DOTTORATO DI RICERCA IN
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI IN ITALIA E NEL DIRITTO PRIVATO EUROPEO
CICLO XXV
Coordinatore Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
IL PROBLEMA DEL COLLEGAMENTO NEGOZIALE
Settore Scientifico Disciplinare IUS/01
Dottorando Tutore
Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx
Anni 2010-2012
A Xxxxx, Xxxx, Xxxxxx e Xxxxxxx, le mie stelle polari. A Babbo, Xxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxx e Xxxxxxx, la xxx xxxxxxx.
A Xxxxxxx, la mia compagna di viaggio.
«God gives every bird its food, but He does not throw it into its nest».
Xxxx X. Xxxxxxx
INDICE SOMMARIO
Capitolo Primo
IL PROBLEMA
1.1. CENNI PRELIMINARI DI CARATTERE SISTEMATICO, STORICO, SEMANTICO. p. 4 1.2. LA CASISTICA 26
Capitolo Secondo
IL CONTESTO SISTEMATICO
2.1. Collegamento negoziale o collegamento contrattuale? 59
2.2. Unità e pluralità negoziale nella dottrina tradizionale 73
2.3. I negozi misti, complessi e collegati nella giurisprudenza 98
2.4. Il nesso di collegamento: forme e fonti 112
2.4.1. IL COLLEGAMENTO OCCASIONALE 115
2.4.2. IL COLLEGAMENTO GENETICO 118
2.4.3. IL COLLEGAMENTO NECESSARIO 124
2.4.4. IL COLLEGAMENTO FUNZIONALE VOLONTARIO TRA TEORIE SOGGETTIVE E TEORIE OGGETTIVE 136
2.5. Gli effetti del collegamento 157
Capitolo Terzo
L’IPOTESI RICOSTRUTTIVA
3.1. Unità e pluralità negoziale tra causa e tipo 173
3.2. Unità e pluralità negoziale nelle proposte della recente dottrina. Adesione critica 198
3.3. La rilevanza giuridica del nesso di collegamento e il suo accertamento in concreto 220
3.4. I negozi collegati “in funzione di scambio” 237
3.5. Oltre il “dogma” della relatività degli effetti del contratto. 240
3.6. Gli “effetti” del collegamento negoziale.
3.6.1. NULLITÀ 247
3.6.2. ANNULLABILITÀ E ANNULLAMENTO 256
3.6.3. RESCINDIBILITÀ E RESCISSIONE 259
3.6.4. RISOLUZIONE ED ECCEZIONE D’INADEMPIMENTO. RECESSO 265
3.6.5. FRODE ALLA LEGGE 270
3.7. Il collegamento negoziale e l’operazione 277
BIBLIOGRAFIA 287
Capitolo Primo
IL PROBLEMA
1.1. Cenni preliminari di carattere sistematico, storico, semantico.
Qual è lo stato di salute del collegamento negoziale?1
Ha senso indagare ancor oggi su tale particolare modalità espressiva dell’autonomia negoziale dei privati?
Potrebbe, infatti, affacciarsi qualche dubbio in ordine all’effettiva opportunità di esplorare un tema tanto delicato quanto inflazionato dalla produzione letteraria. Tanto più nel momento in cui si rilevi che la moltitudine di studi, in gran parte animati da un anelito di riconduzione a sistema delle ipotesi lette in chiave di collegamento, non ha sempre ripagato degli sforzi profusi.
Peraltro, se, da una parte, l’obiettivo della presente ricerca non è certo quello di arare un campo già abbondantemente dissodato, dall’altra, non è il caso di promettere l’apporto di appariscenti novità agli studi in materia, che, del resto, le novità negli studi giuridici, quasi mai sono vistose, ma spesso consistono in piccoli spostamenti di prospettiva, invisibili ad occhio nudo.2
Cercheremo, più modestamente e con tutta l’approssimazione connaturata alla statura del proposito, di analizzare l’elaborazione dogmatica sedimentatasi attorno all’immagine del legame qualificato tra negozi, al fine di sondarne l’odierna utilità.
Come noto, la locuzione “collegamento negoziale” suole identificare quell’architettura policontrattuale alla quale gli
1 Se lo chiede DE NOVA G., Xxxxx stato di salute del collegamento negoziale, in AA.VV., I collegamenti negoziali e le forme di tutela, Milano, 2007, p. 141.
