INDICE
Diritto degli Affari e Tributario dell’impresa XXVI ciclo
IL CONTRATTO FIDUCIARIO OGGI: PROFILI PROBLEMATICI E RICOSTRUTTIVI
Coordinatore Tutor
Chiar. ma Prof.ssa Chiar. mo Xxxx.
Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxx
Dottoranda
Xxxxxxxxxxxxx Xxxxxx
Anno Accademico 2012/2013
INDICE
CAPITOLO I
1. Introduzione
2. Società fiduciarie e quadro normativo di riferimento
3. La ricostruzione del negozio fiduciario nella giurisprudenza: tra classicità ed innovazione
3.1 I problemi operativi sottesi alla dicotomia “fiducia romanistica” e “fiducia germanistica”: allocazione del diritto di proprietà e legittimazione a disporre
4. Profili applicativi: la separazione patrimoniale
4.1. Il negozio fiduciario
4.2. La società fiduciaria
CAPITOLO II
1. Interessi rilevanti del rapporto tra fiduciario e fiduciante e nei rapporti con i rispettivi creditori
2. Problemi teorici connessi all’ammissibilità del negozio fiduciario e conseguente qualificazione
3. Negozio fiduciario e mandato ad acquistare: un indice normativo della fiducia?
4. Gestione di patrimoni altrui nel codice civile, nella legislazione speciale primaria e secondaria
5. L’amministrazione del patrimonio altrui e nell’interesse altrui: principi e regole operative
CAPITOLO III
1. Destinazione di beni allo scopo e separazione patrimoniale: una tecnica di tutela per il fiduciante
1.1. Segue. Destinazione di beni allo scopo e separazione patrimoniale nell’ordinamento
2. La fattispecie dei patrimoni separati: profili problematici e sistematici
3. Dal dogma un soggetto un patrimonio al negozio atipico di destinazione
4. Atto atipico di destinazione: ammissibilità, effetti ed opponibilità
5. Destinazione patrimoniale e modelli stranieri: trust e fiducie quali omologhi dell’atto negoziale di destinazione?
CAPITOLO IV
1. Peculiarità del contratto fiduciario di cui è parte la società fiduciaria
1.1. (Segue). Riflessi sul tipo e sulla disciplina
2. L’oggetto del contratto fiduciario
3. I doveri di comportamento della società fiduciaria: disciplina applicabile e rimedi per il cliente
3.1. La responsabilità per le obbligazioni assunte dalla fiduciaria nell’esecuzione del contratto, la legittimazione all’esercizio delle azioni contrattuali e la separazione patrimoniale nel patrimonio della fiduciaria: ratio e riflessi sul fiduciante ed i suoi creditori
4. L’interesse del fiduciante alla segregazione patrimoniale: strumenti giuridici ed interessi meritevoli di tutela
5. La concorrenza tra ordinamenti e l’evoluzione dell’Italia quale Paese trust
6. Conclusioni
Bibliografia e giurisprudenza
CAPITOLO I
1. Introduzione; 2. Società fiduciarie e quadro normativo di riferimento; 3. La ricostruzione del negozio fiduciario nella giurisprudenza: tra classicità ed innovazione; 3.1 I problemi operativi sottesi alla dicotomia “fiducia romanistica” e fiducia germanistica”: allocazione del diritto di proprietà e legittimazione a disporre; 4. Profili applicativi: la separazione patrimoniale;
4.1. Il negozio fiduciario; 4.2. La società fiduciaria.
1. Introduzione.
Nel contemporaneo contesto economico giuridico sociale caratterizzato da un’economia globalizzata che si esplicita in una sempre crescente internazionalizzazione degli scambi e delle regole, nonché nell’aumento dell’importanza della ricchezza mobiliare rappresentata da prodotti finanziari e relative gestioni, è forte la spinta che l’ordinamento riceve, sul piano interno, al fine di offrire strumenti giuridici competitivi che consentano alle persone fisiche di destinare parte del proprio patrimonio al perseguimento di specifici obiettivi con conseguente limitazione, in forma di specializzazione, della responsabilità.
Le gestioni fiduciarie che si manifestano nella realtà degli affari sono situazioni nelle quali si realizzano interessi complessi rispetto ai quali le norme prevedono atti nella forma del negozio fiduciario come nella gestione di patrimoni, oppure norme che regolamentano il professionista fiduciario o il trust, facendo emergere la necessità della figura del professionista fiduciario. Peraltro vi sono situazioni nelle quali è necessario scindere tra proprietà e legittimazione al fine di comporre e regolare al meglio gli interessi sottesi alla
stessa gestione fiduciaria1: si pensi a solo titolo di esempio all’affidamento fiduciario di pacchetti azionari,
1 I campi di potenziale applicazione ed azione del negozio fiduciario e della società fiduciaria possono individuarsi nei seguenti casi : Nell’ambito della famiglia la gestione fiduciaria potrebbe essere utile a destinare un patrimonio all’educazione e sostentamento dei figli laddove, il fondo patrimoniale già costituito ad hoc, venga meno a causa dell’intervenuto divorzio tra i coniugi oppure non possa essere costituito quando si tratti di una famiglia di fatto. Ulteriore ambito riguarda la costituzione del patrimonio destinato a soddisfare le obbligazioni di natura alimentare: in tale caso la destinazione appare meno efficiente poiché quando il patrimonio oggetto della destinazione dovesse rivelarsi non sufficiente all’adempimento dell’obbligazione alimentare, sarebbe comunque richiesta un’attività da parte dell’obbligato che rende meno appetibile la possibilità di avvalersi di un soggetto terzo.
In materia successoria l’affidamento fiduciario dell’impresa, oltre a garantire la conservazione del patrimonio, può essere funzionale a garantire la trasparenza della gestione affidata al fiduciario e la tutela della quota di eredità cui gli altri eredi abbiano diritto. Peraltro nelle situazioni che, per le proprie caratteristiche oggettive o soggettive, non possono essere regolate dal patto di famiglia, si può ipotizzare l’utilizzo del negozio di destinazione per soddisfare gli altri legittimari da parte dell’assegnatario del bene aziendale.
Egualmente alle società fiduciarie potrebbe essere affidata la gestione del patrimonio destinato alla tutela di soggetti deboli come anziani, disabili o persone destinatarie dell’amministrazione di sostegno. Considerata la meritevolezza di tutela degli interessi sottesi alla realizzazione delle destinazioni descritte ai punti 1),
2) e 3) risulta utilizzabile lo strumento previsto dall’art. 2645 ter c.c.
Nell’ambito delle società di capitali la gestione fiduciaria può essere utile a comporre gli interessi potenzialmente confliggenti di cui i titolari di azioni o quote sociali sono portatori nell’ambito di un patto parasociale: in tal caso la gestione fiduciaria del patto stesso si attuerebbe più efficacemente attraverso la attribuzione della titolarità delle partecipazioni societarie al gestore fiduciario, terzo rispetto agli interessi di cui gli aderenti al patto sono portatori. Si porrebbero problemi di compatibilità potenziale del trasferimento di titolarità delle quote o azioni alla società fiduciaria qualora lo statuto della società prevedesse limiti alla circolazione delle stesse.
Nell’ambito delle procedure concorsuali la legge n. 3 del 27 gennaio 2012 dispone che nelle situazioni di sovraindebitamento che non sono soggette né assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali, si consente che il debitore raggiunga un accordo di ristrutturazione di debiti e si prevede che “ il piano può anche prevedere l’affidamento del patrimonio del debitore ad un gestore fiduciario per la liquidazione, custodia e distribuzione del ricavato ai creditori ”. Tuttavia, a seguito delle modifiche apportate a tale art. 7 dall’art. 18 della l. n. 221/2012, il riferimento al fiduciario è stato soppresso in favore di una più generica indicazione di un “gestore per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori”. Si riscontra in giurisprudenza l’utilizzo
magari affidati al professionista per la gestione di un patto parasociale, oppure alla necessità di affidare ad un terzo operatore professionale la gestione di beni destinati ad uno scopo.
Il negozio fiduciario potrebbe rivelarsi, in una lettura evolutiva del fenomeno, un importante ausilio nel perseguimento dell’obiettivo di rendere l’ordinamento interno competitivo a livello internazionale con altri ordinamenti sia dell’area di civil law che di common law, i quali hanno approntato strumenti di destinazione fiduciaria con separazione patrimoniale del patrimonio oggetto della fiducia2.
dello strumento del negozio con cui si affida ad un professionista la gestione ed attuazione del concordato preventivo (cfr. Tribunale di Napoli, 19 novembre 2008 connota di Lo Xxxxxx in Trusts e attività fiduciarie, Novembre 2009, p. 587 e segg.; Trib. Milano, 16 giugno 2009, in Trusts e attività fiduciarie, 2009, 533; SCODITTI, Trust e fallimento, in Trusts e attività fiduciarie, settembre 2010,
p. 472 e segg.)
Peraltro la materia delle procedure concorsuali appare come il potenziale campo di elezione dell’attività delle società fiduciarie, poiché le stesse possono garantire imparzialità efficienza e professionalità: è una materia molto tecnica ove l’organizzazione in forma di impresa delle società fiduciarie potrebbe efficacemente competere in termini di costi con le tradizionali figure professionali.
Si segnala, inoltre, la possibilità che i beni oggetto dell’affidamento siano destinati a garantire il credito erogato per la realizzazione di uno specifico progetto imprenditoriale: la separazione patrimoniale garantirebbe, cioè il finanziamento, ma il problema è legato allo strumento negoziale utilizzabile per realizzare detta separazione.
Quanto alle aggregazioni di imprese nella forma dell’A.T.I. e della rete la società fiduciaria potrebbe essere chiamata a svolgere il ruolo di mandatario comune. Nel caso dell'ATI ciò garantirebbe trasparenza e assenza di conflittualità nelle decisioni che si tradurrebbe in maggiore efficacia ed efficienza dell’attività svolta dall’aggregazione. Nel caso delle imprese parti di un contratto di rete, invece, la fiduciaria potrebbe porsi quale gestore-garante nei rapporti negoziali interni tra i partecipanti svolgendo funzioni di coordinamento ed indirizzo.
In ultimo si era ipotizzato l’uso dello strumento negoziale fiduciario affinché la società fiduciaria acquisisse l’autorizzazione necessaria per lo svolgimento di un’attività cui il fiduciante non sarebbe abilitato: è una possibilità da vagliare attentamente in quanto potrebbe tradursi in uno strumento elusivo.
2 Per una individuazione dei caratteri distintivi di fiducie francese e trust anglosassone si veda Barrière, La legge che
Tuttavia la legge prevede e regolamenta da un punto di vista organizzativo il soggetto società fiduciaria, ma non offre neppure un frammento di disciplina dello strumento negoziale. Inoltre, sia la legge che la giurisprudenza affrontano il problema di qualificazione e disciplina del negozio fiduciario senza tener conto o valorizzare la presenza della società fiduciaria quale parte contrattuale, quando invece l’analisi delle numerose pronunce giurisprudenziali intervenute in materia lascia persuasi che ci siano due negozi fiduciari ovvero che la regolamentazione del negozio fiduciario di cui sia parte una società fiduciaria segua una disciplina le cui peculiarità rispetto al semplice negozio fiduciario tra privati, si individuano in regole di gestione e di responsabilità che costituiscono diretta conseguenza della qualità soggettiva della parte negoziale.
La lontana origine dell’istituto della fiducia, di romanistica memoria, gli studi e l’attenzione sempre dedicata al fenomeno, seppur in periodi differenti e non continui, non hanno consentito di raggiungere un’univocità di vedute in termini di qualificazione e disciplina del negozio fiduciario3, creando così una incertezza applicativa tale da incidere sulla frequenza della concreta utilizzazione ed utilità del negozio giuridico in parola.
La discussione dottrinaria e giurisprudenziale è ferma alla scelta della rigida alternativa tra fiducia romanistica e fiducia germanistica, ma l’utilità e
istituisce la fiducia tra equilibrio e incoerenza, in Trusts e attività fiduciarie, 2008, p. 130.
3 Per una ricostruzione in chiave storica si veda X. XXXXXX, voce “Fiducia e negozio fiduciario (storia)”, in Dig. Disc. Priv. Sez. Civ., vol. VIII, Torino, 1992, 288.
l’attualità dello strumento giuridico negozio fiduciario sono confermate dai tentativi di positivizzazione dell’istituto che, nell’ultimo decennio, si sono susseguiti fino a raggiungere, in alcuni casi, lo stadio di disegno di legge4.
La necessità di individuare una precisa disciplina del negozio fiduciario nasce dall’assenza della stessa nell’ordinamento positivo, il quale conosce soltanto la regolamentazione del soggetto società fiduciaria contenuta nella l. 1966/1939 che, però, nulla dice circa lo strumento giuridico negoziale che regola i rapporti tra fiduciante e fiduciario. Ciò ha causato non poche incertezze di disciplina riguardo al negozio fiduciario che, segnatamente, possono individuarsi: nella qualificazione del negozio e nell’opponibilità dell’effetto, nell’applicabilità allo stesso della disciplina del mandato, nell’individuazione di sistemi rimediali posti a tutela dei fiducianti e dei creditori. In particolare, il limite più forte che l’attuale costruzione del negozio fiduciario sconta, è rappresentato dalla natura obbligatoria del patto fiduciario che, avendo rilevanza meramente interna, non risulta opponibile a terzi, a differenza del collaudato strumento di origine anglosassone del trust e della fiducie francese, recentemente oggetto di novella legislativa5.
In un recente studio che si è concluso con la proposta di introduzione del capo IX-bis al titolo III del libro IV
4 Cfr. Disegno di legge n. 854, Legislatura XVI che propone di inserire dopo il capo IX del Titolo III del libro IV del codice civile il Capo IX-bis “Della fiducia”.
5 La fiducie nasce con legge 19 febbraio 2007 n. 2007/211 che ha istituito il Titolo XIV nel Libro III del Code Civil ed è stata dapprima innovata nell’anno successivo con legge 4 agosto 2008 n. 2008/776 e successivamente con Ordonnance 30 gennaio 2009, n. 2009/112.
del codice civile “si è ritenuto di seguire la tradizione culturale del negozio fiduciario e del contratto di mandato, superando le debolezze del negozio fiduciario e l’assenza di una opponibilità a terzi del mandato, con una disciplina che assicuri pubblicità del vincolo e dello stesso contratto. In questo modo si è passati dal modello della fiducia occulta o segreta al modello della fiducia palese6”. D’altronde per un verso la funzione classica di “schermo” che le società fiduciarie svolgevano di consueto è stata sostanzialmente neutralizzata dalla regola tributaria da applicare che è quella della “trasparenza fiduciaria” ossia della diretta imputazione al fiduciante dei redditi prodotti dal bene oggetto dell’amministrazione7; per altro verso il d.lgs.
141 del 2010 ha dettato una nuova disciplina per le società fiduciarie che abbiano certe caratteristiche, le quali divengono così soggette alla vigilanza della Banca d’Italia, limitata all’osservanza della disciplina antiriciclaggio8.
Ebbene tuttavia de jure condito, in attesa di positivizzazione delle proposte menzionate, bisogna rilevare la necessità di utilizzare gli strumenti presenti nell’ordinamento ed i principi ad essi sottesi al fine di offrire certezza giuridica ai rapporti fiduciari che rivestono una maggiore importanza economica dal punto di vista della mole e del valore delle intestazioni fiduciarie: si tratta del negozio fiduciario stipulato tra società fiduciaria e clienti. È a questo
6 Cfr. Relazione del Consiglio nazionale del notariato con il contributo della Prof. Xxxxxx Xxxxxx.
7 Cfr. XXXXXXXXX, Xxxxxxx e intestazione fiduciaria in materia immobiliare, in Trusts e attività fiduciarie, n. 5/2010, 252.
8 Per un esame dettagliato delle norme del d.lgs. 141 del 2010 che incidono specificamente sulle società fiduciarie x. XXXXXXXX, La riforma della disciplina delle società fiduciarie, in Trusts e attività fiduciarie, n. 9/2011, 521 e segg.
rapporto che il presente lavoro volge principalmente il suo sguardo nel tentativo di offrire a società fiduciarie e clienti certezza di disciplina, cogliendo le tensioni e le aperture del sistema.
2. Società fiduciarie e quadro normativo di riferimento.
L’art. 1 l. 23 novembre 1939, n. 1966 definisce “fiduciarie” quelle società che “comunque denominate si propongono, sotto forma di impresa, di assumere l’amministrazione dei beni per conto terzi, l’organizzazione (…) di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e obbligazioni”. In funzione dell’attività che sono destinate a svolgere, la legge pretende che le fiduciarie offrano adeguate garanzie di serietà e correttezza; devono presentare perciò particolari requisiti quanto all’organizzazione aziendale ed alla qualifica degli esponenti aziendali e del personale, l’inizio della loro attività è soggetta ad autorizzazione amministrativa e l’attività stessa è sottoposta a vigilanza.
Le società fiduciarie non possono iniziare la loro attività se non sono state autorizzate con decreto del Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministro della Giustizia ed il rilascio di tale autorizzazione è subordinato alla presentazione di una serie di documenti che riguardano le principali caratteristiche della società (ivi incluso il versamento dell’intero capitale sociale e la nominatività di tutte le azioni), nonché gli amministratori ed il personale dipendente. L’intervento della P.A. non si limita al momento della concessione dell’autorizzazione, ma è destinato a protrarsi anche successivamente. Occorre
infatti garantire la correttezza della gestione, nell’interesse di coloro che affidano i propri beni alle fiduciarie. Per tale ragione la vigilanza viene esercitata anche durante l’esercizio dell’attività con l’esame dei bilanci annuali ed ispezioni periodiche.
A ciò si accompagnano una serie di regole operative di rilevanza sia interna che esterna: le azioni nominative non possono essere cedute se non con il consenso del consiglio di amministrazione e deve essere resa evidenza contabile della riferibilità dei beni gestiti ad un patrimonio distinto da quello proprio della società fiduciaria.
La condizione dei beni intestati alla fiduciaria e da questa amministrati per conto dei propri clienti è un problema delicato che investe sia l’efficienza della funzione esercitata sia la tutela dei beni che il cliente abbia affidato in amministrazione alla fiduciaria. Peraltro, l’evidenza di tale condizione dei beni amministrati nell’interesse altrui, permette anche alla società fiduciaria che stipuli con terzi, di rendere loro nota la propria funzione di amministrazione di beni altrui. Difatti lo stesso Ministero, nella veste di organo di controllo, ha dettato norme (D.M. 16.01.1995) attinenti allo svolgimento ed all’esecuzione degli incarichi, nonché al contenuto dei contratti, obbligando la società fiduciaria ad iscrivere i beni amministrati per conto di terzi tra i conti d’ordine dopo averli iscritti in uno specifico registro ed averli rubricati ed identificati ai fini dell’archivio unico informatico.
Accanto a tale disposizione il Ministro ha anche disposto una serie di regole che includono specifiche clausole da inserire all’interno del regolamento contrattuale utilizzato per i rapporti con i clienti che riguardano
essenzialmente due grandi aree: la trasparenza e le regole operative nello svolgimento dell’incarico.
Quanto alla prima è disposta l’individuazione analitica dei beni affidati alla fiduciaria nonché dei poteri alla stessa conferiti, ivi incluso il costo della gestione; quanto alla seconda l’art. 12 del D.M. prescrive che la società fiduciaria, nell’esercizio della sua attività istituzionale agisca nell’interesse esclusivo del fiduciante e risponda secondo le regole del mandato oneroso; che i beni e le somme vengano indicati nel contratto, nonché in un estratto conto periodico; che non possa emettere titoli, documenti o certificati rappresentativi dei diritti dei fiducianti; che depositi i beni dei fiducianti presso banche o sim autorizzate a svolgere il servizio di custodia e amministrazione di strumenti finanziari, con facoltà di sub-deposito presso società autorizzate ai sensi dell’art. 80 D. Lgs. 24 febbraio1998, n. 58 ad esercitare gestione accentrata di strumenti finanziari.
Nello specifico settore dei titoli azionari, poi, l'art. 1, x.x., xxx x.x. 00.0.0000 x. 000, ove dispone che "le società fiduciarie che abbiano intestato al proprio nome titoli azionari appartenenti a terzi sono tenute a dichiarare le generalità degli effettivi proprietari dei titoli stessi", esclude chiaramente che, nel caso di intestazione fiduciaria di titoli azionari, la società fiduciaria possa essere considerata proprietaria dei titoli stessi. Ancora più chiaramente, la disciplina delle società di intermediazione mobiliare di cui alla legge 2.1.1991 n. 1 stabiliva all'art. 8 lett. f (applicabile alle società fiduciarie in virtù del rinvio operato dall'art. 17) che "i valori mobiliari e le somme
oggetto della gestione devono essere depositati in conti rubricati come di gestione per conto di terzi".
A tali prescrizioni normative si sono adeguati gli schemi generali di contratto fiduciario prevedendo come necessaria, tra le proprie condizioni generali, l’indicazione dei singoli beni ed i diritti intestati alla fiduciaria, e disponendo che dovranno risultare in modo analitico i poteri attribuiti alla fiduciaria.
Nei modelli di contratto utilizzati dalle società fiduciarie9 è conferito particolare rilievo all’oggetto del contratto stesso che si concretizza nell’amministrazione di beni per conto terzi con intestazione fiduciaria i cui tratti fondamentali sono rappresentati: dalla separazione, in ordine al bene amministrato, della situazione di “proprietà sostanziale” o titolarità, dalla intestazione (se richiesta dalla natura del bene) o dalla legittimazione; dalla disciplina del rapporto tra il fiduciante e la fiduciaria, avente ad oggetto l’incarico ad “amministrare” beni; dal conferimento, con documentazione contrattuale separata, di specifici incarichi ad acquistare, vendere, etc.
Si prevede inoltre che il contratto fiduciario dovrà disporre che i valori affidati, se nominativi, siano intestati fiduciariamente alla società fiduciaria la quale, potrà compiere tutti gli atti di amministrazione sui beni stessi. Una specifica clausola, inoltre, prevede la separazione delle somme di pertinenza dei fiducianti da quelle della fiduciaria.
Dall’analisi delle disposizioni legislative e contrattuali emerge dunque che la società fiduciaria, la quale svolge istituzionalmente l’attività di gestione di
9 Predisposti dall’associazione che le riunisce “Assofiduciaria”.
beni altrui, deve essere dotata di un’organizzazione tale che le consenta sia di perseguire al meglio l’interesse dei clienti garantendo un’efficiente organizzazione aziendale e specifica professionalità degli esponenti aziendali e del personale, sia di garantire agli stessi clienti che i propri beni siano distinti dal patrimonio della società fiduciaria, rispetto alla quale costituiscono un patrimonio separato assicurato dall’evidenza contabile che si realizza attraverso la loro iscrizione in conti d’ordine (dopo averli iscritti in uno specifico registro e rubricati ed identificati ai fini dell’archivio unico informatico). La separazione patrimoniale è difatti assicurata soltanto dal rispetto, da parte della società, delle regole organizzative e contabili che consentano la individuazione nominativa dei soggetti cui i singoli conti siano riferiti.
Nonostante la puntuale disciplina di numerosi aspetti del rapporto contrattuale intrattenuto con il cliente emergono diversi problemi applicativi che riguardano essenzialmente due grandi aree: l’operatività e la portata della separazione patrimoniale, la delimitazione la qualità e l’opponibilità dei poteri affidati al fiduciario. Di tali problemi, emersi dalla casistica giurisprudenziale, alcuni sono stati risolti dalla stessa giurisprudenza, altri possono essere superati in via interpretativa, ed altri ancora richiedono l’intervento del legislatore.
