DOTTORATO DI RICERCA
DOTTORATO DI RICERCA
Diritto, Mercato e Persona
Ciclo XXXIII
Settore Scientifico Disciplinare: Diritto Privato IUS/01
IUS VARIANDI E GESTIONE DEL RISCHIO CONTRATTUALE
Presentata da Gioia Caldarelli
Coordinatore del Dottorato Supervisore
Xxxxxxxxxxx Professoressa Xxxxxxxxxxx Professor
Xxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
INDICE
Introduzione – Oggetto e scopo dell’indagine
1. Prima fase: natura e ammissibilità di un intervento modificativo
del contratto a carattere unilaterale 1
2. Seconda fase: ricognizione delle fattispecie di ius variandi,
tra disciplina codicistica, prassi e legislazione di settore 3
3. Terza fase: il contributo della comparazione con il panorama di
common law e con le istanze del diritto contrattuale europeo
per una (ri)lettura in chiave relazionale del diritto moderno dei contratti 5
Capitolo I - I confini mobili dell’autonomia contrattuale: dalla intangibilità alla flessibilità del contratto
1. Presunta incompatibilità tra potere di modifica unilaterale e principio
dell’accordo 7
2. Ius variandi alla luce del concetto di causa concreta 13
3. La determinatezza o determinabilità dell’oggetto 22
4. Affinità con il diritto di recesso 27
5. Abuso del diritto e sindacato ex post 32
6. Istanze favorevoli alla rinegoziazione 36
7. L’approccio regolatorio della normativa di settore 40
8. Un primo identikit riepilogativo: generalità del ius variandi 44
Capitolo II: Inventario ragionato delle fattispecie di ius variandi
1. Ius variandi nel “primo contratto”: un esame della disciplina codicistica tra fattispecie particolari e rilevanza sistematica dell’appalto, passando attraverso l’archetipo giuslavoristico 46
1.1 Il rilievo trans-tipico della normativa sull’appalto: un modello
generale di gestione delle sopravvenienze onerose 48
1.2 Ius variandi nel rapporto di lavoro subordinato 51
2. Ius variandi nei rapporti asimmetrici del “secondo” contratto 56
2.1 I contratti dei consumatori: le clausole presuntivamente vessatorie
di cui alle lett. m) e o) dell’art. 33 cod. cons 58
2.2 Approvigionamento e fornitura di energia e gas 60
2.3 Servizi di comunicazione elettronica 63
2.4 Turismo organizzato 66
2.5 Contratti bancari 71
3. Le difficoltà di coordinamento tra codici di settore e codice civile 79
4. Ius variandi nei rapporti asimmetrici del “terzo contratto” 84
5. È possibile tracciare un profilo unitario del ius variandi
nei rapporti b2c e b2b? 91
Capitolo III: Una occasione di confronto con il sistema di common law
1. Premessa metodologica per l’interprete di civil law 97
2. Un caso di eccezione: la clausola penale 107
3. Le istanze di armonizzazione del diritto contrattuale europeo
verso un contratto “giusto” 113
4. Discretion clauses al vaglio del sindacato giurisdizionale 120
5. Il common law “oltreoceano”: la teoria relazionale 127
6. Limitazioni all’uso delle change of terms clauses 135
Capitolo IV - Ius variandi tra teoria relazionale, buona fede e adeguamento del contratto
1. Autonomia ed eteronomia contrattuale 143
2. Possibili scenari alla luce della comparazione 152
3. Criticità e questioni aperte nel sistema di civil law 155
4. Ricognizione sistematica di indici “relazionali”
nel diritto contrattuale italiano 166
5. Brevi spunti sul diritto emergenziale che convogliano
verso una riflessione conclusiva 174
Bibliografia 181
“I have never in my life been so struck by any place as by Venice. It is the wonder of the world. Dreamy, beautiful, inconsistent, impossible, wicked, shadowy, damnable old place. I entered it by night, and the sensation of that night and the bright morning that followed is a part of me for the rest of my existence”.
Lettera di Xxxxxxx Xxxxxxx a Mr. Xxxxxxx Xxxxxxx, 16 ottobre 1844
INTRODUZIONE OGGETTO E SCOPO DELL’INDAGINE
1. Prima fase: natura e ammissibilità di un intervento modificativo del contratto a carattere unilaterale
Nei sistemi giuridici contemporanei, destinati a regolare economie di mercato, il principio di conservazione del contratto, intimamente legato ad istanze di efficienza dei rapporti giuridico patrimoniali, tende a favorire l’adozione di strumenti “manutentivi” di natura legale e convenzionale, confinando al ruolo di extrema ratio la risoluzione ed altri strumenti “ablativi”.
Mentre la tecnica della rinegoziazione contrattuale si sviluppa in ossequio al principio generale dell’accordo e dell’incontro di volontà, come sancito dall’art. 1321 c.c. e ribadito, ex multis, dall’art. 1372 c.c., il sintagma latino ius variandi introduce uno strumento verso il quale si registra maggior diffidenza, consistendo nel potere, di origine legale o convenzionale, di modificare unilateralmente il contenuto di un contratto di durata o ad esecuzione differita.
Nonostante l’introduzione nel contratto di un diritto potestativo consistente nella possibilità, attribuita ad una sola parte, di variarne ad libitum il contenuto possa sembrare incompatibile con la base consensuale e paritaria del rapporto contrattuale, non di rado è lo stesso ordinamento ad ammetterlo: sia nel codice che nella legislazione speciale sono rintracciabili molte ipotesi di ius variandi legale.
D’altra parte, mostrando una eccessiva affezione alla risalente idea secondo cui il contratto costituisce una “ormai entità staccata dalla sfera
individuale dei suoi autori e a questa sovra ordinata”1 si rischia di congelare la volontà iniziale rassegnata dalle parti. Al contrario, la discussione su ammissibilità e limiti di uno ius variandi di origine convenzionale risponde all’esigenza di considerare l’interesse delle parti come materia fluida, destinata ad evolversi e convogliare nel contratto.
Dottrina e giurisprudenza sono divise: parte di entrambe reputa che la clausola che demanda ad uno dei contraenti il potere di variare unilateralmente il regolamento contrattuale dovrebbe ritenersi incompatibile con i principi di bilateralità del consenso (artt. 1321 e 1325 c.c.) e di vincolatività dell’accordo (art. 1372, comma 1, c.c.), dunque nulla ai sensi dell’art. 1418, comma 2, c.c., per mancanza dell’accordo come elemento essenziale del contratto e/o per mancanza del requisito di determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto, previsto dall’art. 1346 c.c.
Altra parte di dottrina e giurisprudenza ritiene invece che non sia rinvenibile un divieto generale di prevedere contrattualmente uno ius variandi a favore di uno dei contraenti, e ciò sarebbe indirettamente deducibile da alcune previsioni di legge, tra cui l’art. 6, l. 18 giugno 1998 n. 192 (divieto di modifiche unilaterali nella subfornitura), il quale, escludendone l’ammissibilità nel caso specifico, sarebbe spia di una generale compatibilità del medesimo con i principi del nostro diritto dei contratti.
D’altro canto, affermare la validità di principio delle clausole che attribuiscono ad uno dei contraenti il diritto di modificare unilateralmente il regolamento negoziale non significa lasciare privo di
1 Espressione di Rubino, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, 280.
tutela il contraente che a tale diritto si sia volontariamente assoggettato: la tutela slitta da un controllo ex ante, in termini di validità/invalidità della clausola, ad un controllo ex post in termini di efficacia/inefficacia del singolo atto di esercizio dello ius variandi, tracciando la linea di confine tra esercizio legittimo e illegittimo attraverso i criteri della meritevolezza dell’interesse, della buona fede, dell’equilibrio tra le prestazioni contrattuali.
In questo contesto si inserisce il quesito circa la estendibilità anche allo ius variandi del recente dibattito giurisprudenziale sull’abuso del diritto di recesso: di recente la Suprema Corte, pur riconoscendo la piena legittimità di un diritto potestativo a recedere convenzionalmente attribuito ad un contraente, ne ha ritenuto abusivo l’esercizio che possa comportare un grave vulnus alle ragioni dell’altro contraente.
2. Seconda fase: ricognizione delle fattispecie di ius variandi, tra disciplina codicistica, prassi e legislazione di settore
Dopo aver valutato attraverso l’esame di indici sistematici la compatibilità con il nostro ordinamento di un potere unilaterale modificativo del regolamento contrattuale, si potrà procedere ad un inventario delle fattispecie di ius variandi rinvenibili tanto in ambito codicistico, quanto nella prassi contrattuale e nella frammentaria regolamentazione di settore. Tali fattispecie verranno descritte e ordinate attraverso l’enucleazione di criteri classificatori che possano agevolare l’interprete nella comprensione della natura multi funzionale di tale istituto.
Si pensi, a titolo esemplificativo, alla distinzione tra ius variandi nei contratti di diritto comune e ius variandi nel contratti asimmetrici. Nei primi, in cui c’è parità di armi tra le parti e non opera l’intervento del
legislatore a tutela del contraente considerato “debole”, possono essere rintracciate ipotesi di ius variandi finalizzato al perseguimento di interessi determinati: (a) l’interesse di una parte a consentire una specificazione della prestazione da eseguire in esecuzione del contratto (si pensi, ad esempio, al potere di scegliere la prestazione da eseguire, che l’art. 1285 c.c. attribuisce ad una delle parti di un’obbligazione alternativa); (b) l’interesse di una parte a consentire l’adeguamento del regolamento contrattuale rispetto a circostanze sopravvenute (si pensi al diritto del committente, ex art. 1661 c.c., di introdurre unilateralmente variazioni al progetto, e dunque, alla prestazione dell’appaltatore; al potere del mandatario, ex art. 1711, comma 2, c.c., di discostarsi dalle istruzioni del mandante quando ciò risulti funzionale all’interesse di quest’ultimo soggetto in ragione di circostanze a lui ignote che non gli possano essere tempestivamente comunicate; al diritto alla riconduzione ad equità del contratto rescindibile o risolubile per eccessiva onerosità, ex artt. 1450 e 1467, comma 3, c.c.).
Nella sistematica del codice del consumo e delle altre normative disciplinanti i contratti c.d. asimmetrici, invece, la tutela del contraente debole induce, per un verso, a qualificare vessatorio il potere di variazione esercitato dal professionista se non sorretto da un giustificato motivo (art. 33, comma 2, lett. m), c. cons.); per altro verso, sulla base della distinzione tra prestazione principale e accessoria, impone per quest’ultima un consenso preventivo del consumatore (art. 65 c. cons), secondo il modello detto opt-in.
Diversamente, nei servizi di comunicazione elettronica, la tutela del consumatore-utente è affidata al diritto di recesso esercitabile come contropotere a fronte della notifica di qualsiasi modifica alle condizioni
contrattuali, secondo il modello c.d. opt-out (art. 70, comma 4, c. com. el.).
Con riferimento alla disciplina dello ius variandi nei contratti asimmetrici, si potrà affrontare anche la dibattuta questione del rapporto tra codici di settore, oggetto di una recente sentenza del T.A.R. Lazio relativa al concorso tra norme dettate dal Codice del consumo e dal Codice delle comunicazioni elettroniche.
Altro criterio classificatorio interessante per l’interprete potrebbe essere quello dello ius variandi che nasce nel contesto di obbligazioni dal risultato “non governabile”, laddove solo una parte sia in grado di decidere come adeguare la prestazione al fine del raggiungimento dello scopo del contratto. Si pensi, a tal proposito, al contratto turistico e al contratto relativo al servizio di gestione su base personale e individualizzata di portafogli di investimento: in entrambi i casi l’esercizio dello ius variandi si giustifica in ragione della discrezionalità di cui la parte “esperta” (tour operator, intermediario finanziario) dispone nel gestire con lealtà e buona fede l’esecuzione di una prestazione dal risultato non completamente governabile (finalità turistica nel primo caso, rendimento dell’investimento nel secondo).
3. Terza fase: il contributo della comparazione con il panorama di common law per una (ri)lettura in chiave relazionale del diritto moderno dei contratti
Al termine di una ricerca vòlta a disegnare il quadro di riferimento risultante dall’incontro tra disciplina normativa dello ius variandi e tecniche di gestione del rischio affidate all’autonomia dei privati nel nostro ordinamento, si potrà procedere a coltivarne i risultati alla luce
del contributo essenziale della comparazione con il sistema di common law.
In particolare, viene posta l’attenzione sul diritto inglese, storicamente custode della più “spregiudicata” freedom of contract, in cui tuttavia si assiste oggi ad un più incisivo sindacato in sede giudiziale sull’uso della discrezionalità contrattuale; e sul diritto americano, che vanta la paternità di quella teoria relazionale dei contratti tramite cui sembra potersi instaurare un canale di interessante comunicazione con le rinnovate vesti del principio di buona fede, da sempre caro al sistema di civil law.
L’obiettivo perseguito consiste nel verificare se i principi che regolano il nostro diritto dei contratti consentano all’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale di allargare il perimetro applicativo della figura giuridica di cui si tratta, superando lo scoglio interpretativo che induce l’orientamento più formalista a veder abdicare il principio pacta sunt servanda di fronte al potere di modifica unilaterale dell’accordo.
Capitolo I
I CONFINI MOBILI DELL’AUTONOMIA CONTRATTUALE: DALLA INTANGIBILITÀ ALLA FLESSIBILITÀ DEL CONTRATTO
1. Presunta incompatibilità tra potere di modifica unilaterale e principio dell’accordo
L’art. 1372, co. 1., c.c. recita: “il contratto ha forza di legge tra le parti”.
Con tale formula perentoria il legislatore sembra voler escludere la configurabilità di un potere di intervento unilaterale in chiave modificativa dell’assetto di interessi che le parti hanno convenzionalmente stabilito al momento della stipulazione del contratto.
Sul significato da attribuire a tale disposizione la più illustre letteratura si è divisa nel tempo: alcuni ritengono che costituisca fedele espressione del principio pacta sunt servanda, in virtù del quale le parti contraenti non possono, all’infuori della sussistenza del mutuo consenso e delle altre cause ammesse dalla legge, sottrarsi all’osservanza delle pattuizioni contrattuali modificandole unilateralmente. Secondo altre voci dottrinali, invece, si tratta di una formula enfatica, volutamente pleonastica in omaggio alla tradizione, che va declinata in concreto affinché l’interesse delle parti non risulti ingessato in quello risalente al momento perfezionativo dell’accordo2.
2 Se si considera il contratto non come materia fluida, plasmabile in funzione dell’interesse delle parti, ma come una “entità staccata dalla sfera individuale dei suoi autori e a questa sovra ordinata” (Xxxxxx, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, 280), si cristallizza la volontà iniziale
I termini della riflessione vanno impostati anche tenendo in considerazione che nei sistemi giuridici contemporanei, destinati a regolare economie di mercato, la garanzia di flessibilità del contratto acquisisce importanza sempre maggiore, essendo intimamente legata ad istanze di conservazione efficiente dei rapporti giuridico- patrimoniali di durata3.
Più estesa è, invero, la durata del contratto, più intensa risulta la esposizione dello stesso ad interferenze esterne che possono alterarne l’equilibrio, più difficile sarà dunque compiere nel momento perfezionativo dell’accordo una loro previsione ponderata con allocazione efficiente dei futuri rischi.
Come anticipato in premessa, il principio di conservazione del contratto crea un moto di esplorazione del terreno della sua
rassegnata dalle parti conferendole una perpetuità che, verosimilmente, non le appartiene. Voci di dottrina e giurisprudenza, tuttavia, propendono per la eccezionalità delle norme sullo ius variandi a causa della dubbia compatibilità di una clausola attributiva di un potere di variazione unilaterale con i principi di bilateralità del consenso (artt. 1321 e 1325 c.c.) e di vincolatività dell’accordo (art. 1372, co. 1, c.c.), e della conseguente presumibile nullità della stessa ai sensi dell’art. 1418, co. 2, c.c., per mancanza dell’accordo come elemento essenziale del contratto e/o per mancanza del requisito di determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto. In tal senso, De Nova, Il contratto ha forza di legge, in Scritti in onore di X. Xxxxx, II, Milano, 1994, 24; Bussoletti, La normativa sulla trasparenza: il ius variandi, in Dir. banca e merc. fin., 1994, I, 469 ss., ora in La nuova disciplina dell’impresa bancaria, II, L’attività delle banche, a cura di Xxxxxx e Xxxxx, Milano, 1996, 217 ss. Mentre altra parte della letteratura già da tempo considera lo ius variandi come un “fenomeno per niente affatto sconcertante, paradossale o iniquo”, x. Xxxxxxxxxxx, Poteri unilaterali di modificazione (“ius variandi”) del rapporto contrattuale, in Giur. comm., 1992, I, 24.
3 Ciò implica la rilettura dell’autonomia contrattuale anche alla luce dei
principi che garantiscono l’attuazione di un mercato libero: concorrenza, trasparenza, stabilità, liberalizzazione, tutela del consumatore. Si veda Camardi, Integrazione giuridica europea e regolazione del mercato. La disciplina dei contratti di consumo nel sistema del diritto della concorrenza, in Europa e dir. priv., 2001, 703.
manutenzione, meno arato rispetto a quello della risoluzione, attraverso l’analisi di strumenti di natura legale o convenzionale in grado di garantire il mantenimento in itinere di una corretta funzionalità del rapporto contrattuale.
Tra di essi, accanto alla tecnica della rinegoziazione contrattuale vera e propria4, invoca spazio lo ius variandi, inteso come potere, di origine legale o convenzionale, di modificare unilateralmente il contenuto dell’accordo.
Il pregiudizio nei confronti di tale figura ‒ cui cercheremo di attribuire una identità più definita ‒ è in parte giustificato, in quanto un potere conformativo unilaterale provoca una variazione dei diritti e degli obblighi delle parti che può facilmente incidere in senso peggiorativo su chi la subisce.
Eppure, il potere di modifica unilaterale può offrire la possibilità di rinnovare in modo più centrato la valutazione degli interessi coinvolti nel rapporto e collegati all’esecuzione della prestazione caratteristica. In altri termini, attribuendo al contraente dotato di maggiore esperienza il potere discrezionale di rideterminare alcuni
4 La rinegoziazione dei termini dell’operazione risulta senza dubbio la soluzione più equilibrata, tuttavia potrebbe non rispondere a un canone di efficienza perché non sempre “in corso d’opera” si conserva quella leale e reciproca attitudine negoziale indispensabile per il raggiungimento di un nuovo accordo; inoltre la rinegoziazione impone dei costi e dei tempi transattivi che vengono eliminati con l’attribuzione dello ius variandi ad una sola parte del contratto. Per uno studio approfondito sulla clausola di rinegoziazione, Frignani, La hardship clause nei contratti internazionali e le tecniche di allocazione dei rischi negli ordinamenti di civil e common law, in Riv, dir. civ., 1979, I, 684; Xxxxxxx, Adeguamento e rinegoziazione del contratto, Napoli, 1996, 169 ss.; Xxx Xxxxx, Sulle clausole di rinegoziazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2016, 3, 801.
aspetti contrattuali, si possono ottimizzare le performances e raggiungere in modo più efficace gli obiettivi posti dal contratto5.
Se proviamo per un attimo a prendere le distanze da una immediata reazione di scudo a tutela del contraente debole contro i possibili abusi compiuti in suo danno, si può valorizzare la possibile ratio dello strumento, ovvero l’esplicarsi di una facoltà che arricchisce il contratto senza pregiudizio per la sovranità della volontà contrattuale, essendo l’effetto modificativo autorizzato da un accordo delle parti in tal senso.
Il primo nodo da sciogliere consiste infatti pur sempre nel capire se lo ius variandi6 implichi una vistosa deroga al principio racchiuso nell’art. 1372 c.c. di necessaria bilateralità delle scelte modificative.
Parte della letteratura, facendo forza sul carattere enfatico della dizione normativa di cui all’art. 1372 c.c., si è spesa in senso favorevole alla ammissibilità di un potere modificativo unilaterale, il quale può essere considerato esplicazione dell’autonomia contrattuale pur in assenza di una norma generale autorizzativa del suddetto potere.
A ben vedere, nel corpo dell’art. 1372 c.c. vive senz’altro il principio della irretrattabilità del consenso prestato rispetto a quel
5 Gambini, Fondamento e limiti dello ius variandi, Napoli, 2000, 262, evidenzia come nella disciplina del contratto di vendita di pacchetti turistici, lo ius variandi accordato dalla legge al professionista trovi giustificazione nella migliore valutazione da parte di quest’ultimo della tutela degli interessi di entrambi i contraenti.
6 Sull’utilizzo dell’articolo “il” o “lo” davanti alle parole latine ius variandi si veda Geymonat, Jus variandi: “il” o “lo”? (Risposta ad un anonimo), in Banca, borsa e tit. cred., 1997, I, 305. Per quanto riguarda chi scrive, l’uso dell’articolo determinativo «lo» per la parola latina «ius» riflette una mera preferenza eufonica tra la forma più largamente utilizzata nella prosa giuridica e la più rigorosa forma «il», x. Xxxxxxxxxx, La normativa sulla trasparenza: il jus variandi, in Dir. banca e merc. fin., 1994, I, 469.
certo assetto di interessi pattuito, e, pertanto, prima facie sembra giusto affermare che lo stesso sia sottratto alla modificabilità unilaterale.
D’altro canto, ove lo ius variandi trovi titolo nel contratto, è incontestabile che a suo fondamento si trova pur sempre un accordo: in questo senso, l’art. 1372 c.c. potrebbe essere letto non in antitesi con l’art. 1322 c.c. ma come un suo completamento.
Altra rispetto alla questione della teorica ammissibilità di uno ius variandi pattizio è quella della possibile prospettazione di una nullità relativa - o di protezione - a tutela della parte contraente che lo subisce. Anche tra le maglie di questa riflessione è possibile trovare conferma della sua astratta ammissibilità: se in un terreno contrattuale come quello consumeristico, e più in generale nel diritto dei contratti asimmetrici, tale clausola viene talora esplicitamente vietata (si pensi all’art. 6, comma 1, l. 18 giugno 1998, n. 192) o considerata presuntivamente vessatoria (ex art. 33, comma 2, lett. m- o, c. cons.), è perché la stessa, in difetto di un’espressa previsione contraria, può ritenersi valida. Invero, se la nullità di una clausola attributiva di ius variandi fosse in re ipsa, non ci sarebbe bisogno di specifiche norme proibitive7.
Come prima si accennava, peraltro, ragionando in termini di invalidità di ogni clausola attributiva di una facoltà di modifica
7 Uno degli argomenti utilizzati in dottrina per affermare come non sia rintracciabile tra le maglie del nostro ordinamento un divieto generale di prevedere contrattualmente uno ius variandi a favore di uno dei contraenti è proprio l’esistenza di previsioni di legge come l’art. 6, l. 18.6.1998, n. 192 (divieto di modifiche unilaterali nella subfornitura), il quale, escludendone l’ammissibilità nel caso specifico, sarebbe spia di una generale compatibilità del medesimo con i principi del nostro diritto dei contratti. Si veda Xxxxx, Le clausole attributive dello ius variandi, Milano, 2008, 86 ss.
unilaterale del contratto, si finisce con il trascurare che un potere modificativo esercitato cum causa, sorretto cioè da un interesse meritevole di tutela, ha il pregio di consentire l’equilibrato svolgersi del sinallagma contrattuale: solo assecondando in executivis il dinamismo delle vicende sopravvenienti si realizza quella capacità di adattamento che integra l’auspicata flessibilità del contratto.
Il problema si sposta dunque dall’an al quomodo del suo esercizio: il limite all’autonomia contrattuale non dovrebbe operare sul piano della validità, bensì su quello della legittimità del suo concreto esercizio, attraverso un sindacato ex fide bona sul livello di discrezionalità e ragionevolezza utilizzato dall’autore della xxxxxxxx0.
In altri termini, affermare la validità delle clausole che attribuiscono ad uno dei contraenti il diritto di modificare unilateralmente il regolamento negoziale non significa lasciare privo di tutela il contraente che a tale diritto si sia volontariamente assoggettato: la tutela si sposterà, come vedremo, da un giudizio ex ante in ordine alla validità o invalidità della clausola attributiva di ius variandi, aprioristicamente considerata, ad un sindacato ex post tramite il quale tracciare la linea di confine tra esercizio legittimo e illegittimo del medesimo, utilizzando i criteri positivi della meritevolezza dell’interesse, della buona fede, dell’equilibrio tra le prestazioni contrattuali9.
8 Per uno studio sul punto, Capurro, La clausola di ius variandi tra giudizio di validità e sindacato sull’esercizio del diritto, Contr. impr., 2013, 6, 1341 ss.
