CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, 5 MARZO 1991, N. 2334
CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, 5 MARZO 1991, N. 2334
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. " " | Xxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx | XXXXXXXXXX XXXXXXX ONNIS | Primo Presidente Pres. di Sez. Consigliere | |
" Onofrio " Xxxxxxx " Xxxxxxxx " Xxxxxxxxx " Xxxxxxxxx " Xxxxx | XXXXXXX XXXXXXXX XXXXXXXXXXXX XXXXXXX AMIRANTE FINOCCHIARO | Rel. | " " " " " " | |
ha pronunciato la seguente | ||||
sul ricorso iscritto il primo al n. 8175/88 del R.G. XX.XX., proposto da:
XXXXX XXXXX, XXXXXXXXXX XXXXXXX, XXXXXXX XXXXXXX, XXXXXXXXX XXXXXXX, LA XXXXXX XXXXXXXX, LO XXXXXX XXXXXXXX e XX XXXX
CALOGERA nella qualità di erede del Sig. XX XXXX XXXXXXXX deceduto, tutti elettivamente domiciliati in Roma, via Nizza, 56, presso lo studio dell'avv. Xxxxxxxx Xxxxxxx, rappresentati e difesi dagli avv.ti Xxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, giusta delega a margine del ricorso;
Ricorrenti
contro
S.p.A. SATRIS
Intimata
e sul secondo ricorso iscritto al n. 8993/88 del R.G. AA. CC., proposto da:
S.A.TRI.S.SOCIETÀ PER AZIONI TRIBUTARIA SICILIANA, in persona del
Consigliere delegato pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Piave, 52, presso lo studio dell'avv. Xxxxxx Xxxxxxxx rappresentata e difesa dall'avv. Xxxxxxxx Xxxx Xxxxx giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
Controricorrente e ricorrente incidentale
contro
XXXXX XXXXX, XXXXXXXXXX XXXXXXX, XXXXXXX XXXXXXX, XXXXXXXXX XXXXXXX, LA XXXXXX XXXXXXXX, LO XXXXXX XXXXXXXX e LI PUMA CALOGERA;
Intimati
Avverso la sentenza del Tribunale di Termini Imerese sez. lavoro n. 219 dep. il 2.9.87. Udita nella Pubblica Udienza, tenutasi il giorno 16.11.90, la relazione svolta dal Cons. Rel. Xxxx. Xxxxxxx;
Udito l'avv. Calì Xxxxx;
Udito il P.M., nella persona del Xxxx. X. Xxxxxxx Avvocato Generale, presso la Corte Suprema di Cassazione che ha concluso: rigetto del ricorso incidentale; Ricorso principale: accoglimento p.q.r. del primo, secondo e terzo motivo; rigetto del quarto, quinto, xxxxx, settimo, ottavo e undicesimo; accoglimento del nono e decimo.
FATTO
Con separati ricorsi al Pretore di Palermo in funzione di giudice del lavoro Xx Xxxx Xxxxxxxx ed altri litisconsorti, premesso di aver lavorato tra il 1972 e il 1976 alle dipendenze della Società "Satris Tributaria Siciliana" sulla base di vari contratti a tempo determinato nei quali l'assunzione veniva giustificata, in relazione alla contrattazione collettiva per il personale dipendente della esattoria, da esigenze di lavori di carattere eccezionale, deducevano che il sistema di ripetute assunzioni mirava ad eludere le disposizioni di cui alla legge 18 aprile 1962 n. 230 e che l'attività di notificazione degli atti, cui erano stati adibiti, non poteva essere considerata straordinaria ed eccezionale, ai sensi dell'art. 1, lett. C) della legge citata; chiedevano quindi al Pretore adito che, dichiarata la legittimità dell'apposizione del termine a tutti i contratti, i rapporti venissero considerati a tempo indeterminato sin dalla prima assunzione, con condanna della Società datrice di lavoro alla ricostruzione delle loro carriere e al pagamento di tutte le differenze salariali previste dalla contrattazione collettiva, nonché al pagamento della svalutazione monetaria.
Costituitosi il contraddittorio tra le parti, con sentenza del 9 aprile 1979 il Pretore adito dichiarava che tra la Società convenuta e ciascuno degli attori era intercorso un unico rapporto a tempo indeterminato, e condannava la stessa convenuta al pagamento delle differenze di competenze, rispetto alle spettanze per contratto collettivo, con riferimento limitato però ai periodi in cui vi era stata effettiva prestazione di lavoro, e della differenza per indennità di anzianità.
A seguito di gravame della SATRIS e di appello incidentale degli attori in primo grado il Tribunale di Palermo con sentenza del 18 aprile 1979 in riforma della sentenza impugnata rigettava le domande proposte contro la predetta Società. I giudici dell'appello, ritenuta l'applicabilità del termine di decadenza di cui all'art. 6 della L. n. 604/1966 alle impugnative delle cessazioni di rapporto di lavoro a termine per scadenza di questo, rilevavano che i vari rapporti posti in essere tra le parti si convertivano non in un unico rapporto, ma in altrettanti contratti a tempo indeterminato. A seguito di ricorso degli attori in primo grado questa Corte con pronuncia del 25 novembre 1982 annullava la sentenza del Tribunale di Palermo rinviando per un nuovo giudizio al Tribunale di Termini Imerese.
Rilevava la Corte che, indipendentemente dalla configurabilità di una manifestazione di volontà di recesso datoriale in relazione alla scadenza del termine apposto al contratto, la mancata impugnazione del fatto della cessazione non poteva comunque precludere al prestatore d'opera la facoltà di chiedere ed ottenere il riconoscimento della illegittimità del termine apposto ai singoli contratti e della unicità del rapporto; tale facoltà doveva ritenersi a maggior ragione assicurata nell'ipotesi di successive assunzioni a termine, in cui le interruzioni tra un contratto e l'altro non hanno alcuna rilevanza sulla continuità del rapporto giuridico originale dal contratto a tempo indeterminato (così convertito "ex lege" ab initio) e possono soltanto assumere valore indicativo di particolari modalità di svolgimento del rapporto stesso, attraverso determinate sospensioni temporali delle corrispettive prestazioni obbligatorie principali, concordate e volute comunque da entrambi i contraenti, sia pure per implicito.
