Rappresentatività e contrattazione tra l’accordo unitario di giugno e le discutibili ingerenze del legislatore*
Rappresentatività e contrattazione tra l’accordo unitario di giugno e le discutibili ingerenze del legislatore*
Xxxxxx Xxxxxxxxx
1. Le regole poste dalle parti sociali e la forzatura della manovra d’agosto. 42
2. Le soluzioni dell’accordo di giugno: la contrattazione nazionale. 44
3. Il contratto aziendale con efficacia generale, nell’accordo di giugno e nella “xxxxx Xxxxxxx”. 49
4. La contrattazione aziendale “in deroga”: dalle regole dell’accordo alla scure della legge. 52
* Originariamente pubblicato come WP C.S.D.L.E. "Xxxxxxx X'Xxxxxx”.IT – 127/2011
1. Le regole poste dalle parti sociali e la forzatura della manovra d’agosto.
Mentre queste note sull’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 venivano completate, il Parlamento convertiva in legge il decreto n. 138/201178 il cui art. 8 interviene pesantemente sui temi oggetto dell’intesa raggiunta nel settore industriale. La discussa disposizione approvata con la manovra d’agosto si pone in dichiarato rapporto con lo stesso accordo di giugno, il quale viene addirittura richiamato nel primo e nel terzo comma della norma79.
Mi sembra dunque impossibile discutere dell’intesa d’inizio estate senza tenere conto di questo successivo evento e del complesso rapporto – sia politico sia giuridico – tra le due fonti: non senza avvertire, come è ovvio, che le considerazioni qui svolte devono considerarsi, anche per il grande impegno dei temi investiti da entrambi gli atti, frutto di una prima e del tutto provvisoria rifles- sione.
Ciò premesso, la prima questione che mi pare rilevante investe proprio il rapporto tra i due atti di disciplina dei temi della contrattazione collettiva e della rappresentanza (o rappresentatività).
Come è noto l’intesa tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil – maturata un po’ a sorpresa dopo un pe- riodo di acceso conflitto intersindacale, caratterizzato da episodi di accelerazione della separa- zione80 bilanciati altrove da sforzi di governo unitario dei processi negoziali81 – imposta soluzioni condivise (pur da completare e sviluppare, anche su aspetti attuativi non semplici) di temi di grande rilevanza per le relazioni industriali: la misura della rappresentatività ai fini della legittima- zione alla contrattazione a livello nazionale82; il rapporto tra contratto nazionale e contrattazione aziendale (anche nella forma della c.d. contrattazione in deroga); la legittimazione a stipulare contratti aziendali e le condizioni alle quali tali accordi hanno vincolatività generale; la questione della c.d. “esigibilità” dei contratti aziendali e delle clausole di tregua83.
Come si è sottolineato, la firma dell’accordo avvenuta in piena autonomia e senza mediazione ministeriale (presente invece nei precedenti su analoga materia) rappresenta “un segnale impor- tante, per riaffermare orgogliosamente l’autonomia rispetto alla politica, sospettata talvolta di voler dividere anziché unire”84. Riprendendo una classica prospettiva d’analisi, può ritenersi che l’accordo rappresenti una piena espressione del potere normativo dei soggetti dell’ordinamento
78 Legge 14 settembre 2011, n. 148, pubblicata sulla G.U. n. 216 del 16.9.2011 (e in vigore dal giorno successivo).
79 Evento che mi pare inedito, nella pur sempre più incontrollata tecnica legislativa.
80 Il riferimento è in primo luogo ai casi di disaccordo e contrattazione separata a livello nazionale confederale, a partire dall’accordo sulla modifica delle regole della stessa contrattazione nel gennaio 2009, e i successivi accordi interconfederali nei vari settori (indu- striali e non); alle vicende della contrattazione separata a livello nazionale nei settori metalmeccanico (rinnovi del 2003 e del 2009) – che di recente hanno prodotto un contenzioso giudiziario piuttosto vivace, e ancora in fase di sviluppo – e del commercio (i rinnovi del 2008 – che poi ha visto il rientro della spaccatura – e quello recentissimo del febbraio 2011); ai tanti casi di dissenso tra le diverse organizzazioni sindacali nell’ambito della contrattazione aziendale, che nel corso del 2010 hanno attratto un interesse crescente con la vicenda degli accordi di stabilimento nell’ambito del Gruppo Fiat.
81 Il riferimento è ai tanti settori nei quali, pur dopo l’accordo separato sulla contrattazione del gennaio 2009, sono stati stipulati
accordi unitari di rinnovo dei ccnl, spesso con soluzioni originali e di mediazione tra i diversi modelli di contrattazione: per un’analisi approfondita di tali sviluppi, se pure già da aggiornare con la più recente cronaca, v. I. Regalia, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, “Osservazioni sulle relazioni industriali nei casi di contrattazione separata”, in Riv. Giur. Lav., 2010, n. 1, p. 19.
82 Ma senza affrontare espressamente il tema della stipulazione del contratto nazionale e della soluzione di eventuali dissensi, solo in
parte affrontato nell’intesa tra Cgil, Cisl e Uil raggiunta lo stesso giorno parallelamente all’accordo con Confindustria (v. infra).
83 Quest’ultimo tema, che solleva autonomi e complessi problemi teorici, non viene affrontato per ragioni di spazio nel presente
commento, limitato ai profili riguardanti la rappresentanza/tività e la contrattazione collettiva.
84 X. Xxxxxxxx, “Regole certe su rappresentanze sindacali e contrattazione collettiva con l’Accordo interconfederale 28 giugno 2011”,
in Lav. Giur., 2011, n. 7, p. 653.
intersindacale, la cui logica prescinde dalla valutazione giuridica (nel senso del diritto positivo) di atti ed effetti della contrattazione.
È interessante ricordare, sotto questo profilo, come invece nel Protocollo sugli assetti contrattuali del luglio 1993 (caratterizzato come è noto dal fondamentale impulso del Governo dell’epoca) la posizione di regole condivise sulla contrattazione e sulle RSU era accompagnata dall’auspicio per “un intervento legislativo finalizzato, tra l'altro, ad una generalizzazione dell'efficacia soggettiva dei contratti collettivi aziendali che siano espressione della maggioranza dei lavoratori”; mentre il Governo, da parte sua, si era impegnato “ad emanare un apposito provvedimento legislativo in- teso a garantire l'efficacia "erga omnes" nei settori produttivi dove essa appaia necessaria al fine di normalizzare le condizioni concorrenziali delle aziende” (previsioni entrambe rimaste senza esito).