9 In questo contesto si inserisce il quesito circa la estendibilità anche in tema di ius variandi del recente dibattito giurisprudenziale in merito al c.d. abuso del diritto di recesso. Come vedremo meglio in seguito, di recente la Suprema Corte, pur riconoscendo la piena legittimità di un diritto potestativo a
2. Ius variandi alla luce del concetto di causa concreta
Particolarmente importante è la valutazione in ordine alla meritevolezza dell’interesse, cui va subordinato il giudizio sulla validità di pattuizioni non oggetto di esplicita considerazione normativa, come nello specifico quelle attributive di un potere di modifica del rapporto contrattuale.
Il giudizio di meritevolezza è intimamente riconducibile al più generale principio causalistico, oggi accolto nel nostro ordinamento con le rinnovate vesti della causa “concreta”, intendendo con tale accezione l’approdo giurisprudenziale e dottrinario del concetto di causa dell’ultimo decennio.
La metamorfosi della causa ha inciso profondamente sul concetto di meritevolezza previsto dall’art. 1322, comma 2, c.c., lasciando aperto il dibattito sul se e in quali termini sia possibile, alla luce di tali cambiamenti, ridisegnare il perimetro del sindacato sull’equilibrio economico del contratto.
Nel modello di contratto codicistico, in cui non ci sono asimmetrie informative o economiche cui il legislatore intende dar rilievo e ove le parti sono considerate custodi assolute dei rispettivi interessi, vale il summenzionato principio pacta sunt servanda: la volontà immune da vizi del consenso e suggellata dal contratto è sovrana e non si espone con facilità a interventi di rimodulazione.
Sono previsti dal legislatore alcuni interventi rimediali per far fronte a circostanze originarie di disequilibrio contrattuale: si pensi alla rescindibilità del contratto concluso in stato di pericolo (art.
recedere convenzionalmente attribuito ad un contraente ne ha ritenuto abusivo l’esercizio che possa comportare un grave vulnus alle ragioni dell’altro contraente.
1447 c.c.) e qualora vi sia stato approfittamento dello stato di bisogno (art. 1448 c.c.).
Così come la sproporzione originaria delle prestazioni viene presa in considerazione solo in ipotesi eccezionali, l’intervento del legislatore è previsto, in via altrettanto eccezionale, a fronte di sopravvenienze idonee ad alterare l’equilibrio contrattuale iniziale in modo macroscopico: ed è qui che trova sede la risoluzione per inadempimento, impossibilità ed eccessiva onerosità sopravvenute.
Tornando dunque ad una considerazione di ordine generale, l’equilibrio tra le prestazioni contrattuali non è di norma oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore, in quanto la volontà delle parti, se formatasi esente da vizi, è sovrana10.
Se questo è il quadro di riferimento, occorre dunque chiedersi in che modo i nuovi concetti di causa e meritevolezza possano
10 All’interno della disciplina sul contratto possiamo tuttavia rintracciare una norma in virtù della quale ammettere l’esistenza di un sindacato sul contratto valido, in quanto immune da vizi del consenso, ma sproporzionato tra le parti: l’art. 1440 c.c. in tema di dolo incidente. Con tale figura si intende prendere in considerazione l’ipotesi in cui un contratto sia valido ma svantaggioso per una delle parti, in quanto concluso a condizioni diverse da quelle virtualmente applicabili a causa di raggiri perpetrati da una parte a scapito dell’altra in sede precontrattuale. La responsabilità precontrattuale, dunque, fa sorgere in questo caso una responsabilità risarcitoria per il danno differenziale che viene calcolato ponendo a confronto il contratto concluso e il contratto che si sarebbe dovuto concludere. La norma sul dolo incidente ammette dunque l’esercizio di un sindacato sull’equilibrio originario del contratto. X. xxx xxxxx Xxxx. 00 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, in Foro it., 2008, I, c. 783, con nota di Xxxxxxxx, La violazione delle regole di comportamento dell’intermediario finanziario e le sezioni unite. Dopo tali sentenze si è definitivamente chiarito che il contratto concluso in base a circostanze imputabili alla malafede di una parte, ignote all’altra, legittima una pretesa risarcitoria per aver determinato un assetto sconveniente per l’altra. Si veda, Vettori, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni unite, in Obb. Contr., 2008, 104; id., Nullità selettive e riequilibrio effettivo. L’evoluzione della buona fede, in Pers. Merc., 2019, 4, 21.
interferire con il sindacato sull’equilibrio generale del contratto e sulla ammissibilità di una clausola attributiva di ius variandi ad una delle parti.
Il concetto tradizionale di causa astratta, che coincide con il tipo negoziale di riferimento, non rileva in questa direzione: la causa intesa come funzione economico-sociale del contratto viaggia su binari paralleli rispetto al concetto di equilibrio contrattuale.
Se il tipo è legale, la causa c’è per definizione e allora non ha importanza indagare sull’equilibrio tra le prestazioni, che sembra piuttosto costituire un terreno più prossimo a quello dei motivi. Quando però si comincia a qualificare la causa come funzione economico-individuale, i termini del ragionamento cambiano: il confine tra motivo e causa diventa più labile e il passaggio dall’una all’altra categoria si realizza quando la ragione economico- individuale costituente motivo riceve una oggettivizzazione all’interno del regolamento negoziale, compenetrandosi nella causa.
Tuttavia, affinché ciò sia possibile, occorre che la causa emerga dal contratto all’esito di un’indagine condotta in concreto: senza il paracadute del tipo negoziale la causa va ricercata e fatta coincidere con la spiegazione economica del contratto (si parla di equilibrio economico, in quanto ciò che conta è la presenza di una qualsivoglia utilità economica, la quale può prescindere anche del tutto dall’utilità pecuniaria: si pensi ad una esibizione su di un palco importante e di fronte ad una vasta platea, la quale, anche se gratuita, può garantire in termini pubblicitari un ritorno economico molto maggiore rispetto al compenso eventualmente pattuito per la stessa).
Se tale utilità economica manca o non si evince dal contratto nonostante gli sforzi di una ricerca condotta in concreto, allora la causa resta opaca: un forte squilibrio tra le prestazioni dovrà necessariamente essere spiegato attraverso la presenza di una giustificazione economica alternativa per non esporre il contratto al rischio di una sanzione di nullità per assenza di causa11.
La possibilità che l’assenza della causa concreta impedisca la formazione di un equilibrio contrattuale, legittimando il sindacato giurisdizionale, si può osservare relativamente al contratto stipulato tra tour operator e cliente per l’espletamento di un soggiorno turistico. La causa concreta del suddetto è rinvenibile in una finalità di benessere e di svago che viene inevitabilmente compromessa con la sopravvenienza di circostanze eccezionali, quali un’epidemia sul luogo del soggiorno, le quali seppur non imputabili alla colpa del tour operator generano un rischio posto a suo carico, determinando la risoluzione del contratto.
Dunque, le sopravvenienze non riescono a frustrare la causa intesa in senso astratto ma possono frustrare la causa concreta del contratto, andando a incidere su un elemento essenziale dello stesso.
Con il passaggio al concetto di causa concreta si assiste ad una apertura dell’ordinamento verso il principio “rebus sic stantibus”.
Secondo l’impostazione tradizionale il rischio della sopravvenienza è congenito nello scambio, è un’alea naturale dello stesso. Pertanto una parte lo subisce senza possibilità di porvi
11 Si pensi al caso della donazione indiretta, su cui si sono pronunciate le Sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 18725 del 27 luglio 2017.
rimedio, in quanto la stabilità del contratto non può essere mortificata attribuendo rilevanza a un rischio atipico.
Con l’approdo al concetto di causa concreta, invece, si scopre una prospettiva nuova: il contratto ha forza di legge tra le parti, sì, ma solo fino a che ciò risulta compatibile con l’attuale interesse delle stesse.
Il giudizio di meritevolezza, come sopra anticipato, ha subito un’evoluzione sulla falsariga della causa.
Secondo molti il requisito della meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c. dovrebbe essere oggetto di un’interpretazione abrogatrice, essendo figlio di un concetto di causa non più attuale. Quando la causa era ancora accolta in veste “astratta” la meritevolezza serviva per assistere i negozi atipici, in quanto per questi ultimi diventava reale la necessità di ricercarne la funzione sociale, non compendiata in un tipo negoziale previsto dal legislatore. Con il passaggio al concetto di causa concreta è più difficile individuare il ruolo della meritevolezza, in quanto non è più compito del contratto quello di assolvere ad una funzione socialmente utile: la ragione può anche essere futile, purché corrisponda ad un interesse economico reale e concreto della parte12. Nonostante in letteratura si registri la suddetta tendenza, una giurisprudenza recente ha inteso recuperare e valorizzare il ruolo della meritevolezza nel sindacato sull’equilibrio contrattuale, affermando che tale criterio costituisce l’equivalente in ambito codicistico del giudizio in ordine allo squilibrio fra le prestazioni nel
12 Conferma di ciò sarebbe il richiamo esplicito al concetto di meritevolezza incluso nell’art. 2645 ter c.c., di recente introduzione e dedicato al negozio di destinazione, che appare coerente solo in un contesto connotato dalla tacita abrogazione del suddetto concetto per quanto concerne la disciplina generale.
contratto consumeristico: la clausola squilibrata del contratto del consumatore equivarrebbe alla clausola immeritevole nel modello generale del contratto codicistico13.
Dunque, stando agli ultimi sviluppi giurisprudenziali, si può osservare come sia il concetto di causa concreta che quello di meritevolezza vengano utilizzati per aprire un varco sulla tendenziale insindacabilità dell’equilibrio economico originario del contratto, rideterminandone il perimetro e offrendo spunti utili di riflessione in ordine alla ammissibilità e ai limiti del potere di modifica unilaterale del rapporto contrattuale.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, per una clausola di ius variandi convenzionale esercitata a seguito di una sopravvenienza inidonea ad alterare l’assetto negoziale potrebbe profilarsi un problema di nullità per assenza di meritevolezza della clausola14.
13 Si parla della più recente giurisprudenza in tema di validità delle claims made nei contratti di assicurazione (S. U. n. 9140/2016), in cui si afferma che “nel contratto di assicurazione della responsabilità civile, la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. claims made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di alcune condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza”, determinando lo stato di soggezione di una parte all’altra e impedendo alla parte svantaggiata di assolvere spontaneamente i doveri di solidarietà sociale costituzionalmente garantiti (la parte, consapevole del rischio di pagare il premio a vuoto per l’assenza di copertura assicurativa, non è incentivata all’adempimento spontaneo). Sul giudizio di meritevolezza riferito alle clausole di rinegoziazione si veda Cesaro, Xxxxxxxx di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, Napoli, 2000.
14 Sicchiero, La distinzione tra meritevolezza e liceità del contratto tipico, in Contr. e
impr., 2004, 545 ss., mette in luce come vi siano indici ulteriori rispetto alla
Restando in tema di limiti alla ammissibilità dello ius variandi, occorre richiamare la distinzione tra negozi di primo e di secondo grado, destinati, questi ultimi, a regolare i primi.
La vicenda modificativa si colloca a metà strada rispetto a quella della costituzione e della estinzione e non è risolubile in una sintesi giuridica delle due, poiché opera senza soluzione di continuità tra il prima e il dopo15.
La clausola attributiva di ius variandi può conferire un potere unilaterale di modifica del contratto ma non può spingersi sino a legittimare un potere estintivo o estintivo-costitutivo, in quanto questo si andrebbe a collocare al di fuori delle maglie contrattuali, con un possibile approdo sul terreno degli atti unilaterali atipici.
Nonostante tale ultima categoria trovi un ostacolo per il suo accoglimento nella lettera dell’art. 1987 c.c., secondo il quale la promessa unilaterale “non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge”, da più parti si registra un certo favore verso la
violazione di norme imperative che il giudice potrà individuare e valorizzare per escludere la validità di un determinato contratto.
15 Si pensi, solo a finalità esplicative, ad un possibile parallelismo con alcune vicende modificativa che possono verificarsi nel contratto sociale. Anche in questo caso, la necessità di adeguare la veste della società di capitali a mutate esigenze giustifica la legittimità di modifiche dell’atto costitutivo attuate con il voto favorevole della maggioranza (non è richiesta nella maggior parte dei casi l’unanimità del consenso dei soci, tranne quando, trattandosi di trasformazione in società di persone, gli stessi soci perdono il beneficio della responsabilità limitata). Inoltre, autorevole dottrina fa notare come in tali vicende (con particolare riferimento all’operazione straordinaria della fusione), il tratto caratterizzante sia non già l’effetto estintivo-costitutivo, bensì la continuità dei rapporti giuridici in esse coinvolti. Si veda in tal senso, Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, 9a edizione, Milano, 2019, 646.
possibilità di costituire atti unilaterali atipici, purché favorevoli al beneficiario e salva la possibilità di rifiutare l’iniziativa altrui16.
Tale schema strutturale tuttavia non si concilia con uno ius variandi a contenuto estintivo-costitutivo: pur non potendo escludersi un eventuale vantaggio per il destinatario, il suo aprioristico consenso peccherebbe di indeterminatezza, poiché prestato senza conoscere il contenuto concreto del potere cui lo stesso ha accettato di sottoporsi.
Non vale come argomentazione contraria la ammissibilità del recesso unilaterale previsto dall’articolo 1373, comma 1, c.c.: è vero che in questo caso il vincolo contrattuale può sciogliersi attraverso l’iniziativa di una singola parte ma tale facoltà estintiva risponde ad una esigenza di carattere generale dell’ordinamento giuridico, quella di non perpetuare vincoli contrattuali “obsoleti”, che non rispondono più ad un interesse attuale delle parti17.
16 Xxxxxxx, Diritto civile e commerciale, II, t. 1, 4° ed., Padova, 2004, 286, osserva in proposito: “non si dica che ammettere atti unilaterali atipici nell’ambito di un sistema causale significa pur sempre sottoporli al controllo giudiziario sulla meritevolezza dell’interesse perseguito, a norma dell’art. 1322, comma 2. Un simile controllo sortirebbe esito positivo ove si accertasse che l’atto di un soggetto “trova causa” nell’atto del destinatario; e questo accertamento finirebbe, manifestamente, con il restituire contrattualità al rapporto, nonostante la diversa configurazione prescelta dalle parti. Atti unilaterali che hanno in sé la propria causa, ossia la ragione della meritevolezza dell’interesse perseguito, sono socialmente eccezionali; e questa loro sociale eccezionalità spiega la loro giuridica tipicità”.
17 Secondo Xxxxxxxxxxx, voce Modificazione unilaterale del contratto (dir. civ.), in
Enc. dir. Xxxxxx, VI, 2013, non può essere utilizzata in favore della ammissibilità dello ius variandi di origine pattizia l’analogia tra lo stesso e il recesso convenzionale ex art. 1373 c.c.: “non si può infatti dire che, se ad una parte è consentito unilateralmente sciogliersi da un contratto (maius) allora non le si può denegare la facoltà di modifica (minus): lo ius variandi invero, col fatto che viene a normalizzare un assetto di interessi diverso da quello inizialmente programmato, esprime all’evidenza una sorpresa, in danno
In altri termini, viene valutata ex ante dal legislatore la meritevolezza del potere di recesso unilaterale al fine di favorire la via d’uscita da un accordo contrattuale non più “efficiente”, la cui prosecuzione comporterebbe un dispendio di risorse e costituirebbe un limite alla circolazione dei beni.
Xxxxx sarebbe invece legittimare l’esercizio unilaterale di uno ius variandi dal contenuto estintivo-costitutivo, con il quale si andrebbe a legittimare un fenomeno novativo ad iniziativa unilaterale, mentre l’art. 1230, comma 1, c.c. afferma che l’animus novandi, ossia la volontà di estinzione del precedente rapporto giuridico e contestuale costituzione del nuovo, debba sussistere in capo ad entrambe le parti del rapporto.
Per effetto di variazioni unilaterali, dunque, in cui manca il requisito della bilateralità necessario ai fini dell’integrazione dell’animus novandi, sono attuabili solo mutamenti che incidano su alcuni aspetti della prestazione, senza che venga toccato il nucleo fondamentale di interessi preesistente, al punto da determinare, in via di fatto, la nascita di un nuovo contratto18.
dell’affidamento legittimo della controparte, incidente in modo assai più pregnante ed invasivo sul rapporto in itinere. C’è, come si è fatto felicemente notare, un grado di arbitrarietà maggiore nel potere di modificare un contratto che in quello di scioglierlo”.
18 Xxxxxxx, op. cit., 82, rileva che “la configurabilità di effetti novativi nell’esercizio dello ius variandi sembra doversi considerare preclusa dal dettato degli artt. 1230 e 1231 c.c., dai quali si può desumere che il limite insuperabile alla discrezionalità della parte investita del potere modificativo è rappresentato, in negativo, dal divieto di alterare l’identità del rapporto, e, in positivo, dal carattere necessariamente accessorio della modifica realizzata”.
3. La determinatezza o determinabilità dell’oggetto
Abbiamo anticipato come, anche in presenza della volontà di costruire e rispettare un certo assetto negoziale, l’ordinamento si riserva di valutare la legittimità degli atti di esercizio dell’autonomia privata.
La determinatezza o la determinabilità dell’oggetto del contratto sono requisiti che il legislatore prevede come necessari affinché i confini dell’impegno contrattuale siano definiti in modo chiaro.
Un altro nodo da sciogliere consiste pertanto nel capire se la potestas variandi attribuita ad una parte sia idonea a confliggere con tale previsione normativa. La giurisprudenza si è sempre dimostrata incline ad un orientamento liberale, confinando la nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto a casi eccezionali in cui si palesi una pressoché assoluta impossibilità di individuare e “salvare” l’operazione economica, in applicazione del principio di conservazione del contratto.
Tuttavia, un certo filone della letteratura ha negato con fermezza che il contratto possa riservare ad una parte la determinazione dell’oggetto, sulla base del rilievo normativo per cui la legge prevede solo la possibilità di deferimento ad un terzo (art. 1349 c.c.).
Tale dottrina ammette il c.d. arbitraggio di parte, con il limite dell’arbitrum boni viri19 - in quanto la remissione al mero arbitrio di una
19 Viene cioè esclusa l’ammissibilità delle clausole rimesse al mero arbitrio della parte, ad esempio “mi pagherai il prezzo che vorrai”, o “aumenterai il canone a tua discrezione”. Mentre, soprattutto nei casi in cui l’elemento di fiduciarietà del negozio assume un rilievo determinante, non sarebbero rinvenibili ostacoli alla ammissibilità dell’arbitraggio di parte come rimessione all’equo apprezzamento. L’accettazione del margine di discrezionalità ineliminabile anche nell’equo apprezzamento di una parte non contrasterebbe con l’autonomia privata, secondo alcuni in particolare in quanto tale facoltà non costituisce espressione di un potere costitutivo-innovativo, bensì un atto
delle parti andrebbe a costituire un potere condizionante l’esistenza stessa del vincolo - e con l’esclusione della possibilità di determinare l’oggetto del contratto20.
La previsione contenuta nell’art. 1349 c.c. circa la possibilità di deferire la determinazione dell’oggetto del contratto ad un terzo, dunque a chi non è parte, confermerebbe che nell’intenzione del legislatore tale facoltà non può competere ad un soggetto del rapporto negoziale, con conseguente nullità del contratto il cui oggetto sia rimesso alla determinazione unilaterale di quest’ultima21.
Nonostante tale riferimento normativo sembri essere contrario, l’idea non è del tutto estranea né alla nostra tradizione giuridica, e l’esperienza tedesca lo conferma, né alla prassi commerciale avallata dal
di natura accertativo-ricognitiva, tendente a precisare una volontà riferibile ad entrambe le parti, in quanto frutto della valutazione di circostanze previamente valutate in vista della ponderazione del rischio dell’operazione contrattuale. In questo senso, Xxxxxxxxx, Arbitraggio e determinazione dell’oggetto del contratto, Napoli, 1995, 339 ss.
20 Bianca, in Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1991, p. 335, ricava dalla disciplina delle obbligazioni alternative un principio di carattere generale, quello della determinazione successiva del contratto ad opera di una delle parti “nei limiti in cui non si presti ad alterare la posizione dell’altro contraente”. Anche Xxxxx, op. cit., 356 ss., si apre alla determinazione unilaterale, che sarebbe ammissibile ponendo limiti alla discrezionalità della parte, al fine di arginare esiti imprevedibili e inaccettabili. In giurisprudenza, sulla clausola contrattuale che riservi alla successiva determinazione di una parte la definizione dell’oggetto del contratto si veda Trib. Milano, 23 febbraio 2005, L'oggetto del contratto tra determinabilità e necessaria determinatezza, in Contratti, 2005, p. 853 ss., con commento di Senigaglia.
21 Solo l’ordinamento tedesco riconosce espressamente la possibilità che la
determinazione dell’oggetto del contratto sia demandata a un contraente (§ 315 BGB). Il diritto inglese tradizionalmente nega la validità di clausole che attribuiscano ad un contraente il diritto di determinare unilateralmente l’oggetto del contratto, in quanto si sarebbe in presenza di un accordo viziato da uncertainty. In tal senso, v. X. Xxxxxxx, The law of contract, fourth ed., London, 2003, 331.
Draft Common Frame of Reference22, che afferma la validità della clausola di determinazione unilaterale dell’oggetto del contratto, riconosciuta anche dai Principi dei contratti commerciali redatti dall’Unidroit e dai Principi di diritto europeo dei contratti23.
Anche per questo motivo le opinioni contrarie sono state di recente bersaglio di critiche, poiché sarebbero caratterizzate da riserve di ordine psicologico più che da argomentazioni tecnico giuridiche: “l’idea della parte arbitratore rappresenta un tabù che incute timore, inducendo a considerazioni allarmistiche sullo strapotere concesso a una parte a discapito dell’indifesa controparte, costretta a subire vessazioni di ogni sorta. È insomma sinonimo di abuso e capriccio e non può in quanto tale essere accolta”24.
Altri autori, percorrendo invece una linea interpretativa favorevole, distinguono a seconda che il potere determinativo sia rimesso tout court alla parte in quanto tale oppure in veste di arbitratore: soltanto la seconda ipotesi rientrerebbe infatti nel paradigma normativo dell’art. 1349 c.c. e permetterebbe di essere sottoposta al controllo e ai rimedi previsti dal medesimo. Una opinione incline a dare credito all’arbitraggio di parte, formatasi peraltro in materia di ius variandi,
22 Cap. 9, par. 105 del II libro. V. Chr. Von bar - X. Xxxxx - X. Xxxxxxx-Nàlke, Principles, Definitions and Model Rules of European Private Law, Draft Common Frame of Reference (DCFR), Xxxxxxx, 0000.
23 L’art. 6:105 (“Unilateral determination by a party”) afferma: “Where the price or any other contractual term is to be determined by one party and that party’s determination is grossly unreasonable then, notwithstanding any provision in the contract to the contrary, a reasonable price or other term is substituted”. Tale formulazione, oltre a costituire una decisa presa di posizione a favore della validità della clausola, salva la validità della pattuizione anche qualora non contenga alcun criterio o limite alla potestà determinativa della parte, attribuendo al giudice un potere integrativo e suppletivo.
24 Zuddas, L’arbitraggio, Napoli, 1982, 77.
propone di ritenere ammissibile l’attribuzione ex ante per contratto di poteri unilaterali di determinazione dell’oggetto, salvo poi verificare ex post, applicando la clausola generale di buona fede, se il potere sia stato esercitato per le finalità per cui era stato conferito25.
Rimessione ad una parte della determinazione dell’oggetto del contratto e ius variandi sono figure affini, tuttavia mentre la prima implica un’attività vincolata, poiché il contratto non potrebbe esistere senza la specificazione del suo oggetto, il potere unilaterale di modifica di alcuni aspetti del contratto rimane discrezionale, integrando l’esercizio di un diritto potestativo consistente nel determinare una variazione – fino al suo concretizzarsi – solo eventuale26.
Riguardo la preventiva fissazione nel contratto di criteri o limiti all’esercizio dello ius variandi, non c’è unanimità di vedute in letteratura. Alcuni autori ritengono che il parametro possa essere anche solo quello dell’equilibrio contrattuale tratteggiato dalle parti nel
25 Fici, Osservazioni in tema di modificazione unilaterale del contratto (ius variandi), Riv. crit. dir. priv., 2002, 389; ID., Il contratto incompleto, Torino, 2005, 219 ss.
