SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione) 16 luglio 2020 (*)
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione) 16 luglio 2020 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Ricevibilità – Articolo 267 TFUE – Nozione di “giurisdizione nazionale” –
Criteri – Politica sociale – Direttiva 2003/88/CE – Ambito di applicazione – Articolo 7 – Ferie annuali retribuite – Direttiva 1999/70/CE – Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – Clausole 2 e 3 – Nozione di “lavoratore a tempo determinato” – Giudici di pace e magistrati ordinari – Differenza di trattamento – Clausola 4 – Principio di non discriminazione –
Nozione di “ragioni oggettive”»
Nella causa C‑658/18,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Giudice di pace di Bologna (Italia), con ordinanza del 16 ottobre 2018, pervenuta in cancelleria il 22 ottobre 2018, nel procedimento
UX
contro
Governo della Repubblica italiana,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta da X. Xxxxxxxxxx (relatore), presidente di sezione, P.G. Xxxxxx e X. xxx Xxxxxxx, giudici, avvocato generale: X. Xxxxxx
cancelliere: X. Xxxxxxx, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 28 novembre 2019, considerate le osservazioni presentate:
– per UX, da X. Xxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxx, e X. Xx Xxxxxxx, avvocati;
– per il Governo della Repubblica italiana, da X. Xxxxxxxx, in qualità di agente, assistita da
X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxx, avvocati dello Stato;
– per la Commissione europea, da X. Xxxxxxxxx e X. xxx Xxxx, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 23 gennaio 2020, ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 267 TFUE, nonché dell’articolo 31, paragrafo 2 e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), sul principio della responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione, nonché sull’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 3, e dell’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU 2003, L 299, pag. 9), nonché delle clausole 2 e 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo:
l’«accordo quadro»), che figura nell’allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra UX e il Governo della Repubblica italiana in merito ad una domanda di risarcimento dei danni subiti per violazione del diritto dell’Unione da parte dello Stato italiano.
Contesto normativo Diritto dell’Unione Direttiva 89/391/CEE
3 L’articolo 2 della direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU 1989, L 183, pag. 1), definisce i settori di attività cui fa riferimento tale direttiva:
«1. La presente direttiva concerne tutti i settori d’attività privati o pubblici (attività industriali, agricole, commerciali, amministrative, di servizi, educative, culturali, ricreative, ecc.).
2. La presente direttiva non è applicabile quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, per esempio nelle forze armate o nella polizia, o ad alcune attività specifiche nei servizi di protezione civile vi si oppongono in modo imperativo.
In questo caso, si deve vigilare affinché la sicurezza e la salute dei lavoratori siano, per quanto possibile, assicurate, tenendo conto degli obiettivi della presente direttiva».
Direttiva 2003/88
4 L’articolo 1 della direttiva 2003/88, intitolato «Oggetto e campo di applicazione», ai suoi paragrafi da 1 a 3 enuncia quanto segue:
«1. La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.
2. La presente direttiva si applica:
a) ai periodi minimi di (...) ferie annuali (...) (...)
3. La presente direttiva si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 89/391/CEE, fermi restando gli articoli 14, 17, 18 e 19 della presente direttiva.
(...)».
5 L’articolo 7 di tale direttiva, intitolato «Ferie annuali», così dispone:
«1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali.
2. Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro».
Direttiva 1999/70
6 Il considerando 17 della direttiva 1999/70 è formulato come segue:
«per quanto riguarda i termini utilizzati nell’accordo quadro la presente direttiva, senza definirli precisamente, lascia agli Stati membri il compito di provvedere alla loro definizione secondo la legislazione e/o la prassi nazionale, come per altre direttive adottate nel settore sociale che utilizzano termini simili, purché dette definizioni rispettino il contenuto dell’accordo quadro».
7 L’articolo 1 di tale direttiva dispone che lo scopo di quest’ultima è di «attuare l’accordo quadro (...), che figura nell’allegato, concluso (...) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)».
8 Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro, l’obiettivo di quest’ultimo è, da un lato, migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione e, dall’altro, creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato.
9 La clausola 2 dell’accordo quadro, intitolata «Campo d’applicazione», prevede quanto segue:
«1. Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi ai:
a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato;
b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici».
10 La clausola 3 dell’accordo quadro, intitolata «Definizioni», è così formulata:
«1. Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo determinato” indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.
2. Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo indeterminato comparabile” indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze (...)».
11 La clausola 4 dell’accordo quadro, intitolata «Principio di non discriminazione», prevede quanto segue:
«1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
2. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis».
Diritto italiano
12 L’articolo 106 della Costituzione italiana contiene disposizioni fondamentali relative all’accesso alla magistratura:
«Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso.
La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli.
(...)».
13 Nella versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale, la legge del 21 novembre 1991,
n. 374 – Istituzione del giudice di pace (supplemento ordinario alla GURI n. 278, del 27 novembre 1991; in prosieguo: la «legge n. 374/1991») così dispone:
«Articolo 1
Istituzione e funzioni del giudice di pace
1. È istituito il giudice di pace, il quale esercita la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa in materia civile secondo le norme della presente legge.
2. L’ufficio del giudice di pace è ricoperto da un magistrato onorario appartenente all’ordine giudiziario.
(...)
Articolo 3
Ruolo organico e pianta organica degli uffici del giudice di pace
1. Il ruolo organico dei magistrati onorari addetti agli uffici del giudice di pace è fissato in 4.700 posti; (...)
(...)
Articolo 4
Nomina nell’ufficio
1. I magistrati onorari chiamati a ricoprire l’ufficio del giudice di pace sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura su proposta formulata dal consiglio giudiziario territorialmente competente, integrato da cinque rappresentanti designati, d’intesa tra loro, dai consigli dell’ordine degli avvocati e procuratori del distretto di corte d’appello.
(...)
Articolo 10
Doveri del giudice di pace
1. Il giudice di pace è tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari. (...) (…)
Articolo 11
Indennità spettanti al giudice di pace
1. L’ufficio del giudice di pace è onorario.
2. Ai magistrati onorari che esercitano la funzione di giudice di pace è corrisposta un’indennità di L.
70.000 [circa EUR 35] per ciascuna udienza civile o penale, anche se non dibattimentale, e per l’attività di apposizione dei sigilli, nonché di L. 110.000 [circa EUR 55] per ogni altro processo assegnato e comunque definito o cancellato dal ruolo.
3. È altresì dovuta un’indennità di L. 500.000 [circa EUR 250] per ciascun mese di effettivo servizio a titolo di rimborso spese per l’attività di formazione, aggiornamento e per l’espletamento dei
servizi generali di istituto. (...)
4 bis. Le indennità previste dal presente articolo sono cumulabili con i trattamenti pensionistici e di quiescenza comunque denominati.
4 ter. Le indennità previste dal presente articolo non possono superare in ogni caso l’importo di euro
72.000 lordi annui».
14 Ai sensi dell’articolo 8 bis della legge del 2 aprile 1979, n. 97 – Norme sullo stato giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato (GURI n. 97, del 6 aprile 1979), applicabile all’epoca dei fatti di causa:
«(...) i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché gli avvocati e i procuratori dello Stato hanno un periodo annuale di ferie di trenta giorni».
15 L’articolo 24 del decreto legislativo del 13 luglio 2017, n. 116 – Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57 (GURI n. 177, del 31 luglio 2017), prevede un’indennità per il periodo feriale per i giudici di pace, ma solo per i magistrati onorari che hanno assunto le loro funzioni dopo il 16 agosto 2017.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
16 La ricorrente nel procedimento principale è stata nominata Giudice di pace il 23 febbraio 2001 ed ha svolto tale funzione in due diversi tribunali, dall’anno 2002 all’anno 2005 e, successivamente, dall’anno 2005 sino ad oggi.
17 Nel periodo compreso tra il 1º luglio 2017 e il 30 giugno 2018, la ricorrente nel procedimento principale ha emesso 478 sentenze in qualità di giudice penale, 1 113 decreti di archiviazione nei confronti di persone note e 193 decreti di archiviazione contro persone ignote in qualità di giudice dell’indagine preliminare. Nell’ambito delle sue funzioni, essa svolge, in qualità di giudice monocratico, due udienze alla settimana, tranne nel periodo feriale non retribuito di agosto, durante il quale i termini processuali sono sospesi.
18 Nell’agosto 2018, durante il suo congedo non retribuito, la ricorrente nel procedimento principale non ha svolto alcuna attività in qualità di giudice di pace e, di conseguenza, non ha percepito alcuna indennità.
