COLLEGIO DI MILANO
COLLEGIO DI MILANO
composto dai signori:
(MI) GAMBARO Presidente
(MI) LUCCHINI GUASTALLA Membro designato dalla Banca d'Italia (MI) ORLANDI Membro designato dalla Banca d'Italia
(MI) SANTARELLI Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(MI) GIRINO Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore GAMBARO
Nella seduta del 25/06/2013 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Nel proprio ricorso all’ABF le ricorrente ha richiamato il reclamo da essa presentato in data 13/12/2012 avente ad oggetto il contenuto della lettera della banca del 21/11/2012 con cui la convenuta le aveva comunicato di aver disposto la revoca con effetto immediato di tutti gli affidamenti concessi, invitandola a provvedere entro un giorno alla copertura di tutte le esposizioni in essere. In tale atto la odierna ricorrente espose di ritenere che l’inadempimento di alcune rate del mutuo era dovuto «esclusivamente alla crisi economica generale che ha colpito anche la sua attività commerciale». Tuttavia, intendendo restituire il mutuo versando una rata mensile di € 700,00 fino all’esaurimento della somma dovuta e mantenendo ferme le garanzie esistenti, ha rappresentato la necessità di una rinegoziazione del mutuo stesso che preveda una dilazione temporale maggiore, almeno 20 anni, per la restituzione.
Con il successivo ricorso la ricorrente ha esposto di avere contratto il 26/03/2010 un mutuo per € 180.000,00; che il 16/07/2012 l’odierna convenuta le aveva comunicato di averla ammessa ai benefici di cui all’accordo sulle nuove misure per il credito alle piccole e medie imprese, come da sua richiesta del 15/07/2012; che ciononostante il 21/11/2012
la banca le aveva contestato il ritardo nella restituzione delle somme mutuate, revocando gli affidamenti concessi e diffidandola a restituire la somma totale di € 150.990,16.
La ricorrente ha inoltre riferito che il 20/07/2012 e il 13/12/2012 ella aveva comunicato alla banca le ragioni del proprio ritardo, comunicandole inoltre di avere già restituito le somme utilizzate in eccedenza degli affidamenti e prospettandole un piano di rientro con allungamento del mutuo. La banca non avrebbe dato alcuna risposta.
Perciò la ricorrente ha chiesto all’ABF la rinegoziazione del contratto di mutuo con dilazione temporale a 20 anni e l’accettazione del piano di rientro da lei proposto «a € 700,00 mensili», con mantenimento delle garanzie già offerte.
Nelle proprie controdeduzioni, l’intermediario ha così esposto la cronologia dei rapporti contrattuali con la ricorrente:
26/03/2010: la banca concede all’odierna ricorrente un mutuo ipotecario di € 180.000,00 finalizzato a rilevare un’attività commerciale;
03/12/2012: la banca concede all’odierna ricorrente apertura di credito in conto corrente per € 5.000,00;
05/05/2012: la banca invia alla cliente un sollecito a causa dello sconfino di conto corrente e della presenza di una rata di mutuo insoluta;
06/07/2012: la cliente presenta richiesta di ammissione alla moratoria dei debiti delle piccole e medie imprese, chiedendo la sospensione di un anno del rimborso della quota capitale delle rate;
13/07/2012: la richiesta di sospensione viene accolta dall’organo deliberante della banca;
15/07/2012: la banca cerca di contattare la cliente – per invitarla a recarsi in filiale per sottoscrivere la documentazione inerente la moratoria – presso l’attività commerciale, e in tale occasione viene a conoscenza che il 28/05/2012 la signora aveva ceduto a terzi l’attività; dalle risultanze della Camera di Commercio la ditta risulterà cancellata il 17/10/2012;
20/07/2012: l’avvocato della cliente scrive alla banca manifestando la volontà di definire l’esposizione debitoria mediante rientro rateale del fido di cassa, comunicando che l’attività non è stata integralmente ceduta e che la cliente intende corrispondere quanto dovuto in unica soluzione non appena sarà perfezionata la cessione dell’attività;
09/10/2012: dopo diverse richieste della banca, rimaste inevase, si tiene un incontro tra la ricorrente, il suo avvocato, il presidente del fondo di garanzia intervenuto quale garante nella stipula del mutuo e il responsabile della filiale; in tale sede la cliente dichiara la propria disponibilità a versare le rate arretrate del mutuo (pari a tale data a € 5.411,54, di cui € 4.390,06 di quota capitale), a rientrare dall’esposizione del conto corrente (pari a € 5.451,00) e a coltivare congiuntamente un piano di rientro del debito; la banca e il fondo di garanzia aderiscono alla proposta;
21/11/2012: la banca invia una lettera di messa in mora alla cliente, che non ha adempiuto agli impegni assunti e non ha mai dato da propria disponibilità a fissare un nuovo incontro, comunicando la revoca degli affidamenti e chiedendo il versamento immediato delle somme a debito;
13/12/2012: la cliente, con lettera a firma del proprio avvocato, ripropone la volontà di adempiere e avanza una proposta di rinegoziazione del mutuo;
21/03/2013: la banca conferma via e-mail all’avvocato della ricorrente di non poter aderire alla reiterata proposta, stante il totale mancato adempimento delle promesse pregresse;
29/03/2013: la banca comunica via mail allo stesso avvocato la propria disponibilità a valutare congiuntamente la posizione della cliente per nuove e diverse condizioni di rientro.