Confutate poi le argomentazioni della sentenza cassata in ordine alla mancanza di intento elusivo delle norme della legge n. 230/1962, il giudice di legittimità rilevava l'omessa motivazione sul punto decisivo della ricorrenza o meno nella fattispecie dell'ipotesi di cui all'art. 1 lett. C) della stessa legge, questione che si presentava come logicamente prioritaria, rispetto all'indagine sul suddetto intento fraudolento, e da risolvere considerando che la fattispecie prevista dall'art. 1 lett. C) della legge n. 230/1962 non implica necessariamente una diversità qualitativa dell'opera o servizio rispetto al normale lavoro dell'impresa, ma può anche indicare una semplice diversità quantitativa, come nel caso dell'incremento dell'attività aziendale in particolari periodi dell'anno.
Veniva dichiarato conseguentemente assorbito il motivo di gravame relativo al diritto alla retribuzione per gli intervalli non lavorati.
Riassunta la causa dinanzi al Tribunale di Termini Imerese, con sentenza del 2 settembre 1987 il giudice di rinvio, dopo l'espletamento di due consulenze tecniche, in parziale riforma della decisione del Pretore di Palermo condannava la Società SATRIS al pagamento in favore di ciascuno degli attori in primo grado di varie somme, oltre interessi e rivalutazione, dichiarando prescritti i crediti azionati anteriori al febbraio e al maggio 1973.
Il Tribunale, richiamando i principi enunciati da questa Corte, affermava l'illegittimità delle clausole relative al termine apposte ai singoli contratti e la sussistenza per ciascuno dei lavoratori di un unico rapporto a tempo indeterminato fin dalla prima assunzione; rilevava che le varie assunzioni non erano avvenute solo in determinati periodi e per attività connesse ad esigenze contingenti ed occasionali, ma si erano costantemente ripetute anche per far fronte all'ordinaria attività di lavoro, risultando pure che nei periodi di intervallo tra i contratti dei ricorrenti in primo grado erano stati assunti messi notificatori, con una sorta di rotazione; la periodicità e ricorrenza dei contratti dimostrava la sussistenza dell'intento di eludere le disposizioni della legge in materia.
Non poteva essere riconosciuto il diritto dei lavoratori alla retribuzione per gli intervalli tra un contratto e l'altro, che dovevano considerarsi come periodi di sospensione concordata tra le parti, non essendo stata fornita da parte degli attori la prova di essere rimasti a disposizione della Società datrice di lavoro durante detti periodi.
Il Tribunale riteneva fondata l'eccezione di prescrizione estintiva sollevata dalla SATRIS osservando che la sentenza di rinvio, nel sancire l'imprescrittibilità del diritto all'accertamento della nullità del termine, aveva affermato l'assoggettamento agli ordinari termini di prescrizione dei diritti conseguenziali, maturati in relazione all'unico
rapporto. Non poteva d'altro canto essere esclusa la decorrenza degli stessi in costanza di rapporto, dovendosi far riferimento alla garanzia di stabilità derivante dall'applicabilità ai suddetti rapporti a tempo indeterminato delle leggi nn. 604/1966 e 300/1970. Non erano invece estinti i crediti per indennità di anzianità, per i quali la prescrizione decorreva dalla cessazione del rapporto ed era stata del resto interrotta.
Ritenuta l'inammissibilità delle richieste relative alle indennità sostitutive del preavviso e delle ferie non godute, costituenti domande nuove non contenute nell'atto introduttivo, il giudice del rinvio procedeva quindi alla determinazione delle spettanze dovute a ciascun lavoratore sulla scorta della seconda relazione del C.T.U. confutando le critiche sollevate contro di essa e affermando l'erroneità dei criteri posti a base del primo elaborato peritale.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso principale per undici motivi Xxxxx Xxxxx e xxxx xxxxxxxxxxxxx: la Società SATRIS, resistendo con controricorso, ha proposto ricorso incidentale per tre motivi; entrambe le parti hanno presentato memoria.
I ricorsi sono stati assegnati alle Sezioni Unite per la composizione del contrasto sulla spettanza o meno della retribuzione negli intervalli non lavorati fra l'uno e l'altro contratto a termine, questione che forma oggetto del quarto, quinto e sesto motivo del ricorso principale.
DIRITTO
1. Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti (art. 335 C.P.C.).
2. Preliminare, nell'ordine logico, all'esame delle censure (motivi quarto, quinto e sesto del ricorso principale) con le quali si pone la questione - sulla quale vi è contrasto della giurisprudenza di questa Corte - concernente la spettanza o meno del compenso anche per i periodi intervallati di inattività fra quelli oggetto dei vari contratti a termine, è l'esame dei primi due motivi del ricorso incidentale, con i quali, denunciandosi contraddittorietà di motivazione e violazione degli articoli 1 e 2 della L. 230 del 1962, si censurano le statuizioni relative sia alla insussistenza dei presupposti di cui all'articolo 1 lett. C) legge citata, sia alla fattispecie fraudolenta di cui all'articolo 2, comma 2, ultima parte, in quanto fondante sul rilievo di un sistema di rotazione nelle assunzioni dei messi notificatori, mentre invece la questione doveva essere risolta con esclusivo riferimento ai rapporti di lavoro instaurati con i ricorrenti. Tali censure non possono trovare accoglimento.
È vero che il Tribunale ha tenuto conto di tutto il complesso di contratti a termine di cui la Società datrice di lavoro si serviva non solo per far fronte a punte "stagionali" di attività, ma anche al di fuori di tali periodi di punta, e quindi anche (ma non solo) di rapporti diversi da quelli concernenti i lavoratori in causa.