19 L’8 ottobre 2018 la ricorrente nel procedimento principale ha presentato al Giudice di pace di Bologna un ricorso per decreto ingiuntivo volto ad ottenere la condanna del Governo della Repubblica italiana al pagamento dell’importo di EUR 4 500,00, corrispondente, a suo avviso, alla retribuzione per il mese di agosto 2018 che spetterebbe ad un magistrato ordinario con la sua stessa anzianità di servizio, a titolo di risarcimento dei danni che essa ritiene di aver subito per la manifesta violazione, da parte dello Stato italiano, segnatamente della clausola 4 dell’accordo quadro e dell’articolo 7 della direttiva 2003/88, nonché dell’articolo 31 della Carta. In via subordinata, la ricorrente nel procedimento principale ha chiesto la condanna del governo italiano al pagamento della somma di EUR 3 039,76, allo stesso titolo, calcolata sulla base dell’indennità netta da essa percepita nel mese di luglio 2018.
20 In tale contesto, dall’ordinanza di rinvio risulta che i pagamenti percepiti dai giudici di pace sono legati al lavoro realizzato e calcolati sulla base del numero di decisioni pronunciate. Di conseguenza, durante il periodo feriale del mese di agosto, la ricorrente nel procedimento principale non ha percepito alcuna indennità, mentre i magistrati ordinari hanno diritto a ferie retribuite di 30 giorni. L’articolo 24 del decreto legislativo del 13 luglio 2017, n. 116, che ora prevede per i giudici di pace la retribuzione del periodo feriale, non sarebbe applicabile alla ricorrente nel procedimento principale in ragione della data della sua entrata in servizio.
21 Da detta ordinanza risulta altresì che i giudici di pace sono soggetti, sotto il profilo disciplinare, ad obblighi analoghi a quelli dei magistrati ordinari. Il rispetto di tali obblighi è sottoposto al controllo del Consiglio Superiore della Magistratura, di concerto con il Ministro della Giustizia.
22 Il Giudice di pace di Bologna ritiene, contrariamente ai supremi organi giurisdizionali italiani, che i giudici di pace, nonostante il carattere onorario del loro servizio, debbano essere considerati
«lavoratori» ai sensi delle disposizioni della direttiva 2003/88 e dell’accordo quadro. A sostegno di tale tesi esso fa riferimento, in particolare, al vincolo di subordinazione che, a suo avviso, caratterizza il rapporto tra i giudici di pace e il Ministero della Giustizia. Analogamente, i giudici di pace non sarebbero solo soggetti al potere disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, ma sarebbero anche inclusi nell’organico di quest’ultima. Inoltre, le certificazioni di pagamento dei giudici di pace sarebbero rilasciate con le stesse modalità previste per i dipendenti pubblici e il reddito del giudice di pace sarebbe assimilato a quello del lavoratore subordinato. Pertanto, la direttiva 2003/88 e l’accordo quadro sarebbero applicabili nei loro confronti.
23 In tale contesto, il Giudice di pace di Bologna ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte cinque questioni pregiudiziali.
24 Con ordinanza dell’11 novembre 2019, pervenuta alla Corte il 12 novembre 2019, il giudice del rinvio ha deciso di ritirare la quarta e la quinta questione pregiudiziale, confermando al contempo il mantenimento delle questioni pregiudiziali dalla prima alla terza, così formulate:
«1) Se il giudice di pace, quale giudice del rinvio pregiudiziale, rientra nella nozione di giudice comune europeo competente a proporre istanza di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, anche se l’ordinamento interno non gli riconosce, per la sua precarietà lavorativa, condizioni di lavoro equivalenti a quelle dei magistrati professionali pur svolgendo le stesse funzioni giurisdizionali con incardimento nell’ordinamento giudiziario nazionale, in violazione delle garanzie di indipendenza e di imparzialità del giudice comune europeo, indicate dalla Corte di giustizia nelle sentenze Xxxxxx (EU:C:2006:587, punti 47-53), Associaçâo Sindical dos Juizes Portugueses (EU:C:2018:117, punto 32 e punti 41-45), Minister for Justice and Equality (EU:C:2018:586, punti 50-54).
2) Nel caso di risposta affermativa al quesito sub.1), se l’attività di servizio del giudice di pace ricorrente rientra nella nozione di “lavoratore a tempo determinato”, di cui, in combinato disposto, agli articoli 1, paragrafo 3, e 7 della direttiva 2003/88, alla clausola 2 dell’[accordo quadro] e all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nell’interpretazione della Corte di giustizia nelle sentenze X’Xxxxx (EU:C:2012:110) e King (EU:C:2017:914), e, in caso di risposta affermativa, se il magistrato ordinario o professionale possa essere considerato lavoratore a tempo indeterminato equiparabile al lavoratore a tempo determinato “giudice di pace”, ai fini dell’applicazione delle stesse condizioni di lavoro di cui alla clausola 4 dell’[accordo quadro].
3) Nel caso di risposta affermativa ai quesiti sub. 1) e sub. 2), se l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in combinato disposto con l’art. 267 TFUE, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia Ue in materia di responsabilità dello Stato italiano per manifesta violazione della normativa [dell’Unione] da parte del Giudice di ultima istanza nelle sentenze Xxxxxx (EU:C:2003:513), Traghetti del Mediterraneo (EU:C:2006:391) e Commissione contro Repubblica italiana (EU:C:2011:775), siano in contrasto con l’art. 2, commi 3 e 3-bis, della legge 13 aprile 1988 n. 117 sulla responsabilità civile dei magistrati, che prevede la responsabilità del giudice per dolo o colpa grave “in caso di violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione […]” e che pone il giudice nazionale di fronte alla scelta – che comunque venga esercitata è causa di responsabilità civile e disciplinare nei confronti dello Stato nelle cause in cui parte sostanziale è la stessa amministrazione pubblica, particolarmente quando il giudice della causa è un giudice di pace con lavoro a tempo determinato privo di tutele effettive giuridiche, economiche e previdenziali –, come nella fattispecie di causa, se violare la normativa interna disapplicandola e applicando il diritto dell’Unione […], come interpretato dalla Corte di giustizia, o invece violare il diritto dell’Unione […] applicando le norme interne ostative al riconoscimento della tutela e in contrasto con gli articoli 1, paragrafo 3, e 7 della direttiva
2003/88, con le clausole 2 e 4 dell’[accordo quadro] e con l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».
Procedimento dinanzi alla Corte
25 Il giudice del rinvio ha chiesto che la presente causa fosse sottoposta al procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.
26 Il 6 novembre 2018 la Corte, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, ha deciso che non vi era luogo per un accoglimento di detta richiesta.
Sulla domanda di riapertura della fase orale del procedimento
27 A seguito della presentazione delle conclusioni dell’avvocato generale, la ricorrente nel procedimento principale, con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 29 gennaio 2020, ha chiesto che fosse disposta la riapertura della fase orale del procedimento, in applicazione dell’articolo 83 del regolamento di procedura della Corte.
28 A sostegno di tale domanda essa deduce, in sostanza, che, per quanto riguarda gli elementi che compongono il compenso dei giudici di pace, l’avvocato generale, nelle sue conclusioni, si è basato su una giurisprudenza della Corte che non è stata oggetto di dibattimento all’udienza di discussione del 28 novembre 2019. La ricorrente nel procedimento principale contesta la valutazione dell’avvocato generale relativa al metodo di calcolo dell’indennità per ferie retribuite e, più in particolare, taluni aspetti del compenso che deve essere utilizzato per il calcolo di detta indennità. Pertanto, la ricorrente nel procedimento principale ritiene che l’avvocato generale abbia introdotto un argomento nuovo che non è stato discusso in udienza.
29 A tale proposito, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 252, secondo xxxxx, TFUE, l’avvocato generale presenta pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, richiedono il suo intervento. La Corte non è vincolata né a tali conclusioni né alla motivazione attraverso la quale l’avvocato generale giunge a formularle (sentenza del 19 marzo 2020, Xxxxxxx Xxxx e a., C‑103/18 e C‑429/18, EU:C:2020:219, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).
30 Occorre altresì rilevare, in tale contesto, che né lo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea né il regolamento di procedura prevedono la facoltà per le parti o gli interessati menzionati all’articolo
23 di tale Statuto di depositare osservazioni in risposta alle conclusioni presentate dall’avvocato generale. Di conseguenza, il disaccordo di una parte o di tale interessato con le conclusioni dell’avvocato generale, quali che siano le questioni da esso ivi esaminate, non può costituire, di per sé, un motivo che giustifichi la riapertura della fase orale (sentenza del 19 marzo 2020, Xxxxxxx Xxxx e a., C‑103/18 e C‑429/18, EU:C:2020:219, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).
31 Ne consegue che la domanda di riapertura della fase orale del procedimento presentata dalla ricorrente nel procedimento principale, nella misura in cui mira a consentire a quest’ultima di rispondere alla posizione espressa dall’avvocato generale nelle sue conclusioni, non può essere accolta.
