Contratto di prestazione occasionale
Contratto di prestazione occasionale
Highlights
Quali aziende possono utilizzarlo?
Solo piccole aziende; il ricorso al contratto di prestazione occasionale è vietato in capo ad aziende con “più di cinque lavoratori subordinati a tempo indeterminato” (la circolare Inps 5 luglio 2017, n. 107 sul punto è davvero creativa, introducendo la regola – assente nella legge – tale per cui il periodo da prendere a riferimento “è il semestre che va dall’ottavo al terzo mese antecedente la data dello svolgimento della prestazione lavorativa occasionale”).
La lettera della legge sembra invero imporre un conteggio per teste, senza alcuna ponderazione connessa all’eventuale articolazione flessibile interna al lavoro dipendente (es. il lavoratore part time come unità intera a prescindere dall’orario svolto; contra la predetta circolare Inps alla cui interpretazione si può accedere in una logica di tattica convenienza …).
Vi sono poi alcune specifiche esclusioni:
o imprese agricole (salvo che le prestazioni occasionali siano svolte dai seguenti soggetti: pensionati di vecchiaia o invalidità / studenti con meno di 25 anni / disoccupati / percettori di prestazioni di sostegno al reddito)
o imprese edili e settori affini
o nell’ambito di appalti
La legge, in chiave antielusiva, vieta l’utilizzo del contratto di p.o. nel caso in cui il prestatore abbia in corso con l’azienda, o abbia cessato con la stessa da meno di 6 mesi, un rapporto di lavoro subordinato o di xx.xx.xx.
Quali limiti devono rispettare le aziende?
L’azienda, nella gestione delle prestazioni occasionali, deve rispettare due limiti:
Ø limite individuale: il compenso massimo per il singolo prestatore è pari ad euro 2.500,00 netti/anno civile (1° gennaio – 31 dicembre); in maniera ridondante viene specificato che il limite massimo temporale è di 280 ore/anno civile (altro non è che la suddivisione dell’importo di euro 2.500,00 per il compenso orario di 9,00 euro)
Ø limite “collettivo”: il compenso massimo per la totalità dei prestatori è pari ad euro 5.000,00 netti/anno civile (1° gennaio – 31 dicembre)
Sono computati al 75% i compensi per prestazioni occasionali svolte dai menzionati soggetti (pensionati di vecchiaia o invalidità / studenti con meno di 25 anni / disoccupati / percettori di prestazioni di sostegno al reddito).
Quanto costa?
Il costo è pari a 12,38 euro/ora (9,00 euro compenso / 2,97 euro contribuzione alla Gestione separata / 0,32 euro premio Inail / 0,09 euro costi gestione)
Vi sono sanzioni in caso di utilizzo illegittimo? Sanzioni differenziate a seconda della gravità del vizio:
Ø violazione divieti / mancata comunicazione: mera sanzione amministrativa pecuniaria (da euro 500,00 a 2.500,00/die)
Ø superamento del limite individuale (euro 2.500,00/anno civile per singolo prestatore): “conversione” in rapporto di lavoro (subordinato) a tempo pieno ed indeterminato; allo stato il superamento del limite “collettivo” non è presidiato da specifica sanzione
Quali sono le modalità concrete di utilizzo?
La disciplina amministrativa, in un’ottica antielusiva, è a dir poco gravosa; l’azienda che voglia utilizzare il nuovo strumento negoziale è tenuta a:
- registrarsi all’interno di una piattaforma informatica gestita dall’Inps (secondo la circolare Inps 5 luglio 2017, n. 107 la piattaforma sarà disponibile a breve)
- effettuare una comunicazione preventiva (almeno un’ora prima dell’inizio della prestazione), avente ad oggetto i dati essenziali del prestatore e della relativa prestazione, in ciascun singolo caso di utilizzo (una medesima comunicazione, se si è ben inteso, può coprire al massimo una prestazione continuativa di 4 ore; a dir poco discutibile l’interpretazione della circolare Inps 5 luglio 2017, n. 107 secondo cui “l’importo del compenso giornaliero non può essere inferiore alla misura minima fissata per la remunerazione di quattro ore lavorative … anche qualora la durata effettiva della prestazione lavorativa giornaliera sia inferiore a quattro ore”: ma la retribuzione non deve essere parametrata, ex art. 36 Cost, (non solo alla qualità ma anche) alla quantità della prestazione?)
- comunicare l’eventuale revoca di una precedente comunicazione entro i 3 giorni successivi alla giornata lavorativa programmata; in assenza di revoca tempestiva l’Inps eroga ugualmente al prestatore (che pur non ha lavorato!) il compenso
Che disciplina si applica?
L’ansia di distinguere il “nuovo” lavoro occasionale dal precedente lavoro accessorio (voucher), sfuggendo così all’accusa della Cgil di aver riproposto uno strumento soppresso dal Governo sulla spinta del quesito referendario promosso dall’anzidetta o.s., ha condotto ad una situazione paradossale.
Il lavoro accessorio era dotato di una speciale esaustiva disciplina semplificata, con ragionevole esclusione di ogni altra tutela (fatta salva la sicurezza sul lavoro); si trattava, insomma, di una fattispecie di lavoro sans phrase a fronte della quale scoloriva la classica disputa qualificatoria lavoro subordinato/lavoro autonomo.
Ora invece il legislatore confeziona a favore del prestatore occasionale l’avvelenato frutto del diritto al riposo giornaliero, alle pause e ai riposi settimanali. Ne esce una fattispecie anfibia che, unitamente alle pesanti comunicazioni amministrative e al draconiano impianto sanzionatorio, rischiano di produrre davvero un’eterogenesi dei fini: la nuova disciplina sembra infatti spingere (più che non far desistere) le imprese al lavoro irregolare.
Tutto ciò al netto del fatto che le indicate tutele rimarranno sulla carta: che senso ha, ad esempio, garantire il diritto alla pausa (che scatta solo dopo 6 ore di lavoro) a chi magari ne lavora soltanto due o tre?
Giudizio complessivo
Il (nuovo) lavoro occasionale sembra destinato ad un utilizzo confinato ai margini del mercato del lavoro, limitato com’è alle sole imprese di modeste dimensioni (presso questo segmento è invece prevedibile ampia diffusione in chiave surrogatoria dei voucher).
L’intarsio di una parte di tutele gravanti nell’area della subordinazione (pause/riposi), di evidente coloritura politica, introduce notevole incertezza in quanto rischia di sospingere alla consueta drammatizzazione del problema subordinazione/autonomia da cui si era affrancata la fattispecie del soppresso lavoro accessorio.
Si intravedono due zavorre: l’una in capo alle aziende e consistente nell’appesantimento amministrativo e sanzionatorio; l’altra in capo al prestatore che - per vedersi pagate poche ore di lavoro - dovrà attendere (addirittura!) il giorno 15 del mese successivo alla prestazione, prendendosi pure in carico il costo del bonifico bancario.
Resta poi l’amaro in bocca (anche se dovremmo essere abituati) di uno Stato che si atteggia a Marchese del Xxxxxx, riservando per sé (pA) un utilizzo ben più ampio di quello descritto e con la consueta esclusione della sanzione della conversione.