3. La ricostruzione del negozio fiduciario nella giurisprudenza: tra classicità ed innovazione.
Uno dei primi punti su cui si riscontra incertezza nella materia oggetto del presente lavoro è rappresentato dalla
qualifica giuridica - e conseguenti declinazioni applicative - del rapporto negoziale che lega fiduciante e fiduciario. Si tratta di un rapporto giuridico per mezzo del quale il proprietario di determinati beni (fiduciante) li affida ad un altro soggetto (fiduciario) che dovrà gestirli nell’interesse del fiduciante o di un terzo. Tuttavia, nonostante la giurisprudenza maggioritaria di legittimità sia concorde nel descrivere il negozio fiduciario come nascente da una fattispecie complessa che consta di un momento con effetto reale ed uno con effetti soltanto obbligatori10, essa non concorda sulle conseguenze applicative che discendono da siffatto rapporto giuridico.
I problemi sono molteplici e di diversa natura riguardando in primo luogo la qualificazione giuridica della titolarità del fiduciante con la conseguente individuazione dei poteri ad esso spettanti, passando per il problema della riferibilità dei beni oggetto del negozio fiduciario al patrimonio del fiduciante oppure del fiduciario, per poi giungere all’azionabilità dei rapporti sorti in esecuzione del negozio fiduciario nonché ai profili rimediali in caso di inadempimento del fiduciario.
Precisamente, in assenza di una disciplina tipica della fiducia, nel tentativo di dare rilevanza alla complessità
10 Si tratta di consolidata giurisprudenza di legittimità a far tempo da Xxxx. 18 aprile 1957, n. 1331; Cass. 28 luglio 1958, n. 2724; più recentemente x. Xxxx. 00 maggio 1993 n. 6024 in Corriere giuridico,
n. 7/1993, 855 con nota di CARBONE, “Pactum fiduciae ed interposizione reale”, in Giur. comm., 1994, II, 8, con nota di XXXXXXXX, in Giur. it., 1994, I, 1, 581, con nota di XXXXX; Cass. 28 settembre 1994, n. 7899 con nota di Xxxxxxxxxxx “In tema di intestazione fittizia e fiduciaria di azioni”; Xxxx. 14 ottobre 1995, n. 10768; Cass. 23 giugno 1998 n. 6246, in Giustizia civile, 1998, I, 2778; Cass. 27 novembre 1999, n. 13261; Cass. 1 aprile 2003, n. 4886; Cass. 27 luglio 2004 n. 14094, in Riv. notariato, 2005, 1445 ss., con nota di X. XXXXXXXXX, Brevi riflessioni sull’intestazione fiduciaria.
degli interessi sottesi a tale rapporto giuridico in cui a gestire il bene è un soggetto diverso dal titolare dell’interesse, si è tentata una ricostruzione giuridica del fenomeno negozio fiduciario ricorrendo alle note formule concettuali di fiducia germanistica e fiducia romanistica11. Il primo orientamento individua i caratteri germanistici della fiducia nel fatto che il fiduciante conferisca al fiduciario la legittimazione a gestire e disporre del bene, mantenendone sostanzialmente la proprietà; una siffatta ricostruzione del fenomeno impedirebbe che creditori del fiduciario possano aggredire il bene gestito che non è entrato nel patrimonio del fiduciario stesso e renderebbe opponibili ai terzi le limitazioni del potere gestorio del fiduciario12.
11 Dal punto di vista dottrinale numerosa letteratura è stata prodotta sull’argomento, tra gli altri x. XXXXXXXXX, voce Negozio fiduciario, in Enc. Dir., XXVIII, Milano, 1978, 33; LIPARI, Il negozio fiduciario, in Studi di diritto civile, Milano, 1964; Id., in I trust in Italia oggi, a cura di BENEVENTI, Milano, 1996, 73 ss.; XXXXXXXXX, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nell’ordinamento giuridico, in Riv. Dir. Comm., 1936, I, 345; MESSINA, Negozi fiduciari: introduzione e parte generale, pubblicato a Città di Castello nel 1910 ed ora in Scritti Giuridici, I, Milano, 1948; FERRARA, I negozi fiduciari, in Studi per le onoranze di Xxxxxxxx Xxxxxxxx, II, Milano, 1905, 745 e segg.; XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1977, 179- 182; ROMANO, Il negozio fiduciario e il problema della sua rilevanza, in Studi in onore di Xxxxxxx X., XXX, Xxxxxx, 0000, 35.
12 Invero una simile opponibilità è variamente spiegata e giustificata dai diversi autori: sul tema della fiducia germanistica si vedano, tra gli altri, XXXXXXXXX, Intestazione fiduciaria, in Dizionari del diritto privato, I, Diritto civile, a cura di X. XXXX, Milano, 1980, 459; X. XXXXXX, Fiducia statica e trusts, in Studi in onore di Xxxxxxxxxxxx, I, Roma, 1997; ID., Il negozio fiduciario, cit., 186; XXXXXX, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, 1968, 44 ss.; ID., Il voto divergente nelle societa` per azioni, Milano, 1975, 22 ss.; ID., Sull’intestazione fiduciaria di quote di societa` a responsabilita` limitata, in Giur. comm., 1979, I, 181 ss.; v. anche XXXXX, La causa, in Tratt. Xxxxxxxx, 10, II, rist. Torino, 1988, 330 ss.; X. XXXXXXXX, Sull’intestazione fiduciaria di titoli azionari, in Banca borsa tit. cred., 1962, I, 35 ss.; XXXXXXX, Gestione fiduciaria e disposizione del diritto, Milano, 1991, 153 ss. Per un’analisi analitica delle diverse ricostruzioni dottrinarie si veda cap. II infra.
Il secondo orientamento ricostruisce | diversamente | il |
negozio fiduciario: il fiduciante | trasferisce | al |
fiduciario la proprietà del bene oggetto del rapporto gestorio accompagnando tale attribuzione ad effetti reali ad un negozio di natura obbligatoria – pactum fiduciae – che descrive e limita i poteri del gestore e lo obbliga a ritrasferire i beni gestiti al fiduciante allo spirare della funzione gestoria13.
Nelle pagine che seguono si vedrà come la giurisprudenza, seppure non abbia raggiunto un’univocità di vedute che offra una ricostruzione del negozio fiduciario ancorata a precisa disciplina applicabile, tuttavia si muove, pur con significative sfumature, intorno a quelli che rappresentano i nuclei concettuali di fiducia germanistica e romanistica.
Nella ricostruzione romanistica della fiducia il fiduciante opera un trasferimento di natura reale della proprietà dei beni affidati al fiduciario creando così, nei rapporti con i terzi una interposizione reale e, nei rapporti interni, un pactum fiduciae che orienta e limita i poteri gestori del fiduciario, oltre ad obbligarlo a ritrasferire i beni gestiti al fiduciante allo spirare della gestione determinata dal venir meno della fiducia.
13 Tale ricostruzione è accolta da cospicua giurisprudenza: cfr. Cass., 29.11.1983, n. 7152, in Vita notarile, 1983, 1629 ss.; in Dir. fall., 1984, II, 30 ss.; in Riv. notariato, 1984, 643 ss., con nota di IEVA, “Gli atti posti in essere in nome e per conto di societa` di capitali prima della loro iscrizione nel registro delle imprese”; in Giust. civ., 1984, I, 3127 ss.; in Giur. comm., 1984, II, 694 ss.; e in Giur. it., 1985, I, 1, 90 ss.; Cass., 21.11.1988,
n. 6263, in Foro it., 1991, I, 2495 ss., con nota di XXXXXXX, “La prova del ‘‘pactum fiduciae’’; Cass., 18.10.1988, n. 5663, cit.; Cass., 27.3.1997, n. 2756, in Riv. notariato, 1997, 1265 ss.; Trib. Como, 23.2.1984, in Soc., 1985, 678 ss.; Trib. Milano, 7.3.1985, ivi, 733 ss.; Trib. Milano, 9.2.1980 e App. Milano, 24.11.1981, in Giur. comm., 1982, II, 486 ss.; Trib. Roma, 18.7.1980, in Giur. it., 1982, I, 2, 412 ss.; App. Milano, 3.7.1992, in Vita notarile, 1993, 1484 ss.; Trib. Milano, 12.11.1987, in Giur. comm., 1989, II, 295 ss.; si veda anche GAMBINI, Il negozio fiduciario negli orientamenti della giurisprudenza, in Rass. dir. civ., 1998, 844 ss.
A partire da una pronuncia di legittimità degli anni ’9014 poi ripresa da numerose successive sentenze, ma che già a sua volta si ispirava ad una statuizione degli anni ’8015, si è precisato che con l’intestazione fiduciaria di titoli azionari si realizza un fenomeno di interposizione reale mediante il quale “l’interposto acquista effettivamente la titolarità delle azioni” ma, in virtù di un patto interno con l’interponente di natura obbligatoria, è tenuto ad osservare un certo comportamento convenuto con il fiduciante ed a retrocedere i titoli a quest’ultimo in seguito al verificarsi di una situazione determinante il venir meno della causa fiduciae. I giudici riconoscono che dal negozio fiduciario sorgono vere e proprie obbligazioni giuridiche a carico del fiduciario, azionabili in via giudiziaria da parte del fiduciante per ottenerne l’adempimento.
La sentenza prosegue in parte motiva assimilando gli obblighi giuridici che derivano dal pactum fiduciae al mandato, affermando che il patto con il quale il fiduciario si obbliga a modificare la situazione giuridica a lui facente capo a favore del fiduciante, sia per un verso assimilabile al contratto preliminare quanto all’onere di forma16 con relativa necessità della forma scritta ad substantiam allorché riguardi beni immobili e, per altro verso, sia riconducibile alla figura giuridica del mandato senza rappresentanza relativamente al pactum fiduciae che comporta la creazione di obblighi giuridici
14 Cassazione civ., sez. I, 14 ottobre 1995, n. 10768 in Societa`, 1996, 406 ss.
15 Cassazione civ., sez. I, 1983 n. 7152, cit. e Cass. civ. 7 agosto 1982, n. 4438, in Mass. Giur. It., 1982.
16 In senso conforme x. Xxxx. n. 6024/1993 e Cass. n. 5663/1988 in
Corriere giur., 1988, 1268 ss.; e in Giust. civ., 1989, I, 968 ss.
a carico del fiduciario17. Gli obblighi giuridici che sorgono dal patto, dunque, sono tutelabili in via giudiziaria mediante le azioni previste dall’ordinamento, idonee ad ottenere l’adempimento delle specifiche obbligazioni derivanti dal patto stesso.
Nel caso di specie la proprietà dei titoli è riconosciuta sussistente in capo al mandatario ed il pactum fiduciae è qualificato come un mandato senza rappresentanza, in virtù del quale il fiduciario ha assunto gli obblighi del mandatario per l’esercizio dei diritti connessi alle azioni a lui fiduciariamente intestate, fra cui in particolare l’obbligo di rendere conto al fiduciante dello svolgimento e del risultato della gestione. Egli, inoltre, in virtù di tale patto, è anche obbligato al ritrasferimento a favore del mandante-fiduciante.
Tuttavia in una decisione18 di poco successiva la suprema corte non esita ad affermare che la proprietà dei titoli azionari fiduciariamente intestati ad una società fiduciaria non può che appartenere effettivamente al fiduciante, spettando alla società fiduciaria soltanto la legittimazione ad esercitare i diritti connessi alla
17 Cass. n. 7152/1983, cit.; Cass. n. 5113/1993 ha ricondotto alla figura giuridica del mandato senza rappresentanza il patto con il quale si conviene che uno dei contraenti acquisti un fondo in proprietà comune e trasferisca agli altri contraenti la quota ad essi rispettivamente spettante; in senso conforme cfr. Cass. n. 7899/1994 in xxx.xxxxxxxxx.xxxxxxxxx.xx ove stabilisce che, “nel caso in cui più soggetti si accordino per creare una società di capitali, il cui capitale sia stato effettivamente conferito soltanto da uno di essi, mentre gli altri sono solo apparentemente intestatari di azioni o quote sociali, si ha una mera intestazione fiduciaria delle azioni o quote, la quale fa sorgere, a carico dell’intestatario, l’obbligo di trasferirle a chi ha somministrato i relativi mezzi economici”.
18 Cassazione civ., sez. I, 23 settembre 1997, n. 9355 in Foro italiano, 1999, 1, 1323; in Giurisprudenza italiana, 1998, 876 con nota di CIPRIANI; in Studium iuris, 1997, 1345; in Vita Notarile, 1998, 1, 920; in Rivista not. 1999, 670 con nota di XXXXXXX; in Notariato 1998, 4, 317 con nota di SCOZZOLI; in Diritto di famiglia, 1999, 537, con nota di XXXXX; in Corriere giuridico, 1998, 68, con nota di GIOIA.
partecipazione societaria in applicazione della teoria della fiducia germanistica19. Ancora in un caso deciso nello stesso anno20 i ricorrenti chiedono ai giudici di legittimità di annullare la decisione delle corti di merito le quali avevano ritenuto che i titoli oggetto del negozio fiduciario fossero di proprietà della società fiduciaria fallita, sulla base della considerazione che i titoli ad ognuno riferibili non erano esattamente individuabili e la loro natura fungibile ne avesse determinato l’acquisto da parte della società fiduciaria; la Cassazione ritiene, invece, che non sia sufficiente la fungibilità dei beni per determinare tale acquisto ma, facendo leva sulle disposizioni normative che indicano i fiducianti quali effettivi proprietari21, ha statuito che i titoli fossero di proprietà dei fiducianti stessi non potendosi realizzare la confusione patrimoniale con il patrimonio della fiduciaria, se la fungibilità dei beni
19 Precisa il collegio che “le opposte prospettazioni di ricostruzione teorica del negozio stipulato e dei suoi effetti da parte dei ricorrenti si riconducono alla nota distinzione tra fiducia di tipo “romanistico” e fiducia di tipo “germanistico”, definendo i sostenitori della prima teoria l’acquisto fiduciario di titoli azionari come interposizione reale, instaurandosi la proprietà, con tutti i diritti ad essa connessi, in capo al fiduciario, ed affermando i sostenitori della seconda teoria la scissione tra proprietà e legittimazione, essendo il fiduciante il proprietario effettivo dei titoli e spettando al fiduciario l’esercizio dei diritti sociali”.
20 Cassazione civ., sez. I, 14 ottobre 1997, n. 10031 in Corriere Giuridico, 1998, 301, con nota di X. XX XXXX; Foro it., 1998, I, 851 con nota di XXXXXXXXXX; in Banca borsa e titoli di credito, 1999, 2,
141 con nota di XXXXXXXX, in Giur. Comm., 1998, II, 299 con nota di
F. DI MAIO, L’attività propria di società fiduciaria, la qualificazione del rapporto e la separazione dei beni amministrati: un’interessante puntualizzazione sull’applicazione dell’art. 103 l.f.; in Notariato, 1998, 307, con nota di GRONDONA; in Contratti, 1998, 23, con nota di Carnevali.
21 V. art. 1, ultimo comma, X.X. 00 marzo 1942, n. 239; art. 9, primo comma, 29 dicembre 1962, n. 1745; art. 20, secondo comma, D.M. 12 marzo 1981, G.U., n. 82 del 24 marzo 1981, S.O.; art. 3, xxxx xxxxx,
D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni, nella legge 3 aprile 1979, n. 95; art. 2, decimo comma, D.L. 5 giugno 1986, n. 233, convertito, con modificazioni, nella legge 1 agosto 1986, n. 430.
non sia accompagnata da un potere del depositario di agire nell’interesse proprio22.
Una posteriore pronuncia di legittimità23 opera una sorta di commistione tra profili della fiducia romanistica e della fiducia germanistica quando riconosce che, anche se il fiduciario è proprietario effettivo dei beni gestiti, egli tuttavia agisce in ottemperanza ai doveri ed obblighi propri del mandatario senza rappresentanza, ponendo in essere atti gestori pur sempre nell’interesse del mandante-fiduciante. Nel caso esaminato dalla corte un padre trasferisce alle due figlie in comproprietà un numero di azioni che rappresentano il 48% del capitale di una società, simulando nell’accordo trilatero la proprietà in capo ad una soltanto delle due per motivi di opportunità legati all’attività sociale. Per effetto di tale accordo le azioni venivano gestite dalla sola sorella fittiziamente interposta che riteneva di aver acquisito nel proprio interesse le azioni acquistate con successivi aumenti di capitale deliberati dalla società. Ebbene, nell’esaminare i profili di legittimità della
22 Il collegio spiega che “l'ipotesi è specificamente regolata dall'art. 1782 c.c., il quale tuttavia precisa che il passaggio della proprietà dal depositante al depositario non costituisce una conseguenza indefettibile della fungibilità delle cose depositate, poiché tale effetto si realizza solo se al depositario è concessa (anche) la facoltà di servirsi di tali beni nel proprio interesse: in tal caso il deposito viene ad assolvere anche una funzione di credito nell'interesse del depositario e questo spiega perché a tale contratto si applichino, in quanto compatibili, le norme sul mutuo (art. 1782, secondo xxxxx, c.c.). Il fatto che la concessione della facoltà d'uso concorra, con la natura delle cose depositate, a determinare l'acquisto della proprietà da parte del depositario rende evidente come del resto si sottolinea nella Relazione al codice (ivi, s 728) che la proibizione di servirsi della cosa ricevuta in deposito (art. 1770, primo comma, c.c.) sussiste anche quando tale contratto abbia ad oggetto una quantità di danaro o di cose fungibili e porta a riconoscere l'ammissibilità di un deposito regolare di beni fungibili che non siano stati individuati al momento della consegna”.
23 Cassazione civ., sez. I, 23 giugno 1998, n. 6246 in Giustizia civile, 1998, I, 2778.
controversia insorta tra le parti, il collegio individua nell’accordo trilatero che realizza l’interposizione fittizia l’instaurazione di un rapporto fiduciario che “si pone come necessaria derivazione dell’originario accordo simulatorio”; dopo una breve ricognizione delle differenze derivanti dalla distinzione tra fiducia di tipo “romanistico” e di tipo “germanistico”24 sottolinea che, anche nell’ipotesi di fiducia romanistica il fiduciario “è comunque un mandatario senza rappresentanza del fiduciante”, che agisce, nell’esercizio dei diritti connessi alla partecipazione societaria, in nome proprio ma per conto del fiduciante.
Inevitabilmente la propensione all’accoglimento dell’uno o dell’altro tipo di fiducia ha delle ripercussioni applicative su diversi aspetti di disciplina come l’allocazione del diritto di proprietà e legittimazione all’esercizio delle azioni a difesa del diritto nonché la riferibilità dei beni fiduciariamente gestiti al patrimonio del fiduciante oppure a quello del fiduciario. Proseguendo nell’analisi diacronica degli orientamenti di legittimità si nota quasi un certo imbarazzo dei giudicanti combattuti tra una qualificazione giuridica del fenomeno negozio fiduciario che si incaselli nelle rassicuranti categorie conosciute dall’ordinamento, quali il diritto di proprietà e l’obbligazione di ritrasferimento propri della fiducia romanistica, e la
24 “Com'è noto, in tema di intestazione fiduciaria di titoli azionari, possono individuarsi, in dottrina ed in giurisprudenza, due diverse posizioni, derivanti dalla distinzione tra fiducia di tipo "romanistico" e fiducia di tipo "germanistico": la prima teoria comporta l'effettiva titolarità della partecipazione azionaria in capo al fiduciario, con instaurazione di un rapporto obbligatorio tra questi ed il fiduciante, inquadrabile sotto il profilo del mandato senza rappresentanza; la seconda tesi scinde invece tra titolarità e legittimazione, riconoscendo la prima al fiduciante ed al fiduciario soltanto l'esercizio dei diritti connessi alla partecipazione societaria.” Così Xxxx. 23 giugno 1998, n. 6246, cit.
ricerca di una disciplina che meglio realizzi e contemperi gli interessi perseguiti dalle parti del negozio. In una decisione del supremo collegio25, infatti, è stato stabilito che quando parte del negozio fiduciario sia una società fiduciaria, i fiducianti sono dotati di una “tutela di carattere reale azionabile in via diretta ed immediata nei confronti di ogni consociato”. Si trattava dell’azione intentata da una società fiduciaria posta in liquidazione coatta amministrativa nei confronti degli ex amministratori e sindaci per illecito depauperamento del patrimonio sociale, accolta dai giudici di merito, ma impugnata dai convenuti per carenza di legittimazione attiva della società fiduciaria al cui patrimonio non potevano dirsi riferibili i crediti vantati da ogni cliente, essendo la società soltanto mandataria e non proprietaria dei titoli26.
25 Cassazione civ., sez. I, 21 maggio 1999, n. 4943 in Il Fallimento, 2000, 421 con nota di X. XX XXXX, La legittimazione attiva dei commissari liquidatori; in Le Società, 1999, 1138 con nota di RORDORF.
26 Si trattava di una gestione dinamica atipica configurante una gestione in monte anomala, tuttavia si riconosce che “la diffusa prassi negoziale che caratterizzava le amministrazioni fiduciarie nel senso così detto dinamico era stata riconosciuta come non estranea al modello della legge 1966-1939 dalla stessa CONSOB con la circolare 10 settembre 1984, n. 84-11815 (integrata dalla successiva
10 giugno 1986, n. 86-18953) che ammetteva la facoltà per la società fiduciaria di amministrare discrezionalmente titoli e valori mobiliari ad essa, con quel potere, affidati dai fiducianti, sia pure entro ambiti definiti di operatività (fissati nel mandato) che valgano a segnare il confine tra le attività consentite alle fiduciarie e quelle riservate agli enti di gestione e alle società di gestione del fondo comune.” Peraltro si legge nella sentenza n. 4943/1999 cit. che “la Corte di merito, che pur aveva inquadrato il rapporto nell'ambito dell'attività propria delle società fiduciarie secondo il modello di cui all'art. 1 legge 1966-1939 (ritenuto applicabile - oltre alla amministrazione in senso stretto, così detta statica - anche a quella invece "dinamica", nella prassi negoziale di assai frequente ricorrenza), ha ritenuto di trarre conferma (del fatto che) il fondo facente capo alla "gestione Alfa" fosse parte integrante del patrimonio sociale, dalla stessa disciplina propria dei "fondi di investimento", secondo cui ai partecipanti sarebbe negato alcun diritto reale sul fondo comune per
In effetti la sentenza in parola, tralasciando di prendere espressamente posizione circa la natura germanistica o romanistica della fiducia, decide nel senso che i fiducianti vanno identificati come gli effettivi proprietari27 dei beni da loro affidati alla società ed a questa strumentalmente intestati, in applicazione del principio di separazione patrimoniale immanente nell’attività e nella disciplina delle società fiduciarie28; ne consegue che l'eventuale "mala gestio" dei beni dei fiducianti, da parte degli amministratori e dei sindaci della società, non comporta lesione all'integrità del patrimonio sociale bensì del patrimonio dei fiducianti, ai quali spetta la legittimazione in ordine all’azione individuale di responsabilità ex art. 2395 c.c.
Scorrendo le sentenze di legittimità degli anni successivi si nota un ritorno della Cassazione all’inquadramento romanistico della fiducia, secondo cui l’intestazione fiduciaria di titoli azionari o quote integra un fenomeno di interposizione reale, mediante il quale l’interposto acquista effettivamente la titolarità delle quote ma, in virtù di un rapporto interno con l’interponente, di natura obbligatoria, è tenuto ad osservare un certo comportamento convenuto con il fiduciante ed a retrocedere i titoli a quest’ultimo al verificarsi di una situazione determinante il venir meno della causa fiduciae.
essere i "diritti domenicali" al riguardo riservati alla società di gestione.” La corte di merito aveva dunque accolto la qualificazione romanistica della fiducia.
