Apprendistato professionalizzante: nuovi chiarimenti dal Ministero
Associazione per gli Studi internazionali e comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni industriali
Apprendistato professionalizzante: nuovi chiarimenti dal Ministero
XXXXXX XXXX*
Sommario: 1. Premessa. – 2. Durata del contratto. – 3. Trasformazione antici- pata del rapporto. – 4. Formazione esclusivamente aziendale. – 5. Formazione e responsabilità del datore di lavoro. – 6. Sottoinquadramento del lavoratore e profili retributivi. – 7. Cumulabilità dei rapporti di apprendistato. – 8. Società consortili e contratto di apprendistato.
Working Paper n. 67/2008
Pubblicazione registrata il giorno 11 novembre 2001 presso il Tribunale di Modena. Registrazione n. 1609
1. Premessa
2. Durata del contratto
Con la circolare n. 27/2008 il Ministero del lavoro fornisce importanti chiarimenti in materia di apprendistato professiona- lizzante, affrontando tematiche in parte legate a dubbi interpre- tativi sollevati tramite interpello, ai sensi dell’articolo 9 del de- creto legislativo n. 124/2004, ed in parte legate alle novità in- trodotte dal decreto legge n. 112/2008 che, come noto, ha inciso sulla disciplina di tale tipologia contrattuale al fine di semplifi- carne l’utilizzo.
Di particolare rilievo è anzitutto l’eliminazione, da parte del decreto legge n. 112/2008, del limite legale di due anni alla du- rata del contratto, che inevitabilmente apre la strada alla con- trattazione collettiva per individuare percorsi formativi anche più brevi e, evidentemente, più aderenti alle particolari esigenze sia delle imprese che dei lavoratori.
Tale scelta è del tutto coerente con la volontà del legislato- re, espressa anche altrove, di affidare alla contrattazione collet- tiva maggiori spazi di autonomia. Ciò è avvenuto con evidenza, ad esempio, anche per quanto concerne la disciplina del lavoro a tempo determinato, dove alle parti sociali è data la possibilità di modificare o anche di eliminare gli irrigidimenti, introdotti con la legge n. 247/2007, in tema di successione di contratti o di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato.
L’intervento sembra avere riflessi immediati sulla possibili- tà di utilizzare il contratto di apprendistato per le attività stagio- nali, sebbene tale affermazione – contenuta nella circolare n. 27/2008 – debba essere chiarita sotto alcuni profili. Ferma re- stando la correttezza, come esplicitato dal Ministero, delle pre- visioni dei contratti collettivi che hanno individuato percorsi di apprendistato «da utilizzare in cicli stagionali», va infatti ricor- dato che – per chi scrive – veri e propri contratti di apprendista- to stagionale potranno essere attivati più opportunamente nelle forme previste dal nuovo comma 5-ter dell’articolo 49 (si veda infra). Va infatti precisato che, pur dopo l’eliminazione della durata minima legale, qualora il contratto di apprendistato se- guisse la strada dettata dal comma 5 dell’articolo 49 – e quindi la disciplina introdotta dalle Regioni – sarebbe comunque ne- cessario osservare i principi previsti dallo stesso comma 5, ivi compreso quello della durata minima di formazione formale pa- ri a 120 ore. Ne seguirebbe che un contratto di apprendistato stagionale di durata pari a 6 mesi sarebbe comunque tenuto a
* Xxxxxx Xxxx è Responsabile dell’Area giuridica e Coordinamento attività di interpello presso la Direzione Generale Attività Ispettiva del Ministero del la- voro, della salute e delle politiche sociali e Componente del Centro Studi Atti- vità Ispettiva del Ministero e del Comitato scientifico della Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro.
“concentrare” in questo tempo l’intera formazione formale che, come noto, non è possibile riproporzionare. Ecco allora che so- lo seguendo la strada dell’articolo 49, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 276/2006 – che esonera esplicitamente le parti so- ciali dal dover seguire i medesimi principi che invece informa- no la disciplina delle Regioni (si veda infra) – sarà possibile in- dividuare forme di apprendistato stagionale che, oltre a preve- dere una durata inferiore ai due anni, potranno individuare un numero di ore di formazione formale inferiore alle 120 ore.
3. Trasformazione anticipata del rapporto
4. Formazione esclusivamente aziendale
Come affermato dalla circolare, alla tematica sulla durata del contratto di apprendistato professionalizzante è collegata quella, in parte già affrontata dal Ministero con risposta a inter- pello del 4 maggio 2006 (protocollo n. 25/I/0003883), della tra- sformazione del rapporto di apprendistato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato antecedentemente alla scadenza prefissa- ta nel piano formativo individuale e dalla applicabilità, in tal caso, dell’articolo 21, comma 6, della legge n. 56/1987.
