SEzIoNE IV
71. [Effetti della revocazione] (1)
(1) Articolo abrogato dall’art. 56, c. 1, d.lgs. 9.1.2006, n. 5, a decorrere dal 16.7.2006.
SEzIoNE IV
DEGLI EFFETTI DEL FALLIMENTO SUI RAPPORTI GIURIDICI PREESISTENTI
72. Rapporti pendenti (1)
[1] Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il falli- mento, l’esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della pre- sente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto (2).
[2] Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.
[3] La disposizione di cui al primo comma si applica anche al contratto preliminare salvo quanto previsto nell’articolo 72-bis.
[4] In caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risar- cimento del danno (3).
[5] L’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del cura- tore, fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda; se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V.
[6] Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento.
[7] In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobi- liare trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all’articolo 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preli- minare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di falli- mento (4).
[8] Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire
l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente (5).
(1) Articolo modificato dall’art. 3, c. 6, d.l. 31.12.1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla l. 28.2.1997, n. 30 e, successivamente, così sostituito dall’art. 57, c. 1, d.lgs. 9.1.2006, n. 5, a decorrere dal 16.7.2006.
(2) Comma così modificato dall’art. 4, c. 6, lett. a), d.lgs. 12.9.2007, n. 169, a decorrere dall’1.1.2008.
(3) Comma così modificato dall’art. 4, c. 6, lett. b), d.lgs. 12.9.2007, n. 169, a decorrere dall’1.1.2008.
(4) Comma così sostituito dall’art. 4, c. 6, lett. c), d.lgs. 12.9.2007, n. 169, a decorrere dall’1.1.2008.
(5) Comma aggiunto dall’art. 4, c. 6, lett. c), d.lgs. 12.9.2007, n. 169, a decorrere dall’1.1.2008 e, successivamente, così modificato dall’art. 33, c. 1, lett. a-ter), d.l. 22.6.2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 7.8.2012, n. 134; per l’applicazione di tale disposizione, vedi l’art. 33,
c. 3 del medesimo d.l. n. 83/2012.
Sommario: I. I rapporti pendenti in generale. Premessa - II. Il problema dei rapporti giu- ridici pendenti - III. I precedenti legislativi. Il codice di commercio del 1882 - IV. La c.d. “Legge fallimentare” del 1942 - V. La c.d. “riforma organica” della legge fallimentare del 2006 - VI. Il c.d. “Decreto correttivo” del 2007 - VII. La nozione di rapporto giuridico pre- esistente - VIII. L’attuale sistema delle norme sui rapporti pendenti - IX. La regola generale relativa alla sorte dei rapporti giuridici preesistenti - X. I presupposti per l’applicazione della regola generale - XI. L’avvenuto trasferimento del diritto reale da limite dell’applica- bilità di una specifica regola dettata in caso di fallimento del venditore a limite dell’appli- cabilità della regola generale del c. 1 dell’art. 72 - XII. La sospensione dell’esecuzione dei contratti - XIII. La messa in mora del curatore - XIV. L’autorizzazione al subentro o allo scioglimento del contratto - XV. La scelta del subentro nel contratto. Effetti - XVI. La scelta dello scioglimento dal contratto. Effetti - XVII. L’azione post-fallimentare di risoluzione del contratto per inadempimento - XVIII. L’azione di risoluzione del contratto per inadem- pimento proposta prima del fallimento - XIX. I rapporti pendenti e l’esercizio provvisorio dell’impresa - XX. L’estensione della regola generale ai contratti preliminari - XXI. Effetti del fallimento sui contratti preliminari di vendita immobiliare trascritti - XXII. Preliminare di compravendita di immobile destinato ad abitazione del promissario acquirente o di suoi parenti ed affini - XXIII. Preliminare di compravendita di immobile ad uso non abitativo destinato a sede principale dell’attività d’impresa.
I. I rapporti pendenti in generale. Premessa
Le regole che governano la sorte dei contratti in corso di esecuzione alla data della 1 dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale sono raggruppate essenzial- mente negli artt. da 72 a 83-bis. Norme ulteriori sono sparse in altre sedi, quali quelle
che regolano l’incidenza del fallimento sui contratti individuali di lavoro (artt. 2119 c.c.), sui contratti di società (artt. 2288, c. 1, c.c.; 2308, c.c.; 2448, ult. c., c.c., nel testo anteriore alla riforma societaria) e sulla rendita perpetua e vitalizia collocate nell’art. 60 della stessa legge fallimentare. L’ambito di applicazione di tali regole, per il rinvio in blocco effettuato dalla disposizione del c. 1 dell’art. 201, si estendeva, e si estende anche dopo la riforma organica della legge fallimentare, alla procedura di liquidazione coatta amministrativa. L’art. 201, infatti, dispone che le disposizioni sui rapporti
pendenti in caso di fallimento regolano pure i rapporti pendenti alla data del provvedi- mento che ordina la liquidazione dell’impresa insolvente, “sostituiti nei poteri del tribu- nale e del giudice delegato l’autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione, nei poteri del curatore il commissario liquidatore e in quelli del comitato dei creditori il comitato di sorveglianza”. Naturalmente spetta ai commentatori di questo articolo nella sede propria determinare i limiti entro i quali gli organi del fallimento potranno essere surrogati dall’autorità amministrativa che nella liquidazione coatta vigila sulla liquida- zione. Questo quadro di riferimenti normativi, risalente alla data di emanazione della legge fallimentare, si è arricchito di nuove disposizioni in materia a seguito dell’intro- duzione degli artt. 50 e 51, d.lgs. 8.7.1999, n. 270 (“Nuova disciplina dell’amministra- zione straordinaria delle imprese in stato di insolvenza”). Le quali, superando il modello di disciplina del fallimento - apparso ben presto assolutamente inadeguato alla regola- mentazione di contratti in corso alla data di una procedura che, a differenza del falli- mento, era stata concepita in funzione della continuazione e conservazione dell’attività delle imprese in crisi - hanno ricondotto gli effetti della procedura di amministrazione straordinaria sui rapporti pendenti ad una regola generale la quale, piuttosto che preve- dere come nel fallimento l’arresto provvisorio dei contratti in corso, ne ha previsto la continuazione dell’esecuzione, riservando al commissario straordinario il compito di selezionare i rapporti ritenuti funzionali all’attuazione del programma conservativo adottato, subentrare in essi e sciogliersi invece da quelli non rispondenti a tali requisiti. L’applicazione delle nuove regole, coerentemente, è stata esclusa per i contratti di lavoro subordinato e di locazione di immobili nel caso di assoggettamento ad ammini- strazione straordinaria del locatore. Un ulteriore passo in avanti sulla stessa strada aperta dalla nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria è stato fatto dal legisla- tore della riforma c.d. “organica” della legge fallimentare, introdotta dal d.lgs. 9.1.2006,
n. 5. Il testo storico della legge fallimentare del 1942, pur prevedendo la possibilità dell’esercizio provvisorio dell’impresa, non conteneva alcuna disposizione sulla sorte del contratti pendenti inerenti la continuazione dell’attività con conseguente grave incertezza sull’assoggettabilità di essi alle regole degli artt. 72 ss. A colmare la grave lacuna ha provveduto appunto il legislatore della riforma, il quale, oltre a modificare profondamente il corpus normativo di cui agli artt. 72-83-bis, con la norma del c. 8 dell’art. 104, ha disposto che “durante l’esercizio provvisorio i contratti pendenti prose- guono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli”, avendo ritenuto con tutta evidenza che la continuazione dell’esercizio dell’impresa a fallimento dichiarato richiedesse una regolamentazione dei contratti in corso di esecuzione ana- loga a quella prevista per la prosecuzione dell’attività d’impresa nella procedura di amministrazione straordinaria. L’attenzione sulla sorte dei contratti pendenti nelle pro- cedure concorsuali si è accentuata di parecchio negli ultimi mesi, dando luogo alla recentissima introduzione per la prima volta di una regolamentazione di tale categoria di contratti nel concordato preventivo, il trattamento dei quali, prima, era affidato con esito incerto unicamente all’opinione degli interpreti, seppure questa fosse orientata prevalentemente nel senso che il concordato non influisse sui rapporti in corso e che quindi questi dovessero proseguire ed essere eseguiti in conformità al principio pacta sunt servanda. Le nuovissime disposizioni, ispirate dall’esigenza di agevolare ulterior- mente il risanamento ed il rilancio delle imprese in crisi con interventi sugli istituti
chiave attualmente vigenti, non potevano non preoccuparsi di fare chiarezza sul punto e di adottare norme che affidassero alla controllata discrezione degli organi direttivi della procedura di concordato preventivo la continuazione o lo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione. Da qui l’art. 33, d.l. 22.6.2012, n. 83 (“Misure urgenti per la cre- scita del Paese”), recante la rubrica “Revisione della legge fallimentare per favorire la continuità aziendale”, che con la disposizione di cui alla lett. d) ha inserito dopo l’art. 169, il nuovo art. 169-bis, secondo cui il debitore può chiedere al tribunale o, dopo il decreto di ammissione, al giudice delegato di essere autorizzato a sciogliersi dai con- tratti in corso alla data di presentazione del ricorso per concordato preventivo oppure a sospenderne l’esecuzione per non più di sessanta giorni, prorogabili per una sola volta. Ciò in attuazione dell’intenzione del legislatore, manifestata nella sua Relazione illu- strativa, secondo cui “con la lettera d) dell’articolo si introduce nel sistema del concor- dato preventivo una disciplina dei contratti in corso di esecuzione, finora assente. In particolare si prevede che, previa autorizzazione del tribunale, il debitore può sciogliersi dai contratti in corso qualora ciò facilita la risoluzione della crisi: è tipico il caso in cui l’imprenditore in crisi si espone a maggiori costi rispettando l’impegno negoziale assunto che non sottraendosi ad esso e risarcendo la controparte per i danni subiti”. Evidentemente ispirandosi alla scelta già adottata con l’art. 50, n. 4, d.lgs. n. 270/1999 in materia di amministrazione straordinaria, anche per il concordato preventivo, il legi- slatore con la norma dell’art. 169-bis, ult. c., ha disposto che le nuove regole «non si applicano ai rapporti di lavoro subordinato nonché ai contratti di cui agli artt. 72, c. 8, 72-ter e 80, c. 1», che, quindi, continuano. Quale contropartita del pregiudizio subito, al contraente in bonis è riconosciuto il diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento del debitore concordatario, da soddi- sfare secondo le regole del concorso. Il legislatore è andato oltre con la l. 7.8.2012,
n. 134, che, convertendo, con modificazioni, il d.l. n. 83 del 2012, ha aggiunto il c. 8 dell’art. 72, un inciso che, in deroga alla regola generale del c. 1 dello stesso articolo, ha previsto la continuazione automatica del preliminare di acquisto di immobile ad uso non abitativo da destinare a sede principale dell’impresa del promissario acqui- rente, così come la prima parte dello stesso xxxxx aveva già previsto analogo benefi- cio a favore del promissario acquirente di immobile ad uso abitativo destinato ad abitazione principale del contraente. Si provvederà qui di seguito al commento di questa nuova disposizione. Si rinviano, invece, al commento del nuovo art. 169-bis, gli appro- fondimenti della nuova disciplina in materia di concordato preventivo, avendone qui fatto un rapido cenno al solo fine di valutare al meglio la disciplina dei contratti pen- denti nel fallimento, contenuta negli artt. 72-83-bis, vista nel più ampio quadro del loro trattamento nelle procedure concorsuali. Nel prosieguo, pertanto, si procederà unica- mente al commento delle norme relative agli effetti che sui contratti pendenti produce la dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti.
La Sezione IV, Capo III, Titolo II, della legge fallimentare del 1942, comprendente 2 gli artt. da 72 a 83-bis, è intitolata “Degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti” e di significato analogo è la rubrica “Rapporti pendenti” che apre l’art. 72.
Si tratta di una “definizione per rubrica” [Tarello (118), 207], ricorrente nei casi in cui, come in questi, l’espressione in rubrica è seguita dalla descrizione della fattispecie
regolata, sicché è dall’analisi di quest’ultima che è possibile ricavare il significato delle espressioni “rapporti giuridici preesistenti” e “rapporti pendenti”. Dal che l’opportunità, se non la necessità, di indagare il significato e la portata delle espressioni utilizzate nell’intitolazione della Sezione IV e nella rubrica dell’art. 72, attraverso lo studio del testo di quest’ultimo articolo, al fine di cogliere l’essenza del fenomeno giu- ridico disciplinato da questa Sezione della legge fallimentare e di delimitarne l’ambito di applicazione.
II. Il problema dei rapporti giuridici pendenti
3 L’effetto fondamentale del fallimento sul patrimonio del fallito è quello del c.d. spos- sessamento, previsto dall’art. 42, secondo cui la sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell’amministrazione e della disponibilità di tutti i suoi beni, sia quelli già esistenti a quella data, sia quelli che pervengono al fallito durante la procedura fallimentare, determinandone il contemporaneo passaggio all’amministra- zione del curatore, affinché questi provveda alla liquidazione e ripartisca pro rata il ricavato tra tutti i creditori concorrenti nel rispetto della par condicio creditorum. Il soddisfacimento dei creditori secondo la legge del concorso attraverso l’amministra- zione sostitutiva del curatore del fallimento non è dissimile, sotto l’aspetto funzionale, da quello assicurato al singolo creditore con l’esecuzione forzata individuale, essendo lo spossessamento, effetto tipico dell’esecuzione concorsuale, l’equivalente del pigno- ramento nell’esecuzione individuale.
4 La liquidazione fallimentare, per il suo carattere universale quanto all’oggetto, pone, però, un problema particolare che non sorge nell’esecuzione individuale, perché, diversamente da questa, essa ha per oggetto non solo beni determinati del debitore, considerati nella loro individualità, ma l’intero patrimonio del debitore, del quale fanno parte anche rapporti giuridici in fase dinamica, sorti prima del fallimento ed ancora ineseguiti, o non compiutamente eseguiti, al momento della sua dichiarazione. I quali, concorrendo o potendo concorrere nel caso concreto in maniera significativa al valore complessivo del patrimonio del fallito, sono anch’essi destinati alla soddi- sfazione dei creditori concorrenti ammessi al passivo del fallimento e, pertanto, oggetto della liquidazione concorsuale. Solo che, essendo scaturiti da contratti a prestazioni corrispettive ed interdipendenti, alla loro liquidazione si pervenga con modalità idonee a contemperare equamente l’interesse del contraente in bonis con quello dei creditori del contraente fallito, seppure diverse da quelle apprestate dal diritto comune dei contratti.
5 Da qui il problema dei rapporti pendenti, il quale sorge dall’esigenza ineludibile che alla decisione sulla loro sorte si pervenga attraverso una necessaria fase intermedia, costituita dalla valutazione regolamentata dell’opportunità che il contratto costi- tuente la fonte del rapporto pendente, colto dal fallimento in una fase tipicamente dinamica ed evolutiva, prosegua tra la parte in bonis ed il curatore della parte fallita per l’attuazione del programma negoziale originario secondo il diritto comune dei contratti, oppure che, al contrario, sia disciolto in modo che la pretesa di ciascuno dei contraenti si riduca al diritto di ottenere la restituzione della prestazione eseguita secondo le regole
del concorso fallimentare [Xxxxxxx-Xxxxx (36), 8; Xxxxx- Xxxx (79), 390; Xxxxxxx
(89), 369; Provinciali (98), 1053; Satta (112), 268; Vattermoli (121), 409].
In altri termini, non si tratta di residui di rapporti giuridici contrattuali cristallizzati in 6
diritti reali ormai acquisiti dall’uno o dall’altro contraente oppure in debiti o crediti sorti da contratti interamente eseguiti da entrambe le parti o da una sola di esse, tali per cui il contratto, che ne costituisce la fonte, rileva soltanto come fatto storico; ma, al contrario, di rapporti giuridici intersoggettivi in piena fase di sviluppo, produttivi di diritti e doveri secondo la causa tipica dei contratti che li hanno generati, i quali per cristallizzarsi in debiti o crediti, liquidabili al fine di destinarne il ricavato al soddisfacimento dei credi- tori, richiedono regole che ne segnino l’ulteriore svolgimento o il loro dissolvimento in maniera compatibile con lo stato di fallimento di uno dei contraenti e realizzino un equo contemperamento dei contrastanti interessi del debitore, dei contraenti in bonis e dei creditori concorrenti [nello stesso senso, Xxxxxx (45), 347].
Da qui l’esigenza, ben presto avvertita dal legislatore, di norme particolari sulla 7 sorte dei rapporti pendenti alla data del fallimento di uno dei contraenti, distinte da quelle relative alla liquidazione degli altri beni, che, anche nell’interesse del recupero dell’impresa in crisi, stabiliscano quando e con quali modalità essi debbano o possano essere conservati mediante il subentro del curatore nella posizione del contraente fal- lito, con l’assunzione a vantaggio ed a carico della massa dei relativi diritti ed obblighi, oppure debbano o possano essere dissolti mediante lo scioglimento con l’attribuzione
al contraente in bonis del diritto di insinuare i suoi eventuali crediti al passivo del fal- limento, secondo la legge del concorso, ma non del diritto al risarcimento dei danni.
III. I precedenti legislativi. Il codice di commercio del 1882
Il problema dei rapporti pendenti si è posto, sia pure in modo embrionale, fin dai pri- 8 mordi della codificazione delle leggi commerciali con riferimento a singoli tipi contrat- tuali. Il codice di commercio del 1882 non lo aveva risolto adeguatamente e non aveva soddisfatto in maniera accettabile l’esigenza che stava alla sua base, essendosi limitato
a dettare poche disposizioni sparse e apparentemente tra di loro non collegate, senza occuparsene in modo specifico. Conteneva soltanto talune disposizioni che, in caso di fallimento di una delle parti, dettavano regole sulla sorte di specifiche figure contrat- tuali. L’art. 703, nel caso di fallimento del conduttore di immobili ad uso commerciale, attribuiva al curatore la facoltà di chiedere lo scioglimento del contratto verso paga- mento di un giusto compenso, ove la durata residua del rapporto fosse superiore a tre anni. L’art. 805, per il caso di fallimento del compratore di cosa mobile, consentiva al venditore di ritenere le cose non ancora consegnate al fallito o a lui non ancora spedite. L’art. 804, in materia di vendita a distanza o da piazza a piazza, in caso di fallimento del compratore, consentiva al venditore di riprendere la cosa venduta, se questa, già spedita, nel giorno del fallimento non fosse ancora giunta nei magazzini del fallito o, comunque, non fosse stata già messa a sua disposizione (stoppage in transitu). Nei casi previsti dai citati artt. 804 e 805, il curatore, ai sensi dell’art. 806, aveva il diritto di farsi consegnare la merce dai venditori in bonis, ma a condizione che ne pagasse l’intero prezzo [v. ora anche Xxxxxxxxx (49), 123]. L’art. 191 prevedeva lo scioglimento della
società in nome collettivo per il caso di fallimento di uno dei soci e della società in accomandita semplice per il caso di fallimento di uno dei soci accomandatari, sia in considerazione del rapporto di fiducia che legava i soci alla società, sia per consentire la liquidazione della quota del fallito. L’art. 433 in materia di assicurazioni stabiliva che, persistendo il rischio assicurato e non essendo stato pagato il premio, l’assicuratore poteva chiedere una cauzione o lo scioglimento del contratto.
9 Xxxxxxx, come ognun vede, una disciplina organica degli effetti del fallimento sui rapporti pendenti analoga a quella già allora presente in altri ordinamenti stra- nieri, come quello austriaco ed il tedesco, che dettavano al riguardo norme generali, pur occupandosi distintamente di alcune singole figure contrattuali [Xxxxxxx (9), 567; Xxxxxxxx (13), 378; Candian (16), 324; Censoni (20), 1033; Xxxxxxxxxx (82), 9; Xxxxxxxxx (86), 259; Xxxxxxx (101), 356].
10 Tuttavia dai principi che informavano la pur embrionale disciplina di talune singole figure contrattuali e da quelli di portata più generale ricavabili dagli artt. 804-806, la dottrina aveva saputo trarre sufficienti criteri di orientamento per l’applicazione di quelle regole a tutti i contratti bilaterali con prestazioni corrispettive non ancora adempiute alla data del fallimento di una delle parti. Tanto che già nel progetto Xxxxxxx di riforma del codice di commercio era stata recepita la regola generale, ela- borata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, della sospensione dell’esecuzione dei con- tratti a prestazioni corrispettive ineseguite in caso di fallimento di uno dei contraenti e dell’attribuzione al curatore della facoltà di scegliere il subentro nel contratto o lo scioglimento di esso [Guglielmucci (54), 6; Lo Xxxxxx (68), 477; Xx Xxxxxx (32), 727; Jorio (63), 472].
11 Si ricorda, più in particolare, l’esistenza nel progetto di una norma di chiusura, la quale, dopo la disciplina del trattamento della compravendita nel fallimento, stabiliva che “le regole relative alla vendita ineseguita si applicano in eguali condizioni agli altri contratti bilaterali in cui all’obbligo di prestazione dell’altra parte corrisponde quello di una controprestazione in denaro da parte del fallito. Se l’obbligo della contropre- stazione non è in danaro e se la cosa che ne è oggetto non è già passata in proprietà dell’altra parte, resta fermo il diritto del curatore alla scelta fra l’esecuzione e lo scio- glimento del contratto, ma non ha luogo il diritto dell’altra parte di cui all’ultimo capo- verso dell’art. 80” [Xxxxxxxxxxxx (57), 1116].
12 Di questo ha dato atto, sia pure denunciandone i limiti, autorevole dottrina, osservando che, prima dell’entrata in vigore della legge fallimentare, il più grande commentatore del libro terzo del codice di commercio, relativo al fallimento [Xxxxxxx (9), 568], aveva ricavato, più che dallo spossessamento del patrimonio del debitore, consequenziale alla sentenza dichiarativa di fallimento, dagli artt. 804-806 la disciplina dei contratti in corso di esecuzione, condensata nel canone fondamentale, desunto dalla funzionalità del sinallagma, secondo cui la dichiarazione di fallimento provocherebbe l’arresto o la sospensione indeterminata del contratto, non essendo ammissibile che il contraente in bonis sia tenuto ad eseguire la prestazione pur essendo il contrapposto suo credito assoggettato alla falcidia fallimentare [Xxxxxxxx (4), 408; Xxxxx-Xxxx (79), 392].
IV. La c.d. “Legge fallimentare” del 1942
Un positivo passo avanti nella regolamentazione della materia è stato indubbiamente 13 compiuto con l’emanazione della legge fallimentare del 1942, consentendo al Guarda- sigilli di affermare nella sua Relazione (§ 18), con riferimento ai rapporti pendenti, che “completamente nuova, rispetto al codice del 1882, è la disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti preesistenti, contenuta nella sezione quarta del capo 3”.
Tuttavia il passo non fu sufficientemente lungo. La regola generale, in precedenza 14 elaborata da dottrina e giurisprudenza, forse perché oggetto di serie e non del tutto infondate critiche, non è stata riprodotta nella legge fallimentare, benché fosse stata recepita nei vari progetti di riforma del codice di commercio che si erano succeduti dopo il progetto Xxxxxxx. È da attribuirsi a tale scelta il fatto che della nuova disci- plina dei rapporti giuridici pendenti, contenuta nella legge del 1942, è stata denun- ciata, oltre che la mancanza di principi direttivi, la grave lacunosità risultante evidente
dal raffronto dell’elenco dei contratti tipici regolati dal codice civile con quello molto più breve dei contratti disciplinati dalla legge del fallimento, essendo stata omessa la regolamentazione di figure contrattuali di larghissimo impiego, come la permuta, il trasporto, la locazione mobiliare, i contratti bancari, e l’intera galassia dei contratti ati- pici, oggi straordinariamente diffusi nel traffico giuridico per la globalizzazione in atto [Andrioli (4), 410; Censoni (20), 1033].
La stessa rubrica della Sezione IV “Degli effetti del fallimento sui rapporti giuri- 15 dici preesistenti”, è stata ritenuta giustamente molto enfatica, perché sembrava pre- ludere ad una disciplina organica degli ipotizzati rapporti giuridici che in realtà non esisteva. Essa, infatti, non faceva che raggruppare norme frammentarie, scarsamente coordinate e notevolmente lacunose, le quali, molto modestamente, si limitavano a regolare distintamente alcuni specifici rapporti, trascurandone, invece, molti altri di
pur notevole importanza e neppure tentando un regolamento organico e sistematico della materia [Ruisi (109), 519; Ferrara jr.-Borgioli (43), 372, v. anche 371, ove si precisa pure che la disciplina dei rapporti preesistenti, nascenti da contratti bilaterali, si estende ad altri contratti, da cui nasce bensì l’obbligazione di una sola parte, ma l’esecuzione di questa obbligazione determina o rende operanti obbligazioni a carico dell’altra; Guglielmucci (54), 3]. Dal che la gravosa necessità del ricorso molto fre- quente all’analogia o ai principi generali dell’ordinamento giuridico per la non facile ricerca delle regole applicabili ai contratti non disciplinati positivamente, ricavandole dalle norme positive regolatrici di figure contrattuali contenute nella legge fallimentare, fondate sulla stessa ratio [v. ora anche Xxxxxxxxx (49), 126].
Analoga critica si trova nella Relazione allo schema del d.lgs. 9.1.2006, n. 5, laddove si 16
osserva che quei difetti avevano determinato due inconvenienti: da un lato, non essendo state previste regole per ciascuno dei contratti disciplinati dal codice civile e non essendo stata offerta una disciplina generale, si era lasciata priva di regolamentazione una parte di essi; dall’altro, e nel contempo, si era lasciata priva di regolamentazione una parte di contratti nominati e tutti quelli innominati, così determinando una assoluta incertezza per la sorte dei nuovi contratti venuti ad esistenza in tempi recenti [Vattermoli (121), 410].
17 Del compito di porre rimedio alla lacunosità e frammentarietà di quel quadro nor- mativo si erano fatte carico, anche questa volta, come era già accaduto vigente la disci- plina ancora più frammentaria del codice di commercio, la dottrina e la giurisprudenza, le quali, attraverso il coordinato esame di quelle norme, dalla disciplina dei singoli contratti, e fondamentalmente da quella del contratto di compravendita, oltre ad ela- borare il concetto di rapporto giuridico preesistente ad esse sotteso, avevano ricavato la disciplina generale applicabile, non solo agli specifici rapporti nascenti dai contratti espressamente disciplinati dalle norme contenute nella legge fallimentare e da altre col- locate altrove nel codice civile o in leggi speciali, ma anche a quelli cui tale disciplina fosse applicabile per analogia, riempiendo così gli spazi vuoti lasciati dalla legge. Natu- ralmente la regola, così elaborata, non era certo applicabile né ai contratti per i quali specifiche norme prevedessero la continuazione ed il subentro automatico del curatore, né a quelli per i quali il fallimento determinava ipso iure lo scioglimento [Xx Xxxxxx (32), 728; Jorio (63), 473].
18 Il trattamento dei rapporti pendenti nel caso di fallimento di una delle parti risultava così dall’applicazione di un quadruplice sistema di regole, per effetto del quale la dichiarazione di fallimento: i) o ne determinava lo scioglimento automatico; ii) o non incideva su di essi in alcun modo, permettendo che i rapporti, sottratti alle regole del concorso, continuassero ope legis col curatore ed a carico della massa; iii) o li esclu- deva dal patrimonio destinato alla liquidazione fallimentare, lasciandoli nella disponi- bilità dei contraenti, compreso il fallito, trattandosi di contratti aventi per oggetto beni non compresi nel fallimento per il loro carattere strettamente inerenti alla persona del fallito medesimo; iv) o, infine, ne produceva la temporanea sospensione, attribuendo al curatore la scelta tra il subentro e lo scioglimento [Ferrara (34), 251; Xxxxxxx- Xxxxx (36), 35; v. ora anche Xxxxxxxxx (49), 126].