27 In ciò si coglie la propensione verso il modello germanistico che, a differenza di quello romanistico, comporta la titolarità dei diritti dominicali in capo al fiduciante.
28 Per i riferimenti normativi vedi sentenza Cassazione civ. n. 10031/1997, cit.
La titolarità del fiduciario è qualificata quale diritto di proprietà sicché il fiduciante al fine di ottenere il riconoscimento del proprio diritto sostanziale non deve proporre domanda di sentenza dichiarativa del suo diritto dominicale, bensì deve chiedere pronuncia costitutiva di tale diritto, conseguente al riconoscimento dell’inadempimento del pactum fiduciae da parte del fiduciario29. In tale occasione la suprema corte ha ritenuto che nella scrittura tra fiduciante e fiduciario fosse puntualmente riprodotto lo schema del negozio fiduciario di natura traslativa che, con un procedimento complesso assimilabile a quello del negozio indiretto, si articola in due distinti ma collegati negozi dei quali il primo, avente carattere esterno, realmente voluto dalle parti ed efficace verso i terzi, l’altro, interno e a contenuto obbligatorio, volto a modificare il risultato finale del negozio esterno, per effetto del quale il fiduciario è tenuto a trasferire al fiduciante o ad un terzo il bene o il diritto acquistato col negozio reale30.
La conseguenza di tale ricostruzione del negozio fiduciario, individuata da successiva pronuncia31, è che ogni successivo incremento del capitale sociale, fiduciariamente intestato per la metà al fiduciario, “non può che giovare al fiduciante”, secondo le regole che presiedono al mandato senza rappresentanza. Peraltro una
29 Cfr. Cassazione civ., sez. II, 01 aprile 2003, n. 4886 la quale riconosce che essendo la domanda dell’attore fondata sulla violazione del pactum fiduciae non può che portare, in caso di fondatezza, ad una sentenza costitutiva del nuovo passaggio del diritto di proprietà sull’immobile, in Corriere giuridico, 2003, 1041 con nota di XXXXXXXXX; in Archivio civile 2003, 869, con nota di NAPOLILLO; in Diritto e giustizia, 2003, fasc. 17, 29.
30 L’ipotesi della simulazione relativa è esclusa poiché avrebbe necessariamente richiesto la partecipazione del terzo venditore all’accordo simulatorio.
31 Cassazione civ., sez. I, 27 luglio 2004, n. 14094, cit.
pronuncia successiva, richiamando precedenti più e meno recenti32, ha riscontrato che nel negozio fiduciario concorrono due negozi, il patto di fiducia e il mandato senza rappresentanza, l’uno dispositivo e l’altro di natura obbligatoria, distinti ma collegati funzionalmente, ognuno dei quali produce gli effetti suoi propri; collegamento in forza del quale il primo, di carattere esterno, determina il trasferimento di diritti ovvero la insorgenza di situazioni giuridiche in capo al fiduciario, mentre il secondo, di carattere interno, crea
a carico di | quest’ultimo | l’obbligo di ritrasferire al |
fiduciante o | al terzo il | diritto. La sentenza precisa, |
inoltre, che | tali negozi | integrano una fattispecie di |
interposizione reale, cui è riconducibile il contratto atipico di intestazione fiduciaria di titoli azionari o di quote societarie, la quale consente all’interposto l’acquisto effettivo della titolarità, ma ad un tempo lo obbliga, nei confronti dell’interponente, in forza del mandato senza rappresentanza, alle condotte di natura gestoria oltre che a quelle traslative della piena titolarità, in esecuzione dei patti assunti all’interno del rapporto in questione33.
Tale natura del negozio fiduciario tuttavia non consente alla giurisprudenza di legittimità di identificare il rapporto gestorio con il mandato senza rappresentanza34 poiché si afferma che l’applicazione dell’art. 1706 c.c. snaturerebbe l’essenza stessa del pactum fiduciae insita
32 Cfr. Cassazione civ. 18 aprile 1957, n. 1331, Cass. 28 luglio 1958, n. 2724, Cass. 28 luglio 1988, n. 2724, Cass. 29 maggio 1993,
n. 6024, in Corriere giuridico 1993, 855 con nota di CARBONE; Cass.
28 settembre 1994, n. 7899 in xxx.xxxxxxxxx.xxxxxxxxx.xx
33 Cassazione civile, sez. I, 8 maggio 2009, n. 10590 in Società n. 5/2010, 544 con nota di F. DI MAIO; in senso conforme x. Xxxxxxxxxx xxx., xxx. XX, 0 maggio 2011, n. 10163 in xxx.xxxxxxxxx.xxxxxxxxx.xx
34 Cfr. Cassazione civ., sez. I, 10 maggio 2010, n. 11314 in www.italgiure.giustizia
nel differimento dell’effetto traslativo a favore del fiduciante effetto che, invece, nella disciplina del mandato senza rappresentanza, è automatico in quanto il mandante è legittimato ad esercitare azione di rivendica dei beni mobili acquistati per suo conto dal mandatario.
3.1 I problemi operativi sottesi alla dicotomia “fiducia romanistica” e fiducia germanistica”: allocazione del diritto di proprietà e legittimazione a disporre.
Le decisioni esaminate delineano un’oscillazione della giurisprudenza in tema di qualificazione e disciplina del negozio fiduciario che tende verso due perni fissi: i gruppi di regole operative discendenti dai principi statuiti dalle corti sono riconducibili ai nuclei concettuali di fiducia “romanistica” e fiducia “germanistica”.
Come precedentemente accennato, in accordo alla ricostruzione dogmatica conosciuta con il nome di fiducia romanistica si indica il negozio fiduciario caratterizzato da due distinti negozi l’uno dispositivo di carattere reale che consiste nella vera e propria attribuzione del diritto di proprietà dei beni da gestire al fiduciario, l’altro di natura obbligatoria esplicativo dello scopo fiduciario dell’attribuzione reale che giustifica così l’obbligazione di restituzione che sorge in capo al fiduciario stesso. La ricostruzione conosciuta invece come fiducia germanistica si caratterizza poiché individua il carattere peculiare dell’attribuzione effettuata fiduciae causa nel trasferimento al fiduciario della sola legittimazione a porre in essere rapporti giuridicamente validi riferiti ai beni oggetto del negozio; titolare del diritto di proprietà rimarrebbe
invece il fiduciante, essendo i beni riferibili pur sempre al suo patrimonio.
Le ripercussioni applicative delle due ricostruzioni sono di non poco momento ed involgono differenti problemi. In primo luogo, quando la giurisprudenza e la dottrina descrivono la fiducia c.d. romanistica qualificano la situazione giuridica soggettiva attiva riferita al fiduciario quale diritto di proprietà tout court in forza del quale il titolare può esercitare le azioni a difesa della proprietà e gestire nonché disporre dei beni con il solo limite, rappresentato dal pactum fiduciae, di adempiere l’obbligazione di ritrasferimento a favore del fiduciante e seguire le indicazioni gestorie dello stesso, perseguendo il suo interesse.
Quando, invece, si qualifica il rapporto quale riconducibile alla c.d. fiducia germanistica si opera una scissione tra proprietà formale e proprietà sostanziale essendo la prima riferibile al fiduciario e la seconda al fiduciante: il fiduciario cioè risulterebbe formalmente titolare dei beni, ma sostanzialmente la sua posizione giuridica sarebbe più vicina alla legittimazione che alla proprietà, non potendo il fiduciario esercitare una fetta rilevante delle prerogative riservate ad proprietario. Conseguentemente il fiduciante conserverebbe la legittimazione a disporre del bene fiduciariamente affidato35, essendo quest’ultimo pur sempre riconducibile al suo patrimonio, ed inoltre gli spetterebbe la legittimazione a proporre azione di rivendicazione.
Peraltro, ognuna delle due ricostruzioni teoriche sconta dei limiti derivanti o dalla rigidità di applicazione dello schema, che mal si confà alla complessità delle situazioni reali, oppure dalla base teorica riconducibile
35 Cfr. Cass. civ., sez. I, 14 ottobre 1997, n. 10031, cit.
ad ordinamenti stranieri che mal si conciliano con i principi e gli istituti dell’ordinamento interno36.
La fiducia romanistica pone rilevanti problemi che sorgono dalla sproporzione tra l’interesse perseguito e lo strumento giuridico utilizzato: il fiduciante per permettere al fiduciario una gestione efficace ed efficiente deve renderlo titolare dei beni; il fiduciario appare così proprietario di fronte ai terzi e tale situazione si presta a facili abusi: “per effetto dell’interposizione reale l’acquisto si realizza in capo all’interposto, tenuto a determinate condotte nei confronti del fiduciante, essendo le vicende del mandato irrilevanti per il terzo che ha rapporti solo con il mandatario”37.
Xxxxxxx, infatti, il fiduciario disponesse del bene si avrebbe una curiosa distonia poiché il disponente, pur essendo proprietario, violerebbe tuttavia le prerogative del fiduciante nei confronti del quale diverrebbe inadempiente rispetto all’obbligazione di ritrasferimento assunta con il pactum fiduciae.
Ciò che si vuol porre in evidenza è che le due ricostruzioni del negozio fiduciario applicate dalla giurisprudenza mal realizzano e forse non tengono in adeguata considerazione gli interessi perseguiti dalle parti. Il fiduciario proprietario nella fiducia “romanistica” infatti, può sì, nella sua qualità, porre in essere tutti i rapporti giuridici relativi ai beni
36 Esamineremo analiticamente i limiti applicativi di ciascuna delle due teorie nel Cap. II infra.
37 Cfr. Cass. Civ., sez. I, 8 maggio 2009, n. 10590 in Le Società, n. 5/2010, 543 secondo cui separare “(…) le vicende dei due negozi autonomi consente di tenere distinti gli effetti che derivano dalle relazioni esterne con la società partecipata, il cui regolamento non condizionato né influenzato dagli obblighi e diritti del patto fiduciario, i quali si esauriscono nell’ambito del rapporto interno.”
fiduciati al fine di realizzare il miglior interesse del fiduciante, ma quest’ultimo risulta eccessivamente esposto all’alea della spoliazione conseguente alla disposizione del diritto di proprietà: qualora il fiduciario alienasse il bene ad un terzo, di fronte a questo egli apparirebbe disponente legittimo poiché proprietario e, conseguentemente, la tutela delle ragioni del fiduciante sarebbe affidata a rimedi di natura risarcitoria. A fronte della disposizione del bene da parte del fiduciario il fiduciante potrebbe soltanto domandare al giudice il l’adempimento coattivo dell’obbligo di ritrasferimento, ma se l’acquisto si è già validamente perfezionato in capo al terzo, bisognerà ricorrere, per verificare se sia possibile un reale recupero del bene, alle regole poste dall’ordinamento in tema di circolazione dei diritti. Ciò comporterebbe diverse conseguenze discendenti dalla natura dei beni abusivamente alienati: se si tratta di beni immobili o mobili registrati ed il fiduciante abbia trascritto la domanda giudiziale di ritrasferimento proposta contro il fiduciario in data anteriore alla trascrizione dell’acquisto del terzo, il riconoscimento giudiziale del suo diritto prevarrà sull’acquisto del terzo in virtù dell’effetto prenotativo della trascrizione delle domande giudiziali di cui all’art. 2653 c.c.
Se si tratti di beni mobili, invece, prevarrà chi per primo ha conseguito il possesso del bene o in mancanza, colui il cui titolo abbia data certa anteriore ex artt. 1155 e 2914 comma 1 n. 4) c.c.
La fiducia germanistica, invece, alloca il diritto di proprietà in capo al fiduciante essendo, come visto, il fiduciario mero titolare formale e sostanzialmente legittimato a compiere gli atti gestori a cui lo abbia
autorizzato il fiduciante: tuttavia se una simile soluzione di scissione tra proprietà e legittimazione è applicabile ai titoli di credito che per loro stessa natura consentono una tale scissione38, lo stesso non può dirsi per beni di differente natura che mal si prestano ad una tale operazione.
4. Profili applicativi: la separazione patrimoniale.
Mentre nei rapporti tra fiduciante e fiduciario si profilano i problemi esposti, incertezze applicative si riscontrano anche nel rapporto con i terzi creditori sia del fiduciario che del fiduciante, come appena accennato. Ulteriore corollario dei due filoni di pensiero sopra descritti consiste nelle ripercussioni che l’attribuzione fiduciae causa ha all’interno del patrimonio delle parti: ci si chiede cioè se il bene oggetto del negozio fiduciario, formalmente intestato al gestore, sia o meno
38 Xxx ne evidenzia tale carattere nella disciplina codicistica loro dedicata SALAFIA, in Corriere giuridico, n. 7/1993, cit., secondo il quale “La predetta dicotomia trova il suggello normativo nell'art. 1992 c.c. che recepisce la differenza tra proprietà e legittimazione, affermando che il possessore del titolo, se
«legittimato» nelle forme prescritte, ha diritto di esigere l'adempimento della prestazione, cioè il credito indicato nel titolo. Xxxx'operato distacco, in questo settore tra proprietà e legittimazione si basa anche la c.d. circolazione irregolare che consente l'acquisto della sola legittimazione cartolare, ma non anche della proprietà del documento.” Quando però l'acquisto del possesso del titolo di credito avviene in buona fede (soggettiva), l'art. 1994 c.c. tutela l'acquirente stabilendo, in tal caso, che l'acquisto in buona fede del possesso del titolo di credito, in conformità alle norme che ne disciplinano la circolazione, non è soggetto a rivendicazione. E ciò vale non solo se la circolazione del titolo è al portatore, nel senso che il trasferimento avviene mediante la consegna e basta il possesso a legittimare il portatore del titolo all'esercizio del diritto menzionato nel titolo di credito, ma anche quando il titolo è all'ordine o nominativo. Per i titoli all'ordine basta ricordare la legittimazione del possessore del titolo in base ad una serie continua di girate (art. 2008 c.c.), anche in bianco (art. 2009, comma 2, c.c.), sicché la disposizione dell'art. 2011 c.c., secondo cui la girata trasferisce tutti i diritti inerenti al titolo viene ormai letta ed intesa nel senso che la girata, come il possesso, trasferisce solo la legittimazione ad esercitare i diritti di credito inerenti al titolo
riferibile al suo patrimonio. La risposta determina rilevanti conseguenze giuridiche perché, oltre a fondare la legittimazione delle azioni a difesa della proprietà ed allocare il potere di disposizione, è in grado di indirizzare la destinazione del patrimonio alla garanzia delle ragioni dei suoi creditori.
In applicazione dello schema della fiducia romanistica, infatti, il bene fiduciariamente affidato entra nel patrimonio del fiduciario dai cui creditori può essere aggredito. Tale conseguenza discende dalla natura reale dell’attribuzione che crea l’interposizione e dall’efficacia puramente interna del mandato di amministrazione fiduciaria: il fiduciario è formalmente titolare di un diritto di proprietà e pertanto i beni oggetto di tale diritto sono riferibili al suo patrimonio che, in applicazione del principio di responsabilità patrimoniale generale fissato dall’art. 2740 c.c., è destinato a soddisfare le ragioni dei suoi creditori. Da ciò consegue che i creditori personali del fiduciario potranno esecutivamente agire per la soddisfazione delle proprie ragioni creditorie non essendo il mandato di amministrazione fiduciaria loro opponibile. Il patto fiduciario che regola diritti ed obblighi del fiduciario avrebbe infatti natura soltanto obbligatoria e rilevanza interna con la conseguenza che risulterebbe inopponibile ai creditori pignoranti. La soluzione del conflitto sarebbe dunque affidata alla disciplina prevista dal c.c. sul mandato, della cui natura è partecipe il patto fiduciario. L’art. 1707 c.c. infatti pone in evidenza l’interesse del mandante per la cui soddisfazione il mandatario ha acquisito il bene al suo patrimonio: la titolarità soltanto strumentale all’adempimento dell’obbligo gestorio fa sì che il mandante possa
domandare il trasferimento giudiziale del bene con trascrizione della relativa domanda che, se trascritta prima del pignoramento ed accolta, prevarrebbe su quest’ultimo trattandosi di beni immobili o mobili registrati. Se, invece, oggetto dell’affidamento fiduciario siano beni mobili il mandante potrà opporre al creditore pignorante l’anteriorità della data certa del mandato rispetto alla data del pignoramento stesso. Operando quindi il pactum fiduciae soltanto sul piano interno, nel rapporto esterno con i terzi, l’opponibilità del diritto obbligatorio interno del fiduciante, è legata ed influenzata dalla natura dei beni che ne costituiscono oggetto.
Più complessa si prospetta l’analisi della posizione dei creditori del fiduciario investito di fiducia germanistica: seppure infatti un trasferimento di natura reale venga realizzato, tuttavia la proprietà formale acquisita dal fiduciario non permetterebbe di riferire il bene al suo patrimonio.
La sostanza delle cose tuttavia, non trovando forma in situazioni giuridiche ben individuate39, si presta ad un’incertezza applicativa che discende dalla titolarità formale di un ampio diritto quale è quello di proprietà opponibile erga omnes limitata da un patto di natura obbligatoria non conosciuto dai terzi.
La giurisprudenza di legittimità40 ha avuto modo di far emergere la “sostanza economica” dell’operazione realizzata per mezzo di negozio fiduciario rilevando che “l’amministrazione dei beni di terzi” determina la
39 Per comprendere le interconnessioni tra forma giuridica e materia economica si veda MENGONI, Forma giuridica e materia economica, in Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxx, Padova, 1965, vol. 3, pp. 1075- 1095.
40 Cfr. Cass. 10031/1997, cit.
“separazione” dei beni amministrati da quelli del patrimonio della società fiduciaria al punto che “il fiduciante, malgrado l’intestazione del bene alla società fiduciaria, ne conserva la proprietà effettiva ed è quindi in grado di disporre, senza alcun formale ritrasferimento di detto bene da parte della fiduciaria”. Con la locuzione separazione patrimoniale si designa un effetto giuridico per mezzo del quale, anche se si tratta di beni la cui titolarità è riconducibile ad un unico soggetto, essendo alcuni di essi gestiti nell’interesse altrui, gli stessi risultano destinati alla soddisfazione del di lui interesse e pertanto costituiscono patrimonio separato dal resto dei beni del gestore.
Più precisamente la giurisprudenza in diverse pronunce ha riconosciuto che il mandato dei fiducianti ad investire il danaro, anche quando rimetta alla discrezione professionale della società fiduciaria l'opzione tra le diverse ipotesi di investimento considerate nel mandato, è diretto a costituire patrimoni separati da quello della società stessa ed intangibili dai creditori di quest'ultima41. Con la conseguenza della non aggredibilità del patrimonio fiduciario da parte dei creditori della società fiduciaria42 in quanto il “principio (della separazione patrimoniale), peraltro, doveva ritenersi vigente nel nostro ordinamento, già prima dell'entrata in vigore di tali norme”43, ossia l'art. 17 della legge 2 gennaio 1991, n. 2, sulla disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare, che ha dichiarato applicabile alle società fiduciarie l'art. 8 della stessa legge. Tale disposizione normativa
41 Cfr. Cass. civ. sez. I, 21 maggio 1999, n. 4943, cit.
42 Cfr. Cass. civ., sez. I, 23 settembre 1997, n. 9355, cit.
43 Cfr. Cass. 10031/1997, cit.
stabiliva, tra l'altro, che il patrimonio conferito in gestione dai singoli clienti costituiva patrimonio "distinto", a tutti gli effetti, da quello della società intermediaria e da quello degli altri clienti, tanto che sul patrimonio conferito in gestione non erano ammesse azioni dei creditori della società o nell'interesse dei medesimi e le azioni dei creditori dei singoli clienti erano ammesse nei limiti del patrimonio di loro proprietà44.
Secondo il supremo collegio “la qualificazione del fiduciante quale "effettivo proprietario" dei titoli affidati in amministrazione fiduciaria rendeva palese l'intento di attribuire a detto soggetto una tutela di carattere reale e, azionabile in via diretta ed immediata nei confronti di ogni consociato”.
Il carattere che consente ai giudici di legittimità di individuare la sussistenza di tale separazione patrimoniale poggia su basi positive costituite dagli articoli 1770 e 1782 del c.c. i quali, nel disciplinare il contratto di deposito, sottolineano che il depositario, senza il consenso del depositante non possa esercitare la custodia in modo diverso da quello convenuto e, qualora i beni siano fungibili, il depositario ne acquista la proprietà soltanto se ha facoltà di servirsi delle stesse: il discrimine cioè per
44 E tale riconoscimento è stato successivamente ribadito dal d. x.xx. 23 luglio 1996, n. 415 che, nel dettare le nuove norme relative ai servizi d'investimento nel settore dei valori mobiliari, ha abrogato tali disposizioni (art. 66, secondo comma, lett. b), ma ha Confermato che la disciplina delle società fiduciarie continua ad essere caratterizzata, per tale aspetto, dai principi concernenti le società d'intermediazione (art. 60, quarto comma), in relazione alle quali si prevede ora che gli strumenti finanziari e lo stesso danaro dei singoli clienti, a qualunque titolo detenuti dalla impresa di investimento, nonché gli strumenti finanziari dei singoli clienti, a qualunque titolo dalla banca, "costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell'intermediario e da quello degli altri clienti" (art. 19, primo comma).
la riferibilità dei beni alla sfera patrimoniale di depositante o depositario è costituito dall’interesse che la custodia mira a soddisfare perché se il depositario può perseguire il proprio interesse i beni entrano nel suo patrimonio sorgendo di converso un’obbligazione di restituzione del tantundem eiusdem generis, mentre se egli custodisce nell’interesse e seguendo le direttive del depositante, quest’ultimo ne conserva la disponibilità nel proprio patrimonio.
In applicazione di tali principi i fiducianti sarebbero dotati di una tutela di carattere reale, azionabile in via diretta ed immediata nei confronti di ogni consociato e pertanto, andrebbero identificati come gli effettivi proprietari dei beni da loro affidati alla società fiduciaria ed a questa strumentalmente intestati: non entrando i titoli azionari a far parte del patrimonio della società fiduciaria (tanto da non essere aggredibili da parte dei creditori della stessa), la loro proprietà non può che appartenere effettivamente al fiduciante, spettando, alla società fiduciaria soltanto la legittimazione ad esercitare i diritti connessi alla partecipazione societaria. Peraltro la pronuncia del 1999 attiene ad una gestione dinamica45 ossia ad un’attività della società fiduciaria che la legittima a disporre dei beni gestiti: superando lo schema rigido f. romanistica e
f. germanistica, i fiducianti rimangono titolari dell’azione di rivendica dei beni ricavati dall’attività
45 Ritiene che “la duttilità del concetto di fiducia «statica» e fiducia «dinamica» e l'uso polisenso del termine «fiducia» significano non solo trasferimento di un bene con annesso pactum fiduciae , ovvero regolamentazione fiduciaria di una preesistente situazione giuridica che vede il fiduciario già titolare dell'immobile, ma identificano, oggi, anche i poteri di amministrazione o di gestione patrimoniale di valori mobiliari affidati ad una società fiduciaria.” Carbone, in Corriere giuridico, cit.
fiduciaria rilevando il permanere della gestione nell’interesse altrui che si palesa con la riferibilità dei beni e delle utilità al patrimonio dei singoli clienti e non a quello della fiduciaria46. Ciò se da un lato sottrae i beni oggetto del negozio fiduciario alla soddisfazione delle ragioni dei creditori personali del fiduciario, tuttavia ha due ordini di limiti: è riferibile soltanto ai beni mobili, a cui è limitata la disciplina del deposito, e non garantisce il fiduciante (di conseguenza anche il fiduciario) dall’aggressione cui i medesimi beni sarebbero passibili da parte dei creditori personali del fiduciante stesso.