Ma è altresì vero che il Tribunale ha tenuto ben conto della specifica posizione degli attori (esso infatti fa espresso riferimento ai "rapporti in questione"), doverosamente inquadrandola in quel generale contesto dal quale essa riceveva significato.
L'intento elusivo, invero, proprio perché tale, e cioè non documentalmente comprovabile, non poteva non essere ricercato e accertato nel quadro più ampio del modo di organizzare l'attività lavorativa in azienda, e quindi essere desunto anche dall'insieme delle altre posizione lavorative, e dal raffronto con esse poteva prendere luce la qualificazione dei rapporti in contestazione.
3. Col terzo motivo del ricorso incidentale premesso che nella fase di merito la SATRIS ha sostenuto, in via subordinata, che non è possibile configurare per ciascun lavoratore
un unico rapporto di lavoro sin dalla prima assunzione, ma semmai tanti singoli rapporti, lungamente intervallati da soluzioni di continuità, riguardi ai quali veniva a cessare ogni volta reciproca obbligazione, e ciò soprattutto in considerazione dei lunghissimi periodi, di un anno o più, in cui i ricorrenti non hanno prestato alcuna attività lavorativa per la SATRIS, si sostiene che sul punto il Tribunale ha totalmente omesso di motivare, e che, se lo avesse fatto, non avrebbe potuto negare che quei periodi talmente lunghi di cessazione di qualsiasi rapporto non potevano non sostanziare un comportamento risolutore.
La censura è infondata.
Non è esatto, infatti che la sentenza non abbia preso in considerazione quanto dai ricorrenti sostenuto con il loro terzo motivo di appello, in quanto il Tribunale ha, invece, espressamente motivato, sul punto, affermando - a conclusione della statuizione oggetto dei primi due motivi di ricorso e or ora confermata, secondo cui la serie successiva dei contratti a tempo determinato stipulati dai ricorrenti dev'essere qualificata come un unico rapporto a tempo indeterminato sin dalla prima assunzione - che nessun rilievo può essere, infatti attribuito all'entità cronologica delle interruzioni tra le varie assunzioni, per ritenere, come vorrebbe la SATRIS, l'esistenza nella fattispecie di una pluralità di contratti a termine tra la società ed i ricorrenti".
Tale sia pure concisa considerazione basta a dar conto, per respingerlo, del motivo di appello di cui si lamenta l'omesso esame, e tanto basta altresì per disattendere la censura, non avendo i ricorrenti dedotto insufficienza o altri vizi in ordine a detta motivazione.
4. Può ora passarsi all'esame della questione sulla quale si è verificato il contrasto portato all'esame di queste Sezioni Unite, e cioè all'esame dei motivi quarto, quinto e sesto del ricorso principale.
Esame che si presenta come preliminare rispetto a quello delle altre questioni dibattute col ricorso principale (prescrizione dei diritti conseguenziali all'accertamento dell'illegittimità dell'apposizione del termine ai singoli contratti e all'unicità del rapporto a tempo indeterminato: motivi primo, secondo e terzo; criteri di computo delle spettanze economiche degli attori: motivi dal settimo al decimo; statuizioni sulle spese processuali: motivo undicesimo).
I motivi quarto, quinto e sesto del ricorso principale investono, con complesse censure di violazioni di legge e di omessa e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, la questione del diritto alla retribuzione per gli intervalli non lavorati tra un contratto e l'altro, in relazione ai seguenti profili:
- i giudici del rinvio non hanno considerato che tale pretesa si poneva in rapporto di logica conseguenzialità e di accessorietà con la sanzione prevista dall'ordinamento per l'ipotesi di frode di cui all'articolo 2, 2 comma, ultima parte legge 230/1962; non poteva quindi applicarsi per tale misura di natura risarcitoria i principi generali della corrispettività delle prestazioni;
- contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, i principi enunciati nella specie da questa Corte non impongono di considerare come periodi di sospensione concordata del rapporto gli intervalli non lavorati; in relazione alle successive assunzioni a termine la sentenza impugnata ha contraddittoriamente ravvisato da un lato l'intento della SATRIS di eludere le disposizioni della legge in materia, e dall'altro la sussistenza di un accordo con i lavoratori per attuare il disegno fraudolento (se la frode è costituita dal sistema di sospensioni del rapporto di un notevole numero di dipendenti, non si può nello stesso tempo logicamente assumere che le stesse siano state concordate con tutti gli addetti);
- erroneamente il giudice del rinvio ha ipotizzato una sorta di presunzione in ordine alla sussistenza di un simile accordo, con conseguente onere a carico degli attori in primo grado della prova dell'obbligo di restare a disposizione del datore di lavoro - tale elemento è del resto dimostrato dalle risultanze processuali, da cui si evincono la costante disponibilità degli attori alla stipulazione di nuovi contratti e - come provato dai libretti di lavoro - la prestazione di attività lavorativa esclusivamente alle dipendenze della SATRIS; risulta così insufficiente e contraddittoria la motivazione della decisione;
- contrariamente a quanto xxx affermato, i lavoratori hanno chiesto di provare di essere rimasti a disposizione della società durante gli intervalli non lavorati; il Tribunale ha omesso ogni pronunzia su tale richiesta istruttoria, formulata con l'appello incidentale.
5. Tali censure, come si è detto, riflettono il punto sul quale la giurisprudenza di questa Corte appare divisa in due principali orientamenti.
Secondo il primo di essi, la trasformazione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di più contratti succedutisi nel tempo fra le stesse parti ed illegittimamente stipulati a termine non può, di per sè, far presumere che nei periodi intercorsi fra un contratto e l'altro il prestatore d'opera sia stato necessariamente a disposizione del datore di lavoro, ben potendosi tali periodi configurare come consensuali sospensioni della prestazione di lavoro, pur permanendo il vincolo obbligatorio; con la conseguenza che grava sul lavoratore l'onere di provare di essere stato obbligato a tenersi a disposizione del datore di lavoro negli intervalli predetti, anche ove risulti non avere egli svolto altra attività nel corso di essi, salva in ogni caso la possibilità per il giudice del merito di trarre, al riguardo, argomenti di prova da presunzioni, purché di queste siano evidenziati, con adeguata motivazione, i caratteri stabiliti dall'articolo 2729 C.C. (Cass: 22 dicembre 1989, n. 5783; 5 febbraio 1989, n.