26 Tuttavia, vi sono situazioni nelle quali lo ius variandi è concepito nell’interesse della controparte, e pertanto in capo al titolare del potere di modifica viene posto un vero e proprio obbligo di variazione, con conseguente responsabilità in caso di mancato adempimento dello stesso. Si pensi a casi giurisprudenziali eccezionali, Xxxx. 11 dicembre 1995, n. 12647, e Cass., 26 febbraio 1998, n. 2079, relative al c.d. “venerdì nero” della lira. In dottrina, si veda Roppo, Autonomia privata e poteri unilaterali di conformazione del contratto, in Confini attuali dell’autonomia privata, a cura di Belvedere e Granelli, Padova, 2001, p. 152. Può anche accadere che, nel corso del rapporto contrattuale, l’iniziativa di una parte miri ad apportare all’altra vantaggi patrimoniali, prevedendo ad esempio una dilazione maggiore nel pagamento. In un caso simile, la valutazione di liceità della clausola è agevolata dal fatto che la modificazione della sfera giuridica del destinatario avviene in senso favorevole a quest’ultimo, e previo suo consenso, in conformità con quanto previsto dall’articolo 1333 c.c., che consente all’iniziativa unilaterale di arrecare vantaggio al destinatario della proposta, salva la possibilità di rifiutare. In altri termini una simile clausola agevola la parte che rimane inattiva, nel cui vantaggio il diritto di variazione viene esercitato.
contratto e della buona fede: in altri termini, in assenza di una pattuizione ex ante dei criteri di esercizio, questi dovrebbero essere ricostruiti alla luce dell’assetto giuridico ed economico complessivo. Secondo altri, invece, solo dall’individuazione preventiva di criteri e limiti il patto attributivo dello ius variandi può trarre giustificazione e ritenersi espressione corretta del principio di cui all’art. 1322 c.c., poiché l’autonomia contrattuale non può legittimare una alterazione ad nutum della composizione di interessi consacrata nel regolamento negoziale27.
Rispetto all’attività di arbitraggio, lo ius variandi consiste nel modificare elementi già fissati nel contratto, e non nel definire il contenuto di elementi mancanti28. In tal senso il potere di variazione presenta una intensità inferiore rispetto a quello di determinazione unilaterale dell’oggetto del contratto, in quanto la modifica deve presentare un certo grado di aderenza con l’assetto negoziale originario
27 Scarpello, op. cit.,125.
28 Si pensi a quanto previsto dall’art. 14 del D. lgs. 141/2010 che ha modificato l’art. 118 TUB, stabilendo che le modifiche unilaterali non possano comportare l’introduzione di clausole ex novo, ma solo la variazione di condizioni già presenti.
e inserirsi in un orizzonte di ragionevole prevedibilità29, in virtù del principio di buona fede30.
4. Affinità con il diritto di recesso
Riprendendo le fila della riflessione sopra anticipata, nel nostro diritto dei contratti possiamo enucleare tre modelli: il primo è quello codicistico, un contratto tra “uguali” che ammette pertanto solo un intervento minimalista da parte del legislatore.
Alla tendenziale insindacabilità dell’equilibrio plasmato dalla volontà delle parti propria di tale modello si contrappone il contratto asimmetrico, rispetto al quale prevale un’istanza superiore di protezione del contraente debole.
29 Oltre a quello di buona fede, alcuni autori hanno utilizzato il concetto - appartenente alla teoria generale del diritto - di interesse legittimo come situazione sostanziale e in particolare di interesse legittimo di diritto privato, di cui sarebbe titolare il contraente assoggettato alla modifica e che andrebbe a delimitare – da un punto di vista “relazionale” – il potere contrattualmente attribuito all’altro contraente. In questo senso, Xxxxxxxxxxx, Poteri di modificazione unilaterale del rapporto contrattuale ed interesse legittimo di diritto privato, in Il diritto privato nel prisma dell’interesse legittimo, a cura di Xxxxxxx, Bruscuglia, Xxxxxxxx, Torino, 2001, 299 ss., il quale rinvia agli studi compiuti da Xxxxxxxxx Xxxx, Contributi ad una teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato, Milano, 1967.
30 Sulla funzione integrativa del contratto assolta dal criterio della buona fede
oggettiva, idonea a individuare e delimitare le posizioni giuridiche soggettive dei contraenti esiste una vastissima letteratura, ex multis, Roppo, Il contratto, op. cit., 465 ss.; Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, p. 117 ss. Sembra interessante cogliere come spunto di riflessione pertinente a riguardo la giurisprudenza formatasi in merito alla c.d. fideiussione omnibus prima della novella del 1992, la quale ha ritenuto che la posizione del fideiussore non possa ritenersi pregiudicata a priori in caso di mancata predeterminazione di un tetto massimo, poiché esulano dalla copertura fideiussoria le operazioni bancarie poste in essere in violazione del principio di buona fede (si veda, Cass., 18 luglio 1989, n. 3362, in Foro it., 1989, I, 2750 ss. con note di Pardolesi, Di Maio, La fideiussione “omnibus” e il limite della buona fede, e di Mariconda, Fideiussione “omnibus” e principio di buona fede, in Giust. civ., 1990, 1, I, 126).
Il contratto asimmetrico concluso tra consumatore e professionista postula un controllo massimo da parte del legislatore che si realizza attraverso una disciplina eteronoma del rapporto negoziale finalizzata a compensare la menomazione informativa congenita a danno del consumatore31.
Al fine di evidenziare la sostanziale diversità tra i due modelli di contratto prendiamo in esame una figura che presenta anche una innegabile affinità con lo ius variandi: il diritto di recesso.
Come già più volte ricordato, il legislatore, evocando l’importanza e la cogenza della volontà, afferma con formula enfatica che il “contratto ha forza di legge”: da qui deriva l’eccezionalità del recesso nel modello di contratto codicistico.
Mentre il recesso negoziale, ex art. 1376 c.c., non contraddice la “signoria della volontà”32, quello legale interviene su di essa rompendo
31 In termini generali si può osservare che il contratto disciplinato dal codice civile è poco formalistico - la forma è richiesta solo per richiamare l’attenzione delle parti in casi particolarmente rilevanti (es. locazione ultra novennale) - mentre il contratto consumeristico lo è molto di più (si parla infatti di neo formalismo negoziale) in quanto la forma serve per un fine diverso, che è quello di veicolare l’informazione precontrattuale. Le norme che si preoccupano della forma dei contratti del consumatore specificano anche quali contenuti devono essere forniti: il contratto, anche se redatto per iscritto, è nullo se gli stessi mancano (c.d. forma-contenuto, che il codice civile non conosce). Sul formalismo nella disciplina dei mercati finanziari si veda lo studio di Xxxxx, Forma contrattuale e tutela del contraente “non qualificato” nel mercato finanziario, Milano, 1996; Xxxxxxxx, “Trasparenza” bancaria e diritto “comune” dei contratti, in Banca borsa e tit. cred., 1990, I, 304 ss.
32 Anche il fondamento del potere convenzionale di recesso va rintracciato,
come per lo ius variandi, nel riconoscimento dell’autonomia contrattuale delle parti. Afferma Roppo, Il contratto, in Tratt. dir. priv., a cura di Xxxxxx e Xxxxx, Milano, II ed., 2001, p. 545, che la disciplina di cui all’art. 1343 c.c. ha carattere dispositivo, “consentendo alle parti di sottoporre il recesso a regole convenzionali, divergenti da quelle legali. A maggior ragione le parti possono modellarlo liberamente sui punti non toccati dal regime legale: scegliendo se attribuirlo a una sola di esse, o a entrambe; se vincolarlo a forme e termini,
il vincolo cogente ed è per questo ammesso con parsimonia e in una forma il più possibile coerente con il principio pacta sunt servanda.
Se tentiamo di ricondurre a sistema le ipotesi di recesso legale possiamo individuare una prima forma di recesso c.d. “determinativo”, che consente cioè di specificare la durata di un contratto nato sprovvisto di tale termine: la parte può, dandone preavviso, recedere. Non si tratta di un recesso eversivo rispetto al principio pacta sunt servanda perché l’ordinamento mal tollera i contratti perpetui e intende, colmando quella che viene considerata una lacuna del regolamento, porre fine ad una situazione di incertezza negoziale.
Possiamo individuare poi un recesso “di autotutela”, finalizzato a rimediare a dei vizi, originari o sopravvenuti. Il più noto è il recesso per l’inadempimento altrui: si tratta di uno strumento di tutela privatistica che rappresenta una forma di risoluzione stragiudiziale, in quanto da rilievo in via di autotutela a vizi che in sede giudiziale comporterebbero presumibilmente una risoluzione; dunque anch’esso non sembra eversivo rispetto al principio pacta sunt servanda.
La terza forma di recesso legale, che potrebbe interferire più pesantemente con tale principio, è il recesso ad nutum previsto in quei contratti in cui viene in rilievo un facere, come l’appalto, il mandato, il trasporto. Pensiamo ad esempio alla norma sul recesso del committente nel contratto di appalto (art. 1671 c.c.): si tratta di un recesso oneroso, il committente dovrà pagare quello che ha avuto e tenere indenne l’appaltatore per il mancato guadagno.
Nel mandato, altresì, dove si parla di revoca per intendere una forma di recesso (art. 1723 c.c.), è previsto il risarcimento del danno.
oppure no; se subordinarlo a requisiti, condizioni, giustificazioni, oppure consentirne l’esercizio immotivato”.
A ben vedere, se il recesso fosse un atto estintivo del vincolo non dovrebbe esserci spazio per il risarcimento del danno, mentre in questi ultimi casi sembra che l’obbligazione originaria, piuttosto che estinguersi del tutto, si converta in un’obbligazione risarcitoria.
La ratio giustificatrice di questa forma di recesso è rinvenibile nell’esigenza di ordine generale di assicurare una corretta allocazione delle risorse: il committente, ad esempio, paga la quota di profitto mancante invece di pagare per l’intero una prestazione che non vuole più. In quest’ultimo caso, dunque, è l’onerosità del recesso a mostrare ossequio al principio pacta sunt servanda.
Nei contratti consumeristici, in cui è previsto invece il recesso di pentimento, la prospettiva cambia poiché cambia il ruolo della signoria della volontà in virtù della logica protettiva del consumatore. Il recesso è offerto al consumatore, nella maggioranza dei casi, per contrastare l’effetto sorpresa e dissolve il vincolo contrattuale senza necessità di spiegazione e senza costi: uno strumento gratuito, libero ed immotivato di scioglimento del vincolo che il modello codicistico di contratto non conosce.
Nel “terzo” modello di contratto, infine, si tratta di accertare che dalla posizione di dipendenza economica non scaturisca un abuso lesivo per la parte economicamente più debole: la condotta recedente oggetto di regolamentazione è dunque quella della parte forte33.
33 Secondo l’opinione più diffusa, la portata dell’art. 9, l. 192 del 18 giugno 1998, non è limitata ai soli rapporti di subfornitura: sebbene cioè tale legge abbia natura settoriale, l’istituto dell’abuso di dipendenza economica avrebbe portata generale, non riguardando solo i casi individuati dall’art. 1 della medesima legge ma anche quelli che sorgono nell’ambito dei rapporti tra imprenditori. Altro orientamento minoritario ritiene invece che l’invalidità delle condizioni contrattuali squilibrate prevista da tale disciplina settoriale,
Conclusa la rapida rassegna delle fattispecie di recesso “legale”, al fine di misurarne la potenzialità sovversiva rispetto al principio della intangibilità del contratto contenuto nell’art. 1372 c.c., proviamo ad offrire un inquadramento giuridico della forma convenzionale di recesso prevista dall’art. 1373 c.c.
Nell’ambito delle vicende risolutive del contratto, invero, il legislatore riconosce alle parti la facoltà di convenire che lo stesso cessi di avere forza di legge per volontà di una sola di esse. Tale facoltà non viene accolta in maniera uniforme dalla letteratura e dalla giurisprudenza: secondo un primo orientamento, soprattutto nei rapporti di durata, l’attribuzione di un potere di recesso soddisfa l’esigenza di apprestare un mezzo di integrazione unilaterale del regolamento contrattuale funzionale alla sistemazione degli interessi delle parti34. Secondo un orientamento più severo, invece, la disposizione che solennemente afferma la forza di legge del contratto tra le parti induce a ritenere eccezionale il potere di liberarsi dal vincolo, in quanto deroga al principio per cui lo stesso non può essere sciolto se non per concorde volontà delle parti35.
In termini generali, che l’intangibilità originaria del contratto non costituisca una regola assoluta è confermato dall’esame delle varie
contrastando con il principio dell’autonomia privata, non possa essere oggetto di una interpretazione estensiva.
34 In tal senso, Roppo, op. cit., 510.
35 In questo senso, ex aliis, Clarizia, Il recesso. Il contratto in generale, II, in Obbligazioni, III, in Diritto Civile, diretto da Lipari e Xxxxxxxx, coordinato da Zoppini, Milano, 2009, 600; Xxxxxx, L’uscita programmata dal contratto, Milano, 2005, 3.
figure di recesso, dalle più moderate alle più “sovversive” rispetto al principio pacta sunt servanda36.
Nonostante il diritto di recesso sia spesso assimilato allo ius variandi, costituendo entrambi diritti potestativi, permane una importante differenza strutturale: con il secondo infatti il rapporto contrattuale, integrato alla luce delle variazioni unilateralmente predisposte, perdura senza soluzione di continuità, e dunque l’esigenza di valutarne ammissibilità e limiti di esercizio si manifesta in tutta la sua concretezza. In altri termini, mentre il recesso, legale o convenzionale, risponde quasi sempre ad esigenze specifiche, idonee a giustificarne la potenzialità sovversiva rispetto al principio pacta sunt servanda, lo ius variandi presuppone la permanenza del vincolo con termini diversi, dunque misurare l’entità della deviazione dal suddetto principio diventa ancora più importante.
5. Abuso del diritto e sindacato ex post
Nella concezione kelseniana e nell’impostazione dei codici di diritto privato dell’Ottocento era da escludersi che l’esercizio di un diritto da parte del suo titolare potesse essere oggetto di sindacato: l’espressione “abuso del diritto” finiva dunque per dar luogo ad una sorta di ossimoro, privo di significato giuridico rilevante37.
36 Secondo Xxxxxxxxxxx, op. cit., 24, i vari poteri di intervento unilaterale “quand’anche idonei a sconvolgere unilateralmente e discrezionalmente il programma inizialmente concordato”, rappresentano “un fenomeno per niente affatto sconcertante, paradossale o iniquo”. Si pensi anche allo studio della disciplina della condizione, che intravede nel riconoscere rilevanti spazi discrezionali alla parte titolare di tale diritto potestativo una sostanziale apertura dell’ordinamento verso forme di determinazione unilaterale. In tal senso, Scarpello, La modifica unilaterale del contratto, Padova, 2010, 121.
37 Eloquenti sul punto le parole di Xxxxxxx, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ.,
1923, 105, il quale affermava che “abuso del diritto è un fenomeno sociale, non
Con il progressivo avanzamento di visioni solidaristiche del diritto, si è iniziata ad affermare l’esigenza di individuare i confini entro cui si può legittimamente esplicare la libertà di azione del titolare di un diritto, con la conseguente sindacabilità di prerogative private esercitate in modo arbitrario e irragionevole.
Il dibattito mai sopito sulla teoria dell’abuso del diritto ha acquisito di recente nuovo vigore, soprattutto in seguito all’attenzione mostrata verso lo stesso da parte della giurisprudenza della Suprema Corte, che lo ha elevato a criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buona fede38.
Secondo una particolare ricostruzione dottrinale, al potere discrezionale di un soggetto si contrappone una situazione sostanziale di vantaggio inattiva della controparte, riscostruita sulla falsariga dell’interesse legittimo, che riduce il margine di azione del titolare del potere imponendogli di tenere conto dell’interesse altrui39.
Dunque, pur ritenendo sciolto in positivo il dubbio sulla validità delle clausole attributive di ius variandi, deve riconoscersi che l’esercizio del diritto di variazione resta assoggettato ad un sindacato ex post sulle
un concetto giuridico, anzi uno di quei fenomeni che il diritto non potrà mai disciplinare in tutte le sue applicazioni che sono imprevedibili: è uno stato d’animo, è la valutazione etica di un periodo di transizione, è quel che si vuole ma non una categoria giuridica e ciò “per la contradizion che nol consente”.
38 Tra le sentenze più rilevanti sul punto, Xxxx. Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 4589, che ha negato la frazionabilità in giudizio di un credito unitario perché in contrasto con la regola generale della correttezza e della buona fede. Si veda anche Cass. civ. 18 settembre 2009, n. 20106, in Contratti, 2010, 5; Cass. civ., 31 maggio 2010, n. 13208, in Giur. it., 2011, 794, con nota di Xxxxxxxx, Un nuovo caso di abuso del diritto. In dottrina, Xxxxxxx, L’abuso del diritto come argomento, in Riv. dir. civ., 2012, 297; Xxxxxxx, La clausola di ius variandi tra giudizio di validità e sindacato sull’esercizio del diritto, Contr. Impr., 2013, 6, 1370.
39 Xxxxxxxxx Xxxx, Interesse legittimo: diritto privato, in Dig. disc. priv., sez. civ., IX,
Torino, 1993, 531.
modalità di esercizio, sindacato rispetto al quale vanno individuati parametri che possano coadiuvare il giudice nel valutare la compatibilità della modificazione con il programma contrattuale complessivamente inteso40.
Può accadere che i contraenti abbiano adottato criteri generici, come il richiamo ad un vago “giustificato motivo”. Nel diritto consumeristico, ad esempio, per essere idoneo ad escludere la presunzione di vessatorietà della clausola di ius variandi, il giustificato motivo deve essere «indicato nel contratto», non essendo sufficiente l’uso di una formula generica41.
Secondo una ricostruzione dottrinale, la clausola che, per la sua genericità, attribuisca a una delle parti un potere di modifica diretto ad alterare arbitrariamente l’equilibrio contrattuale potrebbe andare incontro persino ad una sanzione di nullità per contrarietà con il principio di ordine pubblico economico42.
Per quanto, dunque, la regola della buona fede esprima una valenza precettiva ed integrativa di cui il giudice potrà avvalersi nel compiere una analisi del caso concreto, non sembra che in un caso come quello
40 Sul piano processuale ciò si traduce nell’applicazione del regime probatorio previsto per l’inadempimento contrattuale: se il diritto di variazione unilaterale deve esplicarsi nel rispetto di un obbligo di correttezza e buona fede, allora la condotta del titolare costituisce adempimento di tale obbligo con onere probatorio a suo carico.
41 Art. 33, comma 2, lett. m).
42 In materia di ius variandi, un concetto di ordine pubblico economico nell’ordinamento attuale può ricavarsi non già e non solo a tutela del contraente debole, ma più in generale a tutela dell’equilibrio contrattuale. Sul concetto di ordine pubblico economico, Trimarchi, Istituzioni di diritto privato, 14° ed., Milano, 2002, 198; sulla distinzione, nell’ambito dell’ordine pubblico economico, tra ordine pubblico di protezione e ordine pubblico di struttura e di direzione economica, Cataudella, Il richiamo all’ordine pubblico ed il controllo di meritevolezza come strumento per l’incidenza della programmazione economica sull’autonomia privata, ora in Scritti giuridici, Padova, 1991, 161 ss.
sopra prospettato la validità della clausola possa essere recuperata attraverso il richiamo al principio di buona fede43. Occorre però, per esigenze di coerenza sistematica, coordinare tale soluzione con il principio di conservazione del contratto, affermato dall’art. 1367 c.c.: se si prende in considerazione una clausola attributiva di ius variandi formulata in modo del tutto generico e la si condanna aprioristicamente alla nullità, si accetta che le parti abbiano voluto inserire una simile pattuizione nel regolamento contrattuale senza intendere attribuirle alcun significato, ipotesi non del tutto verosimile.
Se invece si assume che i contraenti abbiano inteso inserire uno strumento di ripristino dell’equilibrio negoziale, secondo parte della dottrina, pur in assenza di criteri individuati in modo specifico dalle parti si potrà recuperare la validità della clausola, facendo ricorso alle regole di interpretazione soggettiva e oggettiva del contratto di cui agli articoli 1362-1371 c.c.44
L’interprete sarà chiamato dunque a ricostruire la comune intenzione delle parti, senza limitarsi al senso letterale delle parole ma tenendo conto del loro comportamento complessivo, sia anteriore che posteriore alla conclusione dell’accordo. Ciò che dovrà essere valutato ai fini del giudizio di validità è il significato complessivo della clausola una volta che la stessa sia stata messa in relazione con le altre clausole contrattuali e interpretata secondo buona fede (art. 1366 c.c.)45. A tal
43 Si pensi, a mero scopo esemplificativo, ad una clausola del seguente tenore: “Xxxxx e Xxxx convengono che Xxxxx potrà variare unilateralmente le condizioni del presente contratto”.
44 Terranova, L’eccessiva onerosità dei contratti, in Comm. cod. civ., diretto da Xxxxxxxxxxx, artt. 1467-1469, Milano, 1995, 111; Cagnasso, Appalto e sopravvenienza contrattuale, Milano, 1979, 65.
45 Utile il riferimento a Xxxxxx, il quale afferma in Diritto Civile, 3, Il contratto, Milano, 1984, 394 che l’interpretazione ex art. 1366 c.c. consente di “adeguare
riguardo, ad esempio, valorizzando le trattative ed esaminando documenti precontrattuali, il giudice potrà offrire una interpretazione autentica della comune intenzione delle parti, nel rispetto dell’alea ragionevolmente prevedibile cui le parti hanno accettato di sottoporsi.
6. Istanze favorevoli alla rinegoziazione
Come si è cercato di anticipare con le considerazioni sopra svolte, il canone della buona fede assume carattere integrativo del rapporto contrattuale: l’art. 1375 c.c. sancisce l’obbligo per le parti di cooperare anche durante lo svolgimento del rapporto contrattuale. Il dovere di correttezza costituisce dunque un limite interno che concorre a dilatare o restringere le situazioni giuridiche soggettive contrattualmente previste, affinché l’ossequio alla legalità formale non si traduca in un sacrificio di quel principio costituzionale di solidarietà (art. 2 Cost.) che tende alla realizzazione di un ordine sociale ispirato a un canone di giustizia sostanziale, anche in ambito contrattuale.
l’interpretazione del contratto al significato sul quale le parti, in relazione alle concrete circostanze, potevano e dovevano fare ragionevole affidamento. In termini negativi la buona fede vieta, in particolare, interpretazioni cavillose in contrasto con la causa del contratto o con lo spirito dell’intesa; ovvero basate su espressioni letterali inserite o aggiunte per un errore materiale al testo concordato; ovvero basate su espressioni letterali facenti parte del testo concordato ma non rispondenti all’intesa raggiunta”. Con riferimento alle norme di interpretazione oggettiva, lo stesso autore afferma che la loro applicazione è subordinata al principio di equità: “occorre cioè verificare se la loro applicazione sia conforme ad equità in quanto idonee, nel caso concreto, a contemperare giustamente i contrapposti interessi”. Mentre Xxxxx, Interpretazione del contratto e ordine delle sue regole, Napoli, 1985, 488, afferma che il contemperamento secondo equità impone di tenere in considerazione elementi, relativi sia al profilo oggettivo che soggettivo, che potrebbero non condurre ad una soluzione coerente con l’equilibrio economico del contratto.
La buona fede, in particolare con riferimento ai contratti di durata, legittima e nobilita l’impegno di ciascuna parte ad agire salvaguardando anche l’interesse dell’altra: in questo senso può essere richiesta la disponibilità ad apportare modifiche, qualora sia necessario un intervento manutentivo che adegui il contratto a mutate esigenze. Come sopra accennato, alcuni autori ritengono che nonostante il nostro ordinamento non richieda l’equivalenza delle prestazioni46 (motivo per cui l’art. 1467 c.c. interviene solo in presenza di avvenimenti “straordinari o imprevedibili”), la buona fede contrattuale sia espressione di uno specifico principio di ordine pubblico economico relativo alla necessità di una proporzione equilibrata tra le posizioni contrattuali. Proprio alla luce di queste considerazioni, l’inclusione in un contratto di lungo periodo di un obbligo di rinegoziazione ex fide bona non causa l’alterazione della volontà delle parti ma ne costituisce legittima e doverosa integrazione47. La procedura di rinegoziazione potrebbe, peraltro, contemplare l’ipotesi che sia un terzo ad agire in via suppletiva, in mancanza di accordo tra le parti, per procedere alla revisione delle condizioni contrattuali.