19 Quest’ultima regola, specificamente dettata dall’art. 72, per la compravendita in corso nell’ipotesi di fallimento del compratore, era stata considerata dalla dottrina e dalla giurisprudenza espressione di un principio generale circa gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti costituiti da prestazioni corrispettive non eseguite o non compiutamente eseguite da entrambe le parti. Essa, pertanto, costituiva la regola gene- rale applicabile a tutti i contratti pendenti, eccettuati quelli soggetti alle speciali regole prescritte dagli articoli successivi della stessa sezione. In sintesi, il fallimento di uno dei contraenti sospendeva l’esecuzione del contratto, fino a quando il curatore, debi- tamente autorizzato, optava per il subentro nel contratto o per il suo scioglimento; a seconda della scelta in un senso o nell’altro gli effetti erano diversificati [Xxxxx-Xxxx (79), 390; v. ora anche Xxxxxxxxx (49), 127].
20 Eccezionalmente restavano fuori dell’ambito di applicazione della regola generale le figure contrattuali per il trattamento delle quali nel fallimento speciali disposizioni di legge, contenute nella stessa Sezione IV o altrove, dettavano specifiche discipline, prevedendone lo scioglimento automatico oppure il subentro in esse del curatore in sostituzione del contraente fallito. Fuori di quell’ambito restavano anche i rapporti contrattuali relativi a beni non compresi nel fallimento, ai sensi dell’art. 46, i quali
continuavano a carico ed a vantaggio del contraente fallito, che ne conservava la piena disponibilità sia sul piano sostanziale che sul piano processuale.
Tralasciando questi ultimi rapporti, che appartengono alla tematica degli effetti del fal- 21 limento nei confronti del fallito (artt. 42 ss.), la ratio delle norme che, derogando alla regola generale con specifiche discipline, prevedevano lo scioglimento automatico di taluni contratti è stata individuata volta a volta o nel contrasto tra la normativa contrat-
tuale e le esigenze del procedimento fallimentare o nel carattere determinante delle qualità personali del contraente fallito oppure nelle esigenze di tutela del fallito o del terzo contraente in bonis. Con la precisazione che alcune di queste ragioni escludono il subentro del curatore, ma non sono di ostacolo alla continuazione del contratto con il fallito [v. ora anche Xxxxxxxxx (49), 127].
Le norme che prevedevano, invece, il subentro ex lege del curatore in certi rapporti 22
rientravano coerentemente nel sistema della sostituzione fallimentare, perché riguarda- vano contratti dai quali derivavano a favore del contraente in bonis diritti che l’ammi- nistrazione fallimentare avrebbe dovuto comunque rispettare oppure prestazioni che attribuivano al fallito il diritto ad una controprestazione valutata ex lege utile per i cre- ditori [v. ora anche Xxxxxxxxx (49), 127].
Il numero dei contratti che si scioglievano ope legis era tutto sommato piuttosto 23 modesto, perché la maggior parte di essi era compatibile col fallimento di uno dei con- traenti e poteva continuare col curatore del fallimento. Poteva differire solo il meccani-
smo della loro acquisizione, perché alcuni contratti continuavano con il curatore, che vi subentrava automaticamente nella posizione del contraente fallito; altri, invece, entra- vano in uno stato di sospensione, che perdurava fino a quando il curatore non dichiarava di subentrarvi in luogo del fallito, assumendo a carico dell’amministrazione fallimentare tutti i relativi obblighi, oppure di sciogliersi dal rapporto [Xxxxxxxxxxxx (54), 76].
Questa sistemazione della materia, anche se utile nella misura in cui consentiva di 24 ricavare alla meglio il regime di rapporti giuridici privi di una specifica disciplina, o perché semplicemente trascurati dal legislatore o perché non ancora conosciuti, era tuttavia insoddisfacente, non solo in quanto insicura per la mancanza di un appiglio testuale e gravemente lesiva del principio della certezza del diritto, ma anche per la sua inidoneità a colmare le lacune di un tessuto normativo disorganico.
V. La c.d. “riforma organica” della legge fallimentare del 2006
La c.d. riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, attuata col d.lgs. 25 9.1.2006, n. 5 - come si legge nella Relazione ministeriale di accompagnamento - ha inteso porre rimedio a tali carenze, e se da un lato ha riproposto regole già esistenti nella legge fallimentare, dall’altro ha introdotto significative modificazioni del sistema pre- vigente, recependo in buona misura alcune soluzioni elaborate dalla giurisprudenza, tra
cui quella regola generale che, già contenuta nel ricordato progetto Xxxxxxx, non era stata accolta nel codice di commercio e neppure nella successiva legge fallimentare del 1942 [Xxxxx (94), 876; Xx Xxxxxx (32), 726; Jorio (63), 473].
26 Come ha puntualmente rilevato recente dottrina [Guglielmucci (57), 1118], l’attuale art. 72 novellato, ha sostituito la disciplina degli effetti del fallimento sul rapporto pen- dente di compravendita con una regola generale applicabile a tutti i contratti pendenti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti, in gran parte ricalcata su quella contenuta nel progetto Xxxxxxx del 1921 e poi ripresa dalla dottrina e giurisprudenza sia al tempo in cui era in vigore il codice di commercio, sia successi- vamente sotto la vigenza delle legga fallimentare del 1942. Ma ne ha limitato il campo di applicazione, escludendone i particolari rapporti pendenti oggetto delle diverse disposizioni di legge della stessa Sezione IV. Particolari rapporti, ai quali si applicano, invece, discipline speciali fondate su rationes differenti da quella su cui si fonda la regola generale contenuta nel c. 1 dell’art. 72, novellato [Xxxxx-Xxxx (79), 391; Xx Xxxxxx (32), 726; v. ora anche Xxxxxxxxx (49), 132 ss.; Xxxxxxxx (74), 816].
27 Il legislatore della Riforma - come si afferma espressamente nella Relazione ministe- riale allo schema di decreto sub art. 72 - ha inteso rimediare positivamente alle gravi carenze del sistema precedente, seguendo due direttive. In attuazione della prima, recependo il ricordato orientamento giurisprudenziale, ha codificato la regola gene- rale, secondo cui «fatte salve le diverse disposizioni» della Sezione IV, l’esecuzione dei rapporti giuridici in corso al momento della dichiarazione di fallimento rimane sospesa fino a quando il curatore, cui è rimessa la decisione sulla sorte definitiva di essi, non abbia fatto, spontaneamente o a seguito di messa in mora, la scelta tra il subentro nel rapporto in luogo del contraente fallito e lo scioglimento dal rapporto medesimo. Quanto agli effetti della scelta, ha previsto per il caso di subentro l’assun- zione a favore ed a carico della massa dei relativi diritti ed obblighi; per il caso di scioglimento ha disposto, invece, che il curatore non assume alcuna responsabilità per i danni che possa subire il contraente in bonis, riconoscendo a costui soltanto il diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento [Xxxxxxx (39), 362]. In deroga a questo principio ha riconosciuto, però, al contraente in bonis il diritto di conservare gli effetti dell’azione di risoluzione, qualora egli l’abbia pro- mossa prima dell’apertura della procedura, in perfetta aderenza sul punto ad altro orientamento della giurisprudenza affermatosi prima della riforma (art. 72, c. 5). In via generale, ha sanzionato, poi, l’inefficacia di quelle clausole negoziali che ricollegano al fallimento la risoluzione del contratto. Con una specifica disposizione, quindi, ha incluso tra i rapporti governati dalla regola generale il contratto preliminare, salvo quanto previsto nell’art. 72-bis per i contratti concernenti gli immobili da costruire (art. 72, c. 6).
28 In attuazione della seconda direttiva, ha dettato, quindi, disposizioni specifiche volte a regolare gli effetti del fallimento su particolari tipi contrattuali, o lasciando invariate le regole previgenti (art. 75, “Restituzione di cose non pagate”; art. 76, “Contratto di borsa a termine”; art. 77, “Associazione in partecipazione”; art. 82, “Contratto di assi- curazione”; art. 83, “Contratto di edizione”), o integrandole e adeguandole alle modi- fiche della disciplina della procedura fallimentare (art. 73, “Vendita a termine o a rate”), o disciplinando per la prima volta tipi contrattuali nuovi (art. 72-ter, “Effetti sui finan- ziamenti destinati ad uno specifico affare”; art. 72-quater, “Locazione finanziaria”) o
prima irragionevolmente [Xxxxxxx-Xxxxxxxxx (35), 10] trascurati (art. 79, “Contratto di affitto d’azienda”; art. 83-bis, “Clausola arbitrale”), o, infine, recependo in buona misura soluzioni di specifici problemi elaborate dalla giurisprudenza.
Le disposizioni specifiche in deroga alla regola generale, già contenute nel vecchio 29 testo della legge fallimentare, prevedono senza pretesa di completezza: i) o la prose- cuzione automatica del contratto nei casi di vendita a rate con riserva di proprietà, di locazione e di locazione finanziaria in caso di fallimento del venditore, del locatore o
del concedente, prevista in funzione della tutela della parte più debole in assenza di pregiudizio significativo per gli interessi della massa dei creditori; ii) o la prosecuzione automatica del contratto, temperata, però, dall’attribuzione al curatore della facoltà di recesso, in caso di fallimento del compratore, del conduttore e dell’utilizzatore, con il riconoscimento della prededuzione per i crediti maturati successivamente alla dichia- razione di fallimento e di un indennizzo a favore del locatore nell’ipotesi di recesso del curatore dalla locazione; iii) o lo scioglimento ex lege dei contratti di borsa a termine, dell’associazione in partecipazione, del conto corrente ordinario e bancario, della com- missione e del mandato nel fallimento del mandatario.
Da queste brevi considerazioni risulta evidente che in materia di effetti del fallimento 30 sui rapporti pendenti il legislatore delegato, dettando la regola generale per cui il con- tratto, in caso di fallimento di una delle parti, rimane sospeso fino a quando il curatore
non abbia scelto tra il subentro e lo scioglimento, fatte salve le diverse disposizioni contenute nella Sezione IV (art. 72, c. 1), è andato ben al di là di quanto aveva pre- scritto la l. 14.5.2005, n. 80, la quale, infatti, si era limitata a prescrivere la modifica della disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, indicando tre precisi interventi (art. 1, n. 6, lett. a), n. 7): i) l’ampliamento dei “termini entro i quali il curatore deve manifestare la propria scelta in ordine allo scioglimento dei relativi contratti”; ii) la previsione di “una disciplina per i patrimoni destinati ad uno specifico affare”; iii) la previsione di una disciplina “per i contratti di locazione finanziaria” [Lo Xxxxxx (68), 479]. Si è giustamente osservato, però, che, avendo la regola generale introdotta con l’art. 72 novellato, un contenuto in realtà scarsamente innovativo, il pro- blema della sua conformità o meno ai principi e criteri direttivi stabiliti dalla legge delega - secondo cui si mandava al legislatore delegato di modificare la disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, ampliando il termini entro i quali il curatore deve manifestare la propria scelta in ordine allo scioglimento dei relativi con- tratti e prevedendo una disciplina per i patrimoni destinati ad uno specifico affare e per i contratti di locazione finanziaria - rimane di molto sdrammatizzato [Xxxxxxxxxxxx (57), 1118].
Riteniamo, però, che la codificazione della regola generale, la collocazione di essa 31 nell’art. 72, in sostituzione di una specifica disciplina relativa ad un tipo contrattuale e, soprattutto, la sua contrapposizione alle “diverse disposizioni” della Sezione IV, hanno, come è stato detto, profondamente modificato il sistema delle norme sui rapporti pen- denti, trasformandolo espressamente da “aperto” in “chiuso”. E ciò, non tanto per aver recepito una regola, che da tempo era stata elaborata ed applicata, quanto per avere
modificato espressamente il modo di essere delle norme del precedente sistema nei loro rapporti reciproci, stabilendo tra la regola generale del vigente art. 72 e le “diverse disposizioni”, regolanti la stessa materia, un rapporto norma generale-norme spe- ciali e, quindi, dando vita ad un sistema “chiuso” in luogo di quello precedente “aperto”. Con tutto quel che ne consegue nella scelta dei criteri interpretativi cui fare ricorso nella nuova realtà [Xxxxxxxx (14), 116].
VI. Il c.d. “Decreto correttivo” del 2007
32 L’1.1.2008 è entrato in vigore il d.lgs. 12.9.2007, n. 169, recante “Disposizioni inte- grative e correttive al r.d. 16.3.1942, n. 267, nonché al d.lgs. 9.1.2006, n. 5, in mate- ria di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 1, c. 5, 5-bis e 6, l. 14.5.2005, n. 80” (c.d. “decreto correttivo”), emesso in attuazione della delega “correttiva” conferita al Governo con l’art. 1, c. 3, l. 12.7.2006, n. 228, al fine di superare, mediante norme chiarificatrici, numerosi aspetti critici e problematici della riforma organica delle procedure concor- suali, introdotta col precedente d.lgs. 9.1.2006, n. 5, evidenziati dalla dottrina e dalla giurisprudenza fin dai primi mesi di applicazione. Alle integrazioni e correzioni rela- tive alle disposizioni concernenti gli effetti del fallimento sui rapporti pendenti si è provveduto con le disposizioni contenute nei c. 6-13 dell’art. 4 del “decreto correttivo”, tutte sicuramente utili per la maggiore armonizzazione del sistema [Lo Xxxxxx (68), 865], ma delle quali per la loro carica innovativa sono meritevoli di particolare attenzione quelle attinenti alla sorte del contratto preliminare di vendita immobiliare e del contratto di locazione di beni immobili [Xxxxxxx (38), V, 225; Xxxxxxx (37), 55]. Del contenuto di esse sarà dato conto particolareggiato in occasione del commento delle relative disposizioni.
VII. La nozione di rapporto giuridico preesistente
33 Da tempo la dottrina parla di imprecisione della locuzione «rapporti giuridici pre- esistenti». Come è stato esattamente osservato [Ferrara jr.-Borgioli (43), 372, nt. 1], l’intitolazione “rapporti giuridici preesistenti” della Sezione IV è imprecisa e con- venzionale, perché non rispecchia il contenuto degli enunciati normativi che introduce. Essa, secondo il significato proprio delle parole usate, avrebbe dovuto comprendere, senza distinzione alcuna, tutti i rapporti giuridici in essere alla data del fallimento; ma in realtà si riferisce ad una categoria particolare di essi, avente, come si vedrà più avanti, una ampiezza più limitata. La corretta individuazione di tali rapporti consente di delimitare l’ambito di applicazione delle norme che provvedono in merito alla loro sorte nell’ipotesi di fallimento di uno dei contraenti [Xxxxxxx-Xxxxx (36), 162].
34 Dato per certo che l’intitolazione della Sezione IV non rispecchia il contenuto delle norme sotto di essa raccolte, il concetto di rapporto giuridico preesistente è stato elaborato attraverso l’individuazione dei suoi elementi essenziali, dedotti per astra- zione dal complesso delle norme di cui disponiamo ed individuate:
- nella derivazione del rapporto da un contratto che si sia perfezionato validamente prima del fallimento di uno dei contraenti, e cioè che alla data della dichiarazione di
fallimento il suo iter formativo sia terminato, essendo questo l’esito che consente di parlare di “preesistenza” del rapporto;
- nell’appartenenza del contratto alla categoria dei contratti a prestazioni corri- spettive, da cui scaturisca una pluralità di obbligazioni reciproche collegate tra di loro da un nesso di interdipendenza, tale per cui “la prestazione di una parte rappresenta la causa della prestazione dell’altra”, con esclusione quindi dei contratti unilaterali dai quali derivino obbligazioni soltanto a carico di uno dei contraenti;
- nella inesecuzione o incompleta esecuzione, alla data del fallimento, delle obbliga- zioni fondamentali reciproche sorte dal contratto, non essendo tale, pertanto, il con- tratto in cui uno dei contraenti abbia interamente eseguito le prestazioni a suo carico e residui pertanto un suo diritto di credito nei confronti dell’altra parte [Xxxxxxx xx.-X. Xxxxxxxx (32), 373 s.; Xxxxxxxxxxxx (54), 157; Lo Xxxxxx (67), 460; Xxxxxx (45),
347; Jorio (63), 470];
- nell’essere oggetto di esso beni compresi nel fallimento, con esclusione, quindi, di quelli aventi per oggetto beni di cui all’art. 46, non destinati al soddisfacimento dei creditori, rispetto ai quali il curatore assume una posizione di estraneità, [Xxxxxxx xx.-X. Xxxxxxxx (32), 372]. In sintesi per “rapporto giuridico preesistente”, si intende il rapporto derivante da un contratto a prestazioni corrispettive, perfezionatosi prima della dichiarazione di fallimento di una delle parti ed avente per oggetto beni compresi nel fallimento, le prestazioni reciproche del quale sono, alla data del fallimento, ancora ineseguite o non interamente eseguite da entrambe le parti [analogamente, Xxxxxx (45), 346; Jorio (63), 470; Xxxxxxxxx (49), 122].
Tale definizione implica: i) che il contratto sia stato validamente concluso, perché 35 l’eventuale sua nullità, e conseguente inefficacia, determinandone l’ineseguibilità, sfugge alla disciplina dei rapporti pendenti; e ii) che sia opponibile alla massa dei creditori concorrenti, ovverosia che l’anteriorità della sua data rispetto alla sentenza
di fallimento risulti certificata a norma dell’art. 2704 c.c. [Xxxxxxx-Xxxxx (36), 30; Provinciali-Ragusa Maggiore (99), 376; Jorio (63), 470; Xxxxxxxxx (49), 122]. Diversamente il contratto nullo o inopponibile ricade sotto la disciplina dei contratti nulli o inopponibili, e non già sotto la regola del c. 1 dell’art. 72.
Per l’assenza di una o più di tali caratteristiche sono, pertanto, fuori dell’ambito di 36 applicazione della normativa in esame, pur essendo senza alcun dubbio pendenti: i) i rapporti reali derivati da contratti ad effetti reali quando il trasferimento dei diritti sia avvenuto prima della dichiarazione di fallimento (art. 72, c. 1) [Xxxxxxx xx.-X. Xxxxxxxx
(32), 374]. Ma già in Xxxxxxxx (13), 380, si avvertiva che i contratti, i quali una volta perfezionati creano vincoli reali, vanno rispettati, nel senso che il contraente in bonis conserva il diritto di proprietà acquistato ed ha il diritto alla consegna della cosa nono- stante il fallimento successivo del venditore, pagandone il prezzo se non ancora corri- sposto. In altri termini, nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali solo i diritti di credito sono soggetti alla regola del concorso; i diritti reali ed i diritti personali di godi- mento su beni altrui, se derivanti da fatti opponibili ai creditori, debbono essere rispet- tati dal curatore]. Si è giustamente precisato al riguardo che secondo la lettera della norma sono, invece, soggetti alla regola generale di cui all’art. 72, i contratti traslativi
sottoposti a condizione sospensiva, qualora la condizione si avveri successivamente alla dichiarazione di fallimento, sul rilievo che nel caso ipotizzato il trasferimento del diritto per la pendenza della condizione non era ancora avvenuto al tempo di quest’ultima pro- nuncia [Xxxxx-Xxxx (79), 414; Xxxxxx (45), 348; Xx Xxxxxx (32), 733]; ii) i contratti unilaterali, produttivi di obbligazioni a carico di una sola delle parti, che per la loro unilateralità sfuggono al regime degli artt. 72 ss., ricadendo invece sotto la disciplina degli artt. 42 ss. e 51 ss., con la conseguenza che in tal caso si avrà un credito da far valere secondo la legge del concorso o un credito del fallimento verso il contraente in bonis, a sensi degli artt. 42 ss., secondo che inadempiente sia rispettivamente il fallito o in contraente in bonis [Xxxxx-Xxxx (79), 412; Guglielmucci (54), 2; Provinciali- Ragusa Maggiore (99), 377; Xxxxxxxx (13), 374, secondo il quale, in ordine ai con- tratti unilaterali, i casi sono due: o è obbligata la controparte del fallito ed il credito della prestazione appartiene alla massa che lo farà valere per mezzo del curatore; o è obbligato il fallito ed il credito della controparte non potrà farsi valere che come credito concorsuale; v. ora anche Xxxxxxxxx (49), 122]. Non si è mancato di rilevare, però, che la dichiarazione di fallimento produce effetti così profondi e vari nello stato patri- moniale e personale del fallito da influenzare pure la vita di contratti unilaterali, come avviene per il mandato, il quale, anche se stipulato a titolo gratuito, si estingue; iii) i contratti a prestazioni corrispettive, in cui uno dei contraenti abbia interamente eseguito le prestazioni a suo carico, essendo evidente che, se adempiente è stato il contraente fallito, il curatore ha diritto di esigere la controprestazione a carico del con- traente in bonis secondo le norme di diritto comune, mentre, se inadempiente è stato il fallito, il contraente in bonis potrà far valere la sua pretesa verso il fallito solo come credito concorsuale, proponendo domanda di ammissione nel passivo del fallimento [Xxxxx-Xxxx (79), 412; Ruisi (109), 523; Xxxxxxxx (13), 374, che non considera pen- denti neanche i contratti bilaterali che siano stati eseguiti da una delle parti, perché in tal caso la situazione corrisponde a quella dei contratti unilaterali, cioè, una sola delle parti è obbligata; v. ora anche Xxxxxxxxx (49), 122]; iv) i contratti relativi a beni non compresi nel fallimento di uno dei contraenti. Si fa riferimento, come è abbastanza evidente, ai contratti aventi ad oggetto, ai sensi dell’art. 46, i beni ed i diritti di natura strettamente personale, quelli di carattere alimentare, i beni familiari ed i beni per legge impignorabili [Montessori (82), 10; Xxxxx-Xxxx (79), 401; Xxxxxx (45), 348].
37 Dovrebbero restare estranei all’ambito dei rapporti giuridici preesistenti anche i contratti sinallagmatici che alla data del fallimento siano ancora in corso di formazione, nonché i contratti perfezionati dai quali, però, sorga a carico di alcuna delle parti l’obbligazione di concludere un nuovo contratto, come il contratto preliminare, l’opzione, il patto di riscatto, ecc. La dottrina è, però, orientata nel senso di estendere anche a queste figure, sia pure in via analogica, la disciplina desumibile dall’art. 72 [Ruisi (109), 565-568]. Su questa scelta e sui risultati ottenuti ritorneremo in seguito, allorché saranno presi in esame i vari tipi di contratto. Naturalmente, in base ai principi prima esposti, non possono essere ritenuti pendenti i contratti a prestazioni corrispettive che, alla data del fallimento, fossero già sciolti o risolti per una delle ragioni previste dalle regole comuni dei contratti. In tal senso è la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in una ipo- tesi di risoluzione di un contratto preliminare perfezionatasi prima della dichiarazione
di fallimento delle parti, ha stabilito che «in tema di preliminare di compravendita, comunicata dal promittente venditore la volontà di recedere dal contratto e di inca- merare la ricevuta caparra confirmatoria, ai sensi dell’art. 1385, c. 2, c.c. e promossa prima del fallimento del promissario tradens, domanda giudiziale diretta alla declarato- ria della legittimità dell’avvenuto esercizio del mezzo di autotutela per reagire all’altrui inadempimento, imputabile e di non scarsa importanza, il sopravvenuto fallimento di quest’ultimo preclude al curatore di paralizzare, attraverso l’esercizio della facoltà di sciogliersi dal contratto ex art. 72, c. 2, l’emissione di una sentenza, opponibile alla massa dei creditori, che, accogliendo la domanda del promittente, accerti, con effetto ex tunc, l’intervenuta caducazione, già in via stragiudiziale, degli effetti negoziali» [C 15.2.2011, n. 3728, DFSC 2012, II, 189; T Busto Arsizio 7.4.2014; in dottrina, Nicita
(87), 189; Xxxxxxxxx (26), 687].
VIII. L’attuale sistema delle norme sui rapporti pendenti
Il sistema attuale delle norme che regolano gli effetti del fallimento di una delle parti 38 sui rapporti giuridici pendenti - esito finale di un processo di sedimentazione di inter- venti legislativi iniziato con poche disposizioni contenute nel codice di commercio del 1882 [Xx Xxxxxx (30), 801] - a seguito della riforma organica delle procedure concor-
suali del 2006 e del decreto correttivo del 2007, è divenuto, senza alcun dubbio, più leggibile ed armonico di quanto lo fosse vigente la legge fallimentare dei 1942 nella sua lettura originaria. Si è detto prima quanto la normativa originaria fosse frammenta- ria e lacunosa e quanto grandi siano stati gli sforzi degli interpreti per cercare di ricavare da essa un tessuto organico di principi che almeno consentisse di colmarne le lacune più vistose e di dare una disciplina coerente con i principi a figure contrattuali tipiche o, più spesso, atipiche del tutto trascurate dal legislatore del 1942.
Regola generale e regole speciali. Dalle vigenti norme sui rapporti pendenti è ora pos- 39 sibile delineare e descrivere, sia pure a grandi linee, un sistema normativo composto, essenzialmente, da una regola generale, enunciata dal c. 1 dell’art. 72, e da una serie di regole speciali, oggetto delle “diverse disposizioni” della Sezione IV, “fatte salve” da
un inciso dello stesso c. 1 del citato art. 72 [Xxxxxx (45), 349; Xxxxx (63), 471].
La regola generale. La regola generale, applicabile ai rapporti pendenti derivati 40
da contratti a prestazioni corrispettive non eseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti alla data della dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, stabilisce che il fallimento non scioglie i rapporti, ma ne determina solo la sospen- sione della loro esecuzione, al tempo stesso attribuendo al fallito la facoltà di scegliere il subentro nel rapporto o il suo scioglimento e ricollegando alla scelta nell’uno o nell’altro senso determinati effetti idonei, come si vedrà, a consentire la liquidazione del rapporto sospeso. Il contraente in bonis non può che subire l’iniziativa del curatore e, in pendenza della sospensione, non gli è consentito di eseguire la prestazione a suo carico neppure assoggettandosi alle regole del concorso e facendo valere nel passivo del fallimento il suo credito. A titolo meramente esemplificativo, sono soggetti a que- sta regola i contratti di compravendita, i contratti preliminari, i finanziamenti destinati
ad uno specifico affare, la locazione finanziaria, i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Per alcuni tipi contrattuali il curatore è tenuto ad operare la scelta tra il subentro e lo scioglimento, nonostante che il contraente in bonis abbia eseguito la pre- stazione da lui dovuta - vendita con riserva di proprietà (art. 73) e restituzione di cose non pagate (art. 75) - essendosi ritenuto il contraente non fallito, che abbia adempiuto senza aver ricevuto la controprestazione, sia meritevole di una particolare tutela, con- sistente nell’accollo al curatore, che intenda ritenere la cosa acquistata, dell’onere di pagarne integralmente il prezzo [Xxxxxx (45), 349; v. ora anche Xxxxxxxxx (49), 133].
