Corte di Cassazione civ Sezione 3 Civile
Integrale
Corte di Cassazione civ Sezione 3 Civile
Sentenza del 29 settembre 2004, n. 19568
LOCAZIONE - IMMOBILI URBANI - PATTI CONTRARI ALLA LEGGE - CONTRATTI DI LOCAZIONE DI IMMOBILI URBANI DISCIPLINATI DALLA LEGGE N. 431 DEL 1998 - PREVISIONE DI NULLITA' CONTENUTA NELL'ART. 13 - APPLICABILITA' AI CONTRATTI AVENTI AD OGGETTO ABITAZIONI IN VILLA - ESCLUSIONE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxxx - Presidente Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx - Consigliere Xxxx. Xxxxx Xxxxx - Consigliere
Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxx - Consigliere Relatore Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxx - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Wa. Gu., elettivamente domiciliato in Ro. Via An. De. Ca. 34, presso lo studio dell'Avvocato Se. Be., difeso dall'Avvocato Pi. Pe., giusta delega in atti;
ricorrente contro
Im. Pa. S.r.l., elettivamente domiciliato in Ro. Viale delle Mi. 9, presso lo studio dell'Avvocato Al. Ri., difeso dall'Avvocato Gi. Ne., giusta delega in atti;
controricorrente nonché contro Ar. Fo.;
intimato
avverso la sentenza n. 411/02 della Corte d'Appello di Brescia, Sezione Seconda Civile, emessa il 22/05/02 e depositata il 06/06/02 (R.G. 90/02);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/06/04 dal Consigliere Relatore Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxx;
udito l'Avvocato Pi. Pe.;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Brescia ai sensi dell'art. 447 bis c.p.c., depositato il 29 agosto 2000, Wa. Gu. assumeva che aveva trattato con Ar. Fo. la locazione di una villa con parco, piscina e campo da tennis in Ma. sul Ga. e che, intendendo il Ar. Fo. evitare le conseguenze fiscali del contratto di locazione, egli era stato indotto a stipulare con scrittura privata in data 1° aprile 2000 con la società Im. Pa. S.r.l. un simulato contratto di comodato, avente ad oggetto il godimento di detto immobile sino alla scadenza del 30 settembre 2000.
Chiedeva che il tribunale adito, accertata la simulazione relativa, dichiarasse che era stata posta in essere tra le parti l'esistenza del dissimulato contratto di locazione.
Il ricorrente aggiungeva che aveva speso ingenti somme per opere di manutenzione straordinaria e chiedeva anche il risarcimento dei danni subiti per effetto della simulazione cui si era prestato.
Nella contumacia di Ar. Fo., resisteva la società Im. Pa. S.r.l., la quale in riconvenzionale chiedeva che Xx. Gu. fosse condannato a pagare la penale, contrattualmente stabilita in ragione di L. 500.000 per ogni giorno di ritardo nella riconsegna dell'immobile, a decorrere dal 1° ottobre 2000.
Il tribunale rigettava la domanda principale e, in accoglimento della riconvenzionale, condannava Wa. Gu. a pagare alla società Im. Pa. S.r.l. la somma di L. 208.000.000 e le spese processuali.
Sulla impugnazione del soccombente decideva la Corte d'Appello di Brescia con sentenza pubblicata il 6 giugno 2002, la quale rigettava il gravame e compensava interamente tra le parti le spese del grado.
I Giudici d'appello, ai fini che ancora interessano, consideravano che la norma di cui all'art. 13 della L. 431 del 1998 non era nella specie applicabile, poiché essa non disciplina tutte le ipotesi di nullità della locazione, ma solo la nullità di talune clausole inserite nel contratto, il quale nel resto rimane valido.
Rilevavano che, poiché a norma dell'art. 1414 c.c. ha effetto tra le parti il contratto dissimulato, purché di esso sussistano i requisiti di forma e di sostanza, il difetto della forma scritta impediva di riconoscere gli effetti della eventuale locazione dissimulata.
Ritenevano, inoltre, che, quando anche il requisito di forma della dissimulata locazione si fosse potuto ravvisare nella scrittura privata con la quale le parti dichiaravano la volontà di stipulare un comodato, della pretesa simulazione la parte non poteva dare la prova per testimoni per il divieto di cui all'art. 1417 stesso codice.