Nella prassi della contrattazione internazionale esistono le hardship clauses, con le quali si provvede alla attualizzazione del contratto allorché sopraggiungano circostanze idonee a sconvolgere un assetto consolidato. La previsione di una clausola di hardship è indice inequivocabile della consapevolezza della possibilità di un mutamento ancora prima che lo stesso venga a concretizzarsi, ed in ciò è rinvenibile l’affinità con lo ius variandi, nonostante sussistano delle differenze non
46 Cass. 26 marzo 1996, n. 2635, in Giur. it., 1997, I, 476.
47 Xxxxxxx, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, op. cit., 320. Barcellona, Appunti a proposito di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, relazione presentata al Convegno svoltosi a Catania il 13-14 settembre 2002.
trascurabili, in quanto la sopravvenienza ‒ presupposto della procedura di rinegoziazione ‒ presenta quei caratteri di imprevedibilità, non imputabilità e apprezzabilità che potrebbero anche mancare spostandosi nel campo della potestas variandi.
Il concetto di sopravvenienza contrattuale si rinviene nella prassi dei contratti internazionali e trae la propria origine sia nelle categorie giuridiche di civil law che in quelle di common law. Nell’ordinamento inglese, ad esempio, lo strumento che permette di dar loro rilievo è la
c.d. frustration del contratto48. Nel diritto statunitense viene incoraggiata la cooperazione delle parti a rinegoziare i contratti a lungo termine con l’istituto della mitigation: colui che rifiuta di accettare una proposta di modifica del contratto continua ad avere diritto alla prestazione e, in caso di inadempimento, al risarcimento del danno, ma potrà subire una decurtazione della misura del risarcimento per violazione del dovere di cooperazione. Nell’ordinamento francese si è assistito alla recente modifica del codice civile con il recepimento della figura dell’imprevision. Nel sistema tedesco assistiamo forse alla elaborazione più completa, sia sul piano dottrinale che giurisprudenziale, della gestione del rischio contrattuale, attraverso la teoria della c.d. presupposizione negoziale (Geschäftsgrundlage), e il §
313 del BGB prevede che in caso di “turbative del fondamento negoziale” possa essere domandato un adeguamento del contratto49.
48 “Whenever the law recognizes that, without default of either party, a contractual obligation has become incapable of being performed because the circumstances in which performance is called for would render it a thing radically different from that which was undertaken by the contract” (Xxxx Xxxxxxxx in Xxxxx Contractoris Ltd. X. Xxxxxxx UDC (1956) AC 696, (1956) 2 ALL ER 145, HL).
49 Secondo Di Memmo, Il nuovo modello tedesco della responsabilità per inadempimento delle obbligazioni, in Contr. e impr., 2004, 821, la genericità della
Anche al fine di enucleare principi e soluzioni che potessero ritenersi comuni ai vari ordinamenti, l’Unidroit ha elaborato i Principles of International Commercial Contracts, i quali introducono il concetto di hardship per intendere il verificarsi di circostanze successive alla stipula del contratto idonee ad alterarne l’equilibrio e il conseguente diritto della parte svantaggiata alla rinegoziazione (qualora, poi, non si raggiunga un accordo, sarà possibile rivolgersi a un giudice che potrà procedere alla revisione del contratto o alla sua risoluzione)50.
Sembra interessante rilevare come nel Preambolo dei Principi Unidroit si legge che gli stessi trovano applicazione ogni qual volta le parti abbiano fatto rinvio ai principi generali del diritto o alla lex mercatoria: con tale espressione si richiama l’antico ius mercatorum, comprensivo di tutti quei principi accolti in ambito internazionale dalla societas mercantile, cui parte della dottrina tende a riconoscere una ancora attuale operatività51.
disposizione determina secondo gli interpreti il rischio di un ridimensionamento eccessivo dell’efficacia vincolante del contratto.
50 Le clausole di hardship attributive di diritti e corrispondenti obblighi di rinegoziazione sono pacificamente accolte in ambito internazionale, e di ciò si trova conferma nel Codice Europeo del Diritto dei Contratti, predisposto dalla Commissione Lando, nel Code Européen Des Contracts dell’Accademia dei giusprivatisti europei (coordinatore Xxxxxxxx); nel progetto di codice “of conduct on transnational corporation” elaborato dalla Commission on Transnational Corporations costituita presso l’Economic and Social Council dell’ONU.
51 Anche la Cassazione ha da tempo affermato il principio della permeabilità del nostro ordinamento rispetto agli istituti diffusi a livello internazionale, identificando il diritto mercantile con i valori cui aderiscono gli operatori economici in quel particolare ambiente in virtù della opinio necessitatis, ovvero della convinzione della loro vincolatività. V. sul punto il commento di Xxxxxxxx, Arbitrato internazionale e lex mercatoria di fronte alla Cassazione, in Riv. dir. int. priv. proc., 1982, 754. Anche la Cour de Cassation francese ha avallato un lodo arbitrale pronunciato esclusivamente in omaggio agli usi del commercio internazionale “autrement dénommés lex mercatoria”, v. Cour de
Oltre al recupero del concetto di ius mercatorum e parallelamente ad esso si potrà procedere ad una lettura delle clausole attributive di ius variandi alla luce dell’art. 1368 c.c., all’interno di quella già illustrata operazione di salvataggio compiuta attraverso i principi di interpretazione oggettiva e soggettiva del contratto. In virtù dell’art. 1368 c.c., comma 1, “le clausole ambigue si interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso”, mentre il secondo comma prevede che “nei contratti in cui una delle parti è imprenditore, le clausole ambigue si interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell’impresa”. Può darsi in effetti il caso di usi contrattuali in grado di orientare l’interpretazione di una clausola, attraverso la concreta declinazione del contenuto generico della stessa. Tale considerazione vale per i contratti individuali, mentre la disciplina contenuta nell’art. 1370 c.c., secondo il quale “le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro”, sembra riferirsi unicamente ai c.d. contratti standardizzati52.
7. L’approccio regolatorio della normativa di settore
Rispetto al “non detto” del codice civile la normativa di settore offre spunti interessanti e contiene una, se pur frammentata, regolamentazione dello ius variandi53.
Cassation, 22 ottobre 1991, n. 1354, con nota di Xxxxxxx, La giurisprudenza francese conferma il carattere di “regola del diritto” delle norme della lex mercatoria, in Dir. comm. internaz., 1992, p. 322.
52 Mentre secondo Xxxxx, Il contratto, Bologna, 1977, 155, la previsione di cui all’art. 1368, va ritenuta una rara espressione di favor per l’imprenditore.
53 Sul tema, Xxxxxxxxxxx, La modificazione unilaterale del contratto asimmetrico secondo la Cassazione (aspettando la Corte di Giustizia), in Contratti, 2012, 165 ss.;
L’art. 33, comma 2, lett. m), c. cons. afferma la vessatorietà della clausola che “consente al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato dal contratto stesso”; e, la successiva lett. o) dichiara vessatoria la clausola “che consente al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto”54.
La Marca, Xxxxxx questioni in tema di clausole abusive contenute nei contratti bancari, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 1245 ss.
54 Xxxxxxxx, La clausola che consente al professionista di determinare e aumentare unilateralmente il prezzo (art. 33 comma 2 lett. n-o), in Vettori ( a cura di), Il contratto dei consumatori, dei turisti, dei clienti, degli investitori e delle imprese deboli. Oltre il consumatore, 377. Prima dell’introduzione del Capo XIV bis nel Titolo II, Libro IV, del codice civile, con L. 6 febbraio 1996, n. 52, la giurisprudenza riteneva valida la clausola che attribuiva al professionista la possibilità di variare unilateralmente il prezzo (cfr. Cass., 8 luglio 1976, n. 2584, in Mass. Foro It., 1976). Per la giurisprudenza successiva, Cass. Civ., III Sezione, 18 settembre 2007, n. 19366: “Al fine di qualificare come vessatoria ai sensi dell’art. 1469 bis, 3° comma, n. 13, la clausola che consente al professionista di aumentare unilateralmente il prezzo del servizio senza che il consumatore possa recedere, è necessario che tale aumento risulti eccessivo rispetto alla soglia prevista dal contratto o individuata dal giudice, poiché solo in tale ipotesi il consumatore è legittimato a recedere”. La Cassazione in tale sentenza ha precisato che la clausola non può presumersi vessatoria qualora l’aumento del prezzo sia effetto dell’operatività di clausole di indicizzazione stipulate espressamente dalle parti e a condizione che le modalità di variazione siano espressamente descritte. Sul tema, Xxxxxxx, L’efficacia delle clausole di modificazione del prezzo (Preisanpassungsklauseln) nella recente giurisprudenza del Bundesgerichtshof, in Foro it., 1986, IV, 338, il quale rileva come sia possibile riversare sul consumatore finale gli incrementi di costo che originano da una modifica unilaterale; Xxxxxxxxxx, Le modifiche unilaterali nei contratti di durata: contributo allo studio dei limiti interni all'autonomia privata, in Dir. fall., 2002, 421 ss.
Inoltre, l’art. 65 c. cons. impone un consenso preventivo del contraente consumatore per ogni prestazione accessoria aggiuntiva (c.d. modello opt-in)55.
Il codice delle comunicazioni elettroniche (D. lgs. 1° agosto 2003, n. 259) prevede invece, all’art. 70, comma 4, il diritto di recedere dal contratto per l’utente che non intenda aderire alle modifiche. Nel caso dei servizi di comunicazione elettronica, dunque, la tutela del consumatore/utente è affidata principalmente al diritto di recesso, esercitabile a fronte della notifica di modifiche delle condizioni contrattuali (modello opt-out).
Viene dunque compiuta dal legislatore una scelta diversa nel primo e nel secondo caso: la disciplina offerta dal codice del consumo, dando rilevanza ai motivi che giustificano lo ius variandi e imponendo al professionista un onere procedurale da rispettare, risponde all’esigenza di protezione del consumatore anche per i casi in cui il recesso non risulta idoneo a offrire una tutela adeguata, poiché priverebbe il consumatore della prestazione desiderata senza una reale alternativa (si pensi a mercati oligopolistici).
Mentre la ratio alla base della scelta compiuta nell’art. 70 c. com. el. è quella di regolare un settore in cui il mercato di riferimento è elastico e capace di offrire all’utente sostituti immediati. Pertanto la soluzione più efficiente sembra quella di attribuire al medesimo il diritto di recesso a fronte di ogni modifica contrattuale, invece di promuovere più onerosi meccanismi di controllo o di rinegoziazione consensuale. A fronte di tutte le variazioni contrattuali proposte e comunicate ai sensi dell’art. 70
55 Come novellato dal d. lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, tale articolo è destinato ad applicarsi ai soli contratti conclusi dopo il 13 giugno 2014 (art. 2, comma 1, del medesimo decreto).
c. com. el., indipendentemente da come il contratto regoli ab origine i servizi offerti e le relative tariffe applicate, all’utente-consumatore spetterà il diritto di recesso.
Quanto al coordinamento tra le due normative di settore, laddove il legislatore ha inteso estendere la disciplina consumeristica anche al settore delle comunicazioni elettroniche lo ha fatto espressamente (come accade con l’art. 27, comma 1 bis, c. cons. rispetto all’applicazione delle pratiche commerciali scorrette ai rapporti tra utenti e operatori di comunicazione), dunque in assenza di una espressa previsione in tal senso il rapporto tra le due normative deve ritenersi governato dal principio di specialità.
Mentre riguardo ai rapporti tra codice civile e normativa di settore, si può osservare che in virtù di quanto previsto dall’art. 1469 bis, c.c., la disciplina generale del contratto si applica anche ai contratti con i consumatori “ove non derogata dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore”. Dunque, più che l’affermazione di un principio di specialità, tale norma sembra introdurre un criterio di prevalenza della norma più favorevole per il consumatore56.
Come in precedenza annunciato e ampiamente illustrato in letteratura, si tratta di due “plessi normativi caratterizzati da un diverso punto di incidenza e di gravitazione logico-sistematica”57. Nel modello codicistico le clausole contrattuali, comprese quelle attributive di ius
56 Nel senso della prevalenza delle norme del codice civile, se più favorevoli, si veda Gentili, Codice del consumo ed ésprit de géométrie, in Contratti, 2006, 159; Addis, Il “codice del consumo”, il codice civile e la parte generale del contratto, in Obbl. contr., 2007, 872.
57 Zoppini, Sul rapporto di specialità tra norme appartenenti ai “codici di settore” (lo ius variandi nei codici del consumo e delle comunicazioni elettroniche), in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000.
variandi, sono ontologicamente “giuste” nella misura in cui siano state inserite nel regolamento contrattuale nella forma binaria della proposta e accettazione tra le parti. Nel diritto dei consumatori, invece, si assiste allo spostamento del centro gravitazionale: se nel codice civile l’oggetto del contratto è costituito dal regolamento contrattuale, nel diritto consumeristico c’è uno scarto logico tra determinazione al contratto e regolamento contrattuale58. Anticipando un tema che sarà trattato nel prosieguo con maggiore profondità, nel diritto consumeristico il momento genetico che sorregge la conclusione del contratto viene isolato dai successivi momenti negoziali relativi ad ogni prestazione accessoria ulteriore, per cui la idoneità a generare un onere economico deve essere sorretta da una manifestazione di consenso specifica e aggiuntiva59.
8. Un primo identikit: generalità dello ius variandi
Alla luce delle considerazioni finora svolte, possiamo tentare di tracciare una stilizzata ricostruzione dello ius variandi, isolandone alcuni tratti essenziali che accomunano sia le fattispecie previste dalla disciplina legislativa (codicistica e di settore) che dalla prassi contrattuale.
Si tratta innanzi tutto di un diritto potestativo, dunque al potere di una parte di modificare il contratto corrisponde lo stato di soggezione dell’altra parte.
58 Con riferimento a tale slittamento sistematico dalla centralità dell’accordo alla oggettività del rapporto, illustre dottrina ha parlato di “scambi senza accordo”: Xxxx, Scambi senza accordo, in Riv. trim. d. proc. civ., 1998, 347.
59 Xxxxxxxxxxx, voce Modificazione unilaterale del contratto (dir. civ.), in Enc. dir. Xxxxxx, XX, 2013, 487.
Il carattere potestativo del diritto implica anche, dal lato attivo, la presenza di un elemento di discrezionalità nel suo esercizio, salvo il rispetto di limiti convenzionali o legali. Nel rispetto di tali limiti, il titolare del diritto potestativo è libero di scegliere - in base alle proprie valutazioni di convenienza - se usufruire o meno di tale facoltà60.
Si tratta, poi, di un diritto potestativo modificativo, né costitutivo, né estintivo, poiché conduce sempre ad una vicenda manutentiva del rapporto contrattuale61. Tale diritto potestativo presenta la struttura di atto giuridico unilaterale rientrante, in base alla classica distinzione tra dichiarazioni di volontà e dichiarazioni di scienza, nella prima delle due categorie, per cui l’effetto giuridico non si ricollega soltanto alla volontarietà del comportamento assunto ma anche alla volontarietà degli effetti62. Agli atti o dichiarazioni di volontà è applicabile, secondo l’art. 1324 x.x., xx xxxxxxxxxx xxx xxxx xxx xxxxxxxx, che risulterà dunque applicabile anche all’atto di esercizio dello ius variandi, e che potrà determinare, in via giudiziale, l’annullamento dello stesso.
60 Pagliantini traccia un parallelismo con la figura della condizione valorizzando l’elemento di potestatività dello ius variandi. Utilizzando la terminologia propria della dottrina tedesca, si può parlare anche di poteri “conformativi”: Xxxxxx, Die Gestaltungsrechte (Festgabe für X. Xxxx), Berlin, 1903,
203. Il requisito della potestatività emerge anche nei casi in cui l’esercizio dello ius variandi sia a discrezionalità attenuata, come previsto dalla legislazione bancaria e consumeristica.
61 Altri esempi di diritti potestativi modificativi sono la riduzione delle ipoteche o la costituzione in mora del debitore o del creditore. Tra i diritti potestativi costitutivi troviamo, a mero titolo esemplificativo, l’occupazione di res nullius e il potere di ratifica; mentre nella categoria dei diritti potestativi estintivi, la rinunzia all’eredità e il recesso dal contratto. X. Xxxxxxx, Diritti potestativi, in Nuovo dig. it., II, Torino, 1938, 873.
62 Dagli atti giuridici si distinguono i fatti giuridici, consistenti in un accadimento naturale, indipendente dall’opera dell’uomo, oppure in un fatto umano, in cui l’effetto si determina soltanto come conseguenza di un comportamento umano consapevole e volontario (ad esempio, il fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c.).
Capitolo II
INVENTARIO RAGIONATO DELLE FATTISPECIE DI IUS
VARIANDI
1. Ius variandi nel “primo contratto”: un esame della disciplina codicistica tra fattispecie particolari e rilevanza sistematica dell’appalto, passando attraverso l’archetipo giuslavoristico
La mancanza di una disciplina generale sullo ius variandi ci ha in precedenza condotto ad affrontare il tema della sua compatibilità con i principi generali del diritto contrattuale.
Sciolto il nodo della contestata ammissibilità di un potere di modifica unilaterale del regolamento contrattuale, un’analisi utile a fini ricostruttivi consiste nel passare in rassegna le singole fattispecie di ius variandi rintracciabili tra le maglie della disciplina codicistica.
Accanto a due modelli paradigmatici come quello del contratto di appalto e del contratto di lavoro subordinato, sui quali ci soffermeremo, troviamo infatti molte altre ipotesi di ius variandi disseminate all’interno del codice civile.
Si pensi, senza pretesa di esaustività, alla facoltà di modifica unilaterale del contratto attribuita ai seguenti soggetti:
a) al mandatario, che può discostarsi dalle istruzioni ricevute “qualora circostanze ignote al mandante, e tali che non possano essergli comunicate in tempo, facciano ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la sua approvazione” (art. 1711, comma 2, c.c.);
b) al depositario, nell’ipotesi in cui circostanze urgenti richiedano di “esercitare la custodia in modo diverso da quello convenuto” (art. 1770, comma 2, c.c.);
c) al mittente, che “può sospendere il trasporto e chiedere la restituzione delle cose, ovvero ordinare la consegna a un destinatario diverso da quello originariamente indicato o anche disporre diversamente, salvo l’obbligo di rimborsare le spese e di risarcire i danni derivanti dal contrordine” (art. 1685, comma 1, c.c.)63;
d) allo spedizioniere, che “è tenuto ad osservare le istruzioni del committente, e, in mancanza, a operare secondo il miglior interesse del medesimo” (art. 1739, comma 1, c.c.);
e) all’agente, del contratto di agenzia (art. 1746 c.c.) si parlerà in seguito in sede di contratti c.d. asimmetrici;
f) all’avente diritto alla somministrazione, al quale spetterà di stabilire il quantitativo dovuto, entro i limiti minimi e massimi contrattualmente convenuti (art. 1560, comma 2, c.c.);
g) al debitore, cui viene attribuito il diritto di riscatto nella rendita perpetua, tramite il quale l’obbligo del pagamento della prestazione periodica si converte nell’obbligo del pagamento di una somma una tantum (art. 1865 c.c.);
h) all’assicurato, cui viene attribuito il “diritto di riscatto o di riduzione della somma assicurata” in un contratto di assicurazione sulla vita (art. 1925, c.c.);
i) al debitore di un’obbligazione alternativa che può liberarsi esercitando la facoltà di specificare il contenuto della prestazione dovuta (art. 1285 c.c.);
j) ai soci, che possono modificare il contratto sociale o deliberare la trasformazione, la fusione o la scissione della società senza il consenso
63 Il diritto di contrordine del mittente può essere esercitato fino a quando le cose non siano passate a disposizione del destinatario (art. 1685, comma 3, c.c.) o fino a quando questo non ne abbia chiesto la riconsegna (art. 1689, comma 1, c.c.).
di tutti i compartecipi ma con il voto favorevole della maggioranza (artt. 2500 ter, comma 1; 2502, comma 1; 2506 ter, comma 5; 2252 c.c.);
k) al contraente, che ha diritto alla riconduzione ad equità del contratto rescindibile o risolubile per eccessiva onerosità (artt. 1450 e 1467, comma 3, c.c.);
l) all’acquirente di cosa affetta da vizi redibitori, cui spetta il diritto alla riduzione del prezzo (art. 1492 c.c.);
m) al cliente, nel contratto di anticipazione bancaria su pegno di titoli o merci, il quale può ritirare parte dei titoli o delle merci date in pegno (art. 1849 c.c.).
1.1 Il rilievo trans-tipico della normativa sull’appalto: un modello generale di gestione delle sopravvenienze onerose
La disciplina dell’appalto ha subito una profonda evoluzione: nella impostazione originaria del codice del 1865 il rischio delle sopravvenienze gravava interamente sull’appaltatore.
Solo con l’entrata in vigore del codice civile del 1942 il contratto di appalto si emancipa dallo schema della locatio operis, acquisendo dignità di contratto autonomo, e accoglie come possibile conseguenza quella di una “difficile” o “onerosa” esecuzione, tale da alterare l’alea fisiologica insita nell’equilibrio negoziale originario.
In particolare, in virtù del primo comma dell’art. 1664 c.c., se per effetto di circostanze imprevedibili si sono verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera (si pensi a variazioni del prezzo dei trasporti, dei dazi doganali, dei canoni di affitto ecc..), in misura tale da determinare una oscillazione superiore al
decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo.
Il secondo comma prevede invece il diritto dell’appaltatore ad un equo compenso qualora nel corso dell’opera si manifestino difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, tali da rendere notevolmente più onerosa la sua prestazione.
La previsione di un obbligo di adeguamento del contratto mira alla realizzazione di soluzioni in grado di soddisfare sia l’appaltatore, che data la consistenza degli investimenti compiuti ha in genere tutto l’interesse a mettere in pratica strumenti di manutenzione piuttosto che di risoluzione del contratto, sia il committente, sollevato dall’onere di cercare un nuovo appaltatore per la ultimazione dell’opera64.
Nella disciplina dell’appalto autorevole dottrina ha riconosciuto una importante vocazione trans-tipica, partendo dal dato pacifico per cui il contratto di appalto costituisce la fattispecie tipica che più interagisce con la sfera delle sopravvenienze onerose.
Secondo tale dottrina la disciplina dell’appalto costituisce un modello di gestione delle sopravvenienze onerose alternativo a quello generale predisposto dall’articolo 1467 c.c. e suscettibile di applicazione anche ad altri schemi contrattuali che presentino i seguenti tratti
64 A completare il quadro normativo di gestione del rischio contrattuale in cui fa da protagonista l’art. 1664 c.c. (Onerosità o difficoltà nell’esecuzione), vi sono le disposizioni previste dall’art. 1659 (Variazioni concordate), 1660 (Variazioni necessarie) e 1661 (Variazioni ordinate dal committente). In particolare, in base all’art. 1661, comma 1, il committente può in corso di esecuzione del rapporto impartire istruzioni all’appaltatore e decidere di apportare variazioni al progetto “purché il loro ammontare non superi il sesto del prezzo complessivamente convenuto. L’appaltatore ha diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti, anche se il prezzo dell’opera era stato determinato globalmente”.
caratterizzanti: lunga durata e investimenti consistenti, spesso non suscettibili di impiego alternativo.
In particolare, mentre l’art. 1467 c.c., che predispone il rimedio della risoluzione evitabile mediante offerta di riconduzione a equità, sarebbe orientato a regolare la distribuzione del rischio contrattuale negli “scambi puntuali”, che non comportano una duratura interferenza tra le sfere patrimoniali dei contraenti, la disciplina prevista dall’art. 1664 c.c., che consente all’appaltatore di chiedere la revisione del prezzo al ricorrere di determinate circostanze, sarebbe finalizzata a disciplinare gli “scambi integrativi”, rispetto ai quali invece emerge la propensione del legislatore per strumenti di manutenzione e adeguamento del contratto65.
Una conferma della funzione trans-tipica della disciplina codicistica prevista per il contratto di appalto risiede anche nella sua capacità estensiva anche a figure atipiche: la prassi conosce, ad esempio, la figura dell’appalto “a regia”, in cui l’appaltatore perde quel carattere di autonomia che lo contraddistingue nello schema classico e diventa una sorta di nudus minister che agisce sotto la direzione univoca e non contestabile del committente. Anche la giurisprudenza ha riconosciuto tale figura, affermando che laddove l’appaltatore si riduca a mero
65 Questa dottrina, teorizzata in particolare da Barcellona, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Eur. e dir. priv., 2003, 467; Id., Clausole generali e giustizia contrattuale, Torino, 2006, 231, ritiene che si debba procedere ad una “particolarizzazione” dell’art. 1467 c.c., da applicarsi appunto solo agli scambi istantanei, e ad una “generalizzazione” dell’art. 1664 c.c., il quale andrebbe fatto operare anche al di fuori del contratto di appalto per tutti gli schemi di “scambi integrativi”, che richiedono una programmazione economica a lungo termine. Altra parte della dottrina, v. Cagnasso, Xxxxxxx e sopravvenienza contrattuale, Milano, 1979, opta invece per una ricostruzione del rapporto tra art. 1467 c.c. e 1664 c.c. in termini di genus ad speciem.