32 Vero è che, ai sensi dell’articolo 83 del regolamento di procedura, la Corte, sentito l’avvocato generale, può disporre in qualsiasi momento la riapertura della fase orale del procedimento, in particolare se essa non si ritiene sufficientemente edotta o quando, dopo la chiusura di tale fase, una parte ha prodotto un fatto nuovo, tale da influenzare in modo decisivo la decisione della Corte, oppure quando la causa dev’essere decisa in base a un argomento che non è stato oggetto di discussione tra le parti o gli interessati menzionati dall’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.
33 Ebbene, nel caso di specie, la Corte, dopo aver sentito l’avvocato generale, ritiene di disporre di tutti gli elementi necessari per rispondere alle questioni sollevate dal giudice del rinvio e considera che la
presente causa non debba essere decisa sulla base di un argomento che non sia stato oggetto di discussione tra gli interessati.
34 Alla luce delle considerazioni che precedono, non occorre disporre la riapertura della fase orale del procedimento.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità
35 La Repubblica italiana e la Commissione europea sostengono, innanzitutto, che la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile nel suo complesso, per il motivo che il giudice di pace all’origine del rinvio pregiudiziale non può essere considerato una giurisdizione nazionale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, in assenza di tre condizioni essenziali al riguardo.
36 In primo luogo, non sarebbe rispettato il requisito dell’indipendenza, in particolare sotto il suo secondo profilo, di ordine interno, dato che il giudice del rinvio avrebbe necessariamente un interesse nella soluzione della controversia principale, in quanto appartiene alla categoria dei giudici di pace. Il giudice del rinvio non potrebbe pertanto essere considerato imparziale.
37 In secondo luogo, per quanto riguarda l’obbligatorietà della giurisdizione del giudice del rinvio, la Repubblica italiana e la Commissione deducono, da un lato, che le domande formulate dalla ricorrente nel procedimento principale rientrano nell’ambito di una controversia in materia di diritto del lavoro vertente sulla questione se i giudici di pace siano lavoratori e, dall’altro, che la competenza del giudice di pace si fonda su un frazionamento, vietato dal diritto italiano, dei crediti della ricorrente nel procedimento principale nei confronti dello Stato italiano.
38 In terzo luogo, il governo italiano e la Commissione ritengono che, nel caso di specie, manchi la natura contraddittoria del procedimento d’ingiunzione di pagamento che si svolge dinanzi al giudice del rinvio.
39 La Commissione esprime poi dubbi, da un lato, sulla necessità della domanda di pronuncia pregiudiziale e, dall’altro, sulla rilevanza delle questioni sollevate ai fini della soluzione della controversia principale. Essa ritiene in primo luogo che il giudice del rinvio, pur affermando esso stesso, al punto 22 dell’ordinanza di rinvio, che non è necessario un rinvio pregiudiziale, non abbia spiegato chiaramente le ragioni che l’hanno portato ad interrogarsi sull’interpretazione di talune disposizioni del diritto dell’Unione. In secondo luogo, la Commissione ritiene, da un lato, che la seconda questione non venga sollevata per rispondere ad un dubbio reale del giudice del rinvio in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione e, dall’altro, che la terza questione non abbia alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della causa principale.
40 A tale riguardo, occorre innanzitutto esaminare la questione se, nel caso di specie, il giudice di pace all’origine del presente rinvio pregiudiziale soddisfi i criteri per essere considerato una giurisdizione nazionale ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
41 Tale problematica è altresì sollevata dalla prima questione, diretta in sostanza a stabilire se il giudice di pace rientri nella nozione di «giurisdizione di uno degli Stati membri», ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
42 Secondo una costante giurisprudenza, per valutare se l’organismo di rinvio di cui trattasi costituisca una «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE – questione rientrante unicamente nel diritto dell’Unione – la Corte tiene conto di un insieme di elementi, quali l’origine legale di tale organismo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, lo svolgimento in contraddittorio dei procedimenti dinanzi ad esso, l’applicazione, da parte dell’organo, di norme giuridiche, nonché la sua indipendenza (sentenza del 21 gennaio 2020, Banco de Santander, C‑274/14, EU:C:2020:17, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
43 Nel caso di specie, gli elementi contenuti nel fascicolo sottoposto alla Corte non consentono di dubitare del fatto che il giudice di pace soddisfi i requisiti attinenti alla sua origine legale, al suo carattere permanente e all’applicazione, da parte di quest’ultimo, di norme giuridiche.
44 Per contro, si pone anzitutto la questione se esso soddisfi il requisito dell’indipendenza. Il giudice del rinvio, per quanto riguarda la propria indipendenza, esprime riserve connesse alle condizioni di lavoro dei giudici di pace italiani.
45 In tale contesto, occorre ricordare che l’indipendenza dei giudici nazionali è essenziale per il buon funzionamento del sistema di cooperazione giudiziaria costituito dal meccanismo di rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE, in quanto, conformemente alla consolidata giurisprudenza della Corte, ricordata al punto 42 della presente sentenza, tale meccanismo può essere attivato unicamente da un organo, incaricato di applicare il diritto dell’Unione, che soddisfi, segnatamente, il suddetto criterio di indipendenza (sentenza del 21 gennaio 2020, Banco de Santander, C‑274/14, EU:C:2020:17, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).
46 Secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione di «indipendenza» comporta due aspetti. Il primo aspetto, di ordine esterno, esige che l’organismo in questione eserciti le proprie funzioni in piena autonomia, senza soggiacere a vincoli gerarchici o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni di qualsivoglia origine, in modo da essere tutelato dinanzi agli interventi o alle pressioni esterne suscettibili di compromettere l’indipendenza di giudizio dei suoi membri e di influenzare le decisioni di questi (sentenza del 21 gennaio 2020, Banco de Santander, C‑274/14, EU:C:2020:17, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).
47 Sempre per quanto riguarda l’aspetto esterno della nozione di «indipendenza», occorre ricordare che l’inamovibilità dei membri dell’organo di cui trattasi costituisce una garanzia inerente all’indipendenza dei giudici, in quanto mira a proteggere la persona di coloro che hanno il compito di giudicare (sentenza del 21 gennaio 2020, Banco de Santander, C‑274/14, EU:C:2020:17, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).
48 Il principio di inamovibilità, del quale va sottolineata l’importanza capitale, esige, in particolare, che i giudici possano continuare a esercitare le proprie funzioni finché non abbiano raggiunto l’età obbligatoria per il collocamento a riposo o fino alla scadenza del loro mandato, qualora quest’ultimo abbia una durata determinata. Pur non essendo assoluto, questo principio può conoscere eccezioni solo a condizione che ciò sia giustificato da motivi legittimi e imperativi, nel rispetto del principio di proporzionalità. In concreto, si ammette comunemente che i giudici possano essere rimossi ove siano inidonei a continuare ad esercitare le loro funzioni a motivo di un’incapacità o di una grave violazione, rispettando a tal fine procedure appropriate (sentenza del 21 gennaio 2020, Banco de Santander, C‑274/14, EU:C:2020:17, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).
49 Più in particolare, la garanzia di inamovibilità dei membri di un organo giurisdizionale esige che i casi di rimozione dei membri di tale organo siano determinati da una normativa particolare, mediante disposizioni legislative espresse che forniscano garanzie ulteriori rispetto a quelle previste dalle norme generali del diritto amministrativo e del diritto del lavoro applicabili in caso di rimozione abusiva (sentenza del 21 gennaio 2020, Banco de Santander, C‑274/14, EU:C:2020:17, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).
50 Il secondo aspetto della nozione di «indipendenza», di ordine interno, si ricollega alla nozione di
«imparzialità» e riguarda l’equidistanza rispetto alle parti della controversia ed ai loro rispettivi interessi in rapporto all’oggetto di quest’ultima. Questo aspetto impone il rispetto dell’obiettività e l’assenza di qualsivoglia interesse nella soluzione della controversia all’infuori della stretta applicazione della norma giuridica (sentenza del 21 gennaio 2020, Banco de Santander, C‑274/14, EU:C:2020:17, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).
51 Tali garanzie di indipendenza e di imparzialità presuppongono l’esistenza di disposizioni, segnatamente relative alla composizione dell’organo, alla nomina, alla durata delle funzioni, nonché alle cause di astensione, di ricusazione e di rimozione dei suoi membri, che consentano di fugare, in capo ai singoli, qualsiasi legittimo dubbio quanto alla impermeabilità di detto organo rispetto a
elementi esterni e alla sua neutralità riguardo agli interessi contrapposti (sentenza del 21 gennaio 2020, Banco de Santander, C‑274/14, EU:C:2020:17, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).
52 Nel caso di specie, per quanto riguarda la nomina dei giudici di pace, si deve constatare che, secondo la normativa nazionale applicabile, in particolare l’articolo 4 della legge n. 374/1991, i giudici di pace sono nominati con decreto del presidente della Repubblica italiana, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura su proposta formulata dal consiglio giudiziario territorialmente competente, integrato da cinque rappresentanti designati, d’intesa tra loro, dai consigli dell’ordine degli avvocati e procuratori del distretto di corte d’appello.