Quanto alla domanda diretta ad ottenere la restituzione delle spese occorse per la manutenzione dell'immobile, la Corte territoriale osservava che di esse l' art. 1808 c.c. esclude il rimborso qualora si tratti di spese sostenute dal comodatario per servirsi della cosa; che non ricorreva l'ipotesi di cui al secondo comma della stessa norma, trattandosi di spese finalizzate alla conservazione del compendio immobiliare, di natura pressoché esclusivamente voluttuaria e, comunque, non necessarie né urgenti; che era inammissibile la pretesa restitutoria in virtù della norma di cui all'art. 2041 c.c., volta che era risultata infondata la domanda avente ad oggetto il medesimo petitum giustificato dal diversi titolo contrattuale.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Wa. Gu. in base a cinque mezzi di doglianza, che la società Im. Pa. S.r.l. contrasta con controricorso.
Non ha svolto difese l'intimato Ar. Fo. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d'impugnazione -deducendo l'omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla insussistenza della simulazione nonché la violazione di legge con riferimento alla definizione del contratto concluso- il ricorrente critica la sentenza impugnata perché il Giudice di secondo grado aveva escluso che potessero essere riconosciuti gli effetti di un dissimulato contratto di locazione in difetto della necessaria forma scritta ad substantiam, senza, tuttavia, valutare che il riconoscimento da parte della società Im. Pa. S.r.l. dell'avvenuto incasso della somma di L. 36.000.000
a titolo di corrispettivo del concesso godimento del complesso immobiliare risultava da documenti scritti (fattura e registro incassi), sicché nella connessione tra detti documenti e la scrittura di apparente comodato avrebbe dovuto concludere per la sussistenza del prescritto requisito formale.
La censura non può essere accolta per il rilievo assorbente che il motivo non realizza il requisito dell'autosufficienza del ricorso, dato che il ricorrente non riproduce il tenore letterale dei due documenti, che dovrebbero essere considerati integrativi della scrittura privata di apparente comodato e concretare, nel loro insieme, il requisito della forma scritta della locazione.
E' del tutto pacifico, infatti, che la parte, che denunci con l'impugnazione per cassazione la mancata o inadeguata valutazione da parte del Giudice di merito di prove documentali, ha l'onere di riprodurre nel ricorso il tenore esatto del documento, il cui omesso o inadeguato esame è censurato; ciò al fine di rendere possibile al Giudice di legittimità (al quale è istituzionalmente vietato di ricercare direttamente le prove negli atti di causa o di compiere indagini integrative rispetto ai fatti prospettati dalla parte) di valutare, anzitutto, la pertinenza e la decisività dei fatti medesimi.
L'interesse all'impugnazione per cassazione discende, infatti, dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole e, a tal fine, è necessario che sia indicata in maniera adeguata la situazione di fatto, della quale si chiede una determinata valutazione giuridica diversa da quella compiuta dal Giudice del merito, asseritamene erronea.
La mancata autosufficienza del motivo esime, perciò, questa Corte dal considerare, sul punto, che -seppure il requisito della forma scritta ad substantiam del contratto può dirsi realizzato anche quando l'espressione della volontà delle parti emerge non con la sottoscrizione di un unico documento, ma da documenti separati- deve trattarsi, in questo secondo caso, di scritti separati inscindibilmente collegati, inequivocabilmente espressivi del consenso manifestato ed indirizzati alla controparte, con la conseguenza che la valutazione al riguardo espressa dal Giudice di merito involge un apprezzamento di fatto, che si sottrae al sindacato di legittimità.
Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha anche spiegato come la forma scritta obbligatoria per l'esistenza del contratto di locazione non poteva ritenersi sussistente nel collegamento tra la scrittura di comodato e le fatture, in tal modo negando che detti documenti, destinati all'uso contabile della società, potessero assumere rilevanza nei confronti del ricorrente con la valenza di inequivoca manifestazione di consenso del negozio dissimulato.