“strumento passivo” dell’iniziativa del committente, abdicando a capacità creativa e vaglio critico, si giustifica il suo esonero dalla responsabilità per difetti dell’opera66: nonostante la disapplicazione dell’art. 1669 c.c., tuttavia, al committente non viene inibito l’esercizio dello ius variandi, sotto forma di istruzioni impartite, riconosciutogli dall’art. 1661 c.c., comma 167.
1.2 Ius variandi nel rapporto di lavoro subordinato
Quando si parla di ius variandi, una associazione immediata è quella con il contratto di lavoro subordinato. E senza dubbio quello gius- lavoristico costituisce un modello paradigmatico e dal notevole rilievo sistematico, se solo si pensi che tutto il filone della normativa consumeristica trae origine e ispirazione dal primo modello asimmetrico cui è stato dato riconoscimento giuridico: il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore subordinato.
La base giuridica dello ius variandi nel diritto del lavoro è da individuare nell’art. 2103 c.c., il quale fa riferimento al c.d. ius variandi
66 Cass., 11 febbraio 2005, n. 2752, in Mass. Foro it., 2005. In dottrina, Xxxxxxx, Diritto civile e commerciale, I singoli contratti, Gli atti unilaterali e i titoli di credito, I fatti illeciti e gli altri fatti fonte di obbligazione, Responsabilità del debitore e garanzie del creditore, II, t. 2, 4° ed., Padova, 2004, 84.
67 Come osserva sul punto Xxxxx, Le clausole attributive dello ius variandi, op. cit., 65: «Tanto più che, nella fattispecie analizzata, i poteri direttivi del committente devono considerarsi rafforzati: talché costituirebbe un’inaccettabile incongruenza ritenere che all’appaltante non debba applicarsi la regola che gli consente, durante lo svolgimento del rapporto contrattuale, di dare istruzioni alla controparte (cfr. art. 1661, comma 1, c.c.)».
orizzontale, ossia allo spostamento del lavoratore a mansioni equivalenti68.
La versione originaria dell’art. 2103 c.c. prevedeva che il datore di lavoro potesse esercitare un potere unilaterale di modifica del contratto nel rispetto di stringenti limiti, tra i quali spiccava il divieto di una variazione peggiorativa delle mansioni acquisite dal lavoratore, divieto che si estendeva anche alle modifiche in peius a carattere temporaneo e assistite dalla garanzia del trattamento relativo alle mansioni superiori precedentemente esplicate69.
68 Anche se alcuni autori hanno negato che si tratti di ius variandi, sostenendo che ci debba essere un accordo tra datore di lavoro e lavoratore sulla base del confronto tra la vecchia e la nuova versione del testo dell’art. 2103 c.c. Si può notare infatti come l’art. 2103 c.c., nella versione originaria, si riferisse espressamente al lato attivo del potere unilaterale del datore di lavoro («l’imprenditore può (…) adibire il prestatore di lavoro ad una mansione diversa»), mentre nella versione modificata dallo Statuto dei lavoratori risalta la tutela della professionalità del lavoratore («il prestatore di lavoro deve essere adibito (…) a mansioni equivalenti»). V. in tal senso Suppiej, Il potere direttivo dell’imprenditore e i limiti derivanti dallo statuto dei lavoratori, in RDL, 1972, I, 24, per il quale «il nuovo art. 2103 c.c. [...], non regola più lo jus variandi, ma la modificazione consensuale delle mansioni di assunzione». Le perplessità di una parte di dottrina nascono anche dall’orientamento che considera le mansioni equivalenti come estranee all’oggetto del contratto, e dunque non suscettibili di subire il legittimo esercizio del potere direttivo dell’imprenditore, di cui lo ius variandi sarebbe una delle specificazioni interne. Pertanto una tesi alternativa riconosce nello ius variandi un potere autonomo e distinto da quello direttivo, uno “speciale potere giuridico del datore di modificare unilateralmente il contenuto della prestazione oggetto dell’obbligazione di lavorare” (Pisani, La modificazione delle mansioni, Milano 1996, 11).
69 Sul punto, ex multis, x. Xxxx., 11 aprile 2005, n. 7351, in Mass. Foro it., 2005
«con riguardo allo ius variandi del datore di lavoro, il divieto di variazioni in peius opera anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, sicché nell’indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del
L’unico caso in cui il datore di lavoro poteva lecitamente assegnare al lavoratore mansioni diverse da quelle di assunzione o da quelle conseguenti a promozione era l’adibizione a mansioni “equivalenti alle ultime effettivamente svolte”70.
Antecedentemente all’entrata in vigore dell’art. 3 del d.lgs. n. 81/2015 (Jobs Act), che ha riscritto la norma, i limiti al potere di ius variandi erano dunque imposti dal concetto, per sua natura generico ed indeterminato, di equivalenza: l’assenza di un criterio oggettivo ex ante per il datore di lavoro e la valutazione giudiziale ex post avevano contribuito negli anni a dissuadere i datori di lavoro dall’utilizzare tale strumento di gestione del rapporto di lavoro depotenziandone efficacia e operatività71.
dipendente, salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l’accrescimento delle sue capacità professionali».
70 Poiché, tuttavia, il concetto di equivalenza non veniva specificato dal legislatore, si perveniva nel dettaglio a nozioni assai diverse, facendo spesso ricorso alla contrattazione collettiva; l’esistenza di approdi differenziati nel dibattito dottrinario non ha tuttavia messo in discussione il solido orientamento giurisprudenziale secondo cui oggetto della protezione legislativa dovesse essere il “patrimonio professionale” acquisito dal lavoratore. Su questa linea la giurisprudenza di Cassazione in diverse pronunce ha stabilito la condizione inderogabile che le mansioni di destinazione “consentano l’utilizzazione ovvero il perfezionamento e l’accrescimento del corredo di esperienze, nozioni e perizia acquisite nella fase pregressa del rapporto”. X. Xxxx. Sez. Un., 7 agosto 1998 n. 7755, in Argomenti di diritto del lavoro, 2009, II, 607.
71 Spettando al giudice il compito di valutare, a seguito del mutamento di
mansioni, l’effettiva salvaguardia del bene della professionalità, non solo sotto il profilo retributivo e del mantenimento della categoria e dell’inquadramento raggiunti, ma anche, soprattutto, sotto il profilo della dignità, si apriva una verifica da compiersi nel caso concreto, senza alcun vincolo legato alla classificazione delle mansioni operata all’interno della contrattazione collettiva, la quale poteva al più rappresentare un ausilio. Sul concetto di professionalità si può richiamare copiosa giurisprudenza: ex multis, Xxxx. 24 giugno 2009, n. 14841, in Giust. civ., 2009, p. 975; Cass. 8 giugno 2009, n. 13173,
in Giust. civ., 2009, p. 878; App. Perugia, 16 settembre 2013, n. 185, in Redaz.
Con il d.lgs. n. 81/2015, il legislatore ha integralmente riscritto la disciplina del mutamento delle mansioni (art. 2103 c.c.), superando il precedente parametro della “equivalenza professionale” ed introducendo il concetto di “flessibilità funzionale”72, con lo scopo di
Xxxxxxx, 2014; Trib. L’Aquila, 16 gennaio 2013, n. 14, in Redaz. Xxxxxxx, 2013; Trib. Roma, 28 dicembre 2010, in Riv. it. dir. lav., 2011, p. 725. Ampie argomentazioni sono state fornite dalla giurisprudenza di merito di Trib. Roma 28 dicembre 2010, in Riv. it. dir. lav., 2011, p. 725, con nota Carbone, La visibilità televisiva del giornalista limita lo ius variandi, per affermare che la professionalità va valutata tenendo in considerazione non solo il complesso di esperienze tecniche ma anche altri aspetti rilevanti nel caso concreto, come la visibilità del giornalista.
72 Il termine flessibilità (flexibility), come evidenziato dall’Eurofound nel suo
European Industrial Relations Dictionary, si caratterizza per la sua molteplicità di accezioni. Può intendersi con riferimento all’organizzazione dell’attività produttiva e più specificamente con la facoltà del datore di lavoro di assumere (flexibility in hiring), licenziare (flexibility in dismissal) o ri- organizzare in termini di ruoli e mansioni (alternativamente internal / qualitative / functional flexibility) la forza lavoro in azienda. Per una ricostruzione sistematica delle varie accezioni, Xxxxxxxx, Le parole del lavoro: l’inglese della flessibilità, in Boll. ADAPT, 4 aprile 2016. Il requisito della flessibilità, secondo Xxxxxx, Lo jus variandi, in Carinci (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio. Atti del XI Seminario di Bertinoro-Bologna del 22-23 ottobre 2015, ADAPT University Press, 2015, 227, è ciò che «rende mobile l’oggetto del contratto di lavoro». In particolare, in luogo della clausola generale dell’equivalenza professionale, la nuova disposizione si riferisce alle mansioni
«riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento»,
introducendo così un doppio limite “formale” all’esercizio dello ius variandi. Sempre Brollo, Disciplina delle mansioni (art. 3), in Carinci (a cura di), Commento al d. lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, ADAPT University Press, 2015, 51, afferma che si è passati «dalla tutela dello specifico bagaglio di conoscenze ed esperienze acquisite nella fase pregressa del rapporto di lavoro ad una tutela della professionalità intesa in senso più generico, tarata sulla posizione formale occupata dal lavoratore in azienda, in virtù del sistema di inquadramento». Il bene giuridico tutelato dalla norma non sarà più dunque la professionalità “acquisita”, bensì la professionalità “classificata” (o “contrattuale”). Nello stesso senso Xxxxxxxx, La disciplina delle mansioni nel d.lgs. n. 81 del 2015, WP CSDLE “Xxxxxxx x’Xxxxxx”.IT – 291/2016, 17: «la tutela del bene della professionalità tradizionalmente intesa non è perenta, anche se dal novellato art. 2103 c.c. di certo fuoriesce ridimensionata».
rendere i contratti di lavoro maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo73.
Tale inversione di tendenza sembra molto rilevante ai fini dell’analisi che ci occupa, in quanto testimonia come anche nel settore in esame le istanze di adeguamento del contratto alle mutate circostanze di riferimento vengano affrontate in chiave manutentiva, privilegiando l’uso di strumenti che garantiscano la flessibilità del rapporto di lavoro e che trovano approdo nella strategia politica attuata con il Jobs Act, orientata a superare alcune rigidità degli apparati produttivi per il rilancio dell’economia74.
73 Come enunciato dall’incipit del comma 7 dell’art. 1 della l. 10 dicembre 2014,
n. 183. Il riferimento è non solo alle esigenze legate alla crisi economica e sociale, ma anche all’introduzione di innovazioni tecnologiche che richiedono continui cambiamenti organizzativi. SI tratta di una istanza di modernizzazione che trae origine anche da una spinta europea in tal senso, come confermato da quanto si legge nel Libro Verde della Commissione Europea del 2006 (Modernizzare il diritto del lavoro per raccogliere le sfide del XXI secolo): «nel contesto della globalizzazione, del processo di ristrutturazione e della progressione verso un’economia fondata sulla conoscenza, i mercati del lavoro europeo devono essere al tempo stesso più̀ inclusivi e più̀ reattivi all’innovazione e al cambiamento. I lavoratori potenzialmente vulnerabili devono avere la possibilità̀ di progredire socialmente per migliorare la loro mobilità e affrontare con successo le loro transizioni sul mercato del lavoro. Le norme giuridiche che sottendono il rapporto di lavoro tradizionale non danno forse un sufficiente margine di manovra ai lavoratori reclutati sulla base di contratti a durata indeterminata standard per esplorare le opportunità̀ di una maggiore flessibilità̀ sul lavoro e non li incoraggiano ad agire in questo senso. La corretta gestione dell’innovazione e del cambiamento implica che i mercati del lavoro prendano in considerazione tre aspetti principali: la flessibilità̀, la sicurezza nell’occupazione e la segmentazione».
74 Si veda l’incipit del d.l. n. 34/2014, laddove il legislatore delegante afferma
che la flessibilizzazione è volta a fronteggiare «la perdurante crisi occupazionale e l’incertezza dell’attuale quadro economico, nel quale le imprese devono operare, nelle more dell’adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro, con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente e
2 Ius variandi nei rapporti asimmetrici del “secondo” contratto
Se nei contratti appartenenti al primo tipo le parti sono le principali artefici del loro destino negoziale e detengono “una posizione eccezionale corrispondente ad una prerogativa tipica del legislatore: quella di contribuire a determinare l’ambito del giuridicamente rilevante”75, in quelli corrispondenti al secondo modello la cosiddetta parte debole guadagna incisività negoziale grazie alla protezione offerta dalla normativa speciale, del cui carattere dispositivo si tende a dubitare anche laddove non vi sia una espressa sanzione di nullità della clausola difforme76. La scelta terminologica appena compiuta non è casuale:, l’espressione parte debole sembra più appropriata per disegnare l’identikit di un contraente non necessariamente investito della qualifica di consumatore77.
salva l’attuale articolazione delle tipologie di contratti di lavoro, vista la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 (.)». Ed inoltre, «analogo ragionamento vale (.) per l’attrazione di investimenti stranieri: un mercato del lavoro più̀ efficiente è cruciale per l’attrattività̀ del Paese, esattamente come il costo dell’energia o l’efficienza della pubblica amministrazione o del sistema giudiziario» ed «il fine ultimo dell’intervento è quello (…) di sostenere in modo complessivo ed organico la crescita dell’economia reale».
75 Barcellona, Diritto Privato e società moderna (con la collaborazione di Xxxxxxx
C.), Napoli, 1996, 327.
76 Come, ad esempio, espressamente previsto dall’art. 6, comma 1, l. n. 192/1998. Sul punto, Pisu, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, Napoli, 2017, 171.
77 Alpa, in Compendio del nuovo diritto privato, Torino, 2000, 127 ss., critica la tendenza a utilizzare in modo fungibile i due termini di “parte debole” e di “consumatore”, affermando che possano essere considerati elementi di un rapporto di genus ad species solo entro il rispetto di determinati parametri. Si pensi ad utenti che non necessariamente rivestono la qualifica formale di consumatori come il cliente di una banca, il turista, il fruitore di servizi di telecomunicazioni, nei cui confronti proprio per questo sono predisposte
Può trattarsi, invero, di consumatori, ovvero di “interlocutori”, “utenti”, “clienti”, che accedono a beni e servizi entrando in contatto con l’impresa o con il professionista secondo le modalità tipiche della contrattazione standardizzata. Il protagonista è il contraente strutturalmente debole che smette di identificarsi solo con il soggetto consumatore e necessita di tutela per la gestione di un rapporto, anche di matrice non consumeristica, con l’impresa che fornisce nel mercato
specifiche normative di settore. Il termine consumatore, definito come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” fa il suo ingresso nell’ordinamento con la legge n. 56 del 1996 che ha recepito, attraverso l’inserimento nel codice civile degli articoli 1469–bis–sexies, la Direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive stipulate nei contratti con i consumatori. Sull’opportunità di rivisitare l’ampiezza di questa categoria sganciandola dal rigoroso rispetto dei due requisiti della fisicità e della estraneità dell’atto di consumo all’attività professionale o imprenditoriale il dibattito è da tempo aperto. Estendere la nozione di consumatore significa ampliare lo spettro di tutela ad esempio alle persone giuridiche; c’è infatti chi ritiene che la loro esclusione dalla disciplina consumeristica sia di dubbia legittimità costituzionale per contrasto con l’articolo 3 Cost. (da notare che nel codice del consumo c’è un allargamento della nozione di consumatore alle persone giuridiche, se pur solo in materia di pubblicità ingannevole). Anche in merito al secondo elemento qualificante, ovvero lo scopo dell’azione, si registrano orientamenti difformi, soprattutto in giurisprudenza. Secondo la giurisprudenza di merito (Trib. Roma, 20 ottobre 1999, in Giust. civ., 2000, I, 2117) è consumatore anche “il soggetto che acquista un bene o richiede la prestazione di un servizio da utilizzare nell’ambito della propria attività imprenditoriale o professionale, purché non rientri nel quadro di tale attività la conclusione di contratti dello stesso genere di quello stipulato” (nel caso specifico si trattava di uno scultore professionista che aveva stipulato un contratto di trasporto di un’opera d’arte). Altra sentenza di merito ha qualificato come consumatore un condominio che aveva stipulato con una società di servizi un contratto di manutenzione degli ascensori (Trib. Bologna, 3 ottobre 2000, in Corr. giur. 2001, 525, con nota di Xxxxx, Lo “status” di consumatore alla ricerca di un foro esclusivo e di una stabile identificazione). Molto più decise a mantenere intatto il perimetro originario sia la Corte Costituzionale che la Corte di Giustizia Europea, quest’ultima orientata dall’esigenza di garantire uniformità di disciplina all’interno dell’Unione (per la menzione di due pronunce paradigmatiche sul punto, si veda Corte cost. 22 novembre 2001, n. 469 in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 2003, 1032 e Xxxxx xxxxx. XX, 00 gennaio 2005, causa C-464/01, in Foro it., 2005, IV, 124).
determinati beni e servizi. Le normative di settore che esamineremo testimoniano la loro vocazione a perseguire con pari intensità ed efficacia di quella consumeristica gli obiettivi di ripristino della simmetria negoziale, tutela del carattere concorrenziale del mercato e correzione dei suoi fallimenti con la disciplina dell’adeguamento negoziale attuato anche attraverso clausole attributive di uno ius variandi.
2.1 I contratti dei consumatori: le clausole presuntivamente vessatorie di cui alle lett. m) e o) dell’art. 33 cod. cons.
La disposizione più significativa in materia di ius variandi nel contratto del consumatore è prevista dall’art. 33 cod. cons., lett. m) e o), il quale prevede che la clausola apposta unilateralmente da un professionista in un contratto stipulato con un consumatore sia oggetto di una presunzione iuris tantum di vessatorietà.
Uno sguardo più attento della normativa coglierà la diversa costruzione delle due previsioni, la quale può far pensare tanto a un errore di coordinamento quanto a un rapporto di specialità tra le stesse. La disposizione di cui alla lettera m) si riferisce in generale alla modifica delle clausole del contratto e vincola l’esercizio dello ius variandi alla presenza di un giustificato motivo; la disposizione di cui alla lettera o), invece, attiene esclusivamente alla variazione in aumento del prezzo dovuto dal consumatore, introducendo il diritto di recesso dello stesso per il caso in cui il prezzo finale risulti eccessivamente elevato rispetto a quello originario.
Dunque, la clausola attributiva del potere di variazione del prezzo sarebbe disancorata dalla necessaria presenza del giustificato motivo, mentre la modifica di una clausola contrattuale riguardante in generale
le caratteristiche del prodotto o del servizio potrebbe salvarsi dalla presunzione di vessatorietà anche senza l’attribuzione del diritto di recesso al consumatore.
Tuttavia, per quanto riguarda il primo requisito, sia dottrina che giurisprudenza escludono la configurabilità di uno ius variandi ad nutum, pertanto un giustificato motivo dovrà in ogni caso essere comunicato all’atto di esercizio della facoltà di modifica, spettando all’interprete, semmai, valutarne l’ammissibilità.
Rispetto, invece, alla scindibilità del binomio ius variandi - diritto di recesso sussistono minor perplessità78; peraltro, una clausola che vada a modificare in maniera consistente le condizioni contrattuali e che sia
78 In tal senso, Xxxxxxxxxxx, La modificazione unilaterale del contratto asimmetrico secondo la Cassazione (aspettando la Corte di Giustizia), op. cit., 165; Pisu, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, op. cit., 177, in cui si legge: “(…) mentre, come abbiamo già rilevato, l’associazione ius variandi - recesso non costituisce una necessità né sul piano logico, né in generale su quello normativo, altrettanto non può dirsi a proposito del giustificato motivo, che – anche alla luce della funzione dell’istituto e del principio generale di correttezza che governa l’esercizio dei poteri privati, deve ritenersi presupposto imprescindibile di qualsiasi forma di ius variandi”. Secondo Xxx, Clausole vessatorie: una svolta storica (ma si attuano così le direttive comunitarie?), in Contr. e impr. Eur., 1996, 449, il giustificato motivo deve sempre coincidere con una indicazione “riferita a circostanze oggettive, non tale da lasciare al professionista una facoltà sostanzialmente discrezionale e disancorata da elementi suscettibili di effettivo controllo”. In giurisprudenza, sulla necessaria presenza del giustificato motivo anche in ordine allo ius variandi che incide solo su fattori meramente economici del contratto, si veda il commento a Xxxxx Xxxxxxxxx XX, xxx. XX, 00 febbraio 2015, n. 143 e Corte di Giustizia UE, sez. III, 23 aprile 2015, n. 96, di Xxxxxxxxxxx, Contratto b2c e concorso di tutele: variazione su diritto primo e diritti secondi a margine di Xxx Xxxx e Matei, in Contratti, 2015, 753 ss., in cui afferma la vessatorietà della clausola di ius variandi che operi al prodursi di “variazioni significative nel mercato finanziario” in quanto “affidata ad un motivo indeterminato e proclive ad incorporare ragioni legate alle politiche del professionista, e dunque in contrasto con la normativa europea (lett. j allegato direttiva 93/13/CEE), la quale riconosce la presunzione di vessatorietà per la variatio contrattuale in peius carente di un valido motivo (…)”.
sprovvista del contropotere di recesso per il consumatore, seppur salva dalla presunzione di abusività, rischia senz’altro di incorrere nella sanzione di nullità comminata all’esito del giudizio generale di vessatorietà condotto in virtù dell’art. 33, comma 1, cod. cons., con il quale si accerta la presenza di un significativo squilibrio tra le parti79.
2.2 Approvigionamento e fornitura di energia e gas
Quando si parla di contratto amministrato si fa riferimento a un termine nato in dottrina per indicare quei contratti “disciplinati” che nascono in settori in cui la regolazione dei mercati viene affidata ad autorità amministrative indipendenti, le quali intervengono conformando ab externo l’attività giuridica dei privati80. Un esempio
79 Corte di Giustizia UE, sez. I, 21 marzo 2013, n. 92, in Foro it., 2014, 1, IV, c. 4, nell’ambito di una controversia tra un’impresa tedesca di approvigionamento di gas e alcuni consumatori ha riconosciuto la vessatorietà di una clausola di modificabilità unilaterale del prezzo delle forniture, affermando che il rispetto dei canoni di buona fede, equilibrio e trasparenza richiede che sia assicurata al consumatore la prevedibilità del comportamento dell’impresa. L’assenza di informazioni precontrattuali in ordine al motivo e alle modalità di variazione delle spese non viene sanata dalla circostanza che i consumatori ricevano le stesse informazioni con un preavviso ragionevole nel corso dell’esecuzione del contratto e prima dell’esercizio di tale potere di modifica unilaterale.
80 Solinas, Il contratto «amministrato» La conformazione dell’operazione economica
agli interessi generali, Napoli, 2018. In merito al potere regolatorio delle autorità amministrative indipendenti merita tuttavia menzionare la pronuncia con cui il Tar Lazio ha ribadito come lo stesso debba essere esercitato nel rispetto della normativa di riferimento. In particolare, Tar Lazio, Sez. III, 13.12.2016, n. 12421, con nota di Xxxxxxxx, Ius variandi e tutela dell’utente tra codice del consumo e codice delle comunicazioni elettroniche, in Giur. it., 2017, 5, 1079, si occupa della adozione da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni della delibera n. 519/15/Cons di approvazione del regolamento recante disposizioni a tutela degli utenti in materia di contratti relativi alla fornitura di servizi di comunicazioni elettroniche. All’art. 6, comma 1 (Modifica delle condizioni contrattuali), si leggeva: “Gli operatori modificano le condizioni contrattuali solo nelle ipotesi e nei limiti previsti dalla legge o dal contratto medesimo, ovvero quando tali modifiche siano esclusivamente a vantaggio dell’utente”. In tale occasione, il giudice amministrativo accoglie la censura
paradigmatico dell’operatività di questo fenomeno ci viene offerto dal settore della produzione e distribuzione dell’energia elettrica e del gas naturale, all’interno del quale la corrispondente Autorità si è mossa con varie delibere per attuare una più efficiente gestione delle sopravvenienze attraverso l’adozione di strumenti convenzionali di adeguamento del contratto, tra cui in particolare una c.d. “clausola di salvaguardia” volta a tutelare l’acquirente finale sul quale prima venivano riversati gli effetti di aumenti improvvisi dei prezzi della materia prima81.