41 Le regole speciali, previste dalle “diverse disposizioni della Sezione IV” - ma, deve intendersi, anche dalle diverse disposizioni contenute in altre ripartizioni della legge fallimentare o in qualsiasi altro testo normativo - si applicano, invece, ai rapporti pendenti derivati dai tipi contrattuali oggetto delle specifiche discipline derogato- rie. Esse non sono riconducibili ad una ratio unica, sia pure distinta da quella sottesa alla regola generale dell’art. 72. Ognuna di esse è fondata, infatti, su una ratio propria, distinta sia da quella che sorregge la regola generale, sia da quelle che stanno alla base di ciascuna delle specifiche discipline, ed è suscettibile di applicazione analogica. I rapporti pendenti, soggetti a regole diverse da quella generale prevista dell’art. 72, sono raggruppati in tre distinte categorie. La prima è quella relativa ai rapporti che il fal- limento scioglie automaticamente: contratto di borsa a termine (art. 76), associazione in partecipazione (art. 77), conto corrente ordinario e bancario, commissione e mandato in caso di fallimento del mandatario (art. 78), nonché, in forza di norme contenute nel codice civile, il rapporto sociale limitatamente al socio escluso di diritto dalla società se dichiarato fallito (art. 2288 c.c.), la società in nome collettivo (art. 2308 c.c.), la società in accomandita semplice (art. 2323 c.c.). Nel novellato art. 2484 c.c., recante norme sullo scioglimento e liquidazione delle società di capitali, non è stata riprodotta la norma che, prima della riforma del diritto societario, prevedeva in caso di fallimento lo scioglimento automatico delle società per azioni, a responsabilità limitata ed in acco- mandita per azioni la società per azioni. La seconda categoria comprende i rapporti pendenti che continuano anche in caso di fallimento di uno dei contraenti: vendita con riserva di proprietà in caso di fallimento del venditore (art. 73, c. 2), affitto di azienda (art. 79), locazione di beni immobili, salvo il recesso della parte fallita a certe condi- zioni (art. 80), assicurazione contro i danni in caso di fallimento dell’assicurato (art. 82) e contratto di edizione a certe condizioni (art. 83). La terza categoria comprende i rapporti derivanti da contratti che hanno per oggetto beni del fallito non compresi nel fallimento, elencati tassativamente nell’art. 46, e cioè i beni di natura strettamente personali e quelli destinati al soddisfacimento dei bisogni primari del fallito e della sua famiglia, esclusi dal patrimonio separato fallimentare. Tali rapporti, insensibili agli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento, sono regolati dalla legge comune dei contratti e continuano tra il fallito ed il contraente in bonis, che ne conservano la piena disponibilità. Il curatore non può subentrare in essi, rimanendone estraneo. Al riguardo merita di essere segnalata una interessante osservazione, secondo la quale la liquida- zione, ordinaria o fallimentare, del patrimonio di un’impresa non si traduce in una mera conversione di beni in denaro, ma comporta inevitabilmente la definizione di rapporti
negoziali in essere che ben potrebbero rappresentare assets strategici dell’impresa medesima. Nella liquidazione fallimentare, però, la definizione di tali rapporti non può non risentire del mutato equilibrio degli interessi delle parti indotto dal fallimento di una di esse, e risolversi in scelte che privilegiano gli interessi della massa dei creditori della fallita. Da qui la scelta del legislatore di assoggettare i rapporti giuridici pendenti ai tre distinti trattamenti di cui sopra: per taluni di essi, specificamente indicati, rite- nendone la prosecuzione incompatibile con la procedura concorsuale e gli interessi in essa coinvolti e, quindi, disponendone lo scioglimento quale effetto automatico del fal- limento; per taluni altri, anch’essi specificati, ritenendone, invece, la prosecuzione utile alla gestione dell’impresa fallita e, quindi, disponendone la prosecuzione; e per tutti gli altri dettando una regola generale, secondo cui spetta al curatore valutare caso per caso la scelta più opportuna nell’interesse di tutti i creditori concorrenti, tra il subentro nel contratto e lo scioglimento di esso [Xxxxxxxxxxxx (93), 348]. Fatte queste necessarie premesse di carattere generale, è tempo di passare alla disamina delle regole relative agli effetti del fallimento sui singoli rapporti pendenti, contenute negli artt. 72 ss.
IX. La regola generale relativa alla sorte dei rapporti giuridici preesistenti
Il c. 1 del vigente art. 72, come sostituito dall’art. 57, d.lgs. 9.1.2006, n. 5, e corretto ed 42 integrato dal d.lgs. 12.9.2007, n. 169, è quello che ha introdotto nella disciplina dei rapporti pendenti la novità di maggior rilievo, codificando la regola generale applica-
bile a tutti i contratti corrispettivi ineseguiti al momento del fallimento di uno dei con- traenti, che, come si è visto, era stata elaborata in via di interpretazione dalla dottrina e dalla giurisprudenza, generalizzando una specifica regola dettata per la compravendita [v. ora anche Xxxxx (111), 3; Xxxxx-Xxxx (79), 392; Xx Xxxxxx (32), 727; Xxxxx (63), 476; Xxxxxxxx (75), 215]. Era classica la massima della giurisprudenza di legittimità, secondo cui «l’art. 72, pur essendo dettato per la compravendita, è espressione di un principio generale circa gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti. Esso pertanto, salva diversa disciplina specificamente dettata dagli articoli successivi della stessa sezione della legge per i contratti ivi contemplati, trova applicazione generale, nel senso che il curatore non è tenuto a perfezionare o proseguire i rapporti (anche se di durata determinata) che trova pendenti ed ha invece - ove non ne ritenga utile il perfezionamento o la prosecuzione - facoltà di sciogliersene, senza alcun diritto della controparte a risarcimento dei danni» [C 5.2.1980, n. 799, Fall 1980, 501; GComm 1980, 665, in motivazione; in senso conforme, seppure incidentalmente, C 25.2.2002,
n. 2754, Fall 2003, 39]. Oggi è, infatti, stabilito per legge che, in caso di fallimento di una delle parti di un contratto a prestazioni corrispettive, ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambi le parti, l’esecuzione del contratto, “fatte salve le diverse disposizioni di legge della presente Sezione”, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendone tutti i relativi obblighi, oppure di sciogliersi dal medesimo (art. 72, c. 1) [Xx Xxxxxx (32), 727; Xxxxxxxxxxxx (60), 121; Xxxxx- Sica (79), 411; Xxxxxx (45), 349; Jorio (63), 476; Xxxxxxx-Xxxxxxxxxxx (90), 459; conf. Di Cola (27), 509].
43 Secondo una interessante ipotesi ricostruttiva della dottrina, l’intervenuta codificazione della regola generale e l’elevazione della disciplina della compravendita pendente a paradigma generale dei contratti pendenti avrebbe “un importante rilievo sistema- tico”, in quanto non si ridurrebbe alla “verbalizzazione di una regola importata nella legge fallimentare dalle norme sul contratto in generale”, ma esprimerebbe l’intento del legislatore della riforma di indirizzare “la vicenda relativa al contratto pendente verso l’attuazione delle esigenze della liquidazione concorsuale”. La disciplina dei contratti pendenti avrebbe una matrice eminentemente fallimentare, autonoma rispetto alle norme sul contratto in generale, caratterizzata dalla inevitabile soggezione della posizione del contraente in bonis al diritto potestativo del curatore di sciogliersi dal con- tratto o di subentrarvi, come risulterebbe dalla mancata riproduzione della norma del 1942 che consentiva al contraente non fallito di dare volontaria esecuzione al contratto sia pure assoggettando il proprio credito alla falcidia fallimentare. In altri termini, la regola generale del vigente art. 72, si risolverebbe in una “vicenda giuridica contrattuale di tipo modificativo”, autonoma rispetto al sistema della tutela sinallagmatica, costituita dalla soggezione del contraente in bonis al diritto potestativo del curatore, cui sol- tanto spetta di sciogliere o di acquisire il contratto pendente, senza alcuna alternativa. Il contraente in bonis, infatti, è ormai privo di qualsiasi potere che gli consenta di incidere sulla sorte del contratto pendente: non può più darvi volontaria esecuzione; non può chiedere la risoluzione del contratto, anche se i relativi presupposti si siano verificati prima del fallimento; non può più avvalersi neppure di clausole contrattuali che ricol- leghino la risoluzione del contratto alla dichiarazione di fallimento di una delle parti; in caso di risoluzione per scelta del curatore può fare valere il suo credito unicamente mediante domanda di ammissione al passivo e conseguente assoggettamento alla falci- dia fallimentare, senza alcun diritto al risarcimento del danno [Xxxxx-Xxxx (79), 392; Jorio (63), 470; Luminoso (75), 215; puntuale al riguardo è la conforme pronuncia dei giudici di legittimità in tema di contratto preliminare, secondo cui «il diritto del curatore di sciogliersi dal contratto, sancito dall’art.72 l. fall…ha carattere potestativo, e si per- feziona con la mera comunicazione - eventualmente anche mediante l’atto introduttivo di un giudizio - della volontà del suo titolare alla controparte, senza che sia necessario un intervento del giudice, cui compete solo di accertare che l’effetto si sia prodotto» C. 10.4.2013, n. 8686, Fall 2014, 1, 109].
44 La ratio della regola generale - La ragione di questo particolare trattamento dei con- tratti con prestazioni corrispettive è stata individuata, fin dal principio, nell’esigenza di attenuare la grave disuguaglianza di trattamento tra le due parti in caso di fal- limento di una di esse, non essendo parso giusto che, per la regola del concorso, la parte in bonis fosse costretta ad eseguire integralmente la prestazione dovuta senza ricevere in corrispettivo l’intera controprestazione, potendo ottenere dal fallimento il solo dividendo risultante dalla ripartizione dell’attivo in base al principio della par condicio creditorum. Nei rapporti pendenti con prestazioni ineseguite da entrambe le parti si è ritenuto equo, pertanto, contemperare i contrapposti interessi, ricollegando al fallimento la sospensione dell’esecuzione del contratto, in modo che il contraente in bonis sia tenuto ad adempiere solo se il curatore, subentrando nel contratto, adempia a sua volta integralmente [Xxxxxxx (9), 568; Satta (113), 273]. Oggi, a seguito della
riforma degli anni 2006-2007, l’interesse della massa dei creditori concorrenti è asso- lutamente preminente rispetto a quello del contraente in bonis ed è stato favorito con una regola generale la quale, avendo soppresso ogni possibile incidenza della volontà di quest’ultimo sulla sorte del contratto, attribuisce al solo curatore il potere di decidere lo scioglimento o la conservazione dei rapporti pendenti.
Interessante è la tecnica di redazione della regola. La nuova disposizione, con la 45 mutata rubrica “Rapporti pendenti”, è stata confezionata con frammenti ricavati dai primi due commi del vecchio art. 72, relativi agli effetti del fallimento del compratore
sulla compravendita in corso, e con essa è stata attribuita una portata generale a quella che prima era stata la regola specifica per la compravendita in corso nel fallimento del compratore. L’operazione ha determinato, però, la scomparsa della disposizione, contenuta nel c. 1 del testo originario dell’articolo, secondo cui, in caso di fallimento del compratore, al venditore in bonis spettava il diritto di compiere la sua prestazione, facendo valere nel passivo del fallimento il suo credito per il prezzo. Era una dispo- sizione eccezionale che solo per il caso di fallimento del compratore consentiva al venditore di eseguire coattivamente la sua prestazione e di far valere nel passivo il suo credito, ancorché derivante da un contratto a prestazioni corrispettive ineseguito. E ciò non senza inconvenienti, se si considera che la prestazione del venditore poteva non essere rispondente alle esigenze della liquidazione fallimentare. A seguito dell’inter- venuta soppressione di quella norma, si può oggi affermare che in nessun caso spetta al contraente in bonis il diritto di insinuare nel passivo fallimentare il suo credito, quando questo deriva da un contratto corrispettivo non eseguito [Xxxxxxxxxxxx (58), 10; Xxxxxxxxxxxx (54), 1127; Xxxxx (94), 878; Xxxxxxxxxxxx (59), 130; Inzitari
(61), 9-10; Lo Xxxxxx (70), 444].
Particolare attenzione merita, poi, lo studio del rapporto tra la regola generale e le 46
“diverse disposizioni” della Sezione IV. La regola generale dell’art. 72 è tale, come si è detto, nel senso che si applica a tutti i contratti a prestazioni corrispettive non eseguiti da entrambe le parti o non compiutamente eseguiti, esclusi quelli oggetto delle regole speciali contenute, non solo nelle altre diverse disposizioni della Sezione IV, ma anche in qualsiasi altro testo normativo [Guglielmucci (54), 1120; Vattermoli (123), 176; Xxxxxx (45), 349]. Le specifiche norme che prevedono lo scioglimento o la prosecuzione ex lege di particolari figure contrattuali, si pongono quindi, incontesta- bilmente, in rapporto di specie a genere rispetto alla regola generale, perché oggi è una espressa disposizione di legge che, dettando la regola generale e facendo “salve le diverse disposizioni” della Sezione IV, sancisce tale rapporto [Vattermoli (121), 412 e 416]. Così come nello stesso rapporto sono le norme speciali che, in considerazione della particolare funzione di talune figure contrattuali, modalizzano, in maniera diversa rispetto alla regola generale, il diritto di scelta del curatore. Questo non deve, però, far pensare che la regola generale si applichi indistintamente a tutti i contratti per i quali non vi sia una espressa disciplina speciale. In presenza di contratti in corso non espres- samente regolati in un senso o nell’altro, infatti, è pur sempre necessario verificare che ad essi non si applichi per analogia una disciplina speciale, prima di ricondurli alla regola generale. In altri termini, si deve applicare la regola generale soltanto dopo
che si sia verificato che una delle discipline specifiche non sia in concreto applicabile neppure per analogia. La salvezza delle “diverse disposizioni della presente sezione” (art. 72, novellato) non può infatti che riguardare la portata normativa delle stesse alla luce di quelli che sono gli ordinari criteri di interpretazione e quindi anche del criterio dell’interpretazione analogica [Guglielmucci (59), 149; Xxxxxxxxxxxx (54), 1119; Xxxxxx (45), 350]. In dottrina vi è chi accanto alle “disposizioni speciali”, che derogano alla regola generale, pone la categoria delle disposizioni eccezionali, distinguendole dalle altre per l’insuscettibilità delle stesse ad essere applicate per analogia, in conside- razione della speciale tutela che il legislatore ha voluto apprestare a favore dei contraenti in bonis. Si tratta del contratto preliminare di immobili destinati ad abitazione princi- pale del compratore, previsto dall’ultimo comma dell’art. 72, per il quale è prevista l’inapplicabilità della regola generale, e del contratto relativo ad immobili da costruire, previsto dall’art. 72-bis, che prevede a certe condizioni lo scioglimento del contratto ad iniziativa dell’acquirente [Xxxxx-Xxxx (79), 399]. In estrema sintesi, la regola generale, contenuta nel c. 1 dell’art. 72, si applica a tutti i rapporti pendenti, eccettuati quelli oggetto delle diverse specifiche disposizioni della Sezione IV, compresi quelli cui queste ultime disposizioni si possano applicare per analogia, nonché quelli regolati dalle norme eccezionali di cui sopra si è fatto cenno. Recentemente la regola generale dell’art. 72, è stata applicata dalla S.C. anche al rapporto di lavoro, essendosi statuito che «per effetto della dichiarazione di fallimento, in presenza di cessazione di attività aziendale il rapporto di lavoro, pur essendo formalmente in essere, rimane sospeso fino al licenziamento; in difetto del requisito di sinallagmaticità non è quindi configurabile una retribuzione. Non essendovi obbligo retributivo per l’assenza di prestazione lavo- rativa, non è nemmeno configurabile un credito retributivo dell’Inps, essendo peraltro irrilevante l’avvenuta ammissione al passivo del fallimento dei crediti retributivi dei lavoratori» [C 14.5.2012, n. 7473, Fall 2013, 5, 646, con commento di Xxxxxxx-Xxxxxx (10), 646, secondo cui l’attuale formulazione dell’art. 72, che non fa, come prima, alcun riferimento al solo contratto di compravendita, ha fatto assurgere la norma a principio generale applicabile a tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive pendenti alla data del fallimento, ivi compresi pertanto i rapporti di lavoro, a prescindere dalla natura degli stessi (autonoma, subordinata, parasubordinata, di agenzia].
X. I presupposti per l’applicazione della regola generale
47 Per l’applicazione della regola generale sono richiesti i seguenti presupposti: a) che il contratto sia a prestazioni corrispettive, sia stato validamente concluso prima della dichiarazione di fallimento e sia opponibile al fallimento; b) che le prestazioni reciproche non siano state eseguite o non interamente eseguite da entrambe le parti; c) che, nei contratti ad effetti reali, la parte in bonis non abbia già acquistato la proprietà o altro diritto reale sulla cosa oggetto del contratto; d) e che il bene oggetto del contratto sia compreso nel fallimento. Tali presupposti sono stati ritenuti sussistenti e la regola generale applicata in un caso di transazione della lite conclusa, prima di fallire, da un imprenditore, con la quale si era convenuto che l’imprenditore lasciasse estinguere il processo per inattività delle parti e l’altra parte si impegnasse a pagare ratealmente il proprio debito, si è statuito, infatti, che, intervenuto il fallimento prima dell’integrale
pagamento del debito rateizzato, il curatore aveva facoltà di optare per lo sciogli- mento del contratto di transazione e di riassumere il giudizio per potere fare accer- tare in via incidentale il verificarsi dei presupposti per lo scioglimento del contratto ai sensi dell’art. 72 ed ottenere così il pagamento del proprio residuo credito [T Xxxxxx 00.0.0000, NT 2009, 610; Xxxxxxxxxxxx (60), 122]. Recentemente la regola è stata ritenuta applicabile anche alle «linee di credito autoliquidanti ancora in essere», con ciò superandosi talune riserve formulata da una parte della dottrina, sul giusto rilievo che oggi, anche in caso di fallimento, si cerca di evitare la dissoluzione dell’impresa debitrice mediante la conservazione dell’efficienza produttiva dell’azienda anche attra- verso la continuità dei finanziamenti assicurati dai contratti di credito bancario ancora in essere alla data del fallimento [Frigeni (47), 686].
Reciprocità e interdipendenza delle prestazioni - Con riguardo al primo presuppo- 48 sto, il contratto, il cui dato caratteristico è il reciproco trasferimento di beni o servizi e l’interdipendenza delle prestazioni in modo tale per cui la prestazione dell’uno è causa
della prestazione dell’altro [Pino (96), 159], deve essersi concluso prima del falli- mento, intendendosi per tale quello che prima del fallimento sia giunto al compiuto e regolare perfezionamento del suo iter formativo secondo i principi del diritto dei contratti. Occorre, inoltre, che il contratto sia stato concluso validamente e che le sue obbligazioni principali, e non anche quelle marginali ed accessorie, siano rimaste totalmente o parzialmente inadempiute per l’inesecuzione totale o parziale delle pre- stazioni che ne costituiscono l’oggetto [Dimundo-Patti (36), 9 e 27; Patti (94), 875;
Sanzo (111), 20; Xx Xxxxxx (32), 727 e 732; Inzitari (61), 5; Xxxxxxxxxx (123), 175]. Alla stregua di tale principio, correttamente si è ritenuto in giurisprudenza che la transazione fiscale stipulata ai sensi dell’art. 3, c. 3, d.l. 8.7.2002, n. 138, convertito con modificazioni nella l. 8.8.2002, n. 178, con la quale l’ente impositore aveva con- cesso una riduzione della somma dovuta e la sua rateazione, non era soggetta in caso di fallimento del contribuente alla disciplina dei rapporti pendenti ex art. 72, trat- tandosi di contratto interamente eseguito da parte del creditore con lo scambio dei con- sensi anteriore alla dichiarazione di fallimento [T Messina 2.7.2009, Fall 2009, 1481]. La disciplina dei rapporti pendenti è stata ritenuta, invece, applicabile al rapporto di lavoro subordinato pendente alla data del fallimento del datore di lavoro in un caso nel quale il curatore aveva ritenuto di non potere utilizzare le prestazioni del dipen- dente a causa della cessazione dell’attività aziendale e delle esigenze della procedura concorsuale, essendo stata riconosciuta al curatore la facoltà di sciogliersi dal rapporto medesimo, così configurandosi, per analogia, una fase di sospensione sino alla deter- minazione, da parte degli organi della procedura, di subentrare o meno nel contratto, alla quale è stata nel concreto equiparata l’intimazione del licenziamento irrogata dal curatore con efficacia retroattiva alla dichiarazione di fallimento quale manifestazione della volontà di non subentrare nel rapporto di lavoro [C App. Xxxxxx 00.0.0000, Fall 1485; analogamente, C App. Napoli 16.5.2007, Massima redazionale].
Occorre inoltre che il contratto sia opponibile al curatore in quanto terzo rispetto ai 49 contraenti, ritenendosi tale quello rispetto al quale, prima della dichiarazione di fal- limento, siano state compiute tutte le formalità richieste dalla legge affinché esso sia
computabile riguardo ai terzi, a sensi dell’art. 45 (trascrizione per gli atti trascrivibili; scrittura di data certa anteriore al fallimento nei casi previsti dall’art. 2704 c.c.; noti- ficazione o accettazione della cessione di credito). Per i contratti inefficaci ai sensi dell’art. 45, l’art. 72 non viene neanche in discussione [Xxxxxxx-Xxxxx (36), 30;
Xxxxx (94), 875; Xxxxxxxxxxxx (60), 123; Xxxxxxxx (75), 217; Luminoso (74), 818;
C 15.11.1996, n. 11824, GComm 1996, I, 1720; x. xx xxxxxx X 00.00.0000, x. 00000,
Fall 2008, 354, secondo cui “l’opponibilità al fallimento del venditore di un suo atto di vendita immobiliare richiede che l’atto stesso abbia data certa, a norma dell’art. 2704
c.c. e che le formalità necessarie a rendere opponibili gli atti ai terzi, nella specie la trascrizione, siano compiute, ex art. 45, in data anteriore all’apertura della procedura concorsuale”].
50 Il terzo presupposto riguarda i contratti ad effetti reali, che trasferiscono al contraente in bonis la proprietà o altro diritto reale. L’applicabilità ad essi della regola generale presuppone che il contratto al momento del fallimento non abbia ancora deter- minato il trasferimento del diritto che ne costituisce l’oggetto. In caso contrario il contratto deve ritenersi già eseguito da una delle parti e pertanto, sottratto all’applica- zione delle norme sugli effetti del fallimento sui rapporti pendenti. L’acquirente del diritto può far valere la sua pretesa alla consegna del bene a sensi degli artt. 93 ss., e 103 [Guglielmucci (54), 1121; x. xxx xxxxx Xxxxx (000), 00; Xxxxxxxx (75), 217].
51 L’ultimo dei presupposti, sopra indicati, riguarda i contratti aventi per oggetto beni non compresi nel fallimento. Precisamente, i contratti che hanno per oggetto i beni specificamente elencati nell’art. 46, quali non sono compresi nel fallimento, essendo estranei alla garanzia patrimoniale del debitore. Tali contratti, infatti, siccome non destinati al soddisfacimento dei creditori concorrenti non sono oggetto di liquidazione ed esorbitano quindi dall’ambito di applicazione delle norme sui rapporti pendenti [Patti (94), 875; Ferrara-Borgioli (32), 372; C 9.6.1993, n. 6424, Fall 1993, 1236]. Dall’esclusione di questa parte del patrimonio del fallito alla liquidazione concorsuale, derivano conseguenze di ordine sostanziale e processuale. Sotto il primo aspetto la conseguenza è che il contratto prosegue tra le parti originarie - fallito e contraente in bonis - e continua ad essere regolato dalle norme di diritto comune. Il curatore vi resta estraneo, salvo che per i crediti maturati anteriormente alla dichiarazione di fallimento, per il recupero dei quali la parte in bonis può chiederne l’ammissione al passivo. Sotto l’aspetto processuale, alla sopravvivenza in capo alla persona del fallito dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto, corrisponde la legittimazione attiva e passiva del fallito medesimo nei giudizi avviati da lui o contro di lui [Xxxxx-Xxxx (79), 401].
XI. L’avvenuto trasferimento del diritto reale da limite dell’applicabilità di una specifica regola dettata in caso di fallimento del venditore a limite dell’applicabi- lità della regola generale del c. 1 dell’art. 72
52 Il primo periodo dell’originario c. 4 dell’art. 72, stabiliva che, in caso di fallimento del venditore, il contratto non si scioglieva se la cosa venduta fosse già passata in proprietà del compratore. Quel comma era divenuto il primo dell’art. 72-bis, come
sostituito dalla legge di riforma dell’anno 2006 e si riferiva ancora agli effetti del fal- limento sul contratto di compravendita in caso di fallimento del venditore. Il decreto correttivo dell’anno 2007 (art. 4, n. 6, lett. a), d.lgs. 169/2007) ha abrogato il predetto c. 1 dell’art. 72-bis, ma ha trasferito il precetto in esso contenuto nell’art. 72, inserendo nel suo c. 1 l’ultimo inciso, secondo cui la regola generale con esso sanzionata non opera quando “nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto” [sul punto, specialmente per quanto riguarda la sorte nel fallimento delle vendite ad effetti obbligatori, v. ora Xxxxxx Xxxxxxx (23), 38 ss.; Xxxxxxx-Xxxxxxxxxxx (90), 460; Luminoso (74), 819 s.]. In effetti il decreto non ha fatto che estendere a tutti i rapporti pendenti soggetti alla regola generale del c. 1 dell’art. 72 una norma che il c. 1 dell’art. 72-bis riferiva al contratto di compravendita in caso di fallimento del venditore. Quest’ultima disposizione stabiliva che, in caso di fallimento del venditore, il contratto non si scioglieva se la cosa venduta era già passata in proprietà del com- pratore in bonis. Di essa, in realtà, si poteva fare a meno anche fin d’allora, perché il contratto di compravendita, che al momento del fallimento avesse già determinato il trasferimento del diritto di proprietà sulla cosa venduta al compratore, cessava di essere un rapporto pendente soggetto alla relativa disciplina. Con la conseguenza che il curatore era tenuto a rispettare l’acquisto del compratore in bonis ed a pretendere da lui soltanto il pagamento del prezzo se ancora dovuto.
Il decreto correttivo, in sostanza, ha esteso l’ambito di applicazione della regola 53 generale, riferendola espressamente a tutti i contratti pendenti ineseguiti o non com- piutamente eseguiti da entrambi i contraenti, compresi quelli ad effetti reali che non avessero ancora determinato il trasferimento del diritto sulla cosa oggetto del contratto.
In verità, anche di questa norma si poteva fare a meno perché il principio, di cui essa è espressione, era già ricavabile dal sistema e, in particolare, dal concetto di rapporto pendente, che non comprende i rapporti in cui una delle parti abbia compiutamente eseguito l’obbligazione a proprio carico. Tanto è vero che anche in assenza di essa avevamo rilevato che l’applicabilità della regola generale del c. 1 dell’art. 72 presuppo- neva l’inesecuzione totale o parziale dei contratti ed era esclusa per i contratti ad effetti reali in cui prima del fallimento si fosse verificato l’effetto traslativo [Dimundo (34), 219]. Naturalmente il momento in cui nei contratti ad effetti reali si verifica l’effetto traslativo del diritto si determina in base alla legge sulla circolazione dei beni [Xxxxx- Sica (79), 416]. Il decreto, quindi, non ha introdotto alcuna sostanziale novità; ha soltanto codificato un principio già elaborato da dottrina e giurisprudenza quale ecce- zione alla regola generale di cui al c. 1 dell’art. 72, ed in precedenza positivamente previsto per la compravendita in caso di fallimento del venditore [Lo Xxxxxx (69), 868; Xxxxxxxxxxxx (54), 1121]. In altri termini, secondo l’ultimo inciso del c. 1 dell’art. 72, il diritto, che il contraente in bonis abbia acquistato prima della dichiarazione di falli- mento in virtù di un contratto ad effetto reale opponibile al fallimento medesimo, non è soggetto alla regola generale sanzionata dalla restante parte del comma secondo cui l’esecuzione dei contratti in corso di esecuzione rimane sospesa fino a quando il cura- tore, autorizzato dal comitato dei creditori, non abbia operato la scelta tra il subentro nel contratto e lo scioglimento di esso. Ciò significa che in tale ipotesi il diritto del contraente in bonis non è soggetto alla regolazione concorsuale e che quindi esso, in
via di eccezione alla regola, deve essere soddisfatto integralmente, se necessario, anche in via coattiva, attraverso l’esercizio della domanda di consegna o rilascio della cosa ai sensi dell’art. 103. Con la precisazione che il curatore, seppure tenuto a soddisfare la pretesa reale del contraente in bonis, in quanto acquisita anteriormente al fallimento, non è tenuto, però, a soddisfare anche gli altri diritti nascenti dal contratto generatore di quella pretesa, non integrando la sua soggezione un’ipotesi di subentro nel contratto medesimo [Xxxxxxxxxxxx (59), 151]. Fuori dell’ipotesi qui considerata, il contraente in bonis non può eseguire la prestazione a suo carico, facendo valere il suo diritto alla controprestazione mediante domanda di ammissione al passivo del relativo credito, e non può neppure chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento della parte fallita, salvo che non abbia esperito la relativa azione prima della dichiarazione di falli- mento con domanda opponibile al fallimento. Egli è, infatti, in uno stato di soggezione al diritto del curatore di scegliere tra lo scioglimento del contratto ed il subentro in esso. Soltanto in quest’ultimo caso ha diritto al soddisfacimento integrale del suo credito. Nel primo caso, invece, non gli resta che far valere nel passivo il suo eventuale credito, senza che gli sia dovuto pure il risarcimento del danno ma non può chiedere il risarci- mento del danno [Guglielmucci (59), 157].