In considerazione dell’esposizione, sopra richiamata, degli eventi relativi alla vicenda in ricorso, la resistente ha rilevato la correttezza del proprio comportamento, ritenendo di avere «puntualmente adempiuto ad ogni adempimento di legge e di deontologia»; la ricorrente, al contrario, avrebbe tenuto un «comportamento inopinato» consistente nel non avere informato la banca della cessione dell’attività in relazione alla quale aveva ottenuto il mutuo e della chiusura della propria impresa individuale, nel non essersi mai recata in filiale per sottoscrivere la documentazione relativa alla richiesta moratoria, nell’avere condotto trattative mediante due avvocati, «con i quali la banca ha ampiamente interloquito», per poi proporre inaspettatamente un ricorso all’ABF.
Pertanto la resistente chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile o, comunque, respinto in quanto del tutto infondato.
Successivamente la ricorrente ha prodotto una propria dichiarazione e una, negli stessi termini, sottoscritta da terzo, relativamente al fatto che il giorno 23/07/2012 ella si sarebbe recata presso la filiale di riferimento per sottoscrivere la documentazione relativa alla moratoria accordatale dalla banca, ma che il direttore non avrebbe «voluto» che la cliente firmasse la pratica in quanto, avendo ella ceduto l’attività, «probabilmente non ne avev[a] più il diritto». In proposito, la ricorrente ha precisato che ella aveva ceduto una parte dell’attività, ma «la tabaccheria era ancora intestata a [lei] e operativa».
DIRITTO
La ricorrente chiede la rinegoziazione delle condizioni di rimborso di un mutuo ipotecario, con una «dilazione temporale» a 20 anni, e l’accettazione da parte della banca di un piano di rientro mediante rate mensili di € 700,00 cadauna, fino a esaurimento della somma dovuta. È pacifico tra le parti che circa tale richiesta della ricorrente si è svolta una trattativa, anche se le stesse hanno variamente descritto le modalità con cui tale trattativa si è effettivamente svolta.
Tuttavia la ricorrente non sostiene che da tale fase prenegoziale è scaturito un affidamento nella positiva conclusione della trattativa stessa, ed, invero, dal nucleo comune alle due narrazioni nessun fatto affidante emerge.
In realtà la ricorrente chiede direttamente l’accoglimento della sua proposta di sistemazione del rapporto in essere; in altri termini essa chiede che si addivenga alla stipula di un nuovo contratto di finanziamento.
In punto di fatto si deve però evidenziare che è certo che dalla visura CERVED prodotta dalla resistente l’impresa individuale intestata alla ricorrente risulta cancellata dal registro delle imprese dal 05/02/2013, data successiva al reclamo e precedente il ricorso.
In tali circostanze il Collegio deve richiamare il proprio costante indirizzo, già espresso in numerose occasioni, relativo all’inesistenza di un diritto soggettivo del cliente all’erogazione del credito ed al mantenimento delle condizioni contrattuali di un credito già accordato. In particolare, i Collegi hanno evidenziato, da una parte, che un obbligo generale di far credito è certamente estraneo allo statuto delle imprese bancarie, la cui attività deve ispirarsi ai principi di una “sana e prudente gestione” e deve essere esercitata
avendo riguardo “alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario” (arg. ex art. 5 d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385) e, dall’altra parte, che al di fuori delle ipotesi normativamente previste (in relazione ai mutui a tasso variabile per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell’abitazione principale), che confermano la deroga rispetto alla regola generale sopra ricordata, la modifica delle condizioni contrattuali non può essere imposta a nessuna delle parti, risultando possibile soltanto quando intermediario e debitore si accordano sulle variazioni da apportare.
Al contrario i Collegi hanno riconosciuto che, ove non sussistano specifici patti attinenti la durata, una revisione delle condizioni di erogazione del credito in corso è un potere dovere degli intermediari i quali sono chiamati ad una costante vigilanza circa il merito del credito dei soggetti da essi finanziati.
Ne deriva che l’unico profilo di valutazione che può essere espresso in termini di diritto relativamente alla condotta di un intermediario in tema di concessione, o revoca, o rinegoziazione del credito attiene al rispetto dei canoni generali di buona fede e correttezza che deve improntare la condotta della banca nelle relazioni con la propria (anche potenziale) clientela.
Ciò posto giova anche ricordare che secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione “Il principio di correttezza e buona fede - il quale, secondo la relazione ministeriale al codice civile, «richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore» - deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 cost., che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge” (Cass. civ., sez. III, 10-11-2010, n. 22819).
Naturalmente ai fini della valutazione di una condotta alla luce del criterio che impone di evitare il pregiudizio dell’interesse della controparte senza dover sopportare sforzi o costi sproporzionati al risultato si deve tener conto di tutte le circostanze rilevanti (Cass. civ., sez. III, 29-09-2011, n. 19879).
Sotto questo profilo è da osservare che le decisioni assunte dall’intermediario in questione non possono essere valutate in contrasto con il dovere di buona fede, posto l’indubbio (e non svelato) mutamento sostanziale della posizione economica della ricorrente.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio non accoglie il ricorso.
firma 1
IL PRESIDENTE