno scopo e il motivo è ciò che spinge la parte a contrarre, ossia la volontà presupposto dell’azione. Solo i motivi ricevono un esplicito inquadramento sistematico nei positivizzati limiti della loro rilevanza, e tale inquadramento non può che riversarsi sulla disciplina dell’interesse nella parte in due concetti appaiono come insiemi sovrapposti. Il risultato è che l’interesse, specificatamente del creditore contrattuale – così come i motivi – è irrilevante per l’ordinamento, se non nei limiti della conoscenza che controparte può averne60.
Sul fronte del risarcimento tutto ciò prende le forme dell’art. 1225.
in vista della quale è stata dedotta in contratto»63.
«La responsabilità si caratterizza come evoluzione del rapporto originario», riassume una terza dottrina64.
Ciò che ora si proporrà è una ricostruzione dell’interesse del creditore impostato sulle direttive indicate dalla disciplina del risarcimento; tramite il 1225 riempire di significato il 117465, poiché se la responsabilità è l’evoluzione del rapporto originario, su alcune caratteristiche di quest’ultimo può contribuire a far luce il suo derivato, il risarcimento.
A tal fine si prenda la distinzione concettuale tra danno singolare e danno comune cara al diritto intermedio, distinzione le cui ragioni d’accantonamento non comportano necessariamente l’esaurimento d’una residua funzione descrittivo- ordinatoria66. Il danno singolare è quel danno che si
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Nonostante parte della dottrina avversi
l’aggancio operato dell’art. 1225 della prevedibilità al momento della nascita dell’obbligazione e non al momento dell’inadempimento stesso61, sembra oramai diffusa la seguente – più che ragionevole – interpretazione: «la regola della “prevedibilità” intende saldare l’area del danno risarcibile con
ciò non ha alcuna conseguenza sulla disciplina in discorso che da l’ingresso alla valutazione oggettiva solo nel momento in cui, come appena riportato, «la contrattazione risulti inquinata da circostanze anomale penalizzanti». Ciò che è rilevante in un momento patologico, non è detto che debba esserlo anche nella fisiologia dei rapporti di scambio.
Occorre poi aggiungere che a parere di questa dottrina «avrà sempre carattere patrimoniale una prestazione che consista nell’attribuzione della proprietà o di un diritto reale, perché i diritti reali hanno per se stessi, carattere economico» (XXXXXXX, Le obbligazioni in generale, cit., 14). Rinviamo al paragrafo 8 una critica di quest’idea.
59 CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 205 ss. Cfr. X. XXXXXXXXXX, Sub art. 1174, Comm. cod. civ., dir. X. Xxxxxxxxx, Milano, 2012, 58 ss.
60 Coerente a tale impostazione è l’idea che “la nozione di scopo in senso soggettivo è irrilevante per la costruzione dell’obbligazione” di MENGONI, L’oggetto della obbligazione, cit., 163. Cfr. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, cit., 273.
61 C.M. BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. Scialoja-Branca, Xxxxxxx Xxxx,0000, 380 ss., ma v. sul punto, tra le altre, le osservazioni di V. DI GRAVIO, Prevedibilità del danno e inadempimento doloso, Milano, 1999, spec. 97-98 e M.R. MARELLA, Il risarcimento per equivalente e il principio della riparazione integrale, in Tratt. della resp. contr., dir. X. Xxxxxxxxx, III, Padova, 2009, 50.
62 Così A. DI MAJO, Le tutele contrattuali, Torino, 2009, 188; cfr. ID., Responsabilità contrattuale, in Dig. Disc. Priv., Torino, 27; v., tra gli altri, anche X. XXXXX, Xxxxx considerazioni sul principio di prevedibilità del danno come profilo distintivo fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 101. Come riportato da X. XXXXXXXXXX, Il risarcimento del danno, in Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma?, Atti del convegno per il cinquantenario della rivista di diritto civile, Padova, 2006, 96, spunti in tal senso posso già trovarsi in X. XXXXX, Das Recht des Warenkaufs, I, Berlin, 1936, 495 ss.
63 Così, M. BARCELLONA, Trattato della responsabilità civile, Milano, 2011, 888.
64 X. XXXXXXXXXX, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 806 che riprende uno spunto di X. XXXXXXX, La responsabilità contrattuale, in Jus, 1986, 88 e nel medesimo solco v. X. XXXXXXXXX, Le nuove frontiere della responsabilità contrattuale, in Eur. dir. priv., 2014, 739 ss.
65 Quest’ancoraggio del 1174 al 1225 non è molto diffuso. Accenni in tal senso possono comunque trovarsi in TRAVAGLINO, Sub. art. 1174, cit., 63, in A. GNANI, Sistema di responsabilità e prevedibilità del danno, Torino, 2008, 174 e in XXXXXXX, Il rapporto obbligatorio, cit., 177-178. Una certa commistione di piani ci sembra presente anche nell’idea che vuole la patrimonialità come “misurabilità”, e dunque la patrimonialità come strumento «posto a salvaguardia della cristallizzazione in un momento dato (quello della nascita dell’obbligazione) della trasformazione di un’entità […] in un quantum definito e non ‘ridiscutibile’» così LA ROCCA, Diritti e denaro, cit., 219. Sebbene per giungere a conclusioni opposte, già nel 1906 DE VINCENTIIS, Della patrimonialità della prestazione, cit., 362-363 e 000 xx. xxxxxxx xx xxxxxxxx xx 0000 xxx. xxx. (xxxxxxxxxx il nostro 1223) per dare sostanza al concetto di patrimonialità.
66 «E quando dopo i secoli d’ignoranza tornarono in luce le leggi romane, i commentatori non seppero fare altro, che perdersi in sterili discussioni sui danni intrinseci (circa rem), e sugli estrinseci (quae veniant extrinsecus) sul danno singolare e
palesa come tale solo in riferimento ad uno specifico soggetto, il danno comune è invece il danno che a chi capita capita, ma comunque sempre lo stesso danno è. Se il danno contrattuale è, nei limiti di quanto si dirà e come già anticipato,
traduzione dell’interesse, dietro al danno comune vi
all’oscuro di tale particolare utilità, sempre ex 1225, tale utilità sarà insignificante per la determinazione del danno risarcibile, ed è forse bene specificare che questa regola si riflette sia sul piano dell’an, sia sul piano del quantum, del danno contrattuale. Balza all’attenzione, dunque, che il danno “traduzione”
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è un interesse oggettivo, dietro al danno singolare vi è un interesse soggettivo. Se il creditore ha un particolare interesse alla prestazione, e quest’interesse è solo suo – si pensi ad es. all’acquisto di un, insignificante per i più, cimelio di famiglia, o all’acquisto d’un bene che andrà a comporre un universalità, o alla particolare utilità che un bene può avere se inquadrato in una tecnica produttiva sperimentale67 – la traduzione economica di tale interesse, se ritenuta risarcibile, incarna un danno singolare.
Lo snodo argomentativo centrale di queste pagine consiste nell’appurare che, tramite la regola della prevedibilità ex 1225, il danno contrattuale non può dirsi a priori né singolare, né comune. Se il debitore è a conoscenza – o meglio era a conoscenza nel momento della nascita del vincolo, che poi è il momento di cristallizzazione dell’equilibrio contrattuale68 – d’una determinata utilità che il creditore avrebbe potuto trarre dall’adempimento, ebbene ex 1225 tale utilità si riverserà nel risarcimento. Se invece il debitore era
del contratto è in un certo senso singolare, poiché strutturato sull’interesse concreto del creditore e in un certo senso è comune, poiché controparte deve condividere lo scopo di quest’ultimo69. Suggestivamente può affermarsi che il danno contrattuale risarcibile è – a priori – un danno comune, ma comune solo alle parti del contratto che in sé possono considerarsi una comunità su scala minima, un «ordine giuridico particolare»70, precipitato del potere di autonormazione degli interessi, e si noti quanto tutto ciò calzi comodamente nel paradigma del “contratto ha forza di legge”, e si noti poi la coerenza di quest’impostazione con l’idea che traduce il 1225 in quella regola di delimitazione del danno nota come “scopo della norma violata”71.