2 Per dirlo con le parole di FERRI G.B., Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, p. 15.
operatori privati sovente ricorrono per offrire il crisma della giuridicità ai loro articolati interessi economici.
Tuttavia, in un’era in cui l’enfasi dell’indagine si è spostata dalla struttura alla sostanza degli affari, il tema del collegamento tra contratti sembra aver perso l’endemico ruolo di fucina del civilista che l’aveva visto ascendere a crocevia obbligato della teoria generale del negozio e, dopo quasi un secolo di convulsa elaborazione, si può ancora affermare che esso costituisca uno dei punti meno chiari di tale teoria.
Invero, l’assiduo costruire su postulati volubili, le difficoltà nascenti dall’inquadramento del nevralgico concetto di causa e la tendenza a costruire categorie il più possibile ampie ed astratte (entro le quali far rientrare fenomeni pur diversissimi fra loro) hanno contribuito a rallentare sensibilmente lo sviluppo di questo aspetto della speculazione giuridica 3 , determinandone il tralignamento da duttile espediente per la soluzione delle difficoltà inerenti la disciplina giuridica degli affari plurinegoziali ad ingombrante problema per la dogmatica, la quale fatica a procurargli una sistemazione appagante.
Tale difficoltà è dovuta, inoltre, alla circostanza che le
espressioni “collegamento negoziale” o “negozi collegati” non designano un istituto giuridico. Xxxxxxxx, infatti, di proposizioni non indicative di un insieme di disposizioni dettate al fine specifico di disciplinare una determinata materia, interessi definiti o gruppi di interessi sostanziali.
Piuttosto, rappresentano tradizionalmente un concetto di elaborazione dottrinale e un criterio di impiego giurisprudenziale 4 volti alla descrizione di fenomeni
3 Cfr. XXXXXXXX A., Appunti in tema di negozi giuridici collegati, in Giust. civ., 1954, I, p. 259.
4 Se si escludono le società collegate di cui all’art. 2359 c.c. Tale disposizione, in realtà, utilizza il termine collegamento non per individuare un legame funzionale tra negozi, bensì per indicare il legame tra due o più società determinato dalla titolarità di partecipazioni azionarie o dalla sussistenza di vincoli contrattuali. Tale ipotesi mi sembra riconducibile a quello che GASPERONI N., Collegamento e
contrattuali complessi ed alla soluzione dei conflitti ad essi relativi.
In relazione al profilo semantico si osserva che il termine collegamento ha il duplice significato di legame fra due entità e di mezzo specifico per collegare 5 ; esso, cioè, indica contemporaneamente, da un lato, l’azione ed il suo effetto, dall’altro, lo strumento adottato per conseguire quel risultato.
Nel settore giuridico al significato che il lemma può assumere, dalla mera valutazione esegetica dell’espressione “collegamento negoziale” non è dato ricavare se essa faccia riferimento al nesso fra negozi o, invece, allo strumento giuridico attraverso il quale quel legame è stato introdotto.
Il dubbio va risolto nel senso che le due nozioni sono inscindibili quando si voglia individuare il contenuto di quella formula nel linguaggio giuridico.6
È bene precisare altresì, in via preliminare, che il collegamento non costituisce una realtà autonoma che si aggiunga ai distinti contratti: ciò che per comodità di linguaggio si chiama collegamento negoziale non è che un particolare atteggiarsi dell’uno o dell’altro contratto in vista di un certo risultato, è il risultato di un’attività ermeneutica
connessione di negozi, in Riv. dir. comm., 1955, I, pp. 357-358, definiva – nell’ambito della generale analisi della rilevanza del concetto di “collegamento” nel campo giuridico – “collegamento soggettivo”, concernente un rapporto qualificato tra più soggetti giuridici. A tale tipo di relazione l’Autore citato contrappone il “collegamento oggettivo”, riguardante il vincolo pertinenziale (artt. 817-818, 667, 1477 c.c.) ovvero la destinazione economica assegnata ad un complesso di beni (universalità di beni mobili) ed il collegamento tra atti giuridici. A quest’ultimo ambito deve ovviamente ascriversi il collegamento tra negozi.
Cfr., per una critica a questa tendenza dottrinaria esasperatamente sistematica e generalizzante, DI NANNI C., Collegamento negoziale e funzione complessa, in Riv. dir. comm., 1977, I, p. 287, sub nota n. 12, e le considerazioni introduttive di TROIANO P., Il collegamento contrattuale volontario, Roma, 1999, pp. 3 e ss.
