COLLEGIO DI ROMA
COLLEGIO DI ROMA
composto dai signori:
(RM) MARZIALE Presidente
(CO) DE CAROLIS Membro designato dalla Banca d'Italia
(RM) SIRENA Membro designato dalla Banca d'Italia
(RM) XXXXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(RM) FERRO XXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXX XXXXXX
Nella seduta del 20/12/2013 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
La ricorrente ha affermato che:
-sarebbe stata titolare di due conti correnti presso la banca resistente, uno c.d. ordinario e l’altro c.d. anticipi;
-a partire dal 2012, la banca resistente avrebbe più volte addebitato su tali conti una “commissione utilizzi oltre disponibilità fidi”, per l’importo complessivo di € 13.659,50;
-sarebbero stati inoltre addebitati interessi eccedenti la soglia imperativamente posta dall’art. 644, 3° comma, c.p. e dell’art. 2, 4° comma, della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura), per quanto la banca resistente abbia di volta in volta annotato un loro storno parziale a titolo di “riduzione interessi (l. 108/1996)”;
-entro il limite di tale eccedenza, gli interessi addebitati dovrebbero essere pertanto restituiti dalla banca resistente;
-il 28 maggio 2012, le parti avrebbero stipulato un contratto di transazione;
-durante la trattativa che ha preceduto la stipulazione di tale contratto, la banca resistente non avrebbe anticipato gli importi delle fatture emesse dalla società ricorrente, sebbene fossero inferiori al limite massimo dell’apertura di credito concessale;
-poiché la banca resistente si sarebbe rifiutata di esibire i conteggi richiesti, la società ricorrente sarebbe stata di fatto costretta a incaricare un proprio consulente tecnico.
Ciò premesso, la società ricorrente ha chiesto che:
-la banca resistente sia condannata al pagamento degli importi addebitati sui conti correnti della società ricorrente a titolo di “commissione utilizzi oltre disponibilità fidi”;
-la banca resistente sia condannata al pagamento degli interessi addebitati sui medesimi conti correnti, nella parte in cui eccedano il limite imperativamente posto dalla legislazione anti-usura;
-sia ordinato alla banca resistente che i tassi d’interesse pattuiti tra le parti mediante la transazione del 29 maggio 2012 siano applicati retroattivamente dall’inizio della trattativa che ha preceduto la sua stipulazione, ovvero quanto meno dal 1° gennaio 2012 circa;
-la banca resistente sia condannata al pagamento di € 3.000,00 a titolo di rimborso delle spese sostenute dalla società ricorrente per il compenso di un consulente contabile;
-la banca resistente sia condannata al risarcimento del danno cagionato dalla eventuale segnalazione negativa alla Centrale rischi.
La banca ha resistito al ricorso, affermando che:
-stipulando il contratto di transazione del 28 maggio 2012, la società ricorrente avrebbe rinunciato a contestare giudizialmente la tenuta dei conti correnti di cui era titolare, segnatamente per quanto riguarda la liquidazione e il computo degli interessi debitori;
-avrebbe altresì dichiarato di aver regolarmente ricevuto gli estratti conto, recanti l’indicazione delle condizioni economiche applicate e delle loro modifiche periodiche;
-mediante la comunicazione n. 16 del 20 luglio 2012, la banca ricorrente avrebbe riportato in maniera chiara le nuove disposizioni relative alla “commissione utilizzi oltre la disponibilità fondi” e i relativi tassi applicati in relazione all’entità degli sconfinamenti;
-gli interessi addebitati sui conti correnti della società ricorrente non avrebbero mai ecceduto il limite imperativamente posto dalla legislazione anti-usura;
-i sistemi informatici della banca resistente avrebbero infatti automaticamente provveduto a mantenere gli interessi addebitati entro tale limite, accreditando la loro eventuale eccedenza;
-durante il 2012, sul conto c.d. anticipi della società ricorrente sarebbe stata a tale titolo accreditata la somma di € 3.701,94, laddove gli interessi da essa dovuti sarebbero stati complessivamente pari a € 8.100,19;
-rientrerebbe nella libertà privata della banca di decidere se anticipare o meno l’importo delle fatture emesse da un cliente affidato, anche laddove il loro importo non superi il limite massimo dell’affidamento;
-nel caso di specie, il mancato rimborso dei fidi temporanei che erano nel frattempo scaduti avrebbe indotto la banca resistente a non rinnovare la loro concessione, concordando piuttosto con la società ricorrente un piano di rientro;
-la spesa sostenuta dalla società ricorrente per il compenso di un consulente contabile costituirebbe la conseguenza di una sua libera scelta, la quale non potrebbe essere imputata alla banca resistente;
-la banca resistente sarebbe tenuta a segnalare alla Centrale Rischi la posizione debitoria complessiva di ciascun cliente;
-nel caso della società ricorrente, la categoria di censimento sarebbe stata quella dei rischi a revoca per l’importo accordato di € 271.000,00 e il relativo utilizzo di € 264.000,00.
Ciò posto, l’intermediario resistente ha chiesto che il ricorso sia rigettato perché infondato.
DIRITTO
Ai sensi dell’art. 1421 c.c. si rileva d’ufficio che, per quanto riguarda l’oggetto del presente giudizio, il contratto di transazione stipulato tra le parti contraenti il 28 maggio 2012 è nullo. Decidendo casi precedenti, questo Xxxxxxx ha già affermato il seguente principio di diritto:
«La transazione che intervenga tra l‘intermediario ed il cliente in occasione della chiusura di un rapporto di conto corrente e connesso affidamento, con la quale tra le altre pattuizioni si stabilisca che il cliente rinunci ad ogni possibile eccezione relativa alla tenuta del conto corrente con particolare riferimento alle metodologie di liquidazione e computo degli interessi applicati dalla banca fin dall’inizio del rapporto, è valida nei limiti in cui non contrasti con norme imperative» (Collegio di Milano, decisione n. 1495 del 2010).