Ecco, tornando all’art. 1174: il punto è che se l’ordinamento per il tramite dell’art. 1225 riconosce e tutela questa comunità su scala minima sul fronte del risarcimento, e ripetendo che il risarcimento non è che una proiezione del vincolo contrattuale, apparirebbe illogico che a tale comunità su scala
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minima non venisse riconosciuta rilevanza per ciò
sul danno comune, senza ritrovare alcuna regola sensata e ragionevole nella pratica applicazione», tramite queste parole di
X. XXXXXX, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, V, Firenze, 1926, 395-396 è facile comprendere il punto di vista che contribuì all’accantonamento della distinzione. Nella dottrina contemporanea accennano alla distinzione M. BARCELLONA, Inattuazione dello scambio e sviluppo capitalistico, cit., spec. 37 e X. XXXXXX, Il danno da inadempimento, Padova, 2005, 144, nota 13, entrambi per sottolineare l’opinione di X.XXXXXXXX, De sentiisquae pro eo quod interest proferuntur, Recitationes solemnes ad tit. XLVII, in Lib. VII Codicis, in Opera omnia, t. IX, Xxxxxxx, 1779, c. 1006-1010 secondo il quale l’interesse singulare si compone, oltre che del danno d’affezione, anche della particolare utilità che il creditore trova nella prestazione.
67 Quest’ultimo caso viene analizzato da CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 212 ss. che pure non dà rilevanza nella sua trattazione all’art. 1225. Per approfondire il tema dell’interesse individuale inserito in un rapporto contrattuale rinviamo a CAMARDI, Economie individuali e connessione contrattuale, cit., spec. 82 ss. che rappresenta probabilmente il più compiuto sforzo volto a far reagire alcuni passaggi della c.d. teoria del valore con le categorie del diritto privato. Spunti in quest’ultima direzione possono trovarsi anche in C. BONA, Studi sul danno non patrimoniale, Milano, 2012, 33 ss.
68 V. tra gli altri X. XXXXXXXXX, Causalità e danno, Milano, 1967, 100, a parere del quale l’art. 1225 «limita la responsabilità per inadempimento colposo al rischio calcolabile al momento del contratto». Cfr. X. XXXXXXX, La causalità
«incerta», Torino, 2007, 000 x X.X. XXXXXXX, Xx risarcimento per equivalente e il principio della riparazione integrale, cit., 67.
che riguarda il sorgere, ossia l’esistenza stessa, del vincolo. Se l’interesse contrattuale (risarcibile) viene modellato dalle parti, e dunque ogni contratto ha un suo valore d’uso, basterà quest’ultimo per integrare il requisito della patrimonialità dell’obbligazione. Strabica sarebbe altrimenti quella disciplina che con l’occhio del risarcimento guarda all’interesse come valore d’uso “dialettizzato” e con l’occhio del vincolo guarda all’interesse come valore oggettivo. Specifichiamo: non oggettivo nel senso di “riconoscibile da controparte”, come qui viene proposto, ma oggettivo come “socialmente
69 Nello stesso senso siamo portati a leggere CAMARDI, Economie individuali e connessione contrattuale, cit., 93, sebbene alcune pagine che precedono quella indicata lascerebbero intuire il favore dell’autrice per la tesi opposta.
70 X. XXXXXXXX, Diritto dispositivo contrattuale. Funzioni, usi, problemi, Torino, 2011.
71 V. A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, 274 a parere del quale «scopo della norma violata e prevedibilità del danno sono aspetti tra loro intimamente connessi». Cfr. anche
X. XXXXXXXXX, Causalità giuridica e danno, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di X. Xxxxxxxxx, 1984, 4; DI GRAVIO, Prevedibilità del danno e inadempimento doloso, cit., 123; PIRAINO, Adempimento e responsabilità contrattuale, cit., 664. Dichiaratamente contrario all’applicazione del criterio dello “scopo della norma violata” è
X. XXXXXXXXX, Il problema del rapporto di causalità nel risarcimento del danno, Milano, 1967, 195.
riconoscibile”, ossia patrimonialità quale sinonimo di “avente valore di mercato”. E in quest’ultima specificazione sta una delle chiavi lettura del problema della patrimonialità, anche se riduttivo sembrerebbe poter ricondurre il tutto ad un qualche
non capriccioso»77. Che il diritto non si presti ad assecondare questo tipo di pretese – che qualche collegamento potrebbe avere con ciò che Xxxxxxxx definiva: l’odio della società borghese verso la dépense78 – è dunque un argomento storicamente
equivoco storico riposto sulla considerazione che addotto per supportare la patrimonialità in senso
«l’espressione “intérêt appréciable”, usata dai vecchi autori […], si prestava all’equivoca traduzione in “interesse socialmente apprezzabile”»72.
Comunque, la conclusione a cui si perviene è che: «il requisito […] della patrimonialità della prestazione non costituisce un limite dell’autonomia delle parti, come pure da molti sostenuto, ma un riconoscimento esplicito del potere di convertire valori d’uso in valori di scambio e che, del resto, è un modo di essere della stessa autonomia»73. Patrimoniale è perciò quell’utilità scambiabile74 a cui i soggetti dello scambio attribuiscono valore; ed è bene precisare che già l’impegnarsi ad un qualcosa per un qualcos’altro sottintende che quest’ultimo abbia, per la parte che si impegna, un valore75. Ciò non vuol dire che un qualche giudizio sociale non sia rilevante per l’ordinamento nella nascita d’un obbligazione, ma semplicemente che
dirigistico. «Voglia improvvisa e bizzarra, spesso ostinata anche se di breve durata»79, il “capriccio” non è altro che il medesimo giudizio sociale tipologico che fino ad adesso si è confutato in relazione alla patrimonialità. Come nella patrimonialità dirigista l’interesse socialmente apprezzabile è in re ipsa là dove l’utilità ha un valore di mercato, così la voglia che in tale utilità trova soddisfazione non potrà mai considerarsi tecnicamente capricciosa.
L’unico motivo che spinge a prendere in considerazione quest’argomento, che dunque è già stato trattato, nasce dalla relazione al codice. Degno di nota è infatti che questo capriccio che il diritto non vuole assecondare, venga in quella sede menzionato sì, ma non lì dove nacque, ossia a giustificazione della patrimonialità dell’obbligazione, ma ad accompagnamento d’un tema che così si palesa intimamente connesso80,
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non sarà la patrimonialità la sede di questo
giudizio76.
7. Patrimonialità e causa del contratto.
Seguendo l’itinerario compiuto dalla pretesa “capricciosa”, è possibile scoprire dove si sia insediato questo giudizio sociale che impedisce la nascita d’un’obbligazione. «Il Windscheid per primo affermò che l’interesse del creditore può essere morale o ideale [e non economico], purché
72 GORLA, Il contratto, cit., 231, nota 3.
73 DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, 257. Cfr. CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 251.
74 Cfr. P.BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, cit.,
238 che pur esprimendosi in termini analoghi a quelli qui presentati sembra orientato ad un’interpretazione della patrimonialità in senso stretto, poiché (ibidem, 237) «senza contratto non c’è mercato, ma oggetto del contratto può essere solo la “merce”, ossia tutto quanto e solo quanto in un dato ambito sociale determinato e in un tempo dato è suscettibile di essere scambiato e di trovare acquirenti, di assumere, in una parola, valore di scambio». Corsivi in originale.
75 V. par. 9.
76 E questa è la medesima conclusione cui pervenne XXXXXXXX, Riassunti di scritti di diritto civile, cit., 742. Per la dottrina contemporanea v. tra gli altri XXXXXXX, Il rapporto obbligatorio, cit., 160 ss. e 169 ss.; D’ANGELO, Lezioni di diritto civile, cit., 130-131 e NIVARRA, Lineamenti di diritto delle obbligazioni, cit., 4-5.