53 Per quanto riguarda la durata delle funzioni dei giudici di pace, occorre rilevare che dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che tali giudici hanno un mandato di quattro anni, rinnovabile alla sua scadenza per la medesima durata. Inoltre, i giudici di pace restano in servizio, in linea di principio, fino alla scadenza del loro mandato di quattro anni, se quest’ultimo non viene rinnovato.
54 Per quanto riguarda la revoca dei giudici di pace, da tale fascicolo emerge che i casi di revoca dal loro incarico e i relativi procedimenti specifici sono stabiliti a livello nazionale, da disposizioni legislative espresse.
55 Risulta inoltre che i giudici di pace esercitano le loro funzioni in piena autonomia, fatte salve le disposizioni in materia disciplinare, e senza pressioni esterne che possano influenzare le loro decisioni.
56 Per quanto riguarda il requisito di indipendenza considerato sotto il suo secondo aspetto, di ordine interno, contemplato al punto 50 della presente sentenza, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 51 delle sue conclusioni, è sufficiente constatare che la Corte ha già risposto, a più riprese, a questioni pregiudiziali riguardanti lo status dei giudici, senza esprimere dubbi in merito all’indipendenza dei giudici del rinvio che avevano sollevato tali questioni [v., in tal senso, sentenze del 13 giugno 2017, Xxxxxxxx e a., C‑258/14, EU:C:2017:448; del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C‑64/16, EU:C:2018:117; del 7 febbraio 0000, Xxxxxxxxx Xxxxxx, C‑49/18, EU:C:2019:106, nonché del 19 novembre 2019, A.K. E a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982].
57 Tenuto conto delle considerazioni esposte ai punti da 44 a 56 della presente sentenza, si deve ritenere che nel caso di specie il requisito di indipendenza sia soddisfatto.
58 Si pone poi la questione dell’obbligatorietà della giurisdizione del giudice del rinvio.
59 La Repubblica italiana e la Commissione hanno espresso dubbi quanto alla competenza del giudice del rinvio a conoscere di una controversia come quella di cui al procedimento principale in quanto, da un lato, le domande formulate dalla ricorrente nel procedimento principale rientrano nell’ambito di una controversia in materia di diritto del lavoro vertente sulla questione se i giudici di pace siano lavoratori. Ebbene, è sufficiente rilevare al riguardo che è pacifico che la controversia principale non costituisca un’azione in materia di diritto del lavoro, bensì un’azione volta ad ottenere dallo Stato un risarcimento dei danni. Inoltre, la Repubblica italiana e la Commissione non contestano il fatto che i giudici di pace siano competenti a statuire su tali azioni.
60 Per quanto riguarda, dall’altro lato, l’asserito frazionamento dei crediti della ricorrente nel procedimento principale, occorre rilevare che dall’ordinanza di rinvio risulta che, ai sensi dell’articolo 7, primo comma, del codice di procedura civile, il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a EUR 5 000, quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice. Secondo la medesima ordinanza, l’articolo 4, comma 43, della legge del 12 novembre 2011, n. 183, non prevede alcuna riserva di competenza per materia, e pertanto la domanda della ricorrente nel procedimento principale volta ad ottenere un’ingiunzione di pagamento nei confronti del governo italiano è stata correttamente instaurata nei limiti della competenza per valore e per territorio del giudice del rinvio.
61 A tale riguardo, è sufficiente ricordare che non spetta alla Corte né rimettere in discussione la valutazione del giudice del rinvio relativa alla ricevibilità del ricorso principale, che rientra, nell’ambito del procedimento pregiudiziale, nella competenza del giudice nazionale, né verificare se la
decisione di rinvio sia stata adottata conformemente alle norme nazionali disciplinanti l’organizzazione giudiziaria e le procedure giurisdizionali (sentenza del 10 dicembre 2018, Xxxxxxxx e a., C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 30, nonché ordinanza del 17 gennaio 2019, Xxxxx e a., C‑626/17, non pubblicata, EU:C:2019:28, punto 22 e giurisprudenza ivi citata). La Corte deve attenersi al provvedimento di rinvio emesso da un giudice di uno Stato membro, fintantoché questo provvedimento non sia stato revocato a seguito dell’esperimento di rimedi giurisdizionali eventualmente previsti dal diritto nazionale (sentenze del 7 luglio 2016, Genentech, C‑567/14, EU:C:2016:526, punto 23, nonché dell’11 luglio 1996, SFEI e a., C‑39/94, EU:C:1996:285, punto 24).
62 Occorre aggiungere che, in tali circostanze, una situazione del genere si distingue da quelle in questione, in particolare, nella causa che ha dato luogo alle ordinanze del 6 settembre 2018, Xx Xxxxxxxx (C‑472/17, non pubblicata, EU:C:2018:684), e del 17 dicembre 2019, Xx Xxxxxxxx (C‑618/18, non pubblicata, EU:C:2019:1090), in cui il giudice del rinvio aveva chiaramente indicato di non essere competente a statuire sulla domanda dinanzi ad esso proposta.
63 Infine, per quanto riguarda il carattere contraddittorio del procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio, è sufficiente ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’articolo 267 TFUE non subordina il rinvio alla Corte al carattere contraddittorio del procedimento dinanzi al giudice del rinvio. Ciò che risulta invece da detto articolo è che i giudici nazionali possono adire la Corte unicamente se dinanzi ad essi sia pendente una lite e se essi siano stati chiamati a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di natura giurisdizionale (sentenze del 16 dicembre 2008, Cartesio, C‑210/06, EU:C:2008:723, punto 56, e del 4 settembre 2019, Salvoni, C‑347/18, EU:C:2019:661, punto 26 e giurisprudenza ivi citata). Ebbene, ciò è quanto avviene nel caso di specie.
64 Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 62 delle sue conclusioni, la Corte ha già dichiarato che una domanda di pronuncia pregiudiziale può esserle rivolta anche nell’ambito di un procedimento di ingiunzione di pagamento (v., in tal senso, sentenze del 14 dicembre 1971, Politi, 43/71, EU:C:1971:122, punti 4 e 5, nonché dell’8 giugno 0000, Xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx, C‑266/96, EU:C:1998:306, punto 23).
65 Alla luce delle considerazioni che precedono, si devono respingere i dubbi espressi dalla Commissione e dal governo italiano e constatare che il giudice di pace soddisfa i criteri per essere considerato una
«giurisdizione di uno degli Stati membri», ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
66 Per quanto riguarda poi la necessità della domanda di pronuncia pregiudiziale e la rilevanza delle questioni sollevate, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione di una norma giuridica dell’Unione, la Corte è, in via di principio, tenuta a statuire [sentenza del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punto 97 e giurisprudenza ivi citata].
67 Ne consegue che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione sono assistite da una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione richiesta relativamente ad una norma dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale, oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte [sentenze del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punto 98 e giurisprudenza ivi citata, e del 19 ottobre 2017, Paper Consult, C‑101/16, EU:C:2017:775, punto 29 e giurisprudenza ivi citata].
68 Così, dato che la decisione di rinvio costituisce il fondamento del procedimento attivato dinanzi alla Corte, è indispensabile che il giudice nazionale chiarisca, in tale decisione, il contesto di fatto e di
diritto nel quale si inserisce la controversia principale e fornisca un minimo di spiegazioni sulle ragioni della scelta delle disposizioni del diritto dell’Unione di cui chiede l’interpretazione, nonché sul nesso a suo avviso intercorrente tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui è investito (v., in tal senso, in particolare, sentenza del 9 marzo 2017, Milkova, C‑406/15, EU:C:2017:198, punto 73, nonché ordinanza del 16 gennaio 2020, Telecom Italia e a., C‑368/19, non pubblicata, EU:C:2020:21, punto 37).
69 Tali requisiti cumulativi relativi al contenuto della domanda di pronuncia pregiudiziale figurano espressamente nell’articolo 94 del regolamento di procedura. Da quest’ultimo risulta, in particolare, che la domanda di pronuncia pregiudiziale deve contenere «l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla causa principale».
70 Nel caso di specie, occorre constatare che dal punto 22 della sua ordinanza risulta chiaramente che, in tale punto, il giudice del rinvio si limita a presentare l’argomentazione della ricorrente nel procedimento principale secondo la quale sarebbe possibile accogliere la domanda di quest’ultima senza interrogare la Corte e non afferma affatto che non sia necessario un rinvio pregiudiziale per statuire sulla controversia di cui è investito.
71 Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 32 e 33 delle sue conclusioni, occorre sottolineare, per quanto riguarda la seconda questione pregiudiziale, che quest’ultima non è priva di rilevanza, in quanto con tale questione il giudice del rinvio, al fine di stabilire se la ricorrente nel procedimento principale possa richiedere un risarcimento danni per il diniego di ferie retribuite, mira ad ottenere chiarimenti sulla nozione di «lavoratore», ai sensi della direttiva 2003/88, e sul principio di non discriminazione enunciato nell’accordo quadro al fine di stabilire se essi si applichino ai giudici di pace italiani.