5 Questa definizione è fornita da DI NANNI C., Collegamento negoziale e funzione complessa, cit., p. 279, il quale la rinviene nel Grande dizionario della lingua italiana di BATTAGLIA S., III, Torino, 1964, p. 285, e nel Lessico Universale Italiano, V, Roma, 1970, p. 150.
6 Così DI NANNI C., Collegamento negoziale e funzione complessa, cit., pp. 282-283.
condotta valorizzando l’aspetto funzionale della complessiva ed unitaria operazione divisata dalle parti.
Dal punto di vista economico, infatti, non sorgono dubbi nel qualificare come unitaria un’operazione nella quale, pur coesistendo più contratti, si vuole ottenere un unico risultato. Allo stesso modo, tuttavia – seppur la ricerca, come si vedrà, ponga il valore ermeneutico del dato economico in una posizione di privilegio – è indispensabile sottolineare che il contratto è un fenomeno ineludibilmente distinto dalla sottostante operazione economica 7, che non sempre può essere realizzata attraverso l’ausilio di singole tipologie contrattuali.
Operazioni economiche complesse postulano una veste
giuridica che adeguatamente tuteli la varietà di interessi ad esse sottesi e non è un caso che la dottrina abbia iniziato ad interessarsi al fenomeno dei negozi giuridici collegati in un periodo – quello immediatamente antecedente l’entrata in vigore del Codice del 1942 – nel quale la realtà degli affari non si lasciava più canalizzare all’interno di una tipizzazione contrattuale ormai insoddisfacente.8
Il ripetuto nascere di nuovi contratti atipici, frutto di quella “inerzia giuridica” 9 nell’adeguamento alle sollecitazioni provenienti dalla prassi commerciale, portò la dottrina ad affrontare il problema della loro disciplina e della loro qualificazione. Contratto misto, contratto complesso, contratto collegato furono nozioni elaborate a tale scopo.
Il dibattito fu alimentato dall’accrescersi, nella pratica, della diffusione di quelli che un Autore, con propizia espressione, ebbe a definire “rapporti giuridici policromi”10, conseguenza di
7 Cfr. XXXXXX X.X., Diritto civile2, III, Il contratto, Milano, 2000, p. 28.
8 Cfr. COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, Padova, 1999,
p. 1.
9 ASCARELLI T., Il negozio indiretto e le società commerciali, prolusione catanese del 1930, in Studi per Vivante, I, Roma, 1931, p. 36 e ss., ora in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, p. 3.
10 “…risultanti dal concorso di prestazioni di diverso carattere”, DE XXXXXXX X., I contratti misti, Padova, 1934, p. 166.
un’evoluzione e di una trasformazione dell’economia cha da agricola si avviava inesorabilmente verso l’industrializzazione. Ciò portò alla configurazione di realtà più complesse, tanto di relazioni economiche, quanto di strumenti giuridici utili al raggiungimento di queste.
Del resto, diritto ed economia rappresentano due manifestazioni dell’esperienza sociale strettamente collegate tra loro, ma al primo è coessenziale una certa apatia nell’adeguamento alle istanze della seconda.
Così, l’incapacità dei contratti tipici di alleviare il bisogno di “prodotti” giuridici da parte di un sistema economico in costante sviluppo agevolò la fioritura di nuovi contratti a “tipicità sociale” e l’approfondimento di nozioni e di tecniche che si reputano utili per gli interessi del commercio, grazie alla loro flessibilità.11
Vendita con esclusiva, deposito in “cassette forti di custodia”, somministrazione, patti parasociali, rappresentarono il fulcro attorno al quale crebbe la nozione di collegamento.12
11 “È noto […] che l’ordine giuridico può rimanere immutato, pur variando i caratteri costitutivi della realtà sociale, e che normalmente non tocca la sostanza della realtà sociale la sua qualificazione in una categoria giuridica, piuttosto che in un’altra. Questo hiatus tra realtà sociale e ordine giuridico è colmato, però, dall’agire concreto degli individui; dal loro agire, cioè, come portatori di interessi individuali che si concretizzano, anzi animano le categorie e i principi in cui sono ordinati la realtà sociale e l’ordinamento giuridico”, FERRI G.B., Xxxxx e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 219.