Con il secondo mezzo di doglianza -deducendo la violazione e la falsa applicazione ella norma di cui all'art. 13 della L. 431 del 1998 in relazione all'art. 79 della L. 392 del 1978- il ricorrente lamenta che il Giudice del merito, avendo l'Im. Pa. S.r.l. simulato la stipulazione di un contratto di comodato per dissimulare un contratto di locazione, avrebbe dovuto in ciò ravvisare la violazione della norma di cui all'art. 13 della L. 431 del 1998 e, di conseguenza, di essa disporre l'applicazione con il rendere invalido il contratto di comodato ai sensi delle norme di cui agli art. 1 e 13 della predetta legge.
Assume, in particolare, siccome più precisamente illustra in memoria, che dalla simulazione doveva discendere la richiesta applicazione della disciplina prevista dal citato art. 13, che, consentendo al conduttore di invocare l'esistenza di una locazione di fatto, avrebbe dovuto comportare l'accertamento dell'inefficacia dell'apparente contratto di comodato e la pronuncia costitutiva del giudice circa la riconduzione del rapporto allo schema della locazione abitativa.
Con il terzo motivo d'impugnazione -deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all'art. 1417 c.c.- il ricorrente censura la decisione di secondo grado nella parte in cui il Giudice del merito ha negato l'ammissibilità della prova per testimoni diretta a dimostrare che la stipulazione in forma orale della locazione era avvenuta al fine di evadere la normativa fiscale e, perciò, al fine di far valere una pattuizione illegittima.
I due motivi vanno esaminati congiuntamente, perché la definizione della disciplina probatoria della dedotta simulazione è correlata alla soluzione della questione se, per effetto della norma di cui all'art. 13 della L. 431 del 1998, possa o meno configurarsi l'ipotesi dell'illiceità del contratto ad uso abitativo, che il ricorrente assume avere stipulato.
Rileva in proposito questa Corte che, rispetto alla previgente norma di cui all'art. 79 della L. 302 del 1978, che aveva portata di generale previsione di nullità per ogni pattuizione diretta ad introdurre deroghe alla disciplina legale della locazione in senso contrario all'interesse del conduttore, la nuova norma di cui all'art. 13 della L. 431 del 1998, che attualmente regola per le locazioni ad uso di abitazione la nullità dei patti contrari alla stessa legge, definisce un ambito sanzionatorio di più ristretta applicazione, poiché essa prende in considerazione le specifiche nullità riferite alle pattuizioni volte a determinare un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato; a derogare ai limiti di durata del contratto stabiliti per legge; ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito dagli accordi in sede locale ovvero, per i contratti di cui al primo comma dell'art. 2 della stessa legge, altro vantaggio economico o normativo comportante un canone superiore a quello contrattualmente stabilito.
In sostanza, mentre la previsione dell'abrogato art. 79 della L. 392 del 1978, incentrata sul regime normativo dell'equo canone ampiamente limitativo dell'autonomia della parti, stabiliva una generale previsione di nullità, riferita, oltre che all'inderogabilità della durata minima e della misura massima consentita del corrispettivo della locazione abitativa, ad
ogni altra ipotesi di attribuzione al locatore di vantaggi ulteriori in contrasto con la stessa legge, l'art. 13 della L. 431 del 1998 prevede, invece, tassative ipotesi di nullità, riconducibili, sostanzialmente, al divieto di aumento del canone in corso di rapporto per i cd. "contratti liberi" (siccome questa Corte ha stabilito in tema di interpretazione del primo comma della norma con la sentenza n. 16089 del 2003); al divieto di derogare ai limiti di durata previsti sia per i contratti liberi che per i cd. "contratti convenzionati"; al divieto, per questi ultimi, di deroga al canone massimo definito dagli accordi in sede locale.
Inoltre, per i casi di nullità dei contratti convenzionati riferibili alla durata o al canone, il citato articolo 13 riconosce al conduttore (dal quale il locatore abbia preteso, in violazione della prescrizione del quarto comma dell'art. 1 della L.
431 del 1998, la instaurazione di un rapporto di locazione cd. di fatto senza l'adozione della forma scritta ad substantiam) l'azione giudiziale diretta all'accertamento della locazione ed alla determinazione del canone dovuto.