4.1. Il negozio fiduciario.
Fino a questo momento abbiamo cercato di tratteggiare i confini entro cui la presente trattazione del negozio fiduciario si pone: primariamente ci si interessa del negozio fiduciario di cui sia parte una società fiduciaria costituita ed operante nel rispetto della normativa di settore, in secondo luogo si tenta di
46 Cfr. Cass. n. 4349/1999, cit: “Deve dunque concludersi nel senso che anche nella specie il mandato dei fiducianti ad investire il denaro (affidato nell'esclusivo interesse dei mandanti, con le conseguenze previste dal disposto dell'art. 1782 c.c., cui Cass. n. 10031 del 1997 si è richiamata per affermare la ammissibilità del deposito regolare di beni fungibili), pur essendo rimessa alla discrezione professionale della S.p.A. Fidimpresa la opzione tra le diverse ipotesi di investimento considerate nel mandato stesso, era diretto e idoneo a dar luogo a patrimoni separati da quello della società fiduciaria, intangibili dai creditori della stessa”; contra
v. Tribunale di Trani, 29 settembre 2003, in I Contratti n. 6/2004,
586 secondo la quale “l’amministrazione dinamica conferisce alla società fiduciaria ogni potere, compresi anche quelli di vendere i titoli stessi e di reinvestire i frutti percepiti, con il solo obbligo di restituire al fiduciante il risultato utile della gestione, in denaro o in titoli, con il relativo rendiconto: in questo caso i titoli ricevuti in amministrazione si confondono nel patrimonio della società fiduciaria, e questa assume su dio sé ogni diritto od obbligo derivante dalla gestione dei valori ad essa conferiti, compreso anche l’obbligo di integrare il versamento della quota sociale sottoscritta per conto del suo fiduciante”.
ricostruire la disciplina applicabile al rapporto partendo dalle ricostruzioni giurisprudenziali che però dimostrano un forte contrasto di opinioni nascente dalla pretesa inconciliabilità tra i caratteri della fiducia
c.d. romanistica e germanistica.
In particolare, la distinzione fa emergere una sostanziale differenziazione tra il contenuto della posizione giuridica di fiduciante e fiduciario nei due orientamenti che, trovano sì il loro punto massimo nell’allocazione del diritto di proprietà e potere di disposizione, con il corollario della separazione patrimoniale, ma hanno importanti ripercussioni, oltre che nella qualificazione della posizione giuridica soggettiva del fiduciario, anche su tutta una serie di regole che riguardano la responsabilità per le obbligazioni assunte e la legittimazione all’esercizio delle azioni nascenti dai rapporti giuridici posti in essere dal fiduciario nell’esecuzione dell’incarico.
L’analisi del problema deve partire dalla qualificazione offerta per il rapporto di natura obbligatoria posto in essere tra fiduciante e fiduciario: si tratta del momento obbligatorio del negozio fiduciario ossia del patto, strumentale all’attribuzione reale di titolarità, in virtù del quale il fiduciario si obbliga a gestire il bene secondo le indicazioni del fiduciante ed a ritrasferirgli il bene al termine o al venir meno della fiducia.
Nonostante che, tradizionalmente, soltanto nella ricostruzione germanistica della fiducia il rapporto tra fiduciante e fiduciario fosse qualificato mandato, la giurisprudenza è univoca nell’adoperare la medesima
qualificazione di mandato senza rappresentanza47 in entrambe le ipotesi ricostruttive del negozio fiduciario, tanto che una pronuncia di legittimità48, superando la “rigida alternativa tra fiducia romanistica e fiducia germanistica” fa espresso riferimento al “mandato dei fiducianti”.
Tuttavia, pur riconoscendo la natura essenzialmente gestoria dell’attività che il fiduciario è chiamato a compiere, dubbi sussistono circa la disciplina applicabile: le divergenze riguardano principalmente l’applicazione tout court dell’articolato codicistico disciplinante il mandato.
Intanto, prima conseguenza della qualificazione in termini di mandato è il riconoscimento di un agire nell’interesse altrui che è elemento tipico sia della causa del negozio fiduciario49 sia del mandato, insieme alla natura obbligatoria del vincolo50.
47 Ex multis Cass. n. 9355/1997, n. 4943/1999, n. 10590/2009, n. 11314/2010, 26750/2011, Trib. Di Trento, sent. 14 luglio 2011, Trib. Treviso, sez. III, sent. 27 ott. 2011, Tribunale di Milano, 13 febbraio 2008, sez. VIII, n. 1806.
48 Cfr. Cass. 4943/1999, cit.
49 Cfr. Cass. 23 giugno 1998, n. 6246: “al di là della qualificazione germanistica o romanistica della fiducia, comunque il fiduciario agisce quale mandatario per la parte di azioni ad esso intestate, riconducendosi quindi gli effetti della gestione al suo patrimonio”.
50 Ha negato che il patto fiduciario abbia natura meramente obbligatoria Xxxx. Sez. un., 10 dicembre 1984, n. 6478, in Foro it., 1985, I, 2325 ss.; in Vita notarile, 1985, 236 ss.; e in Dir. fall., 1985, II, 426 ss. In relazione alla quale e` stato precisato che essa “aveva specifico riferimento agli aspetti tributari dell’intestazione fiduciaria. Ma i principi in essa affermati - come e` stato chiarito da questa stessa Corte con una successiva sentenza con la quale si e` escluso, in un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di clausole testamentarie, che il contraddittorio dovesse essere integrato nei confronti di coloro che risultavano titolari dei beni caduti in successione in qualita` di “semplici fiduciari” (Xxxx. 1 luglio 1993, n. 7186) - avevano una portata più generale e ponevano le premesse per attribuire rilievo alla posizione del fiduciante anche nell’ambito dei rapporti interprivati e, in particolare, nei confronti dei creditori del fiduciario”. (Cass. 10031/1997).
Dalla natura personale del vincolo si fa discendere una rilevanza meramente interna del rapporto che lega fiduciario e fiduciante, risultando invece all’esterno che titolare del bene sia il fiduciario. La giurisprudenza costruisce l'interposizione reale51 come un comune denominatore idoneo a comprendere, sia il mandato senza rappresentanza, che il negozio fiduciario, senza tener conto che lo stesso concetto di interposizione di persona è oggetto di gravi contrasti dottrinari52.
Tuttavia, pur nell’identità della qualificazione del negozio quale rapporto di mandato, la disciplina applicabile risulta differente a seconda che si operi all’interno della fiducia romanistica o germanistica: molte pronunce, infatti, ritengono che la regola stabilita dall’art. 1706 c.c. sia inapplicabile alla costruzione romanistica della fiducia. Ciò ben si comprende se si considera che tale ricostruzione teorica si basa sulla titolarità del diritto di proprietà in capo
51 CARIOTA-FERRARA, I negozi giuridici, Padova, 1933, 72 ss.: “Ma l'interposizione reale può aver luogo, oltre che nella maniera propria della rappresentanza indiretta, (...) anche attraverso un'investitura diretta (...). In questa forma d'interposizione reale si presenta la figura della fiducia” cioè la trasmissione di un diritto con l'obbligo personale dell'acquirente di farne un uso determinato. Anche per XXXXXXX, Il mandato ad alienare, Padova, 1947, 72, si identifica interposizione reale e negozio fiduciario.
52 Cfr. XXXXXXX, Pactum fiduciae ed interposizione reale, in Corriere giuridico, n. 7/1993, p. 855 il quale rileva che “basta ricordare che per alcuni la figura dell'interposizione di persona appare privo di un valore specifico e concreto mentre per altri, sotto il comune denominatore dell'interposizione di persona si superano addirittura le differenze tra interposizione reale e fittizia o al più, secondo la concezione classica, nell'ambito dell'interposizione reale possono rientrare, con le dovute, ma non sempre precisate differenze, sia il mandato senza rappresentanza che il negozio fiduciario”. V. anche CAMPAGNA, Il problema dell'interpretazione di persona, Milano, 1962, 2 ss.; XXXXXXXXX, Le disposizioni fiduciarie nell'art. 627 c.c. Contributo allo studio dell'interpretazione di persona, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1955, 1069 e ss., specie 1084; cfr. pure SCARDULLA, Interposizione di persona, in Encl. dir., Milano, 1972, vol. XXII, 146 e ss.
al fiduciario che, pertanto, non potrebbe che acquisire al proprio patrimonio le utilità ed i beni acquistati in esecuzione della gestione dinamica fiduciaria.
In una recente pronuncia la Corte53 ha statuito che la natura del patto fiduciario, pur assimilabile ad un mandato senza rappresentanza, tuttavia non si identifica con esso: “proprio l’applicabilità al pactum fiduciae dell’art. 1706 c.c. snaturerebbe l’essenza stessa del patto, per definizione finalizzato al differimento del trasferimento della proprietà al fiduciante solo allo spirare dell’effetto del pactum fiduciae”. Si ritiene fuorviante l’accostamento tra negozio fiduciario e mandato poiché nel contesto del rapporto fiduciario non vi sarebbe spazio alcuno per affermare che l’acquisto operato dal fiduciario abbia prodotto effetti reali immediati nel patrimonio del fiduciante54. Anche la giurisprudenza di merito, qualificando il contratto fiduciario quale combinazione di due negozi collegati
53 Cfr. Cass. 10 maggio 2010, n. 11314, cit. secondo cui “nel caso concreto il negozio fiduciario si qualifica come una combinazione di due fattispecie negoziali collegate, l’una costituita dal negozio reale traslativo, a carattere esterno, realmente voluto ed avente efficacia verso i terzi e l’altra avente carattere interno ed effetti meramente obbligatori, diretta a modificare il risultato finale del negozio esterno mediante l’obbligo assunto dal fiduciario di ritrasferire al fiduciante il bene o il diritto che ha formato oggetto dell’acquisto”.
54 Cfr. Cass. 10 maggio 2010, n. 11314, cit.: “L'accostamento tra negozio fiduciario e mandato, in un caso come questo, risulta perciò fuorviante (onde, sul punto, anche la motivazione in diritto dell'impugnata sentenza deve essere rettificata). Qui, infatti, il negozio fiduciario si qualifica come una combinazione di due fattispecie negoziali collegate, l'una costituita da un negozio reale traslativo, a carattere esterno, realmente voluto ed avente efficacia verso i terzi, e l'altra (il vero e proprio pactum fiduciae), avente carattere interno ed effetti meramente obbligatori, diretta a modificare il risultato finale del negozio esterno mediante l'obbligo assunto dal fiduciario di ritrasferire al fiduciante il bene o il diritto che ha formato oggetto dell'acquisto. E' dunque chiaro che in un simile contesto negoziale non può esservi spazio alcuno per ipotizzare che - come pretendono i ricorrenti - l'acquisto operato dal fiduciante abbia prodotto effetti reali immediati nel patrimonio del fiduciario”.
l’uno ad effetti reali di trasferimento della proprietà/titolarità con efficacia esterna, l’altro ad effetti obbligatori con effetti interni diretto a modificare il risultato finale, ritiene che realizzandosi una interposizione reale di persona in forza del mandato senza rappresentanza, poiché si tratta di fiducia romanistica, non si applica l’art. 1706 “poiché l’acquisto immediato del bene mobile in capo al mandante- fiduciante si pone in contrasto con la causa stessa del patto fiduciario55”.
Diverso orientamento abbracciano quelle pronunce che invece si avvalgono dello schema riconducibile alla c.d. fiducia germanistica poiché qualificando il rapporto come interposizione meramente formale56, lo inquadrano nell'ambito del mandato senza rappresentanza, per effetto del quale (art. 1706 c.c.) gli acquisti di beni mobili non registrati eseguiti dal mandatario senza rappresentanza entrano automaticamente nel patrimonio del mandante57.
Applicazione non univoca ha anche l’art. 1705 comma 2
c.c. nella parte in cui prevede che il mandatario è l’unico legittimato ad esperire le azioni contrattuali relative ai rapporti giuridici da lui stesso posti in essere, essendo il mandante legittimato soltanto a sostituirsi al mandatario per esercitare i diritti di credito. In un caso del 2008, infatti, il tribunale di Modena ha affermato che a fronte dell’acquisto da parte del fiduciario, in proprio nome ma per conto del fiduciante, di alcune azioni, il fiduciante non è
55 Cfr. Trib. Trento sent. 14 lug. 2011, in Plurisonline.
56 Cfr. Cass. 10031/1997, cit.; Cass. 9355/1997, cit.; Cass. 4943/1999, cit.; Trib. Lecce Sez. commerciale, ord. 18 mar. 2008 in Le Società, n. 6/2009, 748; Cass. 17468/2011; Cass. 26750/2011; Trib. Milano, 8 febbraio 2013, sent. n. 1386.
57 Cfr. Cass. n. 9355/1997, cit.
legittimato a proporre azione di nullità-annullamento del contratto di acquisto titoli, nonostante la legge 1966/39 espressamente disponga che il fiduciante sia il proprietario effettivo dei beni acquistati per suo conto dalla fiduciaria58. Dunque il tribunale, in applicazione del comma 2 dell’art. 1705 c.c. dichiara la carenza di legittimazione attiva del fiduciante a far valere diritti diversi dal diritto di credito acquistato dal fiduciario rimasto inerte. Tuttavia in una recentissima pronuncia il tribunale di Milano ha aderito all’indirizzo della Cassazione affermato nelle sentenze 10031/1997 e 9355/1997 disponendo che la titolarità (in capo alla fiduciaria) delle azioni della società risultante dalla fusione rappresenta solo il presupposto per la partecipazione al concambio, mentre il danno conseguente alla lamentata incongruenza del relativo rapporto di concambio non investe le azioni in parola, ma piuttosto il patrimonio personale del soggetto avente diritto all’assegnazione; pertanto “pare indubitabile che proprio alla titolarità del patrimonio leso vada logicamente ricondotta la legittimazione all’esercizio della relativa azione risarcitoria” che spetta conseguentemente ai fiducianti59.
La giurisprudenza di legittimità tuttavia è oscillante anche sulla piena applicabilità dell’art. 1705 comma 1
c.c. poiché, talvolta, ha riconosciuto che, a fronte di un dato formale (sottoscrizione di quota sociale) deponente nel senso dell'indicazione della società fiduciaria come parte debitrice, il mandato fiduciario con data certa, in applicazione dei principi disposti
58 Cfr. Tribunale di Modena Sez. I, 14 febr. 2008, n. 249 in Le Società, n. 6/2009, 746.
59 Tribunale di Milano, 8 febbraio 2013, sent. n. 1386, inedita.
dalla giurisprudenza di legittimità60, comporta che il reale debitore dei 7/10 non versati inerenti alle azioni sottoscritte dalla fiduciaria, è il fiduciante61; mentre tal’altra ha statuito che a prescindere dai rapporti interni con il fiduciante e, quindi, dalla natura germanistica o romanistica del "pactum fiduciae", una società fiduciaria è nei rapporti esterni, e quindi anche verso la società di cui diventa socio, un mandatario senza rappresentanza che risponde direttamente delle obbligazioni che come tale contragga, anche "ex lege" - nel caso specifico ex art. 2356 c.c. - salvo il diritto di rivalersi verso il suo fiduciante62.
4.2. La società fiduciaria.
Una volta enunciati i problemi che si riscontrano nel tentativo di individuare un’univoca disciplina applicabile al negozio fiduciario il tentativo è quello di porsi, nell’analisi delle pronunce giurisprudenziali, in una prospettiva differente che valorizzi la presenza della società fiduciaria quale parte del negozio e la natura dei beni gestiti.
In effetti le sentenze che hanno deciso casi che presentavano un rapporto negoziale con queste caratteristiche hanno valorizzato le qualità del soggetto e la regolamentazione cui lo stesso deve adeguarsi nello svolgimento dell’attività per trarne alcuni principi.
60 Cfr. Cass. Sez. I, 23 settembre 1997, n. 9355 e Cass. Sez. I, 14 ottobre 1997, n. 10031, cit., secondo cui la società fiduciaria non riveste la qualità di proprietaria, nel senso che le fiduciarie non sono proprietarie dei titoli affidati in gestione.
61 Così Cass. sez. I, 22 agosto 2011, n. 17468 in xxx.xxxxxxxxx.xxxxxxxxx.xx
62 Tribunale di Milano, 13 febbraio 2008, sez. VIII, n. 1806 in Plurisonline; in senso conforme v. Trib. Treviso, sez. III, sent. 27 ott. 2011 in Plurisonline.
Punto di partenza è la considerazione che la società fiduciaria per definizione amministra beni non propri, cioè non riveste, anche nei confronti dei terzi, la qualità di proprietaria dei beni amministrati. Infatti anche alcune disposizioni normative depongono esplicitamente in tal senso come nello specifico settore dei titoli azionari, per i quali l'art. 1 x.x. xxx x.x. 00.0.0000 x. 000, ove dispone che "le società fiduciarie che abbiano intestato al proprio nome titoli azionari appartenenti a terzi sono tenute a dichiarare le generalità degli effettivi proprietari dei titoli stessi", esclude chiaramente che, nel caso di intestazione fiduciaria di titoli azionari, la società fiduciaria possa essere considerata proprietaria dei titoli stessi.
Ancora più chiaramente, la disciplina delle società di intermediazione mobiliare di cui alla legge 2.1.1991 n. 1 stabilisce all'art. 8 lett. f)63 (applicabile alle società fiduciarie in virtù del rinvio operato dall'art.
17) che "i valori mobiliari e le somme oggetto della gestione devono essere depositati in conti rubricati come di gestione per conto di terzi".
Risulterebbe quindi evidente che le società fiduciarie non sono istituzionalmente proprietarie dei titoli azionari loro affidati in gestione: e ciò in virtù della disciplina legislativa che le regola64, e quindi manifestamente anche nei confronti dei terzi.
63 Applicabile, ratione temporis, al caso concreto esaminato dalla Corte di Cassazione.
64 Cass. 10031/1997, cit. tuttavia precisava che “detto principio, peraltro, doveva ritenersi vigente nel nostro ordinamento, già prima dell'entrata in vigore di tali norme. Invero, la qualificazione del fiduciante quale "effettivo proprietario" dei titoli affidati in amministrazione fiduciaria rendeva palese l'intento di attribuire a detto soggetto una tutela di carattere reale e, azionabile in via diretta ed immediata nei confronti di ogni consociato”.
L'espresso riconoscimento della "separazione" dei beni conferiti dai fiducianti rispetto al patrimonio della fiduciaria è stato effettuato per la prima volta dal legislatore con l'art. 17 della legge 2 gennaio 1991, n. 2, sulla disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare, che ha dichiarato applicabile a tali società l'art. 8 della stessa legge, con il quale si stabiliva, tra l'altro: che il patrimonio conferito in gestione dai singoli clienti costituiva patrimonio "distinto", a tutti gli effetti, da quello della società intermediaria e da quello degli altri clienti; che sul patrimonio conferito in gestione non erano ammesse azioni dei creditori della società o nell'interesse dei medesimi; che, per converso, le azioni dei creditori dei singoli clienti erano ammesse nei limiti del patrimonio di loro proprietà.
E tale riconoscimento è stato successivamente ribadito dal d. lgs. 23 luglio 1996, n. 41565 che, nel dettare le nuove norme relative ai servizi d'investimento nel settore dei valori mobiliari, ha abrogato tali disposizioni (art. 66, secondo comma, lett. b), ma ha confermato che la disciplina delle società fiduciarie continua ad essere caratterizzata, per tale aspetto, dai principi concernenti le società d'intermediazione (art. 60, quarto comma), in relazione alle quali si prevede ora che gli strumenti finanziari e lo stesso danaro dei singoli clienti, a qualunque titolo detenuti dalla impresa di investimento, nonché gli strumenti finanziari dei singoli clienti, a qualunque titolo dalla banca, "costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell'intermediario e da quello degli altri clienti" (art. 19, primo comma). Detto principio,
65 Di recepimento della Direttiva CEE 93/22 relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari.
peraltro, doveva ritenersi vigente nel nostro ordinamento, già prima dell'entrata in vigore di tali norme66, in quanto la qualificazione del fiduciante quale "effettivo proprietario" dei titoli affidati in amministrazione fiduciaria rendeva palese l'intento di attribuire a detto soggetto una tutela di carattere reale e, azionabile in via diretta ed immediata nei confronti di ogni consociato.
La Suprema Corte aveva già avuto occasione di statuire che "il proprium del rapporto" intercorrente tra la società fiduciaria e i fiducianti "consiste nell'intestazione di.... (beni) appartenenti effettivamente ad altri proprietari" e che, pertanto, la proprietà della società fiduciaria, pur non potendo dirsi "fittizia" (perché effettivamente voluta, e appunto per questo estrinsecantesi in obblighi di gestione e di garanzia degli "effettivi titolari"), ha carattere "formale"67. E, muovendo da tale premessa, aveva negato che il patto fiduciario avesse "carattere meramente obbligatorio", osservando che la discrepanza del mezzo usato rispetto all'intento pratico perseguito dalla parti (intestazione, anziché mandato ad amministrare), non
66 Le società fiduciarie dovevano già allora depositare i valori mobiliari e le disponibilità liquide dei fiducianti presso aziende di credito in conti rubricati come di "amministrazione fiduciaria", sottratti ad ogni possibilità di compensazione (Circ. Min. Ind. 5 maggio 1989, n. 3188-C, (G.U. n. 111 del 15 maggio 1989), paragrafi 17.4, 17.5) e istituire, all'atto della notifica del decreto di autorizzazione, un "Libro dei fiducianti", con l'annotazione delle generalità dei fiducianti, delle somme di denaro e dei valori mobiliari conferiti con il rispettivo valore di carico (ivi, paragrafo 18). E che da non diversi principi, in base a quanto stabilito dalle norme valutarie allora vigenti (le quali non a caso qualificavano il fiduciante come "effettivo proprietario": art. 20,
D.M. 12 marzo 1981, GRU., S.O., n. 82 del 24 marzo 1981), era regolata l'intestazione al nome di società fiduciarie di titoli emessi o pagabili all'estero.
67 Così Cass. civ., sez. un., 10 dicembre 1984, n. 6478 in Foro it., 1985, I, 2325 ss.; in Vita notarile, 1985, 236 ss.; e in Dir. fall., 1985, II, 426 ss.
assume rilevanza sul piano giuridico, in quanto il fiduciante, malgrado l'intestazione del bene alla società fiduciaria, ne conserva la proprietà "effettiva" ed è quindi in grado di disporne, senza necessità di alcun formale "ritrasferimento" di detto bene da parte della fiduciaria68.
La considerazione che la società fiduciaria fisiologicamente amministra beni non propri, dei quali non riveste la qualità di proprietaria è un assunto che trova conforto nei compiti che le sono istituzionalmente assegnati (l. 1966/1939) e riscontro nella giurisprudenza di legittimità che sul punto, come emerge dalle pronunce appena esaminate, si è già espressa nel senso che le fiduciarie non sono proprietarie dei titoli loro affidati in gestione e che gli effettivi proprietari dei beni mobili acquisiti dalla società fiduciaria sono i fiducianti69.