869; 5 marzo 1987, n. 2351; 1 marzo 1985, n. 1755; 12 marzo 1982, n. 1592; 9
novembre 1981, n. 5922; 10 settembre 1981, n. 5074; 12 giugno 1981, n. 3836). Secondo l'altro contrastante orientamento, la mera inerzia del lavoratore a seguito della scadenza del termine apposto, in frode alla legge, alla durata del contratto non può di per sè significare implicito consenso alla risoluzione del rapporto; l'avvenuta ricostruzione ex post delle successive assunzioni a termine in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato rileva non solo ai fini della anzianità di servizio e degli istituti ad essa connessi, ma anche per il diritto alle retribuzioni relative agli intervalli fra un contratto e l'altro; e ciò perché i termini invalidamente apposti, seppure hanno di fatto interrotto la continuità della prestazione lavorativa, non hanno però inciso sul rapporto di lavoro che, mai validamente estinto, ha sempre continuato giuridicamente ad esistere a tutti gli effetti, sicchè è rimasto pur sempre operante il connesso obbligo retributivo, anche negli intervalli in cui non è stata effettuata la prestazione di lavoro, nei quali non è dato ravvisare una sorta di sospensione concordata del rapporto (Cassazione 10 aprile 1981, n. 2093; 25 febbraio 1981, n. 1167; 2 luglio 1981, n. 5020). Ritengono queste Sezioni Unite più aderente alle norme e ai principi che regolano la materia il primo indirizzo, anche se non appare accoglibile la premessa, da cui esso muove, che, ferma l'unitarietà del rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel quale sono trasformati ex lege i seriali contratti a termine - vuoi per contrarietà di essi (o anche solo del primo di essi) alle norme limitative di cui all'articolo 1 della L. n. 230, vuoi l'accertata elusività e norma dell'articolo 2, ultimo comma, del succedersi di pur legittimi contratti a termine - negli intervalli non lavorati fra l'uno e l'altro contratto
xxxxx xxxxxxxxsi una sospensione concordata delle obbligazioni contrattuali (attività lavorativa e retribuzione).
Invero, prima dell'accertamento della illegittimità della apposizione del termine, ovvero della elusione della legge n. 230 operata con sia pur legittimi (se in sè considerati) contratti a termine, e cioè nei vari momenti di formazione della volontà contrattuale, non è dato riscontrare altro che la volontà di stipulare singoli contratti a termine, e in tale manifestazione di volontà non può ravvisarsi anche una volontà intesa a regolare il non rapporto corrispondente al tempo intermedio fra due o più successivi contratti a termine.
Nè una tale volontà potrebbe, ex post, essere ricostruita sulla base dell'unificazione operata ex lege per il tramite dell'accertamento giudiziale anzidetto, perché tale accertamento, e l'effetto legale che scaturisce, non possono certo valere a porre in essere o ad individuare in un momento successivo una volontà fattualmente non formatasi.
Come è stato altresì esattamente rilevato (Cassazione 2093/81), un fondamento consensuale è arduo rinvenire in un contesto in cui siano state dal lavoratore dedotte le nullità dei termini di ciascun episodio contrattuale ed in cui il suo atteggiamento di mancata reazione tempestiva non può assumere il significato concludente di una implicita adesione all'unilaterale proposito del datore di lavoro di giovarsi delle scadenze illegittimamente pattuite.
Proprio la rilevata impossibilità di riconnettere ex post ad un certo storico svolgimento della vicenda contrattuale effetti che presuppongono un concreto atteggiamento della vicenda diverso da quello riscontrabile nella realtà, comporta che non si possa ritenere, a seguito della accerta e dichiarata nullità delle clausole di apposizione del termine e unificazione ex lege dei vari rapporti a termine in un unico rapporto a tempo indeterminato, che, alla scadenza di ciascuno dei rapporti a termine, permanesse, in difformità dalla concreta volontà delle parti come manifestatasi (sia pure contra legem) nei singoli contratti a tempo determinato, un obbligo del lavoratore di continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile per effettuarla, ed il correlativo obbligo del datore di corrispondere la retribuzione.
È quanto anche la più recente sentenza affermativa dell'obbligo retributivo negli intervalli lavorativi (la cit. Cassazione n. 960/89) finisce per riconoscere allorché, nel convenire che detto obbligo non è un effetto automatico della dichiarata unicità del contratto, osserva che il contratto di lavoro subordinato è un contratto sinallagmatico per cui la prestazione del datore di lavoro resta sempre legata da nesso d'interdipendenza con quella contrapposta dal lavoratore; con la conseguenza che nei contratti sinallagmatici l'una parte non è obbligata (articolo 1460 C.C.) ad effettuare la prestazione se l'altra nello stesso tempo non offre la propria.
D'altronde la stessa sentenza rileva come la realtà di fatto indica soltanto una comune volontà per la fissazione del termine ed una ulteriore volontà comune per la cessazione del rapporto alla scadenza di quel termine con liberazione da ogni obbligo, ed appare con ciò contraddittorio quanto poi la sentenza stessa asserisce e cioè che il momento di scadenza di ciascun termine nullo va riguardato come un momento in cui il datore di lavoro decide di non utilizzare temporaneamente la prestazione del dipendente con riserva di farlo al momento da lui considerato il più opportuno e con il discendente obbligo del lavoratore di tenersi a disposizione.
Invero, sul piano del contratto a termine effettivamente (e non simulatamente, anche se illegittimamente) stipulato, le uniche volontà sulle quali si è verificato il consenso sono quelle innanzi rilevate, con nessuna proiezione contrattuale (a nulla rilevando le
eventuali diverse, ma recondite intenzioni) al di là del momento di scadenza del termine.