Accanto agli incentivi alla rinegoziazione promossi dall’Autorità competente, all’interno del mercato dell’energia e del gas troviamo anche tracce dell’impiego di forme di adeguamento del contratto
della parte ricorrente di illegittimità del regolamento menzionato per violazione della normativa di rango primario contenuta nell’art. 70 cod. com. elettr., il quale disciplina lo ius variandi attribuendo (i) agli utenti che non intendano accettare le modifiche delle condizioni contrattuali il diritto di recedere dal contratto senza penali né costi di disattivazione e (ii), all’Autorità competente il potere di specificare la forma delle comunicazioni con cui vengono apportate tali modifiche. Il Tar mette dunque in luce come la limitazione contenuta nel regolamento adottato dall’Autorità non trovi alcuna corrispondenza con la disciplina primaria di riferimento, introducendo una idebita compromissione di tale prerogativa dal punto di vista sostanziale.
81 Gitti, Autonomia privata e autorità indipendenti, in Enc. dir., Xxxxxx, V, 2012, p.
141, in cui si parla della delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas del 29 dicembre 2004 n. 248, poi confermata dalla delibera del 29 marzo 2007 n. 79. In seguito con la più recente delibera del 9 maggio 2013 n. 196, pubblicata sul sito xxx.xxxxxxxx.xxxxxxx.xx, è stato introdotto il c.d. “meccanismo per la promozione della rinegoziazione dei contratti pluriennali di approvigionamento di gas naturale”. Per un approfondimento sul concetto di rinegoziazione si veda Xxxxxxxxx, La rinegoziazione, in Contratto e impresa, 2002, 775, in cui l’autore descrive la rinegoziazione come «l’attività delle parti che ridiscutono il contenuto dei patti cui si sono vincolate con un precedente accordo» e anche come «l’obbligo di comportamento che grava sulle parti in relazione ad un mutamento delle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto al momento dell’esecuzione».
consistenti nell’esercizio da parte delle imprese di poteri unilaterali di modifica delle condizioni contrattuali.
Si tratta di pratiche regolate dal legislatore europeo e attuate nell’ordinamento interno grazie all’intervento regolatore dell’Autorità: in particolare la dir. 2009/72/CE prevede che i «consumatori ricevano adeguata comunicazione dell’intenzione di modificare le condizioni contrattuali e siano informati del loro diritto di recesso al momento della comunicazione»82. Sulla scorta di tale direttiva, con la delibera 8 luglio 2010 n. 104, l’Autorità ha approvato il «Codice di condotta commerciale per la vendita di energia elettrica e di gas naturale ai clienti finali», entrato in vigore il 1 gennaio 2011 e modificato con successive delibere fino al 2015, il quale regola espressamente l’esercizio dello ius variandi convenzionale da parte del fornitore.
L’art. 13 del Codice suddetto dispone che qualora il contratto di fornitura preveda per l’esercente la facoltà di variare unilateralmente le clausole contrattuali in presenza di un giustificato motivo, lo stesso esercente ne dia comunicazione al cliente con un preavviso non inferiore a tre mesi dalla decorrenza delle variazioni, specificando, tra le altre informazioni, le modalità e i tempi per la comunicazione da parte del cliente della volontà di recedere senza oneri, al fine di agevolare la effettiva possibilità per il cliente di interrompere il rapporto contrattuale83.
82 Par. 1 lett. b) All. 1 direttiva 13 luglio 2009 n. 72.
83 L’art. 13 specifica inoltre che dalla violazione di tali prescrizione consegue l’obbligo di indennizzare l’utente finale, il quale potrà ovviamente adire le sedi competenti per la risarcibilità dell’ulteriore danno subito.
2.3 Servizi di comunicazione elettronica
Si tratta di un settore in cui per prassi consolidata l’operatore professionale inserisce nelle condizioni generali di contratto una clausola con cui si riserva il diritto di modificare le condizioni originariamente sottoscritte dal cliente.
Il primo intervento normativo in materia si è avuto con l’adozione del Codice delle comunicazioni elettroniche avvenuta con d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, il cui articolo 70 si occupa dei contratti stipulati da “consumatori” e altri “utenti finali” con imprese che forniscono servizi di connessione ad una rete di comunicazione pubblica o servizi di comunicazione elettronica accessibile al pubblico. Il comma 4 di tale articolo prevede che le imprese che forniscono il servizio debbano comunicare le modifiche con un preavviso non inferiore a trenta giorni, specificando le modalità in cui il contraente può esercitare il proprio diritto di recedere senza penali né costi di disattivazione84. Lo stesso xxxxx attribuisce all’Autorità garante il compito di specificare la forma di tali comunicazioni; e il provvedimento in questione è stato adottato dall’Autorità garante delle comunicazioni con una delibera del 201585, in cui si prevede, tra le altre specificazioni, che se inserita in fattura la
84 Tale formulazione, introdotta dal d. lgs. 70/2012, di recepimento della direttiva 2009/136/CE ha sostituito il testo previgente e originario del comma 4 dell’art. 70, il quale costituiva la riproduzione letterale di quanto previsto dall’art. 20, comma 4, della direttiva 2002/22/CE (c.d. dir. servizio universale).
85 Allegato 1 «Modalità per la comunicazione agli utenti di modifiche contrattuali e del conseguente diritto di recesso, ai sensi dell’art. 70, comma 4, del Codice delle comunicazioni elettroniche» al «Regolamento recante disposizioni a tutela degli utenti in materia di contratti relativi alla fornitura di servizi di comunicazioni elettroniche» (Allegato A alla delibera n. 519/2015/CONS).
comunicazione debba essere effettuata tramite avviso separato e specifico e con caratteri tali da richiamare l’attenzione degli utenti86.
L’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 70 cod. com. elettr. comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria comminata dal Ministero o dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni87, mentre sul piano civile la norma risulta sprovvista di conseguenze, non essendoci menzione dell’indennizzo dovuto in caso di violazione dell’art. 13 del codice di condotta commerciale per la vendita di energia elettrica e di gas naturale ai clienti finali. Resta ferma, tuttavia, la inefficacia delle modifiche attuate e la restituzione degli importi eventualmente addebitati all’utente.
La disciplina piuttosto essenziale prevista dal codice delle comunicazioni elettroniche in tema di ius variandi apre il dibattito sul rapporto tra la stessa e la normativa consumeristica, dibattito non sopito ma anzi rinvigorito in seguito alla scelta compiuta dalla novella del 2012 di eliminare il comma 6 dell’art. 70, il quale recava una clausola di salvaguardia in cui si faceva salva l’applicazione delle norme e delle disposizioni in materia di tutela dei consumatori, senza
86 Più precisamente, deve presentare la seguente intestazione in maiuscolo:
«Comunicazione importante: modifica delle condizioni del contratto». Si ammette inoltre che per le utenze mobili la comunicazione possa essere realizzata tramite invio di sms informativo formulato nel rispetto di determinati requisiti. Quando nel 2007 uno dei decreti Bersani (art. 1, d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, convertito in legge 2 aprile 2007, n. 40), impose l’abolizione dei costi di ricarica per le carte prepagate di telefonia mobile, molti operatori esercitarono lo ius variandi in senso peggiorativo modificando i piani tariffari per recuperare il profitto perso e riversare gli effetti della nuova normativa sugli utenti. Le associazioni insorsero lamentando la contrarietà delle modalità di comunicazione delle variazioni, spesso consistente nell’invio di sms ai clienti, con la normativa prevista dal codice delle comunicazioni elettroniche.
87 L’importo della sanzione sarà compreso tra euro 5.800,00 ed euro 58.000,00
(art. 98, comma 16, cod. com. elettr.).
tuttavia con ciò eliminare i problemi di coordinamento con il codice del consumo88.
La soluzione non è di poco conto, essendo ravvisabili alcune differenze tra le due discipline. In particolare, l’art. 33, comma 2 lett. m), cod. cons. richiede, al fine di superare la presunzione di vessatorietà, che la clausola attributiva del potere di modifica unilaterale ne subordini l’esercizio alla presenza di un giustificato motivo, mentre il comma 4 dell’art. 70 cod. com. elettr. non menziona tale requisito e di contro introduce un diritto di recesso di cui non vi è traccia nella disposizione consumeristica. Inoltre, mentre l’art. 33, comma 2 lett. o) riconosce il diritto di recesso in caso di aumento di prezzo del bene o del servizio solo nel caso in cui il corrispettivo dovuto diventi eccessivamente elevato rispetto a quello originario, il comma 4 dell’art.
70 cod. com. elettr. garantisce detto diritto indipendentemente da qualsivoglia valutazione circa l’entità della variazione economica realizzata.
Secondo una opinione in dottrina il rapporto tra i due codici dovrebbe essere risolto applicando il principio di specialità, e dunque privilegiando l’esclusiva applicazione della disciplina di cui all’art. 70 cod. com. elettr., considerata esaustiva della tutela in questo settore predisposta per il consumatore89. Il contrasto ad oggi non sembra
88 Secondo Cons. Stato (Ad. Plen.), 11 maggio 2012, n. 12, in Corr. giur., 2012, 11, 1363, quello di cui al comma 6 art. 70 costituiva un «rinvio dinamico» ad ogni altra disposizione a tutela del consumatore a chiusura del sistema e per evitare a priori il rischio di possibili lacune della tutela stessa.
89 V. in tal senso, Zoppini, Sul rapporto di specialità tra norme appartenenti ai codici di settore (lo ius variandi nei codici del consumo e delle comunicazioni elettroniche), op. cit., 1036 ss. Orientamento contestato da Pisu, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, op. cit., 267 ss., in cui si legge in riferimento al significato dell’abrogazione comma 6, art. 70, cod. com. elettr.:
«Vero è che (…) potrebbe lasciar intendere che la normativa consumeristica
potersi dirimere in via giurisprudenziale, in quanto a fronte di pronunce nel senso sopra descritto troviamo orientamenti che propendono per la soluzione opposta, ossia che riconoscono il rapporto concorrente tra le due discipline applicando la disciplina consumeristica a contratti di comunicazioni elettronica90.
2.4 Turismo organizzato
Il d. lgs. 23 maggio 2011, n. 79, all’art. 3, comma 1, lett m) ha abrogato gli artt. 82-100 cod. cons., facendo confluire nel Capo I del Titolo VI del codice del turismo le norme relative ai «Contratti del turismo organizzato»91.
non debba più entrare in gioco nelle vicende modificative di questi contratti. Tuttavia, la novella del 2012 non è di per sé decisiva in tal senso in quanto la scelta del legislatore europeo (seguito da quello italiano) di eliminare il rinvio potrebbe essere dipesa dall’averlo reputato pleonastico». Peraltro, sempre secondo Xxxx, op. ult. cit., 270, anche qualora si volesse accedere all’idea secondo la quale il rapporto tra le due discipline debba essere risolto applicando esclusivamente l’art. 70 cod. com. elettr. ai corrispondenti contratti, «l’esercizio del potere non può, a nostro avviso, prescindere dal riscontro di una ragione oggettiva che giustifichi la variazione unilaterale, dovendosi altrimenti sostenere che l’operatore dispone di uno ius variandi arbitrario, il che, in base alle considerazioni raggiunte in termini generali, non può considerarsi accettabile».
90 Nel primo senso si veda Tar Lazio, Sez. III, 13.12.2016, n. 12421, con nota di
Morlando, Ius variandi e tutela dell’utente tra codice del consumo e codice delle comunicazioni elettroniche, op. cit., 1079, in cui il giudice amministrativo interviene sul tema del rapporto tra codici di settore affermando che l’art. 70, cod. com. elett., si pone in un rapporto di specialità rispetto a quanto sancito dall’art. 33 del codice del consumo, individuando in modo esclusivo il giusto “contrappeso” nelle mani dell’utenza a fronte di un’intervenuta modifica unilaterale del regolamento contrattuale. Per il secondo orientamento si veda Corte Giustizia UE, 26 aprile 2012, n. 472, in Foro it., 2013, 4, IV, c. 170; Cons. Stato (Ad. Plen.), 11 maggio 2012, n. 13, in Foro it., 2012, III, 481; Tar Lazio, sez. I, 29 marzo 2010, n. 4931, in Dir. informatica, 2010, p. 929.
91 In particolare gli articoli 89-92 cod. cons. che contenevano le disposizioni
previste dagli articoli 10-13 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 111 su viaggi, vacanze e circuiti «tutto compreso» in attuazione della direttiva 90/214/CE, poi
All’interno di questo corpus di norme troviamo alcune disposizioni inerenti alle vicende modificative in senso unilaterale di contratti la cui causa viene in concreto integrata da una “finalità turistica” che guida l’adeguamento degli stessi in ragione di eventi sopravvenuti92. In particolare, gli articoli 40 e 41 del codice del turismo disciplinano rispettivamente la variazione del prezzo e la modifica significativa di elementi del contratto concernenti la prestazione dell’organizzatore, ossia i servizi inclusi nel pacchetto turistico. Non risulta chiaro il rapporto tra le due norme: si potrebbe pensare ad un rapporto di specialità, inquadrando la revisione del prezzo di cui all’art. 40 come ipotesi specifica della fattispecie di modifica di elementi del contratto di viaggio disciplinata dall’art. 4193. Tuttavia, la normativa costruisce i due meccanismi di revisione del contratto in modo diverso: mentre l’art. 40 prevede che le variazioni di prezzo possano attuarsi solo in base ad una apposita convenzione in tal senso, la modifica delle altre condizioni contrattuali viene regolata ex lege dall’art. 4194. Per quanto riguarda, invece, il potere di intervento unilaterale esercitabile dal turista, l’art. 42 cod. tur. stabilisce il diritto dello stesso di recedere a seguito del verificarsi delle vicende di cui ai precedenti articoli 40 e 41, e l’art. 39 prevede una peculiare prerogativa di modifica unilaterale del contratto da parte del turista operante sul piano soggettivo: il viaggiatore può infatti sostituire a sé un terzo fino a quattro giorni prima della partenza
sostituita dalla più recente dir. 2015/2302/UE con effetto dal 1 luglio 2018. X. Xxxxxxxx, I contratti del turismo organizzato, in Trattato dei Contratti, dir. Roppo, IV Opere e servizi, 2, 2014, 435 ss.
92 Si veda Cass., 24 luglio 2007, n. 16315, in Giur. it., 2008, p. 1133.
93 In tal senso, Silingardi – Morandi, La «vendita di pacchetti turistici», Torino, 1998, 54 ss.
94 Pisu, op. cit., 273.
nel rispetto di determinate condizioni e a prescindere dal consenso del contraente ceduto.
Analizziamo più nel dettaglio le ipotesi previste dagli articoli 40 e 41 cod. tur.: il primo, come anticipato, disciplina il meccanismo di operatività della revisione del prezzo. Già secondo la vecchia direttiva 90/314/CEE, oggi sostituita dalla 2015/2302/UE, lo ius variandi attribuito al venditore del pacchetto turistico poteva essere esercitato entro stringenti limiti legali, e cioè con comunicazione da effettuare almeno
20 giorni prima della partenza, per motivazioni specifiche95 e in presenza di una apposita clausola convenzionalmente pattuita per la revisione del prezzo al rialzo o al ribasso96.
La normativa comunitaria non prevedeva alcun limite quantitativo alla variazione in aumento, mentre in sede di recepimento della stessa il legislatore interno ha inserito una soglia del 10% (art. 40, comma 2, cod. tur.). Tale soglia è stata abbassata dalla nuova direttiva entrata in vigore in sostituzione della precedente che la fissa all’8% del prezzo convenuto e il cui superamento comporta l’attivazione a favore del turista delle
95 In particolare, si tratta di una elencazione considerata tassativa di sopravvenienze economiche sfavorevoli per il venditore: i costi del trasporto, i tassi di cambio, altri diritti e tasse dovuti per servizi specifici, ad esempio per imbarco e sbarco nei porti e negli aeroporti. La previsione bidirezionale della norma, tuttavia, prevede che l’adeguamento sia attuato anche a vantaggio del turista in caso di ribasso dei costi sostenuti dall’operatore turistico. Il legislatore interno ha però omesso di recepire tale bi-direzionalità: l’art. 40 non esplicita alcun obbligo per l’operatore di ridurre il corrispettivo globale in caso di diminuzione dei medesimi costi.
96 Nei considerando della direttiva citata nel testo si legge infatti: «il prezzo
stabilito nel contratto non deve, in linea di massima, essere rivisto, a meno che il contratto non preveda espressamente la possibilità di una revisione sia al rialzo che al ribasso».
tutele previste per la variazione di altri elementi del contratto97. La previsione di questa soglia potrebbe prima facie apparire garantista per l’utente del servizio: una analisi più attenta però rivela che tale “garanzia” sostituisce la prerogativa del recesso, attribuita nel settore delle comunicazioni elettroniche e bancario a prescindere dalla portata della variazione.
La norma, dunque, si traduce in una espressione di favore per l’operatore turistico, di fatto legittimato ad un aggravio del prezzo a danno del turista ed esonerato dal rischio di subire il recesso di quest’ultimo ove l’aumento del prezzo sia contenuto entro la soglia consentita98. Diritto di recesso previsto per il caso in cui, invece, lo ius variandi venga esercitato in violazione della soglia massima prevista: il comma 3 dell’art. 40 cod. tur. stabilisce infatti che quando l’aumento del prezzo superi la percentuale consentita, l’acquirente possa recedere dal contratto previo rimborso delle somme già versate e fatto salvo quanto previsto in generale dall’art. 42 cod. tur. in regolazione del rapporto a seguito del recesso del turista99. Nulla dice la normativa rispetto alla eventualità che il turista non receda e alle conseguenze sulla efficacia
97 Art. 10, par. 2, dir. 2015/2302/UE. L’art. 6, par. 1, stabilisce inoltre che le informazioni precontrattuali fornite al turista in merito al prezzo e ai costi complessivi del pacchetto turistico divengono parte integrante del contratto e non possono essere modificate se non per consenso esplicito di entrambi i contraenti.
98 Sul punto la disciplina prevista dal codice del turismo sembra affine a quella consumeristica: l’art. 33, comma 2, lett. o) cod con. prevede che l’attribuzione del diritto di recesso in caso di aumento eccessivo del prezzo consenta di superare la presunzione di vessatorietà della clausola.
99 Le conseguenze dell’esercizio del recesso consistono nel risarcimento dei danni dipendenti dalla mancata esecuzione del contratto, nel diritto al rimborso di quanto già versato all’operatore o in alternativa nel diritto ad un pacchetto turistico sostitutivo, di valore equivalente o superiore, senza supplemento di prezzo, o inferiore con rimborso della differenza.
delle modifiche prospettate dall’operatore: secondo alcune voci in dottrina sarebbe preferibile ritenere che in tal caso il viaggiatore mantenga il proprio diritto all’esecuzione del contratto per il prezzo originariamente convenuto, mentre c’è chi sostiene «questo potere di modifica unilaterale (…) integra un vero e proprio ius variandi, a fronte del quale il turista ha a disposizione le sole due alternative consistenti nell’abbandono del contratto o nella sua prosecuzione a condizioni modificate»100.
L’art. 41 disciplina invece, come anticipato, l’ipotesi di modifiche riguardanti le condizioni del pacchetto turistico diverse dal prezzo e opera una distinzione tra quelle che possono intercorrere tra la conclusione del contratto e l’inizio dell’esecuzione dello stesso e quelle che intervengono successivamente, dunque dopo la partenza, da cui può sorgere una forma di responsabilità dell’organizzatore “per difetto di conformità”101. All’interno della prima categoria è possibile ancora distinguere tra modifiche di scarsa importanza, unilateralmente introducibili da parte dell’organizzatore che si sia riservato il diritto inserendo nel contratto una apposita clausola di ius variandi in tal senso, e modifiche significative, incidenti su uno o più servizi essenziali inclusi nel pacchetto, che attribuiscono al turista la facoltà di recedere senza penali entro un termine ragionevole (fissato in due giorni lavorativi) e di accettare un pacchetto sostitutivo di qualità equivalente o superiore, senza supplemento di prezzo, o inferiore, previa restituzione della differenza di prezzo.
100 Tassoni, Art. 40 codice del turismo, in Codice del consumo, a cura di Xxxxxxx, in Le fonti del diritto italiano, Milano, 2018, 886. Per il primo orientamento si veda Pisu, op. cit., 283-284.
101 Artt. 13 e 14 dir. 2015/2302/UE.
Per quanto riguarda invece le vicende successive alla partenza che incidano in modo essenziale sui servizi offerti, è previsto in primo luogo che vengano predisposte soluzioni alternative per la prosecuzione del viaggio senza oneri per il turista, salvo comunque il risarcimento dell’eventuale danno.
Nel caso di impossibilità di soluzioni alternative o di rifiuto delle stesse da parte del turista, l’operatore dovrà mettere a disposizione del turista un mezzo di trasporto per il rientro anticipato e risarcire l’eventuale danno dipendente dalla mancata esecuzione del contratto. Il sistema delineato dalla normativa conferma dunque, anche in caso di sopravvenienze successive all’inizio di esecuzione del contratto, un favor per rimedi conservativi e manutentivi dello stesso, concependo lo strumento ablativo solo come ultima ratio e facendo comunque salvo il diritto del turista al risarcimento del danno102.
2.5 Contratti bancari
Il settore bancario è indiscutibilmente paradigmatico in tema di potere unilaterali di modifica del regolamento contrattuale: prima che intervenisse la normativa del 1992 recante «Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari»,103 le norme bancarie uniformi sui depositi in conto corrente (art. 15) e sui conti correnti di corrispondenza (art. 16) sancivano per l’azienda di credito la facoltà di modificare in qualsiasi momento le condizioni di tali rapporti.
Oggi la disciplina di riferimento è contenuta nell’art. 118 del Testo Unico Bancario e utilizza due principali criteri distintivi: la tipologia di
102 X. Xxxx., 00 aprile 2008, n. 10651, con nota di Xxxxxxxx, Impossibilità di effettuazione dei servizi e obblighi del tour operator, in Giur. it., 2009, 336,; Trib. Milano, sez. VI, 13 maggio 2010.
103 L. 17 febbraio 1992, n. 154.
cliente (consumatore, microimpresa104 o macroimpresa105) e la durata del contratto (a tempo determinato o indeterminato). La normativa si completa con l’art. 33 cod. cons., che ai commi 4 e 5 tratta dei contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi finanziari introducendo deroghe alle presunzioni di vessatorietà contenute alle lett. m) e o), comma 2, dello stesso articolo. Inoltre, per completezza ricostruttiva, occorre ricordare che per espresso richiamo dell’art. 125 bis, comma 2,
t.u.b. ora anche i contratti di credito al consumo sono sottoposti alla disciplina generale, mentre in precedenza venivano regolati dall’art. 124, comma 2, lett. d) t.u.b., abrogato dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141. Una normativa specifica in materia di ius variandi è invece tuttora prevista per i contratti quadro relativi ai servizi di pagamento, cui si riferisce l’art. 126 sexies t.u.b.
La normativa generale contenuta nell’art. 118 t.u.b., come sopra anticipato, contiene delle differenziazioni basate principalmente su un criterio soggettivo e un criterio oggettivo. In particolare, per i contratti a tempo indeterminato è prevista la possibilità di inserire, «con clausola specificamente approvata dal cliente», «la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo», dunque sia il disciplinare economico (tassi e prezzi) che normativo (altre condizioni
104 Categoria introdotta dal d. lgs. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27, che ha definito nell’art. 18, lett. d-bis) le microimprese come
«entità, società o associazioni che, a prescindere dalla forma giuridica , esercitano un’attività economica, anche a titolo individuale o familiare, occupando meno di dieci persone e realizzando un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a due milioni di euro (…)».
105 Comma 2-bis t.u.b.
previste dal contratto)106. Mentre per i contratti a tempo determinato tale prerogativa di modifica unilaterale sussiste solo in relazione a clausole diverse da quelle che fissano i tassi di interesse107.
L’art. 117, comma 6, t.u.b. introduce poi un altro importante limite quantitativo ispirato al rispetto dell’obbligo di trasparenza e incidente sull’ampiezza del potere di modifica unilaterale, sancendo la nullità delle «clausole che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati».