Da ciò consegue la non aggredibilità del patrimonio fiduciario da parte dei creditori della società fiduciaria sulla base del rilievo che i titoli azionari fiduciariamente intestati non entrano a far parte del patrimonio della società fiduciaria, tanto da essere sottratti alla soddisfazione dei creditori della stessa: la proprietà dei titoli in questione non può che appartenere effettivamente al fiduciante, spettando alla società fiduciaria soltanto la legittimazione ad esercitare i diritti connessi alla partecipazione
68 Cfr. Cass. 14 ottobre 1997, n. 10031, cit.
69 Cfr. Cass. Civ., sez. I, 21 maggio 1999, n. 4943, cit.; contra
Tribunale di Trani, 29 settembre 2003, in I Contratti n. 6/2004, p.
586 il quale afferma che nel caso di amministrazione dinamica “i titoli ricevuti in amministrazione si confondono nel patrimonio della società fiduciaria, e questa assume su di sé ogni diritto od obbligo derivante dalla gestione dei valori ad essa conferiti, compreso anche l’obbligo di integrare il versamento della quota sociale sottoscritta per conto del suo fiduciante”.
societaria70. Giurisprudenza di merito si spinge oltre affermando che “si tratta di effetti che non sono conseguibili dal fiduciario persona fisica (con il quale si dà luogo a negozio fiduciario, ad effetti totalmente difformi, anzi contrapposti) e neppure in virtù di contratto di mandato”71 e si aggiunge che l’agire in nome proprio ma per conto del fiduciante, caratteristica precipua delle società fiduciarie72, “ben può configurarsi, di fatto, quando non vi sia trapasso formale di titolarità dei beni, cioè la c.d. intestazione fiduciaira73”.
Ora, tutte le regole applicative che la giurisprudenza ha individuato quale conseguenza della disciplina e dell’attività riservata alle società fiduciarie si inquadrano all’interno della concezione germanistica della fiducia poiché riconoscono alla fiduciaria una proprietà solo formale che si sostanzia in una legittimazione a porre in essere gli atti giuridici in esecuzione dell’incarico e riconducono la titolarità ed il potere di disporre di tali beni al fiduciante, al cui patrimonio gli stessi sarebbero riferibili e, di conseguenza, inaggredibili da parte dei creditori della società fiduciaria, in quanto costituenti un patrimonio separato da quello della stessa. La funzione istituzionale riservata alle società fiduciarie conduce anche la giurisprudenza di merito a ritenere che “non vi sono ostacoli a che una società di capitali fiduciaria assuma la veste di accomandante in una s.a.s., atteso che
70 Cfr. Cass. 23 settembre 1997, n. 9355, cit.
71 Cfr. Tribunale di Milano, sez. pen, 3 ottobre 2006, in Le società
n. 8/2007, 993.
72 Così espressamente l’art. 17 l. n. 1/1991.
73 Sic Xxxxx x’Xxxxxxx xx Xxxxxx, 00 gennaio 1994 citata da F. Di Maio in nota a Tribunale di Milano, sez. pen., 3 ottobre 2006, in Le società, n. 8/2007, 996.
il rapporto giuridico intercorrente tra la società fiduciaria e le persone fisiche dei fiducianti è da ricondurre alla c.d. fiducia germanistica, la quale non comporta (a differenza della romanistica “fiducia cum amico”) il trasferimento della piena proprietà dei beni al fiduciario ed il sorgere in capo a questi di un semplice rapporto obbligatorio interno col fiduciante in ordine alla destinazione ed alla gestione dei beni, bensì determina il permanere della proprietà in capo al fiduciante, verificandosi una scissione tra la titolarità del diritto (che permane al fiduciante) e legittimazione all’esercizio di esso (che trapassa alla società fiduciaria)74”.
Dunque, prima facie, sembrerebbe che la valorizzazione delle qualità del soggetto in termini di disciplina passi necessariamente per l’inquadramento del negozio fiduciario nella cornice della fiducia germanistica. Tuttavia, ad uno sguardo un po’ più approfondito non può sfuggire che, talvolta, anche quando il negozio sia stato qualificato alla stregua di una fiducia romanistica, la qualità soggettiva di una parte istituzionalmente deputata ad amministrare beni altrui, abbia avuto il suo peso. Infatti in una pronuncia non troppo risalente75 i giudici di legittimità da un lato condividono la tesi dell’impugnata sentenza d’appello, riconducendo il contratto tra fiducianti e società fiduciaria nell’ambito del negozio fiduciario secondo il modello della c.d. fiducia romanistica, comportante l’effettivo trasferimento dei beni fiduciati, con effetti reali dell’intestazione fiduciaria; ma, dall’altro, ha
74 Cfr. App. Torino 20.07.98, in Nuova giur. civ. commentata, 1999, I, 135 con nota di XXXXX.
75 Cass. Civ., sez. I, 21 maggio 1999, n. 4943, cit.
riconosciuto che quando il carattere professionale dell’attività di intermediazione svolta dalle società fiduciarie per conto altrui nel prescritto regime di pubblicità “elimina il rischio che i terzi siano indotti a fare credito ad esse” (…) si ha una “deroga al principio generale dell’efficacia meramente obbligatoria del contratto di mandato”76.
In ultimo, il carattere soggettivo della parte contrattuale, ha anche indotto i giudici di legittimità a riconoscere che titolare dell’interesse sostanziale sotteso alla sottoscrizione di capitale sociale è il fiduciante, in quanto tale unico obbligato a sopportarne gli oneri; più precisamente il supremo collegio ritiene di condividere la tesi espressa dalla ricorrente secondo cui la società fiduciaria fisiologicamente amministra beni non propri, dei quali non riveste la qualità di proprietaria, “assunto che trova conforto nei compiti che le sono istituzionalmente assegnati (L. n. 1966 del 1939), ed ulteriore riscontro nella giurisprudenza di questa Corte, che sul punto si è già espressa nel senso che le fiduciarie non sono proprietarie dei titoli affidati in gestione (C. 97/10031, 97/9355), che la relativa attività può essere assimilata a quella del mandatario senza rappresentanza, con il conseguente effetto dell'applicabilità dell'art. 1705 c.c., comma 2 (C. 98/6246), che gli effettivi proprietari dei beni mobili acquisiti dalla società fiduciaria sono i
76 La pronuncia appena menzionata, infatti, ritiene conciliabile la costruzione romanistica della fiducia con l’applicazione della disciplina del mandato senza rappresentanza di cui agli artt. 1705- 1707 c.c., ritenendo che “con il disposto dell’art. 1706 c.c. il legislatore ha inteso rafforzare la posizione del mandante dando prevalenza alla pertinenza sostanziale dell’affare e, rispetto al profilo formale della mancata spendita del nome, ha dato rilevanza preminente all’interesse appunto del mandante cui ha attribuito la rivendica delle cose mobili non registrate acquistate per suo conto, ma in nome proprio, dal mandatario”.
fiducianti (C. 99/4943)77”. Tuttavia la Corte non può applicare detti principi al caso concreto poiché manca la prova in atti del negozio fiduciario avente data certa anteriore alla sottoscrizione e riconosce che, il presupposto che avrebbe consentito la concreta applicazione dei principi invocati dalla ricorrente, è la dimostrazione dell'accordo negoziale fra fiduciante e fiduciario la quale risulta indispensabile, oltre che per sollevare quest'ultimo da ogni eventuale responsabilità, per la puntuale identificazione dell'effettivo debitore. In ultimo bisogna rilevare che l’orientamento propenso a riconoscere ed applicare la fiducia germanistica opera una distinzione basata sulla natura dei beni che costituiscono oggetto dell’affidamento fiduciario78: si ritiene ammissibile nel nostro ordinamento la coesistenza in capo a diversi soggetti della proprietà dei titoli e della legittimazione ad esercitare il relativo diritto di proprietà in tema di azioni e di valori mobiliari79, restando invece circoscritta al settore della proprietà immobiliare l’inscindibilità tra la titolarità del diritto di proprietà del bene e la legittimazione a esercitarlo, tipica del negozio fiduciario romanistico80.
77 Cass. 2011 n. 17468, cit.
78 Sull’intestazione fiduciaria di azioni e quote si veda in giurisprudenza: Xxxx. 16 novembre 2001, in Giurisprudenza italiana, 2002, 780; Cass. 27 novembre 1999, n. 13261, in Mass. Giust. Civ. 1999, 2370; Cass. 23 giugno 1998, I, 2778.
79 Cfr., tra le altre, Cass. 10031/1997, Cass. 9355/1997, Corte d’Appello Torino 20 luglio 1998, cit. e Tribunale di Trani, 29 settembre 2003, in I Contratti n. 6/2004, 586 con nota di CAPILLI, ove si sottolinea che “allo stato attuale della legislazione una tale separazione non è invece configurabile nell’ambito dei diritti reali immobiliari in cui, in relazione al principio della tipicità, permane l’inscindibilità tra titolarità del diritto di proprietà del bene e la legittimazione a esercitarlo, che è tipica del negozio fiduciario romanistico”.
80 Per quella giurisprudenza che nega qualunque ammissibilità nel nostro ordinamento alla fiducia germanistica vedi Tribunale di Como,
23 febbraio, 1994 e Corte d’Appello Milano, 28 marzo 1997, in Banca borsa e titoli di credito, 1998, II, 409.
CAPITOLO II
1. Interessi rilevanti del rapporto tra fiduciario e fiduciante e nei rapporti con i rispettivi creditori; 2. Problemi teorici connessi all’ammissibilità del negozio fiduciario e conseguente qualificazione; 3. Negozio fiduciario e mandato ad acquistare: un indice normativo della fiducia? 4. Gestione di patrimoni altrui nel codice civile, nella legislazione speciale primaria e secondaria; 5. L’amministrazione del patrimonio altrui e nell’interesse altrui: principi e regole operative.
1. Problemi connessi al negozio fiduciario nella disciplina del rapporto tra fiduciario e fiduciante nonché con i rispettivi creditori.
L’incertezza interpretativa che emerge dal quadro delle pronunce giurisprudenziali appena esaminate, trova riscontro nelle elaborazioni dottrinarie che hanno cercato di isolare e qualificare la figura del negozio fiduciario.
L’analisi operata nelle pagine che seguono mira a porre in luce i limiti dei tentativi ricostruttivi del negozio in esame che, riducendo il momento obbligatorio della qualificazione del negozio fiduciario al mandato, si rivelano insoddisfacenti in quanto non sono in grado di garantire il fiduciante né dagli abusi del fiduciario, né dalle eventuali azioni esecutive che i creditori personali del fiduciario stesso possano esercitare sui beni oggetto del negozio fiduciario.
Prima di procedere all’analisi dettagliata degli strumenti emersi grazie all’elaborazione dottrinale occorre esplicitare i problemi teorici e pratici che la fattispecie negozio fiduciario pone.
In primo luogo, da un punto di vista teorico, è emerso il problema dell’ammissibilità stessa di un tale negozio traslativo atipico in grado, ex art. 1376 c.c., di
trasferire la proprietà al di fuori delle ipotesi e degli scopi tipici previsti dai singoli contratti disciplinati dal codice civile: corollario di tale problema è costituito dalla individuazione ed isolamento di una causa meritevole (ex art. 1322 comma 2 c.c.) ed idonea a supportare il trasferimento o la gestione del fiduciario, nonché dall’ammissibilità di quella che è stata definita la “proprietà fiduciaria” quale forma di diritto dominicale conformato e temporaneo, che potrebbe porsi in contrasto con il principio di ordine pubblico del numerus clausus dei diritti reali ammessi dal nostro ordinamento. Da un punto di vista pratico vengono in rilievo profili di disciplina che regolano, colorano ed orientano il momento dinamico dell’operazione: essi riguardano le due macroaree della gestione e dell’opponibilità.
Più precisamente l’interesse primario del fiduciante è quello a che la gestione da parte della fiduciaria sia svolta in conformità alle direttive impartite, diligentemente e nel perseguimento del suo miglior interesse; la tutela dello stesso passa attraverso l’effettività dei poteri di controllo che il fiduciante ha nei confronti del fiduciario, nonché attraverso l’individuazione di strumenti che consentano allo stesso di tutelarsi dagli abusi del gestore fiduciario. Detti profili problematici, che riguardano i rapporti tra fiduciante e fiduciario, ineriscono al rapporto gestorio e vanno risolti attraverso l’analisi della disciplina che il legislatore stesso prevede per le ipotesi tipizzate di gestione di patrimoni altrui che indicano ratio e limiti del potere gestorio e della responsabilità del gestore stesso, sia per le obbligazioni assunte nell’esecuzione dell’incarico sia per la diligenza impiegata nello svolgimento dell’attività.
Quanto al fiduciario egli ha interesse a che la propria responsabilità per le obbligazioni assunte nell’esecuzione dell’incarico sia limitata alla provvista fornitagli dal fiduciante, essendo necessaria ad un congruo calcolo del rischio d’impresa, la certezza in ordine alla responsabilità da sopportare. Tali profili di disciplina si potranno ricavare dalla regolamentazione prevista dal legislatore per la gestione di patrimoni separati: individuando la ratio delle regole previste per le diverse ipotesi di patrimoni separati si potrà stabilire se delle obbligazioni assunte nell’esecuzione della gestione risponda soltanto il patrimonio separato, oppure se un ulteriore patrimonio sia posto a garanzia della soddisfazione di tali obbligazioni e se tale patrimonio sia quello del gestore oppure del proprietario quando diverso dal gestore.
Un secondo gruppo di problemi riguarda i rapporti tra il fiduciante, i beni oggetto del negozio fiduciario ed i creditori tanto del fiduciario quanto del fiduciante. Nei rapporti con i creditori del fiduciario l’interesse del fiduciante che emerge con forza è quello di impedire che i beni affidati al gestore possano costituire oggetto di azioni esecutive da questi promosse. Gli interpreti hanno affidato la soluzione all’applicazione della disciplina prevista per l’opponibilità ai creditori del mandatario degli acquisti dallo stesso effettuati nell’interesse del mandante: tuttavia così argomentando la tutela del fiduciante sarebbe subordinata all’anteriorità, rispetto al pignoramento da parte dei creditori del fiduciario, della trascrizione della domanda di ritrasferimento se si tratta di beni immobili, oppure all’anteriorità della data certa del mandato se lo stesso ha ad oggetto beni mobili (art. 1707 c.c.).
Altro profilo di tutela e disciplina riguarda la possibilità che il fiduciante sottragga alla garanzia patrimoniale generale costituita dal suo intero patrimonio i beni oggetto del negozio fiduciario che siano destinati alla realizzazione di uno scopo meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Lo strumento che potrebbe realizzare tale interesse è la trascrizione dell’atto di destinazione ex art. 2645ter
c.c. la cui utilizzazione tuttavia non può dirsi generalizzata, bensì limitata dalla qualità dell’interesse perseguito.
Infine emergono i problemi attraversati dalla disciplina dell’art. 1376 c.c. che si legano alla realizzazione di una fiducia “segreta” oppure “palese”. Avuto riguardo al fatto che il passaggio della proprietà del bene gestito al fiduciario certamente crea uno schermo che realizza l’interesse del fiduciante di occultare l’esatta conformazione del proprio patrimonio, allo stesso tempo lo espone agli abusi del fiduciario infedele che alieni i beni a terzi non in conformità del regolamento gestorio. Diversamente l’affidamento in gestione di beni realizzato senza il trasferimento della proprietà alla fiduciaria limita ontologicamente i poteri di quest’ultima, ma realizza la persistenza dell’evidenza della titolarità del bene in capo al fiduciario. Per i beni mobili rappresentati da azioni societarie si vedrà come pur non essendo trasferita la proprietà delle partecipazioni alla società fiduciaria, partecipazioni che pertanto costituiscono parte del patrimonio del fiduciante aggredibile da tutti i suoi creditori ex art. 2740 c.c., l’iscrizione nei libri sociali della fiduciaria, consente l’anonimato nei limiti in cui ciò non si ponga in
contrasto con interessi generali (di controllo o fiscali).
2. Problemi teorici connessi all’ammissibilità del negozio fiduciario e conseguente qualificazione.
L’idea stessa del negozio fiduciario elaborata dai giuristi moderni nasce dalla rilevanza ed utilizzazione della figura della fiducia nella tradizione giuridica romanistica, germanistica ed anglosassone. Bisogna comunque tener presente che, essendo il negozio fiduciario una figura di costruzione dottrinale ed, in parte, giurisprudenziale, la stessa deve essere verificata alla stregua dei principi ordinamentali vigenti in materia negoziale81.
Più precisamente il diritto romano conosceva nell’uso giurisprudenziale il fenomeno della fiducia82 nelle due forme della fiducia cum amico e fiducia cum creditore. Pur nella differenza degli scopi perseguiti per il mezzo della fiducia cum amico e cum creditore, laddove nella prima lo scopo è quello di consentire al fiduciario di esplicare una determinata attività e nella seconda l’interesse perseguito è quello di costituire una garanzia a favore del fiduciario, si riscontra una
81 In riferimento alla dottrina che si è occupata dell’argomento emerge come sia stata sempre avvertita in modo intenso l’importanza e la difficoltà del problema ricostruttivo, cfr. XXXXXXX, Società fiduciarie e negozio fiduciario, Longanesi-Milano, 1978, p. 95 nota
1 in riferimento alle premesse di MESSINA, Negozi fiduciari: introduzione e parte generale, Milano 1948, p. 97; PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile – Metodo – Teoria – Pratica, Milano, 1951, p. 232 e segg.; LIPARI, Il negozio fiduciario, Milano, 1971, p. 212 e segg.
82 Sulla fiducia nel diritto romano si xxxx XXXXXXX, Fiducia, in Nuovo Dig. It., Torino, 1938, vol. V, p. 1131 e segg.; XXXXXXX XXXX, Istituzioni di diritto romano, Napoli, 1934, p. 297; GROSSO, Fiducia (diritto romano),in Enciclopedia del diritto, Milano, 1968, vol. XVII, p. 384 e segg.
identità di struttura. Elemento essenziale e caratterizzante delle due fattispecie era infatti l’attribuzione di un diritto reale al fiduciario da parte del fiduciante unitamente ad un negozio di natura obbligatoria, il pactum fiduciae appunto, xxxx a limitare e conformare gli obblighi nascenti dall’attribuzione del pregnante diritto di proprietà. Naturalmente, la natura obbligatoria del pactum non garantiva il fiduciante dagli abusi, ma poiché la riuscita dell’operazione dipendeva dalla lealtà del fiduciario, si individuò il proprium della figura nella fides83.
La ricostruzione germanistica della fiducia, invece, regolamenta in maniera differente il negozio fiduciario cercando di rafforzare nei confronti dei terzi la posizione del fiduciante, conferendo al factum fiducie quegli effetti reali che mancano alla fiducia romanistica. Nella elaborazione più nota84 del negozio fiduciario di tipo germanistico si sostiene l’esistenza di una condizione risolutiva: in caso di morte, di disposizione abusiva del fiduciario, del venir meno dello scopo della fiducia e così via, la titolarità tornerebbe immediatamente ed automaticamente al fiduciante ovvero si trasferirebbe al terzo beneficiario85. Secondo tale tesi l’inadempimento del fiduciario rispetto alle finalità e
83 Evidenzia tale dato X. XXXXXXX, Società fiduciarie e negozio fiduciario, p. 65 il quale, in riferimento agli strumenti di tutela operanti nella fiducia di diritto germanico che consentono in varie forme l’opponibilità reale delle limitazioni del potere del fiduciario, osserva come “è facile notare come la fiducia abbia in queste diverse fattispecie generico rilievo, in quanto solo dalla lealtà del fiduciario deriva il soddisfacimento degli scopi del fiduciante, ma la sua operatività è ridotta e marginale, in quanto a quest’ultimo il diritto dà mezzi di tutela specifica che ne salvaguardano gli interessi”.
84 Il riferimento è a CARIOTA-FERRARA, I negozi fiduciari, Padova, 1933, p. 9 e segg.
85 Cfr. XXXXXXXXX, Negozio fiduciario, in Enciclopedia del Diritto Treccani.
modalità di realizzazione dell’incarico, dunque sostanzialmente in caso di abuso, fa scattare una condizione risolutiva che, travolgendo il negozio fiduciario, rende inefficace anche la disposizione abusiva del bene effettuata dal fiduciario. Un’altra ricostruzione della fiducia tradizionalmente annoverata tra le fiducie di tipo germanistico muove dalla premessa che spesso, al fine di raggiungere lo scopo pratico che i contraenti si prefiggono, non è indispensabile il pieno trasferimento del diritto dal fiduciante al fiduciario: può bastare, invece, che al fiduciario sia attribuita una legittimazione ad esercitare in nome proprio e nell’interesse altrui un determinato diritto di cui continua a rimanere titolare il fiduciante. Il diritto trasferito dal fiduciante al fiduciario nascerebbe intrinsecamente limitato, costituendo oggetto del trasferimento effettuato fiduciae causa, non il diritto di proprietà, bensì la sola legittimazione a gestire il bene per realizzare l’interesse perseguito dal fiduciante.
La critica principale che viene mossa a tale teoria è che manca nel nostro ordinamento una disposizione normativa simile al § 185 BGB che ammette l’attribuzione negoziale del potere di esercitare in nome proprio diritti altrui la cui assenza determina che non possa accogliersi in via generale nell’ordinamento tale ricostruzione86.
In tali fattispecie ricostruttive la fiducia ha una rilevanza che è stata definita legale87 in quanto la realizzazione dell’interesse del fiduciante è sì pur sempre legata alla lealtà del fiduciario, ma la stessa
86 Cfr. XXXXXXXXX, Autorizzazione, (dir. priv.), in Enciclopedia del Diritto, IV, Milano, 1959, p. 506 e segg.
87 Così GENTILI, op.ult. cit., p. 97.
non costituisce l’unico mezzo e modo di salvaguardia dell’interesse dello stesso fiduciante che è tutelato da altri mezzi giuridici forniti dall’ordinamento88.
La dottrina tradizionale individua, quale tratto caratterizzante del negozio fiduciario, la sproporzione tra lo strumento giuridico utilizzato e lo scopo perseguito: si tratterebbe cioè di un negozio, seriamente voluto, la cui caratteristica consiste nell’incongruenza o l’inomogeneità tra lo scopo avuto di mira dalle parti e il mezzo giuridico utilizzato per raggiungerlo89. La chiara distinzione tra negozio fiduciario e negozio simulato è stata rintracciata90 nel fatto che “il negozio simulato è un negozio finto, non reale: il negozio fiduciario è un negozio voluto ed esistente. Il negozio simulato si compie per produrre un’apparenza, un inganno: il negozio fiduciario vuole supplire all’ordine giuridico manchevole od evitare certe conseguenze facheuses che derivano dal negozio (…) Il negozio simulato non vuole raggiungere né un risultato economico né giuridico, il fiduciario vuole il risultato giuridico, ma non il risultato economico corrispondente: vi è divergenza tra
88 Per la descrizione dei caratteri essenziali e dell’operatività della fiducia di matrice anglosassone si vedano i riferimenti al Trust nell’ultimo paragrafo del Cap. II.
89 La definizione è stata elaborata da XXXXXXXXXXXX, Zwei Beitrage zur Lehre von der Cession, in Arch fur die ci. Praxis, LXIII, 1880,
p. 173 ed accolta dalla dottrina italiana: cfr. PIANA, nota a Xxxx. Torino, 22 luglio 1901, in Foro it. 1901, I, 1437; XXXXXXXXX, Disposizioni di ultima volontà fiduciarie, I, Napoli, 1915, p. 22, nota 1; XXXXXXX-XXXXXXX, I negozi fiduciari, Padova, 1933, p. 23 e segg. In senso parzialmente contrario x. XXXXXXXXX, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, in Riv. Dir. comm., 1936, I, pp. 349 e 350 ove elabora alcuni esempi di negozi fiduciari nei quali tale sproporzione tra mezzo giuridico utilizzato e scopo perseguito non è ravvisabile.