12 Cfr., rispettivamente, FERRI G., Xxxxxxx con esclusiva, in Dir. prat. comm., 1933,
p. 394 e ss.; XXXXXXXX X., Contratti preparatori e contratti di coordinamento, in Riv. dir. comm., 1940, I, p. 21; OPPO G., I contratti parasociali, Milano, 1942, p. 20.
Osserva XXXXXXXX X., I contratti collegati, in Nuova giur. civ. comm., 1986, II, p. 256 e ss. che oggi quei fenomeni sono ancor più amplificati; degli stessi contratti di più lunga tradizione fioriscono varianti atipiche: dall’alloggio in residence (solo in parte assimilabile alla locazione), al contratto di viaggio o di crociera turistica (al confine fra trasporto e mandato). Ormai consacrati dall’uso e, in larga parte, recepiti a livello normativo sono poi i vari leasing, factoring, franchising, engineering, handling, catering, banqueting, outsourcing, contratti di utilizzazione di computer, ecc. Al riguardo, appare il caso di notare che, ancorché il tradizionale elenco dei tipi legali mostri da tempo segni di vetustà rispetto alle richieste degli operatori economici, tuttavia, nell’ordinamento italiano, il processo di
Sotto un altro aspetto, è stato puntualmente rilevato come il collegamento negoziale abbia a lungo scontato la propria origine pandettistica: ciò è percepibile nella tendenza, mai sopita in dottrina e giurisprudenza, ad affrontare ogni problema che nasce dal coordinamento di più contratti verso uno scopo comune secondo un approccio che, in modo esplicito o meno, fa perno sulla volontà dei soggetti.13
Inoltre, in un clima culturale improntato ad un rigido concettualismo e all’astrattezza del ragionamento, ogni problema di disciplina del contratto finiva poi per essere impostato come un problema attinente alla sua struttura.14
Nella sua intuizione fondamentale, peraltro, la teoria del collegamento esprime innegabilmente l’esigenza di superare una concezione puramente formale del contratto: con questa immagine di nuovo conio si intende, infatti, dare rilievo alla “funzione”, allo “scopo pratico” che le parti intendono realizzare con l’impiego di distinti (ma connessi) schemi
tipizzazione rappresenta ancora la sede principale per determinare la disciplina applicabile ad un contratto: dalla riconduzione di un contratto ad un tipo dipende, infatti, sia l’individuazione della fonte legale concorrente alla costruzione del regolamento contrattuale, sia la validità dell’intero regolamento o di una sua parte.
13 L’affermazione della concezione volontaristica del negozio e del contratto ha luogo in Germania, sotto l’influenza del giusnaturalismo di XXXXXX U. (De iure belli ac pacis, lib. II, cap. XI) e VON XXXXXXXXX S. (De iure naturali et gentium, lib. II, capp. V e VI; lib. V, cap. II), grazie a VON SAVIGNY F.C. (Sistema del diritto romano attuale, trad. it., Torino, 1886), che costruì la teoria del negozio giuridico, del quale il contratto costituiva la principale sottocategoria, sulla volontà del soggetto e sulla sua “forza creatrice”. Sulle orme di WINDSCHEID B. (Lehrbuch des Pandektenrecht5, Frankfürt a. M., 1882; trad. it., con note di Xxxxx e Bensa, Torino, 1904), anche nella civilistica italiana si consolidò una simile concezione di negozio, cfr. CHIRONI G.P., Lezioni di diritto civile, Negozi giuridici, Torino, 1894- 1895, p. 136 e ss. e Istituzioni di diritto civile italiano, Roma, 1912, p. 146 e ss. ove si afferma che “la virtù essenziale del negozio giuridico è tutta nella volontà giuridica e gli altri requisiti conducono tutti a questo, che è il fondamentale”. Cfr., sul punto, FERRI G.B., Il negozio giuridico fra libertà e norma, Xxxxxx, 0000; per una sintesi storica e per gli ampli riferimenti bibliografici, cfr. l’estesa nota sul punto di D’XXXXXX X., Contratto e operazione economica, Torino, 1992, p. 13 e ss.
14 Così XXXXXXXX X., I contratti collegati, cit., p. 260.
contrattuali. I riflettori si spostano così dalla struttura, al profilo funzionale del negozio.15
Espressione della maturità e del radicamento di questa prospettiva è rappresentata da quelle sentenze che ricorrono a valutazioni di ordine economico per apprezzare coerentemente l’assetto di interessi che si cela dietro al programma negoziale, decisioni le quali argomentano in termini di economia dell’affare, di rischio, di equilibrio economico del rapporto.