Infatti, l’art. 1972, 1° comma, c.c. stabilisce che «è nulla la transazione relativa a un contratto illecito, ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo».
L’oggetto del presente giudizio è costituito da clausole dei contratti di conto corrente stipulati tra le parti che sono illecite, perché il loro contenuto è contrario a una norma imperativa (art. 1346 c.c.): esse sono pertanto nulle (art. 1418, 2° comma, c.c.) e, nella parte in cui le riguardi, è nullo altresì il contratto di transazione che è stato invocato dalla banca resistente (art. 1972, 1° comma, c.c.).
La “commissione di utilizzo oltre la disponibilità fondi” applicata dalla banca resistente (e denominata DIF negli estratti conto da quest’ultima inviati alla società ricorrente) rientra infatti nella categoria delle commissioni sugli utilizzi in assenza di fido, le quali sono state ritenute nulle da questo Arbitro (Collegio di Milano, decisione n. 4240 del 2012; Collegio di Roma, decisione n. 3401 del 2013), perché inderogabilmente vietate a pena di nullità dall’art. 2-bis, 1° comma, 1° periodo, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), aggiunto dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2.
Secondo il conteggio elaborato dalla società ricorrente, il quale non è stato specificamente contestato dalla banca resistente e può pertanto ritenersi pacifico ai fini del presente giudizio, l’importo complessivo delle “commissioni di utilizzo oltre la disponibilità dei fondi” (DIF) addebitate sui conti correnti della medesima società ammonta a € 13.659,50: la banca resistente è pertanto obbligata a restituirlo, ai sensi dell’art. 2033 c.c.
Riguardo alla spesa sostenuta dalla società ricorrente per il compenso dei propri consulenti contabili, questo Xxxxxxx ritiene che siano applicabili gli stessi principî di diritto enunciati dalla decisione del Collegio di Coordinamento n. 3498 del 2012 a proposito dell’onorario di un avvocato: si tratta pertanto di un danno patrimoniale che è risarcibile, ancorché la sua quantificazione debba naturalmente attenersi a criteri di estrema prudenza, i quali includono l’accertamento dell’attività professionale effettivamente svolta, della sua funzionalità alla gestione del procedimento, della ragionevolezza e coerenza dell’importo richiesto rispetto al valore e alla complessità della controversia.
Poiché la società ricorrente non ha dato una prova certa dell’ammontare della spesa sostenuta e tenuto conto dei criteri enunciati nella suddetta decisione del Collegio di coordinamento, questo Xxxxxxx ritiene che, ai sensi dell’art. 1226 c.c., il danno patrimoniale di cui si tratta possa essere equitativamente determinato in € 1.000,00.
Venendo ora al lamentato addebito di importi eccedenti rispetto al tasso di soglia imperativamente posto dalla legislazione anti-usura, si deve rilevare che esso è stato esemplificato dalla società ricorrente riguardo a tre fattispecie concrete (secondo trimestre del 2012 del conto c.d. anticipi; terzo trimestre del 2012 del conto c.d. anticipi; terzo trimestre del 2009 del conto c.d. ordinario). Rispetto al conto c.d. anticipi, questo Xxxxxxx ritiene che, tenuto conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito (art. 644, 4°
xxxxx, c.p.), sussistano elementi di prova che sia stato superato il limite imperativamente posto dalla legislazione antiusura.
La società ricorrente non ha tuttavia analiticamente indicato gli importi eccedenti il suddetto limite, di cui ha domandato la restituzione, né ha quantificato la somma che dovrebbe esserle complessivamente pagata dalla banca resistente a titolo di restituzione dell’indebito (art. 2033 c.c.). D’altro canto, lo svolgimento di un’attività consulenziale equiparabile a una perizia tecnico-contabile non rientra tra le funzioni che sono attribuite a questo Arbitro dall’art. 128-bis t.u.b. e dai regolamenti delegati della Banca d’Italia e del CICR (ex plurimis, Collegio di Roma, decisione n. 4674 del 2013).
La domanda qui considerata della società ricorrente non può essere pertanto accolta.
È invece infondata senz’altro la domanda della società ricorrente finalizzata a ottenere che gli effetti giuridici a sé favorevoli della transazione stipulata tra le parti il 28 maggio 2013 comincino a decorrere dall’inizio della trattativa precontrattuale, e al più tardi dal 1° gennaio 2012.
Il medesimo contratto (allegato al ricorso come doc. 4) inequivocabilmente stabilisce che il tasso d’interesse pattuito tra le parti contraenti sia applicato «a fare tempo dal 28 maggio 2012».
È altresì infondata la domanda di risarcimento del danno che sarebbe stato cagionato dalla banca resistente effettuando a carico della società ricorrente eventuali segnalazioni negative alla Centrale Rischi. Dalla visura depositata dalla banca resistente come doc. 23 risulta infatti che tali segnalazioni hanno riguardato le categorie di censimento dell’accordato e dell’utilizzato e non sono pertanto idonee a cagionare alla società ricorrente un danno ingiusto ai sensi dell’art. 2043 c.c.
P.Q.M.
Il Collegio dispone che l’intermediario corrisponda al ricorrente la somma di euro 13.659,50 con interessi legali dalla data del reclamo al saldo nonché la somma complessiva di euro 1.000,00 a titolo di risarcimento.
Dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente quella di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1