90 L’elaborazione si deve a FERRARA, I negozi fiduciari, in Scritti per le onoranze a Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Milano, 1905, II, p.745 e segg.
scopo economico e mezzo giuridico utilizzato91”. Tale eccesso si riverbera nella debolezza del patto obbligatorio che vorrebbe limitarlo: di fronte all’abuso del fiduciario, infatti, il fiduciante non avrà altro rimedio che il risarcimento del danno92.
Tuttavia, ancor prima che sui rimedi posti dall’ordinamento a tutela dell’interresse del fiduciante a che il fiduciario non abusi della situazione giuridica soggettiva di cui egli è divenuto titolare grazie al negozio fiduciario, la dottrina si è interrogata sull’ammissibilità dello stesso negozio fiduciario nell’ordinamento pervenendo a soluzioni opposte.
Una prima tesi, infatti, reputa viziato lo stesso atto con il quale si vorrebbe attribuire al fiduciario il diritto di cui dovrebbe servirsi con lealtà. Accolto, infatti, il rilievo per cui il negozio fiduciario sia effettivamente voluto, se ne riscontra il difetto di operatività ed irrealizzabilità dell’attribuzione reale in capo al fiduciario, in un suo difetto strutturale: l’assenza di causa93. Xxxxxxxx teoria rintraccia nel negozio traslativo di natura fiduciaria un mero intento traslativo astratto che risulterà conseguentemente nullo per assenza di causa, non ammettendosi, salvi i casi previsti dalla legge, un’astrazione causale94. La fiducia rimarrebbe conseguentemente confinata in una sfera
91 FERRARA, Della simulazione dei negozi giuridici, X xx., Xxxx, 0000, p. 66.
92 Così, tra gli altri, CARIOTA-FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1947, p. 245; ID. I negozi fiduciari, cit., p. 13.
93 Così, CARIOTA-FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto italiano, cit., pagg. 250-253; XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1964, pp. 180-181.
94 Sull’astrazione della causa x. X.X. XXXXXX, Xxxxxxx Xxxxxx 0, Xx Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 468-472 e X. XXXXX, Il Contratto, in Trattato di Diritto Privato a cura di IUDICA-ZATTI, Milano, seconda ed., 2011, p. 373-379.
irrilevante per il diritto quale quella dei motivi individuali della parte; pertanto la realizzazione dell’operazione fiduciaria giuridicamente rilevante resterebbe ancorata o alla figura del negozio relativamente simulato, oppure all’utilizzo del negozio indiretto: si tratterebbe cioè di stipulare un negozio traslativo tipico piegandolo a scopi maggiori o minori, oppure collegandolo ad un ulteriore negozio95.
A tale tesi se ne è contrapposta una diametralmente opposta che giunge a qualificare lecita l’attribuzione fiduciaria realizzata per mezzo di un negozio che persegua interessi meritevoli di tutela96. Si critica la nullità del trasferimento quale conseguenza dell’assenza di causa dimostrando che l’asserzione circa l’astrattezza causale dell’atto sia priva di fondamento evidenziando come, seppure esiste un rigoroso principio di tipicità dei diritti reali che costituiscono un numerus clausus, nulla invece vieta la formazione di contratti ad effetto reale atipici97. L’effetto traslativo del negozio fiduciario sarebbe, secondo tale ricostruzione, giustificato dal lato obbligatorio del patto: mentre nella compravendita, ad esempio, l’obbligo è costituito dal corrispettivo dell’attribuzione patrimoniale, nulla vieta che esso costituisca il fine e quindi la giustificazione di essa: la funzione economico-sociale tipica dell’operazione fiduciaria costituisce la vera
95 Sulla qualificazione e disciplina del negozio indiretto si veda RUBINO, Il negozio indiretto, Milano, 1937.
96 Pone in evidenza come la verifica del perseguimento di interessi meritevoli di tutela debba operarsi non in astratto ma in concreto LIPARI, Il negozio fiduciario, Milano, 1964, p. 355 3 segg. ove si considerano le ipotesi non meritevoli di tutela come quelle di frode alla legge.
97 Così GRASSETTI, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, cit. p. 366 e 367; contra PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile – Metodo – Teoria – Pratica, Milano, 1951, p. 271.
causa lecita del negozio reale obbligatorio concluso. Ci si trova cioè di fronte ad un contratto atipico che consta di un momento reale ed uno obbligatorio, caratterizzato da causa fiduciae e lecito: stante l’ammissibilità dei negozi atipici ex art. 1322 comma 2
c.c. non può più negarsi l’ammissibilità del negozio fiduciario nel nostro ordinamento98.
Tuttavia un orientamento relativamente più recente99 rileva come pur essendo, per questa via, ammissibile il negozio fiduciario lecito atipico e traslativo, esso costituisce in capo al fiduciario un diritto di proprietà che non gli conferisce il potere di godere e di disporre dei beni oggetto del diritto: si tratterebbe di proprietà limitata nel tempo e conformata nel godimento alle istruzione ed alla realizzazione dell’interesse del fiduciante. Si evidenzia come, pur essendo vero che l’ordinamento, ex art. 42 cost. conosce casi di proprietà-funzione, è innegabile che li conosce solo come riflesso di speciali norme legali e che tale funzionalizzazione può derivare solo dalla legge, non dalla proprietà privata. Quello che le parti vorrebbero creare è dunque una situazione giuridica soggettiva ignota al nostro ordinamento: ossia una proprietà funzionalizzata ad interessi non propri del titolare che sarebbe dunque inammissibile100. L’Autore tenta dunque una diversa ricostruzione del fenomeno, esemplificando con situazioni nelle quali il diritto reale del fiduciario non sia acquistato dal fiduciante, bensì da un terzo: si
98 GRASSETTI, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, cit., p. 372 e segg.; DE XXXXXXX, Il concetto del negozio fiduciario e la vendita a scopo di garanzia, in Giur. It., 1946, I, 2, p. 232 e segg.
99 Cfr. XXXXXXX, Società fiduciarie e negozio fiduciario, cit., p. 75 e segg.
100 In tal senso x. XXXXXXXXX, Fiducia e rappresentanza indiretta,
cit., p. 248 e p. 271 e segg.
dice che in un caso siffatto (comunemente ricadente nella fattispecie negozio fiduciario) in cui il fiduciario sia obbligato ad acquistare da un terzo per poi ritrasferire al fiduciante, non ci si trovi in realtà in presenza di un negozio fiduciario, in quanto l’acquisto del diritto reale “scaturisce da fatti in sé estranei al fenomeno fiduciario”101. La proprietà risulterebbe in tal caso esternamente funzionalizzata dalla legge stessa (non più internamente come nel negozio fiduciario nel quale i limiti al pieno godimento di tale diritto sono intrinseci), dalla quale deriverebbero detti limiti, trattandosi di un’ipotesi di mandato ad acquistare legislativamente tipizzata e pertanto ammissibile, valida ed efficace nonchè assistita anche dalla coercibilità specifica dell’obbligo di ritrasferire102. Qualificata dunque l’operazione economica che consente al fiduciario di acquistare un bene per conto del fiduciante alla figura tipica del mandato ad acquistare l’autore si chiede se lo stesso mandato non possa anche soddisfare gli interessi sottesi all’ipotesi del potere di alienare del mandatario. Ebbene, premesso che il mandato impone obblighi ma non costituisce poteri in capo al mandatario, si rileva come in esso si inverta il rapporto di accessorietà tra trasferimento reale e rapporto obbligatorio proprio del negozio fiduciario: l’effetto reale sarebbe strumentale all’adempimento dell’obbligo invertendosi così i termini del rapporto103. Il pregio di
101 GENTILI, Società fiduciarie e negozio fiduciario, cit., p. 75.
102 Cfr. GENTILI, cit., e XXXXXXXXX, Il trasferimento e l’intestazione fiduciaria di valori mobiliari, in Atti del Convegno di Venezia 5 giugno 1976, Milano, 1976, pp. 32 e 33.
103 Cfr. XXXXXXX, cit. pp. 84 e segg. il quale esamina specificamente la figura del mandato ad alienare che, in virtù dell’operatività dell’art. 1708 c.c. secondo il disposto del quale “il mandato comprende non solo gli atti per i quali è stato conferito, ma anche quelli che sono necessari al loro compimento” si ritiene
tale ricostruzione tipizzante104 ed allo stesso tempo negatoria di un’autonoma figura di negozio fiduciario, è costituita dalla operatività dell’opponibilità dell’attribuzione fiduciaria secondo la regola di cui all’art. 1707 c.c. che risulterebbe applicabile per via diretta, ma in ogni caso operante con tutti i limiti evidenziati105.
Pur riconoscendo il tentativo di ricondurre il sistema ad unità riportando a discipline tipiche le operazioni fiduciarie attraverso un’operazione ricostruttiva limpida cui non possono disconoscersi indubbi meriti, sia tuttavia consentito rilevare - in riferimento all’ultima elaborazione riportata – come, nel tentativo di individuare una disciplina del negozio fiduciario, si giunga a negarne in radice l’autonomia sulla base della considerazione dell’inammissibilità della c.d. proprietà fiduciaria intesa come limitazione intrinseca al diritto dominicale acquistato dal fiduciario.
ammissibile; il potere del mandatario di disporre del bene è legittimo in quanto “il trasferimento trova dunque fonte nel mandato stesso cui accede o come negozio astratto legislativamente ammesso, o comunque come effetto reale strumentale di una figura di una figura contrattuale real-obbligatoria complessa qual è quella del mandato in questi casi”. Peraltro si noti come il rifiuto dell’astrattezza del trasferimento reale proceda di pari passo con la natura necessariamente simulata dell’attribuzione reale “limitata” dal patto obbligatorio: cioè il ridimensionamento dell’ampiezza del diritto di proprietà attraverso l’imposizione di obblighi al fiduciario rivelerebbe la natura necessaria mente simulata del trasferimento del diritto dominicale.
104 La tendenza ad una esasperata tipizzazione delle operazioni negoziali che la tradizione conosce con il nome di negozi fiduciari si coglie anche nella riconduzione delle ipotesi di amministrazione alla figura del deposito irregolare che, realizzando il trasferimento di proprietà in capo al depositario, lo legittimerebbe anche all’esercizio dei poteri di gestione relativa.
105 Cfr. Cap. I; può in questa sede rammentarsi come tale opponibilità non sia assoluta, ma opera solo se il mandato (con data certa avente ad oggetto beni mobili e crediti) ovvero la trascrizione dell’atto di ritrasferimento o della relativa domanda giudiziale (se si tratti di immobili o mobili registrati) siano anteriori al pignoramento.
In primo luogo si può evidenziare come l’ordinamento già conosca diverse forme tipizzate di proprietà limitata e pertanto, il rilievo circa la peculiarità del diritto dominicale del fiduciario, non può valere ad escluderne in radice la configurabilità ed ammissibilità; per altro verso, la ricostruzione della figura del negozio fiduciario come autonomo negozio valido ed efficace, pur passando necessariamente attraverso la qualificazione della posizione giuridica soggettiva del fiduciario rispetto al bene che ne costituisce oggetto, non implica il necessario riconoscimento della natura reale dello stesso, non essendo la proprietà l’unico criterio di allocazione di diritti e legittimazione che l’ordinamento conosca e che potrebbero rinvenirsi in capo al fiduciario per effetto del negozio.
3. Negozio fiduciario e mandato ad acquistare: un indice normativo della fiducia?
La fonte delle incertezze ricostruttive e delle diverse posizioni dottrinali in ordine alla qualificazione della posizione giuridica soggettiva del mandatario che possa costituire traccia normativa della fiducia, prendono le mosse dalle disposizioni di cui agli artt. 1705 comma 2, 1706 e 1707 c.c. laddove si riscontra incertezza nell’interpretazione delle stesse quali regole di efficacia oppure di opponibilità106. Con particolare riguardo all’art. 1706 c.c., infatti, mentre il comma 1 legittima il mandante ad esperire l’azione petitoria di rivendica, in quanto tale riservata al proprietario, il comma 2 precisa che se le cose acquistate dal mandatario
106 Per una precisa spiegazione dei termini del dibattito x. XXXXXXXX, Acquisti e proprietà nell’interesse del mandante, Napoli, 2011, cap. I.
sono beni immobili o mobili registrati il mandatario è obbligato a ritrasferirle al mandante: poiché la fonte dell’obbligo di acquistare e di ritrasferire è unica (il mandato appunto) si incontrano poi difficoltà nel riscontrare come dalla stessa derivino effetti differenziati in ordine alla titolarità del diritto dominicale giustificati dalla natura dei beni che ne costituiscono oggetto. Ciò costituisce un indice del fatto che il criterio dirimente dell’allocazione della legittimazione non sia esclusivamente il diritto di proprietà. Difatti, quando si tratta di risolvere il problema circa l’attribuzione dei frutti prodotti dal bene e della sopportazione dei rischi in ordine al loro perimento o alla distruzione non imputabili, ci si accorge di come pur dovendo essere, in base alle regole generali, la titolarità il criterio dirimente, nelle diverse ricostruzioni dottrinali, la regola generale non riesce a trovare applicazione nella sua interezza. Più precisamente chi afferma che il mandante acquisti immediatamente la titolarità dei beni per suo conto acquistati dal mandatario, conclude nel senso della spettanza dei frutti e della sopportazione del rischio di perimento in applicazione della regola generale limitatamente ai beni mobili; quanto ai beni immobili, nonostante il disposto del comma 2 dell’art. 1706 c.c. che propende nel senso della titolarità in capo al mandatario, si osserva che in qualunque fase dell’operazione avvenga la perdita della cosa o maturino i frutti, sia l’una che l’altra rappresentano vicende le quali interessano esclusivamente la sfera giuridica del mandante107. Chi invece ritiene che ai fini dell’acquisto
107 Cfr. X. XXXXXXXX, Mandato, 325 e segg. Il quale osserva che nell’ipotesi dia acquisto di beni immobili, prima del
della proprietà da parte del mandante sia necessario il ritrasferimento anche per i beni mobili, applica la regola generale res perit domino accollando il rischio al mandatario, ma imputa i frutti al mandante nonostante quest’ultimo non sia proprietario108. Inoltre, chi riconosce la proprietà al mandante incontra alcune difficoltà a giustificare la legittimazione del mandatario ad esperire le azioni a difesa della proprietà nei confronti dei terzi; chi, invece, riconosce la proprietà al mandatario tuttavia è costretto a rilevarne la peculiarità poiché si tratta di un diritto che comunque limita il mandatario nell’esercizio delle sue facoltà.
Al fine di ricondurre a sistema tali regole applicative la dottrina ha percorso diverse strade. Un primo orientamento distingue tra proprietà e legittimazione: al mandante spetterebbe la proprietà ed al mandatario la legittimazione di fronte ai terzi109; altro orientamento, invece, nella medesima accezione, parla di proprietà formale e proprietà sostanziale rispettivamente spettanti al mandatario ed al mandante110. Tali orientamenti si basano sul comune rilievo che il contratto gestorio persegue l’interesse del mandante che è posto in primo piano, riconoscendo al mandatario una posizione meramente formale, cosicchè la relativa legittimazione si tradurrebbe esclusivamente nel potere di ritrasferire al
ritrasferimento il mandatario, seppure proprietario, non può fare propri i frutti della cosa.
108 X. XXXXX, La proprietà del mandatario, p. 203.
109 F. XXXXXXX xx, Gli imprenditori e le società, p. 133.
110 L’orientamento risale a PUGLIATTI, La rappresentanza indiretta, cit., p. 440.
dominus il bene (immobile) nonché in quello di esercitare le azioni a difesa della proprietà e del possesso111.
Diverso percorso ricostruttivo seguono, invece, quegli Autori che ricorrono al concetto di proprietà smembrata in virtù del quale sia il mandante che il mandatario sarebbero titolari di alcune delle componenti del diritto di proprietà112. Il diritto di proprietà si plasmerebbe cioè sulla base ed in funzione della regola convenzionale stabilita dalle parti, regola la quale comporterebbe la separazione della facoltà di godimento (propria del mandante) dal potere di disposizione (riconosciuto al mandatario). Essendo entrambi titolari di una porzione del diritto di proprietà, a ciascuno si dovrebbe riconoscere la legittimazione ad agire in rivendica per il recupero del bene113.
Tuttavia recente dottrina evidenzia come “resti soltanto affermato ma non adeguatamente giustificato” il contenuto della situazione giuridica del mandatario con riguardo alle limitazioni del potere di disposizione, all’attribuzione della legittimazione e all’esercizio delle azioni possessorie e petitorie poiché “in assenza di un referente sostanziale essa non appare idonea a
111 CAMPAGNA, La posizione del mandatario nel mandato ad acquistare beni mobile, p. 27 e PUGLIATTI, op. ult. cit.
112 Xxxxxxx ascriversi all’orientamento in discorso gli scritti di X. XXXXXXXXX, Xxxxxxx, p. 171 e segg.; X. XXXXX, La proprietà del mandatario, p. 203 e segg.; X. XXXXX, Il possesso, p. 103.
113 X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 172 afferma che “i poteri del mandatario non traggono origine semplicemente dal fatto che egli appare come il proprietario. I terzi potrebbero non ignorare affatto il rapporto di mandato o anche avere notizia dell’identità del mandante. Non per questo essi potrebbero resistere vittoriosamente alle azioni esperite dal mandatario”. La citazione è fatta da SEMERARO, Acquisti e proprietà nell’interesse del mandante, cit., p.
231 (nota 457) la quale tuttavia rinviene il fondamento della legittimazione del mandatario ad esperire le azioni a difesa della proprietà non nello smembramento della proprietà, “quanto piuttosto nella posizione proprietaria della quale è titolare il mandatario prima del trasferimento. Successivamente a costui è riconoscibile soltanto l’azione di spoglio in quanto obbligato alla consegna e, quindi, alla custodia del bene.”
fondare il potere dello stesso mandatario di agire a difesa del possesso o della proprietà del diritto acquistato per conto altrui 114”. E, detto referente sostanziale viene proprio individuato nel regolamento contrattuale posto in essere dalle parti: pertanto, riconoscendo che il mandatario acquista per poi ritrasferire al mandante con atto autonomo, xxxxxx costui è proprietario non sorge alcun dubbio riguardo alla sua legittimazione ad agire in rivendica; una volta trasferito il diritto di proprietà al mandante che però non abbia conseguito la disponibilità materiale del bene, il mandatario-custode, può esperire l’azione di spoglio, mentre al mandante spetterà l’azione di rivendica115. Quanto alle regole applicabili alle ipotesi di perimento della cosa e maturazione di frutti prima del trasferimento al mandante, secondo tale ricostruzione occorre considerare che il bene acquistato in esecuzione del mandato non è destinato ad integrare il patrimonio del mandatario: l’interesse di quest’ultimo è, infatti, la retribuzione, mentre il bene costituisce oggetto specifico dell’interesse del mandante. Ne consegue che tutte le vicende giuridiche attinenti al bene riguardano la situazione giuridica del mandante e restano estranee al mandatario116. La situazione giuridica di titolarità
114 Cfr. XXXXXXXX, op. cit., p. 232.
115 Tali rilievi sono operati da SEMERARO, op. ult. cit., p. 238.
116 La conclusione è da attribuire a XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 240 la quale afferma che “in questa direzione depone, tra l’altro, l’art. 1715 c.c. Esso esprime chiaramente la rilevanza della condotta del mandatario nell’ambito del procedimento di cooperazione e di riflesso offre preziose indicazioni circa la natura degli eventi che possono incidere sulla relativa posizione contrattuale. Alla stregua di questa disposizione e, salvo che non sia diversamente pattuito dalle parti, il diritto al compenso dell’interposto diventa esigibile a seguito dell’adempimento dell’obbligazione di curare l’altrui interesse sia nella stipulazione con il terzo, sia nell’0esecuzione del rapporto gestorio”.
conseguita dal mandatario cioè rileva soltanto ai fini del trasferimento e non dà luogo ad una contrapposizione tra titolarità e legittimazione, bensì ad una “dissociazione tra imputazione della situazione giuridica e titolarità dell’interesse, la quale trova la sua fonte direttamente nel contratto che, perciò, ne costituisce la regola di riferimento”117.
Dall’analisi esposta sembra possa cogliersi come la posizione di mandatario e fiduciario non siano esattamente sovrapponibili in quanto oggetto dell’obbligo di quest’ultimo non è soltanto quello di compiere atti giuridici nell’interesse del mandante, potendo essere chiamato a gestire il bene anche nell’interesse di un terzo che non sia necessariamente alienatario. Peraltro, anche ammettendo che nelle disposizioni esaminate si individui una traccia normativa della scissione tra proprietà e legittimazione propria del negozio fiduciario, ciò non varrebbe a dissolvere i limiti di opponibilità legati alla natura obbligatoria del pactum fiduciae caratteristico della fiducia romanistica: di fronte alla disposizione del bene acquistato dal fiduciario, effettuata in violazione del regolamento negoziale, la tutela del fiduciante sarebbe affidata alla regola dell’art. 1707 c.c. che prevede un’opponibilità non assoluta, ma che opera solo se il mandato (con data certa avente ad oggetto beni mobili e crediti) ovvero la trascrizione dell’atto di ritrasferimento o della relativa domanda giudiziale (se si tratti di immobili o
117 Sic SEMERARO, op. ult. cit., p. 242; cfr. anche X. XXXXXXXX, Mandato, cit., p. 327 il quale sottolinea che è “la cura dell’interesse del mandante e perciò il concreto scopo pratico perseguito col mandato ad indicare i margini entro i quali il mandatario può o deve esercitare le facoltà dominicali di cui, sul piano formale, sia ancora titolare.”
mobili registrati) siano anteriori al pignoramento. Inoltre il vincolo del mandato è parzialmente permeabile dal lato dei creditori del mandante i quali possono agire con l’azione surrogatoria nei confronti del mandatario laddove il rapporto mandante mandatario non riesca a far pervenire nella sfera giuridica del primo quanto acquistato. Ne consegue che altre strade devono essere percorse per la ricostruzione di un negozio fiduciario ammesso dall’ordinamento ed in grado di tutelare adeguatamente gli interessi di cui sono portatori i diversi soggetti che all’operazione negoziale partecipano o da cui ricevono determinati effetti.
4. Gestione di patrimoni altrui nel codice civile, nella legislazione speciale primaria e secondaria.
Nel codice civile e nella legislazione speciale troviamo diversi istituti che si caratterizzano per essere fenomeni gestori di patrimoni altrui: l’interesse perseguito assume le configurazioni più varie identificandosi con la preservazione del patrimonio familiare, lo sviluppo dell’impresa, la tutela del risparmio. L’istituto che delinea una disciplina più ricca di indicazioni rispetto agli è certamente il fondo patrimoniale, introdotto nell’ordinamento con il codice del 1942 in sostituzione della dote e del patrimonio familiare. Si tratta di un patrimonio destinato al soddisfacimento dei bisogni familiari, al cui perseguimento sono rivolte le norme che creano un sistema di limiti di espropriabilità del fondo e dei frutti di esso per debiti che il creditore sapeva essere stati contratti per finalità estranee ai bisogni della famiglia. Come noto, il fondo patrimoniale può essere
costituito con atto pubblico o testamento dai coniugi o da terzi ed avere ad oggetto solo beni immobili, mobili registrati o titoli di credito. L’art. 168 c.c. dispone che la proprietà dei beni del fondo spetti ad entrambi i coniugi salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione; il soggetto che costituisce il fondo patrimoniale, sia anche uno dei coniugi, può riservarsi la proprietà dei beni, in tal caso sorge in capo ai coniugi uno speciale diritto di godimento: nell’ipotesi in cui la proprietà rimanga al soggetto che crea su di esso il vincolo costituito dal fondo o il bene viene trasferito ad un solo coniuge si verifica il fenomeno della gestione di patrimoni altrui.