77 Così, X. XXXXXXXXX, Carattere della prestazione e carattere dell’interesse, in Riv. dir. comm., 1950, 33; cfr. CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 215
78 X. XXXXXXXX, La parte maledetta preceduto da la nozione di dépense, (citato dall’edizione) Torino, 2003, 53: «l’odio verso la dépense [approssimativamente: lo spreco; il dispendio] è la ragion d’essere e la giustificazione della borghesia: nello stesso tempo costituisce il principio della sua spaventosa ipocrisia. I borghesi hanno utilizzato gli sperperi della società feudale come un fondamentale capo d’accusa e, dopo essersi impadroniti del potere, si sono creduti in grado, a causa delle loro abitudini alla dissimulazione, di praticare un dominio accettabile dalle classi povere». Questo frammento può indicare una possibile ratio dell’avversione dell’ordinamento nei confronti della c.d. pretesa capricciosa, che ben potrebbe considerarsi null’altro che una prova di forza del denaro nel far fare ad alcuni ciò che non ha alcuna utilità. Il rifiuto di assecondare tali pretese da parte dell’ordinamento mercantile- utilitaristico delle obbligazioni e dei contratti, potrebbe dunque essere associato al tentativo di celare la riproposizione della soggezione di ceto di stampo feudale nella soggezione economica di stampo mercantile, in modo da permettere a quest’ultima, per dirla con Bataille «di praticare un dominio accettabile dalle classi povere». In questo senso siamo poi portati a leggere quanto – prendendo spunto da Xxxxxxx – scrive P.BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, cit., 486 ss. dove viene sottolineata la funzione della patrimonialità (convertibilità in denaro) di garantire aree di non soggezione (libertà) del debitore al creditore, dato questo indirettamente confermato dalla lettura di F. FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, vol. I, Roma, 1921, 383 che definisce il diritto di famiglia come quel diritto che, in opposizione al diritto delle obbligazioni «afferra l’intera persona del soggetto».
79 Questa è la prima definizione di “capriccio” sul vocabolario on line della Treccani.
80 Connessione in un certo senso intuita già da XXXXXXXX,
Riassunti di diritto civile, cit., 740 e ss. e palese nella parole di
ossia la causa/meritevolezza del contratto81. È sotto l’art. 1322 che la relazione scrive: «l’ordine giuridico […] non può apprestare protezione al mero capriccio individuale»82.
Quanto ora segnalato avrebbe potuto ispirare la
netta separazione di piani tra patrimonialità e
propria dalla Cassazione nel 200684, ossia la c.d. causa concreta, che difatti è una causa in senso oggettivo-relativo85. Ed è certamente nel vero chi, sempre in tempi recenti, ha sostenuto che la patrimonialità della prestazione non è che “il padre” della causa contrattuale86. Meno recente è poi
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meritevolezza-liceità volta a considerare la prima il riconoscimento d’una realtà fattuale (la scambiabilità concreta di un’utilità) e circoscrivere nella seconda qualsiasi forma di giudizio sociale- giuridico, separazione vivificabile, ad esempio, nell’idea che la vendita di organi è comunque uno scambio patrimoniale, peraltro nel senso forte di scambio riconosciuto sovraindividualmente come patrimoniale, e non è certo l’incoercibilità di tale tipo di accordo a far venire meno un mercato di tali beni: il mercato nero è pur sempre mercato e il prezzo che esso esprime è pur sempre prezzo di mercato83. I motivi per cui tale distinzione non è stata portata a compimento risiedono probabilmente nell’ambiguità, qui diffusamente emersa, che ha accompagnato il concetto di “patrimonialità”, ma, nonostante ciò, data la facilità con cui la pretesa capricciosa è riuscita a trasmigrare dalla patrimonialità alla meritevolezza, più di un’intuizione deve considerarsi il parallelismo recentemente proposto tra patrimonialità in senso oggettivo-relativo e la concezione di causa fatta
l’affermazione che il requisito della patrimonialità si colloca in «quell’incerta zona che è posta al confine in tra la valutazione di liceità e la valutazione di rilevanza giuridica del rapporto»87, che questo collegamento tra meritevolezza e patrimonialità sottende. Con buona pace della pretesa capricciosa88, anche qui si sarebbe dunque potuto supportare la tesi che si propone senza tirare in ballo l’art. 122589, ma semplicemente scrivendo: affermatasi la concezione economico individuale di causa, non può che riproporsi la medesima operatività nella concretizzazione del requisito della patrimonialità, che della causa – date per buone queste premesse – non rappresenta che un’altra faccia.
Quest’impostazione, però, trascurerebbe proprio ciò che qui si intende sottolineare, ossia il connotato pre-giuridico o extragiuridico del concetto di patrimonialità che ben può essere considerato ciò che ha impedito storicamente l’immedesimazione tra causa e patrimonialità ed ha fatto sì che quest’ultima sia rimasta (anche) un elemento
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dell’obbligazione quando la prima passò ad essere
GIORGIANNI, L’obbligazione, cit., a parere del quale «la valutabilità pecuniaria di una prestazione sta […] ad indicare che, in un dato ambiente giuridico-sociale, i soggetti sono disposti ad un sacrificio economico per godere i vantaggi di quella prestazione, e che ciò possa avvenire senza offendere i princìpi della morale e del costume sociale, oltre, ben inteso, la legge». Cfr. anche XXXXXXXX, L’obbligazione, cit., 186: : «il giudizio sulla patrimonialità della prestazione […] deve esprimersi in termini obbiettivi, adeguandolo alle convinzioni generalmente accettate nell’ambiente sociale con riguardo alla deducibilità in rapporto ad un comportamento individuale. Occorre controllare se sotto il profilo sociale sia considerato ammissibile, e positivamente apprezzato che quel comportamento costituisca materia di un rapporto vincolante di fronte al diritto, giustificandosi così il sacrificio patrimoniale di un soggetto […] e l’utilità di un altro soggetto». Per il collegamento tra il 1174 e il 1322 si segnalano inoltre CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 222; XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 9; Travaglino, Sub. art. 1174, cit., 51. Cfr. XXXXX, La patrimonialità della prestazione, cit., 499. V. poi le osservazione di LA ROCCA, Diritto e denaro, cit., 37-38 e 210 ss.
81 Quest’idea penetrò con timidezza anche nella dottrina francese, come si scorge in X.X.X Xxxxxxxx, Diritto civile francese secondo l’ordine del codice, III, Napoli, 1859, 326 riportato da M. BARCELLONA, Della causa, cit., 21).
82 Codice civile, Xxxxx e relazione ministeriale, cit., 129, punto 603. Per i recenti sviluppi giurisprudenziali sul tema della meritevolezza si rinvia all’analisi critica di X. XXXXXXXXX, Molte ombre e poche luci intorno al sindacato giudiziale sul contratto ex art. 1322, comma 2, c.c., in I contratti, 2016, 300 ss.
83 Cfr. LA ROCCA, Diritti e denaro, cit., 35.
elemento del contratto, da elemento dell’obbligazione qual era anch’essa90. Fatto questo che sembra sovrapponibile al dato che, codice alla mano, la patrimonilità integra la nozione di contratto, laddove la causa, del contratto non è che un elemento. Come dire: la patrimonialità è un elemento così intrinseco al contratto da rendersi antecedente a qualsiasi altro elemento91.
84 Cass. 8 maggio 2006, n. 10490, Corr. Giur., 2006, 1718.
85 TRAVAGLINO, Sub. art.. 1174, cit., 55.
86 M. BARCELLONA, Della causa, cit., 214, nota 57.
87 Così BRECCIA, Le obbligazioni, cit., 51
88 V. la difesa del concetto stesso di “contratto immeritevole” contrapposto al contratto illecito di X. XX XXXXXX, Appunti sul contratto immeritevole, in Riv. dir. priv., 2005, p. 316 ss.
89 Che può comunque, anch’esso, non casualmente, essere interpretato nell’ottica della causa individuale. Cfr. X. XXXXXXXXX, Inadempimento del contratto e risarcimento del danno, Milano, 2012, 274.