Il fulcro della normativa è sicuramente costituito dalla previsione del giustificato motivo come presupposto generale per il legittimo esercizio dello ius variandi: tale modifica introdotta nel 2006 ha ricondotto ad unità il sistema, risolvendo i problemi di coordinamento
106 La formulazione originaria della norma ometteva il riferimento ad una apposita convenzione attributiva del potere, e legittimando il dubbio che il legislatore avesse previsto lo ius variandi come regime legale dei contratti di durata. Tuttavia, la più autorevole dottrina già all’epoca sosteneva invece trattarsi di una facoltà suscettibile di inserimento nel contratto mediante pattuizione convenzionale: x. Xxxxxxxxxx, La normativa sulla trasparenza: il jus variandi, in Dir. banca merc. fin., 1994, I, 469 ss. Oggi troviamo conferma di tale impostazione anche nelle decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario in materia di ius variandi. Si veda, da ultimo, la decisione n. 7986 del 21 marzo 2019: «l’art. 118 TUB, contenente la disciplina dello ius variandi, subordina la validità dello stesso a specifici requisiti, dovendo questo: a) essere previsto dal contratto; b) essere comunicato per iscritto al cliente con un preavviso di almeno sessanta giorni; c) essere assistito da un “giustificato motivo”. Come opportunamente rilevato in dottrina, la richiamata disposizione, letta nella prospettiva dei limiti che l’ordinamento pone alle autorità private nei rapporti contrattuali, introduce una procedimentalizzazione dell’accordo modificativo del rapporto già in essere, che richiede sempre e comunque una partecipazione volitiva di entrambe le parti, posto che la banca può solo formulare una proposta di modifica che si perfeziona mediante la partecipazione dell’altro contraente che, ai sensi dell’art. 118 TUB, si attua con il mancato esercizio del diritto di recesso».
107 Il comma 2-bis dell’art. 118, introdotto del 2011, ammette invece che nei
contratti stipulati con soggetti diversi da consumatori e microimprese si possa esercitare lo ius variandi anche sulle clausole che fissano i tassi di interesse al verificarsi di specifici eventi e condizioni predeterminati nel contratto.
creati dalla precedente formulazione dell’art. 118 t.u.b. che attribuiva massima discrezionalità alle banche e creava una incompatibilità evidente con quanto già previsto per i contratti con i consumatori108.
Sulla definizione di giustificato motivo occorre soffermarsi: la stessa è stata oggetto sin dalla sua introduzione di una circolare ministeriale109 e ancora oggi dei tentativi di specificazione compiuti da parte dell’Arbitro Bancario Finanziario nelle proprie decisioni. Si devono intendere ricompresi nel novero del giustificato motivo tutti quegli eventi esogeni e sopravvenuti che incidono sulla struttura dei costi di esercizio dell’impresa bancaria, alterano le utilità e gli interessi dei contraenti e non sono imputabili alle arbitrarie decisioni di parte.
108 Tuttavia, anche nella precedente versione dell’art. 118 t.u.b. la dottrina si era preoccupata di arginare l’esercizio ad nutum dello ius variandi affermando che il suo esercizio dovesse essere comunque rispettoso dei canoni generali di buona fede e correttezza nell’esecuzione dei contratti e del divieto di abuso nell’esercizio dei diritti potestativi. Tra gli altri, Xxxxxxxx, Osservazioni in tema di modifiche unilaterali nella disciplina dei contratti bancari, in Riv. dir. priv., 1998, 288.
109 Circolare del Ministero dello Sviluppo Economico, n. 5574 del 2007, in cui si
è precisato che le modifiche disciplinate dal nuovo art. 118 t.u.b. riguardando soltanto le fattispecie di variazioni previste dal contratto, non possono comportare l’introduzione di clausole ex novo; si è individuato il giustificato motivo in “eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario” e si è sottolineato che “tali eventi possono essere sia quelli che afferiscono alla sfera del cliente (ad esempio, il mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito) sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (ad esempio, tassi di interesse, inflazione ecc.)”. La circolare ha stabilito poi che nella relativa comunicazione “il cliente deve essere informato circa il giustificato motivo alla base della modifica unilaterale, in maniera sufficientemente precisa da consentire una valutazione circa la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base”. Ulteriori chiarimenti sul punto sono stati forniti dalla Banca d’Italia con il provvedimento del 29 luglio 2009 (Trasparenza delle operazioni e dei servizi degli intermediari finanziari) e con le note prot. n. 864529 del 05/09/2014 e n. 412631 del 28/03/2017. Per quanto riguarda le decisioni dell’ABF si veda , ex multis, la decisione n. 2670 del 30 gennaio 2018.
Essendo stato introdotto con la funzione primaria di porre un argine alla discrezionalità della parte contrattuale forte e di conservare l’equilibrio sinallagmatico in origine voluto, il giustificato motivo è un concetto inevitabilmente elastico che mal si presta ad una esaustiva definizione preliminare e che ha bisogno di essere declinato nel singolo caso specifico con l’aiuto degli interpreti110.
Quanto alle modalità di esercizio dello ius variandi, il comma 2 dell’art. 118 t.u.b. prevede che l’atto di esercizio dello stesso sia presentato con un preavviso minimo di due mesi nei termini di una
110 Xxxxx, Le clausole attributive dello ius variandi, op. cit., 84; Xxxxxxxxxx, La disciplina del ius variandi nei contratti finanziari secondo la novella codicistica sulle clausole vessatorie, in Dir. banca e merc. fin., 2005, 21. Ad esempio, nella decisione ABF n. 4070, 8 febbraio 2019 si afferma che, come evidenziato nella nota n. 412631 approvata dal Direttorio della Banca d’Italia in data 28 marzo 2017, «devono considerarsi inammissibili le variazioni che non presentano correlazione tra le tipologie di contratti e le tariffe interessati dalle variazioni, da un lato, e l’incremento dei costi posto a base della modifica. Infatti, tali variazioni si tradurrebbero nell’aggiunta di nuovi costi, non ponendosi come mera modifica di oneri già previsti nel contratto e realizzano, così, un’alterazione del sinallagma negoziale in senso sfavorevole al cliente». Nel caso di specie si trattava di stabilire se lo ius variandi esercitato dalla banca potesse essere giustificato dall’istituzione del Fondo Nazionale di risoluzione ad opera del Provvedimento della Banca d’Italia n. 1226609 del 18 novembre 2015. L’ABF ricorda come la questione sia già stata oggetto di decisione da parte del Collegio di Coordinamento (n. 26498 del 12 dicembre 2018), secondo il quale «nel caso di specie, si può notare che l’istituzione del Fondo Nazionale di risoluzione (…) determina costi a carico dell’intermediario, i quali non sono però in alcun modo correlati alla variazione apportata unilateralmente mediante l’incremento della voce ‘spese annue per conteggio interessi e competenze’». L’ABF (n. 2434, 16 aprile 2014) ha inoltre escluso che un generico e sintetico richiamo agli “effetti prodotti dalla crisi economica e finanziaria” possa costituire un giustificato motivo, non consentendo al cliente di valutare la congruità della variazione apportata rispetto alla motivazione posta a fondamento della stessa. Il requisito del giustificato motivo deve essere infatti esplicitato in modo da permettere al cliente di valutare se le ragioni addotte dalla banca siano non solo serie, ma anche di carattere generale o particolare, posto che nel primo caso risulta probabilmente inutile cercare sul mercato offerte alternative.
«proposta di modifica unilaterale del contratto» che si intende accettata in caso di mancato esercizio del diritto di recesso da parte del cliente entro il tempo previsto per la sua applicazione.
Tale formulazione ha portato parte della dottrina e della giurisprudenza a ritenere che il legislatore abbia inteso attribuire al silenzio il significato di una manifestazione tacita di volontà diretta alla formazione dell’accordo modificativo111.
Tuttavia, sembra preferibile la tesi in virtù della quale l’inserimento convenzionale di una clausola di pattuizione dello ius variandi al momento conclusivo dell’accordo contrattuale non debba essere confuso con l’esercizio del corrispondente potere che rimane una prerogativa unilaterale del soggetto cui viene attribuito. Le imprecisioni o le ambiguità linguistiche dei testi normativi lasciano infatti spesso aperto il dibattito sulla riconducibilità delle stesse ad ipotesi effettive di ius variandi o piuttosto a meccanismi di adeguamento del contratto basati su differenti schemi legali. Chiaro che la ricostruzione della singola fattispecie nell’uno o nell’altro senso ha ripercussioni importanti su una serie di aspetti: se si riconosce la natura bilaterale del meccanismo modificativo del contratto perde rilevanza tutto il procedimento di verifica della congruenza tra la sopravvenienza occorsa e la modifica realizzata. Al contrario, riconoscere la natura unilaterale dell’atto di esercizio del potere di modifica, se pur convenzionalmente introdotto nel contratto al momento della conclusione dello stesso, comporta la necessità di assicurare il rispetto di stringenti requisiti di legittimità, come nello specifico la presenza del giustificato motivo, di cui altrimenti si perderebbe il senso. In altri
111 Santoni, Lo ius variandi delle banche nella disciplina della legge n. 248 del 2006, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, 258.
termini, deve riconoscersi che quello regolato dall’art. 118 t.u.b. sia un vero e proprio diritto potestativo della banca, i cui effetti prescindono dall’accettazione delle nuove condizioni contrattuali da parte del cliente ma vengono travolti risolutivamente dallo scioglimento del vincolo per recesso del medesimo112.
A conforto di tale tesi si può sottoporre la normativa di cui all’art. 118 t.u.b. ad un confronto con l’art. 126 sexies t.u.b., rubricato «Modifica unilaterale delle condizioni»113, il quale disciplina le variazioni delle condizioni dei contratti quadro sui servizi di pagamento disponendo che la modifica debba essere proposta secondo le modalità stabilite dalla Banca d’Italia almeno due mesi prima della data prevista per la sua applicazione, termine entro il quale l’utilizzatore può comunicare che non intende accettarla e decorso il quale la modifica si intende accettata. Pur in assenza di espresso rifiuto, tuttavia, l’utilizzatore conserva la facoltà di recedere dal contratto senza penalità entro la data di applicazione della modifica.
In dottrina è sorto il dubbio sulla struttura di tale meccanismo modificativo, se cioè si tratti di una disposizione regolante una fattispecie di ius variandi, come sembra evincersi dalla rubrica dell’articolo e dalla menzione del diritto di recesso, o piuttosto si tratti
112 Orientamento pacifico anche nella giurisprudenza dell’ABF: ex multis, si veda la decisione n. 5684 del 20 luglio 2015. Pisu, op. cit., 250-251, parla a proposito di recesso “di reazione”: «Tale misura non sembra facilmente inquadrabile nelle classificazioni note secondo le quali il recesso può assumere diverse funzioni: determinativa, di impugnazione, di pentimento, di autotutela. (…). Ponendosi quale limite esterno al potere modificativo unilaterale, può attribuirsi al nostro recesso di reazione una funzione di autotutela».
113 Disciplina dedicata alla «Trasparenza delle condizioni e requisiti
informativi per i servizi di pagamento», introdotta nel t.u.b. agli artt. 126 bis- novies dal d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, in recepimento della Direttiva 2007/64/CE.
di un meccanismo bilaterale e consensuale di adeguamento e modifica del contratto.
Sembra tuttavia che questa seconda opzione sia da preferire: se infatti fosse superflua l’accettazione dell’oblato per la produzione dell’effetto modificativo non avrebbe senso l’inciso per cui la modifica si ritiene accettata dall’utilizzatore “a meno che questo non comunichi (…) che non intende accettarla”. Tale inciso lascia legittimamente pensare a una facoltà di rifiuto che se esercitata impedisce alla modifica di acquisire operatività e variare il regolamento contrattuale114.
Dal raffronto tra le due normative, si evince dunque, che mentre l’art. 126 sexies disciplina un procedimento semplificato di formazione del consenso modificativo per l’adeguamento dei contratti quadro sui servizi di pagamento, l’art. 118 t.u.b. disciplina una vera e propria fattispecie di ius variandi, rispetto al quale l’accettazione o il rifiuto del destinatario della proposta di modifica contrattuale è del tutto irrilevante ai fini dell’operatività della modifica, salvo il diritto di recesso115.
114 Nel senso che l’art. 126 sexies non intesti al prestatore di servizio di pagamento alcuno ius variandi, Pisu, op. cit., 143; Profeta, Commento sub articolo 34, comma 1, lettera b), Articolo 126 sexies t.u.b, Modifica unilaterale delle condizioni, in Aa. Vv., La nuova disciplina dei servizi di pagamento, a cura di Xxxxxxx, Xxxxxxx, Farina, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 552 ss.
115 Per opinioni contrarie a tale ricostruzione: Spena, Art. 126 sexies, in Testo Unico Bancario. Commentario, a cura di Xxxxxx, Belli, Losappio, Xxxxxxx Farina, Xxxxxxx, Milano 2010, 1112, in cui l’autore riconosce nell’art. 126 sexies un vero e proprio ius variandi ad nutum per il prestatore di servizi; Xxxxxxxxxxx, Modificazione unilaterale del contratto (diritto civile), op. cit., 507, il quale parla di opposizione costitutiva di un diritto di recedere per il cliente; Azzarri, Il silenzio come accettazione, in Nuova giur. civ., 2015, 615 ss., il quale accomuna la struttura dell’art. 126 sexies a quella dell’art. 118 t.u.b.
3. Le difficoltà di coordinamento tra codici di settore e codice civile
I codici di settore presentano una “doppia anima”: formalmente si atteggiano come discipline specifiche per esigenze contingenti create “dall’avvento dell’era digitale e dall’espandersi della società dei consumi”116, dall’altro creano nuovo diritto e ambiscono a porsi come normativa generale in un certo settore117. Ecco perché in dottrina spesso si parla di discipline specializzate e non speciali: da qui la necessità di districare il complesso nodo del coordinamento reciproco tra le stesse, oltre che quello con la disciplina codicistica. In merito a quest’ultimo profilo, è infatti dubbio che il rapporto intercorrente tra norme settoriali e norme codicistiche possa ricondursi ad una relazione di mera specialità118. Le ragioni della non convincente applicazione del
116 Rossi Xxxxxx, Diritto comunitario, “legislazione speciale» e «codici di settore”, in Riv. Notar., 2009, I, 27.
117 Sul punto si xxxx Xxxxxxxxxx, Diritto privato generale e diritti secondi. La ripresa di un tema, in Eur. Dir. Priv., 2006, 397 ss.: “quando la c.d. legislazione speciale giunge a comporsi in un sottosistema perde la caratteristica di eccezione. Nel momento in cui si parla di diritti secondi come sottosistemi, si riconosce implicitamente il superamento della dimensione contingente e singolare che caratterizza l’eccezione: cosa che trova conferma nella pluralità di fonti di cui si compone un diritto secondo per essere tale, cioè, ancora una volta, sistema”.
118 Per i contributi più recenti: Xxxxxxx, Sul rapporto di specialità tra norme
appartenenti ai “codici di settore”. Lo ius variandi nei codici del consumo e delle comunicazioni elettroniche, op. cit., 136; Battelli, Codice del consumo, codice civile e codici di settore: un rapporto non meramente di specialità, op cit.; Barba, Consumo e sviluppo della persona, Torino, 2017. Inoltre si vedano, ex multis, Irti, “Codici di settore”: compimento della “decodificazione”, in Sandulli, (a cura di), Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, Milano, 2005, 17; De Cristofaro, Il “codice del consumo”: un’occasione perduta?, in Studium Iuris, n. 10, 2005, 1137; Id., Le discipline settoriali dei contratti dei consumatori, in Trattato dei contratti diretto da Xxxxx e Xxxxxxxxx, V, Milano, 2014, 5; Rossi Xxxxxx, La codificazione di settore: il codice del consumo, in Sandulli (a cura di), Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, Milano, 2005, 67; Gentili, Codice del consumo ed esprit de géométrie, in Contratti, 2006, 2, 159; Addis, Il “codice” del consumo, il codice civile e la parte
principio di specialità sono da rinvenire nella crisi dei tradizionali criteri ordinanti tra norme, un tempo legittimati dal ruolo egemonico e accentratore del codice civile e non più facilmente collocabili nell’odierno frammentato panorama normativo119. Dall’inquadramento del rapporto tra le diverse normative di settore e tra queste e la disciplina codicistica dipende la misura della loro reciproca comunicabilità e della complementarietà, sino ad immaginare di escludere la meccanica applicazione del principio di specialità e adottare la prospettiva di un concorso a regolare la medesima fattispecie. Ad esempio, se si riconosce che la normativa a tutela dell’utente/consumatore ha come principio ispiratore il favor per lo stesso, allora si dovrebbe accogliere la tesi del cumulo tra discipline dislocate in diversi corpi normativi, con applicazione di quella che nel caso specifico assicura la massima tutela per il contraente debole.
Tuttavia, ampliando lo sguardo prospettico, come richiede il legislatore comunitario, sarà possibile notare che la tutela del consumatore si inserisce in un piano legislativo di più ampio respiro, finalizzato alla tutela dell’integrità del mercato in una cornice normativa omogenea tra gli stati membri. E dunque, consentire alle singole legislazioni nazionali di derogare al sistema di tutela
generale del contratto, in Obbl. Contr., 2007, 872; Navarretta (a cura di), Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, Milano, 2008.
119 Sul punto, Xxxxx Xxxxxx, Diritto comunitario, “legislazione speciale” e “codici di settore”, op. cit., 13, parla di «crisi sia della generalità, sia dell’astrazione. (...) La crisi viene anche dall’alto, cioè dall’atteggiamento del legislatore. Essa, difatti, è determinata anche dal fatto che l’incidenza della legislazione di matrice europea ha prodotto un mutamento dell’indirizzo politico: il legislatore, in particolare quello comunitario, per un lungo periodo ha perduto la vocazione a dettare regole “generali”, privilegiando l’introduzione di regole riferite a materie specifiche e a discipline settoriali che, introdotte in ordinamenti molto diversi, hanno finito con l’evidenziare la mancanza di un tessuto connettivo comune».
predisposto a livello comunitario preferendo allo stesso una normativa di settore diversa e più favorevole andrebbe a vanificare il proposito di armonizzazione massima cui si ispira la Direttiva Consumer Rights 2011/83/UE e la realizzazione del c.d. level playing field, che passa anche attraverso il divieto di recepire le direttive comunitarie modificando al rialzo i livelli di protezione previsti120.
Una parte della dottrina sostiene che la normativa di derivazione comunitaria non osterebbe a considerare il favor per il contraente debole come ratio generalmente applicabile per risolvere le antinomie tra norme. Secondo tale orientamento la effettività della maggior tutela può essere garantita solo tramite l’applicazione del criterio del cumulo tra le varie discipline, ammettendo dunque che tutte concorrano in via paritaria a regolare la medesima fattispecie e spettando al giudice pronunciarsi in ultima istanza.
Anche la giurisprudenza si è mostrata altalenante in merito: accanto a molte pronunce in cui viene applicato il principio di specialità, in forza del quale la riconducibilità di una certa fattispecie ad una disciplina settoriale specifica non permetterebbe l’applicazione di un altro plesso normativo, sia esso ugualmente settoriale o generale, ve ne sono molte altre in cui viene affermata la cumulabilità tra le varie discipline121.
120 Si tratta del c.d. divieto di gold plating introdotto dalla L. n. 183/2011 (legge di stabilità 2012). Si veda sul punto l’analisi di Morlando, Ius variandi e tutela dell’utente tra codice del consumo e codice delle comunicazioni elettroniche, op. cit., 1079.
121 Con riguardo alla materia dei “pacchetti turistici” troviamo giurisprudenza di merito che privilegia un’applicazione rigida del principio di specialità, ritenendo che la presenza di una disciplina di settore non consentirebbe di far riferimento a quella dettata in tema di clausole vessatorie nei contratti dei consumatori (v. Trib. Torino, 19 gennaio 2005, n. 344, in Dir. Tur., 2006, 140) e giurisprudenza di legittimità che afferma al contrario la cumulabilità delle
Il contrasto è venuto in rilievo in particolar modo rispetto ai rapporti tra codice del consumo e codice delle comunicazioni elettroniche: una parte della giurisprudenza sostiene infatti che in ragione della identica finalità di protezione del contraente debole che anima le due discipline non possa non instaurarsi una relazione di specialità a favore del codice delle comunicazioni elettroniche. Mentre in altre pronunce viene smentita tale pretesa sovrapposizione di scopi tra le due normative: secondo tale orientamento il mercato delle comunicazioni elettroniche è contrassegnato da una particolare fluidità delle proposte contrattuali, dovuta alla costante evoluzione tecnologica che interessa tale settore, cui deve corrispondere una più ampia flessibilità di comportamento dell’utente. Si pensi al fatto che il considerando n. 5 della Dir. 2009/140/CE aspira ad un settore delle comunicazioni elettroniche “disciplinato esclusivamente dal diritto della concorrenza”. In tale ottica, lo strumento del diritto di recesso riconosciuto dall’art. 70, comma 4, cod. com. elettr., risponderebbe in modo esaustivo alle due istanze di rapida ed efficiente gestione delle sopravvenienze e di tutela del contraente debole, favorendo la concorrenza attraverso un’asta continua di offerte rispetto alle quali il consumatore conserva una permanente possibilità di cambiamento e scelta122.
norme appartenenti a diverse discipline (Cass., Sez. III, ordinanza 8 marzo 2005, n. 5007, in Foro It., 2005, I, 2740). In materia bancaria, si veda Cass., Sez. I, sentenza del 21 maggio 2008, n. 13051, in cui la Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla presunta vessatorietà di una clausola attributiva alla banca del potere di modifica unilaterale di un contratto di conto corrente, si è espressa nel senso della complementarità delle disposizioni contenute rispettivamente nel codice del consumo e nel d.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (t.u.b.).
122 Morlando, in Ius variandi e tutela dell’utente tra codice del consumo e codice delle comunicazioni elettroniche, op. cit., afferma al riguardo «una tutela incentrata “soltanto” sul diritto di recesso si mostra sensibile alle esigenze imposte dal
Lo ius variandi nei contratti della comunicazione elettronica non mirerebbe a garantire la conservazione dell’equilibrio di origine attraverso la sua rimodulazione, bensì a consacrare come alternativa fisiologica l’interruzione del rapporto in ragione delle peculiarità del settore di riferimento.
Con specifico riguardo al settore delle comunicazioni elettroniche, il Consiglio di Stato ha affermato in Adunanza plenaria nel 2012123 l’applicabilità della disciplina settoriale contenuta nel codice delle comunicazioni elettroniche in luogo di quella genericamente dettata dal codice del consumo, riconoscendo nel primo una disciplina articolata, esauriente ed assistita da un robusto e specifico apparato di accertamento sanzionatorio124. Con le sentenze gemelle n. 3 e 4 del 2016 il Consiglio di Stato, sempre in Adunanza Plenaria, è tornato a pronunciarsi sulla questione accogliendo l’applicazione di un principio di specialità non settoriale ma per fattispecie, cioè sulla base di una valutazione compiuta dall’interprete in merito alla sussistenza di
mercato di riferimento sull’operatore economico, realizzandosi così un contemperamento tra le istanze di protezione dell’utenza e l’anelito pro- concorrenziale sotteso alla normativa di matrice comunitaria». La differente ratio e struttura delle due fattispecie di ius variandi viene messa in luce anche da Zoppini, Sul rapporto di specialità tra norme appartenenti ai “codici di settore”, op. cit., 146 ss.: “nella sistematica del codice del consumo la tutela del consumatore per un verso, qualifica vessatorio lo ius variandi attribuito al professionista se non sorretto da un giustificato motivo (art. 33, comma 2, lett. m), c. cons.); per altro verso, sulla base della distinzione prima evidenziata tra prestazione principale e accessoria, impone per quest’ultima comunque un consenso preventivo del contraente consumatore (art. 65 c. cons), secondo il modello detto di opt-in. Nel caso, invece, dei servizi di comunicazione elettronica la tutela del consumatore-utente già vincolato da un rapporto contrattuale è affidata al diritto di recesso esercitabile a fronte della notifica di modifiche alle condizioni contrattuali, secondo il modello c.d. di opt-out (art. 70, comma 4, c. com. el.)”.
123 Con le decisioni 11, 12, 13, 14, 15, 16 dell’11 maggio 2012.
124 T.A.R. Lazio, 22 luglio 2013, n. 7463.
requisiti che decretano nel caso specifico la prevalenza della normativa speciale: esaustività e completezza, conformità all’ordinamento europeo e presenza di un apparato sanzionatorio coerente sia con la disciplina interna che con quella sovranazionale.
4. Ius variandi nei rapporti asimmetrici del “terzo” contratto”
Nella prassi dei rapporti bilateralmente commerciali confluiscono diversi schemi contrattuali.
Agenzia, franchising, concessione di vendita, subfornitura, project financing125 ecc.. costituiscono rapporti tra imprese di diverse dimensioni e potere contrattuale che si impegnano nel lungo periodo per il perseguimento di operazioni economiche complesse, determinando la necessità di premunirsi di meccanismi manutentivi che assicurino flessibilità al rapporto negoziale.
Si parla di “terzo contratto” per indicare, come accade per il modello consumeristico, un fenomeno di allontanamento dal modello tradizionale dello scambio istantaneo di promesse circoscritto ad un dato momento ed avulso dal contesto fattuale di riferimento126.