Il problema, in particolare, concerne la possibilità di appli- care tale disposizione – che, come noto, consente al datore di lavoro che trasformi il rapporto di apprendistato di conservare per un anno lo specifico regime contributivo nei confronti dei lavoratori interessati dalla trasformazione – a prescindere dal momento in cui la stessa sia effettuata.
Nel sottolineare che l’articolo 21 citato si applica solo per effetto della trasformazione del rapporto di apprendistato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il Ministero eviden- zia tuttavia la possibilità da parte degli organi di vigilanza di verificare «la sussistenza di eventuali condotte fraudolente, in particolare nella ipotesi in cui, alla luce di quanto stabilito nel piano formativo individuale e in considerazione della durata del rapporto di lavoro, non sia stata effettuata alcuna attività forma- tiva sino al momento della trasformazione del rapporto». In so- stanza, quindi, l’applicazione dell’articolo 21, comma 6, della legge n. 56/1987 potrà avvenire a condizione che, prima della trasformazione, sia intervenuto tra le parti un effettivo rapporto di apprendistato e quindi sia stata svolta la formazione fino a quel momento prevista dal piano formativo individuale.
La circolare interviene poi ampiamente sulla corretta inter- pretazione del nuovo comma 5-ter dell’articolo 49, introdotto dal decreto legge n. 112/2008, facendo seguito ai precedenti chiarimenti forniti con la risposta ad interpello n. 50/2008.
Il nuovo articolo 49, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 276/2003, da un lato, consente di superare le problematiche che
hanno frenato l’utilizzo del nuovo contratto di apprendistato professionalizzante – problematiche legate al coordinamento della disciplina dello Stato, delle Regioni e delle parti sociali nella definizione dei profili formativi che caratterizzano tale ti- pologia contrattuale – e, dall’altro, funge da stimolo per le stes- se Regioni ad adoperarsi per esercitare al meglio le proprie competenze (1).
Come noto, infatti, l’iniziale previsione del comma 5 del- l’articolo 49 – che ha assegnato la disciplina dei profili formati- vi dell’apprendistato professionalizzante alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, d’intesa con le asso- ciazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale – non ha avuto un positivo riscontro da parte delle stesse Regioni, molte delle quali o non hanno legiferato o, quando lo hanno fatto, hanno adottato nor- mative non del tutto in linea con i parametri costituzionali del- l’articolo 117 della Costituzione, ben delineati con la sentenza della Corte Costituzionale n. 50/2005.
Va anche sottolineato l’impegno del Ministero del lavoro che, sin dall’inizio, si è adoperato per instradare gli interventi da parte delle Regioni e della contrattazione collettiva, attraver- so l’emanazione di numerose risposte ad interpello che hanno affrontato le tematiche più diverse. Questo non è evidentemente bastato, tant’è che il decreto legge n. 35/2005 (convertito in legge n. 80/2005) ha introdotto un comma 5-bis all’articolo 49, secondo il quale «fino all’approvazione della legge regionale prevista dal comma 5, la disciplina dell’apprendistato profes- sionalizzante è rimessa ai contratti collettivi nazionali di cate- goria stipulati da associazioni dei datori di lavoro e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano naziona- le». La previsione rappresenta dunque un diverso canale per l’utilizzo del contratto di apprendistato professionalizzante, una opportunità che tuttavia non è stata adeguatamente coltivata dalle parti sociali che avrebbero potuto introdurre discipline seppur transitorie – la norma trova infatti applicazione «fino al- l’approvazione della legge regionale» – anche non eccessiva- mente dettagliate. Si ricorda infatti che il Ministero del lavoro, con circolare n. 30/2005, aveva chiarito che la contrattazione nazionale può limitarsi ad individuare «direttamente o indiret- tamente, anche mediante semplice rinvio agli enti bilaterali ov- vero a prassi già esistenti e codificate dall’ISFOL, gli elementi minimi di erogazione e di articolazione della formazione», ad- dirittura prevedendo che «qualora il contratto collettivo nazio-
(1) Per un quadro complessivo delle risposte ad interpello in materia di appren- distato sia consentito rinviare a D. PAPA, Apprendistato: gli interpelli del Mini- stero, Working Paper Adapt, 2008, n. 54, in Boll. Adapt, 2008, n. 17.
nale di lavoro applicato preveda la regolamentazione dell’istitu- to, ma non contenga una precisa disciplina dei profili formativi, le parti, in accordo tra loro, potranno determinarne il contenuto vuoi con riferimento ai profili formativi predisposti dall’ISFOL in vigenza della L. n. 196/1997 vuoi mediante l’ausilio degli enti bilaterali e, qualora previsto dal Ccnl applicato, previo pa- rere di conformità degli stessi, vuoi, infine, tenendo conto di quanto previsto dai provvedimenti regionali fin qui adottati in materia di disciplina sperimentale dell’apprendistato professio- nalizzante».