Nell’accordo di giugno l’affermazione della “efficacia generale” del contratto aziendale, stipulato ai sensi dei punti 4, 5 e 7, si muove dunque nella logica autonoma delle relazioni intersindacali, e ciò anche per l’ovvia considerazione che un accordo sindacale, per quanto importante, non può disporre degli effetti giuridici secondo l’ordinamento statuale: piano, quest’ultimo, che rimane indifferente all’operazione posta in essere la quale, per quanto poggiata su un equilibrio ancora molto precario, pare trarre la propria forza dal convincimento che la condivisione delle regole di misurazione della rappresentanza in azienda tra tutti i principali attori basti per garantire il risul- tato della vincolatività generale degli accordi.
Al Governo si chiede semmai (punto 8) di confermare e irrobustire le misure di sostegno esterno alla contrattazione aziendale, ovvero gli strumenti di incentivo mediante riduzione della tassa- zione e degli oneri sociali su quote di retribuzione negoziate a livello di impresa in rapporto ad obiettivi di produttività, redditività, ecc.
Come si dirà innanzi, lo studioso di diritto sindacale potrebbe interrogarsi sul fatto se le regole poste con l’accordo, una volta che fossero pienamente sviluppate e operanti, possano favorire il maturare in sede giudiziale di soluzioni coerenti anche sul piano dell’ordinamento statuale, favo- rendo lo sviluppo di nuovi orientamenti a sostegno dell’efficacia generale del contratto azien- dale85: in sostanza, per riprendere ancora la prospettiva giugniana dell’ordinamento intersinda- cale, se le regole poste in sede sindacale possano penetrare nell’ordinamento grazie al canale di collegamento dell’interpretazione giudiziale86.
Se quanto si è detto è vero, il sistema di regole poste con l’accordo di giugno avrebbe dovuto svolgere il suo percorso nella logica autonoma delle relazioni industriali: in primo luogo con la conferma dell’intesa stessa (e magari l’estensione ai settori produttivi non coperti), poi con la sua attuazione da parte dei contratti nazionali delle singole categorie. Nel corso di tale processo
85 Xxx complessi sviluppi della giurisprudenza in materia di efficacia del contratto aziendale v., di recente, X. Xxxxxxxx, “Rappresentanza e contrattazione collettiva nei luoghi di lavoro”, in Xxx. Xxxx. Xxx., 0000, x. 0, x. 00; X. Xxxxxxxx, “Il contratto collettivo aziendale: soggetti ed efficacia”, Relazione alla Giornate di Studio della Associazione di Diritto del Lavoro e della Previdenza Sociale, 24-25 giugno 2011, in xxxx://xxx.xxxxxxx.xxx/xxxxxxxx/xxxxxxxx.xxx. Per quanto per nulla uniformi, gli orientamenti in materia sembrano orientati a riconoscere un’efficacia tendenzialmente generale del contratto aziendale, col limite dell’inapplicabilità ai lavoratori iscritti al sinda- cato esplicitamente dissenziente: l’ipotesi che si può oggi formulare è quella di un possibile riconoscimento in sede giudiziale dell’ef- ficacia anche nei confronti dei dissenzienti, ove il dissenso si sia espresso e sia rimasto minoritario nella logica del sistema di regole posto dall’accordo di giugno.
86 Per un recentissimo esempio di tal genere, per quanto con argomentazione non sempre lineare e condivisibile, si veda la sentenza del Tribunale di Torino sul caso Pomigliano, est. Xxxxxxxxxx, n. 2583 del 14.9.2011 (in Bollettino Adapt, 19 settembre 2011, n. 30).
poteva considerarsi l’opportunità di un misurato intervento di supporto legislativo, diretto a ri- durre le incertezze di una materia tutta affidata alla giurisprudenza. In vista di un simile intervento
– e pur scontata l’ovvia autonomia di valutazione del legislatore – mi sarebbe parso del tutto ragionevole costruire un percorso di ampia condivisione con le stesse parti sociali, per salvaguar- dare e rafforzare il precario equilibrio unitario insperabilmente ritrovato (da ritenersi fondamen- tale anche ai fini del sostegno allo sviluppo economico, in una contingenza tanto difficile).
Il “blitz” legislativo rappresentato dall’art. 8 del decreto legge 138 si pone, con tutta evidenza, in una logica diversa e molto discutibile: non solo perché non richiesto (almeno ufficialmente) dalle parti sociali; non solo per l’evidente scorrettezza dell’inserimento in un decreto-legge di una di- sciplina tanto importante e pesante, così sottratta ad un minimo dibattito preventivo tra opera- tori e studiosi; ma soprattutto – e nonostante il formale omaggio della disposizione all’accordo di giugno – per l’adozione di soluzioni che su punti fondamentali contraddicono le indicazioni dell’in- tesa sindacale (v. infra) e caricano il contratto aziendale di funzioni talmente dirompenti (segna- tamente con la libera derogabilità alla legge, per intere materie) da alterare del tutto il contesto nel quale si collocavano le soluzioni, tutto sommato prudenti, studiate in sede sindacale per svi- luppare una contrattazione decentrata meno soggetta a tensioni.
Per non parlare, poi, di quel terzo comma dell’art. 8 che, per l’intento di procurare un risultato d’occasione nelle vicende giudiziarie relative agli accordi Fiat, pone regole (non solo inaccettabili per la loro retroattività, ma) del tutto distoniche rispetto ai più articolati equilibri della soluzione concordata in sede sindacale, oltre che improvvisate e gravide di problemi.
Il giudizio sull’operazione legislativa non può dunque che essere nettamente negativo, per ragioni tecniche e politiche. L’art. 8 del d.l. 138 rappresenta un vero e proprio intervento a gamba tesa nel sistema di relazioni sindacali, il cui effetto immediato (e probabilmente voluto) potrebbe es- sere quello di vanificare lo sforzo di sintesi unitaria compiuto dai più importanti protagonisti della scena sociale. Su un piano più teorico, può ritenersi tanto un intervento tecnicamente errato e improvvido (anche per i vasti spazi di incertezza giuridica che apre), quanto una inopportuna in- gerenza della legge nel sistema di regole autonomamente poste dai soggetti sindacali (inoppor- tunità che, a mio parere, in qualche caso trasmuta in vera e propria illegittimità costituzionale) 87.