90 Cfr. XXXXX, Il contratto, cit., 346 ss.
91 Ci sembra che qualcosa di analogo emerga in DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, cit., 258 là dove in critica alla tesi della patrimonialità quale negoziabilità di Cian (che se pur attenuati, sembra conservare margini di limitazione dell’autonomia), sostiene che la patrimonialità è precedente e non contestuale a qualsiasi problema di limite alla libera scambiabilità. E nello stesso senso siamo portati a leggere poi le parole di Xxxxxxxx, Riassunti di scritti di diritto civile, cit., 742 che definisce la patrimonialità come limite «dall’interno e [che] deriva dall’indole stessa del diritto delle obbligazioni»
8. Patrimonialità e diritti patrimoniali.
L’obbligazione è nel futuro ciò che la proprietà è
carattere economico»97. È banale segnalare che se questo carattere economico “di per se stesso” deriva della definizione di proprietà come diritto patrimoniale, anche il credito, che alla medesima definizione soggiace, dovrebbe essere allo stesso
nel presente, entrambe sono tecniche formali di modo “di per se stesso” patrimoniale98. Al di là di
attribuzione di utilità, l’una dinamica l’altra statica92, e ciò fa si che «il carattere patrimoniale della prestazione che forma l’oggetto dell’obbligazione [sia] l’equivalente, in materia di obbligazioni, del corrispondente carattere, il valore economico delle cose, che è proprio dei beni»93 a nulla rilevando, su questo fronte, che l’obbligazione, al contrario della proprietà, sia
«l’espressione della vita di associazione, ed [sia] sorta proprio per la necessità dell’uomo di soddisfare i suoi bisogni e per l’impossibilità di soddisfare la maggior parte di essi nella vita isolata»94. È questo nucleo che accomuna la proprietà e il credito ciò che fa si che entrambi vengano ricondotti all’interno d’un medesimo insieme, quello dei diritti patrimoniali95. La patrimonialità della proprietà è pertanto la stessa patrimonialità dell’obbligazione e solo dando alla seconda il significato fin qui proposto, questo sembra compatibile con la prima96.
Cominciamo con il segnalare un dato apparentemente marginale: parte di coloro che perorano una patrimonialità oggettiva in senso assoluto per ciò riguarda il contratto, sono soliti fare salva l’ipotesi in cui il contratto abbia ad oggetto il trasferimento d’un diritto di proprietà perché – sostengono – «i diritti reali hanno, di per se stessi,
ciò, quest’impostazione non sembra porre nella giusta prospettiva la possibilità di un diritto di proprietà con ad oggetto una cosa sprovvista di valore di mercato, ossia un bene che ha valore solo per il suo titolare99. Avevamo già sottolineato che il limite della costruzione logica di Xxxxxxx sulla patrimonialità dell’obbligazione era quello di ridurne la tutela al risarcimento per equivalente. Applicando la stessa premessa ai diritti reali, si può sostenere che la proprietà debba avere ad oggetto un bene socialmente considerato convertibile in denaro, ma così non è. L’azione di adempimento ha sulla natura dell’obbligazione lo stesso effetto che l’azione di rivendicazione ha sulla natura del diritto di proprietà: predisponendo una forma tutela, una determinata tipologia di rimedio, indifferente al valore di scambio, si dà forma ad un diritto che tale valore può anche non presentare. Prendendo spunto da un esempio abbastanza noto100, occorre domandarsi se il proprietario d’una collezione di gusci di lumache possa agire ex art. 948 contro chi la possiede, ed è bene evidenziare come la risposta negativa implicherebbe la libera appropriabilità di quanto, non rivestendo carattere economico, sia portatore escusivamente di un valore affettivo. Xxxxx sarebbe in tal caso spiegare perché non si
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97 XXXXXXX, Le obbligazioni in generale, cit., 14; XXXXX, La
contrapposta al limite esterno che «nasce dai rapporti etico sociali».
92 Quest’impostazione si riflette sulla “tutela statica” che protegge la proprietà e la “tutela dinamica” che caratterizza il contratto presa in considerazione da Xxxxxxxxxx, la nuova responsabilità civile, cit., 595.
93 Così XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 7
94 GIORGIANNI, 23. V. anche P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, cit., 485 ss.
95 Sulle difficoltà della dottrina a dare sostanza al concetto di “diritto patrimoniale” v. LA ROCCA, Diritti e denaro, cit., 85 ss.
96 Questo paragrafo prende le mosse da quanto sostiene XXXX, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 247, ossia l’incomprensibile distinzione che verrebbe a crearsi tra la tutela dei diritti di credito e la tutela dei diritti reali, là dove la patrimonialità dei primi venisse interpretata come “avente valore di mercato”. Lì come qui, l’incoerenza del sistema viene ricondotta alla possibilità di esperire un’azione di rivendicazione con ad oggetto un bene sprovvisto di valore di mercato. Più in generale occorre riferire di come spesso gli artt. 1174 e 1321 vengano presi in considerazione nello studio dei beni (ne dà conto in chiave critica X. XXXXXXXXXX, I beni in generale, Proprietà, in Tratt. dir. priv., dir. da Xxxxxxxx, Torino, 2002, 14; x. xxxx M. BARCELLONA, Attribuzione normativa e mercato, cit., 647 ss. spec. 653 ss.), proponendo perciò, seppur a segno invertito, il medesimo accostamento da cui muove questo paragrafo.
patrimonialità della prestazione, cit, 501.
98 A questa conclusione si potrebbe giungere leggendo superficialmente POLACCO, Le obbligazioni, cit., 72 che a commento dell’indole necessariamente patrimoniale del vicolo obbligatorio scrive: «cosa evidente dacchè siamo appunto nel campo dei diritti patrimoniali».
99 Scrive O.T. XXXXXXXXXX, Dei beni, in Comm. Xxxxxxxxxxx, Milano, 1999, 10: «è innegabile che i beni in senso giuridico tendenzialmente possiedono anche rilevanza sotto il profilo economico, giacché la funzione delle norme civilistiche è, in linea di principio, quella di dar forma giuridica a fenomeni di natura economica. Sennonché in tal caso occorre fare attenzione a non elevare a regola ciò che costituisce una soluzione tendenziale». V. anche X. XXXXXXX, Sulla nozione di bene giuridico in diritto privato, in Riv. crit. dir. priv., 2012, 484; X. XXXXXXXX, I poteri e gli obblighi del proprietario, I beni e la proprietà, in Tratt. di diritto immobiliare, dir. X. Xxxxxxxxx, v. I, Padova, 2013, 317-318.
100 X. XXXXXXX, L’analisi economica la ricerca della logica proprietaria, in Riv. crit. dir. priv., 1996, 242 che in perfetta concordanza con quanto a breve sarà argomentato nel testo scrive: «riferita alla proprietà, una liability rule fa correre al proprietario di gusci di lumache il rischio che il loro valore sia sottovalutato», e con ciò sottolinea il diverso oggetto che una tutela restitutoria presenta se messa a confronto con il risarcimento per equivalente. Cfr. anche M.R. MARELLA, La riparazione del danno in forma specifica, Padova, 2000, 129 ss.
possa catturare l’animale domestico del vicino, là dove questo non abbia valore di mercato. Certo la distruzione d’un bene senza prezzo – a tacer dell’annosa questione della risarcibilità del c.d. prezzo d’affezione – non aprirà le porte ad un
risarcimento monetario, ma ciò non vuol dire che la
9. L’homo oeconomicus e i rapporti di cortesia, ossia la patrimonialità come punto di contatto tra dinamica economica e sistema giuridico.
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titolarità di tale bene non sia, in tutto e per tutto, un diritto di proprietà.
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Può esistere, dunque, un diritto di proprietà su un bene che non presenta un valore di mercato, e nonostante ciò, questo sarà pur sempre un “diritto patrimoniale”, in quanto diritto scambiabile101. Certo, l’ordinamento può intervenire negando la libera circolazione di ciò che materialmente potrebbe circolare, così come nel campo dei beni immateriali interviene per creare una titolarità materialmente inesistente – tradizionalmente descritta come un monopolio legale d’appropriazione di utilità che mima il monopolio naturale o di fatto che si instaura, con il possesso materiale della cosa, tra il titolare e le utilità che dalla cosa possono xxxxxx000 – ma anche qui a rilevare è la circolabilità, il potenziale scambio, che non potrebbe esistere se non esistesse un potere reale di esclusione nel godimento.