Gli interventi del legislatore e i numerosi chiarimenti inter- pretativi del Ministero del lavoro non hanno tuttavia portato al superamento delle difficoltà evidenziate, tant’è che un succes- sivo intervento di carattere normativo lo si rinviene nella legge
n. 247/2007, che ha dato attuazione al c.d. Protocollo welfare del 23 luglio dello stesso anno. Le disposizioni di cui all’artico- lo 1, commi 30 e 31, della legge hanno delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati, tra l’altro, al riordino della normativa in materia di apprendistato. Sul punto i criteri e i principi direttivi – che al di là del cambio di Governo perseverano nell’incentivare l’istituto – sono volti a:
• rafforzare il ruolo della contrattazione collettiva nel qua- dro del perfezionamento della disciplina legale della materia;
• individuare standard nazionali di qualità della formazione in materia di profili professionali e percorsi formativi, certifica- zione delle competenze, validazione dei progetti formativi indi- viduali e riconoscimento delle capacità formative delle imprese, anche al fine di agevolare la mobilità territoriale degli appren- disti mediante l’individuazione di requisiti minimi per l’eroga- zione della formazione formale;
• individuare, con specifico riferimento all’apprendistato professionalizzante, meccanismi in grado di garantire la deter- minazione dei livelli essenziali delle prestazioni e l’attuazione uniforme e immediata su tutto il territorio nazionale della rela- tiva disciplina;
• adottare misure per assicurare il corretto utilizzo dei con- tratti di apprendistato.
La delega, come detto, appare in linea con le attuali tenden- ze incentivanti dell’istituto e potrebbe essere ancora coltivata, considerato che il termine previsto dal legislatore delegante scadrà solamente alla fine dell’anno in corso.
La scelta operata dal legislatore del 2008, invece, sembra cogliere al meglio alcuni aspetti della decisione n. 50/2005 del- la Consulta che, come noto, ha affrontato le diverse questioni di costituzionalità sollevate in riferimento al decreto legislativo n. 276/2003. In materia di apprendistato professionalizzante, in particolare, la Corte ha definito i limiti delle competenze nor-
mative da parte dello Stato e delle Regioni in ordine alla forma- zione dell’apprendista, relazionandole alle diverse modalità at- traverso le quali può essere adempiuto l’obbligo formativo. È stato infatti chiarito che «la competenza esclusiva delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale riguarda la istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a ciò destinati, sia mediante strutture proprie che le singole Regioni possano ap- prontare in relazione alle peculiarità delle realtà locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi. La di- sciplina della istruzione e della formazione professionale che i privati datori di lavoro somministrano in ambito aziendale ai lo- ro dipendenti […] di per sé non è compresa nell’ambito della suindicata competenza né in altre competenze regionali. La formazione aziendale rientra invece nel sinallagma contrattuale e quindi nelle competenze dello Stato in materia di ordinamento civile». In altre parole, la Consulta traccia una netta linea di demarcazione tra la formazione che il datore di lavoro fornisce all’apprendista avvalendosi del contributo della Regione e quel- la somministrata «in ambito aziendale», riconducendo la prima nell’ambito delle competenze esclusive delle Regioni e la se- conda nell’ambito delle competenze esclusive dello Stato.
Il principio espresso dalla Corte Costituzionale, come anti- cipato, sembra dunque aver ispirato la recente previsione del comma 5-ter dell’articolo 49 che, attraverso una chiara sempli- ficazione del quadro normativo, stabilisce: «in caso di forma- zione esclusivamente aziendale non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante sono rimessi integralmente ai contratti col- lettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o azien- dale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparati- vamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero agli en- ti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali definiscono la nozione di formazione aziendale e determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalità di erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento della qualifica pro- fessionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto for- mativo».