XII. La sospensione dell’esecuzione dei contratti
54 In presenza dei presupposti per l’applicabilità della regola generale sopra enunciata, il
c. 1 dell’art. 72, stabilisce che l’esecuzione del contratto rimane automaticamente sospesa fino a quando il curatore non abbia operato la scelta tra il subentro e lo scio- glimento del contratto medesimo. La sospensione assolve la funzione di assicurare al curatore un tempo di riflessione sufficiente per la maturazione di una scelta ponderata nell’interesse della massa dei creditori [Vattermoli (122), 416; Sanzo (111), 19; Xx Xxxxxx (32), 738; Vattermoli (123), 177; Vattermoli (124), 993; Inzitari (61), 10; Xxxxxx (45), 351; Jorio (63), 477; Xxxxxxx-Xxxxxxxxxxx (90), 460]. La norma in questione, secondo l’opinione prevalente, ha carattere di specialità rispetto a quelle comuni contenute negli artt. 1460 e 1461 c.c., le quali nei contratti a prestazioni corri- spettive prevedono, nell’ordine, il rifiuto di una parte di adempiere se l’altra non adem- pie la propria e la facoltà di ciascun contraente di sospendere la prestazione dovuta se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione [Xxxxxxxxxxxx (58), 13; Xxxxxxx-Xxxxx (36), 93; Xx Xxxxxx (32), 729; v. ora anche Xxxxxxxxx (49), 138].
55 Il rimedio fallimentare della sospensione dell’esecuzione dei contratti a prestazioni corrispettive ineseguite, apprestato dall’art. 72, c. 1, secondo l’opinione riferita, è l’equi- valente, in caso di fallimento di uno dei contraenti, dei rimedi civilistici dell’eccezione di inadempimento e della sospensione dell’esecuzione per il sopravvenuto mutamento delle condizioni patrimoniali dell’altro contraente, perché sia l’uno che gli altri tendono alla tutela del contraente in bonis che non abbia ancora eseguito la sua prestazione, consentendogli di non adempiere fino a quando l’altro non garantisca la contropresta- zione. In caso di fallimento, infatti, il curatore può conseguire la prestazione dovuta dal contraente in bonis soltanto subentrando nel contratto ed assumendo a carico della
massa la controprestazione dovuta dal fallito. Si differenzia, però, dai rimedi civilistici sia perché la sospensione fallimentare consegue automaticamente alla dichiarazione di fallimento, e non all’iniziativa del contraente adempiente, sia perché nel fallimento al contraente in bonis non è più consentito né di adempiere la sua obbligazione e di insinuarsi al passivo per il suo credito verso il fallito, né di chiedere la risoluzione del contratto, affermandosi così come misura marcatamente fallimentare concepita nel prevalente interesse della massa dei creditori, anche se non trascura del tutto quello del contraente in bonis, consentendogli di non eseguire la prestazione a suo carico per tutta la sua durata [Xxxxx-Xxxx (79), 433].
In pendenza della sospensione il contratto conserva la sua forza di legge tra le parti 56 (art. 1372 c.c.), le quali restano vincolate all’adempimento delle reciproche obbliga- zioni, ma non possono eseguire le prestazioni che ne costituiscono l’oggetto fino a quando il curatore non abbia esercitato la facoltà di scelta [Vattermoli (122), 418].
XIII. La messa in mora del curatore
Lo strumento della sospensione dell’esecuzione del contratto, però, tutela solo tem- 57
poraneamente il contraente in bonis, perché, pur esonerandolo dall’obbligo di eseguire la prestazione a suo carico, gli preclude, però, sia la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, sia quella di ottenere la controprestazione, ponendolo in una situazione di incertezza non tollerabile a lungo. La sospensione è invece molto vantaggiosa per la procedura, in quanto assicura al curatore uno spazio di tempo sufficiente per una scelta ponderata tra il subentro e lo scioglimento del contratto o anche di non scegliere e di lasciare il rapporto in stato di sospensione [Vattermoli (122), 417; Vattermoli (123), 177; Vattermoli (124), 994; v. ora anche Xxxxxxxxx
(49), 133].
Per evitare che la situazione di incertezza sulla sorte definitiva del contratto si prolun- 58 ghi eccessivamente, con pregiudizio degli interessi del contraente in bonis, il c. 2 del novellato art. 72, in attuazione del criterio direttivo contenuto nell’art. 1, n. 6, lett. a),
n. 7, l.d. 14.5.2005, n. 80 - che in modo espresso ha prescritto l’ampliamento dei termini entro i quali il curatore deve manifestare la propria scelta in ordine allo scioglimento dei relativi contratti - dispone che il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato, con provvedimento ad efficacia endoproces- suale non decisorio, un termine non superiore a sessanta giorni (prima otto giorni), decorso il quale, in assenza del subentro, il contratto si intende sciolto. Analogo potere di messa in mora non è previsto a favore del curatore in caso di inerzia del contraente in bonis [Xx Xxxxxx (32), 740; Xxxxxx (45), 353; Jorio (63), 478; Pajardi-Palucho- wski (90), 461]. Secondo autorevole dottrina [Xxxxxxxxxxxx (59), 157], la facoltà del contraente in bonis di mettere in mora il curatore inerte fa da contrappeso alla man- canza di un suo diritto ad ottenere la risoluzione del contratto ed assolve la funzione di determinarne lo scioglimento, e consentire, così, alla parte adempiente di far valere il suo credito nel passivo del fallimento, oppure di indurre il curatore a subentrare nel contratto medesimo ed ottenere conseguentemente il soddisfacimento integrale del suo
credito. L’ampliamento del termine originario, senza dubbio molto breve, è stato disposto in modo da assicurare al curatore un tempo di riflessione più congruo e suffi- ciente a consentirgli una scelta ponderata e consapevole [Censoni (20), 1038]. Sotto l’aspetto formale l’assegnazione del termine deve essere richiesto dal contraente in bonis con ricorso al giudice delegato, il quale, deve provvedere, fissando al curatore del fallimento un termine non superiore a quello prescritto dalla legge. L’eventuale asse- gnazione di un termine più lungo di quello legale potrebbe giustificare l’impugnazione del provvedimento ex art. 26.
XIV. L’autorizzazione al subentro o allo scioglimento del contratto
59 Lo stato di sospensione dell’esecuzione del contratto si protrae fino a quando il cura- tore non dichiari di subentrare nel contratto in luogo del fallito ovvero di sciogliersi dal medesimo (art. 72, c. 1), sia che tale scelta faccia a seguito di messa in mora su richiesta del contraente in bonis, sia che la faccia spontaneamente. È possibile anche che lo stato di sospensione permanga per tutta la durata della procedura, qualora sia il curatore che la parte in bonis rimangano inerti, il primo omettendo di compiere la scelta e la seconda non richiedendo al giudice delegato l’assegnazione al curatore del termine di cui al c. 2 dell’art. 72. In tal caso il rapporto sopravvive alla procedura e le parti possono esercitare i rispettivi diritti, sempre che non si siano nel frattempo estinti per il lungo tempo trascorso [Xxxxx-Xxxx (79), 446].
60 La facoltà di scelta si configura come potere discrezionale o diritto potestativo, rispetto al quale il contraente in bonis si viene a trovare in uno stato di soggezione, non avendo né la possibilità di opporsi all’esercizio di tale potere, né la facoltà, previ- sta invece dal testo originario dell’art. 72, di dare corso al contratto e di insinuarsi al passivo per il suo eventuale credito [T Nola 5.1.2009; in dottrina, Vattermoli (124), 996 s.; Xxxxxx (45), 353; Xx Xxxxxx (32), 739]. La forma della scelta è assolutamente libera; può essere effettuata con una dichiarazione espressa, scritta oppure orale, ma può essere anche tacita, ossia manifestata per fatti concludenti, non essendo necessario un negozio formale, né un atto di straordinaria amministrazione [C 2.12.2011, n. 25876, Fall 2012, 8, 1002]. È stata considerata idonea manifestazione per fatto concludente della volontà del curatore di sciogliersi da un contratto preliminare di compravendita, ai sensi dell’art. 72, nel testo vigente anteriormente alla riforma della legge fallimentare, la proposizione di un atto di appello avverso la pronuncia di primo grado con la quale era stato disposto il trasferimento coattivo ai sensi dell’art. 2932, c.c., «poiché involge il conferimento di un mandato alle liti “ad hoc”... anche in assenza di una sua specifica sottoscrizione sull’atto con cui il gravame è concretamente formulato» [C 15.1.2013,
n. 787, Fall 2013, 10, 1312]. Il curatore del fallimento per esercitare legittimamente il suo potere deve munirsi dell’autorizzazione del comitato dei creditori. Secondo il vecchio testo dell’art. 72, c. 3, l’autorizzazione era, invece, prerogativa del giudice delegato. La sostituzione dell’autorizzazione del giudice delegato con quella del comi- tato dei creditori è in perfetta sintonia col rinnovato e potenziato ruolo di quest’organo, che con la riforma ha assunto un essenziale compito di affiancamento del curatore nelle scelte strategiche relative alla gestione del patrimonio fallimentare [Vattermoli (123),
177; Vattermoli (124), 994; Xxxxxx (45), 352; Xx Xxxxxx (32), 739; Guglielmucci
(60), 132; Jorio (63), 477; Xxxxxxx-Xxxxxxxxxxx (90), 460]. Tale scelta è stata, però, oggetto di giuste critiche, essendosi osservato, volta a volta, che la decisione in merito al subentro o allo scioglimento non è solo questione di valutazione economica [Masca- riello (78), 297]; che il comitato dei creditori sarebbe inidoneo a svolgere il ruolo loro affidato per il dubbio sulla loro imparzialità [Inzitari (62), 311]; che, addirit- tura, sarebbe costituzionalmente dubbia la compatibilità dell’attribuzione al comitato dei creditori di così estesi poteri di direzione della procedura concorsuale col diritto di tutela giudiziaria dei diritti dei creditori [Rovelli (106), 1 ss.]. In dottrina si è posta anche la questione se l’autorizzazione sia un requisito di validità dell’atto del curatore e se sia possibile l’autorizzazione ex post a ratifica dell’atto del curatore compiuto senza autorizzazione [Xxxxx (111), 25; Xxxxx-Xxxx (79), 447].
Nel caso in cui il comitato dei creditori non sia ancora costituito e vi sia urgenza di 61
decidere, la decisione sulla richiesta di autorizzazione, anche dopo la riforma, spetta al giudice delegato, a sensi dell’art. 41, c. 4. Al riguardo è stata sottolineata l’aporia costituita dall’omessa previsione dei rapporti pendenti nel programma di liquidazione (art. 104-ter), che il curatore deve predisporre subito dopo la redazione dell’inventario e sottoporre all’approvazione del giudice delegato, previo parere del comitato dei cre- ditori, e di conseguenza dall’esclusione dell’intervento del giudice delegato in materia di liquidazione di tali rapporti [Patti (94), 877]. Ma riteniamo che un programma di liquidazione, in cui non si faccia menzione della gestione dei rapporti pendenti, diffi- cilmente può essere ritenuto completo e meritevole di approvazione [Di Marzio (32), 739; Vattermoli (124), 996].
L’autorizzazione, secondo la lettera del citato c. 1 dell’art. 72 (“l’esecuzione del con- 62 tratto...rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto...ovvero di sciogliersi...”), è richiesta, a
mio giudizio, sia per la scelta del subentro che per quella dello scioglimento. Si è, però, ritenuto da alcuni che l’autorizzazione sarebbe necessaria per il subentro, ma non anche per la scelta dello scioglimento del contratto. Ciò sul rilievo che se l’autorizzazione non è richiesta, ai sensi del c. 2 dell’art. 72, in caso di scioglimento automatico del contratto per l’inutile decorso del termine assegnato al curatore per la dichiarazione di scelta o in altri casi simili, non può ragionevolmente essere ritenuta necessaria quando lo scio- glimento consegue da una dichiarazione espressa del curatore medesimo [Xx Xxxxxx (32), 739; Vattermoli (123), 177 s.; Vattermoli (122), 417; Vattermoli (124), 994;
Inzitari (61), 15; Xxxxxxxxxxxx (54), 1132; Xxxxxxxxxxxx (60), 132; Xxxxxx (45),
352; Jorio (63), 478; v. ora anche Xxxxxxxxx (49), 145 s., secondo cui l’autorizza- zione sembrerebbe necessaria unicamente per la continuazione del rapporto, e non per la diversa ipotesi dello scioglimento, sul rilievo che, a causa delle obbligazioni che essa comporta a carico del patrimonio del fallito, è la prosecuzione del rapporto a dovere essere attentamente valutata dai creditori e non la sua cessazione. In giurisprudenza v. C 25.8.2004, n. 16860, Fall 2005, 90; C SU 14.4.1999, n. 239, Fall 1999, 1247]. La
tesi, anche se autorevolmente sostenuta, non pare, però, del tutto condivisibile, perché lo scioglimento del contratto può non essere meno impegnativo e grave del subentro in
esso, implicando pur sempre la rinuncia, potenzialmente pregiudizievole, al credito di prestazioni comprese nel patrimonio del fallito [Mascariello (78), 293; Grossi (53), 959; v. ora anche Xxxxx (111), 22 e 27, secondo cui “difficilmente potrebbe affermarsi in maniera convincente che il curatore possa, oggi, assumere la decisione di sottrarre alla massa la possibilità di subentrare in un contratto all’insaputa del comitato dei cre- ditori ed a prescindere dalle valutazioni dello stesso”].
63 Quanto alla forma, l’autorizzazione, come tutti gli atti del processo, deve essere xxxxxx- sta e data per iscritto. Ma può essere anche implicita, quando è contenuta in un provve- dimento di altra natura incompatibile col diniego dell’autorizzazione. In ogni caso essa può essere impugnata con reclamo al giudice delegato, a sensi dell’art. 25, n. 5.
XV. La scelta del subentro nel contratto. Effetti
64 La dichiarazione di subentro è prescelta dal curatore, quando l’esecuzione del con- tratto è ritenuta conveniente e sia opportuno acquisirne le utilità. A differenza della scelta dello scioglimento che, come si è detto, può avvenire, secondo una parte della dottrina, senza l’autorizzazione del comitato dei creditori, la dichiarazione di subentro nel contratto deve essere sicuramente autorizzata dal comitato dei creditori e deve essere fatta con un atto positivo, sia in forma espressa che per fatti concludenti, come l’esecuzione spontanea del contratto sospeso [Xxxxxxxxxxxx (54), 1132; Di Marzio (32), 739; Xxxxxxxxxxxx (60), 132; Vattermoli (124), 996].
65 Il subentro del curatore è facoltativo ed implica, da una parte, l’acquisto dei diritti nascenti dal contratto e, dall’altra, l’assunzione a carico della massa delle obbliga- zioni dallo stesso derivanti [Sanzo (111), 25; Vattermoli (123), 178; Vattermoli (124), 996; Jorio (63), 478; Luminoso (75), 221]. Questo principio che, prima, era ricavato dalla giurisprudenza in via di interpretazione per tutti i contratti diversi da quelli per i quali la legge prevedeva lo scioglimento ex lege o il subentro automatico del curatore per effetto del fallimento, è ora previsto espressamente dall’art. 72, c. 1, con un inciso secondo cui il curatore, dichiarando di subentrare nel contratto, ne assume «tutti i relativi obblighi» [C 28.6.1963, n. 1760, FI 1963, 1902]. Più in partico- lare, il curatore subentrante è tenuto ad adempiere le obbligazioni sorte a carico del fallito in via di prededuzione, pena la soggezione all’eccezione di inadempimento, all’eventuale sospensione della controprestazione, all’azione di risoluzione per ina- dempimento e di risarcimento dei danni, nonché all’azione di garanzia per i vizi e per l’evizione [Xxxxx-Xxxx (79), 448; Xxxxxx (45), 355; C 6.12.1974, n. 4030, FI 1975, 1143; Xx Xxxxxx (32), 740; Luminoso (75), 221]. Egli non può neppure modificare unilateralmente il contenuto del contratto ed è, quindi, tenuto al rispetto di tutte la clausole contrattuali, comprese quelle ritenute non convenienti, quali l’eventuale patto di prelazione, di per sé non incompatibile con la liquidazione fallimentare, e, secondo gli ultimi orientamenti della giurisprudenza, le clausole compromissorie [Provin- ciali (97), 1071; Satta (113), 273; Vattermoli (123), 419; Xxxxx-Xxxx (79), 449]. Ancor meno può - dopo aver manifestato la volontà di subentrare nel contratto, ai sensi dell’art. 72 - esercitare l’opposta facoltà di scioglimento, prevista dalla stessa
xxxxx, sicché il contraente in xxxxx può legittimamente esigere che si dia esecuzione al contratto stesso ad opera del curatore già subentrato nelle obbligazioni del fallito [C 2.12.2011, n. 25876, Fall 2012, 1, 34].
Le clausole negoziali - Prima della riforma era discusso se il curatore fosse vincolato 66 alle clausole che ricollegano automaticamente la risoluzione del contratto alla dichia- razione di fallimento di una delle parti. I sostenitori dell’opponibilità fondavano la
loro tesi sul rilievo che il subentro degli organi fallimentari nella disponibilità e nella gestione del patrimonio del fallito non poteva aver luogo nei contratti ormai sciolti per effetto della clausola risolutiva. L’opinione prevalente in giurisprudenza era, però, nel senso dell’inopponibilità del patto [in senso favorevole, Azzolina (6), 1203; contra, T Roma 21.1.1983, Fall 1983, 1122; Vattermoli (122), 424; Sanzo (111),
16; Xxxxxxxxxx (123), 181; Xxxxxxxxxxxx (60), 133; Inzitari (61), 6; Xxxxx-Xxxx
(79), 439; Vattermoli (124), 1001; Jorio (63), 492; Xxxxxxx-Xxxxxxxxxxx (90), 463]. La legge di riforma ha recepito e codificato quest’ultimo orientamento con la norma dell’art. 72, c. 6, la quale ha dichiarato espressamente inefficaci le clau- sole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento, affinché il curatore conservi integra la facoltà di scelta anche con riguardo a questi contratti [Xxxxx-Xxxx (79), 439; Vattermoli (124), 1001; Xxxxxx (45), 359; Jorio (63), 491;
Xxxxxxxxx (49), 168].
In giurisprudenza si è precisato che la disposizione in esame, (“Sono inefficaci le 67
clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento”) non ha portata generale e si applica unicamente ai contratti non ancora eseguiti da entrambi i contraenti alla data della dichiarazione di fallimento in considerazione della sua col- locazione nel contesto dall’art. 72, nonché della sua funzione di tutela del diritto del curatore di subentrare nel contratto ineseguito qualora sia conveniente per la massa dei creditori. Operata la distinzione tra le “clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento” e le “condizioni risolutive” lo stesso giudice ha ritenuto poi che «qualora la circostanza della dichiarazione di fallimento sia dedotta in contratto non come clausola, bensì come condizione risolutiva, non potrà a tale fatti- specie applicarsi l’art. 72, c. 6, la quale stabilisce l’inefficacia delle clausole negoziali che fanno dipendere dal fallimento la risoluzione del contratto» [T Messina 2.7.2009, Fall 2009, 1481].
Clausola risolutiva espressa e clausola penale - La disposizione del c. 6 dell’art. 72 68 riguarda pure la clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 c.c., qualora la parte interessata non abbia comunicato la sua intenzione di avvalersi della clausola prima
della dichiarazione di fallimento della parte inadempiente [Vattermoli (122), 424; C 17.1.1998, n. 376]. Fa eccezione a questa regola l’art. 83, c. 1, che prevede lo sciogli- mento del contratto di assicurazione in presenza di clausola del genere [Vattermoli (123), 181; Vattermoli (124), 1001; Xxxxxx (45), 360]. È incompatibile con le regole del concorso la clausola penale che ricolleghi il pagamento della penale alla dichia- razione di fallimento, non essendo controverso che il fallimento non sia un evento che possa far sorgere a favore del contraente in bonis un diritto al risarcimento del danno
[Vattermoli (122), 424; Vattermoli (124), 1001]. Si ritiene, però, che la clausola penale sia efficace ed opponibile ai creditori nelle ipotesi di inadempimento antece- dente alla dichiarazione di fallimento [Xxxxxx (45), 360].
XVI. La scelta dello scioglimento dal contratto. Effetti
69 Lo scioglimento del contratto, che taluno denomina anche resiliazione per distinguerlo dalla risoluzione per inadempimento [Azzolina (6), 1199], consiste in un effetto, che consegue alla dichiarazione del curatore, il quale, ai sensi del c. 1 dell’art. 72, “dichiara di sciogliersi dal medesimo”. Si tratta di una regola generale che, come tale, si applica a tutti i contratti pendenti ad eccezione di quelli per i quali norme speciali diversamente dispongano. Lo scioglimento ha carattere di definitività e, se legitti- mamente prescelto, rimane fermo ex art. 18, c. 15, sia dopo la chiusura che in caso di revoca del fallimento [C 9.7.1999, n. 7203, Fall 2000, 758; C 7.3.1992, n. 2772, Fall 1992, 691; C 13.6.1969, n. 2086, DFSC 1970, 61; Xxxxx-Xxxx (79), 453; Xxxxx (111), 17 e 29; Xx Xxxxxx (32), 739; Vattermoli (123), 179; Xxxxxxxxxx (124), 996; Guglielmucci (60), 130].
70 Nei contratti ad esecuzione istantanea lo scioglimento ha effetto definitivo ed opera ex tunc, col conseguente diritto del contraente in bonis alla restituzione delle pre- stazioni eseguite al momento della conclusione del contratto [C 22.6.1967, n. 1476, DFSC 959]. Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica lo scioglimento non opera ex tunc, ma solo dalla data di dichiarazione di fallimento, anche se la scelta del curatore sia stata effettuata successivamente dopo un periodo di sospensione. Durante la sospensione il curatore non può esercitare sulle cose ricevute in esecuzione del contratto i diritti derivanti dal contratto, pena l’obbligo di risarcire i danni in caso di deterioramento [v. ora anche Sanzo (111), 28; Vattermoli (123), 179; Xxxxx-Xxxx (79), 453]. Molto efficacemente si è osservato che “gli effetti della dichiarazione di scioglimento, qualunque ne sia il titolo e la ragione che lo ha giustificato, sono irre- trattabili e immodificabili, acquistando quindi un valore di definitività, con la duplice conseguenza, per un verso, che la dissoluzione del contratto rimane ferma ed opponi- bile ai terzi sia dopo la chiusura del fallimento, sia dopo la sua eventuale revoca; per un altro verso, che in virtù dell’efficacia retroattiva dello scioglimento le prestazioni e le attribuzioni eventualmente eseguite da uno dei contraenti sono prive di giustificazione causale e quindi soggette alla disciplina della ripetizione e dell’indebito”. Si è xxxxx- xxxx, poi, che nell’ipotesi di recesso non stabilizzato al tempo della cessazione della procedura concorsuale ed ancora sub iudice, il rapporto ritornerebbe nello stato in cui si trovava al momento della dichiarazione di fallimento con subentro in esso della parte già fallita, ritornata in bonis, ed esclusione della possibilità di quest’ultimo di approfit- tare dell’iniziativa del curatore [Xxxxxxxxx (49), 153]. Per altro verso, secondo auto- revole dottrina, “si può affermare che lo scioglimento, in difetto di subentro, risponde all’interesse del contraente in bonis a rimanere liberato dalle obbligazioni derivanti dal contratto, a recuperare la disponibilità dei beni in esso dedotti e la proprietà di quelli alienati, nonché, sia pure secondo la legge del concorso, le prestazioni parzialmente eseguite” [Xxxxxxxxxxxx (59), 158].
L’effetto che consegue allo scioglimento del contratto è previsto dall’art. 72, c. 4, il 71 quale stabilisce che il contraente in bonis, “in caso di scioglimento...ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento”, senza specificare
di quale credito si tratti [Vattermoli (123), 179; Vattermoli (124), 997; Xxxxxxx- Xxxxxxxxxxx (90), 461]. In base ai principi, quello cui la legge fa riferimento è il diritto alla restituzione della eventuale prestazione che il contraente poi fallito abbia ricevuto, secondo le norme alla ripetizione dell’indebito (art. 1463 c.c.), il carattere indebito della prestazione eseguita dal contraente in bonis derivando dallo scioglimento del contratto in uno dei casi ammessi dalla legge e dal conseguente venir meno della sua causa giustificativa L’analogia con gli effetti della risoluzione è evidente [Vatter- moli (123), 179; Vattermoli (124), 998; Xxxxx-Xxxx (79), 453; Xxxxxx (45), 355; Jorio (63), 479; Xxxxxxxx (75), 222]. Il credito, esistente solo se il contraente in bonis abbia eseguito parzialmente la propria prestazione, è di natura chirografaria, è sog- getto alla legge del concorso e può essere fatto valere soltanto mediante domanda di ammissione al passivo [Vattermoli (123), 179; Vattermoli (124), 998]. Conforme è la giurisprudenza, secondo cui «in caso di fallimento della parte promittente alie- nante di un contratto preliminare di vendita, la scelta del curatore di sciogliersi dal predetto contratto, effettuata ex art. 72, non è assimilabile all’esercizio della facoltà di recesso e fa venir meno il vincolo contrattuale ex tunc, nel senso che deve essere ripristinata la situazione anteriore alla stipula del preliminare, così che le restituzioni ed i rimborsi opereranno secondo la disciplina dettata dalle norme dell’indebito, in quanto l’efficacia retroattiva della scelta priva di titolo sin dall’origine le prestazioni eseguite. Il corrispondente credito per restituzioni e rimborsi, spettante al creditore in bonis, subirà peraltro gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento dovendo, quale debito concorsuale e non di massa, essere soddisfatto nel rispetto della par condicio» [C 24.7.2009, n. 17405, MGI 2009; conforme, C 11.3.2004, n. 4965]. Se la prestazione divenuta indebita ha per oggetto cose mobili determinate il contraente in bonis ha diritto alla restituzione della cosa in natura o all’ammissione al passivo in via chirografaria di un credito di ammontare pari al suo controvalore, ove la cosa non sia trovata in possesso del fallito il giorno della dichiarazione di fallimento. Se, invece, il possesso viene a cessare dopo l’apposizione dei sigilli, il contraente ha diritto di ottenere dal curatore, in prededuzione, ai sensi dell’art. 111, n. 1, una somma corrispondente al valore di mer- cato della cosa [Vattermoli (123), 180; Xxxxx-Xxxx (79), 453].
Già prima del decreto correttivo del 2007 era da escludere che, oltre al credito per la 72
restituzione della prestazione eseguita, il contraente in bonis avesse anche il diritto al risarcimento dei danni da inadempimento [Vattermoli (124), 997; Xxxxxx (45), 354; Xxxxxxx-Xxxxxxxxxxx (90), 461]. Lo scioglimento del contratto per scelta del curatore non è conseguenza immediata e diretta di un inadempimento del contraente fallito, ma costituisce l’effetto di una facoltà riconosciuta dalla legge (art. 1372 c.c.), e, secondo dottrina e giurisprudenza, non attribuisce al contraente in bonis il diritto al risarcimento dei danni, come nei casi di risoluzione per inadempimento [C 17.1.1998,
n. 376, Fall 1999, 39]. Non era e non è controverso, infatti, che, in caso di scioglimento del contratto per scelta del curatore ex art. 72, c. 4, al contraente in bonis non spetta il risarcimento dei danni, in aggiunta alla restituzione della prestazione eseguita, perché
lo scioglimento nell’esercizio di una facoltà che la legge riconosce al curatore non è equiparabile allo scioglimento per inadempimento di uno dei contraenti [Lo Xxxxxx (69), 868; Xxxxx-Xxxx (79), 454; Vattermoli (124), 997; Xxxxxx (45), 354]. La situa- zione è assimilabile a quella che si verifica in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al fallito, in presenza della quale il debitore non è tenuto al risarcimento dei danni (art. 1218 c.c.). Del resto, in materia di effetti del falli- mento sui rapporti giuridici pendenti, esistevano norme che, con riguardo a specifiche figure contrattuali, escludevano espressamente il diritto del contraente adempiente al risarcimento dei danni. Una era quella del c. 5 dell’art. 72, aggiunto dall’art. 3, c. 6, d.l. 31.12.1996, n. 669, convertito con modificazioni, nella l. 28.2.1997, n. 30 (ora c. 7, art. 72), che in caso di fallimento del promittente venditore, attribuiva al promissario acquirente il diritto di far valere il proprio credito al passivo, “senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno”. L’altra era quella del previgente art. 74, c. 4, ora abrogato, che in caso di fallimento del venditore, riconosceva al compratore in bonis il diritto di far valere il proprio credito nel passivo “senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno” [v. ora anche Xxxxx (111), 30].