Dunque, nessun sinallagma funzionale opera successivamente alla detta scadenza; ma neppure il sinallagma genetico, che, con riferimento alla volontà concretamente manifestatasi, nel momento appunto della genesi del vincolo contrattuale, riguarda i singoli contratti a termine con esclusione dei non contemplati intervalli non lavorati, e che non può ritenersi creato ed applicato ex post, sia pure in forza di legge, in termini diversi da quelli in cui storicamente e fattualmente esso sinallagma era venuto a costituirsi.
6. In ogni caso, e in termini più generali, è stato osservato come il contratto di lavoro è un contratto a prestazioni corrispettive, peraltro caratterizzato da un certo grado di deviazione dalla disciplina degli effetti della corrispettività delle prestazioni, ma non al punto tale da far dubitare della natura sinallagmatica di tale contratto.
È vero che sono varie le ipotesi in cui la legge impone la corresponsione della retribuzione malgrado la mancanza di controprestazione lavorativa, come nei casi di riposo settimanale: articolo 2108 C.C., e di ferie annuali: articolo 2109 C.C., o malgrado la sospensione della obbligazione di lavoro come nel caso di malattia, infortunio, gravidanza e puerperio, servizio militare: articolo 2110 C.C. Tuttavia in tali casi, pur se è assente il sinallagma funzionale, non manca quello genetico; infatti la corrispettività fra obbligazioni comunque sussiste, in quanto anche se non vi è corrispondenza temporale fra retribuzione e lavoro, peraltro, l'obbligazione retributiva, pur se non ha a fronte una prestazione lavorativa in atto, è pur sempre collegata all'esistenza dell'obbligazione di lavoro nell'arco temporale complessivo del rapporto. Dalla natura sinallagmatica del rapporto di lavoro, pur sempre ferma malgrado le ora viste eccezioni ad un rigoroso principio di corrispettività, discende che la regola è che la retribuzione presuppone la prestazione lavorativa, e che la corresponsione della prima in mancanza della seconda è l'eccezione, la quale richiede una espressa previsione di legge o di contratto: e ciò in armonia con il principio posto dall'articolo 2094 C.C., che collega in rapporto di scambio la prestazione di lavoro e quella di retribuzione (cfr. Cassazione 12 novembre 1990 n. 10904).
Orbene, nel caso in questione, la legge n. 230 del 1962 si limita a considerare a tempo indeterminato il contratto stipulato al di fuori dei casi da esso previsti (articolo 1 primo comma), o quando si tratti di assunzioni successive a termine (in se legittime, ma nel loro insieme) intese a eludere le disposizioni di essa legge.
Nulla la legge specificamente dispone circa la disciplina di tale unificante contratto a tempo indeterminato, il quale deve quindi ritenersi governato dai principi comuni, e quindi anche da quello ora evidenziato.
Del resto, il legislatore, in un caso che a questo può essere accostato, a quello del licenziamento illegittimo e delle relative conseguenze, ha inteso attribuire diritti al lavoratore malgrado la non avvenuta prestazione lavorativa, e lo ha fatto espressamente ed anzi analiticamente, precedendo, secondo il vecchio testo dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, il risarcimento del danno dalla data del licenziamento a quella della sentenza che, dichiarandolo illegittimo, ordina la reintegrazione, e la retribuzione dalla data della sentenza a quella della effettiva reintegra; e, con la recente riforma della disciplina dei licenziamenti individuali (L. 11 maggio 1990, n. 108) prevedendo l'unica conseguenza del risarcimento del danno, peraltro commisurato alla retribuzione, dalla data del licenziamento a quella dell'effettiva reintegrazione.
Sia nel caso della illegittimità della clausola di apposizione del termine che in quello di illegittimità del licenziamento vi è una illegittima cessazione del rapporto, che, ripristinato ex post ope judicis, solo nel secondo di tali casi riceve un espresso trattamento di sostanziale eccezione alla regola della corrispettività. Nè, sempre sul piano della concreta realtà della vicenda, una qualche rilevanza può attribuirsi all'eventuale atteggiamento di una delle parti al di fuori del contratto stipulato, vale a dire a quello del lavoratore che, pur dopo la scadenza del termine, rimanga a disposizione e in attesa, perché un comportamento unilaterale non può in alcun modo determinare il sorgere di posizioni soggettive attive o passive. E tanto meno potrebbe parlarsi di un obbligo del lavoratore di tenersi a disposizione, perché' ciò presupporrebbe la sussistenza di un patto negoziale, in tesi inesistente.
Irrilevante è, pertanto, la dimostrazione di un fatto del genere (disponibilità del lavoratore), sicché il motivo (sesto) con il quale i ricorrenti principali lamentano la omessa pronuncia sulla istanza istruttoria (interrogatorio formale o prova per testi) da essi in effetti avanzata nell'atto d'appello incidentale ed espressamente ribadita nell'atto di riassunzione davanti al giudice di rinvio, va dichiarato inammissibile per difetto d'interesse a proporla.
In tali sensi può dunque aderirsi al primo degli anzidetti contrastanti orientamenti e in tali sensi, rigettandosi le censure, va corretta la motivazione della impugnata sentenza, a norma dell'articolo 385 C.P.C., laddove parla di sospensione consensuale dell'unico rapporto a tempo indeterminato.