72 Ebbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 34 delle sue conclusioni, tali questioni richiedono un chiarimento.
73 Per quanto riguarda la terza questione, occorre invece rilevare che il procedimento principale non riguarda la responsabilità personale dei giudici, bensì una domanda volta ad ottenere un’indennità a titolo di ferie retribuite. Il giudice del rinvio non ha spiegato in che modo un’interpretazione dell’articolo 47 della Carta sarebbe necessaria ai fini della sua pronuncia, né il collegamento che il medesimo ha stabilito tra le disposizioni dell’Unione di cui chiede l’interpretazione e la normativa nazionale applicabile al procedimento principale.
74 Inoltre, dalla decisione di rinvio non risulta in alcun modo che possa venire in rilievo una responsabilità per dolo o colpa grave del giudice del rinvio.
75 In tali circostanze, alla luce di tutti questi elementi, si deve constatare che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile ad eccezione della terza questione.
Nel merito
Sulla prima questione
76 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 267 TFUE debba essere interpretato nel senso che il Giudice di pace rientra nella nozione di «giurisdizione di uno degli Stati membri», ai sensi di tale articolo.
77 Dalle considerazioni esposte ai punti da 42 a 65 della presente sentenza risulta che così è nel caso di specie. Si deve pertanto rispondere alla prima questione dichiarando che il Giudice di pace rientra nella nozione di «giurisdizione di uno degli Stati membri», ai sensi di tale articolo.
Sulla seconda questione
78 In via preliminare, occorre rilevare che la seconda questione è composta da tre aspetti distinti, volti a valutare l’esistenza di un eventuale diritto dei giudici di pace a beneficiare di ferie retribuite sulla base del diritto dell’Unione. Tale questione, infatti, verte anzitutto sull’interpretazione della nozione di
«lavoratore», ai sensi della direttiva 2003/88, al fine di determinare se un Giudice di pace, come la ricorrente nel procedimento principale, possa rientrare in tale nozione, dal momento che l’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva dispone che gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane. Detta questione riguarda poi la nozione di «lavoratore a tempo determinato» ai sensi dell’accordo quadro. Infine, qualora quest’ultima nozione comprendesse il giudice di pace, il giudice del rinvio si chiede se quest’ultimo possa essere paragonato, ai fini dell’applicazione del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 di tale accordo quadro, ai magistrati ordinari, i quali beneficiano di ferie annuali retribuite supplementari, per un totale di 30 giorni.
– Sulla direttiva 2003/88
79 Con la prima parte della seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta debbano essere interpretati nel senso che un giudice di pace che svolge le sue funzioni in via principale e che percepisce indennità connesse alle prestazioni effettuate, nonché indennità per ogni mese di servizio effettivo, possa rientrare nella nozione di «lavoratore», ai sensi di tali disposizioni.
80 Occorre in primo luogo stabilire se tale direttiva sia applicabile nel caso di specie.
81 A tale riguardo, occorre rammentare che l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2003/88 definisce il campo di applicazione della stessa attraverso un rinvio all’articolo 2 della direttiva 89/391.
82 Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 89/391, quest’ultima concerne «tutti i settori d’attività privati o pubblici».
83 Tuttavia, come emerge dall’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, di tale direttiva, quest’ultima non è applicabile quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, segnatamente nelle forze armate o nella polizia, o ad alcune attività specifiche nei servizi di protezione civile vi si oppongono in modo imperativo.
84 A tale riguardo occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il criterio utilizzato all’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 per escludere determinate attività dall’ambito di applicazione della medesima direttiva e, indirettamente, da quello della direttiva 2003/88 non si fonda sull’appartenenza dei lavoratori a uno dei settori del pubblico impiego previsti da tale disposizione, considerato nel suo insieme, ma esclusivamente sulla natura specifica di taluni compiti particolari svolti dai lavoratori dei settori presi in considerazione da tale disposizione, natura che giustifica una deroga alle norme in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, a motivo della necessità assoluta di garantire un’efficace tutela della collettività (sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a., C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 55).
85 Nel caso di specie, anche se l’attività giurisdizionale del giudice di pace non è espressamente menzionata tra gli esempi citati all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 89/391, essa fa parte del settore di attività pubblico. Essa rientra quindi, in linea di principio, nel campo di applicazione della direttiva 89/391 e della direttiva 2003/88.
86 Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 71 delle sue conclusioni, nulla giustifica l’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 nei confronti dei giudici di pace e la loro esclusione generalizzata dall’ambito di applicazione di tali due direttive.
87 In tali circostanze, si deve ritenere che la direttiva 2003/88 sia applicabile al procedimento principale.
88 In secondo luogo, occorre ricordare che, ai fini dell’applicazione della direttiva 2003/88, la nozione di
«lavoratore» non può essere interpretata in modo da variare a seconda degli ordinamenti nazionali, ma ha una portata autonoma, propria del diritto dell’Unione (sentenze del 26 marzo 2015, Fenoll,
C‑316/13, EU:C:2015:200, punto 25, e del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a., C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
89 Tale constatazione s’impone anche ai fini dell’interpretazione della nozione di «lavoratore», ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 2003/88, e dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, per assicurare l’uniformità dell’ambito di applicazione ratione personae del diritto dei lavoratori alle ferie retribuite (sentenza del 26 marzo 2015, Fenoll, C‑316/13, EU:C:2015:200, punto 26).
90 Detta nozione deve essere definita in base a criteri obiettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate (sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a., C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
91 Nell’ambito della qualificazione relativa alla nozione di «lavoratore», che spetta, in ultima analisi, al giudice nazionale, quest’ultimo deve fondarsi su criteri obiettivi e valutare nel loro complesso tutte le circostanze del caso di cui è investito, riguardanti la natura sia delle attività interessate sia del rapporto tra le parti in causa (v., in tal senso, sentenza del 14 ottobre 2010, Union syndicale Solidaires Isère, C‑428/09, EU:C:2010:612, punto 29).
92 La Corte può tuttavia fornire al giudice del rinvio i principi e criteri di cui quest’ultimo dovrà tener conto nell’ambito del suo esame.
93 Occorre quindi ricordare, da un lato, che deve essere qualificata come «lavoratore» ogni persona che svolga attività reali ed effettive, restando escluse quelle attività talmente ridotte da poter essere definite puramente marginali e accessorie (sentenza del 26 marzo 2015, Fenoll, C‑316/13, EU:C:2015:200, punto 27).
94 Dall’altro lato, secondo una giurisprudenza costante, la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è data dalla circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in cambio delle quali percepisca una retribuzione (sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a., C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
95 Anzitutto, per quanto riguarda le prestazioni svolte dalla ricorrente nel procedimento principale in qualità di giudice di pace, dall’ordinanza di rinvio risulta che esse sono reali ed effettive e che, inoltre, essa le svolge in via principale. In particolare, per un certo periodo di tempo, nella fattispecie nel periodo tra il 1º luglio 2017 e il 30 giugno 2018, essa, da un lato, ha emesso 478 sentenze nonché 1 326 ordinanze in qualità di giudice penale e, dall’altro, ha tenuto due udienze alla settimana. Tali prestazioni non appaiono puramente marginali e accessorie.
96 In tale contesto, occorre ricordare, per quanto riguarda la natura del rapporto giuridico di cui trattasi nel procedimento principale, nell’ambito del quale la ricorrente nel procedimento principale svolge le sue funzioni, che la Corte ha già dichiarato che la natura giuridica sui generis di un rapporto di lavoro riguardo al diritto nazionale non può avere alcuna conseguenza sulla qualità di «lavoratore» ai sensi del diritto dell’Unione (sentenza del 26 marzo 2015, Fenoll, C‑316/13, EU:C:2015:200, punto 31).
97 Inoltre, per quanto riguarda la retribuzione, occorre esaminare se le somme percepite dalla ricorrente nel procedimento principale vengano versate come corrispettivo della sua attività professionale.
98 A tale riguardo, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che i giudici di pace percepiscono indennità connesse alle prestazioni da essi effettuate, di importo pari a EUR 35 o EUR 55, soggette alla medesima tassazione della retribuzione di un lavoratore ordinario. In particolare, essi beneficiano di dette indennità per ciascuna udienza civile o penale, anche se non dibattimentale, e per l’attività di apposizione dei sigilli, nonché per ogni altro processo assegnato e comunque definito o cancellato dal ruolo. Inoltre, tali giudici percepiscono indennità per ciascun mese di effettivo servizio a titolo di spese per l’attività di formazione, aggiornamento e per l’espletamento dei servizi generali di istituto.