125 Si tratta di un’operazione di finanziamento in cui un’attività viene valutata in base alle proprie potenzialità di generare ricavi, costituendo i flussi di cassa la fonte principale di rimborso del finanziamento. A tale operazione prendono parte diversi soggetti che si intrecciano in una articolata struttura relazionale in cui la ripartizione del rischio del progetto viene affidata principalmente alla autonomia delle parti e si snoda lungo un periodo di tempo prolungato, rendendone impossibile l’esaustivo preconfezionamento già nella fase istantanea della conclusione del contratto. Si veda sul tema lo studio condotto da Xxxxxxx, Il project financing. Inquadramento giuridico e logiche manutentive, Milano, 2018.
126 L’espressione è stata coniata da Xxxxxxxxx nella prefazione al testo di
Xxxxxxxxx, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti. Un’analisi economica e comparata, Torino, 2004. L’analisi di tale tipologia di contratto trova origine nella categoria dei c.d. long term contracts e dei relational contracts di derivazione statunitense, rispetto ai quali la dottrina
Lo ius variandi rappresenta dunque anche in questo caso uno strumento idoneo a far fronte al rischio contrattuale adeguando modalità, tempi e caratteristiche delle prestazioni pattuite alle mutate esigenze. Il suo concreto esercizio presenta tuttavia il rischio della prevaricazione da parte dell’impresa dominante, la quale potrebbe riuscire a stornare abusivamente la variazione a proprio vantaggio127. Tale vantaggio potrebbe anche consistere nell’indurre l’impresa debole ad esercitare il recesso: in altri termini in questa tipologia di rapporti occorre valutare se l’atto di esercizio dello ius variandi celi la volontà di determinare in modo fraudolento la cessazione del rapporto in danno dell’impresa debole. Questa eventualità viene disciplinata in particolare dalla legge 18 giugno 1998 n. 192 sui rapporti di subfornitura, la quale intende predisporre un apparato di protezione a tutela della piccola e media impresa fornitrice in posizione di dipendenza economica rispetto
propone di porre in risalto una prospettiva dinamica della fattispecie contrattuale allontanandosi da uno studio incentrato sul momento genetico che si rivela insufficiente e unidimensionale. Sul tema, Xxxxxxx, The New Social Contract: an Inquiry into Modern Contract Relations, Yale University, New Haven, 1980; Id. Contracts: Adjustment of Long-Term Economic Relations under Classic, Neoclassical and Relational Contracts Law, in Nw. Un. Law. Rev., 1978, 854; Id. Relational Contract Theory: Unanswered Questions a Symposium in Honor of Xxx X. Xxxxxxx: Challenges and Queries, ivi, 2000, 877.
127 Pardolesi, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979; Id. voce I contratti di
distribuzione, in Enc. Giur., IX, Roma, 1988, con aggiornamento nel 2006; Camardi, Contratti di consumo e contratti tra imprese. Riflessioni sull'asimmetria contrattuale nei rapporti di scambio e nei rapporti 'reticolari', in Riv. crit. dir. priv., 2005, 549; Roppo, Ancora su contratto asimmetrico e terzo contratto. Le coordinate del dibattito, con qualche elemento di novità, in X. Xxxx, X. Xxxxx (a cura di), La vocazione civile del giurista. Saggi dedicati a Xxxxxxx Xxxxxx, Roma-Bari, 2013, p. 178 ss.; Xxxxx, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv., 2001, 769 ss.; F. P. Xxxxx, Xxx «contratti standard» al «contratto asimmetrico». Considerazioni su metodo e obiettivi delle ricerche di Xxxxxxxx Xxxxx, in Jus civile, 2018, 2, 226 ss., scritto che riproduce il testo della relazione tenuta presso l’Università degli Studi di Genova il 1° dicembre 2017, in occasione del convegno “Celebrare studiando. 1° Seminario per Xxxxxxxx Xxxxx”.
all’impresa committente128. L’art. 6 della stessa legge sancisce infatti la nullità del patto «tra subfornitore e committente che riservi a uno di essi la facoltà di modificare unilateralmente una o più clausole del contratto di fornitura». Tale divieto contempla due deroghe: lo stesso art. 6, seconda parte, precisa che «sono tuttavia validi gli accordi che consentano al committente di precisare, con preavviso ed entro i termini e limiti contrattualmente prefissati, le quantità da produrre e i tempi di esecuzione della fornitura» e l’art. 3, comma 5, il quale introduce una ulteriore ipotesi di modificazione unilaterale del rapporto stabilendo che «ove vengano apportate, nel corso dell’esecuzione del rapporto, su richiesta del committente, significative modifiche e varianti che comportino comunque incrementi dei costi, il subfornitore avrà diritto a un adeguamento del prezzo anche se non esplicitamente previsto dal contratto».
Si tratta dunque di uno ius variandi ammesso entro il rispetto di limiti stringenti: in tal modo viene garantito un sufficiente livello di elasticità al contratto, affinché il committente possa adeguarlo alle sopravvenienze connesse alla sua attività produttiva, tutelando il subfornitore dai possibili abusi. Tali abusi consistono nell’indurre l’impresa debole a recedere nonostante il programma di investimento, comportante notevoli costi per l’acquisto dei macchinari necessari a far
128 In particolare sul concetto di dipendenza economica e tecnologica applicati ai rapporti di subfornitura si veda, Xxxxx e Calia, La subfornitura in Italia: sette anni di applicazione della legge 18 giugno 1998, n. 192, in Riv. dir. priv., 2006, 107. In generale in materia di dipendenza economica: Libertini, La responsabilità per abuso di dipendenza economica: la fattispecie, in Contr. e impr., 2013, 1 ss; Xxxxx, L’abuso di dipendenza economica come fattispecie transtipica, in Contr. e impr., 2013, 370 ss.; Xxxxxxx, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti tra imprese: verso una nuova clausola generale?, in Riv. dir. civ., 2005, I, 663; Id. Sopravvenienze e gestione del rischio nell’esecuzione del terzo contratto, in Aa. Vv., Il terzo contratto, Bologna, 2009, 179 ss.
fronte alla fornitura, renda lo scioglimento anticipato del rapporto del tutto antieconomico129. Sia dottrina che giurisprudenza, peraltro, propendono per ritenere che l’abuso di dipendenza economica, ovvero quella «situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi», sia una figura dotata di una propria autonomia concettuale e che l’art. 9, l. 192/1998 non regoli una fattispecie a contenuto tipico ma si riferisca ad una “nozione aperta di condotta vietata”130 applicabile ben oltre l’ambito della subfornitura industriale a tutte le relazioni tra imprese dotate di asimmetria di potere contrattuale131.
In tal senso vengono in rilievo anche i rapporti di franchising, spesso assisiti da clausole con cui si attribuisce al franchisor il potere di imporre al franchisee la modifica di alcuni aspetti dell’esercizio
129 Xxxxxx, in L’abuso di dipendenza economica, Napoli, 2004, 30, afferma che il tratto caratterizzante il concetto di dipendenza economica è caratterizzato dal fatto che «all’interno della relazione d’impresa, una parte può essere indotta a praticare comportamenti opportunistici ai danni del partner che abbia compiuto investimenti specifici».
130 Orlandi, Dominanza relativa e illecito commerciale, in Aa. Vv., Il terzo contratto, Bologna, 2009, 156. Vi sono delle condotte sintomatiche di abuso menzionate nella disciplina di riferimento senza pretesa di esaustività, quali
«l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie» e «l’interruzione arbitraria delle relazioni in atto».
131 In dottrina, sulla applicabilità del concetto di dipendenza economica anche ad altri contratti, tipici o atipici, diversi dalla subfornitura e sulla vocazione generale della legge corrispondente, Cagnasso – Cottino, Contratti commerciali, in Tratt. dir. comm., dir. Cottino, Milano, 2000, IX, 379; Delli Priscoli, L’abuso di dipendenza economica nella nuova legge sulla subfornitura: rapporti con la disciplina delle clausole abusive e con la legge antitrust, in Giur. comm., 1998, 843; Id., Il divieto di abuso di dipendenza economica nel frachising, fra principio di buona fede e tutela del mercato, in Giur. Merito, 2006, 2676. In giurisprudenza, App. Milano, sez. I, 15 luglio 2015, in Giur. it., 2015, 2665, con nota di Xxxxxxx, L’abuso di dipendenza economica come clausola generale?; Cass. S.U., 25 novembre 2011, n. 24906, in Giur. it., 2012, 2054.
commerciale, avuto riguardo delle caratteristiche che il singolo punto vendita presenta rispetto al mercato locale. Rispetto a tali rapporti merita menzionare un altro importante dato normativo che concorre, insieme alla disciplina contenuta nella legge sulla subfornitura, alla identificazione dello spazio applicativo e dei limiti dello ius variandi nei rapporti tra imprese. L’art. 3, comma 3, della l. 129/2004 introduce infatti la c.d. recovery period rule secondo la quale, nei contratti di affiliazione commerciale a tempo determinato, l’affiliante deve garantire all’affiliato una durata del rapporto minima non inferiore a tre anni, tempo considerato idoneo ad ammortizzare l’investimento. Il franchisor potrebbe infatti abusare del suo potere contrattuale per introdurre variazioni a suo vantaggio inducendo il franchisee ad un prematuro scioglimento del rapporto pur di non sottostare a condizioni economicamente insostenibili.132
Tra i contratti della distribuzione commerciale troviamo poi il contratto di concessione di vendita, di recente oggetto di una pronuncia della Suprema Corte che ne ha riconosciuto la natura di contratto atipico - non inquadrabile tra i contratti di scambio con prestazioni periodiche - e di contratto normativo133, attraverso il quale cioè le parti predeterminano il contenuto di futuri contratti e dal quale derivano una
132 Xxxxxxxxx, Franchising: la legge quadro. Finalmente?, in Foro it., 2004, V, 41. Si pensi, ad esempio, ad un aumento delle royalties o delle quantità minime che il franchisee si è impegnato ad acquistare dal franchisor.
133 Nei contratti normativi, si è osservato in dottrina, lo ius variandi viene ad operare nei successivi contratti particolari in funzione integrativa del contenuto dei primi, evidenziandosi così una affinità strutturale con la figura dell’arbitraggio, in cui ad una parte è attribuito il potere di determinare l’oggetto del contratto, trasformando la fonte della regola contrattuale da bilaterale a unilaterale. In tal senso, Xxxxx, Le clausole attributive dello ius variandi, op. cit., 131-132; Gambini, Fondamento e limiti dello ius variandi, Napoli, 2000, 148.
serie di obblighi per il concessionario. Lo stesso è tenuto a promuovere la formazione di singoli contratti di compravendita e a concludere contratti di trasferimento di prodotti, secondo le condizioni predeterminate nell’accordo iniziale tra le parti ed eventualmente modificate dal concedente134. In particolare, il fabbricante può riservarsi il potere di modificare le direttive impartite al fine di aumentare la competitività delle vendite nel territorio di competenza o di rideterminare unilateralmente i minimi di fatturato che il concessionario dovrà rispettare. Anche al concessionario possono essere attribuiti nel contratto poteri di variazione unilaterale, come quello di modificare le modalità di esecuzione dell’obbligo promozionale, i cui caratteri sono definiti nel contratto quadro135. Il contratto di concessione di vendita presenta elementi di affinità con i contratti di somministrazione o di commissione differenziandosi dal contratto di agenzia, poiché la collaborazione tra concedente e concessionario non costituisce elemento determinante del rapporto negoziale.
Veniamo dunque al contratto di agenzia, contratto tipico disciplinato dall’art. 1742 c.c.136, che tuttavia, dati i connotati di asimmetria che lo rendono affine ai rapporti contrattuali sopra esaminati, sembra opportuno trattare in questa parte dedicata al c.d.
134 Cass. Civ., sez. II, sentenza 27 febbraio 2017, n. 4948. In dottrina, Xxxxxxxxxx,
Concessione di vendita, in Noviss. dig. it., Appendice, II, Torino, 1981, 121 ss.
135 Xxxxx, Le clausole attributive dello ius variandi, op. cit., 130- 131. Come spiega l’autore «tali pattuizioni nascono dal fatto che nella concessione di vendita è assai difficile, sovente, prevedere con un sufficiente grado di attendibilità le potenzialità produttive del fabbricante, le variabili del mercato, il possibile allargamento (o restrizione) dell’ambito di riferimento in cui operano le imprese che stipulano l’iniziale contratto».
136 «Col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata».
terzo contratto. Anche nel caso del rapporto di agenzia, l’adeguamento negoziale si rende necessario a fronte dei mutamenti del contesto di riferimento ed è in via di prassi governato dal preponente attraverso clausole che gli attribuiscono il potere di modificare diversi profili del contratto come l’entità delle provvigioni, la determinazione della zona e i limiti produttivi da raggiungere137.
È proprio in questo ambito contrattuale, e in ragione della necessità di tutelare l’agente dagli abusi compiuti dalla controparte forte, che la giurisprudenza si è mostrata particolarmente ostile all’esercitarsi dello ius variandi legato alle tariffe provvigionali, sancendo la nullità delle corrispondenti clausole per indeterminabilità dell’oggetto138. Di recente,
137 Di seguito un esempio di clausola attributiva del diritto di variare la zona (esaminata da Cass., 2 maggio 2000, n. 5467, in Corr. Giur., 2000, p. 1029 e in Contratti, 2000, 793, con nota di Xxxxx – Venezia, Le nuove norme sul contratto di agenzia al vaglio della Cassazione): «la società proponente si riserva la facoltà di restringere (o di allargare) i limiti di zona in qualunque momento, con preavviso di almeno tre mesi, quando a suo insindacabile giudizio tale provvedimento appaia opportuno in relazione all’andamento delle vendite o ad altre esigenze collegate a scelte imprenditoriali da valutarsi al momento».
138 Cass., 8 novembre 1997, n. 11003, in Giust. civ., 1998, I, 2889, in cui è stata
appunto rilevata la nullità per indeterminatezza dell’oggetto della clausola con cui il preponente si riservava il potere di modificare unilateralmente le tariffe provvigionali spettanti al promotore finanziario dandone comunicazione almeno trenta giorni prima, con facoltà di questi di recedere dal rapporto con applicazione delle tariffe precedentemente pattuite. Tale orientamento restrittivo della Corte è stato oggetto di critiche in dottrina sulla base della scarsa attendibilità delle ragioni portate a sostegno dello stesso: il requisito della determinatezza/determinabilità dell’oggetto attiene ad una valutazione circa la completezza strutturale del contratto che deve essere compiuta ex ante e che ha esito positivo qualora, come in questo caso, i contraenti hanno convenzionalmente pattuito un meccanismo di variazione unilaterale. Così osservano Granelli, Modificazioni unilaterali del contratto: c.d. ius variandi, in Obbl. e contr., 2007, 967; Xxxxxxxxxxx, Indeterminabilità dell’oggetto, giudizio di nullità e contratto di agenzia: verso l’inefficacia delle clausole di modificazione unilaterale del contratto?, in Giust. civ., 1998, I, 2895.
anche grazie al contributo della dottrina in materia139, si è tuttavia registrata un’apertura giurisprudenziale verso l’ammissibilità dello ius variandi del preponente, esercitato nel rispetto di limiti determinati e dei principi di correttezza e buona fede140.
5. Conclusione: è possibile tracciare un profilo unitario dello ius variandi nei rapporti b2c e b2b?
Dalla legislazione speciale esaminata emergono dunque due modelli, bilateralmente commerciale (b2b), da un lato, e unilateralmente commerciale (b2c), dall’altro, che compendiano aree disciplinari diverse dal contratto di diritto comune descritto nel codice civile, e il diverso atteggiarsi dello ius variandi nei due ambiti è un indice rivelatore della necessità di differenziare l’apparato di tutele in base al profilo del soggetto debole da proteggere.
L’impresa non si trova nello stesso stato di aprioristica debolezza informativa che subisce invece il consumatore – e infatti nei rapporti b2b non sembra rintracciarsi il leitmotiv della trasparenza e del diritto al recesso come via di uscita agevolata dal contratto141. L’impresa si trova
139 Scognamiglio, Conclusione, contenuto, esecuzione del contratto di agenzia, in Trattato dei contratti, dir. Roppo, III, Opere e servizi, 1, Milano, 2014, 984 ss; Saracini – Toffoletto, Il contratto di agenzia, Artt. 1742-1753, in Comm. cod. civ. Xxxxxxxxxxx – Busnelli, Milano, 2014, 27 ss.
140 Cass., 2 maggio 2000, n. 5467, in Corr. Giur., 2000, p. 1029, ha riconosciuto la validità di una clausola attributiva di un potere di variazione unilaterale della tariffa provvigionale purché il potere corrispondente sia sottoposto a determinati limiti e sia esercitato in conformità alla regola della correttezza e della buona fede. A conferma dell’utilizzo in funzione di parametro di legittimità della clausola generale di buona fede si veda la recente Cass., 2 luglio 2015, n. 13580, che ha considerato contrario a buona fede l’esercizio del potere di variazione unilaterale del portafoglio clienti dell’agente, implicante una riduzione dello stesso pari all’88%.
141 Si rinvia sul punto alla approfondita spiegazione della Corte di Giustizia
UE, sez. I, 21 marzo 2013, n. 92, in Foro it., 2014, 1, IV, c. 4. «Per quanto
invece a dover gestire una soggezione di tipo economico, suscettibile di
riguarda la valutazione di una clausola che consenta al professionista di modificare unilateralmente i costi del servizio da fornire (…) rilevanza essenziale riveste la questione, da una parte, se il contratto esponga in modo trasparente il motivo e le modalità di variazione delle spese connesse al servizio da fornire, di modo che il consumatore possa prevedere, in base a criteri chiari e comprensibili, le modifiche eventuali di tali spese, e, dall’altra, se i consumatori dispongano del diritto di porre termine al rapporto contrattuale nel caso in cui dette spese siano effettivamente modificate (…). Sebbene il livello delle informazioni richieste possa variare in funzione delle circostanze specifiche del caso e dei prodotti o servizi interessati, in linea di principio l’assenza di informazioni a tale riguardo prima della conclusione del contratto non può essere compensata dalla mera circostanza che i consumatori, nel corso dell’esecuzione del contratto, saranno informati con un preavviso ragionevole della modifica delle spese e del loro diritto di recedere dal contratto qualora non desiderino accettare detta modifica. (…) Tali rigorose prescrizioni concernenti le informazioni dovute al consumatore, tanto nella fase della conclusione di un contratto di approvvigionamento quanto in corso di esecuzione dello stesso, per quanto riguarda il diritto del professionista di modificarne unilateralmente le condizioni, rispondono ad un bilanciamento degli interessi delle due parti contraenti. All’interesse legittimo del professionista di premunirsi contro una variazione delle circostanze corrisponde l’interesse, altrettanto legittimo, del consumatore, da un lato, di conoscere e, quindi, di poter prevedere le conseguenze che un simile cambiamento possa comportare in futuro nei suoi confronti e, dall’altro, di disporre, in un’ipotesi di questo tipo, dei dati che gli consentano di reagire alla sua nuova situazione nel modo più adeguato. Per quanto riguarda, in secondo luogo, il diritto del consumatore di recedere dal contratto di approvvigionamento concluso nel caso di una modifica unilaterale delle tariffe praticate dal professionista (…), un’importanza essenziale riveste il fatto che la facoltà di recesso conferita al consumatore non sia puramente formale, ma possa essere realmente esercitata. Così non sarebbe qualora, per ragioni connesse alle modalità dell’esercizio del diritto di recesso o nelle condizioni del mercato rilevante, detto consumatore non disponga di una reale possibilità di cambiare il fornitore, o nel caso in cui egli non sia stato informato in modo opportuno e in tempo utile della modifica prevista, con la conseguenza che sia privato della possibilità di verificarne le modalità di calcolo e, eventualmente, di cambiare il fornitore. A tale proposito occorre valutare, tra l’altro, se il mercato rilevante sia concorrenziale, i costi eventuali, per il consumatore, connessi al recesso dal contratto, il termine tra la comunicazione e l’entrata in vigore delle nuove tariffe, le informazioni fornite al momento di tale comunicazione nonché i costi da sostenere e i tempi necessari per cambiare il fornitore».
essere bilanciata attraverso una garanzia di leale continuità del rapporto (si pensi al divieto per l’impresa forte di introdurre modifiche peggiorative minacciando il recesso nel contratto di subfornitura o alla durata minima prevista per il contratto di franchising).
Il nodo ancora da sciogliere attiene dunque all’approccio metodologico da utilizzare per porre in relazione le discipline riferibili a tali categorie di contratti, poiché la questione, all’apparenza meramente teorica e a scopo classificatorio, prelude a quella di impatto pratico dell’applicabilità all’una delle tutele predisposte per l’altra.
Si potrebbe concludere per uno ius variandi diversamente configurato a seconda che attenga a rapporto b2c o b2b, con una virata marcatamente garantista per i primi.
Secondo tale filone di pensiero, che sembra ad oggi prevalente in dottrina, l’elemento della debolezza contrattuale, oltre a fornire un minimo comune denominatore utile dal punto di vista definitorio, non sarebbe sufficiente a giustificare la prospettazione di uno schema unitario di ius variandi, data la irriducibilità ad unum dei due fenomeni, e la diversità delle situazioni precluderebbe la possibilità di trasporre le forme di tutela da un settore all’altro142.
142 Tra gli altri, La Rosa, Tecniche di regolazione dei contratti e strumenti rimediali, Milano, 2012, 95: «la relazione di consumo è essenzialmente basata su rapporti di scambio a carattere istantaneo», «mentre i rapporti tra imprese sono prevalentemente imperniati su contratti relazionali finalizzati ad una cooperazione produttiva ed aventi ad oggetto beni intermedi destinati alla produzione di beni finali». Tuttavia tale criterio distintivo, come si legge in Pisu, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, op. cit., 85, non è decisivo nella distinzione di cui trattasi: «i rapporti tra imprese e consumatori o utenti dei mercati finali talvolta si connotano per la durata della relazione (si pensi ai rapporti di finanziamento) ovvero per un fisiologico differimento dell’esecuzione che rende sensibile il rapporto a eventi sopravvenuti imponendone un adeguamento (si pensi ai contratti turistici)».
Secondo alcune opinioni dottrinarie sarebbe invece possibile costruire una macro categoria normativa comprensiva sia della contrattazione consumeristica che di quella tra imprese diseguali143.
E da ciò si potrebbe far derivare l’adozione di regole e strumenti di controllo comuni. Il concetto di asimmetria sarebbe dunque idoneo a ricomprendere entrambe le fattispecie: d’altronde, la teorizzazione di quello che è stato definito “terzo contratto” conferma come lo stato di dipendenza di cui è afflitta l’impresa “debole”, pur assumendo caratteristiche ontologicamente diverse da quello riguardante il consumatore, non riveste una minore importanza agli occhi del legislatore e dell’interprete144. Sono infatti rintracciabili numerosi indici normativi dai quali si può desumere come lo ius variandi sia sottoposto anche nei rapporti b2b ad un altrettanto attento vaglio normativo145. Si
143 Roppo, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul terzo contratto), in Il contratto del duemila, Torino, 2011: l’autore contrariamente ai fautori della categoria del “terzo contratto” quale categoria a se stante distinta dal contratto business to consumer, propende per la confluenza delle discipline dei due settori in un unico omogeneo paradigma di contratto asimmetrico.
144 Si legge nell’analisi di Xxxxxxxxxxx (il quale sostiene che il profilo unitario della figura di cui si tratta, se pur non trovi sostegno nelle previsioni positive di legge, sia comunque ricostruibile dall’ordinamento nel suo complesso), in La modificazione unilaterale del contratto asimmetrico secondo la Cassazione (aspettando la Corte di Giustizia), in Contratti, 2012, 165 ss.: «Ora, il catalogo degli argomenti che supportano l’idea di un trattamento differenziato tra consumatori e professionisti è senza dubbio fitto e di cospicuo spessore: a cominciare dal convincente assunto di un consumatore quale soggetto incapace di avvertire tempestivamente il senso delle variazioni praticate dall’impresa predisponente, mentre non si può dire altrettanto per la variegata classe dei professionisti, che non sono normativamente da presumere come dei soggetti afflitti da una fisiologica inettitudine a vagliare responsabilmente il significato di un maggior costo. Semmai, senza lo schermo artificioso di una presunzione, c'è il problema -questo sì stringente- di dover assicurare una tutela efficiente al professionista in concreto debole».
145 Si pensi: a) al divieto di ius variandi nel rapporto di subfornitura e al
corrispondente diritto del subfornitore all’adeguamento del prezzo, previsto