Nè può obiettarsi che, in questo modo, si finisce per riconoscere al lavoratore nè piè nè meno di quanto già gli spetta ed ha ricevuto ex articolo 5 della legge n. 230 del 1962, perché, intanto, la dichiarata unificazione del rapporto comporta, a prescindere dalle eventuali spettanze, nei limiti anzidetti, per gli intervalli non lavorati, un ricalcolo delle spettanze per i periodi lavorati una volta considerati inseriti nell'unico rapporto a tempo indeterminato, con conseguente applicazione degli istituti propri di questo quali, ad esempio, gli aumenti di anzianità, la misura del periodo di comporto, la misura del periodo di preavviso; e determina, comunque, sicuri vantaggi per il lavoratore - e, correlativamente, forme indirette di disincentivazione del datore di lavoro all'elusione della legge - quali, appunto, la trasformazione del rapporto (con possibile acquisizione della stabilità) e l'acquisizione della corrispondente anzianità, quanto meno per sommatoria dei periodi lavorati, sia ai fini del trattamento di attività di servizio, che di quello di fine rapporto; ed essendo comunque anche il trattamento di fine rapporto ex lege 29 maggio 1982, n. 297, pur se ancorato agli emolumenti effettivamente percepiti nel corso dell'anno, sicuramente più favorevole del "premio di fine lavoro" previsto dal citato articolo 5; ed assicura, infine, i vantaggi che possono derivare dagli istituti contrattuali applicabili al rapporto a tempo indeterminato in virtù del contratto collettivo.
7. Con i motivi primo, secondo e terzo del ricorso principale si censurano vari profili di violazione e falsa applicazione degli articoli 1422 e 2948 C.C., e di contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, le statuizioni della sentenza impugnata relative alla prescrizione dei diritti conseguenziali all'accertamento della illegittimità dell'apposizione del termine ai singoli contratti e dell'unicità di rapporti di lavoro, prospettandosi le seguenti tesi:
a) - le richieste economiche formulate dagli attori hanno natura accessoria rispetto all'azione di nullità, e sono pertanto soggette allo stesso regime giuridico della
prescrizione (argomentando dall'articolo 1422 C.C. che fa salvi solo gli effetti della prescrizione dell'azione di ripetizione);
b) - nella specie il decorso della prescrizione non è iniziato, in base al principio di cui all'articolo 2935 C.C., perché i diritti conseguenti all'accertamento della nullità possono essere fatti valere solo dopo la relativa declaratoria;
c) - contraddittoriamente e illogicamente si è da un lato ricondotta la serie di assunzioni a termine all'intento della società di utilizzare rapporti non stabili, dall'altro si è affermata la stabilità dei rapporti in questione; ai fini dell'applicazione delle regole della prescrizione si deve far riferimento al carattere precario dei rapporti posti in essere e non alla stabilità derivante solo dall'accertamento giudiziale dei contratti a tempo indeterminato, la prescrizione poteva quindi decorrere solo dalla cessazione del rapporto;
d) - contrariamente a quanto affermato nella sentenza del Tribunale di Termini Imerese, la pronuncia di questo Supremo Collegio non contiene alcuna statuizione sulla prescrizione dei diritti conseguenziali; dall'altro canto, non trova applicazione nella specie la prescrizione quinquennale, ma quella ordinaria decennale ex articolo 2946 C.C., posto che le domande relative alle spettanze economiche si configurano come richieste accessorie di natura risarcitoria, conseguenti all'inadempienza contrattuale della SATRIS.
Le censure sono in parte fondate.
Non lo è la prima (sub a), in quanto resistita dalla costante giurisprudenza secondo cui l'azione del lavoratore subordinato tendente all'accertamento della legittimità dell'apposizione del termine ad una serie di contratti a tempo indeterminato perché in violazione della L. n. 230 del 1962 va qualificata come azione di nullità parziale, e, come tale, è imprescrittibile, salva l'estinzione per prescrizione dei diritti conseguenziali maturati in relazione all'unico rapporto a tempo indeterminato costituitosi a seguito della conversione legale (Cassazione 23 novembre 1985, n. 5851; 17 gennaio 1986, n.
310; 7 aprile 1987, n. 3385; 18 maggio 1987, n. 4259; 9 novembre 1988, n. 6064). Fondate sono invece, o parzialmente assorbite, le censure sub b), c) e d), alla stregua del fermo orientamento secondo cui nel caso di una pluralità di rapporti di lavoro illegittimamente stipulati a termine e convertiti, ai sensi dell'articolo 2 della L. n. 230 del 1962, in un unico rapporto considerato a tempo indeterminato fin dalla prima assunzione, la prescrizione dei conseguenti crediti del lavoratore decorre dalla data di passaggio in giudicato della sentenza (avente natura costitutiva) che ha pronunciato la conversione dei rapporti a termine nell'unico rapporto a tempo indeterminato e che costituisce il presupposto necessario per poter fa valere (ex nunc), contro l'anteriore assetto formale, i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato (Cassazione 11 novembre 1983, n. 6696; 16 giugno 1987, n. 5303).
8. Col settimo motivo del ricorso principale si denuncia l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia relativamente alla determinazione delle spettanze economiche dei ricorrenti, consistenti nelle differenze di retribuzione fra quanto da ciascuno dei dipendenti percepito durante i periodi di lavoro effettivamente prestato, e quanto previsto dai contratti collettivi di categoria, determinazione che il Tribunale ha ritenuto di dover compiere in base alle tabelle salariali del settore utilizzate nel secondo elaborato peritale (geom. Xxxxx) disattendendo il primo (xxxx. Xxxxxxx) perché sviluppato seguendo dei prospetti paga prodotti dai lavoratori.
Posto che in questa relazione il C.T.U. aveva specificato di aver sviluppato i calcoli alla stregua delle indicazioni fornite dai ricorrenti in ordine alle somme erogate dopo aver
inutilmente invitato la SATRIS a produrre propri prospetti e conteggi, il giudice del rinvio non ha considerato che i lavoratori non dovevano documentare le somme percepite, ma erano tenuti solo ad indicare quanto incassato, spettando alla società l'eventuale dimostrazione della corresponsione di somme superiori. La censura non può trovare ingresso.
Essa si sostanzia - come gli stessi ricorrenti riassuntivamente espongono - nel rilievo del vizio di fondo in cui sarebbe incorso il Tribunale nell'aver dato prevalenza all'elaborato tecnico del c.t.
Vasta, rispetto a quello del c.t. Xxxxxxx, spiegando che ciò sarebbe stato frutto dell'errore da questo commesso per aver utilizzato i prospetti paga del dipendente Xx Xxxx; laddove, secondo essi ricorrenti, con la ricostruzione delle retribuzioni percepite i prospetti Xx Xxxx non hanno nulla a che fare, giacché la stessa era il portato di specifiche e individuali confessioni personalmente rese da ciascuno dei ricorrenti al consulente tecnico.