101 Cfr. GRONDONA, I poteri e gli obblighi del proprietario, cit.,
318 il quale proprio nell’argomentare la possibilità che l’oggetto d’un diritto di proprietà possa non essere valutabile in termini monetari scrive (implicitamente aderendo all’idea perorata in queste pagine): «il riferimento alla utilità economica del bene è relativa alla circostanza che è il bene come tale a rappresentare un valore economico, e infatti come tale può essere oggetto di scambio, nella logica della utilità soggettiva dei partecipanti allo scambio di mercato; ma l’utilità soggettiva non va confusa con il valore economico-monetario dell’oggetto dello scambio».
102 Prendendo spunto da quel particolare bene giuridico che è l’“energia naturale” e valorizzando l’art. 814: «si considerano beni mobili le energie naturali che hanno valore economico», una dottrina (M. BARCELLONA, Attribuzione normativa e mercato, cit., 646 e P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, cit., 233 ss.) – coerentemente con quanto sostiene in tema di patrimonialità dell’obbligazione, come vedremo ai par. 9 e10 – ritiene che tale noma palesi la necessaria patrimonialità in senso stretto che ogni bene deve avere per essere tale in senso giuridico. Il dato che tale caratteristica non venga ripetuta in sede di definizione generale di bene, e sembri perciò non interessare i beni in senso materiale (entità corporali), secondo
P. Barcellona, «non significa assolutamente che in quest’area il giuridico non abbia a che fare con l’economico (il “patrimoniale”) o che vi abbia a che fare in misura attenuata: al contrario, è la sperimentata rilevanza economica delle cose corporali, il loro essere state tradizionalmente le risorse principali e (un tempo) la ricchezza per antonomasia, ad aver resa superflua l’adozione di tecniche che deducessero tali qualità a condizione [della definizione di bene giuridico]». Per l’opinione contraria, alla quale qui si è ritenuto di aderire v. Cfr., O.T. XXXXXXXXXX, I beni, in Tratt. di dir. civ. del CNN, Napoli, 2007, 104-105. Per il dibattito dottrinario che precedette l’art. 814 v. X. XXXXXX, Dei beni in generale, in Comm. Xxxxxxxxxxx, dir. X.X. Xxxxxxxx, 000.
I diritti patrimoniali fanno dunque perno sulla scambiabilità di determinate utilità, lo scambio è il mercato, i diritti patrimoniali sono in questo senso “diritti mercantili”103. Un dettaglio getta maggiore luce sul perché la mera scambiabilità assuma le tinte forti della patrimonialità se fatta reagire sul contratto: lo scambio è un do ut des, dove il do si giustifica esclusivamente in relazione al des. Lungo questo solco – mettendo da parte le relazioni giuridiche con «finalità latamente altruistiche»104 e la disciplina delle donazioni105 – la patrimonialità si
000 X. xxxxx, XXXXXXX, Trattato di diritto civile italiano, cit., 380 ss., dove i «diritti non patrimoniali» vengono suddivisi in diritti di famiglia, diritti corporativi e diritti di personalità, ossia situazione giuridiche “non mercantili”.
104 Così X. XXXXXXXXX, Relazioni sociali, vincolo giuridico e motivo di cortesia, Napoli, 3003, 424 definisce il comodato, il deposito gratuito e il mandato gratuito. A questo studio rinviamo per un approfondimento dei temi qui trattati.
105 Una puntualizzazione sulle donazione è d’obbligo anche perché una tesi simile a quella che qui si propone (M. BARCELLONA, Della causa, cit., passim) e su cui a breve si tornerà, è stata attaccata proprio per l’ipotizzata incompatibilità con la disciplina delle donazioni (un accenno in tal senso si trova in X. XXXXXXXXX, A proposito del libro di Xxxxx Barcellona “della causa. Il contratto e la circolazione della ricchezza”, in Eur. dir. priv., 2015, 490 e sulla stessa linea si colloca X. XXXXXXX, Riflessioni su dogmatica e autonomia privata: il concetto di causa del contratto, Ragionare per decidere, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, Torino, 2015, 96-97). Dalla disciplina dei contratti non commerciali, Barcellona (ibidem, 16) prendendo spunto da Domat argomenta: «la necessità di una cause suffisante nei contratti disinteressati implica che nei contratti interessati il vincolo non discende dal nudo consenso, bensì dalla circostanza che riveste un rapporto interessato dove non “un solo” ma anche l’altro “dà o fà”» e a ciò aggiunge l’idea che la forma nella donazione non è che un modo per scoraggiarla, o meglio, (ibidem, 159): «il diritto moderno […] non può […] negare rilevanza giuridica all’ “imponderabile” dello spirito di liberalità, ma tende a marginalizzarlo entro uno schema tipico che ne richiede la pubblica enunciazione e prova a distogliere chi lo nutrisse dal coltivarlo sottoponendone l’attuazione all’onere della forma solenne». Può inoltre aggiungersi qui che seppur l’art. 796 descriva la donazione come fonte di obbligazione, ciò è dubitabile. A mente dell’art. 789, infatti, la responsabilità da inadempimento della donazione è circoscritta ai soli casi del dolo e della colpa grave e basterà in questa sede segnalare come tale limitazione di responsabilità dà forma ad una tutela per così dire statica, propria della responsabilità aquiliana, non dinamica da “dover essere” propria dell’inadempimento dell’obbligazione. Certo dalla donazione può nascere l’obbligazione di consegnare, ma a ben vedere quest’obbligazione può anche considerarsi sorta non dalla donazione ma dalla mera dissociazione tra titolare e possessore che con la donazione non eseguita viene ad esistenza. Se perciò
arricchisce di un ulteriore significato, che peraltro conferma la tradizionale commistione tra causa e patrimonialità: non mera circolabilità d’una determinata utilità, ma concreta cessione in funzione d’un corrispettivo, anche, e il punto è
determinata modalità dell’agire umano: l’agire non disinteressato, l’agire, per l'appunto, mercantile, ossia il “non fare niente per niente” che poi altro non è che quella somma di egoismo e razionalità che completa la definizione di homo oeconomicus:
significativo, non economico/monetario106. l’assioma di partenza dello scambio come efficiente
Introduciamo così la distinzione tra rapporto di cortesia e rapporto obbligatorio premettendo che la tradizione è solita definire, ad esempio, il trasporto di cortesia come un rapporto non patrimoniale, e in quanto tale – ex art. 1174 – non obbligatorio. A ben vedere, però, il trasporto in sé non è certo una di quelle attività insuscettibili di valutazione economica e pertanto qui la patrimonialità non vuole essere una caratteristica dell’oggetto dell’obbligazione107, ma è più che altro una
allocazione di risorse limitate108.
Riprendiamo la “parte dispositiva” dell’idea di Xxxxxxx, ossia l’attribuzione della qualifica di patrimonialità all’obbligazione sorta in circostanza d’una controprestazione e confrontiamola con questa patrimonialità come agire interessato. Sebbene la prima reagisca sull’utilità scambiata e la seconda sul movente dello scambio, non è scorretto sostenere che questa e quella sono la stessa cosa nei limiti in cui producono il medesimo effetto di
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rendere giuridico un rapporto là dove questo si lasci
si arrivasse alla conclusione che la donazione non possa obbligare, ma solo trasferire titolarità, l’obbligazione di consegnare potrebbe farsi operare ex 948. D’altronde, come insegnano i rapporti di cortesia: chi con spirito di liberalità si obbliga (in senso lato) ad una determinata prestazione, non potrà essere chiamato a rispondere giuridicamente del proprio inadempimento.
