del contratto a termine
Le modifiche al contratto a termine e la fase transitoria
16 ottobre 2018
Xxxxxx Xxxxxxxx
La durata del contratto a termine: origine normativa
Art. 2097 cod. civ. (abrogato dall’art. 9, legge n. 230/62)
Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o da atto scritto.
Non vi è alcun limite massimo
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L’elemento causale nel tempo
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Articolo 2097 c.c.: la stipulazione del contratto a termine è consentita in ogni caso, non essendo necessaria la sussistenza di una causale |
Legge n. 230/62: la stipulazione del contratto a termine è consentita solamente nelle ipotesi ivi tassativamente previste, con un termine non superiore a cinque anni nei confronti dei dirigenti amministrativi e tecnici, i quali possono, comunque, recedere trascorso un triennio ai sensi dell'art. 2118 c.c. Dir. 99/70/CE: relega al ruolo di eccezione il contratto a tempo determinato, disponendo che la forma comune del rapporto di lavoro è rappresentata dal contratto a tempo indeterminato Tale direttiva stabilisce le modalità per mantenere siffatto rapporto «regola-eccezione», al fine di prevenire un abuso nella successione dei contratti a termine. Una delle modalità suggerite, ma non l’unica, è costituita dalla necessaria sussistenza di ragioni oggettive che giustifichino il rinnovo di un contratto a tempo determinato; viene tuttavia prevista, in concorso o in alternativa oppure in aggiunta, anche la possibilità di introdurre una durata massima totale dei contratti a termine e dei rapporti di lavoro successivi oppure un numero massimo dei rinnovi. |
D.Lgs. n. 368/01: la stipulazione del contratto a termine è consentita solamente a fronte di «ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo», ed è prevista una durata massima di 36 mesi esclusivamente in caso di proroga |
Legge n. 133/08: le causali di cui al D.Lgs. 368/01 possono riferirsi anche «alla ordinaria attività del datore di lavoro» |
Legge n. 92/12: le causali di cui al D.Lgs. 368/01 non sono necessarie per la stipula del primo contratto a termine, non superiore a 12 mesi, «per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione» |
Legge n. 76/13: in caso di primo contratto a termine «per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione», la durata di tale contratto non può essere superiore a 12 mesi «comprensiva di eventuale proroga», ampliando altresì la possibilità per le parti sociali di prevedere ipotesi di a-causalità dei contratti a termine. |
Successione di contratti a termine.
La disciplina del c.d. «stop&go»
Il D.Lgs. n. 368/01 ha previsto la possibilità che il lavoratore, dopo la scadenza del termine apposto al contratto, venisse riassunto dallo stesso datore di lavoro.
In questi casi:
a) se la riassunzione avveniva senza il rispetto di certi intervalli (10 o 20 gg. dalla scadenza di un contratto a termine di durata rispettivamente inferiore o superiore a sei mesi), il secondo contratto si considerava a tempo indeterminato.
N.B.: tale disposizione è stata confermata dal X.Xxx. 81/2015 e dal D.Lgs 87/2018 c.d. «Decreto Dignità»
b) se invece si trattava di due assunzioni a termine senza soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considerava a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.
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La rivoluzione copernicana del c.d. «Decreto Poletti»
L’art. 1, comma 1, del D.L. n. 34/14, c.d. «Decreto Poletti» convertito in legge n. 78/14, ha introdotto l’«acausalità» generalizzata nel contratto a termine:
tale possibilità è stata generalizzata, poiché non più riferita solamente al
«primo contratto» tra datore di lavoro e lavoratore;
il contratto a termine poteva essere stipulato sempre in forma
«acausale», ossia senza alcuna necessità di essere sorretto da ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che avevano sin lì costituito il fondamento della legittimità del contratto a termine stipulato;
il contratto a termine veniva sostanzialmente parificato al contratto a tempo indeterminato (che rimane comunque «la forma comune di rapporto di lavoro» ex art. 1, comma 01, D.Lgs. 368/01), sia pure nel limite temporale di 36 mesi e con il tetto massimo del 20% della forza lavoro
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Il contratto a termine nel Jobs Act
Il D.Lgs. 81/2015 non ha apportato sostanziali modifiche alla
disciplina del contratto a termine.
L’art. 55, comma 1, lett. b), D.Lgs. 81/2015 abroga interamente il D.Lgs. 368/2001 in un’ottica di semplificazione e consolidamento delle disposizioni che regolano tale forma contrattuale.