73 Attualmente il principio, applicabile a tutti i contratti pendenti a prestazioni corri- spettive ineseguite da entrambe le parti, è codificato in un inciso del c. 4 dello stesso art. 72, aggiunto dal decreto correttivo del 2007, secondo cui, in caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adem- pimento, “senza che gli sia dovuto risarcimento del danno” [Xxxxxx (119), 1386; Vattermoli (123), 180; Xxxxx-Xxxx (79), 454; Vattermoli (124), 997; Xxxxxx (45), 354]. Lo stesso principio è ribadito espressamente anche nel vigente c. 7 dell’art. 72, relativo alla specifica materia dello scioglimento del contratto preliminare di compra- vendita di immobili, essendosi ivi previsto che lo scioglimento del preliminare di ven- dita, trascritto ai sensi dell’art. 2645 bis c.c., attribuisce al promissario acquirente il diritto di far valere il proprio credito nel passivo “senza che gli sia dovuto il risarci- mento del danno”. Dal che appare di manifesta evidenza che il decreto correttivo si è limitato ad estendere a tutti i casi di scioglimento dei rapporti pendenti una regola già codificata per lo specifico caso di scioglimento del preliminare di vendita di immobili trascritto.
XVII. L’azione post-fallimentare di risoluzione del contratto per inadempimento
74 Parimenti improponibile era, prima della riforma, l’azione di risoluzione del con- tratto per inadempimento del contraente fallito, se proposta dopo la dichiarazione di fallimento [C 17.1.1998, n. 376, Fall 1999, 39]. La giurisprudenza, però, ammet- teva l’opponibilità al fallimento dell’azione di risoluzione per inadempimento nel caso in cui essa fosse stata esercitata con domanda tempestivamente proposta e trascritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento [Vattermoli (123), 180; Vattermoli (124), 998; in giurisprudenza, C 11.10.1994, n. 8295, Fall 1995, 392; C 21.2.1994,
n. 1648, Fall 1994, 701]. La legge di riforma della legge fallimentare, come in altri casi, ha tradotto in norme di diritto positivo questo orientamento giurisprudenziale, stabilendo all’art. 72, c. 5, che “l’azione di risoluzione del contratto promossa prima
del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda”. L’inammissibilità dell’azione di risoluzione post-fallimentare del contratto, anche per inadempimenti anteriori al fallimento, è, infatti, sanzionata implicitamente da detta norma, la quale, prevedendo espressamente che l’azione di risoluzione promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, esclude indirettamente che la stessa azione possa essere proposta dopo la dichiarazione di fallimento [Guglielmucci (54), 1129; Xxxxxx (119), 1387; Xxxxx-
Sica (79), 434; Vattermoli (124), 999].
L’improponibilità dell’azione - nel caso di contratti effettivamente pendenti per la 75 loro mancata esecuzione da entrambe le parti - è giustificata generalmente dall’impos- sibilità di ipotizzare a carico del curatore il necessario presupposto dell’inadem- pimento di contratti ineseguibili, per lo stato di sospensione della loro esecuzione conseguito automaticamente alla dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti. Ma
più persuasivamente si è sostenuto in dottrina, anche per il caso di completa esecuzione della prestazione da parte del contraente in bonis, che il divieto di proporre l’azione è da ricondurre all’esigenza “di assicurare al curatore - e soltanto a lui - la facoltà di sce- gliere tra l’esecuzione del contratto e il suo scioglimento, alla stregua di valutazioni di interesse della massa, senza che il contraente in bonis - che versa in situazione di mera soggezione - possa in alcun modo influire, attraverso lo scioglimento del contratto su tale scelta” [Xxxxx-Xxxx (79), 436; Vattermoli (124), 999].
Il principio del divieto di proporre l’azione di risoluzione post-fallimentare, così ragio- 76
nevolmente giustificato, è, però, temperato dalla disposizione per cui, se il contraente in bonis intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V della legge fallimentare, cioè con domanda di ammis- sione al passivo secondo le regole del concorso e non in xxx xx xxxxxxxxxxxx [X Xxxxx 00.0.0000, Fall 2012, 8, 1004]. Conforme la giurisprudenza di legittimità, secondo cui
«l’azione di risoluzione di un contratto di compravendita immobiliare per inadempi- mento dell’acquirente non trova ostacolo nella sopravvenienza del fallimento del con- venuto qualora essa risulti “quesita”, prima della dichiarazione di fallimento, mediante la trascrizione della relativa domanda giudiziale, non trattandosi di azione derivante dal fallimento ai sensi dell’art. 24. La connessa domanda di accertamento del credito per danni subiti va invece assoggettata alla regola del concorso e non è più coltivabile in sede ordinaria» [C 29.10.2008, n. 25984, Fall 2009, 1179; in dottrina Xx Xxxxxx (31), 1179]. Recentemente la S.C., decidendo su una domanda giudiziale con la quale il curatore del fallimento di un promissario acquirente di un immobile aveva chiesto la condanna del promittente alienante alla restituzione della caparra sull’assunto che il contratto preliminare si era sciolto, l’ha rigettata in accoglimento della fondata ecce- zione del convenuto, il quale aveva opposto l’intervenuta risoluzione del preliminare di vendita per inadempimento del promissario acquirente. Ciò sul rilievo che il contraente in bonis non può iniziare azione di risoluzione nei confronti del curatore del fallimento, dopo la dichiarazione di fallimento dell’altra parte, ma può opporre l’intervenuta
risoluzione come mera eccezione al fine di paralizzare la domanda avversaria [C 4.3.2013, n. 5298, Fall 2013, 4, 410; conf. T Xxxxxxx 00.0.0000, Fall 2012, 10, 1256].
XVIII. L’azione di risoluzione del contratto per inadempimento proposta prima del fallimento
77 Esplicita è, invece, la norma che prevede l’opponibilità al curatore dell’azione di risoluzione del contratto, che, sia stata proposta nei confronti della parte inadempiente prima del fallimento. Il c. 5 dell’art. 72, stabilisce, infatti che “l’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti, l’effica- cia della trascrizione della domanda”. L’ultimo inciso della norma impone, però, una distinzione tra le azioni di risoluzione. Se, infatti, si tratta di domanda di risoluzione di contratti, aventi per oggetto contratti non soggetti a trascrizione, è promossa prima del fallimento l’azione della quale prima del fallimento sia stato notificato al convenuto l’atto di citazione o depositato in cancelleria il ricorso introduttivo. Se, al contrario, la domanda di risoluzione abbia ad oggetto contratti soggetti a trascrizione, sono promosse prima del fallimento le azioni, i cui atti introduttivi siano stati trascritti ante- riormente alla dichiarazione di fallimento. Lo spiegamento degli effetti dell’azione nei confronti del curatore è giustificato dal fatto che l’azione di risoluzione produce effetti sostanziali immediati nei confronti del convenuto fin dall’inizio della sua pendenza, opponibili anche al curatore di quest’ultimo dopo la sua dichiarazione di fallimento [Xxxxx-Xxxx (79), 437; Xxxxxx (45), 358; Jorio (63), 493; Xxxxxxx-Xxxxxxxxxxx (90), 462].
78 La disposizione in commento detta regole anche in materia di competenza a cono- scere di siffatta domanda, stabilendo implicitamente che, se il contraente in bonis si limita a chiedere la risoluzione del contratto, il procedimento prosegue davanti al giudice adito prima della dichiarazione di fallimento; se, invece, oltre la risoluzione si chiede anche la restituzione di una somma o di un bene ovvero il risarcimento del danno, il procedimento si interrompe e le domande dovranno essere riproposte tutte davanti ai giudice fallimentare nelle forme del procedimento di accertamento del passivo [Jorio (63), 494; Xxxxxxx-Xxxxxxxxxxx (90), 463; Xxxxxxx (40), 366; Xxxxxxxxxxxx (53), 1129; Xxxxxxxx-Xxxxxxx (11), 302; Xxxxxxxx (120), 299; in giurisprudenza v. T Udine 16.3.2012, Fall 2012, 8, 1004, secondo cui «in tema di effetti del fallimento sui rap- porti giuridici preesistenti, a seguito della riforma degli artt. 52 e 72, tutte le domande di risoluzione contrattuale alle quali si ricolleghino richieste di restituzione di somme o di beni vanno proposte nella sede dell’accertamento del passivo; ne consegue che qualora, anteriormente alla dichiarazione di fallimento, sia stata chiesta nei confronti del debitore la risoluzione di un contratto e la condanna alla restituzione del prezzo, l’apertura della procedura rende improcedibili sia la pretesa risolutoria sia quella restitutoria, trattandosi di questioni legate da un vincolo di connessione impropria che ne comporta, in base alla regola dell’unicità del concorso, la devoluzione integrale al rito fallimentare»]. Tale ricostruzione, seguita dalla prevalente dottrina, non è condivisa dalla restante parte degli autori e da un certo filone della giurisprudenza di merito, secondo il quale «la disposizione
dell’art. 72, c. 5, seconda parte, va intesa nel senso che le azioni di risoluzione quesite prima dell’apertura del fallimento restano assegnate al giudice ordinario ed ivi sottoposte al rito del giudizio di cognizione, anche quando il contraente in bonis voglia ottenere il risarcimento o le restituzioni consequenziali, che sempre, però, andranno richieste in sede di verifica del passivo» [T Salerno 1.2.2013, Fall 2013, 11, 1391]. Da quest’ultimo orien- tamento prende le distanze autorevole dottrina con validissime argomentazioni contrarie, “pervenendo alla conclusione secondo cui, a doversi proporre secondo le disposizioni di cui al capo V della legge fallimentare, vale a dire a dover trasmigrare innanzi al giudice fallimentare per ivi risultare oggetto di cognizione e decisione nelle forme della verifica- zione dello stato passivo, non sarebbero soltanto le accessorie istanze di restituzione di un bene oppure di restituzione o riconoscimento di una somma di denaro, bensì anche, e innanzitutto, la domanda di risoluzione ad esse pregiudiziali” [Montanari (81), 1395; conforme, T Torino 17.5.2014, Fall 2014, 11, 1236].
XIX. I rapporti pendenti e l’esercizio provvisorio dell’impresa
La sorte dei rapporti pendenti, in caso di fallimento di una delle parti assume un 79 rilievo particolare quando venga disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa, anche se limitato a specifici rami di azienda. Xxx sia disposto l’esercizio provvisorio
in funzione della conservazione dell’impresa fallita, i contratti in corso di esecuzione assolvono, infatti, un ruolo essenziale, riflettendo, sub specie iuris, le operazioni com- merciali coordinate e dinamicamente collegate per l’esercizio dell’impresa. Non esiste esercizio d’impresa senza le operazioni commerciali in cui esso si risolve, il primo consistendo in un’attività che si svolge attraverso le seconde, esistendo uno stretto col- legamento tra i contratti pendenti alla data del fallimento e la gestione fallimentare dell’impresa [Xxxxxx (44), 82; Vattermoli (124), 1004].
L’originario testo dell’art. 90, che prima della riforma regolava la materia, nulla 80 disponeva in merito alla sorte dei contratti pendenti nel caso in cui venisse disposta la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa del fallito e spettava all’interprete
il compito di ricavare dai principi le regole applicabili. In assenza di norme regolatrici della specifica materia, quindi, la dottrina aveva indagato la reazione dell’esercizio provvisorio sui rapporti giuridici pendenti, stimolata dalla constatazione del parti- colare collegamento di gran parte dei contratti pendenti con l’esercizio dell’impresa, ora preordinati all’organizzazione dell’impresa, ora addirittura inerenti all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Distinguendo i contratti pendenti che si sciolgono per effetto del fallimento di uno dei contraenti da quelli che proseguono e da quelli che restano sospesi, era giunta alla conclusione che l’esercizio provvisorio non interfe- riva, mutandone il regime, sui contratti che per legge si sciolgono e su quelli che conti- nuano. Si era ritenuto, invece, che interferisse sui contratti che per legge restavano temporaneamente sospesi, nel senso che con riguardo a ciascuno di essi spettava al curatore, debitamente autorizzato, di scegliere tra il subentro e lo scioglimento con criteri di convenienza ed opportunità, escludendosi che, una volta disposto l’eserci- zio provvisorio, il relativo provvedimento contenesse implicitamente l’autorizzazione all’esecuzione di tutti i contratti pendenti [Xxxxxxx (104), 367 ss.; Xxxxxx (44), 86].
81 Consapevole dell’esistenza di tali problemi e del dibattito che si era acceso intorno ad essi, il legislatore delegato ha dedicato ai rapporti pendenti la specifica dispo- sizione dell’art. 104, c. 7, con la quale, discostandosi dalle soluzioni interpretative adottate in precedenza dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ha stabilito in via generale che “durante l’esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il cura- tore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli”. Soluzione questa, secondo la dottrina, del tutto coerente alla funzione dell’esercizio provvisorio, in quanto sarebbe stato contraddittorio, da un lato, disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa e, dall’altro, sancire lo scioglimento o la sospensione di quegli stessi rapporti senza i quali la continuazione dell’attività d’impresa, sarebbe impossibile, vanificando lo scopo dell’istituto concepito per evitarne l’interruzione improvvisa [Xxxxxxx (66), 411; Xx Xxxxxx (32), 740; Xxxxx-Xxxx (79), 402; Vattermoli (124), 1004; Jorio (63), 516]. Ha reso bene l’idea un’autorevole dottrina, secondo la quale “l’introdu- zione di tale specifico precetto normativo testimonia la sensibilità con cui il legislatore tiene in conto l’effetto prodotto dall’esercizio fallimentare dell’impresa sulla sorte dei rapporti pendenti, mostrando consapevolezza del collegamento esistente tra gran parte dei contratti in corso alla data della sentenza e l’organizzazione dell’impresa” [Xxxxxx (44), 82]. La regola dell’art. 104, sopra citato, al pari di quella contenuta nell’art. 72, è di carattere generale, perché entrambe si applicano a tutti i rapporti pendenti aventi certe caratteristiche; ma il contenuto dell’una è diverso da quello dell’altra sotto un duplice aspetto. In primo luogo, l’art. 72, in caso di fallimento di uno dei con- traenti, prevede, come si è detto più volte, la sospensione dei contratti pendenti fino a quando il curatore scelga il subentro o lo scioglimento. L’art. 104 sancisce, invece, non la sospensione, ma la prosecuzione dei contratti, riconoscendo però al curatore la facoltà di sospenderne l’esecuzione o di scioglierli ove le esigenze della procedura lo esigano. Ciò evidentemente nell’interesse dei creditori ad evitare che la continuazione dell’esercizio dell’impresa sia appesantita dalla necessità di conservare contratti sfavo- revoli, mediante la concessione al curatore di selezionare tra i rapporti pendenti quelli utili e di sciogliersi da quelli che potrebbero pregiudicare l’esito della misura adottata [Xxxxxxxxxxxx (54), 1135].
82 In secondo luogo, la regola dell’art. 72, in presenza di certi presupposti, si applica a tutti i contratti pendenti, eccettuati quelli regolati dalle “diverse disposizioni” della Sezione IV, per i quali è prevista ora la continuazione, ora lo scioglimento del rapporto. La regola del c. 7 dell’art. 104, avente carattere accentuatamente derogato- rio rispetto a quella dell’art. 72, al contrario, si applica a tutti i rapporti pendenti, compresi quelli per i quali, in base alle “diverse disposizioni” della predetta Sezione IV, è previsto lo scioglimento automatico in caso di fallimento di una delle parti, posto che per la conservazione dell’impresa e dei complessi aziendali sono utili tutti i con- tratti in corso e non solo quelli appartenenti alla categoria dei contratti cui si applica l’art. 72 [Rovati (105), 208; Xxxxx-Xxxx (79), 403; Xxxxxx (44), 106]. Non manca, però, chi ritiene che la norma del c. 7 dell’art. 104, si pone come eccezione al solo art. 72, con la conseguenza che le disposizioni speciali degli artt. 72-bis-83-bis, si applicherebbero anche nell’ipotesi di esercizio provvisorio dell’impresa [Vattermoli (124), 1004].
La nuova regola si applica senza problemi, quando l’esercizio provvisorio viene dispo- 83
sto con la sentenza dichiarativa di fallimento, perché in tal caso l’immediata efficacia di essa preclude l’applicazione della diversa regola dell’art. 72, c. 1, e consente la pro- secuzione dell’esecuzione dei contratti pendenti, salvo quelli per i quali il fallimento prevede lo scioglimento automatico. Se, invece, la sentenza di fallimento non prov- vede in tal senso, si è ritenuto, con una certa audacia, che gli effetti della sentenza sui rapporti pendenti siano risolutivamente condizionati all’eventuale successiva auto- rizzazione dell’esercizio provvisorio, ex art. 104, c. 2 [Guglielmucci (58), 32; Jorio (63), 517]. Secondo altra parte della dottrina, più ragionevolmente, quest’ultima dispo- sizione si applicherebbe unicamente ai contratti pendenti in stato di sospensione e non anche a quelli già sciolti per effetto della sentenza di fallimento. Al riguardo è decisiva l’osservazione, secondo la quale, una volta che il rapporto contrattuale si sia sciolto ex lege definitivamente, con la conseguente liberazione del contraente in bonis dal vincolo contrattuale stesso, “non può certo ammettersi che torni ad esistere un tale vincolo per il solo fatto che, successivamente, sia stato autorizzato l’esercizio provvisorio” [Xxxxxx (44), 113; Xxxxx-Xxxx (79), 406; Vattermoli (124), 1004; Xx Xxxxxx (32), 741].
Gli effetti della prosecuzione sono quelli consueti che la legge prevede nei casi in 84
cui il fallimento di una parte non provoca lo scioglimento dei contratti pendenti: questi sono assunti a carico della massa, la quale ne acquista i diritti e ne assume gli obblighi, come se fossero stati conclusi dal curatore in corso di procedura concorsuale. In dot- trina si è posto il problema dell’esercizio provvisorio limitato a rami di azienda e, in tal caso, della possibilità del curatore di sospendere parzialmente i contratti pendenti, escludendo quella parte di essi non inerente all’attività economica relativa allo specifico ramo di azienda per il quale l’esercizio provvisorio è stato autorizzato. Al riguardo si è ritenuto possibile che il curatore opti per la prosecuzione del contratto soltanto per la parte di esso legata all’esercizio dell’attività d’impresa relativa al ramo di azienda, pur riconoscendo le legittime perplessità che siffatta soluzione può suscitare sotto diversi aspetti: possibilità o meno della scissione dell’oggetto del contratto; l’organo abilitato ad operare la scelta; la tutela degli interessi del contraente in bonis in una situazione non prevista dalla legge [Vattermoli (124), 1006].
Il ordine alla facoltà, che la norma attribuisce al curatore, di sospendere o sciogliere i 85 contratti pendenti, egli - secondo un orientamento - dovrà chiedere ed ottenere la previa autorizzazione del comitato dei creditori, ai sensi dell’art. 72, c. 1, e dovrà decidere, basandosi su criteri di economicità e tenendo conto dell’utilità dei contratti in funzione
della proficua conservazione dell’azienda ai fini della liquidazione. Nel caso di inerzia del curatore, il contraente in bonis potrà metterlo in mora chiedendo al giudice delegato di assegnargli un termine non inferiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intenderà sciolto [Rovati (105), 208]. È, però, più ragionevole l’altro orientamento, secondo il quale il nuovo testo di legge sull’esercizio provvisorio non subordina le determinazioni del curatore ad alcun vincolo e che, quindi, quest’ultimo può decidere anche senza il consenso del comitato dei creditori, posto che il curatore nella sua pro- posta di esercizio provvisorio non può non indicare quali dei contratti pendenti deb- bano essere sospesi o sciolti e che il comitato dei creditori, nell’esprimere il suo parere
favorevole ai sensi dell’art. 104, c. 2, non può non valutare la proposta sul punto del curatore [Xxxxxx (44), 104; Xxxxx-Xxxx (79), 406].
86 L’ultimo comma dell’art. 104, dispone infine che le norme in materia di effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti trovano regolare applicazione al momento della cessazione dell’esercizio provvisorio dell’impresa per quei contratti che siano ancora in corso alla stessa data, compresi quelli conclusi dal curatore durante l’esercizio provvisorio. Questo vale sicuramente per i contratti pendenti alla dichiara- zione di fallimento che, non avendo avuto esecuzione nel corso dell’esercizio provviso- rio, sia rimasti tali al termine dell’esercizio provvisorio. Ma vale, seppure con qualche perplessità, anche per i contratti proseguiti dal curatore, in cui il contraente in bonis, dopo avere subito il subentro del curatore, deve subire un’altra volta la scelta del cura- tore medesimo o addirittura lo scioglimento ex lege ove si tratti di contratto per il quale la legge prevede tale effetto. Una diversa soluzione è stata prospettata per i contratti nuovi stipulati dal curatore nel corso dell’esercizio provvisorio ed ancora pendenti alla data della sua cessazione: le ragioni di quanti hanno fatto credito all’amministrazione fallimentare, stipulando con essa contratti, andrebbero premiate con la loro soddisfa- zione in prededuzione [Xxxxxx (44), 114]. Sulla sorte dei rapporti pendenti al termine dell’esercizio provvisorio si è pronunciata per la prima volta recentemente la S.C. con una interessante sentenza, la massima della quale così recita: «in caso di esercizio prov- visorio dell’impresa fallita, ai fini della prededucibilità dei crediti occorre distinguere se essi siano riferiti al periodo anteriore al fallimento o alla pendenza dell’esercizio prov- visorio o successivi al termine dell’esercizio provvisorio. Mentre i crediti relativi a quest’ultimo periodo sono prededucibili soltanto nel caso in cui il curatore al termine dell’esercizio provvisorio abbia optato per il subentro nel contratto, i crediti relativi alla pendenza dell’esercizio sono sempre sicuramente prededucibili. Infine, per quelli sorti anteriormente, la loro prededucibilità dipende dal fatto che, al termine dell’esercizio provvisorio, il curatore abbia scelto di subentrare o di sciogliersi dal contratto» [C 19.3.2012, n. 4303, GComm 2013, II, 842; Fall 2012, 10, 1222, con nota adesiva di Patti (95), 1224]. Secondo la S.C., ai sensi del c. 1 dell’art. 72, i contratti pendenti alla data della dichiarazione di fallimento, fatte salve le diverse disposizioni della Sezione IV, rimangono sospesi “fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i rela- tivi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo”. A tale regola fa eccezione la disposi- zione dell’art. 104, c. 7, secondo la quale, nel caso in cui il tribunale disponga l’esercizio dell’impresa del fallito, i contratti pendenti nel corso di esso “proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli” e, ai sensi del successivo
c. 8, “i crediti sorti nel corso dell’esercizio provvisorio sono soddisfatti in prededuzione ai sensi dell’art. 111, c. 1, n. 1”. La disciplina della materia è completata dal c. 9 dello stesso art. 104, il quale stabilisce che “al momento della cessazione dell’esercizio prov- visorio si applicano le disposizioni di cui alla Sezione IV del capo III del titolo II”. Applicando tali regole ad una ipotesi, ricorrente nel caso concreto, di somministrazione alla società fallita di energia elettrica e gas [Sulla qualificazione giuridica dell’energia elettrica e sulla qualificazione causale del contratto di fornitura del servizio di energia elettrica x. Xxxxxxxxx (32), 2] la S.C. ha stabilito che vanno pagati in prededuzione
soltanto «i crediti sorti per i servizi erogati nel corso dell’esercizio provvisorio, mentre “una volta tornata applicabile la regola generale di cui alla l. fall., art. 72, e la disciplina prevista dall’intera sezione 4ª” per l’intervenuta cessazione dell’esercizio provvisorio, il curatore è tenuto a corrispondere anche il prezzo delle erogazioni già effettuate prima della dichiarazione di fallimento soltanto se “opta per il subentro nel contratto” e non anche quando il subentro non vi sia stato, come nella specie». Ciò perché - secondo la
S.C. - “la continuazione del contratto è frutto di opzione legislativa e non del curatore”. La soluzione accolta non convince. Essa è fondata essenzialmente sull’assunto che nel caso in cui sia disposto l’esercizio provvisorio, la continuazione del contratto di sommi- nistrazione pendente alla data del fallimento è frutto di opzione legislativa e non del curatore. Ma in presenza di una norma, secondo la quale “durante l’esercizio provviso- rio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’ese- cuzione o scioglierli” (art. 104, c. 8), non si capisce come si possa considerare la prosecuzione del rapporto pendente “frutto di opzione legislativa”, anziché frutto della scelta volontaria del curatore che espressamente o tacitamente manifesti la volontà di non sospendere o di non sciogliere il contratto. Non è seriamente contestabile che il curatore possa manifestare la sua volontà di subentrare nel contratto in corso sia dichia- randolo espressamente, sia assumendo un contegno incompatibile con la volontà di sospendere l’esecuzione del contratto o di scioglierlo, ad esempio continuando ad accettare le consegne o le erogazioni del somministrante ed eseguendo i relativi paga- menti a favore di quest’ultimo anche dopo la dichiarazione di fallimento in pendenza dell’esercizio provvisorio. Sarebbe innegabilmente in contrasto col principio di corret- tezza e buona fede una interpretazione della norma in questione che rinviasse la scelta del curatore tra subentro e non subentro nel rapporto alla data di cessazione dell’eserci- zio provvisorio - e di conseguenza la falcidia o non falcidia fallimentare del prezzo delle prestazioni eseguite anteriormente al fallimento - spesso dopo mesi ed anni dalla sen- tenza di fallimento. Del resto è la stessa lettera della legge, obiettivamente intesa, a stabilire che i contratti pendenti proseguono in caso di esercizio provvisorio ma solo a condizione che il curatore non opti per la loro sospensione o scioglimento. Ritenere che “l’esercizio provvisorio...si configura come una sorta di ‘limbo’ in cui i rapporti pen- denti procedono per disposizione legislativa fino a che, con la sua cessazione, il cura- tore ritorna investito della facoltà di scegliere in quali rapporti subentrare e da quali invece sciogliersi” [Xx Xxxxxxxx (28), 849], significa non solo forzare in modo intol- lerabile il dettato testuale della norma, che attribuisce al curatore il potere di decidere, all’inizio dell’esercizio provvisorio e non alla fine di esso, se lasciar proseguire o arre- stare l’esecuzione del contratto di somministrazione - “i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli” - ma anche imporre, per tutta la durata dell’esercizio provvisorio, la prosecuzione indiscriminata di tutti i contratti pendenti e, quindi, anche di quelli palesemente onerosi ed incompatibili con un utile e sano esercizio provvisorio dell’impresa fallita. In altri termini la norma dell’art. 104, c. 8, prevede non l’incondizionata prosecuzione dei contratti pendenti, ma una prosecuzione condizionata al mancato esercizio da parte del curatore della facoltà di sospenderne l’esecuzione o di scioglierli. Con la conseguenza che la prosecuzione dei contratti non avviene ex lege, bensì per volontà del curatore che a sua discrezione non ne impedisce la continuazione. Così rettamente intesa, la norma è abbastanza chiara
nel senso che il curatore è tenuto a pagare integralmente i crediti del somministrante per le prestazioni eseguite prima della dichiarazione di fallimento sol che il curatore, in maniera espressa o per facta concludentia, abbia manifestato la volontà di non sospen- dere o di non sciogliere il contratto di somministrazione in corso alla data del fallimento e, quindi, di subentrarvi. Cessato l’esercizio provvisorio riprendono vigore tutte le norme della sezione IV, capo III, titolo II, compreso l’art. 74, con la conseguenza che il contratto di somministrazione, se ancora in corso, rientrando tra quelli soggetti alla regola generale del c. 1 dell’art. 72, prosegue o si scioglie a seconda che il curatore dichiari di volerne la continuazione o lo scioglimento, fermo ormai l’obbligo di pagare integralmente il prezzo anche delle consegne avvenute o dei servizi erogati ante falli- mento. Occorre, invero, che il curatore valuti l’onerosità di quest’obbligo, non alla ces- sazione dell’esercizio provvisorio, ma, anteriormente, nel momento in cui, in pendenza dell’esercizio provvisorio, gli si impone l’obbligo di decidere se intende o no sospen- dere oppure sciogliere il contratto di somministrazione pendente.