106 Indagando ad esempio la distinzione tra trasporto di cortesia e trasporto gratuito, è pacifico considerare la promessa che concretizza il secondo, al contrario della promessa del primo, un’obbligazione in senso proprio, poiché – e in ciò sta la distinzione fattuale tra i due trasporti – nel trasporto gratuito è sottesa un’utilità del debitore, che pur non prendendo la forma della controprestazione economica (BRECCIA, Le obbligazioni, cit., 39 parla di «forma di corrispettivo […che sfugge] ai criteri di valutazione più superficiali».), controprestazione che renderebbe il trasporto da gratuito a oneroso, è comunque connesso ad un interesse del debitore e dunque apprezzabile nell’ottica del do ut des. Tra gli altri v. V. S. ZUNARELLI- X. XXXXXX, Del trasporto, in Comm. Scialoja-Xxxxxx-Xxxxxxx, Bologna, 2014, 104 e 107 ss.; XXXXX, Il contratto, cit., 14 ss.; SACCO-DE NOVA, Il contratto, cit., 20 ss.; XXXXX, La patrimonialità della prestazione, cit., 509 ss. È interessante rilavare che quest’annacquamento del concetto di controprestazione al punto da ricomprendervi un’ampia nozione di utilità (contraddistinta, però, lo si ripete dal paradigma mercantile del niente per niente) non è altro che la, più o meno consapevole, ripresa degli argomenti sviluppati su Xxxxxxx, dopo Xxxxxxx, indirizzati alla dilatazione del concetto patrimonialità della prestazione, oltre la patrimonialità in senso stretto della controprestazione. Come dimostra POLACCO, Le obbligazioni, cit., 200-201, però, si è sempre avvertita l’esigenza di ricondurre, anche in maniera un po’ forzata, il tema ad un qualcosa che potesse apparire come una sorta di onerosità in senso stretto, e così i due esempi formulati da quest’ultimo (che furono esempi formulati al tempo da Xxxxxxx:
x. XXXXXXXXX, La pecuniarietà dell’interesse, cit., 311) – dell’inquilino che si impegna a non suonare il piano per non disturbare il proprietario di casa, e del datore di lavoro che promette alcune ore libere al domestico – vengono risolti nell’effettiva consistenza obbligatoria di quest’impegni (pur nella loro apparente non patrimonialità) sulla considerazione che nel primo caso il canone sarebbe stato più basso e nel secondo il salario più alto. Nello stesso senso x. Xxxxxx riportato da XXXXXXXX, Riassunti di scritti di diritto civile, cit., 666.
107 Il trasporto gratuito e il trasporto di cortesia, così come il trasporto oneroso, hanno la medesima prestazione a
inquadrare nell’ottica mercantile del niente per niente. La differenza tra questa e quella è però che la patrimonialità di Xxxxxxx può solo rendere patrimoniale ciò che non lo sarebbe socialmente; la patrimonialità come agire interessato ha invece l’ulteriore effetto – come insegna il trasporto di cortesia – di rendere non patrimoniale ciò che socialmente potrebbe esserlo109. Aggiungendo a questo la critica che al nucleo della patrimonialità dirigista mosse Crome (sfumando il concetto di patrimonialità in un’utilità sociale «si cade
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soddisfacimento del medesimo interesse, non è perciò guardando a questi, né alla suscettibilità di valutazione della prestazione, né alla meritevolezza dell’interesse del creditore, che si chiarifica cosa sia un’obbligazione. Giuste queste premesse, richiamare sul punto l’art. 1174 dovrebbe considerarsi qui fuori luogo, eppure tale norma viene tradizionalmente posta a risoluzione di questo problema e, come appena scritto, il trasporto di cortesia viene considerato non patrimoniale e, in quanto non patrimoniale, inidoneo a far sorgere un’obbligazione.
108 È bene sottolineare che non in ogni do ut des è implicita la manifestazione dell’homo oeconomicus. Possono pertanto esistere scambi che pur presentandosi formalmente tali, non fanno sorgere obbligazioni poiché, ad un’analisi più approfondita, questi meglio si lasciano descrivere come atti di mera generosità: reciproca ma non per questo egoistica. In questi termini siamo portati a leggere l’esempio (Xxxxx-Xx Xxxx, Il contratto, cit., 22) d’un padre che si impegna a mettere la benzina alla macchina della figlia dinnanzi alla promessa di quest’ultima, di andare con la di lei macchina, assieme, a cena fuori.
109 Seppur a contrario, esprime la stessa opinione CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 254-255 là dove scrive che abbracciata una definizione oggettiva di patrimonialità, l’art. 1174 comporterebbe che
«ogni qual volta sia promessa una prestazione suscettibile di valutazione economica l’impegno non può non essere giuridicamente vincolante; e si dovrebbe quindi negare, contro ogni evidenza e logica, la possibilità e la configurabilità dei cosidetti rapporti di cortesia». Argomento analogo viene utilizzato, con specifico riferimento alle obbligazioni naturali (che un substrato comune hanno certamente con questi doveri di mera socievolezza) da Xxxxxxxx, Obbligazioni, cit., 137.
nell’indeterminato», poiché «non vi è allora più distinzione fra le obbligazioni e gli obblighi del diritto familiare […e] il concetto di obbligazione si potrebbe in tal caso applicare […] all’impegno assunto di andare a fare una passeggiata»110), si ha
un quadro nitido di cosa da tempo si vada cercando,
non garantisce se non le utilità che hanno una funzione di scambio»116.
Come dimostra la solita relazione al codice, l’ordinamento volle fare sua – anche – questa patrimonialità come modalità dell’azione117 e perciò, ricapitolando, tre sono le patrimonialità che
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oltre a quanto fin qui emerso, in questa patrimonialità: non un limite all’autonomia privata, non una definizione più o meno teorica di obbligazione, ma un rinvio dell’ordine giuridico alla logica economica e la sua assunzione a logica giuridica111 nel momento in cui le viene delegato
«di determinare i settori della vita sociale nei quali non si vuole che entri il diritto dello Stato con il suo meccanismo coercitivo»112. È la logica economica di cui la patrimonialità si fa portatrice a rendere giuridicamente irrilevanti quei rapporti che Xxxxxxx definiva «accordi derivanti da mera socievolezza»113, ossia quei rapporti che la
«assiomatica dell’interesse egoistico»114 considera grossomodo irrazionali115 non riflettendo l’agire dell’homo – per l’appunto – oeconomicus, come confermano le parole di Xxxxxxxx Xxxxxxxx sr. il quale ebbe a mettere in relazione la patrimonialità all’«indole stessa del diritto delle obbligazioni che
quella relazione prende in considerazione: la patrimonialità di Xxxxxxx, la patrimonialità dirigista e quest’ultima patrimonialità come modalità dell’azione, ed ognuna di queste esprime un concetto, si inquadra in una regola, diversa e a tratti incompatibile con il concetto e la regola espresse delle altre.
10. (segue) La funzione normativa del mercato e la funzione economica dell’ordinamento, riflessi applicativi.
Il dato inconfutabile che «l’ordinamento giuridico funziona sempre “ritraducendo” nei suoi propri termini la complessità del reale»118 fa spesso da pendant all’idea che vuole il diritto delle obbligazioni e dei contratti – coerentemente con quanto appena delineato119 – come l’ossatura tecnica, la forma, del sistema economico120. Lungo questa direttrice è bene avere presente il «legame
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110C. CROME, Teorie fondamentali delle obbligazioni nel diritto francese, trad. it., Milano, 1908. Cfr. POLACCO, Le obbligazioni, cit., 72 ss.; XXXXXXXXXX, L’obbligazione, cit., 11 (che suggeriamo di leggere abbinato alla precisazione di M. BARCELLONA, Attribuzione normativa e mercato nella teoria dei beni giuridici, cit., 675, nota 195). V. anche DI MAIO, Delle obbligazioni in generale, cit., 256. D’altronde non è certo analizzando l’interesse del creditore che si comprende perché un dovere familiare non sia tecnicamente un’obbligazione (cfr. gli argomenti di Xxxxxx riproposti da PACCHIONI, La pecuniarietà dell’interesse, cit., 334 e segnaliamo anche la sintesi che dall’autore tedesco fece XXXXXXXX, Riassunti di scritti di diritto civile, cit., 664 ss.) così come non è certo un generico riferimento alla meritevolezza che permette di distinguere un rapporto di cortesia da un rapporto obbligatorio (cfr. sempre gli argomenti di Xxxxxxx riproposti da PACCHIONI, La pecuniarietà dell’interesse, cit., 339).
111 Le stesse parole utilizza P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, cit., 236 ss. seppur inquadrate in un discorso diverso, e in parte contrario, a quello che nel testo si propone.
V. anche M. BARCELLONA, Della causa, cit., 186.
112 Il virgolettato è ripreso, in parte deconstestualizzato, da CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 245.
113 POLACCO, Le obbligazioni, cit., 200. Cfr. XXXXX, Il contratto, cit., 12: «È un fatto (illuminato dalle categorie dell’antropologia culturale) che nella nostra società il “giuridico” si associa più volentieri allo scambio che al dono: ovvero, è socialmente tipico che un rapporto oneroso sia un rapporto giuridico» (corsivo in originale).