Siffatte prassi argomentative hanno trovato diffusa applicazione nel settore del diritto dei contratti ed hanno scomodato una varietà sorprendente di istituti e nozioni giuridiche da sempre al centro di fervidi dibattiti: causa, tipo, interpretazione, qualificazione ed integrazione del contratto, presupposizione, clausola generale di buona fede, regole della responsabilità contrattuale.16
Peraltro, se si scorrono i massimari, le definizioni di collegamento negoziale sembrano ripetersi, senza variazioni apprezzabili. Formule stereotipe, assunti indifferenziati, assiomi quasi proverbiali sembrano nascondere dietro diverse espressioni lessicali una varietà di situazioni considerevole.17
«Il collegamento negoziale, il quale costituisce espressione dell’autonomia contrattuale prevista dall’art. 1322 c.c., è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico complesso, che viene realizzato non già per mezzo di un autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è concepito, funzionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri, sì che le vicende che
investono un contratto possono ripercuotersi sull’altro».18
15 Cfr. XXXXXXXX X., I contratti collegati, cit., p. 260; in senso analogo, XXXXX M., Xxxxxxxxx collegati e operazioni complesse, in Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Napoli, 2008, p. 1234.
16 Cfr. D’XXXXXX X., Xxxxxxxxx e operazione economica, cit., p. 10.
17 Cfr. XXXXXXXX X., I contratti collegati, cit., p. 256.
18 Così Cass., 04.03.2010, n. 5195, in Guida al dir., 2010, 14, p. 61; analogamente Cass., 21.09.2011, n. 19211, cit.; Cass., 17.05.2010, n. 11974, in Contratti, 2010, p. 816; Cass., 26.03.2010, n. 7305, in Guida al dir., 2010, 19, p. 38; Cass., 15.10.2009, n.
21904, in Contratti, 2010, p. 342; Cass., 08.10.2008, n. 24792, in Mass. Giur. it., 2008;
Cass., 10.07.2008, n. 18884, in Giust. civ. Mass., 2008, p. 1123; Cass., 19.10.2007, n.
21973, in Giust. civ., 2008, 1, I, p. 115, nonché in Il civilista, 2009, 2, p. 79; Cass., 05.06.2007, n. 13164, in Foro it., Rep. 2008, voce Contratto in genere, n. 32, nonché in Giust. civ. Mass., 2007, 6, e in Il civilista, 2008, p. 95; Cass., 20.04.2007, n. 9447, in Foro it., Rep. 2007, voce Contratto in genere, n. 339; Cass., 27.03.2007, n. 7524, in Contratti, 2008, p. 132; Cass., 16.02.2007, n. 3645, in Contratti, 2008, p. 156, nonché in Obbl. e xxxxx., 2007, p. 648; nonché in Giust. civ., 2008, I, p. 1278; Cass., 27.07.2006, n. 17145, in Dir. e prat. soc., 2006, p. 70, nonché in Contratti, 2007, p.
374; Cass., 28.03.2006, n. 7074, in Guida al dir., 2006, p. 39; Cass., 16.03.2006, n.
5851, in Xxxx xx., Xxx. 0000, xxxx Xxxxxxxxx xx xxxxxx, x. 00; Cass., 12.07.2005, n. 14611, in Foro it., Rep. 2005, voce Contratto in genere, n. 343, nonché in Giust. civ. Mass., 2005; Cass., 21.01.2005, n. 1273, in xxx.xxxxxxx0000.xx; Cass., 16.09.2004, n.