XX. L’estensione della regola generale ai contratti preliminari
87 Per contratto preliminare si intende l’accordo con il quale le parti si obbligano a concludere in futuro un ulteriore contratto (detto definitivo) già determinato nei suoi elementi essenziali. Com’è noto, è un tipo contrattuale autonomo, del tutto distinto dal corrispondente contratto definitivo, con cui si adempie all’obbligo di contrarre assunto col primo. Di esso è molto discusso l’ambito di applicazione, taluni ritenendo che sia una figura contrattuale di portata generale che può preludere a qualsiasi tipo di con- tratto, altri che non sia applicabile ai contratti meramente obbligatori [Vattermoli (123), 182; Scicolone (114), 61]. Il preliminare è contratto consensuale in quanto per il perfezionamento del quale è sufficiente il consenso; è ad effetti obbligatori, essendo è fonte dell’obbligo reciproco dei contraenti di stipulare tra di loro il futuro contratto definitivo; è a prestazioni corrispettive, costituendo ogni parte debitrice e creditrice dell’altra per prestazioni reciproche in correlazione funzionale tra di loro; è, infine, con- tratto ad esecuzione istantanea, perché l’esecuzione delle relative obbligazioni si esau- riscono in un solo istante nel momento in cui le parti prestano il loro consenso per la stipulazione del contratto definitivo. Esso è da considerare ineseguito, e quindi sospeso e soggetto al potere di scelta del curatore fino a quando non sia stato stipulato il con- tratto definitivo o sia divenuta definitiva la sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso, ai sensi del c. 1 dell’art. 72. In giurisprudenza è stata dichiarata la nullità per mancanza di causa di un accordo con cui le parti si erano impegnate a concludere in futuro un ulteriore contratto che le avrebbe impegnate a stipulare successivamente un contratto definitivo di compravendita. In sostanza avevano stipulato un “preliminare di preliminare”. La S.C., che in precedenza non aveva avuto occasione di occuparsi della questione, ha confermato per la prima volta nell’anno 2009 l’invalidità dell’accordo, osservando che «l’art. 2932 c.c. instaura un diretto e necessario collegamento strumen- tale tra il contratto preliminare e quello definitivo, destinato a realizzare effettivamente il risultato finale perseguito dalle parti. Riconoscere come possibile funzione del primo anche quella di obbligarsi….ad obbligarsi a ottenere quell’effetto, darebbe luogo ad un inconcludente superfetazione, non sorretta ad alcun effettivo interesse meritevole di
tutela secondo l’ordinamento giuridico, ben potendo l’impegno essere assunto imme- diatamente: non ha senso pratico il promettere ora di ancora promettere in seguito qualcosa, anziché promettere subito» [C 2.4.2009, n. 8038, OC 2009, con nota adesiva di La Porta (64), 40]. Molto di recente, però, un’altra Sezione ha chiesto al Primo Presidente della Cassazione di valutare l’eventuale rimessione della controversia alle Sezioni Unite, avendo ritenuto - per la verità in maniera poco convincente - che tale orientamento, nella sua assolutezza, potrebbe essere meritevole di precisazioni, con riferimento ad ipotesi che in concreto possono presentarsi, affermando che «il contratto preliminare con il quale le parti si obbligano a concludere un successivo contratto pre- liminare potrebbe essere valido quando si limiti a prevedere un obbligo di riproduzione del suo contenuto al verificarsi di determinate circostanze e, anche alla luce di quanto previsto dall’art. 1419, c. 1, c.c., contenga già l’obbligo di addivenire alla conclusione del contratto definitivo» [C 12.3.2014, n. 5779, ord., GI 2014, 11, 2419]. Le perplessità espresse da chi scrive sono state, significativamente, condivise da attenta dottrina che non ha mancato di criticare severamente le motivazioni che sono state poste a fon- damento della richiesta rivolta al Primo Presidente con l’ordinanza da ultimo citata [Xxxxxxxxx (117), 2419].
Quanto agli effetti del fallimento sul contratto preliminare in corso di esecu- 88
zione alla data del fallimento di una delle parti, nessuna delle norme dell’origina- ria legge fallimentare se ne occupava. La dottrina più autorevole e la giurisprudenza [C 23.5.1990, n. 4658; C 16.5.1990, n. 4270; C 9.1.1987, n. 70], però, non avevano
mai posto in dubbio che fossero applicabili per analogia anche al preliminare le regole contenute nell’art. 72, con effetti che riflettevano le caratteristiche di questo contratto [Xxxxxx Xxxxxxx (76), 619; Scicolone (114), 63; Xxxxxxx (46), 771; Xxxxxxxxxx (124), 1002]. Questo orientamento, comunque, è stato recepito e tradotto in norma di legge dal legislatore delegato del 2006 col il novellato c. 3 dell’art. 72. Il quale, stabi- lendo, che “la disposizione di cui al primo comma si applica anche al contratto preli- minare, salvo quanto previsto nell’art. 72-bis”, ha espressamente esteso al contratto preliminare la regola generale per cui, in caso di fallimento di uno dei contraenti, il contratto rimane sospeso fino a quando il curatore non abbia scelto tra il subentro in esso e lo scioglimento, ampliandone così il campo di applicazione [Xxxxx-Xxxx (79), 425; Vattermoli (124), 1002; Xxxxxx (45), 355; Xx Xxxxxx (32), 741; Jorio (63),
480; Xxxxxxx-Xxxxxxxxxxx (90), 461; Lo Xxxxxx (70), 446; Luminoso (75), 237;
Luminoso (74), 832].
Quella del citato c. 3 dell’art. 72 è l’unica norma a valenza generale che sia stata 89 dedicata a tutti i preliminari qualunque sia il tipo contrattuale definitivo oggetto dell’obbligo a contrarre assunto dai contraenti. Xxxxxxx, quindi, per ogni contratto pre- liminare le stesse regole stabilite per ogni contratto a prestazioni corrispettive non eseguite o non interamente eseguite da entrambe le parti alla data del fallimento di
una di esse [Xx Xxxxxx (32), 741; Scicolone (114), 62; Vattermoli (124), 1002].
Il rinvio al solo c. 1 dell’articolo non significa, però, che al contratto preliminare 90
non si applichi in toto l’art. 72, e quindi anche le altre regole contenute nei c. 2, 4,
5 e 6. Non si capisce, infatti, perché non si dovrebbe applicare, in caso di sospensione del preliminare per fallimento di uno dei contraenti, la disposizione del c. 2, che con- sente al contraente in bonis di mettere in mora il curatore che per inerzia non sceglie. Così come non si capirebbe la disapplicazione del c. 4, che in caso di scioglimento del contratto attribuisce al contraente in bonis il diritto di insinuare al passivo il suo eventuale credito, non essendo infrequente che in sede di conclusione del contratto egli abbia corrisposto degli anticipi. Del resto, in questo senso si era orientata la giurispru- denza, statuendo che se il contratto si scioglie, il diritto del promissario acquirente alla restituzione degli acconti versati, integrando un credito concorsuale, è soddisfatto in moneta fallimentare, anche nel caso in cui sia stato trasferito il godimento dell’immo- bile e pagato integralmente il prezzo [C 8.2.2000, n. 1376, GI 2000, 1243]. Non è neppure incompatibile con le caratteristiche del contratto l’applicazione al preliminare delle norme del c. 5 e 6, relative all’opponibilità al fallimento dell’eventuale azione di risoluzione del contratto per inadempimento, proposta dal contraente in bonis prima della dichiarazione di fallimento con domanda debitamente trascritta, se richiesto dalla legge, oppure alla inefficacia ex lege delle clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento, la ratio di tali norme essendo comune a tutti i contratti pendenti e, quindi, anche al preliminare [Vattermoli (124), 1003; Xxxxxx (45), 356; Jorio (63), 480].
91 Conclusivamente sul punto, nonostante il richiamo della sola disposizione del c. 1 dell’art. 72, il c. 3 in realtà ha inteso estendere ai contratti preliminari pendenti, compresi i contratti preliminari di vendita immobiliare trascritti, tutte le disposi- zioni che costituiscono la regola generale relativa alla sorte dei contratti pendenti, che non siano destinatari di una delle discipline specifiche contenute nella Sezione IV. In caso di fallimento di uno dei contraenti, sia esso il promittente venditore o il promis- sario acquirente, quindi, il contratto resta sospeso fino a quando il curatore opera la scelta tra il subentro e lo scioglimento [Scicolone (114), 67; Vattermoli (124), 1003; Xxxxx-Xxxx (79), 425; Xx Xxxxxx (32), 743]. In pendenza dello stato di sospensione resta esclusa la facoltà del promittente venditore in bonis di chiedere la risoluzione del contratto, ancorché con riguardo a pregresso inadempimento del compratore, e neppure è consentito configurare l’inadempimento del curatore, atteso che l’art. 72, prevede la sospensione dell’esecuzione del contratto fino a quando quest’ultimo non scelga tra il subentro nel contratto e lo scioglimento, alla controparte essendogli attribuito uni- camente il potere di mettere in mora il curatore per indurlo ad effettuare la scelta [C 15.3.2013, n. 6649, Fall 2013, 12, 1498].
92 Circa la forma, la scelta del curatore, oltre che con dichiarazione espressa, può essere operata anche per facta concludentia, essendo certamente necessaria una chiara mani- festazione di volontà del curatore, ma non l’uso di formule sacramentali [C 25.8.2004, n. 16860; C 16.5.1990, n. 4270, Fall 1990, 1097; C 26.1.1995, n. 955, Fall 1995, 844]. Recentemente con una puntuale decisione la S.C. ha statuito che «l’esercizio da parte del curatore della facoltà di scelta tra lo scioglimento o il subingresso nel contratto preliminare di vendita pendente, ai sensi dell’art. 72, ... può anche essere tacito, ovvero espresso per fatti concludenti, non essendo necessario un negozio formale, né un atto
di straordinaria amministrazione e dunque non ricorrendo la necessità dell’autorizza- zione del giudice delegato, trattandosi di una prerogativa discrezionale del curatore» [C 3.9.2010, n. 19035, Fall 2011, 5, 630; C 2.12.2011, n. 25876, Fall 2012, 8, 1002;
conf. T Bari 11.2.2010, Fall 2010, 5, 624]. A tali principi si è conformata la dottrina, secondo la quale la facoltà di scelta sulla sorte del contratto in corso di esecuzione non richiede formule sacramentali, ma può avvenire per facta concludentia; l’importante è che l’intenzione del curatore sia inequivocabile, mentre non rileva come dove e quando sia stata espressa, non essendosi in presenza di un negozio formale [Xxxxxxx (115), 363]. Nell’ipotesi in cui i destinatari della scelta del curatore siano più di uno, la dichia- razione deve essere comunicata a ciascuno di loro, ricorrendo un’ipotesi di litisconsor- zio necessario, non potendo lo scioglimento contrattuale essere limitato ad uno solo di essi, tenuto conto dell’inscindibilità della prestazione traslativa dedotta nel preliminare [C 3.7.2013, n. 16633, Fall 2014, 3, 340; C 11.4.2011, n. 8225, Fall 2012, 1, 126].
Nel caso di scelta del subentro nel contratto, questo viene assunto a carico della 93 massa con la conseguenza che il subentrante curatore è tenuto a concludere il contratto definitivo ed a darvi completa esecuzione mediante l’adempimento delle relative obbli- gazioni, costituite dal trasferimento al contraente in bonis del diritto di proprietà o di
altri diritti reali nel caso di fallimento del venditore oppure del pagamento in prededu- zione del prezzo convenuto nel caso di fallimento del compratore, naturalmente verso acquisto dei diritti nascenti a favore della massa dal contratto medesimo [Luminoso (75), 240]. Muovendo da tale principio, la S.C. ha recentemente statuito che al cura- tore del promittente venditore, che abbia manifestato, anche tacitamente, la volontà, ai sensi dell’art. 72, di subentrare nel contratto preliminare di vendita immobiliare, è precluso l’esercizio dell’ulteriore facoltà di scioglimento, previsto dalla stessa norma, con la conseguenza che il promissario acquirente può legittimamente esigere che si dia esecuzione al contratto stesso ad opera dell’organo concorsuale, già subentrato nelle obbligazioni del fallito [C 2.12.2011, n. 25876, Fall 2012, 1, 34].
Nella diversa ipotesi in cui il curatore del fallimento dichiari di sciogliersi dal con- 94 tratto, il contraente in bonis, ai sensi dell’art. 4, ne deve subire la scelta. La quale «non opera ai soli fini fallimentari, ma li travolge definitivamente e con riguardo a tutti i
loro effetti» [T Trani 21.3.2008, Fall 2008, 1226]. Resta salvo il diritto del contraente in bonis di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento del contraente fallito, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno. In particolare, sulla natura e sui mezzi di tutela del diritto del creditore in bonis la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi, statuendo che «in caso di fallimento della parte promittente alienante di un contratto preliminare di vendita, la scelta del curatore di sciogliersi dal predetto contratto, effettuata ex art. 72, non è assimilabile all’esercizio della facoltà di recesso e fa venir meno il vincolo contrattuale ex tunc, nel senso che deve essere ripristinata la situazione anteriore alla stipula del preliminare, così che le restituzioni ed i rimborsi opereranno secondo la disciplina dettata dalle norme dell’indebito, in quanto l’efficacia retroattiva della scelta priva di titolo sin dall’origine le prestazioni eseguite. Il corrispondente credito per restituzioni e rimborsi, spettante al creditore in bonis, subirà peraltro gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento dovendo, quale
debito concorsuale e non di massa, essere soddisfatto nel rispetto della “par condicio”» [C 24.7.2009, n. 17405, MGI 2009; in dottrina x. Xxxxxxxxx (114), 69; Luminoso (75), 239]. In un’ipotesi in cui il curatore del fallimento del promissario acquirente, scioltosi dal contratto preliminare ai sensi dell’art. 72, aveva agito in giudizio contro il promittente venditore in bonis per ottenere la restituzione di una somma corrispostagli a titolo di caparra e la condanna al risarcimento dei danni, il giudice di legittimità ha rite- nuto «ammissibile, da parte del convenuto, quale mero fatto impeditivo delle avverse domande ed estintivo della descritta obbligazione di restituzione, e quindi al solo fine di conseguirne il rigetto, la proposizione dell’eccezione tesa all’accertamento “inciden- ter tantum”, della già avvenuta risoluzione del predetto preliminare, in via automatica ed anteriormente al fallimento del promittente acquirente, per non avere quest’ultimo rispettato un termine essenziale previsto nel contratto né adempiuto ad una successiva diffida intimatagli ex art. 1454 c.c.» [C 4.3.2013, n. 5298, Fall 11, 1402]. Al diritto del curatore di sciogliersi dal contratto preliminare, sancito dall’art. 72, è stato attribuito recentemente il carattere potestativo con la conseguenza che si perfezionerebbe con la mera comunicazione della volontà del suo titolare alla controparte, senza necessità di un intervento del giudice, cui compete soltanto di accertare che l’effetto si sia prodotto [C 10.4.2013, n. 8686, Fall 2013, 1, 2014].
XXI. Effetti del fallimento sui contratti preliminari di vendita immobiliare tra- scritti
95 La legge fallimentare nel testo risultante a seguito della riforma del 2006 e del decreto correttivo del 2007, oltre alla regola del c. 3 dell’art. 72, relativa al contratto preliminare in generale, contiene, anche, tre altre norme destinate, invece, ad incidere non sulla sorte di qualsiasi contratto preliminare, ma su quella di altrettanti tipi di preliminare aventi per oggetto la prestazione del consenso a stipulare contratti definitivi di compravendita immobiliare. Precisamente: i) quella del c. 7 dell’art. 72, riguardante il contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell’art. 2645- bis c.c.; ii) quella del c. 8 dell’art. 72, aggiunto col decreto correttivo, che detta una disciplina speciale dei contratti preliminari di vendita di immobili ad uso abita- tivo destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente, trascritti ai sensi dell’art. 2645-bis c.c.; iii) e quella dell’art. 72-bis, avente per oggetto il trattamento nel fallimento del promittente venditore dei contratti relativi ad immobili da costruire [Xx Xxxxxx (32), 743; Vattermoli (123), 183; Scicolone (114), 63; Pajardi-Palu- chowski (90), 462; Luminoso (74), 834].
96 Le prime delle due norme sopra menzionate, contenute nel c. 7 e 8 dell’art. 72, sono, per la verità, fuori posto in un articolo, che, sancendo nei commi precedenti la regola generale relativa alla sorte dell’intera categoria dei contratti a prestazioni corrispettive in tutto o in parte non eseguiti, esclusi soltanto quelli che non sono oggetto delle spe- cifiche discipline della Sezione IV o di altre leggi, non disciplina più, come prima, gli effetti del fallimento sul contratto di compravendita in corso, ossia la sorte di un contratto tipo. Tanto è vero che la norma del c. 7, prima del decreto correttivo, era riprodotta quasi alla lettera anche nel c. 2, ora abrogato, dell’art. 72-bis, recante
la rubrica “Fallimento del venditore e contratti relativi ad immobili da costruire”. Più appropriata sarebbe stata la loro collocazione nel successivo art. 72-bis. È probabile che la ragione di questa collocazione sia da ricercare nell’intenzione del legislatore di rimarcare che la regola generale dell’art. 72 si applica anche ai preliminari di vendita immobiliare trascritti, ma non ai preliminari di vendita immobiliare trascritti aventi per oggetto immobili ad uso abitativo destinati a costituire l’abitazione principale del promissario acquirente.
Passando al commento della prima delle tre norme sopra indicate, giova ricor- 97 dare che del contratto preliminare di vendita immobiliare si era occupato, prima della riforma, l’art. 3, d.l. 31.12.1996, n. 669, convertito, con modificazioni, nella l.
28.2.1997, n. 30, il quale allo scopo di apprestare maggiori tutele dei crediti del promissario acquirente di bene immobile, ha inserito nel codice civile alcune nuove disposizioni. Il numero 1 del citato art. 3 ha aggiunto, dopo l’art. 2645 c.c., l’art. 2645- bis c.c., il quale ha imposto l’obbligo della trascrizione dei contratti preliminari aventi ad oggetto taluno dei contratti indicati nei nn. 1, 2, 3 e 4 dell’art. 2643 c.c., se risultanti da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o giudizialmente accertata, limitando gli effetti della trascrizione alla durata di un anno dalla data con- venuta per la conclusione del definitivo o comunque di tre anni dalla predetta trascri- zione. Il n. 4 dello stesso art. 3 ha aggiunto, dopo l’art. 2775 c.c., l’art. 2775-bis c.c., il quale ha accordato ai crediti del promissario acquirente nascenti dall’inesecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., un privilegio speciale sul bene immobile oggetto del preliminare medesimo, subordinato alla condizione che gli effetti della trascrizione siano ancora in atto al momento in cui si verificano gli eventi che costituiscono causa del credito. Il n. 6 dello stesso art. 3, l. n. 30/1997, il quale ha aggiunto all’art. 72, allora vigente, un c. 5, secondo cui, per il caso di fallimento del promittente venditore, i crediti del promissario acquirente che ne conseguono hanno privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto preliminare, sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati al momento della risoluzione del contratto o di condanna al pagamento ovvero al momento della trascrizione del pignoramento o al momento dell’intervento nella esecuzione promossa da terzi.
A seguito della riforma degli anni 2006 e 2007 il suddetto c. 5 dell’art. 72, è divenuto il 98
c. 7 del vigente art. 72, secondo cui, “in caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all’art. 2775-bis c.c. a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento”. Recentemente i giudici di merito non hanno mancato di osservare che il privilegio speciale immobiliare de quo, accordato ai crediti del pro- missario acquirente in caso di mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c. ha come primo ed indefettibile presupposto la trascrizione del contratto preliminare, con la conseguenza che la prelazione non spetta qualora la trascrizione non abbia riguardato il contratto preliminare, ma la successiva domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto ai
sensi dell’art. 2932 c.c. [T Milano 26.11.2013, Fall 2014, 2, 233]. Si è precisato, inoltre, che il privilegio non sarebbe stato opponibile ai creditori garantiti da ipoteca relativa a mutui erogati al promissario acquirente per l’acquisto del bene immobile, nonché ai creditori garantiti da ipoteca ai sensi dell’art. 2825-bis c.c. È stato escluso, invece, il diritto al risarcimento del danno [Jorio (63), 481].
99 La regola del c. 7 dell’art. 72, è interessante per il limite che essa ha posto al potere del curatore di scegliere tra subentro e scioglimento del preliminare, piuttosto che per l’evidente favor verso il promissario acquirente. Essa, infatti, ipotizzando l’interve- nuto scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare, trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., come situazione necessaria per la sua operatività, implica che il preliminare, anche se trascritto, appartiene alla categoria dei contratti preliminari che, alla data del fallimento del promittente venditore, sono ancora ineseguiti o per la mancata conclusione del contratto definitivo oggetto dell’obbligo a contrarre assunto col preliminare o per il mancato passaggio in giudicato della sentenza che accoglie la domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., proposta dal promissario acquirente. Solo in presenza di un preliminare ineseguito, infatti, il cura- tore ha il potere di scelta tra il subentro nel contratto e lo scioglimento dal medesimo [Jorio (63), 481].
100 Nella diversa ipotesi di adempimento del preliminare, o per intervenuta conclusione del contratto definitivo anteriore al fallimento oppure per intervenuto passaggio in giu- dicato della sentenza di accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., invece, l’esercizio della facoltà del curatore di subentrare o discio- gliersi dal contratto resta assolutamente preclusa, per l’assorbente ragione che in tal caso il preliminare, in quanto eseguito, non appartiene alla categoria dei contratti pendenti e non ricade sotto la norma che sanziona la regola generale dell’art. 72, c. 1. In altri termini, l’inapplicabilità della disciplina dei contratti pendenti, contenuta negli artt. 72 ss., comporta necessariamente l’inapplicabilità della norma relativa alla facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto, che di quella disciplina è parte. Conforta il principio prima enunciato la giurisprudenza di legittimità, secondo cui «con riferi- mento alla norma dell’art. 72, l’esecuzione del contratto preliminare di compravendita, idoneo ad impedire l’esercizio della facoltà di scioglimento unilaterale del contratto conferita al curatore, si deve identificare o in quella che deriva dalla volontaria stipu- lazione del contratto definitivo, o nella statuizione giudiziale passata in giudicato che tenga luogo di quella stipulazione, poiché soltanto in uno di tali modi si può verificare l’effetto traslativo della proprietà della cosa e l’esaurimento della situazione giuri- dica obbligatoria scaturente dal contratto preliminare, nella pendenza della quale può, invece, legittimamente inserirsi l’iniziativa di scioglimento del curatore. Tale iniziativa non può trovare ostacolo né nella circostanza che sia già avvenuto il pagamento del prezzo e l’ammissione del promissario acquirente del possesso del bene, trattandosi di effetti soltanto prodromici ed anticipatori dell’assetto di interessi che, con riferimento al passaggio di proprietà al compratore, può trovare attuazione solamente nel contratto definitivo o nella sentenza che di esso tenga luogo» [C 22.12.2005, n. 28480, Fall 2006, 7, 801].
Resta da vedere, però, quando il contratto preliminare si può considerare adempiuto o eseguito in modo da escludere la facoltà del curatore di sciogliersi dal medesimo. Al riguardo si conviene in dottrina e giurisprudenza che non è di ostacolo all’esercizio della facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto preliminare, né la circostanza che questo, prima del fallimento del promittente venditore, sia stato trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., né che sia stata proposta dal promissario acquirente domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. È, invece, oggetto di dibattito la possibilità del curatore di sciogliersi dal contratto, quando il promissario acquirente abbia anticipato il pagamento del prezzo della compravendita oggetto del preliminare o quando prima del fallimento abbia proposto domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto, ex art. 2932 c.c., ed abbia provveduto alla tra- scrizione della domanda giudiziale, ai sensi dell’art. 2652 c.c. [Xxxxx-Xxxx (79), 426; Xxxxxxx (40), 773].
Fino a qualche anno fa la giurisprudenza e la dottrina prevalenti hanno seguito un orientamento, fino ad allora “granitico”, secondo cui, in presenza di un contratto preliminare pendente di vendita immobiliare trascritto, il curatore può sempre dichia- rare di sciogliersi dal contratto senza che tale scelta possa trovare ostacolo: o nella trascrizione del preliminare anteriormente al fallimento del promittente venditore; o nella trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., ai sensi dell’art. 2652, n. 2, c.c., cui il contraente in bonis abbia provveduto, prima del fallimento; o nella circostanza che il contraente in bonis abbia effettuato il paga- mento del prezzo, con l’immissione del promissario acquirente nel possesso del bene, essendosi ritenuto trattarsi di effetto soltanto prodromico ed anticipatore del divisato assetto di interessi ma non già realizzatore di un effetto traslativo. Si riteneva anche che il curatore potesse dichiarare lo scioglimento anche nel corso del giudizio di esecu- zione in forma specifica, in ogni stato e grado, fino all’eventuale sentenza definitiva di accoglimento della domanda. È, infatti, del 2008 la pronuncia della S.C., secondo cui,
«la facoltà del curatore fallimentare di sciogliersi dal contratto preliminare di vendita stipulato dal fallito e non ancora eseguito, ai sensi dell’art. 72, c. 4, può essere eserci- tata fino all’avvenuto trasferimento del bene, ossia all’esecuzione del contratto preli- minare attraverso la stipula di quello definitivo ovvero fino al passaggio in giudicato della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., resa in difetto di adempimento del prelimi- nare, e dunque anche nel giudizio di appello; il limite alla proponibilità delle eccezioni in senso proprio, previsto dall’art. 345 c.p.c., non assume infatti rilevanza rispetto al compimento del predetto atto, il quale costituisce esercizio di un diritto potestativo di carattere sostanziale e manifestazione di una scelta discrezionale spettante al curatore, che opera direttamente sul contratto e può essere effettuata mediante dichiarazione nella comparsa di costituzione o in altro scritto difensivo, come la comparsa conclusionale o atto del procuratore, anche non sottoscritto dal curatore e la cui sussistenza è rileva- bile d’ufficio ai fini della decisione» [C 7.1.2008, n. 33, Fall 2008, 767; conformi: C 14.1.1993, n. 398, Fall 1993, 714; C 14.4.1999, n. 239, Fall 2000, 1250; C 13.5.1999,
n. 4747, Fall 2000, 727; C 29.1.2002, n. 1063, Fall 2003, 20; C 4.11.2003, n. 16505,
Fall 2004, 8, 895; C 14.4.2004, n. 7070, Fall 2004, 10, 1156; C 18.5.2005, n. 10436,
Fall 2006, 848; C 22.12.2005, n. 28480, Fall 2006, 801; C 1.3.2007, n. 4888, Fall 2007,
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102
722; C 1.12.2010, n. 24396, Fall 2011, 7, 877; T Torino 7.9.2011; in dottrina si sono
espressi in senso favorevole, Satta (113), 269; Provinciali (97), 1121; Gugliel-
xxxxx (60), 125; Xxxxxxx-Xxxxx (36), 265; Scicolone (114), 66 e 70; Xxxxxxxx (8),
761-766; Xx Xxxxxx (30), 806; Xxxxxx (45), 356; Luminoso (75), 240 ss.; Luminoso
(74), 835; x. xx xxxxxx X 0.0.0000, x. 0000, GI 2014, 6, 1311, la quale, in dichiarato dissenso dal diverso orientamento espresso da C SU 7.7.2004, n. 7070 e C 18.5.2005,
n. 10436, ha affermato che «fino al passaggio in giudicato di una sentenza ex art. 2932
c.c. di trasferimento della proprietà di un bene al promissario acquirente, il curatore conserva intatto il potere di scegliere fra l’esecuzione e lo scioglimento del contratto preliminare», anche in presenza della trascrizione della domanda].