114 Il virgolettato è di M. BARCELLONA, Della causa, cit., 164.
115 Cfr. l’impostazione critica di X. XXXXX, Gratuità e solidarietà: fondamenti emotivi e «irrazionali», in Riv. crit. dir. priv., 2014, passim.
116 XXXXXXXX, Riassunti di scritti di diritti civile, cit., 742 ripreso anche da XXXXXXXXX, La pecuniarietà dell’interesse, cit.,
348. Per la letteratura contemporanea cfr. XXXXX, Il contratto, cit., 12: «È un fatto (illuminato dalle categorie dell’antropologia culturale) che nella nostra società il “giuridico” si associa più volentieri allo scambio che al dono: ovvero, è socialmente tipico che un rapporto oneroso sia un rapporto giuridico» (corsivo in originale).
117 Codice civile, Xxxxx e relazione ministeriale, cit., 116, punto 557: «l’art. 1174 ha l’ulteriore funzione di precisare che l’obbligazione deve essere considerata come figura giuridica distinta da quegli altri obblighi i quali, per quanto diano luogo ad azione, tuttavia non hanno contenuto patrimoniale diretto o di riflesso, come è, ad esempio, di alcuni obblighi posti dalla legge in relazione a taluni rapporti di diritto familiare».
118 Così P. Barcellona, Diritto privato e società moderna, cit., 229, corsivo in originale.
119 È da tempo che la patrimonialità ispira l’impostazione ora presentata come dimostra DE VINCENTIIS, Patrimonialità della prestazione, cit., 360 che già nel 1906 si trovò a scrivere: «la sfera sociale e la giuridica non sono distanti l’una dall’altra […]: in tal caso la funzione protettrice dei bisogni umani, mancherebbe di base. È invece proprio la società quella che dà materia al diritto, il quale assegna consistenza e forma giuridica ai rapporti sociali. Ciò nel campo dei bisogni umani: nel campo economico è lo stesso».
120 L’idea si pone come è noto agli antipodi di quella lunga tradizione culturale «risalente in particolare alla scuola giuridica del primo ottocento tedesco, [che] ha continuato a considerare il diritto come fenomeno puramente formale, sottraendo dall’arco dell’analisi giuridica tutto ciò che precede l’applicazione delle norme e tutto quanto ne segue sul terreno materiale». Il virgolettato è di XXXXXXXXXX, Il capitalismo come vicenda giuridica, cit., 183.
molto intimo che nella modernità intercorre tra forme dell’economia politica e forme del diritto»121 poiché «se non si comprende che la storia del diritto partecipa a una storia delle tecniche e dei mezzi attraverso i quali si è prodotta la messa in forma
Il primo argomento nasce marcando il dato – noto al punto da non dover essere dimostrato – che la funzione di decisione decentrata insita nel paradigma dell’homo oeconomicus è l’assioma di partenza dell’efficienza dello scambio quale tecnica
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astratta delle nostre società, sfuggirà praticamente di allocazione di risorse, efficienza che la terza
tutto della singolarità di questa storia e della specificità del suo oggetto»122. Il contratto e l’obbligazione quali pilastri dello sviluppo capitalistico, dunque; la tutela del contratto e dell’adempimento come tutela dello sviluppo capitalistico ne consegue123.
Sebbene recentemente la medesima impostazione abbia portato a una conclusione contraria124, proprio valorizzando la connessione tra ordine economico e sistema giuridico è possibile ribadire la soluzione qui proposta della patrimonialità come giudizio (nei limiti su delineati) soggettivo. Due gli argomenti che suggeriamo: l’ homo oeconomicus come modello d’azione del soggetto normativo e l’innovazione quale “motore immobile” del sistema economico contemporaneo.
121 Il virgolettato è di NIVARRA, Diritto privato e capitalismo, cit., 23.
122 X. XXXXXX, Il valore delle cose, a cura di X. Xxxxx, Macerata, 2015, 24-25.
123 Uno dei più felici risultati di questa consapevolezza è certamente lo studio di M. BARCELLONA, Inattuazione dello scambio e sviluppo capitalistico, cit., passim.
124 Ci riferiamo a M. BARCELLONA, Della causa, cit., passim, che vede nella patrimonialità l’antecedente storico della causa (Ibidem, 51 ss., 167 ), causa intesa, nell’idea dell’autore, come “causa mercantile”: «il “requisito” (rectius: giudizio) causale concerne solo le relazioni negoziali interessate ove si dà un commerce ed è deputato, innanzitutto, ad espletare la funzione generale di assicurare che esse si conformino alla “assiomatica dell’interesse egoistico”» (Xxxxxx, 164 e segnaliamo che un accenno alla causa mercantile è anche in P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, cit., 339). Questa la premessa che spinge M. Barcellona a indirizzare il requisito della patrimonialità verso la sua accezione più oggettiva: «un quid diviene valore d’uso non perché taluno lo abbia estemporaneamente dedotto ad oggetto di un contratto, ma solo in quanto sia stato concepito per il mercato ed il mercato ne abbia ritenuto la concepibilità come merce» (Ibidem, 221 ss.). Sebbene in un precedente studio dello stesso autore la questione si presenti più sfumata – ed anzi si può lì leggere un poco interpretabile: il criterio della patrimonialità «non implica […] l’esistenza di un prezzo di mercato». (così M. BARCELLONA, Attribuzione normativa e mercato, cit., 678-679) – la necessaria intrinseca patrimonialità è utile a quelle pagine per palesare la terzietà del mercato rispetto alle parti, e sottomettere queste a quello in un giudizio causale non disperso nell’evanescenza d’un qualche generico vantaggio, ma ricondotto precisamente ad un vantaggio di stampo economico, ossia un vantaggio riconosciuto come tale da quel organo, per l’appunto terzo, che è il mercato. La lettura di quanto lo stesso autore scrive nell’appena citato BARCELLONA, Attribuzione normativa e mercato, cit., 677, nota 198 apre al sospetto che questa sottomissione possa essere meglio descritta come la signoria dell’offerta sulla domanda.
accezione di patrimonialità su presentata disvela essere l’oggetto mediato della tutela del creditore. Certo si può dubitare dei “risultati sociali” d’una allocazione consegnata allo scambio, ma data per buona quest’ultima, non può che accettarsi il modello d’azione che questa premette. Il punto che qui si vuole porre in rilievo è che se la patrimonialità venisse interpretata come “avente valore di mercato” (con consequenziale lettura degli artt. 1174 e 1321 come limiti all’autonomia privata), solo ciò che già esiste come merce, solo l’utilità socialmente riconosciuta come tale, potrà essere l’oggetto d’uno scambio tutelato giuridicamente125, e sicuramente la prassi sociale potrà evolvere portando valore a ciò che non l’aveva, ma finché quest’ultima non sarà in qualche modo recepita126, l’homo ecominomicus dall’interesse particolare – che a volte, col senno di poi, potrà definirsi: interesse pionieristico – verrà automaticamente colpito dal giudizio di irrazionalità e con ciò non troverà tutela. Se l’homo oeconomicus è egoismo e razionalità individuale, ebbene la patrimonialità come limite solo l’egoismo contemplerebbe, venendo la razionalità costretta nella mera accettazione/riproduzione d’una razionalità collettiva definibile, come è stato fatto: “ordine mercantile”127. L’individuo “miglior arbitro di sé stesso” sarebbe così ridotto ad esecutore d’un programma d’azione altrove pianificato e monco della sua intrinseca razionalità, dell’homo oecomicus resterebbe poco128.
Se non dovesse bastare la dissociazione tra dinamica economica e ordine giuridico che così
125 Difatti così si esprime letteralmente P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, cit., spec. 237
126 M. BARCELLONA, Della causa, cit., 212 scrive di «un processo evolutivo che si sviluppa sulla base della interazione di immaginario sociale e prassi di mercato».