È interessante notare, alla luce degli momenti di scissione tra titolarità e legittimazione evidenziati nel mandato, come il regime di amministrazione dei beni oggetto del fondo previsto dalla legge prescinda dalla titolarità: si tratta di co-amministrazione che segue le regole della comunione legale quanto alla legittimazione congiunta del compimento di atti di straordinaria amministrazione. Inoltre non è possibile alienare costituire in pegno o ipoteca i beni oggetto del fondo se non con il consenso di entrambi i coniugi e l’autorizzazione del giudice in presenza di figli minori, tranne che sia espressamente consentito nell’atto di costituzione.
I patrimoni destinati allo specifico affare di cui agli artt. 2747bis-decies c.c. possono essere creati dalle
s.p.a. per la cura di interessi non necessariamente altrui ma precostituiti, nel senso che si ha una separazione per specifici affari che non sono normativamente previsti e di cui il legislatore si interessa solo per escludere che possano essere attinenti
ad attività riservate in base a leggi speciali. Oggetto della destinazione è qui l’affare ed - ex art. 2447ter
c.c. - devono essere indicati nella deliberazione costitutiva i beni e i rapporti giuridici compresi nel patrimonio e gli eventuali apporti di terzi; il legislatore nulla aggiunge riguardo alla natura, quantità o qualità dei beni o dei rapporti. La disposizione individua anche una serie di regole significative quali l’analitica determinazione della destinazione nonché la tracciabilità dei rapporti che concernono la destinazione con l’obbligo di menzione negli atti, della contabilità che deve essere tenuta separata, della pubblicità della costituzione del vincolo, della previsione di regole volte al controllo sull’attività di gestione del patrimonio destinato. Gli artt. 2447quinquies-septies dettano regole di amministrazione e responsabilità: il legislatore enuncia una serie di obblighi che gravano sugli amministratori che devono tenere separatamente le scritture contabili e libri obbligatori di cui il patrimonio destinato deve dotarsi pur non essendo un soggetto di diritto.
Specifici obblighi di gestione sono invece previsti dalla normativa primaria e secondaria in materia di intermediazione finanziaria: la legislazione speciale conosce tutta una serie di soggetti che istituzionalmente gestiscono beni ed interessi altrui e pone a salvaguardia del buon andamento dell’attività e della soddisfazione di tali interessi tutta una serie di regole di disciplina in ordine alla separazione patrimoniale da un lato, ed alle modalità di corretta gestione dall’altro. Il servizio di gestione di portafogli è disciplinato nelle regole essenziali dagli artt. 21 e segg. del t.u.f che impone la forma scritta a pena di nullità, anche se si tratta di
una nullità non codicistica cioè sottoposta alla disciplina ex art. 1418c.c. e segg., ma di protezione. La gestione del portafogli di investimento costituisce l’oggetto del contratto, è affidata all’intermediario che la esercita nel rispetto delle eventuali vincolanti istruzioni che il cliente gli abbia impartito; l’investitore, in ogni caso, deve indicare al momento della stipula del contratto quadro il genere di strumenti finanziari sui quali vuole investire rispetto ai quali deve essere adeguatamente informato dall’intermediario circa i rischi e le caratteristiche degli strumenti stessi. Peraltro, per rendere più intensa la tutela del cliente, il comma 6 dell’art. 23 t.u.f. dispone un’inversione dell’onere della prova nei giudizi di risarcimento del danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, nei quali spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta. Dunque sarà il contratto a prevedere quali beni possano costituire oggetto della gestione ed il tipo di operazioni consentite all’intermediario, specificando se l’intermediario sia autorizzato a delegare a terzi l’esecuzione dell’incarico ricevuto, se l’autorizzazione riguardi l’intero portafogli, quali siano i settori o i mercati di investimento con riferimento ai quali l’autorizzazione viene rilasciata e gli eventuali limiti e condizioni dell’autorizzazione. La legge (art. 24 comma
1 lett. a) t.u.f.) prevede che nel servizio di gestione di portafogli il cliente possa impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere. Gli intermediari inoltre, che come detto devono comportarsi con diligenza correttezza e trasparenza nell’esecuzione dell’incarico, nell’interesse dei clienti e del mercato
finanziario, devono anche disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, tali da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interessi, assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e svolgere una gestione indipendente sana e prudente, adottando misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati. Vedremo poi come tale ultimo aspetto sia assicurato e realizzato dal legislatore con la tecnica della separazione patrimoniale118. I Regolamenti Consob prevedono regole analitiche circa i doveri di informazione che il professionista deve rispettare con il cliente delineando precisamente il contenuto di quella che deve essere la diligenza professionale propria dell’incarico gestorio.
Altro contratto recentemente tipizzato dal legislatore che implica una gestione di patrimonio altrui è il contratto di rete, definito come quel contratto attraverso il quale due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali per accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato. Si tratta di uno strumento giuridico regolato negli essenziali tratti costitutivi che, quanto alla struttura ed all’organizzazione, lascia ampia autonomia alle parti che possono così destinare parte dei proventi della propria impresa alla realizzazione del programma comune senza utilizzare la tecnica della duplicazione soggettiva. Affinchè il contratto possa dar vita ad una rete riconosciuta non è necessaria la previsione di una figura organizzativa comune incaricata di dare esecuzione al contratto stesso e manca un sistema pubblicitario che consenta di rendere noti i soggetti titolari del potere
118 Cfr. paragrafo successivo.
di amministrazione e rappresentanza. Il legislatore ha previsto la nomina di un organo comune “incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso”, non prevedendo null’altro sul punto. Alle imprese aderenti è dunque lasciata la scelta della governance della rete: l’istituzione dell’organo comune è lasciata all’autonomia privata, libera di scegliere se prevedere o meno tale organo ed, in caso positivo, con l’obbligo di indicare nel contratto “la ditta la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo comune per l’esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto come mandatario comune, nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto”.
I soggetti che compongono l’organo comune di gestione della rete rispondono del loro operato nei confronti delle imprese secondo le regole del mandato: trattandosi di una pluralità di mandanti si applicherà la disciplina di cui all’art. 1726 c.c. prevista per il mandato collettivo. I mandanti possono affidare al gestore del contratto ovvero soltanto di una o più fasi o parti dello stesso: l’oggetto di competenza dell’organo comune non coincide dunque necessariamente con il contenuto del programma di rete, salvo che le parti non abbiano disciplinato ampiezza e limiti del potere. La nuova lettera e) del secondo periodo del nuovo comma 4ter dell’art. 3 del d.l. 5/2009, come modificato dal d.l. 83/2012 introduce la previsione secondo cui l’organo comune agisce in rappresentanza della rete: il mandatario può essere oltre che terzo rispetto alle parti del
contratto di rete, anche una persona giuridica. Dunque in tale modello contrattuale il legislatore affida la disciplina delle regole di gestione a quella tipica prevista dal codice per il mandato.
5. L’amministrazione del patrimonio altrui e nell’interesse altrui: principi e regole operative.
Preliminarmente occorre definire natura giuridica ed effetto dell’amministrazione del patrimonio altrui. Parte della dottrina ritiene che l’amministrazione costituisca un dovere di compiere atti, sia materiali che giuridici, unito al potere di produrre modificazioni sul patrimonio altrui119; la dottrina prevalente definisce l’amministrazione come un potere-dovere attribuito ad un soggetto titolare di ufficio di diritto privato, per la tutela di un altro soggetto120. Oggetto dell’amministrazione deve essere un patrimonio inteso come il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi a contenuto patrimoniale facenti capo ad un soggetto, che non appartenga in tutto o in parte all’amministratore121 ragion per cui non si può parlare di amministrazione del patrimonio altrui nelle ipotesi di amministrazione limitata del proprio patrimonio come avviene nel caso dell’eredità beneficiata122, ove l’amministrazione legale deriva dalla titolarità di un patrimonio su cui vantano
119 PELOSI, La patria potestà, Milano 1965, p. 43.
120 JANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1977,
p. 257; XXXXXXXXX, Amministrazione di beni altrui, in Enciclopedia del diritto, II, Milano, 1958, p. 168.
121 TAMPONI, L’atto non autorizzato nell’amministrazione dei patrimoni altrui, Milano, 1992, p. 56 rileva infatti come non si tratti di amministrazione del patrimonio altrui in caso di concordato preventivo (artt. 160-186 l.fall.) o di amministrazione controllata (oggi abrogata) ove il debitore conserva l’amministrazione dei beni e l’esercizio dell’impresa sotto la vigilanza degli organi preposti dalla legge.
122 La quale tuttavia è inclusa tra le ipotesi di gestione nell’interesse altrui.
diritti soggetti terzi (legatari o creditori)123. Bisogna rilevare che comunque anche l’amministrazione effettuata dal soggetto proprietario del bene che però lo gestiste nell’interesse altrui è conformata dall’altruità dell’interesse cui il bene è destinato.
Si osserva come la rappresentanza costituisca il lato esterno del compimento dell’atto, cioè quando l’atto deliberato è portato a conoscenza di terzi124, mentre l’amministrazione ne costituisce il lato interno. Il potere dovere di amministrare125 si caratterizza per la fonte che può essere sia legale che volontaria: in entrambi i casi la manifestazione di volontà di un soggetto è idonea a determinare modifiche giuridiche nel patrimonio di un altro soggetto; la dottrina ravvisa l’elemento comune ed unificante nel fatto che in entrambi i casi si verifica “la sostituzione di un soggetto ad un altro nello svolgimento di un’attività negoziale di pertinenza del secondo con efficacia diretta sulla sua sfera giuridica”126.
Altra distinzione cui si presta l’amministrazione discende dalla natura ordinaria o straordinaria della stessa che delimita l’ampiezza del potere. Un criterio distintivo era stato proposto dalla dottrina tradizionale
123 Cfr. XXXXXXXX, cit., pp. 251-252 che raggruppa le ipotesi legislative di amministrazione controllata di patrimoni in varie categorie.
124 GRASSETTI, Della patria potestà, in Commentario al Codice civile diretto da X’Xxxxxx, Firenze, 1940, p. 625 ove si precisa che la rappresentanza degli interessi patrimoniali non è tanto una funzione della patria potestà, quanto “il mezzo necessario per compiere la funzione dell’amministrazione”.
125 La nozione di amministrazione si interseca con quella di rappresentanza, ma non coincide con essa: la rappresentanza può infatti estendersi anche a rapporti non patrimoniali cui invece è limitata l’amministrazione e quest’ultima comprende anche atti materiali che possono compiersi senza esercitare il potere di rappresentanza. Cfr. CICU, La filiazione in Trattato di diritto civile diretto da Xxxxxxxx, XXX, Xxxxxx, 0000, p. 371 e PELOSI, La patria potestà, Milano, 1965.
126 Cfr. TAMPONI, cit., p. 123.
e collocava l’atto in una o nell’altra categoria a seconda che la legge richiedesse o meno l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria127, oppure si suggeriva di ricercare il criterio non nella legge ma “nel comune sentimento di amministrazione”128 o ancora in base alle conseguente valutazione del rischio o di pericolo di danno che un atto può produrre su un patrimonio determinato129. Contrariamente a quanto da ultimo affermato si è proposto di differenziare l’atto a seconda della normale funzione per cui il negozio sia stato creato130; la dottrina prevalente ritiene che il criterio non può essere né esclusivamente giuridico né economico in quanto uno stesso negozio può essere di ordinaria o straordinaria amministrazione a seconda dei suoi effetti giuridici. Di conseguenza la distinzione deve essere determinata sulla base della natura dell’atto combinata con un criterio teleologico-economico che consideri il risultato economico che l’atto è chiamato a produrre sul patrimonio131. Si afferma anche che l’appartenenza dell’atto alla categoria dell’ordinaria o della straordinaria amministrazione non dipende dalla sua oggettività, ma dai fini ai quali è diretto132.
Dall’esame delle disposizioni normative non si individua un criterio unitario cui il legislatore si sia ispirato, dettando piuttosto disposizioni contingenti ai singoli uffici. L’interprete dovrà quindi servirsi delle regole di interpretazione per individuare quali atti, oltre
127 F. FERRARA, Gli atti di amministrazione, Filangieri, 1903, p. 1337 e segg.
128 MIRABELLI, I cosiddetti atti di amministrazione, in Scritti giuridici in onore di X. Xxxxxxxx, III, Bologna, 1953, p. 362.
129 XXXXXXXXX, La giurisdizione dell’attività notarile, Xxxx, 0000,
p. 149; XXXXXXXXX, op. cit., p. 368
130 DE ROSA, La tutela degli incapaci, Milano, 1962, p. 88.
131 XXXXXXXX, op. cit., p. 258.
132 XXXXXXXX, voce Amministrazione, in Enciclopedia del diritto, II, Milano, 1958,p. 154.
quelli espressamente previsti dalla legge, debbano essere compiuti previa autorizzazione. Si è suggerito133 di utilizzare quale punto di riferimento per ipotesi non disciplinate, la normativa in materia di amministrazione dei beni degli incapaci sulla quale è possibile modellare altre ipotesi di amministrazione.
Dall’analisi delle regole che disciplinano l’amministrazione di beni altrui in caso di rappresentanza legale si nota che i poteri dell’amministratore sono sì discrezionali, ma non arbitrari tanto che è imposto l’obbligo di cauzione per l’immissione temporanea del soggetto nel possesso del patrimonio dell’assente (art. 50 c.c.) e per il tutore (381 c.c.). Per espressa previsione dell’art. 48 c.c. il curatore dello scomparso può compiere tutti gli atti necessari alla conservazione del patrimonio dello scomparso quindi anche quelli di straordinaria amministrazione che realizzino tale finalità conservativa; in tema di assenza, l’immesso nel possesso temporaneo dei beni non può compiere atti di disposizione o di costituzione di garanzie sui beni amministrati se non per necessità o utilità evidente riconosciuta dal tribunale (art. 54 c.c.): l’autorizzazione del tribunale accompagnata dall’evidente utilità delimita gli atti considerati di straordinaria amministrazione.
Nelle regole di amministrazione del fondo patrimoniale si è già detto che vige la regola del compimento congiunto degli atti di straordinaria amministrazione, integrati dall’autorizzazione del tribunale nell’interesse dei figli minori. L’art. 320 c.c. individua gli atti per il compimento dei quali l’autorizzazione del giudice si somma al consenso congiunto dei coniugi ed alla necessità
133 XXXXXXXX, op. cit., p. 326.
o utilità evidente del compimento dell’atto. Certamente da tale sommaria analisi si può evincere che ogni qualvolta il legislatore richiede l’autorizzazione l’atto deve essere considerato di straordinaria amministrazione. Quanto all’amministrazione del minore in potestà i controlli sono meno rigidi in dipendenza del vincolo parentale esistente tra amministratore ed amministrato; il criterio ermeneutico per garantire la corretta gestione del patrimonio amministrato è racchiuso nell’espressione “diligenza del buon padre di famiglia” di cui all’art. 382 c.c. che poi è la stessa prevista per la diligenza del mandatario (art. 1710 c.c.). La disciplina e la finalità della gestione si individuano attraverso l’enucleazione dei doveri e dei poteri dell’amministratore: egli è tenuto ad amministrare realizzando la conservazione del patrimonio e per raggiungere lo scopo gli è affidato anche un limitato potere di disposizione, mentre per il compimento di particolari atti come quelli di alienazione, scatta il controllo preventivo sottoforma di autorizzazione del giudice.
Quanto agli atti di amministrazione compiuti per fonte volontaria spiccano le norme sul mandato: gli artt. 1708 e 1710 c.c. fissano importanti principi che riguardano sia l’oggetto del potere sia le modalità di esercizio del dovere intese come regole operative dell’attività gestoria. In base al loro combinato disposto infatti si può affermare che il mandatario ha il potere di compiere tutti gli atti preparatori e consequenziali rispetto a quelli dedotti in contratto, nonché quelli il cui compimento è reso obbligatorio dalla legge; il mandato generale non comprende gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione, se non sono indicati espressamente.
Ancora in tema di amministrazione di beni comuni gli artt. 1130, 1131 e 1135 c.c. attribuiscono all’amministratore solo poteri di ordinaria amministrazione. La norma posta dall’art. 1838 c.c. in materia di deposito titoli in amministrazione indica che un ruolo centrale è riservato alla collaborazione del cliente amministrato al quale la banca deve richiedere istruzioni in tempo utile nelle situazioni indicate.
Si riferiscono al concetto di amministrazione di patrimoni altrui con riguardo all’impresa le disposizioni di cui agli artt. 2203 e 2204 c.c. in materia di preposizione institoria la quale consiste in un potere gestorio e rappresentativo generale dunque non riguardante singoli atti, ma tuttavia a tale ampiezza di potere funzionale alla complessità dei rapporti che l’attività imprenditoriale richiede di gestire e la rapidità con cui è necessario farlo, corrisponde un limite che è quello dell’autorizzazione dell’imprenditore per il compimento di atti di straordinaria amministrazione. L’amministratore di società, salvo le limitazioni dell’atto costitutivo o della procura, può compiere tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione purchè rientrino nell’oggetto sociale: l’art. 2256 c.c. infatti prevede che il socio non possa servirsi, senza il consenso degli altri soci, delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società e l’art. 2266 c.c. in tema di rappresentanza della società dispone che la rappresentanza si estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale ed in tema di società per azioni si precisa che il potere-dovere degli amministratori consiste proprio nell’attuazione dell’oggetto sociale (art. 2380bis c.c.); l’art. 2298 c.c. conferma che ha la
rappresentanza della società può compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale compreso l’acquisto di partecipazioni in altre imprese purchè, per la natura e per l’oggetto della partecipazioni non risulti sostanzialmente modificato l’oggetto sociale risultante dallo statuto (art. 2361 c.c.). E’da notare inoltre che in tema di s.p.a. si realizza la scissione tra il potere di gestione e il potere di rappresentanza nel senso che quest’ultimo è generale e le sue limitazioni anche se previste nello statuto e pubblicizzate non possono opporsi a terzi salvo che questi ultimi abbiano agito per procurare un danno intenzionale alla società; nei rapporti interni, invece, la mancanza o l’eccesso di potere o l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale restano rilevanti nei rapporti interni tra la società e l’amministratore (art. 2384 c.c.).
Nella ratio di quest’ultima previsione normativa si individua quindi nella prevalenza affidata alla tutela dei terzi rispetto all’interesse della società a contrastare l’abuso del potere degli amministratori. I limiti posti all’attività dell’amministratore coincidono con il contenuto dell’attività sociale e cosicchè egli può e deve compiere tutti gli atti che si concretizzano in attività sociale, ma anche quelli non compresi nell’oggetto sociale che siano necessari per la sua attuazione134.
In sintesi si può evidenziare come la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione prevista in tema di incapaci non coincide con quella applicabile in tema di poteri attribuiti agli amministratori di società: secondo l’opinione
134 SANDULLI, Rif. Soc. Sandulli – Xxxxxxx, II/1, p. 400.
prevalente135 sono di ordinaria amministrazione gli atti riguardanti l’esercizio dell’impresa e sono atti di straordinaria amministrazione quelli che modificano le caratteristiche della stessa.
Il complesso di regole appena esaminate ci consente una riflessione in ordine alle regole applicabili alle ipotesi di gestione di patrimoni altrui non disciplinate espressamente: in base all’oggetto ed all’assetto di interessi stabilito dalla legge ed alla ratio del regolamento, l’interprete dovrà individuare il nucleo fondamentale attinente alla struttura dello schema legale. Trattandosi di attività rientranti nella rappresentanza volontaria in senso lato il nucleo fondamentale sarà costituito dalle norme previste in tema di mandato e dalle specifiche regole previste dalle parti nel regolamento contrattuale orientando il criterio ermeneutico in base alla migliore realizzazione dell’interesse perseguito dalle parti.
135 FERRI, Delle società, in Commentario Scialoja Branca,Padova, p. 164.
CAPITOLO III
1. Destinazione di beni allo scopo e separazione patrimoniale: una tecnica di tutela per il fiduciante; 1.1. Segue. Destinazione di beni allo scopo e separazione patrimoniale nell’ordinamento; 2. La fattispecie dei patrimoni separati: profili problematici e sistematici; 3. Dal dogma un soggetto un patrimonio al negozio atipico di destinazione; 4. Atto atipico di destinazione: ammissibilità, effetti ed opponibilità; 5. Destinazione patrimoniale e modelli stranieri: trust e fiducie quali omologhi dell’atto negoziale di destinazione?
1. Destinazione di beni allo scopo e separazione patrimoniale: una tecnica di tutela per il fiduciante.
Dall’analisi delle fattispecie esaminate di gestione di patrimoni nell’interesse altrui emerge come le regole di gestione cui il fiduciario deve ottemperare sono orientate nel contenuto dall’interesse del fiduciante e tutelate con le azioni che la legge prevede a tutela del mandante. La qualificazione del momento obbligatorio dell’operazione negoziale fiduciaria quale contratto di mandato se da un lato costituisce una valida base normativa sulla quale ricostruire il contenuto della prestazione che deve essere adempiuta dal fiduciario, dall’altra conduce inevitabilmente con sé i limiti, se non i vuoti, di tutela propri del contratto di mandato. La disciplina prevista dall’ordinamento agli artt. 1705 e segg. del c.c. infatti non è in grado di soddisfare efficacemente l’interesse del fiduciante a recuperare presso terzi il bene oggetto della fiducia di cui il fiduciario abbia infedelmente disposto, né riesce a garantire il fiduciante dalle azioni esecutive che i creditori personali del fiduciario potrebbero vittoriosamente esperire su detti beni.
In caso di disposizione del bene operata in violazione del pactum fiduciae dal fiduciario -proprietario in
conseguenza dell’effetto reale del negozio di trasferimento - la tutela del fiduciante sarebbe affidata all’art. 1707 c.c. che prevede l’opponibilità del pactum fiduciae, solo nel caso di mandato con data certa avente ad oggetto beni mobili e crediti ovvero, nel caso di immobili o mobili registrati, in presenza di una trascrizione dell’atto di ritrasferimento, o della domanda giudiziale, anteriore al pignoramento. A ciò si aggiunga che il vincolo del mandato è parzialmente permeabile dal lato dei creditori del mandante i quali possono agire con l’azione surrogatoria nei confronti del mandatario laddove il mandatario non ritrasferisca al mandante quanto acquistato nel suo interesse.
Ne consegue che la disciplina oggi ritenuta applicabile al negozio fiduciario si dimostra inefficiente per una effettiva ed adeguata tutela degli interessi di cui sono portatori i diversi soggetti incisi dall’operazione negoziale attraverso la quale si attua, nella prospettiva finora descritta, il fine fiduciario.
Da ciò l’esigenza di un’indagine che vada al di là della prospettiva tradizionale utilizzando le tecniche che, specie nei tempi più recenti, hanno arricchito lo strumentario dei giuristi.