2. Le soluzioni dell’accordo di giugno: la contrattazione nazionale.
Il tema della misurazione della rappresentatività sindacale, insieme a quello collegato della veri- fica della rappresentanza e del consenso tra i lavoratori, è oggetto da decenni di incessante di- battito e molteplici proposte di riforma. All’orientamento sino ad oggi prevalente tra le parti so- ciali e in ambito politico, contrario all’intervento del legislatore nel settore privato (mentre nel settore pubblico, va ricordato, la questione è oggetto della regolazione legislativa fin dalle riforme degli anni ’90), faceva da contraddittoria sponda la perdurante incapacità di produrre in sede sindacale una soluzione autonoma del problema, solida e condivisa: l’effetto, inevitabile, era
87 Di segno diverso l’opinione dei sostenitori della norma, tra cui soprattutto X. Xxxxxxxxxx, “Difesa accorata e ragionata della riforma liberista del lavoro”, in Bollettino Adapt, 12 settembre 2011, n. 29, secondo il quale “il decreto introduce una riforma equilibrata perché coerente con la nostra tradizione di relazioni industriali e con l’intesa del 28 giugno”: si tratta tuttavia di affermazione tutta politica (espressa infatti in un intervento di carattere giornalistico) che tuttavia non tiene all’analisi del merito.
quello di un acutizzarsi dei problemi di gestione e certezza delle regole sindacali, di efficacia giu- ridica degli accordi collettivi (a livello nazionale e soprattutto a livello aziendale), di gestione del conflitto e di stabilità dei prodotti della contrattazione collettiva, soprattutto a seguito del molti- plicarsi dei casi di dissenso e “separazione” in sede contrattuale88.
Il punto di maggior vicinanza ad una soluzione era stato forse raggiunto con l’accordo intersinda- cale tra le tre maggiori confederazioni sindacali del 2008: un’intesa sulle linee di riforma della contrattazione nell’ambito della quale era espresso l’indirizzo della fissazione per xxx xxxxxxxx xxxxx xxxxxx xxxxx xxxxxxxxxxxxxx, esprimendo l’ipotesi di affidare al Cnel un ruolo indipendente di cer- tificazione della rappresentatività, basata (come nel settore pubblico) sul mix tra rappresentati- vità associativa (numero di lavoratori iscritti, da rilevare tramite le deleghe conferite alle imprese) ed elettorale (consensi ottenuti nelle elezioni delle r.s.u.): una soluzione, cioè, di ragionevole compromesso tra la concezione dell’azione sindacale più attenta al dato della rappresentanza associativa (tipica soprattutto della cultura cislina) e quella più vicina alla rappresentanza gene- rale dei lavoratori, che vede le procedure elettorali affiancarsi alla delega associativa quali stru- menti di rilievo del consenso (espressa soprattutto dalla Cgil). Veniva poi prefigurato il percorso negoziale per la stipulazione degli accordi interconfederali e della contrattazione nazionale, fon- dato sul coinvolgimento degli organismi direttivi delle xx.xx. e sulla consultazione di tutti i lavora- tori.
Quell’intesa, peraltro ancora da sviluppare in molti aspetti, non ebbe poi seguito concreto.
Nell’accordo (separato) sulle regole della contrattazione collettiva del gennaio 2009 il tema della rappresentanza è stato oggetto di un solo cenno, prevedendosi un rinvio a successivi accordi per definire “nuove regole in materia di rappresentanza delle parti nella contrattazione collettiva va- lutando le diverse ipotesi che possono essere adottate con accordo, ivi compresa la certificazione all'lNPS dei dati di iscrizione sindacale”. Il cenno è rimasto poi lettera morta, ma non poteva sfug- gire, rispetto all’intesa del 2008, la citazione del solo dato della certificazione dei dati associativi a scapito di quelli elettorali.
Nel contesto descritto regnava la crescente incertezza sul quadro regolativo, acuito come si ac- cennava dal prodursi di prime vicende giudiziarie come quelle sul caso del CCNL 2009 dei metal- meccanici (nelle quali diversi Giudici del lavoro hanno ritenuto antisindacale la pretesa delle im- prese di applicare l’accordo separato di rinnovo anche ai lavoratori iscritti alla Fiom)89.
Per quel che attiene al piano extra-aziendale, l’accordo interconfederale per l’industria del 28 giugno ripropone la soluzione già condivisa dalla citata intesa del 2008, e sperimentata nel settore pubblico, della certificazione della rappresentatività delle xx.xx. sulla base del mix tra dati asso- ciativi (che dovrebbero essere rilevati dall’Inps) e dati del consenso elettorale nelle elezioni delle r.s.u., da rinnovare ogni tre anni (e raccolti dal CNEL).
La novità è che tale certificazione viene oggi espressamente finalizzata al funzionamento della contrattazione collettiva nazionale di categoria, poiché si afferma (anche qui riprendendo il mo- dello pubblico, disciplinato dal d.lgs. 165/2001) che “Per la legittimazione a negoziare è necessario
88 Per un’impostazione dei vari problemi sia permesso rinviare a X. Xxxxxxxxx, “Una riflessione a più voci sul diritto sindacale ai tempi
della contrattazione separata”, in Riv. Giur. Lav., 2010, n. 1, p. 19.
89 In proposito v. le considerazioni di scenario proposte da X. Xxxxxxx, “Sistema sindacale “di fatto”, crisi dell’unità sindacale e rinnovi contrattuali separati: prime verifiche giudiziali”, in Arg. Dir. Lav., 2011, n. 3, p. 484.
che il dato di rappresentatività così realizzato per ciascuna organizzazione sindacale superi il 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro”. Null’altro si aggiunge, se non che “il contratto collettivo nazionale di lavoro ha la funzione di ga- rantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale”.
Il dato dell’accordo resta dunque lacunoso e forse ambiguo, e di incerta attuazione: il coinvolgi- mento dell’Inps e del Cnel presuppone ovviamente l’adesione di tali istituzioni (se non proprio delle modifiche legislative o regolamentari); la rilevazione dei dati associativi ed elettorali pone delicati problemi di verifica della sua correttezza, anche sotto il profilo dell’esatta individuazione dei confini della “categoria” di riferimento; la scarsa diffusione delle r.s.u., in alcuni settori, po- trebbe poi rendere meno affidabile il meccanismo di rilievo del consenso90.
Ciononostante, la previsione può essere letta come una novità assai rilevante.
Nel settore privato, infatti, la legittimazione quali soggetti contrattuali è sempre stata affidata al reciproco riconoscimento tra le stesse parti sociali, e dunque a un dato di effettività, ritenuto esso stesso indice della rappresentatività delle associazioni sindacali coinvolte (da entrambi i lati). Ora, importando l’esperienza del settore pubblico, si assiste almeno sul piano teorico ad un rovescia- mento di prospettiva, poiché la legittimazione negoziale, almeno al fine della partecipazione alla contrattazione, dipende dal possesso di un dato oggettivo e misurato di rappresentatività 91 , esterno alla valutazione dei contraenti.
Una volta formalizzato il sistema di rilevazione dei dati di rappresentatività, ne discendono a mio
parere due effetti di una certa rilevanza, pur se non espressi apertamente dal testo dell’accordo.