127 Cfr. m. BARCELLONA, Della causa, cit., passim.
128 Una possibile giustificazione di questo stato di cose viene fornita da M. BARCELLONA, Della causa, cit., 196 là dove il grande problema dell’utilitarismo razionalista viene sciolto nella sostanziale opinabilità e incalcolabilità, ossia relatività, di ciò che ogni individuo può considerare utile per se stesso. Scrive Barcellona che a questo problema «la Modernità risponde attraverso la radicale riduzione dell’ancor interminato interesse egoistico al mero interesse economico», riduzione utile a superare «la controvertibilità di “quel che è preferibile” (istituendo l’imperialismo della “matrice economica” e rendendo latente quel che ad essa si mostri irriducibile) e [rendendolo] oggettivamente calcolabile (attraverso la sua universale convertibilità in denaro)».
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verrebbe a crearsi, è bene palesare la conseguenza che questo quadro determina sul fronte della produzione, ossia la messa in opera d’un capitalismo – e così entriamo nel secondo argomento prima anticipato – per così dire:
meramente circolare. Un capitalismo senza
senza valore economico – aggiungiamo: attuale – significa scoraggiare l’investimento per la creazione di un valore economico – aggiungiamo: futuro. Senza voler dubitare del fatto che l’ordinamento possa formulare un giudizio d’irrazionalità della scelta individuale – che certo si pone in contrasto
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sviluppo, potrebbe farsi dire a Schumpeter129. Se l’ordine giuridico del diritto privato si pone a strumento economico funzionale allo sviluppo di ricchezza, ebbene occorre specificare che questo è sia quantitativo, sia qualitativo. Con il primo si intende un incremento riferito ad una determinata tipologia di merce o servizio, che non fa altro che riprodurre dinamiche di produzione e di consumo esistenti130. Con il secondo, l’incremento di ricchezza è connesso all’innovazione, che può prendere le forme sia della creazione d’una merce o d’un’utilità prima inesistenti, sia di un processo produttivo innovativo tramite cui abbattere i costi di produzione131. Proprio questo sviluppo qualitativo sembra contrastare con la necessaria patrimonialità intrinseca della prestazione132 (e in quest’ottica siamo portati a rileggere alcune riflessioni di Cian133). Negare ai privati la tutela d’uno scambio
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129 X. XXXXXXXXXX, Teoria dello sviluppo economico, qui citato dalla trad. it., Firenze, 1977. Per un introduzione al quale rinviamo a X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000, 149 ss.
130 XXXXXXXXXX, Teoria dello sviluppo economico, cit., 75:
«ogni produzione consiste nel combinare materiali e forze che si trovano nella nostra portata […]. Produrre altre cose, o le stesse cose in modo differente, significa combinare queste cose e queste forza in maniera diversa. Finché la nuova combinazione viene raggiunta, con il tempo, partendo da quella vecchia, per piccoli passi e attraverso continui adattamenti, si ha certo un mutamento, ed eventualmente una crescita, ma non un nuovo fenomeno sottratto alla considerazione dell’equilibrio, né uno sviluppo nel senso nostro».
131 Ad essere precisi questa non è la definizione di sviluppo di Xxxxxxxxxx, ma due dei cinque casi in cui tale sviluppo si manifesta, XXXXXXXXXX, Teoria dello sviluppo economico, cit., 76.
132 Quanto descritto nel testo ha tratti comuni con la critica che all’idea di M. Barcellona – sul fronte della causa, ma come vedremo sfociando nella patrimonialità – muove PIRAINO, Riflessioni su dogmatica e autonomia privata: il concetto di causa del contratto, cit., 95 e 97 che come noi rileva la possibile ingessatura cui condurrebbe la rigorosa applicazione della tesi in esame, poiché, scrive Xxxxxxx, nell’impostazione di Barcellona «resta irrisolto il rapporto tra mercato e contratto, giacché il primo sembra a tratti concepito come altro rispetto al secondo; mentre esso si risolve, con tutta evidenza, nell’infinito intreccio di contratti e dei conseguenti atti esecutivi connessi che, in un dato ambito e in un dato tempo, sono conclusi e compiuti». Si domanda, dunque, Piraino, come possa avvenire l’evoluzione del sistema economico disegnata da Barcellona e a tal proposito prefigura un contratto “apripista” (incompatibile col sistema di Barcellona) «che, innovando rispetto al panorama in cui esso si colloca, assegni per la prima volta un valore ad un quid in precedenza privo di valore di scambio».
133 Ci riferiamo al già accennato esempio proposto da XXXX, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit., 212: «immaginiamo il caso di un soggetto il quale, avendo
con le concezioni soggettive (o meglio: oggettive- relative) di causa – non riteniamo che questo possa però manifestarsi automaticamente là dove la contrattazione si ponga al di fuori dell’“avente valore di mercato”. Per ridurre la questione ai suoi termini più banali: l’investitore che, lungimirante, si fosse presentato alla porta di chi ideò qual’algoritmo volto ad indicizzare il mondo su internet, che oggi crea profitti per quasi quattro miliardi di dollari l’anno, o di chi ideò quella piattaforma interattiva utile a connettere gli studenti di un campus universitario, che oggi produce guadagni per più di un miliardo di dollari l’anno, e ci si fosse presentato prima che queste idee palesassero la loro redditività, e dunque quando queste non avevano alcun valore economico, rischierebbe, magari oggi, portando alle estreme conseguenze l’idea, di vedersi dichiarare quei contratti inefficaci per mancanza di patrimonialità. A tacer di questo paradosso, il risultato così raggiunto non sembra nello spirito di tempi che dell’innovazione hanno fatto una bandiera e da ciò l’ultimo corollario: il modello di sviluppo capitalistico che si è visto operare dietro ad una concezione oggettiva di patrimonialità, poteva essere coerente con un sistema in cui la produzione di ricchezza era sedimentata in attività tanto stabili da essere di fatto tipiche, a cominciare dall’agricoltura arrivando all’acciaio passando per il settore tessile e quant’altro, ma ben poco compatibile è con l’attuale fase del mondo, dove una fetta sempre crescente di redditività si pone a stretto ridosso dell’atipicità dell’offerta134 ad
scoperto procedimenti industriali particolari e assolutamente nuovi, abbia bisogno, per la loro attuazione, che una fabbrica di prodotti chimici gli prepari una determinata sostanza, che a tutti coloro che non conoscono il contenuto della scoperta apparirà del tutto inutile».
134 Qualcosa di analogo, anche se presentato in tutt’altro discorso, può leggersi in NIVARRA, Diritto privato e capitalismo, cit., 88 che scrive d’uno «sviluppo tecnologico capace di immediatamente tradursi nella produzione di beni e servizi destinati al consumo di massa […]. In origine il rapporto tra sviluppo tecnologico e capitalismo è più estrinseco, nel senso che la prima rivoluzione industriale incise, trasformandolo profondamente, sul modo di produrre le cose, lasciando nella sostanza invariata la gamma delle cose prodotte. Solo in un momento successivo (diciamo, grossomodo, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento) i guadagni dell’evoluzione tecnologica penetrano immediatamente nelle merci, anzi diventano essi stessi merci, con ciò realizzandosi la trasformazione della tecnologia da valore d’uso in valore di scambio». Cfr. anche le considerazioni sul «rapporto tra scienza
esaltazione della seguente regola economica: più la creazione di valori di scambio segue itinerari inimmaginabili, più l’iniziativa economica sarà remunerativa135.
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I l p r o b l e m a d e l l a p a t r i m o n i a l i t à d e l l ’ o b b l i g a z i o n e e d e l c o n t r a t t o ( T o m m a s o P e l l e g r i n i )
e capitale» di P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, cit., 153.
135 NAPOLEONI, Valore, cit., 151 (sempre riprendendo Xxxxxxxxxx): «l’imprenditore-innovatore o produce beni nuovi, precedentemente sconosciuti al mercato, o produce beni già noti a costi minori di quelli sopportati dai vecchi produttori. Nel primo caso, egli, non avendo concorrenti, può praticare prezzi di vendita che non hanno alcun rapporto coi costi; nel secondo caso, deve accettare i prezzi di vendita vigenti sul mercato ma sopporta costi che non hanno rapporto con quei prezzi; nell’uno e nell’altro caso egli consegue una differenza tra ricavi e costi, che costituisce appunto il profitto connesso all’innovazione».