Xxxxxx, quand'anche di errore si tratti, questo non può essere come tale dedotto in sede di legittimità. Cosicché anche tutte le altre argomentazioni contenute nella censura, che presuppongono il detto vizio di fondo, finiscono per essere travolte anche se, di per sè considerate, potrebbero sembrare ammissibili dalla inammissibilità della loro premessa.
9. Con l'ottavo mezzo si deducono la violazione dell'articolo 112 C.P.C. e l'omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla statuizione di inammisibilità delle domande relative all'indennità sostitutiva del preavviso e delle ferie non godute e al mancato riconoscimento dei passaggi di categoria relativi alla chiesta ricostruzione di carriera.
Le domande ritenute nuove erano già comprese nelle richieste formulate con l'atto introduttivo e con le conclusioni definite in primo grado (modificate a seguito di autorizzazione del giudice): male interpretando il contenuto della domanda, il Tribunale non ha considerato che le pretese attinenti alle suddette indennità costituivano mera espiazione della richiesta relativa a "tutti gli importi contrattualmente dovuti", ed erano state del resto già valutate nelle indagini peritali.
Quanto agli aumenti retributivi per passaggio, il Tribunale ha erroneamente seguito l'elaborato del geom. Xxxxx che non tiene conto delle soppresse previsioni in proposito dei contratti collettivi applicati.
La censura è infondata.
I ricorrenti, in sostanza, sostengono di aver chiesto, già con l'atto introduttivo del giudizio, "tutti gli importi contrattualmente dovuti", e, cioè, tutte le indennità ed i diritti compresi nei contratti di lavoro. Ma non è chi non veda come una domanda siffatta è estremamente generica, e in quanto tale inammissibile.
Con la conseguenza che la specifica indicazione successiva di talune pretese non può che ritenersi introduttiva di domanda nuova e quindi inammissibile, come correttamente il Tribunale ha ritenuto.
Quanto al profilo concernente il mancato riconoscimento degli aumenti retributivi connessi con il passaggio di categoria, trattasi di tutta evidenza di censura di mero fatto, attinente ai criteri seguiti dal consulente tecnico Xxxxx, in relazione a quelli di cui alla consulenza Xxxxxxx, e volta ad addebitare al giudice di merito un "errore", che come tale non è deducibile in questa sede.
10. Col nono motivo si lamenta, sotto il profilo dell'erronea applicazione dell'articolo 2
L. 230/1962 e dell'omessa e insufficiente motivazione sul punto relativo al calcolo della indennità di anzianità, che il Tribunale abbia erroneamente determinato compenso in base alla sommatoria dei periodi di lavoro prestati dai singoli dipendenti, anziché
dall'effettiva anzianità di servizio in relazione all'unico rapporto di lavoro di ciascun ricorrente.
Esso è infondato.
La questione proposta col motivo in esame va inquadrata nella più ampia problematica concernente tutte le varie situazioni di assenza dal lavoro, in cui venga in discussione il decorso della anzianità di servizio (ai fini degli scatti retributivi, del trattamento di fine rapporto, della misura del comporto o del preavviso) malgrado la mancata prestazione del servizio.
Vi sono casi in cui espressamente la legge prevede il computo del periodo di assenza dal lavoro nell'anzianità di servizio (articolo 2110: infortunio, malattia, gravidanza, puerperio; articolo 2111: servizio militare: articolo 2, 2 comma della L. 27 dicembre 1985, n. 818: aspettative e permessi per l'esercizio di funzioni pubbliche elettive), o espressamente lo esclude (come l'articolo 7 della L. 1204 del 1971, quanto al computo della sospensione facoltativa per maternità ai fini della determinazione della durata delle ferie).
Autorevole dottrina ritiene che, proprio per la varietà e la peculiarità delle specifiche regolamentazioni, le regole per esse affermate valgono solo per le stesse, cioè per le situazioni esplicitamente, da interpretarsi restrittivamente in sè e negli svolgimenti impositivi sulle controparti.
Alla dottrina, seguita da alcune decisioni di questa Corte (Cassazione 6 marzo 1984, n. 1491; 11 aprile 1986, n. 2560; 27 maggio 1987, n. 4748; 1 giugno 1988, n. 3725), peraltro rese con riferimento alla particolare ipotesi della aspettativa non retribuita di lavoratori chiamati a ricoprire cariche pubbliche elettive o cariche sindacali, ha ritenuto regola comune a tutte le cause di sospensione, e quindi suscettibile di interpretazione estensiva, quella della computabilità del periodo di sospensione del rapporto, anche se non retribuito.
Quanto meno con riguardo alla specifica ipotesi in discussione si ritiene di dover accedere al primo orientamento, sembrano una petizione di principio il ritenere espressione di una regola generale i casi di computo nella anzianità di servizio di determinati periodi di assenza dal lavoro, invece che considerarli, come appare più conforme ad una corretta interpretazione letterale, logica e sistematica, quali eccezioni alla regola della "anzianità di servizio" come riferita, appunto al "servizio" prestato, e non al rapporto, che può svolgersi e perdurare anche ove non vi sia prestazione di "servizio". E in tali sensi questa Corte si è espressa, a proposito della non computabilità ai fini dell'indennità di anzianità di periodi di sospensione consensuale del rapporto, con la argomentata e convincente sentenza 6 giugno 1979, n. 3223 (cfr. pure, più in genere, quanto alla correlazione dell'anzianità alla effettiva prestazione del servizio, sent. 15 dicembre 1989, n. 5644).