Il primo è una sorta di sanzione indiretta del diritto a partecipare alla contrattazione anche per i sindacati diversi da quelli aderenti alla tre confederazioni firmatarie, ove gli stessi partecipino alle elezioni delle rsu e così raggiungano la soglia minima prevista: l’apertura a soggetti terzi operata nel 1993 (pur con prudenza) con l’istituzione delle r.s.u. nei luoghi di lavoro, si estende ora alla legittimazione negoziale in ambito extra-aziendale92: un effetto che può essere apprezzato, anche per il suo valore inclusivo, e che costituisce indubbia innovazione rispetto alla tradizionale esclu- siva del ruolo contrattuale auto-riservatasi dalle principali associazioni confederali nella gran parte delle categorie. D’ora innanzi sarà molto più difficile tenere fuori dalla stanza della
90 Qualche problema potrebbe sorgere, inoltre, nei settori ove si verifichi un caso di contrattazione nazionale separata, se e nella misura in cui il sindacato non firmatario del ccnl veda negarsi il diritto a raccogliere le adesioni tramite delega del lavoratore al datore di lavoro: problema tuttavia risolvibile riconoscendo la persistenza anche in tal caso di tale diritto (v. in tal senso X. Xxxxxxxxx, “Il lavo- ratore iscritto al sindacato non firmatario del contratto collettivo nazionale può ancora dare la delega al datore di lavoro per il versa- mento del contributo sindacale?”, in Note Informative, xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, aprile 2011, n. 51): diritto che ora può considerarsi implicitamente confermato proprio dall’accordo del 28 giugno, poiché non avrebbe senso rilevare i dati relativi alle deleghe dei soli sindacati firmatari del contratto collettivo.
91 Così anche X. Xxxxxxx, “L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace?”, in Arg. Dir. Lav., 2011, n. 3, p. 470.
92 A meno di sostenere che Cgil, Cisl e Uil abbiano inteso limitare la rilevazione dei dati al loro interno: pur essendo abbastanza evi- dente che le regole poste nell’accordo del 28 giugno abbiano quale principale fine la misurazione reciproca di rappresentatività delle stesse firmatarie e delle loro associazioni di categoria, per risolvere eventuali dissensi interni, non sembra quello il senso tecnico della clausola, e d’altronde parrebbe soluzione politicamente insostenibile non estendere la misurazione della rappresentatività ad altri soggetti che si candidino ad ottenerla.
contrattazione un sindacato alternativo, ove questo raggiunga la soglia minima di rappresentati- vità definita dall’accordo (o almeno sarà più difficile farlo politicamente, poiché sul piano giuridico difficilmente un soggetto terzo potrebbe invocare l’esigibilità delle regole poste dalle associazioni confederali).
La disciplina posta appare dunque dotata di capacità inclusiva di associazioni terze, purché queste decidano di aderire a un sistema di regole che è pur sempre varato da alcuni soltanto dei soggetti in campo (sia pure i più importanti). Sotto questo profilo, il successo delle nuove regole è certa- mente affidato alla capacità (o al recupero di capacità) di diffusione delle r.s.u. nei luoghi di lavoro, e alla partecipazione alle relative elezioni di tutte le xx.xx. presenti (con una minima consistenza rappresentativa) nella singola categoria93.
Il secondo effetto riguarda proprio la stipulazione del contratto nazionale, nell’ipotesi di dissensi tra le associazioni legittimate a negoziare; se è vero che nulla si dice sul punto, evitando di porre una regola espressa (che esiste, invece, nella disciplina della contrattazione in ambito pubblico) la formalizzazione e certificazione dei dati di rappresentatività rende davvero difficile a mio pa- rere evitare la conseguente adozione del principio maggioritario94.
Si consideri peraltro che nell’intesa in appendice all’accordo, stipulata tra le sole confederazioni dei lavoratori, si invitano le federazioni di categoria a definire procedure di negoziazione le quali “potranno prevedere momenti di verifica per l’approvazione degli accordi mediante il coinvolgi- mento delle lavoratrici e dei lavoratori in caso di rilevanti divergenze interne alle delegazioni trat- tanti”: sarà compito degli accordi endosindacali a livello di categoria stabilire che tipo di proce- dure, anche se il riferimento espresso alle lavoratrici e ai lavoratori fa ritenere che, almeno come direttrice di carattere politico, debba trattarsi di forme di consultazione della generalità degli in- teressati, e non solo degli iscritti alle xx.xx.
Se questo riferimento aggiunge un ulteriore e diverso terreno di valutazione – introducendo l’ipo- tesi, sia pure subordinata alle scelte delle singole categorie, della validazione delle ipotesi di ac- cordo mediante procedure di democrazia diretta – ne esce comunque rafforzata l’impronta mag- gioritaria delle nuove regole.
Ciò che si vuol dire è che, nel nuovo sistema, l’eventuale accordo “separato” che fosse sottoscritto da associazioni che, sulla base dei dati certificati, non risultino nel complesso maggioritarie (e salvo che sia approvato dalla maggioranza dei lavoratori nelle procedure di verifica disciplinate a livello di settore), sarebbe forse in sé un accordo giuridicamente valido, ma difficilmente potrebbe qualificarsi quale contratto con funzione regolativa generale nella categoria (e dunque impegna- tivo per i lavoratori, se non per quelli iscritti alle associazioni minoritarie che lo avessero sotto- scritto).
93 Tale ultima considerazione, a sua volta, sottolinea però il problema di un aggiornamento delle regole di costituzione delle rappre- sentanze sindacali unitarie, essendo evidente che la regola del “terzo riservato”, dotata di una sua razionalità nell’accordo del 1993, rischia oggi di porsi in senso contrario allo spirito inclusivo connesso ad un sistema di verifica della effettiva rappresentatività degli attori sindacali (problema che, come diremo tra un attimo, si pone con ancora maggior evidenza in tema di regole della contrattazione aziendale).
94 In questo senso anche X. Xxxxxxxx, op. cit., p. 654; più dubitativo X. Xxxxxxx, op. cit., p. 467 e 468, il quale sembra attribuire valore
in senso opposto proprio al fatto che non si sia ritenuto di sancire espressamente la regola della stipulazione a maggioranza.
Inoltre, l’implementazione delle nuove regole consentirà di individuare con maggiore certezza, ai fini legali, quali contratti nazionali possano rivestire la qualifica di accordi stipulati dalle associa- zioni comparativamente più rappresentative, in grado di avvalersi delle numerose deleghe nor- mative formulate dalla legislazione sulla flessibilità degli ultimi decenni: e mi pare che il sistema confermi, ora che sarà anche possibile misurare e comparare con maggiore certezza, che possa avvalersi di tale qualifica solo un accordo sottoscritto da associazioni cumulativamente più rap- presentative di quelle rimaste dissenzienti.