1.1. Segue. Destinazione di beni allo scopo e separazione patrimoniale nell’ordinamento.
Quanto si è finora detto rende evidente come il primo problema irrisolto in tema di fiducia sia quello dell’individuazione di uno strumento tecnico idoneo a consentire il risultato di rendere generalmente opponibile ai terzi il vincolo di destinazione dei beni all’attuazione dei fini individuati nel pactum fiduciae, e ciò anche attraverso la costruzione di un’operazione
negoziale risultante da più contratti tra loro collegati, nell’insieme capaci di realizzare una funzione ulteriore a quella perseguibile con ciascuno di loro individualemtne considerato.
In concreto, e con riferimento al problema qui in esame, ciò può a mio avviso attuarsi collegando alla stipulazione del negozio ad effetti reali di trasferimento ed al negozio ad effetti obbligatori costituito dal pactum fiducie, un negozio di destinazione contestuale, la cui trascrizione ex art. 2645ter c.c. consentirà l’effetto della separazione patrimoniale previsto dalla norma e dunque l’opponibilità reale del vincolo di destinazione.
L’operazione negoziale così realizzata aggiungerà infatti alle tutela che la legge prevede in relazione alla causa di mandato, tradizionalmente sottesa al pactum fiduciae un effetto ulteriore che consentirà di opporre il vincolo di destinazione, e l’effetto di separazione ad esso collegato dall’art. 2645ter c.c., alle azioni esecutive dei creditori la cui obbligazione non sia stata contratta nell’interesse della destinazione.
Con la conseguenza che i pignoramenti di data posteriore alla trascrizione del vincolo saranno inefficaci rispetto ai beni che ne costituiscono oggetto.
Si tratta infatti di una tutela non dissimile da quella che il codice civile conosce con riferimento ad altre ipotesi di separazione caratterizzata dalla gestione di un complesso patrimoniale nell’interesse altrui.
Com’è noto ciò avviene nel caso del fondo patrimoniale che è appunto lo strumento tecnico che la legge espressamente configura per destinare una determinata massa patrimoniale al sostentamento dei bisogni della
famiglia e per il quale è dettata una disciplina particolare della responsabilità e della circolazione dei beni136 (artt. 169 e 170 c.c.)137.
Anche in questo caso, peraltro, ci si chiede se la destinazione assuma un rilievo meramente interno o anche esterno comportando un vincolo su beni di natura reale che possa cioè spiegare efficacia, in via generale, anche nei confronti dei terzi138.
Lo stesso avviene in materia di diritto societario, con l’introduzione della riforma in vigore dal 2004, la quale prevede la possibilità di costiture, nei limiti fissati dalla legge, “patrimoni destinati ad uno specifico affare”.
Anche in questo caso la massa patrimoniale che viene costituita ex artt. 2447 bis e segg. è sottratta alla garanzia delle obbligazioni contratte dalla società nell’esercizio della propria attività sociale ed è dedicato a costituire garanzia per una specifica classe di creditori. L’art. 2447quinquies al comma 3 dispone infatti che, salvo diversa disposizione della delibera costitutiva del patrimonio destinato, per le obbligazioni contratte per lo specifico affare la società risponde nei limiti ad esso destinato.
136 Vecchio patrimonio familiare che stabiliva l’inespropriabilità dei soli frutti, inespropriabilità oggi estesa anche ai beni: il secondo comma del soppresso art. 170 del codice civile prevedeva che “L’esecuzione sui frutti dei beni costituenti il patrimonio familiare non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.
137 La maggioranza della dottrina ritiene che la prova della conoscenza dell’estraneità del debito non possa essere posta a carico del creditore v. C.M. XXXXXX, Diritto civile, vol II, rist. Xxxxxx 0000.
138 Sulla considerazione del vincolo derivante dalla costituzione del fondo patrimoniale quale vincolo di natura reale si veda X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 305
Una forma di separazione patrimoniale è stata di recente introdotta per il contratto di rete che sebbene oggi possa esistere anche nella forma entificata, tuttavia può anche prevedere un patrimonio comune in assenza di iscrizione nel registro delle imprese e separare tale patrimonio da quello generale dei singoli soggetti imprenditori partecipanti alla rete.
Lo strumento è poi ampiamente utilizzato dalla legislazione in materia bancaria e finanziaria nella quale si rinvengono altri patrimoni destinati testualmente definiti dal legislatore. L’art. 114quinquies1 del d.lgs. 385/1993 dispone che gli istituti di moneta elettronica investono le somme loro affidate dai clienti per l’emissione di moneta elettronica “in attività che costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’istituto di moneta elettronica”.
Disposizioni analoghe si trovano in riferimento ai fondi comuni di investimento ed ai fondi pensione. L’art. 36
t.u.f. al comma 6 prevede che ciascun fondo comune di investimento o ciascun comparto di uno stesso fondo costituisce patrimonio autonomo distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni contratte per suo conto, il fondo comune di investimento risponde esclusivamente con il proprio patrimonio. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell’interesse della stessa né quelle dei creditori del depositario o del sub-depositario o nell’interesse degli stessi. La società di gestione del risparmio non può in alcun caso utilizzare nell’interesse
proprio o di terzi beni di pertinenza del fondo gestiti. Ancora l’art. 22 t.u.f. rubricato separazione patrimoniale prevede regole analoghe a quelle finora analizzate per gli strumenti finanziari e le somme di pertinenza dei clienti gestite da imprese di investimento, dagli intermediari finanziari iscritti nell’elenco di cui all’art. 106 t.u.b., dalla società di gestione armonizzata salvo disporre la possibilità che, con il solo consenso scritto dei clienti, la s.g.r. la banca o l’intermediario finanziario possano utilizzare nell’interesse proprio o di terzi gli strumenti finanziari di pertinenza dei clienti; l’utilizzo nel proprio interesse da parte di tali soggetti è escluso invece in ogni caso riguardo alle disponibilità liquide degli investitori (art. 22 ult. comma).
Anche questa tutela ha però un limite ai nostri fini rilevante: l’effetto ella separazione è infatti variabile nelle singole ipotesi e non consente la costruzione, neppure in via di interpretazione, di una regola generale unitaria.
La destinazione impressa ai beni costituenti patrimonio separato opera nel senso di non consentire l’esecuzione su di essi da parte dei creditori personali dei coniugi, ma non crea una separazione bilaterale nel senso che, se da un lato i beni oggetto del fondo non rispondono se non delle obbligazioni contratte in ragione del perseguimento dell’interesse cui il fondo è destinato, dall’altro delle obbligazioni contratte rispondono sussidiariamente anche i coniugi con il proprio patrimonio personale. Nel caso dei patrimoni societari destinati ad uno specifico affare invece i creditori della società non possono soddisfarsi sui beni che ne costituiscono oggetto e i creditori in
rapporti sorti per l’attuazione dell’affare non possono soddisfarsi sul patrimonio della società, ma solo su quello destinato: c’è dunque una segregazione bilaterale. Nelle separazioni patrimoniali previste dalle leggi in materia bancaria e finanziaria non c’è separazione rispetto al patrimonio dell’investitore in quanto “le azioni dei creditori dei singoli clienti sono ammesse nei limiti del patrimonio di proprietà di questi ultimi”139 potendo tali creditori personali aggredire, nella forma del pignoramento presso terzi, gli strumenti finanziari o le liquidità detenuti, perché la separazione riguarda solo il patrimonio dell’intermediario140: infatti i creditori del gestore non possono promuovere azioni esecutive su tali beni che sono rendicontati in appositi registri.
2. La fattispecie dei patrimoni separati: profili problematici e sistematici.
Ciò è il riflesso di perduranti incertezze sulla natura e funzione dei patrimoni separati.
Nella sua costruzione tradizionale la categoria dei patrimoni di destinazione era stata elaborata per descrivere l’autonomia funzionale derivante dalla destinazione alla luce della dicotomia soggetto-oggetto: la pandettistica cercava così di dissolvere il disagio del giurista nel descrivere soggettività diverse dall’uomo141, per poi assurgere a surrogato dell’alterità
139 ANNUNZIATA, La responsabilità delle S.I.M. per i danni cagionati alla propria clientela dal promotore finanziario, in Resp. civ., 1997, p. 189 e segg.
140 Cfr. INZITARI, Destinazioni patrimoniali, Trust e patrimoni separati, in DORIA (a cura di), Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, Milano, 2010, p. 190.
141 BRINZ, Xxxxxxxx xxx Xxxxxxxxx, Xxxx X, Xxxxxxxx, 0000, par. 59 e 222, descrive patrimoni senza soggetto; in Italia x. XXXXXXX, La personalità giuridica dei beni in liquidazione giudiziale, in Riv.
giuridica o a espressione della non necessità del titolare142. La destinazione si pone infatti quale fattore incidente sulla disciplina dei beni offuscando talvolta il rilievo della titolarità di essi facendo emergere, accanto alla relazione beni-soggetto titolare, la relazione beni-attività143.
Rispetto ai dati normativi che si sono evidenziati nel paragrafo precedente e parte dei quali già esistenti nella legislazione ante t.u.f., la dottrina144 rispondeva riproponendo la tradizionale alternativa tra una concezione oggettivistica facente leva sull’autonomia patrimoniale della massa dei beni, e una concezione soggettivistica che, al fine di trovare un centro di imputazione del patrimonio, ricorre alla nozione di soggettività giuridica145.
It. Sc. Giur., vol. VI, fasc. II e vol VII fasc. I e II, 1889, 1 e segg; ID. La teoria della persona giuridica, in Riv. Dir. Civ., 1910, p. 445 e segg.
142 Si fa riferimento alla categoria dei patrimoni senza soggetto costruita dalla dottrina tedesca ripresa dalla dottrina italiana in particolare in un saggio di X. XXXXXXXX, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto. Linee di una vicenda concettuale, in Jus, 1960, p.
149 e segg.
143 L’intuizione si deve a X. XXXX, L’esperienza privatistica, in Atti dei Lincei del convegno sul tema: i principi generali del diritto (Roma 27-29 maggio 1991) Roma 1992, 235 e ora Sui principi generali del diritto privato, in Le ragioni del diritto. Scritti in onore di
X. Xxxxxxx, III, Milano, 1995, 2040: “rilevanza giuridica assume non solo il collegamento tra il bene e il soggetto ma il collegamento tra bene ed atto (o attività) attraverso il quale si determina anche un collegamento funzionale tra beni e si realizza la destinazione o una destinazione concreta del bene”. Altro profilo di collegamento tra beni e attività si trova nell’opera di X. XXXX, Articolazioni dell’iniziativa economica e unità dell’imputazione giuridica, Napoli, 1985.
144 Cfr. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit.
p. 86; X. XXXX, Il patrimonio separato, Padova, 1950, 25 il quale considera la dote ed il patrimonio familiare come ipotesi di patrimoni separati; XXXXXXX, I patrimoni separati, Bari, 1940, p. 15.
145 Il rilievo è operato da M. BIANCA, op. cit., p. 13 nota 7, la quale osserva che “l’oscillazione tra la formula oggettivistica del patrimonio separato od autonomo e la formula della soggettività
Le soluzioni teoriche proposte sono varie e differenziate ma in esse può riscontrarsi il dato unificante dell’elemento teleologico della destinazione del patrimonio146 la quale si risolve però in una formula generica, descrittiva ma che non è correlata a specifici effetti giuridici che la destinazione comporta147. Peraltro la varietà delle soluzioni concettuali non si riconduce ad unità neppure quando si proceda all’analisi di settore piuttosto che volgendo l’attenzione al fenomeno generale della destinazione. Difatti, a fronte della formula patrimonio distinto o autonomo utilizzato dal legislatore nelle varie legge sui fondi comuni di investimento, in mancanza di indicazioni circa la titolarità dei fondi, parte della dottrina ha fatto ricorso alla nozione di patrimonio separato148 o di destinazione ipotizzando il trasferimento della proprietà in capo alla società di gestione e la separazione del fondo rispetto al restante patrimonio della società149.
giuridica ha caratterizzato in passato il percorso della dottrina nell’analisi di istituti scomparsi dal sistema normativo o che hanno ricevuto una precisa collocazione sul piano del diritto effettivo”.
146 Il dato è evidenziato da M. BIANCA, op. ult. cit., p. 9.
147 La dottrina, riguardo all’analisi dei vincoli di destinazione, mette in evidenza l’impossibilità di ricondurre il fenomeno ad una matrice unitaria, cfr. DE NOVA, Il principio di unità della successione e la destinazione dei beni alla produzione agricola, in Ric. Dir. Agr., 1979, 550 e segg.; ALPA, Destinazione dei beni e struttura della proprietà, in Riv. Not., 1983, I, 6; X. XXXX, op. ult. cit., p. 38.
148 Cfr. XXXXXXXX, Relazione, in I fondi comuni di investimento nella l. 77/1983, 226.
149 XXXXXXXX, Il patrimonio separato nella disciplina dei fondi comuni di investimento, cit., p. 85-90 il quale afferma la titolarità del fondo in capo alla società di gestione sotto forma di proprietà fiduciaria, intesa come fenomeno indipendente ed autonomo rispetto alla problematica dell’ammissibilità nel nostro ordinamento del negozio fiduciario; l’A., pur riconoscendo la titolarità in capo alla società di gestione, rileva la preminenza della disciplina relativa all’indipendenza del fondo, che si pone a prescindere dall’imputazione ad un titolare. XXXXXXX, Diritto civile e
Diversa soluzione è quella che richiama la figura della comunione a mani unite di diritto germanico150, oppure ci si riferisce alla comunione dei partecipanti151 o si fa ricorso alla nozione di proprietà temporanea152 per giustificare il pieno potere di disposizione di cui gode la società di gestione153, sino ad arrivare al richiamo della nozione di proprietà fiduciaria evocando la figura del trust154.
commerciale, vol. III, tomo II, cit. 146 qualifica il fondo quale patrimonio separato dal patrimonio del gestore.
150 F. FERRARA, Tracce della comunione del diritto germanico nel diritto italiano, in Riv. Dir. Civ., 1909, p. 498 e segg. definisce il patrimonio della gestammte Hand quale un patrimonio di affettazione “chiuso e delimitato all’esterno al servizio del gruppo collettivo”; l’Autore inoltre distingue l’istituto della comunione a mani unite dalle persone giuridiche affermando che mentre nella corporazione si ha la nascita di un nuovo soggetto, con la comunione si ha la nascita di un semplice rapporto giuridico; M. BIANCA, op. cit., p. 12 (nota 18) evidenzia come “il concetto di Gesamthand nell’elaborazione dottrinale tedesca è stato sempre caratterizzato da dubbi in ordine alla collocazione della stessa nell’ambito dei soggetti o degli oggetti di diritto”.
151 In questo senso x. XXXXX, Commento all’art. 3 della legge 23 marzo 1983, n. 77, in Le nuove leggi civ. comm., 1984, p. 407; DE MARTINI, Proprietà e disponibilità dei beni negli investimenti comuni, nel leasing, nella multiproprietà, Padova, 1988, 125 e segg.
152 NATUCCI, La tipicità dei diritti reali, II, Padova, 1985, 69 e segg. sottolinea che il vero problema della proprietà temporanea è quello in ordine all’ammissibilità di una proprietà temporanea di origine convenzionale; tale schema della proprietà temporanea si è utilizzato anche per descrivere la peculiarità della proprietà fiduciaria: X. XXXXXXX, Trust e fiducia, in Xxxxxxxxx e impresa, 1995, p. 976. In generale in dottrina sull’ammissibilità della proprietà temporanea x. XXXXXXXX, Manuale di Diritto civile e commerciale, II, Milano, 1965, p. 323 e segg.; X. XXXXXX, La proprietà, Appunti delle lezioni, I, Milano, 1980, 203; DI XXXXXX, La proprietà temporanea, Napoli, 1979; XXXXXXXXXX, Introduzione alla problematica della “proprietà”, Napoli, 1971, 8; X. XXXXXX’, Proprietà (diritto vigente), in Nov. Dig. It., XIV, Torino, 1967, p. 99.
153 In questo senso v. LANZIO, Società di gestione di fondi comuni di investimento mobiliare, in Noviss. Dig. It., Appendice, Torino, 1987, 380; contra X. XXXXXXX, cit., p. 144.
154 In un momento precedente all’introduzione delle varie tipologie dei fondi comuni di investimento la dottrina italiana aveva anticipato la necessità di individuare strumenti tecnici idonei alla
Nella ricerca di una soluzione del conflitto circa l’attribuzione della titolarità ai partecipanti o alla società di gestione, altra parte della dottrina sceglie di legittimare l’autonomia funzionale dei beni destinati all’investimento riconoscendo al fondo soggettività giuridica155 sotto la veste della fondazione non riconosciuta156 o dell’associazione non riconosciuta157.
Inoltre si sottolinea come l’ambigua formula omnicomprensiva di patrimonio di destinazione separato ed autonomo utilizzato proprio nella disciplina dei fondi pensione abbia posto l’ulteriore problema per l’interprete di delimitare il significato delle categorie giuridiche utilizzate in maniera non rigorosa dal legislatore che parla indistintamente di patrimonio separato, distinto o destinato.
A prescindere dall’utilizzazione di formule differenziate per descrivere singole tipologie di destinazione del patrimonio, attenta dottrina evidenzia come precipuamente rilevante sia l’analisi della disciplina positiva158. Pur nella pluralità degli strumenti emersi dall’analisi delle discipline positive presenti nell’ordinamento, si osserva
realizzazione dell’isolamento delle masse patrimoniali destinate all’investimento richiamando l’investment trust, cfr. ARGENZIANO, L’investment trust, Milano, 1952, p. 25; ASCARELLI, Investment Trust, in Banca e borsa, 1954, I, 178 e segg.; XXXXXXXX, Holding e investment trust Milano, 1959; X. XXXXXXXXX, Fondi comuni di investimento in diritto comparato, in Dig. Disc. Priv., sez. comm., VI, Torino, 1991, 237 e segg.
155 Si tratta di una soluzione contestata in particolare da XXXXXXX, op. ult. cit., 154 il quale esclude la soggettività del fondo in base al rilievo che nessuno, nemmeno la società di gestione è abilitata ad agire in nome del fondo stesso.
156 V. R. COSTI, La struttura dei fondi comuni di investimento nell’ordinamento giuridico italiano e nello schema di riforma delle società commerciali, in Riv. Soc., 1968, p. 285 e segg.
157 X. XXXXX, I fondi comuni di investimento mobiliare: struttura e natura giuridica, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1969, p. 1558 3 segg.
158 Il riferimento è a M. BIANCA, op. cit., p. 28.
il dato comune della predisposizione di una serie di regole che comportano una limitazione o frammentazione della responsabilità patrimoniale in deroga al principio di universalità della stessa ed implicano diversi regimi di inalienabilità in deroga al principio di libera circolazione dei beni, oltre ad implicare specifiche regole di gestione159. Emerge inoltre che la combinazione delle discipline di inalienabilità ed insequestrabilità dei beni destinati è subordinata al perseguimento degli interessi sottesi alle distinte destinazioni che attraverso i vari strumenti si tende a realizzare. Così nell’ipotesi di destinazione volte principalmente alla conservazione della massa patrimoniale prevalgono le regole di insequestrabilità, correlate a parziale indisponibilità nonché a limitazioni del potere di gestione160; diversamente, nelle destinazioni in cui prevale il profilo dell’investimento il nucleo centrale della disciplina è nelle regole di gestione cui si correlano le regole concernenti il potere di disposizione nonché profili di limitazione della responsabilità patrimoniale161.
Dette caratteristiche si riscontrano costantemente in ogni disposizione normativa che introduca una destinazione patrimoniale lasciando emergere l’incidenza
159 La prospettiva soggettivistica prevalente in passato aveva determinato la mancata inclusione del patrimonio separato negli studi sulle limitazioni della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 comma 2 c.c. in parte dovuta ad incertezza sulla nozione stessa di patrimonio separato, cfr. X. XXXXXX, op. ult. cit.
160 Il tratto è caratteristico del fondo patrimoniale.
161 M. BIANCA, op. cit., p. 29 precisa che la gestione dei beni caratterizza anche le destinazioni c.d. conservative che si possono contrapporre a quelle ipotesi normative in cui la gestione di valori sia finalizzata all’incremento degli stessi attraverso operazioni collettive di investimento e disinvestimento come avviene per i fondi comuni di investimento e per i patrimoni gestiti da società di intermediazione mobiliare.
della rilevanza del vincolo sul regime giuridico dei beni che ne costituiscono oggetto creando lo spazio per attribuire “valenza sistematica unitaria all’assoggettamento di una massa di beni ad una destinazione particolare”162.
La dottrina appena citata che si è specificamente occupata dell’esame dei patrimoni separati al fine di comprendere se possa trattarsi di una categoria concettuale dotata di autonoma valenza in termini di disciplina, è univocamente orientata verso una risposta positiva al quesito, al fine di rintracciare l’utilità della categoria. Si è messo in evidenza come la separazione patrimoniale sia tecnica giuridica che incide sul principio di indivisibilità del patrimonio senza ricorrere alla tecnica della duplicazione soggettiva163; inoltre, nel variegato ed indistinto panorama delle varie tipologie di destinazione di beni, emerge il ruolo autonomo della separazione del patrimonio quale tecnica di specializzazione della responsabilità dei beni destinati, in deroga al principio della illimitata responsabilità patrimoniale espresso dal primo comma dell’articolo 2740 c.c.
Emerge dunque che un elemento caratterizzante della categoria dei patrimoni separati è che una parte del patrimonio non risponde di tutte le obbligazioni del titolare, ma solo di quelle qualificate dalla relazione
162 Testualmente ancora M. BIANCA, op. cit., VIII.
163 M. BIANCA,op. ult. cit., p. XI, rileva che “emerge allora in tutta la sua concretezza la divaricazione tra un profilo funzionale che accumuna le varie tecniche giuridiche della specializzazione della responsabilità patrimoniale e un profilo strutturale che, viceversa, assegna alla categoria dei patrimoni separati un ruolo autonomo nel sistema, da equiparare solo in linea funzionale alle altre tecniche, quale la duplicazione della responsabilità derivante dalla duplicazione soggettiva”.
con la particolare destinazione cui questa parte del patrimonio è stata sottoposta. Si è osservato che in tali casi il vincolo di destinazione si risolve effettivamente in separazione poiché “individua sul piano tecnico la peculiare disciplina della responsabilità di due masse patrimoniali appartenenti ad un unico titolare ma aventi ciascuna vocazione al soddisfacimento di interessi diversi giuridicamente formalizzati164”, cogliendone così un dato non meramente descrittivo ma tecnico. Pertanto il fondo patrimoniale risponde delle sole obbligazioni contratte per i bisogni della famiglia i quali esprimono la speciale destinazione cui è sottoposto tale complesso di beni. Analoghe considerazioni possono farsi per i fondi comuni investimento ove i creditori della società di gestione e dei singoli partecipanti non possono compiere azioni esecutive sul fono, esclusa la quota di partecipazione del singolo cliente: tali fondi non rispondono delle obbligazioni estranee all’investimento (art. 36 comma 6 t.u.f.). In questo senso la destinazione all’investimento determina una speciale regola della responsabilità patrimoniale che, in mancanza della specifica destinazione, sarebbe universale. Anche in questo caso, analogamente al fondo patrimoniale, la disciplina non riguarda il profilo dell’imputazione, ma piuttosto la circolazione e la responsabilità dei beni. Situazione analoga si verifica per le società fiduciarie per le quali la legge prevede la specifica separazione patrimoniale dei beni di pertinenza dei clienti che costituiscono patrimonio separato da quello della società e sui quali i suoi creditori non possono procedere
164 Xxx X. XXXXXX, op. cit., p. 181.