99 Sebbene dall’ordinanza di rinvio risulti che le funzioni del giudice di pace sono «onorarie» e che talune delle somme versate lo sono a titolo di rimborso delle spese, resta il fatto che il volume di lavoro svolto dalla ricorrente nel procedimento principale e, di conseguenza, le somme percepite da
quest’ultima per tale lavoro sono considerevoli. Da tale ordinanza risulta infatti che, nel periodo compreso tra il 1º luglio 2017 e il 30 giugno 2018, la ricorrente nel procedimento principale ha definito circa 1 800 procedimenti.
100 Pertanto, la sola circostanza che le funzioni del giudice di pace siano qualificate come «onorarie» dalla normativa nazionale non significa che le prestazioni finanziarie percepite da un giudice di pace debbano essere considerate prive di carattere remunerativo.
101 Peraltro, anche se è certo che la retribuzione delle prestazioni svolte costituisce un elemento fondamentale del rapporto di lavoro, resta comunque il fatto che né il livello limitato di tale retribuzione né l’origine delle risorse per quest’ultima possono avere alcuna conseguenza sulla qualità di «lavoratore» ai sensi del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 30 marzo 2006, Xxxxxxx e Cikotic, C‑10/05, EU:C:2006:220, punto 22, nonché del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze, C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344, punto 27).
102 In tali circostanze, spetta al giudice nazionale, in sede di valutazione dei fatti, per la quale è il solo competente, verificare, in ultima analisi, se gli importi percepiti dalla ricorrente nel procedimento principale, nell’ambito della sua attività professionale di giudice di pace, presentino un carattere remunerativo idoneo a procurare a quest’ultima un beneficio materiale e garantiscano il suo sostentamento.
103 Infine, un rapporto di lavoro presuppone l’esistenza di un vincolo di subordinazione tra il lavoratore e il suo datore di lavoro. L’esistenza di un siffatto vincolo dev’essere valutata caso per caso in considerazione di tutti gli elementi e di tutte le circostanze che caratterizzano i rapporti tra le parti (sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a., C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).
104 È certamente insito nella funzione dei giudici il fatto che questi ultimi debbano essere tutelati dagli interventi o dalle pressioni esterne suscettibili di compromettere la loro indipendenza nell’esercizio delle loro attività giurisdizionali e della funzione giudicante.
105 Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 83 delle sue conclusioni, tale requisito non impedisce di qualificare i giudici di pace come «lavoratori».
106 A tale riguardo, dalla giurisprudenza risulta che la circostanza che i giudici siano soggetti a condizioni di servizio e possano essere considerati lavoratori non pregiudica minimamente il principio di indipendenza del potere giudiziario e la facoltà degli Stati membri di prevedere l’esistenza di uno statuto particolare che disciplini l’ordine della magistratura (v., in tal senso, sentenza del 1° marzo 2012, X’Xxxxx, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 47).
107 In tale contesto, sebbene la circostanza che, nel caso di specie, i giudici di pace siano sottoposti al potere disciplinare esercitato dal Consiglio superiore della magistratura (in prosieguo: il «CSM») non sia di per sé sufficiente a farli considerare vincolati ad un datore di lavoro in base ad un rapporto giuridico di subordinazione (v., in tal senso, sentenza del 26 marzo 1987, Commissione/Paesi Bassi, 235/85, EU:C:1987:161, punto 14), occorre tuttavia tener conto di tale circostanza nel contesto di tutti fatti del procedimento principale.
108 Si devono quindi prendere in considerazione le modalità di organizzazione del lavoro dei giudici di pace.
109 A tale riguardo, dall’ordinanza di rinvio risulta che, sebbene possano organizzare il loro lavoro in modo più flessibile rispetto a chi esercita altre professioni, i giudici di pace sono tenuti a rispettare tabelle che indicano la composizione del loro ufficio di appartenenza, le quali disciplinano nel dettaglio e in modo vincolante l’organizzazione del loro lavoro, compresi l’assegnazione dei fascicoli, le date e gli orari di udienza.
110 Dalla decisione di rinvio risulta altresì che i giudici di pace sono tenuti ad osservare gli ordini di servizio del Capo dell’Ufficio. Tali giudici sono inoltre tenuti all’osservanza dei provvedimenti organizzativi speciali e generali del CSM.
111 Il giudice del rinvio aggiunge che detti giudici devono essere costantemente reperibili e sono soggetti, sotto il profilo disciplinare, ad obblighi analoghi a quelli dei magistrati professionali.
112 In tali circostanze, risulta che i giudici di pace svolgono le loro funzioni nell’ambito di un rapporto giuridico di subordinazione sul piano amministrativo, che non incide sulla loro indipendenza nella funzione giudicante, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
113 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima parte della seconda questione dichiarando che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta devono essere interpretati nel senso che un giudice di pace che, nell’ambito delle sue funzioni, effettua prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, può rientrare nella nozione di
«lavoratore», ai sensi di tali disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
– Sulla nozione di «lavoratore a tempo determinato» ai sensi dell’accordo quadro
114 Con la seconda parte della seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che un giudice di pace, nominato per un periodo limitato, che svolge le sue funzioni in via principale e che percepisce indennità connesse alle prestazioni effettuate, nonché indennità per ogni mese di servizio effettivo, rientri nella nozione di
«lavoratore a tempo determinato» ai sensi di tale disposizione.
115 A tale riguardo, dalla formulazione di detta disposizione risulta che l’ambito di applicazione di quest’ultima è inteso in senso ampio, poiché ricomprende, in via generale, i «lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro». Inoltre, la definizione della nozione di «lavoratori a tempo determinato» ai sensi della clausola 3, punto 1, dell’accordo quadro, include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro e a prescindere dalla qualificazione del loro contratto in diritto interno (sentenza del 19 marzo 2020, Xxxxxxx Xxxx e a., C‑103/18 e C‑429/18, EU:C:2020:219, punto 108).
116 Pertanto, l’accordo quadro si applica all’insieme dei lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li lega al loro datore di lavoro, purché questi siano vincolati da un contratto o da un rapporto di lavoro ai sensi del diritto nazionale, e fatta salva soltanto la discrezionalità conferita agli Stati membri dalla clausola 2, punto 2, dell’accordo quadro per quanto attiene all’applicazione di quest’ultimo a talune categorie di contratti o di rapporti di lavoro nonché l’esclusione, conformemente al quarto comma del preambolo dell’accordo quadro, dei lavoratori interinali (sentenza del 19 marzo 2020, Xxxxxxx Xxxx e a., C‑103/18 e C‑429/18, EU:C:2020:219, punto 109).
117 Sebbene, come risulta dal considerando 17 della direttiva 1999/70 e dalla clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro, tale direttiva lasci agli Stati membri il compito di definire i termini «contratto di assunzione» o «rapporto di lavoro», impiegati in tale clausola, secondo la legislazione e/o la prassi nazionale, ciò non toglie che il potere discrezionale conferito agli Stati membri per definire tali nozioni non sia illimitato. Infatti, siffatti termini possono essere definiti in conformità con il diritto e/o le prassi nazionali a condizione di rispettare l’effetto utile di tale direttiva e i principi generali del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 1° marzo 2012, X’Xxxxx, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 34).
118 In tale contesto, la mera circostanza che un’attività professionale, il cui esercizio procura un beneficio materiale, sia qualificata come «onoraria» in base al diritto nazionale è priva di rilevanza, ai fini dell’applicabilità dell’accordo quadro, pena il mettere seriamente in questione l’effetto utile della direttiva 1999/70 e quello dell’accordo quadro, nonché la loro applicazione uniforme negli Stati membri, riservando a questi ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti (v., in tal senso, sentenze del 13 settembre 2007, Xxx Xxxxx Xxxxxx, C‑307/05, EU:C:2007:509, punto 29, e del 1º marzo 2012, X’Xxxxx, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 36).
119 Come ricordato al punto 116 della presente sentenza, la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro trovano applicazione nei confronti di tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li vincola al loro datore di lavoro.
120 Ebbene, come emerge in particolare dai punti 95, 98 e 99 della presente sentenza, nonché dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, risulta che un giudice di pace come la ricorrente nel procedimento principale effettua a tale titolo prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e che comportano, come corrispettivo, indennità per ciascuna prestazione e indennità mensili, di cui non può dirsi che non abbiano carattere remunerativo.
121 Peraltro, la Corte ha dichiarato che l’accordo quadro non esclude alcun settore particolare e che le prescrizioni enunciate in tale accordo sono applicabili ai contratti e ai rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico (ordinanza del 19 marzo 2019, CCOO, C‑293/18, non pubblicata, EU:C:2019:224, punto 30).
122 A tale riguardo, occorre rilevare che la circostanza che, nel caso di specie, i giudici di pace siano titolari di una carica giudiziaria non è sufficiente, di per sé, a sottrarre questi ultimi dal beneficio dei diritti previsti da detto accordo quadro (v., in tal senso, sentenza del 1° marzo 2012, X’Xxxxx, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 41).