La norma va letta anzitutto nella parte in cui affida ai con- tratti collettivi e agli enti bilaterali – individuati nei «contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o a- ziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro compa- rativamente più rappresentative sul piano nazionale» e negli en- ti bilaterali di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h, del decreto
legislativo n. 276/2003 (2) – la competenza a definire la nozione di formazione aziendale, così come del resto aveva già chiarito il Ministero del lavoro con risposta ad interpello del 24 marzo 2006. In essa, infatti, il Dicastero ha affrontato la questione re- lativa alla individuazione del «soggetto legittimato a stabilire i requisiti in base ai quali un’azienda può considerarsi formativa» ricordando che già in base ai criteri ispiratori della normativa delle Regioni – in particolare il criterio che chiede il «rinvio ai contratti collettivi […] per la determinazione, anche all’interno degli enti bilaterali, delle modalità di erogazione e della artico- lazione della formazione, esterna e interna alle singole aziende, anche in relazione alla capacità formativa interna rispetto a quella offerta dai soggetti esterni» – la valutazione della capaci- tà formativa delle aziende spetta alla contrattazione collettiva.
Ciò detto, una volta definita la nozione di formazione a- ziendale, proprio in caso di «formazione esclusivamente azien- dale» – secondo il dettato normativo – non opera quanto previ- sto dal comma 5, ossia non trovano applicazione i criteri ed i principi direttivi che devono invece informare la normativa re- gionale e che, ad esempio, richiedono la «previsione di un mon- te ore di formazione formale, interna o esterna alla azienda, di almeno centoventi ore per anno» o la «presenza di un tutore a- ziendale con formazione e competenze adeguate».
In caso di formazione aziendale il legislatore chiede invece alle parti sociali di individuare almeno per ciascun profilo for- mativo:
• la durata e le modalità di erogazione della formazione;
• le modalità di riconoscimento della qualifica professiona- le ai fini contrattuali;
• la registrazione nel libretto formativo.
La circolare n. 27/2008, come già aveva fatto la risposta n. 50/2008 all’interpello avanzato dalla Confcommercio, affronta dunque tali problematiche e permette di applicare correttamente il nuovo disposto dell’articolo 49, comma 5-ter, del decreto le- gislativo n. 276/2003.
(2) Ossia gli «organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei dato- ri e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso: la promozione di una occupazione regolare e di qualità; l’intermediazione nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di attività formative e la de- terminazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azien- da; la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per la inclusio- ne dei soggetti più svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la forma- zione e l’integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento».
Si ribadisce dunque che la previsione non modifica il qua- dro normativo preesistente, rappresentando un «canale paralle- lo» – dopo quello indicato dal comma 5 relativo alla disciplina dei profili formativi adottata dalla Regione e dopo quello indi- cato dal comma 5-bis dell’articolo 49, relativo alla disciplina transitoria introdotta dalla contrattazione nazionale – per poter ricorrere al contratto di apprendistato professionalizzante. La formazione interna – che, come detto, ai sensi del comma 5-ter è declinata dalla contrattazione collettiva di qualsiasi livello o dagli enti bilaterali – può inoltre essere affidata a soggetti ester- ni alla azienda, «purché tale formazione non implichi finanzia- menti pubblici». Ciò non esclude – aggiunge la circolare – che
«le singole Regioni, nell’ambito della loro autonomia, possano decidere di riservare forme di finanziamento o altre agevolazio- ni anche alle imprese che attuino formazione esclusivamente aziendale ai sensi di quanto previsto dal comma 5 ter».
Altro aspetto non secondario concerne l’operatività del comma 5-ter con riferimento ai contratti collettivi che hanno in- trodotto una nozione di formazione aziendale sulla scorta del preesistente quadro normativo. Anche in tali ipotesi, pur in pre- senza di una normativa regionale, sarà dunque possibile sgan- ciarsi dalla stessa a condizione che i contratti collettivi o gli enti bilaterali abbiano determinato o determinino, per ciascun profi- lo formativo, «la durata e le modalità di erogazione della for- mazione, le modalità di riconoscimento della qualifica profes- sionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formati- vo».
5. Formazione e responsabilità
del datore di lavoro
Collegata alla formazione esclusivamente aziendale è la te- matica della applicabilità dell’articolo 53 del decreto legislativo
n. 276/2003 secondo il quale: «in caso di inadempimento nella erogazione della formazione di cui sia esclusivamente respon- sabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizza- zione delle finalità di cui agli articoli 48, comma 2, 49, comma 1, e 50, comma 1, il datore di lavoro è tenuto a versare la diffe- renza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimen- to al livello di inquadramento contrattuale superiore che sareb- be stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di ap- prendistato, maggiorata del 100 per cento. La maggiorazione così stabilita esclude l’applicazione di qualsiasi altra sanzione prevista in caso di omessa contribuzione».
La norma sanzionatoria richiede dunque che l’inadempi- mento nella erogazione della formazione:
• sia da addebitarsi esclusivamente al datore di lavoro;
• sia tale da impedire la realizzazione delle finalità di cui al- l’articolo 49, comma 1, del decreto legislativo n. 276/2003, os-
sia «il conseguimento di una qualificazione attraverso una for- mazione sul lavoro e la acquisizione di competenze di base, tra- sversali e tecnico-professionali».