In definitiva, e nonostante l’assenza nell’accordo di un’espressa indicazione in tal senso, le nuove regole sembrano comportare di fatto la rinuncia delle parti stipulanti (in primo luogo di Confin- dustria) a sottoscrivere il contratto nazionale anche in assenza di consenso generale, se non nel caso in cui le associazioni consenzienti abbiano una rappresentatività certificata maggioritaria.
D’altro canto, ove un accordo “separato” sia stipulato da xx.xx. che complessivamente possano dirsi più rappresentative, sulla base dei dati certificati, di quelle rimaste dissenzienti (ed a maggior ragione ove l’accordo nazionale risultasse approvato dai lavoratori, all’esito delle procedure di verifica introdotte a livello di categoria), vi sarebbero forse spunti per definire in termini diversi, rispetto all’assetto tradizionale fondato sui principi privatistici, la questione dell’efficacia sogget- tiva del contratto stesso.
Infatti, nell’attuale quadro di regole e principi legali (almeno quello adottato dalla giurisprudenza maggioritaria e ispirato alle regole dell’autonomia negoziale privata), il contratto collettivo di ca- tegoria rinnovato da alcuni soltanto dei soggetti in precedenza firmatari difficilmente può consi- derarsi vincolante per i lavoratori iscritti all’associazione rimasta dissenziente95, situazione che con tutta evidenza apre un quadro di grande incertezza nella regolazione dei rapporti di lavoro e delle organizzazioni aziendali.
Tuttavia, una volta che fosse varato e condiviso nei singoli settori il sistema di regole posto dall’ac- cordo del 28 giugno si potrebbe assistere ad un sostanziale mutamento di prospettiva (pur rima- nendo invariato il quadro delle regole giuridiche, che ovviamente non possono essere modificate da un accordo sindacale): si potrebbe infatti ritenere che la condivisione di regole di misurazione della rappresentatività e di verifica del consenso implichi l’accettazione degli effetti del principio maggioritario, e quindi anche degli effetti di singoli atti negoziali eventualmente non condivisi.
Certo si tratta solo di spunti per future riflessioni, i quali tuttavia mostrano come si sia innanzi con tutta evidenza, rispetto allo scenario determinatosi negli ultimi anni, ad una novità di grandissimo rilievo.
L’art. 8 del d.l. 138 non si occupa di contrattazione collettiva nazionale, concentrandosi su quella di secondo livello aziendale o territoriale. Esso tuttavia contiene una disposizione che, a mio pa- rere, diverge significativamente dalle scelte appena compiute dalle parti sociali: si tratta della parte in cui (in modo inedito rispetto alla precedente esperienza legislativa) si individua l’ambito “territoriale” come uno dei livelli ai quali misurare la maggiore rappresentatività dei soggetti le- gittimati alla contrattazione in deroga.
95 In questo senso vanno per lo più le pronunce dei Tribunali investiti dalla Fiom-Cgil della questione di efficacia del contratto nazionale separato del novembre 2009 (v. per riferimenti X. Xxxxxxx, op. cit.).
Mentre l’accordo di giugno propone la misurazione del consenso sul piano nazionale, ovvero nella specifica sede aziendale (in un contesto che comunque ribadisce il coordinamento tra politiche contrattuali nazionali e decentrate), l’accento sull’ambito locale (appositamente e specificamente aggiunto alla norma in sede di conversione) mi pare possa preludere a sviluppi in grado di scardi- nare la coerenza complessiva del sistema contrattuale dei vari settori produttivi, con fughe e dif- ferenziazioni (in materie assai significative) territorio per territorio, finanche da parte di soggetti estranei al sistema confederale96.
Si può sostenere che si tratta di una legittima scelta del legislatore, come è ovvio, ma si riconosca almeno la distonia rispetto alla tradizione e alle scelte prevalenti del sistema di relazioni industriali e se ne considerino i potenziali effetti di frammentazione del sistema.
3. Il contratto aziendale con efficacia generale, nell’accordo di giugno e nella “xxxxx Xxxxxxx”.
L’intesa di giugno si pronuncia per la prima volta sul tema della vincolatività degli accordi azien- dali, stabilendo regole diverse a seconda se nell’impresa siano costituite rappresentanze sindacali unitarie o no. In caso positivo, l’accordo stabilisce che i contratti aziendali approvati dalla mag- gioranza dei componenti delle r.s.u. “sono efficaci per tutto il personale in forza e vincolano tutte le associazioni sindacali firmatarie del presente accordo interconfederale operanti all’interno dell’azienda” (e dunque, si deve intendere, le associazioni di categoria alle stesse aderenti).
Ove non siano presenti le r.s.u., ma solo le (o alcune) rappresentanze sindacali aziendali, l’accordo prevede che i contratti aziendali abbiano efficacia generale se sono approvati dalle r.s.a. delle associazioni sindacali che, singolarmente o cumulativamente, abbiano raccolto nell’anno prece- dente la maggioranza delle deleghe tra i lavoratori dell’impresa97.
In tale ipotesi, però, i contratti aziendali devono essere sottoposti al voto dei lavoratori se ciò sia chiesto da almeno una delle organizzazioni aderenti a Cgil, Cisl e Uil, o da almeno il 30% dei lavo- ratori dell’impresa. La consultazione è valida se partecipa almeno il 50% + 1 dei lavoratori aventi diritto al voto e l’accordo è approvato o respinto a maggioranza semplice dei votanti.
Le regole ora richiamate hanno un’indubbia rilevanza, in primo luogo sul piano delle relazioni industriali. Esse da un lato sembrano rivitalizzare l’istituto delle r.s.u., che pareva fortemente in discussione per effetto della crisi delle relazioni interconfederali e del diffondersi della contratta- zione separata. In proposito, deve anzi segnalarsi quella che parrebbe una novità assai rilevante rispetto alle previsioni del 1993: lì la legittimazione negoziale a livello aziendale era riconosciuta alle r.s.u. e alle associazioni sindacali territoriali di categoria; qui (pur senza escludere espressa- mente la capacità negoziale delle associazioni esterne, che viene normalmente confermata dai
96 La legittimazione negoziale in forza della rappresentatività a livello territoriale apre, ovviamente, a fenomeni di localismo sindacale autonomo sinora rimasti senza successo; essa tuttavia è in grado a mio parere di provocare una frammentazione delle politiche con- trattuali anche all’interno del mondo confederale, ad esempio in specifiche realtà locali nelle quali una singola componente goda di dati di rappresentatività fortemente diversi da quelli medi nazionali e si renda disponibile a scambi negoziali che sul piano nazionale non sarebbero proponibili.
97 Secondo i dati “rilevati e comunicati direttamente dall’azienda”: anche in questo caso potrebbero sorgere problemi seri di controllo
della correttezza dei dati, essendo a mio parere indubbio che una loro gestione scorretta da parte aziendale comporti condotta anti-
sindacale, ai sensi dell’art. 28 stat. lav.
contratti di categoria) si assume la sola volontà (maggioritaria) delle r.s.u. quale presupposto della affermata efficacia generale degli accordi98.