123 Infatti, dalla necessità di tutelare l’effetto utile del principio di parità di trattamento sancito da detto accordo quadro emerge che tale esclusione, pena l’essere considerata arbitraria, può essere ammessa solo qualora la natura del rapporto di lavoro di cui trattasi sia sostanzialmente diversa da quella che lega ai loro datori di lavoro i dipendenti che, secondo il diritto nazionale, rientrano nella categoria dei lavoratori (v., per analogia, sentenza del 1° marzo 2012, X’Xxxxx, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 42).
124 Xxxxxx, spetta al giudice del rinvio esaminare, in ultima analisi, in qual misura il rapporto che lega i giudici di pace al Ministero della Giustizia sia, di per sé, sostanzialmente differente dal rapporto di lavoro esistente tra un datore di lavoro ed un lavoratore. La Corte può tuttavia fornire al giudice del rinvio taluni principi e criteri di cui quest’ultimo dovrà tener conto nell’ambito del suo esame (v., per analogia, sentenza del 1° marzo 2012, X’Xxxxx, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 43).
125 A tale riguardo, nel valutare se la natura di detto rapporto di lavoro differisca sostanzialmente da quella del rapporto che lega ai rispettivi datori di lavoro i dipendenti che, secondo il diritto nazionale, rientrano nella categoria dei lavoratori, il giudice del rinvio dovrà prendere in considerazione, conformemente alla ratio e alla finalità dell’accordo quadro, la distinzione tra questa categoria e quella delle professioni autonome (v., per analogia, sentenza del 1° marzo 2012, X’Xxxxx, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 44).
126 In tale prospettiva, occorre tener conto delle modalità di designazione e di revoca dei giudici di pace, ma anche di quelle di organizzazione del loro lavoro (v., per analogia, sentenza del 1° marzo 2012, X’Xxxxx, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 45).
127 Per quanto riguarda la designazione dei giudici di pace, l’articolo 4 della legge n. 374/1991 prevede che tali giudici siano nominati con decreto del presidente della Repubblica italiana, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura su proposta formulata dal consiglio giudiziario territorialmente competente, integrato da cinque rappresentanti designati, d’intesa tra loro, dai consigli dell’ordine degli avvocati e procuratori del distretto di corte d’appello.
128 Ebbene, non è determinante, in proposito, il fatto che tali rapporti di lavoro siano stati costituiti mediante decreti presidenziali a causa della natura pubblica del datore di lavoro (v., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2020, Xxxxxxx Xxxx e a., C‑103/18 e C‑429/18, EU:C:2020:219, punto 115).
129 Per quanto riguarda la revoca dei giudici di pace, dagli elementi del fascicolo risulta che i casi di revoca dal loro incarico e i relativi procedimenti specifici sono stabiliti a livello nazionale da disposizioni legislative espresse. A tale riguardo, spetta al giudice del rinvio verificare se le modalità di revoca dei giudici di pace stabilite a livello nazionale rendano il rapporto che lega i giudici di pace al
Ministero della Giustizia sostanzialmente differente dal rapporto di lavoro esistente tra un datore di lavoro ed un lavoratore.
130 Quanto alle modalità di organizzazione del lavoro dei giudici di pace e, più in particolare, alla questione se tali giudici svolgano le loro funzioni nell’ambito di un rapporto giuridico di subordinazione, come risulta dai punti da 107 a 112 della presente sentenza, sebbene appaia che detti giudici svolgono le loro funzioni nell’ambito di un siffatto rapporto giuridico, spetta al giudice del rinvio verificare tale aspetto.
131 Per quanto riguarda la questione se il rapporto che lega i giudici di pace al Ministero della Giustizia abbia una durata determinata, dalla formulazione della clausola 3, punto 1, dell’accordo quadro risulta che un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato è caratterizzato dal fatto che il termine di detto contratto o di detto rapporto di lavoro «è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico» (ordinanza del 19 marzo 2019, CCOO, C‑293/18, non pubblicata, EU:C:2019:224, punto 31).
132 Nel procedimento principale, dal fascicolo a disposizione della Corte risulta che il mandato dei giudici di pace è limitato a un periodo di quattro anni, rinnovabile.
133 Risulta pertanto che, nel caso di specie, il rapporto che lega i giudici di pace al Ministero della Giustizia ha durata determinata.
134 Alla luce di tutti questi elementi, occorre rispondere alla seconda parte della seconda questione dichiarando che la clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che la nozione di «lavoratore a tempo determinato», contenuta in tale disposizione, può includere un giudice di pace, nominato per un periodo limitato, il quale, nell’ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
– Sul principio di non discriminazione ai sensi dell’accordo quadro
135 Con la terza parte della seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni, come quello previsto per i magistrati ordinari, nell’ipotesi in cui tale giudice di pace rientri nella nozione di «lavoratore a tempo determinato», ai sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro.
136 A tale riguardo, occorre ricordare che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro vieta che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato siano trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di svolgere un’attività in forza di un contratto a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
137 La Corte ha dichiarato che tale disposizione mira a dare applicazione al principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di lavoro di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti che sono riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato (sentenza del 22 gennaio 2020, Xxxxxxxxx Xxxxxx, C‑177/18, EU:C:2020:26, punto 35).
138 Alla luce degli obiettivi perseguiti dall’accordo quadro, la clausola 4 di quest’ultimo deve essere intesa nel senso che esprime un principio di diritto sociale dell’Unione che non può essere interpretato in modo restrittivo (sentenza del 5 giugno 0000, Xxxxxxx Xxxxxx, X‑677/16, EU:C:2018:393, punto 41).
139 Nel caso di specie, occorre rilevare, in primo luogo, che la disparità di trattamento evocata dalla ricorrente nel procedimento principale risiede nel fatto che i magistrati ordinari hanno diritto a 30 giorni di ferie annuali retribuite, mentre i giudici di pace non dispongono di un siffatto diritto.
140 In secondo luogo, occorre considerare che i diritti alle ferie annuali retribuite riconosciuti ai lavoratori rientrano incontestabilmente nella nozione di «condizioni di impiego», ai sensi della clausola 4, punto
1, dell’accordo quadro.
141 In terzo luogo, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, il principio di non discriminazione, di cui la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro costituisce un’espressione specifica, richiede che situazioni comparabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza del 5 giugno 0000, Xxxxxxx Xxxxxx, X‑677/16, EU:C:2018:393, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).
142 Al riguardo, il principio di non discriminazione è stato attuato e concretizzato dall’accordo quadro soltanto per quanto attiene alle differenze di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile (sentenza del 5 giugno 0000, Xxxxxxx Xxxxxx, X‑677/16, EU:C:2018:393, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).
143 Secondo una giurisprudenza costante, al fine di valutare se le persone interessate esercitino un lavoro identico o simile nel senso dell’accordo quadro, occorre stabilire, in conformità alle clausole 3, punto 2, e 4, punto 1, di quest’ultimo, se, tenuto conto di un insieme di fattori, come la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, si possa ritenere che tali persone si trovino in una situazione comparabile (sentenza del 5 giugno 0000, Xxxxxxx Xxxxxx, X‑677/16, EU:C:2018:393, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
144 A tale riguardo, se è dimostrato che, nell’ambito del loro impiego, i lavoratori a tempo determinato esercitavano le medesime mansioni dei lavoratori impiegati dallo stesso datore di lavoro a tempo indeterminato oppure occupavano il loro stesso posto, occorre, in linea di principio, considerare le situazioni di queste due categorie di lavoratori come comparabili (sentenza del 22 gennaio 2020, Baldonedo Xxxxxx, C‑177/18, EU:C:2020:26, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
145 Nel caso di specie, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che la ricorrente nel procedimento principale, in quanto giudice di pace, potrebbe essere considerata comparabile a un giudice togato (magistrato ordinario) che ha superato la terza valutazione di idoneità professionale e ha maturato un’anzianità di servizio di almeno quattordici anni, poiché essa ha svolto un’attività giurisdizionale equivalente a quella di un siffatto magistrato ordinario, con le medesime responsabilità sul piano amministrativo, disciplinare e fiscale, ed è stata continuativamente inserita nell’organico degli uffici presso i quali ha lavorato, percependo le prestazioni finanziarie di cui all’articolo 11 della legge n. 374/1991.
146 Più in particolare, dal fascicolo risulta che, al pari di un magistrato ordinario, il giudice di pace è, in primo luogo, un giudice che appartiene all’ordine giudiziario italiano e che esercita la giurisdizione in materia civile e penale, nonché una funzione conciliativa in materia civile. In secondo luogo, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, della legge n. 374/1991, il giudice di pace è tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari. In terzo luogo, il giudice di pace, al pari di un magistrato ordinario, è tenuto a rispettare tabelle indicanti la composizione dell’ufficio di appartenenza, le quali disciplinano dettagliatamente ed in modo vincolante l’organizzazione del suo lavoro, compresi l’assegnazione dei fascicoli, le date e gli orari di udienza. In quarto luogo, sia il magistrato ordinario che il giudice di pace sono tenuti ad osservare gli ordini di servizio del Capo dell’Ufficio, nonché i provvedimenti organizzativi speciali e generali del CSM. In quinto luogo, il giudice di pace è tenuto, al pari di un magistrato ordinario, ad essere costantemente reperibile. In sesto luogo, in caso di inosservanza dei suoi doveri deontologici e d’ufficio, il giudice di pace è sottoposto, al pari di un magistrato ordinario, al potere disciplinare del CSM. In settimo luogo, il giudice di pace è sottoposto agli stessi rigorosi criteri applicabili per le valutazioni di professionalità del magistrato ordinario. In ottavo luogo, al giudice di pace vengono applicate le stesse norme in materia di responsabilità civile ed erariale previste dalla legge per il magistrato ordinario.