Va subito osservato che tali condizioni devono entrambe verificarsi perché possa considerarsi integrata la previsione.
Quanto all’esclusiva responsabilità del datore di lavoro del- la mancata erogazione della formazione, è possibile ipotizzare che, in linea generale e salvo quanto si dirà subito dopo, lo stes- so sia da considerarsi responsabile solo per quella parte della formazione che il contratto collettivo di riferimento chiede che sia svolta internamente all’azienda. Per le ore di formazione che devono eventualmente essere effettuate attraverso il ricorso alle strutture esterne individuate dalle Regioni, il datore di lavoro continuerà ad essere responsabile nei limiti in cui lo era in vi- genza della disciplina del “vecchio” apprendistato, pur tenendo in debito conto eventuali specifici adempimenti stabiliti dalle Regioni o dai contratti collettivi (3). In altre parole il datore di lavoro non sarà responsabile ai sensi dell’articolo 53, comma 3, del decreto legislativo n. 276/2003 quando la mancata forma- zione sia addebitabile a ritardi od omissioni delle strutture e- sterne individuate dalle Regioni e lo stesso datore di lavoro for- nisca prova di aver adempiuto agli obblighi di comunicazione necessari alla partecipazione dell’apprendista alle attività di formazione esterna.
La sanzione, come si diceva, è altresì subordinata alla man- cata realizzazione delle finalità formative e pertanto – va anzi- tutto osservato – per il suo verificarsi occorre avere la certezza che il datore di lavoro non sia più in grado di recuperare even- tuali omissioni nella erogazione della formazione di sua compe- tenza; conseguentemente tale condizione sembra potersi realiz- zare solo in prossimità del termine del periodo di apprendistato, in un momento cioè dove non è più possibile recuperare il debi- to formativo (4).
(3) Quanto alla disciplina del “vecchio” apprendistato sull’argomento, basti ri- cordare che l’art. 16, comma 2, della l. n. 196/1997 stabiliva che «ai contratti di apprendistato […] le relative agevolazioni contributive non trovano applicazio- ne nel caso di mancata partecipazione degli apprendisti alle iniziative di forma- zione esterna all’azienda previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro pro- poste formalmente all’impresa da parte dell’amministrazione pubblica compe- tente».
(4) Le problematiche legate all’attività di vigilanza ed alla mancata realizzazio- ne degli obiettivi formativi si presentano ancora più prepotentemente quando la
formazione formale richiesta dal legislatore nazionale – e pari a 120 ore annuali
– sia da intendersi come formazione mediamente erogata durante tutto il perio- do di apprendistato. Sebbene la circ. Min. lav. n. 40/2004 abbia sostenuto che l’inadempimento de quo potrà configurarsi anche in presenza di una «quantità di formazione, anche periodica, inferiore a quella stabilita nel piano formativo», introducendo pertanto il carattere della periodicità dell’obbligo formativo, tale
Preso atto delle difficoltà di applicare la previsione sanzio- natoria di cui all’articolo 53, comma 3, del decreto legislativo
n. 276/2003 (verificare l’esclusiva responsabilità del datore di lavoro, verificare l’impossibilità nel raggiungimento degli o- biettivi formativi), è possibile ipotizzare il ricorso ad altri stru- menti che il personale ispettivo – in particolare il personale i- spettivo del Ministero del lavoro – può utilizzare per intervenire nell’ambito di un rapporto di apprendistato che presenta, anche in divenire, profili di criticità. A tal proposito è dunque possibi- le immaginare che, in presenza di un rapporto di apprendistato per il quale non è possibile applicare la sanzione di cui si è det- to ma rispetto al quale sono comunque rinvenibili carenze for- mative, possa applicarsi il c.d. potere di disposizione, oggetto peraltro di rivisitazione da parte dell’articolo 14 del decreto le- gislativo n. 124/2004. Tale norma consente infatti al personale ispettivo del Ministero del lavoro di impartire una disposizione ogni qual volta «nell’ambito dell’applicazione delle norme […] sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezza- mento discrezionale». In altri termini, nei confronti di un datore di lavoro che, ad esempio, il primo anno di attivazione di un contratto di apprendistato abbia effettuato solo 80 ore di forma- zione formale anziché 120, pur non potendo applicare la san- zione prevista dall’articolo 53, comma 3, del decreto legislativo