Inoltre esse portano novità significative anche sul sistema di rappresentanza delle r.s.a., ove man- chino le r.s.u.: l’accordo introduce l’innovativa previsione per cui anche le r.s.a. debbano essere rinnovate ogni tre anni e sembra aprire anche tale sistema (come già quello delle r.s.u.) all’inclu- sione di r.s.a. di sindacati terzi rispetto a quelli confederali: infatti, come già si è detto per la con- trattazione nazionale, la misurazione dei dati di rappresentanza in azienda difficilmente può ri- manere limitata alle r.s.a. della triplice confederale, e pone di riflesso il problema della partecipa- zione alla contrattazione aziendale delle r.s.a. (e relative associazioni) di organizzazioni terze99.
Il discorso è più complesso dal punto di vista giuridico, dovendo fare i conti col fatto che l’effetto giuridico dell’efficacia (nel caso, l’affermata efficacia generale e certe condizioni di stipulazione o verifica del consenso) non è nella disponibilità delle parti ma dipende da regole e principi giuridici di carattere generale.
Tale scontata affermazione va peraltro combinata con l’osservazione che il tema dell’efficacia soggettiva del contratto aziendale è oggetto, anche in giurisprudenza, dei più vari orientamenti: ciò fa ritenere, a chi scrive, che l’applicazione delle regole ora formalizzate tra le maggiori confe- derazioni possa in effetti trovare adeguata valorizzazione in sede giudiziale100. Se a tutt’oggi la giurisprudenza tende ad affermare l’efficacia limitata di un accordo aziendale sottoscritto da al- cuni soltanto dei soggetti rappresentativi presenti in azienda (magari da alcuni soltanto dei sog- getti titolari della legittimazione negoziale secondo le regole fissate dal relativo contratto di cate- goria101), a diversa conclusione si potrebbe arrivare nel momento in cui tutte le organizzazioni sindacali condividano il principio maggioritario in vario modo affermato dall’accordo di giugno. Un accordo aziendale approvato secondo le regole esaminate, o convalidato nell’eventuale con- sultazione referendaria, potrebbe essere considerato vincolante per tutti i lavoratori in forza sia dell’eventuale adesione alle associazioni che hanno condiviso tale procedura (comprese quelle rimaste in dissenso) sia dell’applicazione complessiva e inscindibile dei trattamenti collettivi (com- prensivi delle procedure sulla produzione delle regole dell’organizzazione del lavoro e delle ob- bligazioni delle parti).
Viceversa mi pare certo che, in presenza di una simile regolazione, un accordo aziendale che non fosse sottoscritto dalla maggioranza della r.s.u., ovvero fosse sottoscritto da r.s.a. non maggiori- tarie, o ancora fosse respinto dalla maggioranza dei votanti in un valido referendum, non po- trebbe esplicare efficacia generale.
98 Segnala una serie di non irrilevanti problemi applicativi di tale disposizione, in relazione alla vita interna delle r.s.u., X. Xxxxxxx, op. cit., p. 471.
99 L’effetto non può ritenersi automatico, poiché la contrattazione aziendale potrebbe ad esempio essere gestita autonomamente
dalle r.s.a. delle tre associazioni confederali (pur in presenza di una r.s.a. di un sindacato terzo, legittimata in ipotesi ex art. 19 l. 300/70), alla sola condizione che le tre r.s.a. raggiungano cumulativamente un dato maggioritario di deleghe (calcolato tenendo conto anche delle deleghe attribuite al sindacato terzo); il quadro però muterebbe in caso di dissenso tra le xx.xx. confederali, con la possi- bilità di comporre maggioranze alternative coinvolgendo la r.s.a. del sindacato terzo.
100 In tal senso anche X. Xxxxxxx, op. cit., p. 470.
101 Ad es. di recente Corte App. Brescia, 11.4.2009, in Riv. Giur. Lav., 2010, n. 1, p. 188 (con nota di X. Xxxxxx, “Accordi separati: casi di prevalenza della precedente disciplina unitaria”), la quale ha affermato l’inapplicabilità ai lavoratori iscritti alla Flai-Cgil di un accordo aziendale stipulato con la sola Fai-Cisl in materia di retribuzione ed orari di lavoro (in un caso in cui, peraltro, la Fai-Cisl risultava avere due componenti su tre della r.s.u.).
La decisa attuazione del principio maggioritario potrebbe, come già si è accennato, incontrare un elemento di contraddizione nella regolamentazione delle modalità di costituzione delle r.s.u., e in particolare nella regola del “terzo riservato” posta negli accordi del 1993. Può infatti verificarsi il caso in cui la maggioranza della r.s.u., in forza del terzo riservato, non possa considerarsi fedele specchio di un consenso maggioritario misurato sulle deleghe e sui voti ottenuti nell’elezione dei due terzi dei seggi. Tale osservazione solleva il già segnalato problema della eventuale revisione delle regole costitutive delle rappresentanze unitarie: sul piano giuridico, tuttavia, in casi di que- sto genere potrebbe risultare più dubbia l’accennata valorizzazione del principio maggioritario ai fini degli effetti di efficacia giuridica dell’accordo.
Le disposizioni ora analizzate erano destinata a sollevare il dibattito, tra gli studiosi e gli operatori, sulla necessità od opportunità di un intervento legislativo di sostegno dell’efficacia generale del contratto aziendale affermata dall’accordo (e sui possibili problemi di compatibilità di una simile ipotesi con l’art. 39 della Costituzione). Non si è fatto in tempo ad avviare tale discussione, tutta- via, che la norma della manovra d’agosto voluta dal Ministro del lavoro è intervenuta proprio su tale materia, con due diverse disposizioni che prevedono l’efficacia generale del contratto azien- dale: una (primo comma) confinata nell’ambito delle “specifiche intese” finalizzate a realizzare gli obiettivi individuati dall’ultimo periodo del medesimo comma102; l’altra (terzo comma) finalizzata a sancire appunto l’efficacia generale dei contratti aziendali sottoscritti prima dell’accordo del 28 giugno, se sottoposti a procedura di approvazione da parte dei lavoratori.
In questa sede non si vuole affrontare l’analisi di disposizioni tanto impegnative, tanto per i temi che toccano quanto per i problemi che sollevano, ma limitarsi al profilo sin qui seguito del rap- porto tra la legge e l’accordo di giugno.