103 Tale tradizionale orientamento è stato drasticamente ed inopinatamente sconfes- sato la prima volta da una pronuncia delle Sezioni unite della S.C., la quale, con una autentica frattura rispetto al passato, ha statuito che «quando la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto è stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento, la sentenza che l’accoglie, anche se trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori e impedisce l’appren- sione del bene da parte del curatore del contraente fallito, che non può, quindi, avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall’art. 72 legge fallimentare». Ciò perché - come si legge nella motivazione della sentenza - ove la trascrizione della domanda giudiziale sia stata eseguita prima della dichiarazione di fallimento, «deve ritenersi che il trasferimento della proprietà del bene promesso in vendita sia avvenuto prima di tale momento, integrando gli estremi della situazione considerata dallo stesso art. 72, c. 4, come ostativa all’esercizio della facoltà di recesso da parte del curatore» [C SU 7.7.2004, n. 12505, Fall 2005, 7, 755; in dottrina x. Xxxxxxx (92), 254; Xxxxxxxx (25), 1; Colesanti (24), 93]. Tuttavia le sezioni semplici hanno ignorato la svolta ed hanno continuato a seguire il vecchio indirizzo senza neppure preoccuparsi di motivare tale dissenso rispetto alla lezione impartita dalle Sezioni unite, serbando su di essa un assoluto silenzio. Parte della dottrina, a sua volta, non ha mancato di esprimere critiche severe [Montanari (81), 1249; Xx Xxxxxx (32), 745; v. ora anche Xxxxxxx (115), 363, la quale, pur riconoscendo che la questione resta aperta fino a quando le Sezioni Unite non risolveranno il contrasto su di essa tuttora in atto tra le Sezioni semplici, non manca di auspicare che essa sia presto risolta ex professo in attuazione del principio della certezza del diritto].
104 Sennonché, a ribadire il principio affermato dalle Sezioni unite del 2004, sistema- ticamente disatteso nella successiva giurisprudenza delle sezioni semplici, è interve- nuta di recente un’ulteriore sentenza della S.C., che, ricollegandosi espressamente a quel precedente e confermandolo, ha statuito che «in tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, se la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere detto contratto è stata trascritta prima della dichia- razione di fallimento del promittente venditore, la sentenza che l’accoglie, anche se trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori e impedisce l’appren- sione del bene da parte del curatore del contraente fallito, che non può quindi avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall’art. 72. Infatti, gli effetti
della anzidetta sentenza di accoglimento retroagiscono alla data della trascrizione della domanda (così da rendere la situazione controversa insensibile agli eventi successivi incidenti sulla titolarità e sulla disponibilità del bene oggetto della pretesa) ed altresì, alla luce dei principi del giusto processo e della sua durata ragionevole, le posizioni delle parti ed i diritti da esse inizialmente fatti valere non possono subire conseguenze pregiudizievoli a causa del tempo di trattazione necessario per la definizione del giu- dizio» [C 23.6.2010, n. 15218, Fall 2010, 11, 2010; conf., C 8.7.2010, n. 16160, Fall
2011, 2, 244; T Udine 13.2.2014, Fall 2014, 7, 825; in dottrina, Murino (83), 186]. Recentemente la giurisprudenza di legittimità ha avuto l’occasione di pronunciarsi anche sulle modalità della prova, dell’anteriorità rispetto alla sentenza di fallimento, dell’intervenuta trascrizione della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, statuendo che detta prova «può essere fornita esclusivamente a mezzo della produzione in giudizio - in originale o in copia conforme - della nota di trascrizione, in quanto solo le indicazioni in essa riportate consentono di individuare, senza possibilità di equivoci ed incertezze, gli elementi essenziali del negozio, i beni ai quali esso si riferisce ed il soggetto al quale la domanda è rivolta, senza potersi attingere elementi dai titoli presentati e depositati con la nota stessa; né tale produzione, tenuto conto dei contenuti specifici che la nota è destinata a provare, è surrogabile mediante la confessione della controparte» [C 27.12.2013, n. 28668, Fall 2014, 11, 1234]. La que- stione, però, nonostante la svolta segnata dalla sentenza delle Sezioni unite e da quelle successive delle sezioni semplici, che alla prima hanno aderito, è ben lungi dall’essere risolta, perché sia la giurisprudenza che la dottrina sono ancora divise tra i seguaci del vecchio indirizzo e quelli del nuovo. È recentissima una pronuncia della giurisprudenza di merito, secondo cui «la regola generale dell’art. 72, c. 1, - secondo la quale l’ese- cuzione del contratto pendente al momento della dichiarazione di fallimento di una delle parti rimane sospesa fino a quando il curatore dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito ovvero di sciogliersi dal medesimo - deve ritenersi operante ed applicabile anche nell’ipotesi di contratto preliminare di compravendita immobiliare per il quale sia stata proposta e trascritta domanda ex art. 2932 c.c. prima della dichia- razione di fallimento» [C App. Torino 7.9.2011, Fall 2012, 8, 988, con nota contraria di Gaboardi; conforme, T Xxxxxx 0.0.0000, Fall 2012, 11, 1389, secondo cui «nell’ipotesi che il promissario acquirente abbia instaurato un giudizio ex art. 2932 c.c. nei confronti del promittente venditore poi fallito, il curatore può validamente esercitare il diritto potestativo di scegliere se subentrare o sciogliersi dal contratto preliminare di com- pravendita finché la sentenza non sia passata in giudicato»]. A favore di quest’ultimo orientamento, ed in aperto dissenso dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione
n. 12505 del 7.7.2004, si è pronunciata molto recentemente anche la 1ª Sezione della Cassazione medesima, reinvestendo le Sezioni Unite della stessa questione sul rilievo che queste ultime si erano pronunciate vigente il testo dell’art. 72, anteriore alla riforma del 2006; che la questione sottoposta al suo giudizio riguardava invece una controversia ricadente sotto il novellato testo dell’art. 72; e che occorreva dare definitiva soluzione al persistente contrasto su una questione di massima di particolare importanza [C (Ord. Interlocutoria) 4.12.2013, n. 27111, Fall 2014, 1, 25]. Non resta, quindi, che attendere il nuovo dictum delle Sezioni Unite, le quali si pronunceranno nell’udienza pubblica del prossimo 13 gennaio 2015. È stato ricordato che «il contrasto ha preso origine dalla
sentenza della Cass. s.u., n. 12505 del 7 luglio 2004 che, in contrasto col precedente consolidato indirizzo, ha per la prima volta enunciato (ma con riguardo ad un contratto di permuta) il principio per cui, quando la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto è stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento, la sentenza, che l’accoglie, anche se trascritta successi- vamente, è opponibile alla massa dei creditori e impedisce l’apprensione del bene da parte del curatore del contraente fallito, che non può quindi avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall’art. 72 della legge fallimentare». È stato aggiunto che la pronuncia delle Sezioni Unite del 2004 è stata condivisa da alcune sen- tenze successive delle sezioni semplici, ma non lo è stata da più numerose altre, anche successive alla citata ordinanza interlocutoria di rimessione della questione alle s.u. [Xxxxx (126), 1]. In particolare, secondo l’ordinanza di rimessione, l’argomento deci- sivo delle Sezioni Unite del 2004 si risolverebbe in una tautologia: infatti “quand’anche dovesse darsi per scontato (il che non è) che gli effetti della sentenza di accoglimento, ancorché successiva alla data del fallimento, debbano farsi retroagire alla data della trascrizione della domanda, andrebbe ancora spiegato per quali ragioni, a fronte della volontà manifestata in giudizio dal curatore di sciogliersi dal contratto, la domanda dovrebbe essere accolta”. Si ricorda, poi, che una questione analoga a quella oggetto della decisione delle Sezioni Unite del 2004 era stata recentemente decisa con sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in data 4.2.2014 in senso favorevole al promis- sario acquirente e che quindi le Sezioni Unite della Cassazione, che dovranno pronun- ciarsi sulla medesima questione prossimamente non potranno non “dettare una regola conforme ai principi enunciati dalla giurisprudenza strasburghese” [Xxxxxx (33), 3].
105 Comunque, ove il trasferimento del diritto al promissario acquirente non sia già avve- nuto, il contratto preliminare resta sospeso fino a quando il curatore del fallimento del promittente venditore, in applicazione della regola generale di cui al c. 1 dello stesso art. 72, non dichiara di subentrare nel contratto oppure di sciogliersi. La S.C. ha recentemente statuito, in conformità ai principi, che il diritto del curatore di sciogliersi dal contratto, sancito dall’art. 72, nel testo anteriore alla riforma degli anni 2005 e 2007, ha carattere potestativo e si perfeziona con la mera comunicazione della volontà del suo titolare alla controparte, senza che sia necessario un intervento del giudice, cui compete solo di accertare che l’effetto si sia prodotto [C 10.4.2013, n. 8686, Fall 2014, 1, 109].
106 Se il curatore dichiara di sciogliersi dal contratto e questo per effetto di tale scelta si scioglie, al promissario acquirente non resta - come si è detto - che far valere nel passivo il proprio eventuale credito per il prezzo che abbia in tutto o in parte pagato prima del fallimento, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno [Cintioli (21), 423, nota a T Orvieto 21.11.1996; x. Xxxxxxxxx (114), 75-79 anche per ulteriori effetti dello scioglimento]. Credito che, per effetto della nuova norma, è assistito dal privi- legio speciale sui beni oggetto del contratto preliminare, di cui all’art. 2775-bis e 2780,
n. 5-bis c.c., a condizione che gli effetti della trascrizione non siano venuti meno nel momento della risoluzione del contratto o nel momento della domanda giudiziale di risoluzione del contratto medesimo [Bozza-Canzio (12), 319; Xxxxxx (45), 357]. Ne consegue che il promissario acquirente in bonis, ai sensi del c. 7 dell’art. 72: a) acquista
il diritto di insinuare nel passivo del fallimento il proprio credito, costituito di norma dalle somme che abbia eventualmente anticipato in esecuzione degli obblighi assunti;
b) gode del privilegio speciale immobiliare di cui agli artt. 2775-bis e 2780, n. 5-bis c.c., ove gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati alla data della dichiarazione di fallimento; e c) non ha il diritto di far valere nei confronti del fallimento il risarcimento del danno.
Si tratta, come ognun vede, dei consueti effetti che il c. 4 dell’art. 72 ricollega alla scelta del curatore di sciogliere i contratti pendenti, riconoscendo al contraente in bonis il diritto di ottenere la restituzione delle prestazioni eseguite mediante l’insi- nuazione del relativo credito nel passivo del fallimento, ma negandogli il diritto di far valere il diritto al risarcimento del danno, sia pure pro quota. L’unica deviazione dalla regola generale risiede nella norma del c. 7 dello stesso art. 72, la quale, oltre a riconoscere al promissario acquirente il diritto di far valere il proprio credito nel passivo del fallimento del promittente venditore, gli attribuisce anche il privilegio speciale previsto dall’art. 2775-bis c.c., alla condizione che il preliminare di ven- dita immobiliare sia stato trascritto ai sensi dell’art. 2645 c.c. [Scicolone (114), 78; Vattermoli (123), 184].
La trascrivibilità dei contratti in parola è stata prevista, nonostante la loro apparte- nenza alla categoria dei contratti ad effetti obbligatori, dall’art. 2645-bis c.c., (aggiunto dopo l’art. 2645 c.c., dall’art. 3, l. 28.2.1997, n. 30), secondo cui i contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti traslativi della proprietà o traslativi modificativi o estintivi dei c.d. diritti reali su cosa altrui, previsti dai nn. 1, 2, 3 e 4, dell’art. 2643 c.c., se risultanti da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente, devono essere trascritti nei registri immobiliari, anche se sottoposti a condizione o relativi ad immobile da costruire o in corso di costruzione. Si è trattato di una novità molto importante, perché la trascri- vibilità di contratti ad effetti obbligatori, quali sono i preliminari, ha rivoluzionato il sistema della pubblicità immobiliare, tradizionalmente riservato ai contratti ad effetti reali [Paladini (91), 321]. L’obbligo di trascrizione è previsto pure per i contratti preliminari aventi ad oggetto porzioni di edifici da costruire o in corso di costru- zione, a condizione che indichino la superficie utile della porzione di edificio e la quota del diritto spettante al promissario acquirente relativa all’intero costruendo edificio espressa in millesimi. La trascrizione è in tal caso eseguita con riferimento all’immo- bile per la quota determinata indicata nel contratto e, non appena l’edificio viene ad esistenza, gli effetti della trascrizione si producono rispetto alle porzioni materiali cor- rispondenti alle quote di proprietà predeterminate. L’edificio viene ad esistenza quando sia eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità, e sia stata compiuta la copertura. La trascrizione svolge una funzione di prenotazione degli effetti del contratto definitivo o di altro contratto, che costituisca comunque esecu- zione del preliminare, oppure della sentenza di accoglimento della domanda diretta ad ottenerne l’esecuzione in forma specifica, nel senso che essa prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite successivamente contro il promittente venditore (art. 2645-bis, c. 2, c.c.). Gli effetti della trascrizione hanno, però, una durata limitata, perché cessano, e
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si considerano come mai prodotti, qualora entro un anno dalla data convenzionalmente stabilita e, in ogni caso, entro tre anni dalla trascrizione stessa, non segua la trascrizione degli atti gli effetti dei quali sono stati prenotati (art. 2645-bis, c. 3, c.c.) [Alessi (3), 360; Bozza-Canzio (12), 317].
109 È di manifesta evidenza il favor nei confronti del promissario acquirente. Con la previsione della possibilità della trascrizione del contratto preliminare - profondamente innovativa perché estende ai contratti con effetti obbligatori un istituto tradizionalmente riservato ai contratti con effetti reali [Alessi (3), 360] - e con l’attribuzione al promis- sario acquirente del privilegio immobiliare, il legislatore ha inteso riequilibrare le posi- zioni dei contraenti, rafforzando quella del promissario acquirente. La quale, in verità, era prima particolarmente debole, posto che quest’ultimo contraente era esposto, non solo al rischio dell’inadempimento del promittente venditore e della conseguente per- dita dell’affare, ma anche della perdita della somma molto spesso pagata in anticipo a titolo di prezzo o di caparra. Attualmente la trascrizione pone il promissario acquirente nella stessa posizione in cui si trovava prima quando trascriveva la domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica, perché essa neutralizza nei suoi confronti tutti gli effetti delle eventuali successive alienazioni poste in essere dal promittente venditore e gli agevola il recupero del credito per eventuali anticipi di prezzo in caso di inadempi- mento o fallimento del promittente venditore.
110 Il privilegio speciale immobiliare a favore dei crediti di promissario acquirente è stato introdotto dall’art. 3, n. 4, l. 28.2.1997, n. 30, il quale ha inserito dopo l’art. 2775 c.c., l’art. 2775-bis, secondo cui “nel caso di mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis, i crediti del promissario acquirente che ne conse- guono hanno privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto preliminare, sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati al momento della risoluzione del contratto risultante da atto avente data certa, ovvero al momento della domanda giudiziale di risoluzione del contratto o di condanna al pagamento ovvero al momento della trascrizione del pignoramento o al momento dell’intervento nella esecuzione pro- mossa da terzi. Il privilegio non è opponibile ai creditori garantiti da ipoteca relativa a mutui erogati al promissario acquirente per l’acquisto del bene immobile nonché ai creditori garantiti da ipoteca ai sensi dell’art. 2825-bis”. Il suo scopo è stato, al pari di altre misure, quello di apprestare una maggiore tutela in favore del promissario acqui- rente di bene immobile, esposto molto spesso al grave rischio di non conseguire la disponibilità di un alloggio e, al tempo stesso, di perdere le somme di denaro anticipate al promittente venditore quale acconto prezzo del futuro contratto definitivo. Recen- temente la giurisprudenza si è preoccupata di precisare, per quanto non ve ne fosse bisogno, che il privilegio speciale previsto dall’art. 2775-bis, c.c. per i crediti del pro- missario acquirente in caso di mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c. «ha come primo ed indefettibile presupposto la trascrizione del contratto preliminare» e che, «di conseguenza, la prelazione non spetta qualora la trascrizione non abbia riguardato il contratto preliminare, ma la successiva domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto ai sensi dell’art. 2932 c.c.» [T Milano 26.11.2013, Fall 2014, 2, 233].
Il n. 6 del citato art. 3, l. n. 30/1997, ha aggiunto all’art. 72, allora vigente, il c. 5, secondo cui nel caso di scioglimento del contratto, “l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all’art. 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento”. Tale disposizione è quella stessa ora contenuta nel
c. 7 dell’art. 72. Come ognun vede, la legge si è preoccupata di precisare che il nuovo privilegio speciale non è opponibile ai creditori garantiti da ipoteca rela- tiva a mutui erogati al promissario acquirente per l’acquisto del bene immobile nonché ai creditori garantiti da ipoteca ai sensi dell’art. 2825-bis, ma nulla ha previsto in merito al rapporto del privilegio speciale con le altre ipoteche iscritte anteriormente.
In merito all’ipotesi di conflitto tra il privilegio speciale ex art. 2775-bis e le ipoteche a garanzia del finanziamento concesso alla società costruttrice, iscritte prima della trascrizione del contratto preliminare di vendita immobiliare, si è pronunciata, anterior- mente alla riforma degli anni 2006-2007, la S.C., statuendo che «il privilegio speciale previsto dall’art. 2775 bis c.c. per il credito del promissario acquirente sul bene immo- bile oggetto del contratto preliminare, prevale rispetto alle ipoteche gravanti sullo stesso immobile, pur se iscritte anteriormente alla trascrizione del contratto preliminare» [C 14.11.2003, n. 17197, Fall 2004, 1324, a conferma di T Genova 25.1.2001, BBTC 2001,
II, 188; conformi, T Lucca 23.11.2002, AC 2003, 416; T Reggio Xxxxxx 18.11. 2002,
Fall 2003, 1312].
Questa soluzione del problema è divenuta subito oggetto di un vivace dibattito dot- trinale tra due opposti orientamenti. Secondo una parte della dottrina, infatti, essa è da condividere sul rilievo che il privilegio speciale prevale sulle ipoteche già iscritte, ritenendo insuperabile il dato normativo emergente dall’interpretazione letterale degli artt. 2748, c. 2, e 2825-bis c.c. [Caprioli (18), 1327-1330; Caprioli (17), 1695-1699;
Alessi (3), 363; Xx Xxxx (29), 517 ss.; Apice (5), 1169]. Secondo l’altra prevalente parte della dottrina, la questione avrebbe dovuto essere risolta diversamente, non basandosi esclusivamente sul mero dato letterale delle norme in questione, ma in via interpretativa, avvalendosi dei principi su cui si fonda la pubblicità immobiliare e di una pluralità di elementi emergenti dalla stessa disciplina in materia [Xxxxxxx (7), 272; Xxxxxxx (52), 30 ss.; Xxxxxxxxx (50), 553; Xxxxxxxxx (51), 793; Magliulo (77),
583 ss.; Xxxxxxxx (73), 564; Guglielmucci (55), 229; Rellini (103), 662; v. anche Xxxxxxxxx (51), 793, che fin d’allora auspicava fortemente la revisione dell’orienta- mento della Cassazione con una critica serrata che, tra l’altro, sul piano della politica del diritto, non mancava di avvertire che, facendo prevalere senz’altro il privilegio, come era stato deciso, si erigesse un grave ostacolo all’erogazione del credito fondiario e, quindi, al dispiegarsi dell’iniziativa edilizia].
Sulla stessa questione la S.C., a sezioni unite, è ritornata dopo circa sei anni, affer- mando, in esplicito dissenso dal suo precedente orientamento del 2003, l’opposto prin- cipio secondo cui nell’ambito della formazione dello stato passivo e della graduazione
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dei crediti concorrenti nel fallimento, la formalità ipotecaria iscritta a garanzia del mutuo fondiario acceso dal costruttore prevale sulla successiva trascrizione del contratto preli- minare in favore del promissario acquirente e del relativo privilegio speciale accordato dalla legge, a mente dell’art. 2748 c.c., così statuendo: «Il privilegio speciale sul bene immobile, che assiste (ai sensi dell’art. 2775 bis c.c.) i crediti del promissario acqui- rente conseguenti alla mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell’art. 2645 bis c.c., siccome subordinato ad una particolare forma di pubblicità costi- tutiva (come previsto dall’ultima parte dell’art. 2745 c.c.), resta sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull’ipoteca, sancita, se non diversamente disposto, dal c. 2 dell’art. 2748 c.c., e soggiace agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti. Ne consegue che, nel caso in cui il curatore del fallimento della società costruttrice dell’immobile scelga lo scioglimento del contratto preliminare (ai sensi dell’art. 72), il conseguente credito del promissario acquirente (nella specie avente ad oggetto la restitu- zione della caparra versata contestualmente alla stipula del contratto preliminare), ben- ché assistito da privilegio speciale, deve essere collocato con grado inferiore, in sede di riparto, rispetto a quello dell’istituto di credito che, precedentemente alla trascrizione del contratto preliminare, abbia iscritto sull’immobile stesso ipoteca a garanzia del finanzia- mento concesso alla società costruttrice» [C SU 1.10.2009, n. 21045, GC 2010, I, 311].
115 Quest’ultimo orientamento ha diviso ancora una volta la dottrina, che, in parte, si è schierata in senso favorevole con argomentazioni analoghi a quelli cui aveva fatto ricorso commentando la sentenza del 2003 [Paladini (91), 321-328; Xxxxxxx (108), 275-279; Puppo (100), 61-70; forse anche Lotta (72), 70-75; Agnino (2), 181; Vil- lani (127), 20; Xxxxx (15), 341, secondo cui l’orientamento delle Sezioni Unite merita
«ampia condivisione per il rinnovato approccio metodologico e per il favor denotato dalla Suprema Corte, in luogo di soluzioni formaliste, pur impeccabili sotto il pro- filo del rigore e dell’aderenza al dato normativo letterale, per soluzioni “sostanziali”, sensibili alla natura degli interessi tutelati e all’aderenza delle regole di settore dello specifico istituto con l’intero sistema di riferimento»], e in parte in senso contrario sul rilievo che la soluzione adottata dalle Sezioni Unite, in difformità dall’opinione del 2003, non sarebbe convincente, avendo superato con disinvoltura l’argomento letterale che si trae dalla lettura del combinato disposto degli artt. 2748, 2775-bis e 2825-bis
c.c. e che invece rappresenterebbe la solida voluntas legis [Caprioli (17), 1695-1699; Vecchio (125); v. ora anche Xxxxxxxxxxxx (116), 674].
116 Riassumendo, secondo una parte della dottrina, il privilegio speciale prevale sulle ipoteche già iscritte in applicazione degli artt. 2748, c. 2, e 2825-bis c.c., escludendo, quindi, che le ipoteche iscritte prima della trascrizione del contratto preliminare pos- sano prevalere sul privilegio che assiste il credito del promissario acquirente. Secondo l’altra prevalente parte, invece, la questione va risolta in senso contrario, e cioè nel senso che le ipoteche iscritte prima della trascrizione del preliminare prevalgono sul privilegio trascritto successivamente, in base ad una lettura non meramente lette- rale della suddetta norma dell’art. 2748, ma anche in via interpretativa, avvalendosi sui principi fondanti della pubblicità immobiliare e di altri elementi emergenti dalla stessa disciplina in materia. Ma la S.C. non è stata e non è dello stesso avviso. Recentemente,
infatti, ha ribadito il suo orientamento dell’anno 2009, statuendo che «il privilegio spe- ciale sul bene immobile che assiste (ai sensi dell’art. 2775 bis c.c.) i crediti del promissa- rio acquirente conseguenti alla mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto, ai sensi dell’art. 2645 bis c.c. siccome subordinato ad una particolare forma di pubbli- cità costitutiva (come previsto dall’ultima parte dell’art. 2745 c.c.), resta sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull’ipoteca sancita, se non diversamente disposto, dall’art. 2748, c. 2, c.c. e soggiace agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti (art. 2644 c.c.). Ne consegue che, nel caso in cui il curatore del fallimento della società costruttrice dell’immobile scelga lo scioglimento del contratto preliminare (ai sensi dell’art. 72), il conseguente credito del promissario acquirente - nella specie, avente ad oggetto la restituzione della caparra versata contestualmente alla stipula del contratto preliminare - benché assistito da privilegio speciale, deve essere collocato con grado inferiore, in sede di riparto, rispetto a quello dell’istituto di credito che, preceden- temente alla trascrizione del contratto preliminare, abbia iscritto sull’immobile stesso ipoteca a garanzia del finanziamento concesso alla società costruttrice» [C 9.1.2013, n. 341, Fall 2013, 4, 412; conf. C 27.11.2012, n. 20974, Fall 2013, 413]. Le due sen-
tenze sono state commentate dalla dottrina favorevolmente in omaggio al principio del prior in tempore potior in jure che, come è noto, in caso di dissesto del debitore, premia il creditore più lesto a scapito dello sprovveduto promissario acquirente [Cederle (19), 422; Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx (1), 397].
La giurisprudenza di legittimità, che con la sentenza del 2003 si era pronunciata in conformità al primo orientamento minoritario della dottrina [C 14.11.2003, n. 17197, cit.], nel 2009, attuando un deciso revirement, si è pronunciata in senso diametralmente opposto, schierandosi a favore dell’orientamento della parte prevalente della dottrina [C SU 1.10.2009, n. 21045, cit.]. Noi riteniamo preferibile la prima soluzione, sia per- ché la norma del c. 2 dell’art. 2748 c.c., è inequivocabile nel senso che i privilegi immobiliari, senza alcuna distinzione a seconda che siano o no trascrivibili, preval- gono sui crediti ipotecari, sia perché diversamente resterebbe in gran parte vanificata la ragione per cui il privilegio è stato accordato al promissario acquirente. È noto, infatti, che l’importo dei crediti ipotecari è normalmente di gran lunga superiore a quello dei crediti del promissario acquirente, con la conseguenza che il suo pagamento prioritario assorbirebbe l’intero ricavato della vendita dell’immobile oggetto delle due cause di prelazione in pregiudizio degli interessi del creditore privilegiato [nello stesso senso v. Re (102), 145].
Nel diverso caso di fallimento del promissario acquirente è applicabile l’art. 72, c. 1 e 3, per cui il contratto preliminare entra in uno stato di sospensione fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del giudice delegato, non dichiari di subentrare nel contratto, assumendosi così l’obbligo di stipulare il contratto definitivo e di pagare inte- gralmente il prezzo convenuto, oppure di sciogliersi dal medesimo, restituendo la cosa oggetto del preliminare, che abbia eventualmente ricevuta in anticipata consegna [C 11.6.1993, n. 6548, Fall 1994, 15]. Si è ritenuto, inoltre, che al promittente venditore in bonis spetta anche, per il periodo compreso tra il giorno della consegna dell’immobile al promissario acquirente e la data della comunicazione della volontà del curatore di
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sciogliere il contratto, un “giusto compenso” (corrispondente ai canoni che avrebbero potuto essere percepiti sul mercato delle locazioni), in base all’applicazione analogica dell’art. 80, c. 2, riguardante il recesso dal contratto di locazione da parte del cura- tore del fallimento del conduttore. Si è precisato, pure, che l’indennizzo per l’ulteriore occupazione dell’immobile da parte del fallimento nel periodo successivo allo sciogli- mento del contratto, deve considerarsi debito contratto per l’amministrazione del fallito e, quindi, essere liquidato in prededuzione, ai sensi dell’art. 111, n. 1 [C 11.11.1994, n. 9423, Fall 1995, 719].