147 Tuttavia, per quanto riguarda le funzioni di giudice di pace, dagli elementi del fascicolo risulta che le controversie riservate alla magistratura onoraria, e in particolare ai giudici di pace, non hanno gli aspetti di complessità che caratterizzano le controversie devolute ai magistrati ordinari. I giudici di pace tratterebbero principalmente cause di minore importanza, mentre i magistrati ordinari che svolgono la loro attività in organi giurisdizionali di grado superiore tratterebbero cause di maggiore
importanza e complessità. Inoltre, ai sensi dell’articolo 106, secondo comma, della Costituzione italiana, i giudici di pace possono svolgere soltanto le funzioni attribuite a giudici singoli e non possono quindi far parte di organi collegiali.
148 In tali circostanze, spetta al giudice del rinvio, che è il solo competente a valutare i fatti, determinare, in ultima analisi, se un giudice di pace come la ricorrente nel procedimento principale si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario che, nel corso del medesimo periodo, abbia superato la terza valutazione di idoneità professionale e maturato un’anzianità di servizio di almeno quattordici anni (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 0000, Xxxxxxx Xxxxxx, X‑677/16, EU:C:2018:393, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).
149 Xxx sia accertato che un giudice di pace come la ricorrente nel procedimento principale e i magistrati ordinari sono comparabili, si deve poi ancora verificare se esista una ragione oggettiva che giustifichi una differenza di trattamento come quella di cui trattasi nel procedimento principale.
150 A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro dev’essere intesa nel senso che essa non consente di giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato con il fatto che tale differenza è prevista da una norma generale o astratta, quale una legge o un contratto collettivo (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 0000, Xxxxxxx Xxxxxx, X‑677/16, EU:C:2018:393, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).
151 Detta nozione richiede, secondo una giurisprudenza parimenti costante, che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Tali elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 0000, Xxxxxxx Xxxxxx, X‑677/16, EU:C:2018:393, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).
152 Il richiamo alla mera natura temporanea dell’impiego non è conforme a tali requisiti e non può dunque configurare una «ragione oggettiva» ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro. Infatti, ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro sia sufficiente a giustificare una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato svuoterebbe di ogni sostanza gli obiettivi della direttiva 1999/70 nonché dell’accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato (sentenza del 20 settembre 2018, Xxxxxx, C‑466/17, EU:C:2018:758, punto 38).
153 Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia prestato detti periodi di servizio in base a un contratto o a un rapporto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2018, Xxxxxx, C‑466/17, EU:C:2018:758, punto 39).
154 Nel caso di specie, per giustificare la differenza di trattamento dedotta nel procedimento principale, il governo italiano sostiene che costituisca una ragione oggettiva l’esistenza di un concorso iniziale, specificamente concepito per i magistrati ordinari ai fini dell’accesso alla magistratura, che invece non vale per la nomina dei giudici di pace. Tale governo ritiene infatti che la competenza dei giudici di pace sia diversa da quella dei magistrati ordinari assunti mediante concorso. Contrariamente a questi ultimi, per quanto riguarda la particolare natura delle mansioni e le caratteristiche ad esse inerenti, ai giudici di pace verrebbero affidate controversie il cui livello di complessità ed il cui volume non corrispondono a quelli delle cause dei magistrati ordinari.
155 Tenuto conto di tali differenze, sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello qualitativo, il governo italiano ritiene giustificato trattare in modo diverso i giudici di pace e i magistrati ordinari.
156 A tale riguardo, si deve considerare che, tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri per quanto riguarda l’organizzazione delle loro amministrazioni pubbliche, essi
possono, in linea di principio, senza violare la direttiva 1999/70 o l’accordo quadro, stabilire le condizioni di accesso alla magistratura, nonché condizioni di impiego applicabili sia ai magistrati ordinari che ai giudici di pace (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2018, Xxxxxx, C‑466/17, EU:C:2018:758, punto 43).
157 Tuttavia, nonostante tale margine di discrezionalità, l’applicazione dei criteri che gli Stati membri stabiliscono deve essere effettuata in modo trasparente e deve poter essere controllata al fine di impedire qualsiasi trattamento sfavorevole dei lavoratori a tempo determinato sulla sola base della durata dei contratti o dei rapporti di lavoro che giustificano la loro anzianità e la loro esperienza professionale (sentenza del 20 settembre 2018, Xxxxxx, C‑466/17, EU:C:2018:758, punto 44).
158 Qualora un simile trattamento differenziato derivi dalla necessità di tener conto di esigenze oggettive attinenti all’impiego che deve essere ricoperto mediante la procedura di assunzione e che sono estranee alla durata determinata del rapporto di lavoro che intercorre tra il lavoratore e il suo datore di lavoro, detto trattamento può essere giustificato, ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro (sentenza del 20 settembre 2018, Xxxxxx, C‑466/17, EU:C:2018:758, punto 45).
159 A tale riguardo, occorre considerare che talune disparità di trattamento tra lavoratori a tempo indeterminato assunti al termine di un concorso e lavoratori a tempo determinato assunti all’esito di una procedura diversa da quella prevista per i lavoratori a tempo indeterminato possono, in linea di principio, essere giustificate dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui devono assumere la responsabilità (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2018, Xxxxxx, C‑466/17, EU:C:2018:758, punto 46).
160 Pertanto, gli obiettivi invocati dal governo italiano consistenti nel mettere in luce le differenze nell’attività lavorativa tra un giudice di pace e un magistrato ordinario possono essere considerati come configuranti una «ragione oggettiva», ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro, nei limiti in cui essi rispondano a una reale necessità, siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2018, Xxxxxx, C‑466/17, EU:C:2018:758, punto 47).
161 In tali circostanze, sebbene le differenze tra le procedure di assunzione dei giudici di pace e dei magistrati ordinari non impongano necessariamente di privare i giudici di pace di ferie annuali retribuite corrispondenti a quelle previste per i magistrati ordinari, resta comunque il fatto che tali differenze e, segnatamente, la particolare importanza attribuita dall’ordinamento giuridico nazionale e, più specificamente, dall’articolo 106, paragrafo 1, della Costituzione italiana, ai concorsi appositamente concepiti per l’assunzione dei magistrati ordinari, sembrano indicare una particolare natura delle mansioni di cui questi ultimi devono assumere la responsabilità e un diverso livello delle qualifiche richieste ai fini dell’assolvimento di tali mansioni. In ogni caso, spetta al giudice del rinvio valutare, a tal fine, gli elementi qualitativi e quantitativi disponibili riguardanti le funzioni svolte dai giudici di pace e dai magistrati professionali, i vincoli di orario e le sanzioni cui sono soggetti nonché, in generale, l’insieme delle circostanze e dei fatti pertinenti.
162 Fatte salve le verifiche che rientrano nella competenza esclusiva di tale giudice, emerge che gli obiettivi invocati dal governo italiano nel caso di specie, vale a dire rispecchiare le differenze nell’attività lavorativa tra i giudici di pace e i magistrati professionali, potrebbero essere idonei a rispondere ad una reale necessità e che le differenze di trattamento esistenti tra tali due categorie, anche in materia di ferie annuali retribuite, potrebbero essere considerate proporzionate agli obiettivi da esse perseguiti.
163 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza parte della seconda questione dichiarando che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni, come quello previsto per i magistrati ordinari, nell’ipotesi in cui tale giudice di pace rientri nella nozione di «lavoratore a tempo determinato», ai sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro, e in cui si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e
dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Sulle spese
164 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
1) L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che il Giudice di pace (Italia) rientra nella nozione di «giurisdizione di uno degli Stati membri», ai sensi di tale articolo.
2) L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che un giudice di pace che, nell’ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, può rientrare nella nozione di «lavoratore», ai sensi di tali disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
La clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che la nozione di «lavoratore a tempo determinato», contenuta in tale disposizione, può includere un giudice di pace, nominato per un periodo limitato, il quale, nell’ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato della direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni, come quello previsto per i magistrati ordinari, nell’ipotesi in cui tale giudice di pace rientri nella nozione di «lavoratore a tempo determinato», ai sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro, e in cui si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Firme
* Lingua processuale: l’italiano.