Peraltro, anche a voler accedere alla tesi più estensiva, non sembra che siffatta regola possa trovare applicazione al caso dell'intervallo non lavorato, perché non si tratta di un caso di sospensione dell'obbligazione retributiva nell'ambito di un rapporto anche fattualmente in atto, bensì, come si è visto, di una ipotesi di cessazione di rapporti di lavoro a termine (e quindi di insussistenza delle correlative obbligazioni), che solo ex post vengono unificati in un unico rapporto a tempo indeterminato, senza che, peraltro, possa ex post ritenersi operante un sinallagma funzionale in via di fatto non esistono negli intervalli non lavorati.
Sicché, per quanto si voglia estendere la regola della computabilità nell'anzianità di servizio anche di periodi di sospensione sebbene non espressamente previsti dalla legge,
non sembra possa giungersi a ricomprendervi periodi di non rapporto, che solo in un secondo momento vengono inglobati nell'unico complessivo rapporto, ma limitatamente agli effetti che questo è idoneo a produrre (scatti di anzianità e indennità di anzianità commisurati alla sommatoria dei periodi lavorati, e così anche le ferie, comporto, preavviso, ricostruzione della carriera e ricalcolo delle spettanze sulla base del rapporto unificato e della disciplina, legale o contrattuale, applicabile ad esso nel suo complesso ed a singoli istituti).
Il lavoratore, a parte il vantaggio della durata indeterminata del rapporto e della eventuale sua stabilità, riceverà comunque da tale sommatoria nell'ambito dell'unico rapporto ben di più di quanto ricavi dai singoli rapporti atomisticamente considerati, cosicché non regge neppure in questo caso l'obiezione che il lavoratore non otterrebbe nulla di più di quanto già previsto dall'articolo 5 della L. n. 230 del 1962. Questa Corte, del resto, sebbene non ex professo, ma incidentalmente, ha avuto occasione di aderire a tale interpretazione (sent. 1 marzo 1985, n. 1755; 11 febbraio 1989, n. 860), pur se in altre occasioni, ma sempre incidentalmente, si è espressa nell'altro senso (sent. 5 giugno 1981, n. 3642; 12 giugno 1981, n. 3638; 18 maggio
1984, n. 3080).
11. Si deduce col decimo motivo la violazione dell'articolo 112 C.P.C. in relazione alla omessa pronuncia sul capo di domanda relativo alla decorrenza del rapporto di Xxxxxxxxx Xxxxxxx, essendo stata censurata in sede di riassunzione del giudizio la statuizione del Pretore che aveva fissato al 3.7.1982 (anziché al 26.5.1970, data della prima assunzione) l'inizio del rapporto a tempo indeterminato dell'intervallo di circa due anni intercorso tra le due date, senza tener conto della provata disponibilità del lavoratore durante tale periodo e della irrilevanza della durata dello stesso ai fini della continuità giuridica del rapporto.
La censura è infondata.
Xxxxx, in effetti, qualsiasi statuizione, sia pure implicita, sulla domanda che in effetti risulta formulata nell'atto di riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, cosicché palese è la sussistenza del denunciato vizio di omessa pronuncia.
12. Con l'ultimo mezzo sotto il profilo dell'insufficiente motivazione e della violazione dell'articolo 5, commi 1, 2 e 4 D.M. 31 ottobre 1985 si censura la statuizione relativa all'inammissibilità del gravame avverso il provvedimento del Pretore che compensava per metà tra le parti le spese del primo grado; il Tribunale ha ritenuto erroneamente generica tale doglianza, che invece era fondata sull'insussistenza di giusti di compensazione e sulla violazione dei minimi delle tariffe forensi di cui al D.M. 31 ottobre 1985, sotto il profilo della mancata applicazione degli aumenti previsti dall'articolo 5 di detto testo normativo in relazione alla complessità della controversia e all'assistenza e difesa di più parti. Gli stessi vizi inficiano la pronuncia relativa alle spese successive al giudizio di primo grado.
La censura, quanto alle spese del giudice pretorile, è infondata.
Per quanto concisa, la declaratoria di inammissibilità dell'appello incidentale sul punto è insufficiente, anche alla stregua di quanto dedotto in questa sede, in cui assume che era stata specificamente lamentata la mancata applicazione dei minimi tariffari, laddove un tal tipo di censura, che non indica quali siano le voci di tariffe non rispettate nel minimo, non può che ritenersi generica.
Quanto alla disposta compensazione delle spese, sempre del primo grado, è da aggiungere che, comunque, secondo la specifica giurisprudenza, trattasi di provvedimento discrezionale, non censurabile in questa sede ove non sia violato il
principio che le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa. E quanto alla mancata applicazione dell'aumento previsto dall'articolo 5, 2 comma, del D.M. 31 ottobre 1985, è parimenti da ricordare che anche l'esercizio di tale potere è rimesso alla discrezionalità del giudice (Cassazione 11 aprile 1975, n. 1363; 8 maggio 1981, n. 3017), e come tale anch'esso insindacabile in questa sede.
Analoghe considerazioni consentono di rigettare le analoghe censure mosse alla liquidazione, da parte del giudice di rinvio, delle spese del giudizio d'appello e di quello di Cassazione.
Quanto, infine, alla censura concernente la compensazione delle spese del giudizio di rinvio e la violazione, anche in tale sede, dei minimi tariffari, è da dichiararne l'assorbimento a seguito della pronunciata parziale cassazione di quella sentenza, che travolge la accessoria pronuncia sulle spese, sulle quali dovrà nuovamente pronunciarsi il giudice di rinvio.
13. In conclusione, vanno accolti il 10 motivo e, per quanto di ragione, il 1 , il 2 e il 3 del ricorso principale, e vanno rigettati gli altri e il ricorso incidentale.
La impugnata sentenza va cassata in relazione alle censure con rinvio ad altro giudice, che riesaminerà la causa in relazione alle censure stesse, e provvederà sulle spese della presente fase.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il 10 motivo, e per quanto di ragione, il 1 , il 2 e il 3 motivo del ricorso principale; rigetta gli altri e il ricorso incidentale; cassa, in relazione alle censure accolte, l'impugnata sentenza, e rinvia la causa, per nuovo esame, al Tribunale di Palermo, che provvederà anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso il 16 novembre 1990.