Sul punto la norma da ultimo richiamata, del terzo comma103, sembrerebbe voler stabilire una linea di continuità tra i due atti, ma le distonie sono invece significative: il primo comma contiene infatti, ai fini dell’efficacia generale delle intese “in deroga”, il generico riferimento ad un “criterio maggioritario” relativo alla rappresentanze sindacali (che ovviamente è suscettibile di essere de- clinato anche in modi diversi da quelli prefigurati dall’accordo di giugno) e, soprattutto, la possi- bilità che gli accordi con efficacia generale siano sottoscritti (solo) da soggetti esterni (xx.xx. più comparative a livello nazionale o territoriale): viene così vanificata la scelta dell’accordo di giugno (punti 4 e 5) di garantire comunque, per il contratto aziendale, meccanismi di valutazione del consenso maggioritario tra i dipendenti della stessa impresa104.
Il terzo comma dell’art. 8 poi (condizionato dalla volontà di riferirsi direttamente al caso Fiat), stride nettamente sia con la volontà espressa dalle parti dell’accordo di giugno (che non per caso, si ritiene, si erano astenute dal regolare il caso specifico e controverso degli accordi Fiat) sia con il contenuto del medesimo accordo, assumendo come unico elemento rilevante, ai fini
102 Intese che, alle condizioni previste dalla norma, possono avvalersi del doppio effetto giuridico dell’efficacia generale e (soprattutto)
della libera derogabilità a norme di legge e del contratto collettivo nazionale.
103 La quale, essendo una norma diretta a disciplinare il passato presenta (oltre alle consuete problematiche delle disposizioni retroat- tive) la caratteristica veramente insolita di scegliere come sparti-acque temporale non l’entrata in vigore della stessa legge, ma un atto privato e specifico come l’accordo confederale del settore industriale del 28 giugno!
104 Ovviamente nulla impedisce che le disposizioni dell’accordo vengano comunque attuate e rispettate per scelta delle parti sindacali:
è tuttavia evidente che la possibilità di avvalersi dei maggiori spazi concessi dalla legge, nelle ampie materie previste dal comma secondo, può fortemente minare i delicati equilibri dell’impianto costruito a livello interconfederale.
dell’efficacia generale dei contratti aziendali già stipulati, la sottoposizione degli stessi a proce- dure referendarie tra i lavoratori: presupposto, questo, che nel sistema di regole dell’accordo di giugno, si aggiungeva invece in via eventuale, e direi eccezionale, alle regole di investitura della legittimità negoziale delle r.s.u. o delle r.s.a.
Infine, va segnalato un effetto probabilmente non calcolato dal maldestro legislatore, che rischia di minare la tenuta degli accordi aziendali in tante realtà diverse dal Gruppo Fiat: prendendo alla lettera il comma terzo infatti (ed ammesso che la norma resista ai profili di illegittimità costitu- zionale che solleva), dovrebbe ritenersi che i contratti aziendali raggiunti in realtà nelle quali, ma- gari perché non vi era alcun dissenso tra i soggetti sindacali presenti in azienda, non siano stati sottoposti a referendum, abbiano (per implicita conseguenza della norma, letta a contrario) effi- cacia limitata ai lavoratori iscritti alle associazioni stipulanti: così legittimando ex post eventuali fughe individuali dalle decisioni sindacali di gestione dell’impresa che, sino ad oggi, la giurispru- denza prevalente non sembrava voler premiare.
4. La contrattazione aziendale “in deroga”: dalle regole dell’accordo alla scure della legge.
Come è noto, uno dei terreni più sensibili di dibattito (e dissenso) intersindacale degli scorsi anni riguardava il rapporto tra contrattazione nazionale e aziendale, sul quale pesava la ferma posi- zione della Cgil di difesa del ruolo del contratto nazionale e di dissenso rispetto alla soluzione adottata nel gennaio 2009.
Se, in linea generale, l’accordo del 28 giugno ripropone un rapporto coordinato e controllato tra contratto nazionale e aziendale (v. punti 2 e 3), esso contiene al punto 7 un’indubbia apertura alla differenziazione della contrattazione aziendale quale strumento di regolazione capace “di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi”: in tale prospettiva, si prevede che i con- tratti aziendali possano definire “specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”, ma che ciò possa avvenire solo “nei limiti e con le pro- cedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro”. Sembra dunque che vi sia un’apertura ad un rapporto più elastico e libero tra contrattazione nazionale e aziendale – ciò che costituisce una relativa novità, in quanto scelta condivisa anche dalla Cgil105 - anche se i termini di tale rapporto sono comunque rinviati alla disciplina da parte dei contratti collettivi nazionali.
La logica dell’accordo rende evidente come la disciplina dei contratti nazionali, in merito alla con- trattazione aziendale, debba essere condivisa tra tutte le parti firmatarie dell’odierno accordo. Al più, e rinviando a quanto detto sopra, si potrà ammettere che tale materia sia regolata da un contratto nazionale stipulato da una compagine maggioritaria nel sistema di rappresentatività certificato secondo quanto previsto dal punto 1, e seguendo le regole dell’appendice endosinda- cale dell’intesa.
Ciò significa che, a mio parere, in nessun modo l’odierno accordo può rendere valide e vincolanti per tutti le regole sulla contrattazione in deroga previste nell’art. 4-bis del ccnl “separato”
105 Anche se va ricordato che una delle prime aperture in tal senso si era verificata nel rinnovo del contratto collettivo nazionale dell’industria chimica del 2006, sottoscritto unitariamente da tutte le xx.xx. del settore: in tema rinvio a X. Xxxxxxxxx, “Le regole dei chimici sul rapporto tra contratto nazionale e aziendale. Una sperimentazione interessante”, in Note Informative, 2006, n. 36, p. 59.
dell’industria meccanica (stipulato nel settembre 2010 per legittimare in qualche modo gli accordi Fiat, e avversato dalla Fiom-Cgil): tale vicenda, foriera di molteplici profili di incertezza giuridica, non pare in alcun modo interessata dalle nuove regole le quali, appunto, sembrano logicamente collegate al varo dell’intero nuovo sistema di procedure di verifica di rappresentatività e con- senso106.
Lo stesso punto 7, tuttavia, prevede che la contrattazione aziendale “in deroga” possa svilupparsi anche nella fase transitoria, in assenza o in attesa che i rinnovi dei contratti di categoria defini- scano la materia, ma con alcuni limiti: le intese modificative potranno riguardare gli istituti del contratto nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del la- voro107, dovranno essere finalizzate a “gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti signi- ficativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa”, e infine dovranno es- sere concluse “con le rappresentanze sindacali operanti in azienda d’intesa con le organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del presente accordo interconfederale”. Infine, si precisa che le in- tese modificative così definite “esplicano l’efficacia generale come disciplinata dal presente ac- cordo”.