119 È appena il caso di aggiungere che nell’ipotesi di contratto preliminare di vendita immobiliare non trascritto, perché stipulato con scrittura privata, anziché con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente, la disciplina applicabile resta quella generale dell’art. 72, c. 3, nulla essendo mutato con riferimento a questa specifica fattispecie, sempre che il contratto sia opponibile al curatore del fallimento. La modificazione della disciplina fallimentare, infatti, riguarda soltanto i particolari effetti previsti dalla legge nell’ipotesi di preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c. Si è osservato esattamente che il legislatore, aggiungendo un nuovo comma al vecchio testo dell’art. 72 - anziché rifor- mulare l’ultima parte del c. 4 dello stesso articolo, relativo all’ipotesi di vendita di cosa non ancora passata in proprietà del compratore - ha fatto capire che il suo intento, in caso di fallimento del venditore, era quello di lasciare intatta la vecchia normativa per tutte le altre ipotesi di vendita con effetti obbligatori e di dettare la nuova disposizione per il solo caso del contratto preliminare [Xxxxx-Xxxxxx (12), 319].
120 I limiti della nuova disciplina - La trascrivibilità dei contratti preliminari di vendita immobiliare e l’attribuzione al promissario acquirente del privilegio speciale immobi- liare sull’immobile oggetto del contratto hanno indubbiamente migliorato, rispetto al passato, la situazione di quest’ultimo contraente. Ma altrettanto certo è che si è trattato di rimedio insufficiente, perché la trascrizione ed il privilegio proteggono, entro certi limiti, il promissario acquirente dal rischio che il promittente venditore alieni a terzi l’immobile oggetto del contratto o non adempia le obbligazioni a suo carico, ma non lo proteggono dal rischio del mancato acquisto dell’immobile non ancora costruito attra- verso il rimborso del prezzo versato, posto che a poco può servire un siffatto privilegio in caso di preliminare di vendita di immobile da costruire, se l’immobile non viene poi costruito.
XXII. Preliminare di compravendita di immobile destinato ad abitazione del pro- missario acquirente o di suoi parenti ed affini
121 Con l’art. 4, n. 6, lett. c), d.lgs. n. 169/2007, è stata introdotta nella legge fallimentare una vera novità con l’aggiunta all’art. 72 di un c. 8, secondo il quale la regola generale di cui al c. 1 - che prevede la sospensione automatica dell’esecuzione del contratto con prestazioni corrispettive ineseguite da entrambe le parti e l’attribuzione al curatore della facoltà di scegliere il subentro o lo scioglimento del rapporto pendente - non si applica al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., qualora esso
abbia ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato ad abitazione principale del promissario acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado [Scicolone (114), 80; Xxxxx-Xxxx (79), 429; Xxxxxx (45), 357; Xxxxx (63), 481; Xxxxxxx-Xxxxxxxxxxx
(90), 462].
Pur trattandosi di un contratto preliminare a prestazioni corrispettive, ineseguite o non compiutamente eseguite da entrambe le parti alla data del fallimento di un suo con- traente, e quindi in possesso di tutti i requisiti per l’assoggettamento alla regola del c. 1 dell’art. 72, esso non ricade sotto questa norma, perché rispetto ad essa la norma del c. 8 contiene una nota ulteriore specializzante, che la prima non ha e rispetto alla quale si pone in rapporto di norma speciale a norma generale. La nota ulteriore specializ- zante è costituita, nel caso che ne occupa, dalla circostanza che il contratto definitivo di compravendita, per la conclusione del quale viene stipulato il preliminare, ha per oggetto l’acquisto di un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abita- zione principale del promissario acquirente. Essa è tale da sospingere il contratto de quo fuori dello spazio di applicazione della norma generale, da renderlo opponibile alla massa dei creditori concorrenti e da escludere così la sospensione dell’esecuzione del contratto in caso di fallimento del promittente venditore.
Si tratta, infatti, di una ulteriore eccezione alla regola generale, sancita nel c. 1 dell’art. 72. Prima del decreto correttivo facevano eccezione alla regola soltanto i rap- porti pendenti che non fossero riconducibili alla categoria dei contratti descritti nel
c. 1 dell’art. 72 o quelli la sorte dei quali fosse regolata da specifiche disposizioni di legge contenute nella stessa Sezione IV della legge fallimentare o in altre leggi. Oggi a tali eccezioni si è aggiunta quella prevista dalla norma in questione, che sottrae il preliminare di vendita immobiliare, trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., alla regola generale cui sono soggetti gli altri rapporti pendenti e lo accomuna nella sorte privi- legiata riservata ai pochi contratti in corso per i quali la legge prevede, per il solo effetto del fallimento, la sostituzione automatica del curatore nella posizione del contraente dichiarato fallito, con tutto quello che ne consegue a favore ed a carico dei creditori con- correnti: da una parte, l’acquisto dei diritti nascenti dal contratto e, dall’altra, l’assun- zione a carico della massa delle obbligazioni da esso nascenti [Xxxxxx (119), 1389, il quale osserva che sulle esigenze della liquidazione fallimentare il legislatore ha ritenuto di far prevalere la tutela del “diritto alla casa”, che negli ultimi anni, di fronte ad episodi che avevano destato un forte allarme sociale, già aveva ispirato anche altri interventi normativi; v. ora anche Xx Xxxxxx (32), 746]. L’eccezionalità della norma esclude la sua applicabilità per analogia; tuttavia si è osservato, giustamente, che l’esclusione dell’interpretazione analogica non è di ostacolo all’interpretazione estensiva e, per tale via, l’applicabilità della norma ai contratti aventi per effetto il trasferimento di un immobile destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o dei suoi parenti e affini, quali ad esempio i contratti di permuta [Xxxxx-Xxxx (79), 430; Xxxxxxxx (75), 246 ss.; Xxxxxxxx (74), 838].
La nuova norma costituisce il punto di arrivo di una politica legislativa che, a comin- ciare dal 1996 fino al luglio del 2007, ha perseguito l’obiettivo di rafforzare, oltre
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ogni limite finora raggiunto, la posizione del promissario acquirente in caso di falli- mento del promittente venditore, prima particolarmente debole per la sua esposizione al rischio non solo della perdita dell’affare per l’inadempimento dell’altra parte, ma anche della perdita della somma molto spesso pagata in anticipo a titolo di prezzo. Vi è stato, infatti, prima l’art. 3, d.l. 31.12.1996, n. 669, convertito con modificazioni nella
l. 28.2.1997, n. 30, che, da una parte, ha aggiunto l’art. 2645-bis c.c., che ha previsto la trascrivibilità dei contratti preliminari aventi per oggetto la conclusione di contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano diritti reali; e dall’altra, per il caso di man- cata esecuzione del preliminare così trascritto, ha attribuito al promissario acquirente del privilegio speciale di cui agli artt. 2775-bis e 2780, n. 5-bis, c.c., sul bene immo- bile oggetto del contratto, da fare valere nel fallimento del promittente venditore con domanda di ammissione al passivo [Xxxxxxx (37), 225; Xxxxxxxx (75), 246].
125 L’aggiunta del c. 8 dell’art. 72, operata con il decreto correttivo del 2007 per favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, ai sensi dell’art. 47 Cost. (v. Relazione ministeriale), completa le misure di rafforzamento del promissario acquirente di immobili ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione princi- pale dell’acquirente o di suoi parenti, disponendo che ad esso non si applica la regola generale posta con il c. 1 dell’articolo citato e sottraendo al curatore del fallimento del promittente venditore ogni discrezionalità in merito alla sorte del contratto preliminare che sia stato trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c. In esso subentra automaticamente il curatore, che deve adempierne le obbligazioni in applicazione delle norme comuni del contratto [Lo Xxxxxx (69), 869; Nardo (84), 146; Cagnasso (12), 120; Luminoso (75), 247; per considerazioni analoghe v. già Nisivoccia (88), 826]. Non manca, però, chi, interpretando in senso riduttivo la norma in esame, ritiene che l’obbligo del curatore si limiti al trasferimento in favore del promissario acquirente dell’immobile oggetto del preliminare nello stato in cui si trova, escludendosi che si tratti di un suo subentro nel contratto in corso di esecuzione con conseguente assunzione a carico dei creditori con- correnti di tutti gli obblighi nascenti dal contratto medesimo [Guglielmucci (57bis), 287 ss.]. Ma è difficile comprendere come sia possibile che il promissario acquirente possa chiedere ed ottenere che il curatore concluda con lui il contratto definitivo oggetto del preliminare ed acquisti conseguentemente la proprietà dell’immobile, ma non anche gli altri diritti nascenti dal contratto medesimo. In altri termini non si capisce come il contratto preliminare in corso si sottragga alla regolazione concorsuale conseguente al fallimento dell’altra parte e non debba, poi, essere eseguito dal curatore mediante l’adempimento di tutti gli obblighi dallo stesso nascenti [Xxxxxxxx (75), 250; Lumi- noso (74), 840].
126 I presupposti per l’applicazione della nuova norma sono i seguenti: a) che il con- tratto preliminare di vendita immobiliare sia stato trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., essendo l’intervenuta trascrizione la circostanza senza la quale il contratto non sarebbe opponibile al curatore; b) che l’immobile oggetto del contratto sia destinato a costituire l’abitazione principale del promissario acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado; c) che il promissario acquirente sia una persona fisica, solo in presenza di tale qualità del contraente in bonis potendosi ipotizzare la destinazione di
un immobile a personale uso abitativo dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado [Xxxxxx (45), 357].
XXIII. Preliminare di compravendita di immobile ad uso non abitativo destinato a sede principale dell’attività d’impresa
Si è detto prima che l’art. 4, n. 6, lett. c), d.lgs. n. 169/2007 (c.d. decreto “correttivo”), ha introdotto nella legge fallimentare una vera novità con l’aggiunta all’art. 72, di un c. 8, secondo il quale la regola generale della sospensione automatica dell’esecuzione dei contratti in corso sino a quando il curatore dichiari di subentrare nel contratto in luogo del fallito ovvero di sciogliersi dal medesimo, enunciata dal c. 1 del citato art. 72, non si applica al contratto preliminare di vendita, trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato ad abitazione prin- cipale del promissario acquirente, il quale quindi prosegue per effetto automatico della norma in questione. Con la stessa tecnica il legislatore, in sede di conversione nella
l. 7.8.2012, n. 134, del d.l. 22.6.2012, n. 83, recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”, ha aggiunto al testo del citato c. 8 un ultimo inciso del seguente testuale tenore: «ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede princi- pale dell’attività d’impresa dell’acquirente». Con ciò accordando al promissario acqui- rente di un immobile ad uso non abitativo destinato a sede principale dell’attività d’impresa lo stesso beneficio che il legislatore del 2007 aveva accordato al promissa- rio acquirente di un immobile ad uso abitativo destinato ad abitazione principale dello stesso acquirente. Non diversamente, del resto, dalla norma della stessa legge che, con l’art. 33, c. 1, lett. a), n. 01, d.l. 22.6.2012, n. 83, con la quale il legislatore medesimo, ispirato dalla stessa ratio, ha esteso l’esenzione dalla revocatoria di cui all’art. 67, c. 3, lett. c), dall’acquisto o preliminare di acquisto di immobile destinato ad uso di abi- tazione principale all’acquisto o preliminare di acquisto di immobile destinato a sede principale di attività commerciale.
Al pari della norma contenuta nella prima parte del c. 8 dell’art. 72, anche quella nuovis- sima introdotta dall’ultimo inciso dello stesso xxxxx in commento si pone, rispetto alla regola generale del c. 1 dell’art. 72, in rapporto di eccezione, disponendo in deroga a quest’ultima che il contratto preliminare prosegue per effetto automatico del fallimento del promittente venditore nel caso in cui oggetto del preliminare trascritto sia un immobile ad uso non abitativo destinato a sede principale dell’attività d’impresa del promissario acquirente. Le due norme eccezionali hanno in comune rispetto alla regola generale un’ulteriore nota distintiva; mentre la previsione di taluni effetti del fallimento sui contratti pendenti si ispira all’evidente favor del legislatore verso gli interessi della procedura concorsuale, nelle due fattispecie disegnate dal c. 8 in rassegna il legislatore ha manifestato, invece, con la massima chiarezza, la sua propensione a favorire il contrapposto interesse dei contraenti in bonis, ai quali è stato così ricono- sciuto il diritto alla continuazione automatica del preliminare ed al perfezionamento del contratto definitivo di compravendita e, conseguentemente, nel primo caso, il consegui- mento della titolarità della casa di abitazione e, nel secondo caso, l’acquisto, secondo le regole comuni del diritto dei contratti, della proprietà dell’immobile destinato a
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costituire la sede principale della propria impresa del promissario acquirente [Xxxxxx (45), 357; Luminoso (74), 839].
129 Naturalmente diversa è la ratio sottesa alle due regole eccezionali. La prima, infatti, soddisfa l’esigenza di favorire l’acquisto della casa da adibire ad abitazione principale del promissario acquirente o di suoi stretti parenti o affini, tutelando a certe condizioni quest’ultimo contro il rischio che, per la sua debolezza contrattuale, egli perda, in caso di fallimento del promittente venditore, oltre la concreta possibilità di procurarsi un alloggio, anche quella di recuperare parte o tutto il prezzo spesso versato in anticipo. La seconda, invece, in linea con l’obiettivo della crescita economica del Paese, cui mirano tutte le disposizioni del d.l. n. 83/2012 e della relativa legge di conversione, ha inteso agevolare la ripresa economica ed incentivarne lo sviluppo “sostenibile”, spianando la strada alla creazione di nuove imprese o favorendo lo sviluppo ulteriore di quelle già esistenti mediante la concessione di un privilegio che consenta a chi abbia deciso di intraprendere una nuova attività economica o di espandere quella in corso ed abbia a tal fine stipulato un contratto preliminare di acquisto di un immobile da destinare a sede principale dell’impresa la possibilità di pretendere ed ottenere l’esecuzione del con- tratto preliminare e la stipulazione del contratto definitivo secondo le regole del diritto comune in deroga alla regola generale del c. 1 dell’art. 72.
130 Le condizioni affinché il curatore sia obbligato a dare esecuzione al preliminare di com- pravendita ed a concludere il contratto definitivo in applicazione delle norme comuni del contratto, sono in parte comuni o analoghe a quelle che la prima parte del c. 8 dell’art. 72 richiede per agevolare al promissario acquirente l’acquisto dell’immobile da destinare a propria abitazione principale. È, quindi, necessario che il contratto pre- liminare sia stato trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., prima della dichiarazione del fallimento del promittente venditore, non essendo altrimenti opponibile al curatore; che il preliminare di compravendita abbia ad oggetto un immobile ad uso non abita- tivo; e che il promissario acquirente in bonis abbia stipulato per destinare l’immobile a sede principale della propria attività d’impresa. Nulla occorre aggiungere a quanto sopra è stato già detto a proposito del requisito della trascrizione del preliminare. Qual- che precisazione occorre, invece, per gli altri due: A) quanto alla limitazione del nuovo beneficio al preliminare di acquisto di “un immobile ad uso non abitativo”, si deve rico- noscere che l’espressione, alla stregua della sua lettera, si presta ad essere interpretata anche nel senso che faccia riferimento a tutti gli immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo e, quindi, non solo a quelli ad uso commerciale propriamente detto, ma anche a quelli destinati all’esercizio di un’attività professionale. Si tratterebbe, però, di un’interpretazione estensiva che il contesto in cui si colloca la nuova disposizione non consente. La ratio della norma, così come lo spirito che anima l’intera legge della quale fa parte, suggeriscono piuttosto di limitarne l’ambito di applicazione ai preliminari di compravendita che abbiano per oggetto immobili ad uso sede di esercizio di una delle attività indicate nell’art. 2195 c.c., e, forse, anche quelli ad uso attività artigianale. Non esiterei quindi ad escludere gli immobili da adibire a sede di attività professionale.
B) Per quanto concerne la limitazione affidata all’espressione “immobile ... destinato a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente”, non esiterei a
ritenere che per “sede principale” deve intendersi la “sede effettiva” dell’impresa e non già quella statutaria se non coincidente con la prima. Con la conseguenza che la norma non è applicabile, ove nel preliminare il promissario acquirente dichiari formalmente di voler destinare l’immobile oggetto del contratto a sede della propria attività d’impresa, ma poi, perfezionatosi l’acquisto, situi la sede effettiva dell’impresa in località diversa da quella ove è situato l’immobile acquistato. C) Circa l’ambito di applicazione, il requisito della destinazione dell’immobile oggetto del preliminare a “sede principale dell’impresa dell’acquirente”, per la sua genericità induce, poi, a ritenere che il rife- rimento della norma è non solo ad una attività nuova ancora da iniziare bisognosa di una sede, ma anche ad un’attività commerciale già in corso che si intenda sviluppare mediante la dotazione di una sede nuova più idonea a dimensioni maggiori di quelle attuali, posto che l’economia di un paese cresce non soltanto con l’avvio di nuove intra- prese, ma anche con l’aumento della produttività di quelle già esistenti.
La nuova disposizione introdotta dal d.l. n. 83/2012, significativamente recante norme sulle “Misure urgenti per la crescita del Paese”, seppure apprezzabile per il lodevole intento di stimolare la crescita del Paese in un momento di drammatica crisi finanziaria e di depressione economica, non manca tuttavia di suscitare qualche non trascurabile perplessità. Anzitutto con riguardo alla sua effettiva idoneità rispetto al fine della cre- scita economica per la presumibile scarsa propensione degli imprenditori ad acquistare la proprietà dell’immobile da destinare a sede principale della loro impresa. L’acquisto di un immobile richiede, infatti, la mobilitazione e l’impiego di risorse finanziarie di entità considerevole con un costo che nel bilancio dell’impresa viene allibrato come immobilizzazione materiale, determinando così due conseguenze non certo in sintonia con i principi di una corretta organizzazione dei fattori della produzione: eccessiva immobilizzazione di parte consistente del capitale col rischio di una crisi di liquidità, da un lato, e difficoltà di ammortizzare interamente in ogni esercizio il costo sostenuto avuto riguardo alle regole inderogabili di redazione dei bilanci annuali. Molto più spesso gli imprenditori si procurano la disponibilità dell’immobile ove intendono ini- ziare o proseguire la loro attività mediante il ricorso a contratti di affitto o di leasing immobiliare, che consentono di sostenere più agevolmente i costi pluriennali sia evi- tando eccessive immobilizzazioni, sia consentendo l’iscrizione nel conto economico annuale dell’intero costo sostenuto nell’esercizio per l’utilizzo dell’immobile. In secondo luogo, per la scarsa coerenza con le altre norme di revisione della legge falli- mentare, contenute nell’art. 33, d.l. n. 83/2012, introdotte dal legislatore al dichiarato scopo di “favorire la continuità aziendale” delle imprese in stato di crisi. Tutte le nuove disposizioni, infatti, destinate alle imprese insolventi, perseguono il fine di agevolare la loro uscita dallo stato di crisi più o meno reversibile in cui si vengano a trovare mediante soluzioni legislative o concordate che privilegino la conservazione della continuità della loro attività e dei valori produttivi delle aziende [Xxxxxxx (65), 1; Fabiani (41), 1], sia che l’esercizio di queste resti all’imprenditore insolvente, sia che l’impresa passi sotto la guida di altro soggetto. Tanto è vero che per il raggiungimento di tale obiettivo è stata data sistematica prevalenza alla tutela degli interessi dei creditori concorsuali e di quelli generali della collettività a scapito dell’interesse dei terzi. Da questo indirizzo si è discostato, però, la disposizione dell’ultimo inciso del c. 8 dell’art. 72, che, come si
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è visto, ha previsto, in deroga alla regola del c. 1 dello stesso articolo, la prosecuzione automatica del preliminare di acquisto di un immobile destinato a sede principale dell’impresa del promissario acquirente, non già nell’interesse della procedura, ma in quello del terzo promissario acquirente in bonis. Il che non può non essere valutato come una grave incoerenza del legislatore, che, dopo essersi fatto carico di un ennesimo intervento a favore delle imprese in crisi con norme decisamente rivoluzionarie rispetto al passato, non ha esitato a dare questa volta netta prevalenza agli interessi di un sog- getto in bonis sacrificando a questo il contrapposto interesse ad uscire dalla crisi delle imprese insolventi. Né può obiettarsi, per contestare l’ipotizzata incoerenza, che la legge fallimentare aveva già riconosciuto analoga prevalenza agli interessi del promis- sario acquirente di immobile destinato ad abitazione principale dell’acquirente, ove si consideri il diverso valore sociale dell’interesse della persona fisica all’acquisto della sua abitazione rispetto a quello dell’imprenditore di procurarsi un immobile da adibire a sua sede principale: il primo è un interesse di grandissimo valore etico-sociale avente per oggetto il soddisfacimento di un bisogno primario dell’uomo, quale quello dell’abi- tazione tutelato dalla Costituzione nella parte in cui “favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione” (art. 47, c. 2, Cost.), e ben meritevole, quindi, di una tutela superiore a quella di cui godono gli interessi coinvolti in una procedura con- corsuale; quello dell’imprenditore promissario acquirente di un immobile da destinare a sede principale dell’impresa è certamente meritevole di tutela nella misura in cui può agevolare la nascita o la crescita dell’organismo produttivo, ma non è certo meritevole di una tutela superiore a quella apprestata a favore delle imprese insolventi che lottano non per crescere, ma per sopravvivere. Senza considerare che l’imprenditore in bonis è in grado di soddisfare il bisogno di un immobile commerciale con strumenti giuridici meno impegnativi dell’acquisto della proprietà, quali quelli che ne assicurano il solo e sufficiente godimento. In terzo luogo, dubbi e perplessità suscita anche la mancata previsione delle misure da adottare, a tutela degli interessi della procedura, nel caso, certamente non rarissimo, in cui il promissario acquirente, dopo avere neutralizzato il potere del curatore di sciogliere il preliminare di acquisto con la dichiarazione della sua intenzione di destinare l’immobile a sede della propria impresa, non traduca poi nei fatti il suo dichiarato proposito e destini ad altro uso il diritto di proprietà ormai parte del suo patrimonio. La dottrina recentemente si è occupata dell’abuso del diritto e dei rimedi contro la malafede dei contraenti nell’esercizio dei loro diritti, osservando che il tema dell’abuso ha interessato anche il campo concorsuale, ricollegandovi i principi enun- ciati in tema di buona fede oggettiva e di correttezza nei contratti [Lo Xxxxxx (71), 901]; ma, in mancanza di specifica previsione, non è semplice stabilire quale azione il cura- tore possa in tal caso esperire per recuperare la facoltà di optare per lo scioglimento del preliminare di compravendita ai sensi del c. 1 dell’art. 72 ss., una volta che il contratto abbia avuto completa esecuzione con la stipulazione del contratto definitivo. Al riguardo non è possibile prendere, ora, una qualsiasi posizione; la norma è recentissima e serietà impone un minimo di riflessione, sia della dottrina che della giurisprudenza. Fatte que- ste opportune riserve sull’istituto introdotto dal d.l. n. 83/2012, in presenza dei presup- posti richiesti dalle norme dell’art. 72, c. 8, non è difficile individuarne gli effetti che la legge ricollega ad essi: i) il fallimento del promittente venditore non determina la sospensione dell’esecuzione del preliminare di vendita dell’immobile; ii) il contratto è
pienamente opponibile al curatore del fallimento, che anzi, carente del diritto potesta- tivo di scegliere tra il subentro e lo scioglimento, deve darvi regolare esecuzione, adem- piendo le obbligazioni a carico del fallito ed esercitando i diritti sorti a favore di quest’ultimo secondo il diritto comune dei contratti; iii) il curatore non può neppure promuovere l’azione di revoca del contratto, ai sensi del c. 1 e 2 dell’art. 67, in quanto il successivo c. 3, lett. c), ha previsto l’esenzione dall’azione revocatoria proprio per “le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire o l’abita- zione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado” oppure immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente, e cioè quelli cui si riferiscono le norme della prima e dell’ultima parte del c. 8 dell’art. 72. È appena il caso di aggiungere che questi effetti non si verificano se all’immobile non sia data la destinazione prevista dalle disposizioni in commento, con la conseguente applicazione del c. 1 dell’art. 72 e, in ipotesi di scio- glimento del contratto, la sola possibilità del promissario acquirente di chiedere l’ammissione al passivo dei suoi eventuali crediti col privilegio speciale previsto dall’art. 2645-bis c.c. [Xxxxx-Xxxx (79), 430; Xxxxxxx-Xxxxxxxxxxx (90), 462].
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Xxxxx-Xxxxx-Xxxxxx Xxxxxxx-Xxxxxxxx (a cura di), Il fallimento, II, in Bigiavi (diretta da), Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, Torino 1978; (110) Xxxxxxxx, Trascrizione del preliminare di vendita immobiliare e fallimento del promittente venditore, RDPriv 2004; (111) Sanzo, Fallimento e rapporti pendenti, in Sanzo (a cura di), Procedure concorsuali e rapporti pendenti, Bologna 2009;
(112) Satta, Diritto fallimentare, Padova 1990; (113) Xxxxx, Diritto fallimentare, Padova 1996; (114) Scicolone, Effetti del fallimento sul contratto preliminare di compravendita: fattispecie peculiari, in Sanzo (a cura di), Procedure concorsuali e rapporti pendenti, Bologna 2009; (115) Xxxxxxx, Nota in tema di contratto prelimi- nare pendente, GI 2013, 2, 363; (116) Taglialavoro, Privilegio speciale ex art. 2775-bis e ipoteca iscritta sul medesimo bene immobile, C 2010, 7, 674; (117) Tamburini, Una inesauribile fonte di dubbi: il contratto preliminare di preliminare, GI 2014, 11, 2419; (118) Xxxxxxx, L’interpretazione della legge, Trattato Cicu- Messineo, I, 2, Milano 1980; (119) Xxxxxx, Gli effetti del fallimento sui rapporti pendenti dopo la riforma ed il decreto correttivo, Fall 2007; (120) Xxxxxxxx, I rap- porti giuridici preesistenti, in Xxxxxxxx (diretto da), Trattato di diritto privato, 16**, Impresa e lavoro, Torino 2011, 299; (121) Vattermoli, Degli effetti del falli- mento sui rapporti giuridici preesistenti-Introduzione, in Xxxxx-Sandulli (a cura di), La riforma della legge fallimentare, I, Torino 2006; (122) Vattermoli, Sub art. 72, l. fall., in Xxxxx-Sandulli (a cura di), La riforma della legge fallimentare, Torino 2006, 409-429; (123) Vattermoli, Gli effetti del fallimento sui rapporti giu- ridici preesistenti, in Xxxxx-Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le pro- cedure concorsuali, Bologna 2009; (124) Vattermoli, Sub art. 72, l. fall., in Xxxxx-Sandulli-Xxxxxxx (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, Torino 2010; (125) Vecchio, Per le Sezioni Unite della Cassazione il privilegio immobiliare ex art. 2775 bis, cod. civ., non prevale sulle ipoteche iscritte anterior- mente (in requiem dei promissari acquirenti di immobili su piante o in costruzione), xxx.xxxxxxxx.xx; (126) Xxxxx, Nota a C 5.5.2014, n. 9619, xxx.xxxxxx.xx, 19.5.2014;
(127) Xxxxxxx, Privilegio del promissario acquirente e creditori ipotecari, nota a C 14.11.2003, n. 17197, DFSC 2004, II.
72-bis. Contratti relativi ad immobili da costruire (1)
[1] I contratti di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 20 giugno 2005,
n. 122 si sciolgono se, prima che il curatore comunichi la scelta tra esecuzione o scioglimento, l’acquirente abbia escusso la fideiussione a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore, dandone altresì comunicazione al curatore. In ogni caso, la fideiussione non può essere escussa dopo che il curatore ha comunicato di voler dare esecuzione al contratto.
(1) Articolo inserito dall’art. 11, c. 1, d.lgs. 20.6.2005, n. 122 e sostituito dall’art. 58, c. 1, d.lgs. 9.1.2006, n. 5, a decorrere dal 16.7.2006. Successivamente, il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 4, c. 7, d.lgs. 12.9.2007, n. 169, a decorrere dall’1.1.2008.
Sommario: I. I precedenti legislativi - II. Ambito di applicazione della norma - III. Obbligo del costruttore di consegnare al promissario acquirente una fideiussione bancaria o