n. 276/2003, il personale ispettivo potrà impartire una disposi- zione volta ad obbligare il datore di lavoro a realizzare, entro un determinato termine, un numero di ore di formazione tale da poter rientrare già dall’anno successivo nella media delle 120 ore; sarà così possibile obbligare il datore di lavoro a svolgere, l’anno seguente, 160 ore di formazione, pena l’applicazione della previsione sanzionatoria di cui all’articolo 11, comma 1, del d.P.R. n. 520/1955, secondo il quale «le inosservanze delle disposizioni legittimamente impartite dagli ispettori nell’eserci- zio delle loro funzioni sono punite con la sanzione amministra-
assunto appare invece criticabile proprio per la sua inconciliabilità con la con- dizione del mancato raggiungimento degli obiettivi formativi. In altre parole non si ritiene di poter condividere che la sanzione di cui all’art. 53, comma 3, del d.lgs. n. 276/2003 trovi applicazione in caso di una omissione nella eroga- zione «anche periodica» della formazione, giacché ciò che conta è proprio il re- alizzarsi degli obiettivi formativi; appare infatti difficile poter sanzionare, ad esempio, un datore di lavoro che abbia svolto 110 ore di formazione in un anno (cioè 10 ore in meno di quelle previste dal legislatore nazionale) quando tale mancanza non sia comunque in grado di vanificare l’obiettivo formativo del contratto. Al riguardo, proprio perché il legislatore subordina la previsione san- xxxxxxxxxx al mancato raggiungimento degli obiettivi formativi – con conse- guente impossibilità di sanzionare sic et simpliciter un debito formativo co- munque recuperabile – è possibile sostenere che il monte ore di formazione formale pari a 120 ore annuali sia da intendersi come formazione mediamente erogata durante tutto il periodo di apprendistato.
tiva da lire duecentomila [€ 103,00] a lire un milione [€ 516,00] quando per tali inosservanze non siano previste sanzioni diverse da altre leggi».
Quale ultima osservazione in tema di disposizione va detto che tale potere, se applicato con riferimento alla erogazione del- la formazione in apprendistato, pur essendo formalmente ricon- ducibile all’articolo 14 del decreto legislativo n. 124/2004 può risultare, sotto un profilo contenutistico, una vera e propria dif- fida. Il contenuto della disposizione appare infatti predetermi- nato giacché al personale ispettivo sarà sufficiente rifarsi al piano formativo per individuare l’obbligo, anche sotto il profilo della articolazione temporale, che compete al datore di lavoro.
Venendo ora ai chiarimenti della circolare n. 27/2008, fer- mo restando quanto detto, il Ministero evidenzia che se il per- corso di apprendistato è effettuato attraverso il canale previsto dal nuovo comma 5-ter, sarà certamente più facile ritenere il datore di lavoro l’esclusivo responsabile del mancato raggiun- gimento degli obiettivi formativi e ciò proprio perché è esclusi- vamente il datore di lavoro a governare la formazione dell’ap- prendista quando questa è «esclusivamente aziendale».
6. Sottoinquadramento del lavoratore
e profili retributivi
Sulla tematica relativa al sottoinquadramento ed ai profili retributivi il Ministero si era espresso in passato assumendo po- sizioni certamente più rigide.
Va infatti ricordato che, con risposta ad un interpello tra- smesso dalla Fiom-Cgil, dalla Fim-Cisl e Uilm-Uil, il Ministero ha negato la possibilità di poter combinare il c.d. sottoinqua- dramento previsto dal decreto legislativo n. 276/2003 con il si- stema della percentualizzazione previsto dalla legge n. 25/1955 ai fini della determinazione della retribuzione dell’apprendista. Spiega infatti l’interpello n. 28/2007 che, se si ammettesse il cumulo tra i due meccanismi di determinazione della retribu- zione, si recherebbe un danno al lavoratore al quale sarebbe dunque corrisposta una retribuzione inferiore a quella derivante dalla applicazione del solo sistema di sottoinquadramento pre- visto dal decreto legislativo n. 276/2003 e che pertanto il rap- porto tra le norme in questione «deve, invero, essere interpreta- to in termini non già di cumulatività bensì di alternatività».
Secondo tale impostazione, pertanto, per l’apprendistato professionalizzante la determinazione della retribuzione da cor- rispondere al lavoratore doveva avvenire ai sensi dell’articolo 53 del decreto legislativo n. 276/2003 salvo che, in forza del principio del favor prestatoris, dall’applicazione della procedu-
ra di percentualizzazione derivasse, in concreto, un trattamento più favorevole per il dipendente (5).
Con la circolare n. 27/2008, anche su questo specifico tema, si responsabilizza la contrattazione collettiva.