Non mancano punti di incertezza nella lettura della disposizione. In primo luogo non è chiaro se il rinvio alle regole formulate dallo stesso accordo per la contrattazione aziendale (nei punti 4 e 5 dell’accordo) valga solo per l’effetto dell’efficacia generale od anche per le questioni di legittima- zione alla stipulazione (o per la sottoposizione ad eventuale consultazione referendaria): ragioni di coerenza interna all’accordo devono far ritenere che il rinvio sia completo, e dunque che l’ac- cordo in deroga richieda un’adesione maggioritaria delle r.s.u. oppure delle r.s.a. (ed eventual- mente dei lavoratori), con la differenza che qui si aggiunge la necessaria presenza in sede nego- ziale delle organizzazioni sindacali esterne, a garanzia di un utilizzo controllato e coerente delle possibilità di deroga del ccnl.
In merito resta un punto non risolto, relativo a cosa accada quando sull’intesa derogatoria vi sia dissenso tra le organizzazioni territoriali che affiancano le rappresentanze aziendali in sede nego- ziale (e ciò, si deve supporre, in una fase in cui non sarà stato ancora varato il sistema di certifica- zione della rappresentatività delle xx.xx. a livello nazionale). Qui si può ipotizzare che il dissenso possa risolversi con le regole previste ai punti 4 e 5 dell’accordo, dando dunque prevalenza alla posizione maggioritaria tra le rappresentanze aziendali o tra i lavoratori.
La materia ora trattata è certamente quella nella quale l’art. 8 del decreto d’agosto interviene con la maggiore violenza. Infatti – e sia pure limitatamente agli accordi aziendali finalizzati agli scopi individuati dal primo comma, e regolanti le materie (genericamente) elencate dal secondo comma – il contratto aziendale potrà secondo la legge (comma 2.bis) derogare liberamente e senza alcun vincolo alle “regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali”, così come alle discipline di legge che disciplinano le materie sopra richiamate.
106 Lo stesso potrebbe dirsi per l’altro caso assai rilevante di contrattazione nazionale separata, ovvero quello del rinnovo 2011 del ccnl terziario (il quale, comunque, rimane estraneo alle regole ora dettate nell’accordo interconfederale del 28 giugno, limitato all’in- dustria): qui troviamo infatti uno dei casi più estesi e radicali di autorizzazione della contrattazione in deroga, nel quale le parti firma- tarie sono andate persino oltre i vincoli e le previsioni dell’accordo quadro del gennaio 2009. Xxxx, su un piano generale, può dirsi che proprio nel confronto con tale episodio lo spirito dell’accordo del 28 giugno appare assai più controllato.
107 Elenco che si presta ad una lettura restrittiva, ad esempio escludendo un istituto come il trattamento della malattia, che è stato
tra i principali punti di scontro nelle vicende Fiat.
Il radicale scardinamento del tradizionale rapporto di inderogabilità tra legge e contratto apre questioni di grande rilevanza, che in questa sede non possono tuttavia essere affrontate. La pre- visione di libera derogabilità del contratto nazionale è invece, da un certo punto di vista, meno dirompente, poiché sul piano tecnico giuridico non risultava possibile affermare l’esistenza, nel nostro ordinamento, di una regola chiara di prevalenza del contratto nazionale su quello decen- trato: nel corso del tempo, tuttavia, si erano affermati orientamenti tesi a valorizzare (anche per le conseguenze in termini di effetti giuridici per i lavoratori) le regole di competenza dei livelli stabilite dalla stessa contrattazione, che ora la norma in esame mostra di voler ignorare.
Tra il decreto-legge e l’accordo interconfederale di giugno, il contrasto di soluzioni è radicale: mentre la soluzione sindacale persegue l’obiettivo dell’apertura di spazi alla contrattazione azien- dale, anche nella modalità “in deroga”, nell’ambito di un sistema proceduralizzato e controllato (così da poter guadagnare anche il consenso della Cgil, notoriamente meno incline ad avallare tale orientamento)108, la legge sancisce direttamente tale derogabilità senza limiti né procedure rafforzate. Inoltre, la norma di legge allarga di molto, rispetto alla determinazione sindacale, il catalogo delle finalità per le quali è ammessa la contrattazione in deroga, facendo diventare quasi generale una tecnica che le pareti sociali nella loro autonomia hanno scelto di limitare alle situa- zioni di crisi aziendale o alla “presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo econo- mico ed occupazionale dell’impresa”.
Unico limite che può essere tratto dalla norma di legge è il rispetto del principio maggioritario, in ambito aziendale, indicato dal primo comma. Questo tuttavia, se pure assicura in ipotesi la veri- fica diretta o indiretta della rappresentatività dei soggetti negoziali, rispetto ai lavoratori destina- tari dell’accordo, non soddisfa in alcun modo l’esigenza fondamentale avvertita da chi ha voluto assoggettare i processi di contrattazione in deroga a limiti e procedure stringenti, ovvero quella del controllo complessivo del sistema e del contenimento delle “fughe” dal contratto nazionale dovute a valutazioni locali o micro-corporative, avvertite come pericolose per la tenuta degli equi- libri complessivi del sistema (ed anche, vorremmo dire, delle condizioni di concorrenza tra le im- prese nei singoli settori economici).
Si potrà forse ragionare sulla possibilità di far comunque salve le regole sui rapporti tra i livelli contrattuali poste dall’accordo di giugno, così come dai contratti nazionali vigenti e da quelli futuri (e ciò in quanto la secca previsione legislativa non può certo impedire alle parti sociali di darsi regole più articolate e stringenti): solo tale condizione, si ritiene, può forse salvaguardare l’equi- librio politico-sindacale faticosamente maturato a fine giugno 2011109. Ciò nonostante mi pare che sulla disposizione – nella parte in cui fissa autoritativamente il rapporto di derogabilità tra intese aziendali ex art. 8 e contratti nazionali – gravi come un macigno un profilo di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 39, 1° comma, Cost., in quanto principio di garanzia (anche) della libertà della contrattazione collettiva rispetto alle eventuali ingerenze del legislatore110.
108 Si rammenti però che la stessa tecnica era stata adottata anche in testi non condivisi dalla Cgil, come nell’accordo sulle regole della contrattazione del gennaio 2009.
109 Nella coscienza che, con tutta evidenza, la previsione legislativa è evidentemente condizionata proprio dalla volontà contingente
di rimettere in discussione quella soluzione unitaria, non gradita a chi (il Ministro del Lavoro) ha perseguito con xxxxxxxx negli anni obiettivi politici di divisione del fronte sindacale.
110 Per riferimenti in tema sia consentito rinviare a X. Xxxxxxxxx, La libertà sindacale, in Diritto del lavoro, Commentario diretto da X. Xxxxxxx, vol. I, Le fonti. Il diritto sindacale, a cura di X. Xxxx, UTET, Torino, II Edizione, 2007, p. 63, spec. par. 2.1 e ss.