Il Capo III (artt. 19-29) del D.Lgs. 81/2015, oggi modificato dal
c.d. Decreto Dignità, rappresenta, pertanto, l’unica fonte
normativa del contratto a termine.
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Le novità più significative del D.Lgs. 81/2015
Esclusione esplicita della sanzione della trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti a termine stipulati in violazione del limite percentuale del 20% (art. 23, comma 4);
possibilità non solo attraverso contratti collettivi nazionali, ma anche attraverso contratti collettivi di livello aziendale (purché stipulati dalle RSU ovvero dalle RSA nominate dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale), di individuare un limite percentuale superiore a quello del 20% (art. 23, comma 1);
previsione che nel caso di inizio dell’attività in corso d’anno, il limite
percentuale del 20% si computa sui lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell’assunzione (e non già sui lavoratori in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione) (art. 23, comma 1);
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segue…
previsione che l’eventuale ulteriore contratto a termine, stipulato (presso l’Ispettorato territoriale del lavoro) al termine di un rapporto di lavoro a tempo determinato che abbia raggiunto la durata massima di 36 mesi, possa avere una durata massima di 12 mesi (art. 19, comma 3).
in caso di conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, l’indennità onnicomprensiva riconosciuta al lavoratore (nella misura, invariata rispetto alla normativa previgente, compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto) ristora per intero il pregiudizio subito, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo tra la scadenza del termine e la pronuncia del giudice (art. 28, comma 2);
nel caso di sesta proroga di un contratto a termine (in violazione, quindi,
del limite di cinque proroghe, che viene confermato), il contratto si considera a tempo indeterminato a decorrere dalla data di decorrenza della sesta proroga (art. 21, comma 1).
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Il c.d. «Decreto Dignità»
Il D.L. 87/2018 ha segnato un ritorno al passato:
ha innanzitutto ridotto il termine massimo di durata del contratto a tempo determinato da 36 a 24 mesi;
ha reintrodotto l’istituto delle causali giustificatrici, fatto salva la possibilità di stipulare un primo contratto a tempo determinato “acausale”, purché di durata non superiore a 12 mesi;
ha prescritto che, in caso di rinnovo o proroghe, le ragioni debbano essere sempre indicate per iscritto;
ha ridotto complessivamente a 4 il numero di proroghe possibili;
ha allungato il termine per l’impugnazione stragiudiziale del contratto, che passa dai precedenti 120 agli attuali 180 giorni dalla cessazione del rapporto
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segue…
fermo il limite percentuale disposto dall’art. 23 e salva diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore, ha previsto che il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere complessivamente il 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei predetti contratti.
Nel caso di inizio di attività nel corso dell’anno, tale limite percentuale si
computa sul numero di lavoratori a tempo indeterminato in forza al
momento della stipulazione del contratto di somministrazione di lavoro.
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Le causali
Fermo il limite massimo dei 24 mesi, qualora si intenda stipulare un contratto a tempo determinato della durata superiore a 12 mesi dovrà ricorrere almeno una delle seguenti condizioni:
esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria
attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori;
esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
NB: è fatta eccezione per i contratti relativi alle attività stagionali, i quali continuano a beneficiare di una «acausalità» generalizzata (cfr. art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015)
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Il regime transitorio
Ai contratti a tempo determinato stipulati prima del 14 luglio 2018 si applicano le regole del D.Lgs. 81/2015 (durata massima 36 mesi/ nessun obbligo di causale).
I contratti a tempo determinato stipulati successivamente al 14 luglio 2018 possono essere senza causale fino a 12 mesi di durata. Oltre questo limite (e comunque nel termine massimo di 24 mesi), è necessaria l’indicazione della causale.
Le proroghe e i rinnovi che sono intervenuti tra la data di entrata in vigore del decreto legge (14 luglio 2018) e la data di entrata in vigore della legge di conversione (11 agosto 2018) sono disciplinati dal DL 87/2018 (necessità della causale in caso di rinnovo / acausalità in caso di proroga che non determini il superamento del termine di 12 mesi).
Le proroghe e i rinnovi che siano intervenuti o interverranno tra l’11 agosto 2018 ed il 31 ottobre 2018 sono soggetti alla disciplina contenuti nel c.d. Jobs Act nella sua «originaria» formulazione.
Le proroghe e i rinnovi che interverranno a decorrere dal 1° novembre 2018 saranno disciplinati dalle «nuove» previsioni normative contenute nel Decreto Dignità, così come modificato e/o integrato dalla legge di conversione 96/2018.
La piena applicazione del c.d. Decreto Dignità scatterà dunque dal 1° novembre 2018.
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