Chiarisce infatti ora il Ministero che la finalità del c.d. sot- toinquadramento previsto dall’articolo 53 del decreto legislati- vo n. 276/2003 «è quella di precisare e delimitare il rapporto normalmente stabilito dalla contrattazione collettiva tra la retri- buzione dell’apprendista e quella del lavoratore qualificato, quest’ultimo identificato con il lavoratore appartenente alla ca- tegoria di inquadramento propria della qualificazione o qualifi- ca professionale al cui conseguimento è finalizzato il rapporto». Da ciò la circolare evidenzia che «la norma fissa un limite mas- simo («non potrà essere inferiore») al dislivello di classifica- zione e, quindi, di retribuzione tra l’apprendista e la suddetta qualificazione o qualifica finale».
La disposizione, dunque, vincola le parti sociali a «riferire il livello di classificazione (o inquadramento) finale dell’appren- dista a quello corrispondente alla qualificazione o qualifica fi- nale» ma nel far ciò non ha inteso creare un automatismo tra la retribuzione iniziale dell’apprendista e quella prevista per il la- voratore inquadrato nella qualificazione o qualifica finale,
«meno due livelli».
Ecco allora che il principio di gradualità della retribuzione – previsto dall’articolo 13, comma 1, della legge n. 25/1955 e tut- tora in vigore – è pienamente compatibile con il sottoinquadra- mento. In particolare i contratti collettivi potranno utilizzare il livello del lavoratore sottoinquadrato «sia come “tetto” o livello finale sia come “soglia” o livello iniziale della progressione percentuale». In altre parole l’apprendista potrà ricevere nel corso del rapporto una retribuzione inferiore in percentuale ri- spetto al livello di sottoinquadramento, alla condizione che tale livello sia garantito almeno quale punto di arrivo della progres- sione retributiva.
7. Cumulabilità dei rapporti
di apprendistato
Una ultima tematica, affrontata anch’essa in passato dal Ministero del lavoro, attiene alla possibilità di cumulare più pe- riodi di apprendistato svolti presso diversi datori di lavoro. Al
(5) Va peraltro aggiunto che, con risposta ad interpello del 21 giugno 2006, il Ministero aveva chiarito che, nelle ipotesi di applicazione del “vecchio” ap- prendistato di cui alla l. n. 25/1955, andava fatto riferimento alle previsioni del contratto collettivo riguardanti tale tipologia contrattuale e che «solo con rife- rimento alle previsioni di carattere economico occorrerà riferirsi al rinnovato Ccnl – sebbene riferito al nuovo apprendistato professionalizzante – al fine di evitare evidenti disparità di trattamento ed in attuazione del principio del favor prestatoris».
riguardo occorre anzitutto suddividere l’argomento a seconda che si tratti di cumulare rapporti di apprendistato facenti capo a due diverse discipline – quella ex legge n. 25/1955 e quella ex decreto legislativo n. 276/2003 – o rapporti di apprendistato fa- centi capo entrambi alla più recente normativa del 2003.
La problematica della cumulabilità dei periodi di apprendi- stato non è indifferente neanche alla stessa contrattazione col- lettiva che, in assenza di specifiche discipline legali, fornisce interessanti indicazioni, che in sostanza ricalcano la previsione dell’articolo 8 della legge n. 25/1995.
Xxxx Commercio: il periodo di apprendistato effettuato presso altre aziende va computato presso la nuova, ai fini del completamento del periodo prescritto dal contratto, purché l’ad- destramento si riferisca alle stesse attività e non sia intercorsa, tra un periodo e l’altro, un’interruzione superiore ad un anno.
Ccnl Metalmeccanici: è possibile cumulare i periodi svolti dal lavoratore in regime di apprendistato professionalizzante o di apprendistato per l’espletamento del diritto/dovere di istru- zione e formazione presso più datori di lavoro, a condizione che si riferiscano alle stesse attività e non sia intercorso un lasso di tempo superiore ad un anno.
Ccnl Edilizia: è possibile cumulare i periodi di servizio ef- fettivamente prestati in qualità di apprendista presso più impre- se, purché non separati da interruzioni superiori a un anno e sempre che si riferiscano alle stesse attività lavorative.
Ccnl Tessile abbigliamento: è possibile cumulare i periodi di apprendistato svolti nell’ambito del diritto/dovere di istru- zione e formazione nonché il periodo di apprendistato profes- sionalizzante iniziato presso altri datori di lavoro, sempre che riguardi le stesse mansioni e l’interruzione tra i due periodi non sia superiore a 12 mesi.