Per l'espressa previsione del secondo comma, lett. a), dell'art. 1 della stessa L. 431 del 1998 l'intera disciplina dell'art. 13, tuttavia, non si applica, tra gli altri, ai contratti di locazione relativi agli immobili inclusi nella categoria catastale A/8 (abitazioni in villa), rispetto ai quali, pertanto, non essendo prevista alcuna nullità collegata a limiti di durata del rapporto o di misura del canone, resta esclusa, quindi, la speciale azione del conduttore di riconduzione del rapporto di fatto a condizioni conformi allo schema della valida locazione.
Nel suddetto contesto normativo, entrambe le censure, di cui al secondo ed al terzo motivo del ricorso, non sono fondate.
L'impugnata sentenza ha accertato (e sul punto le parti non hanno espresso doglianza, trattandosi di fatto non controverso) che l'oggetto del dichiarato contratto di comodato è costituto da un immobile incluso nella categoria catastale A/8, per cui, in virtù della disposizione del secondo comma, lett. a), dell'art. 1 della L. 431 del 1998, ove pure i contraenti avessero voluto dissimulare un contratto di locazione, per esso la legge non impone vincoli inderogabili di durata o di canone, la cui inosservanza possa essere sanzionata a pena di nullità secondo le ipotesi di illiceità del negozio configurate dalla disciplina prevista dall'art. 13 della stessa legge.
Di conseguenza, esclusa la illiceità di un simulato contratto di comodato che dissimuli la locazione di un immobile incluso nella categoria catastale A/8, per il quale non sussistono previsioni di durata e di canone fissati inderogabilmente per legge, non è censurabile la decisione della Corte territoriale, che, nella specie, per un verso, ha negato l'ammissibilità della speciale azione del conduttore, di cui all'art. 13 della L. 431 del 1998; per altro verso, ha escluso che fosse dato dimostrare con testimoni la sussistenza del contratto dissimulato, la cui prova poteva discendere soltanto mediante controdichiarazione, secondo la regola dell'art. 1417 c.c., per la quale se il negozio simulato è stato redatto per iscritto, tra le parti trova applicazione la regola generale della limitazione dell'ammissibilità della prova orale.
Con il quarto motivo di doglianza -deducendo la omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia- il ricorrente denuncia che la Corte territoriale aveva del tutto omesso di valutare l'ammissione della società circa l'avvenuto incasso della somma di L. 36.000.000.
La censura deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse, poiché, quando pure dalla suddetta circostanza potesse derivare la eventuale diversa qualificazione del contratto come locazione, da detta qualificazione il preteso conduttore, per quel che si e detto innanzi circa l'insussistenza di ipotesi di nullità del contratto quanto alla durata ed al canone, non potrebbe ricavare alcuna apprezzabile utilità circa la protrazione del rapporto oltre il convenuto termine di durata ovvero circa la riconduzione del canone ad una misura ridotta rispetto a quella indicata.
Con il quinto mezzo -deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all'art. 2041 c.c. nonché la contraddittoria motivazione sul punto- il ricorrente critica l'impugnata sentenza nella parte in cui, negandosi alle spese da lui sostenute i caratteri della natura straordinaria, della necessarietà e della urgenza, è stata esclusa la fondatezza dell'esperita azione di ingiustificato arricchimento.
Anche detto motivo non può essere accolto, perché correttamente il Giudice del merito ha ritenuto, in applicazione del principio del tutto scontato nella giurisprudenza di questa Corte (da ultimo: Cass., n. 6340/2002: Cass., n. 4365/ 2003), che, trovando la pretesa suddetta la sua causa nel rapporto contrattuale in virtù del quale il bene immobile è stato concesso in godimento, l'azione di arricchimento senza causa, a norma dell'art. 2042 c.c., non è legittimamente esperibile qualora il danneggiato abbia la facoltà di esercitare un'altra azione tipica nei confronti dell'arricchito onde evitare il pregiudizio economico paventato.
Il ricorso, pertanto, è rigettato.
In ordine alle spese del presente giudizio di cassazione sussistono giusti motivi per compensarle interamente nel rapporto tra ricorrente e società resistente, mentre nessuna pronuncia sul punto deve essere emessa nei confronti di Xx. Fo., poiché costui in questa sede non ha svolto difese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti costituite le spese del giudizio di cassazione. Nulla per le spese nei confronti di Xx. Fo.