Ccnl Industria alimentare: si prevede la possibilità di cumu- lare i periodi di apprendistato presso più datori di lavoro o pres- so la medesima azienda, purché non separati da interruzioni su- periori ad un anno e sempre che si riferiscano alle stesse attività e mansioni.
Con la risposta ad interpello n. 8/2008, il Ministero aveva anzitutto affrontato la problematica relativa alla possibilità di assumere un lavoratore con contratto di apprendistato profes- sionalizzante dopo lo svolgimento, da parte dello stesso, di un periodo di apprendistato ex legge n. 25/1955, cumulando i due periodi. In sostanza si chiedeva se l’articolo 8 della legge n. 25/1955 potesse considerarsi compatibile con il nuovo regime normativo e, soprattutto, nei rapporti tra “vecchio” e “nuovo” apprendistato. La risposta del Ministero non poteva che essere positiva; si è chiarito infatti che, «in presenza delle condizioni indicate dal citato articolo 8, un nuovo rapporto di lavoro, di-
sciplinato dalla normativa e dalle disposizioni contrattuali sul- l’apprendistato professionalizzante, sarà instaurato tenendo conto, ai fini del computo della durata massima, del periodo di lavoro già svolto nel precedente rapporto. La durata del nuovo apprendistato potrà essere, dunque, calcolata sommando la du- rata del vecchio rapporto con quello nuovo».
Dalla risposta ad interpello si evince tuttavia che il mecca- nismo del cumulo non potrà essere applicato in via del tutto au- tomatica, scomputando dalla durata del “nuovo” apprendistato il periodo già svolto sotto il regime del “vecchio” apprendistato. Il precedente rapporto va infatti ad incidere sul nuovo anche e soprattutto per una diversa modulazione del piano formativo che – lo si ricorda – lo stesso legislatore definisce «individuale» e quindi calibrato sulle specifiche esperienze professionali di ogni singolo lavoratore. Si sottolinea dunque la necessità che il nuovo rapporto di lavoro «individui contenuti formativi diversi ed aggiuntivi rispetto a quelli che hanno caratterizzato il primo rapporto, in modo da preservare i caratteri di diversità fra la vecchia e nuova tipologia di apprendistato, in particolare per quanto attiene ai contenuti formativi da assicurare all’apprendi- sta secondo la nuova disciplina».
Diversa, seppur apparentemente connessa, è invece la que- stione relativa alla possibile trasformazione di un rapporto di apprendistato sorto ex legge n. 25/1955 in un rapporto di ap- prendistato professionalizzante, rispetto alla quale il Ministero si è già espresso negativamente (6) evidenziando come tale ope- razione comporterebbe una «indebita commistione tra nuova e vecchia disciplina».
La cumulabilità dei periodi di apprendistato svolti secondo discipline diverse deve invece ritenersi ammessa in quanto giu- stificata da una vera e propria interruzione del rapporto; d’al- tronde una differente soluzione avrebbe determinato l’impos- sibilità, in non pochi casi, di completare l’iter formativo del- l’apprendista in ragione del venir meno, nelle more dell’interru- zione, della possibilità di far riferimento alla disciplina del 1955 (7).
La circolare n. 27/2008 aggiunge a quanto detto che – in ra- gione del fatto per cui la disciplina dell’apprendistato profes- sionalizzante è «integrata con le disposizioni contenute nella L.
n. 25/1955, non abrogate dal […] D.Lgs. n. 276/2003, che con- tinuano a trovare applicazione ai contratti di apprendistato, in quanto compatibili con il nuovo quadro normativo» – l’articolo 8 della legge n. 25/1955 è applicabile, a maggior ragione si di-
(6) Si veda la risposta ad interpello n. 14/2007.
(7) Si veda in proposito anche D. PAPA, Apprendistato: tariffe di cottimo e tra- sformazione del rapporto, in GLav, 2007, n. 11.
rebbe, anche in riferimento al nuovo regime normativo, ossia al cumulo di più rapporti di apprendistato professionalizzante.
8. Società consortili e contratto
di apprendistato
Il Ministero risponde da ultimo ad un quesito – sollevato e- videntemente nelle forme dell’interpello – relativo alla possibi- lità che una società consortile, costituita per l’esecuzione di un’opera, possa procedere a una assunzione con contratto di apprendistato professionalizzante, anche qualora sia previsto lo scioglimento della stessa società consortile in data anticipata ri- spetto al completamento della formazione dell’apprendista. Al riguardo, la circolare n. 27/2008 non solleva obiezioni e ciò proprio in applicazione dell’articolo 8 della legge n. 25/1925, che consentirà il completamento del percorso formativo con una nuova assunzione dello stesso lavoratore presso una delle società del consorzio.