18655, in Giust. civ., 2005, I, p. 125; Cass., 21.07.2004, n. 13580, in Giust. civ., 2005,
3, I, p. 685, nonché in Dir. e xxxxx., 2004, p. 19; Cass., 29.04.2004, n. 8218, in
Contratti, 2004, p. 1023, nonché, in Foro it., 2005, I, p. 490; Cass., 18.07.2003, n. 11240, in Contratti, 2004, II, p. 118, nonché in Giur. it., 2004, p. 738, e in Arch. civ., 2004, p. 1412; Cass., 28.06.2001, n. 8844, in Giust. civ., 2002, I, p. 113, nonché in Giur. it., 2002, p. 1618, e Nuova giur. civ. comm., 2002, I, p. 654; Cass., 11.06.2001, n. 7852, in Mass. Foro it., Rep. 2001, voce Contratto, atto e negozio in genere, n. 240; Cass., 21.12.1999, n. 14372, in Foro pad., 2000, I, c. 334; Cass., 25.11.1998, n. 11942,
in Foro it., Rep. 1998, voce Fallimento, n. 541; Cass., 27.01.1997, n. 827, in Foro it., 1997, I, p. 1142; Cass., 12.12.1995, n. 12733, in Giust. civ., 1996, I, p. 2658; Cass.,
08.08.1995, n. 8689, in Foro it., Rep. 1995, voce Contratto in genere, n. 307; Cass., 20.01.1994, n. 474, in Foro it., 1994, I, c. 3097, nonché in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, p. 302; Cass., 20.11.1992, n. 12401, in Corr. giur., 1993, p. 174, nonché in Giust. civ., Rep. 1992, voce Contratto, atto e negozio in genere, n. 172; Cass., 30.10.1991, n. 11638, in Mass. Foro it., Rep. 1991, voce Contratto, atto e negozio in genere, n. 157; Cass., 06.09.1991, n. 9388, in Mass. Foro it., 1992, Rep. 1991, voce Contratto, atto e negozio in genere, n. 158; Cass., 05.07.1991, n. 7415, in Mass. Foro it., Rep. 1991, voce Contratto, atto e negozio in genere, n. 159; Cass., 04.05.1989, n. 2065, in Mass. Foro it., Rep. 1989, voce Contratto, atto e negozio in genere, n. 193; Cass., 18.01.1988, n. 321, in Giust. civ., 1988, I, p. 1214; nonché in Giur. comm., 1988, II, p. 321; Cass., 31.03.1987, n. 3100, in Xxxx xx., Xxx. 0000, xxxx Xxxxxxxxx xx xxxxxx, x. 00; Cass., 15.12.1984, n. 6586, in Mass. Foro it., Rep. 1994, voce Contratto in genere n. 91; Cass., 25.07.1984, n. 4350, in Xxxx xx., Xxx. 0000, xxxx Xxxxxxxxx xx xxxxxx, x. 00; Cass., 21.10.1981, n. 5503, in Xxxx xx., Xxx. 0000, xxxx Xxxxxxxxx xx xxxxxx, x. 00; Cass., 02.07.1981, n. 4291, in Foro it., 1982, I, c. 468; Cass., 15.02.1980, n. 1126, in
Foro it., Rep. 1980, voce Xxxxxxxxx xx xxxxxx, x. 000, x. 00; Cass., 12.02.1980, n. 1007,
in Giur. it., 1981, I, 1, p. 1537; Cass., 07.04.1979, n. 1993, in Xxxx xx., Xxx. 0000, xxxx Xxxxxxxxx xx xxxxxx, x. 00; Cass., 10.03.1978, n. 1211, in Mass. Foro it., 1978; Cass., 18.11.1978, n. 5382, in Mass. Foro it., 1978; Cass., 21.02.1977, n. 781, in Mass. Foro
it., 1977; Cass., 28.03.1977, n. 1205, in Foro it., 1977, I, c. 1088; Cass., 15.09.1975, n.
Pluralità di negozi distinti e nesso volontario e funzionale costituiscono i requisiti essenziali del collegamento, mentre la comunicazione delle vicende dall’uno all’altro contratto è l’effetto che ne discende in generale.
La giurisprudenza mostra, quindi, di possedere una sorta di statuto del fenomeno “collegamento negoziale”, sedimentatosi sulla sistemazione organica del problema elaborata da Xxxxxxx Giorgianni19 ed in seguito sviluppata dalla comunità scientifica civilistica 20 , senza mai cessare di rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per ogni interprete che abbia affrontato il tema.21
3057, in Mass. Foro it., 1975; Cass., 08.05.1965, n. 849, in Mass. Foro it., 1965; Cass.,
21.06.1965, n. 1292, in Giust. civ., 1965, I, p. 2023; Cass., 08.01.1964, n. 24, in Giust.
civ., 1964, I, p. 594.
Per l’enunciazione di tale massima nella giurisprudenza di merito, cfr., di recente, Trib. Rovigo, 10.03.2011, n. 26, in De Jure; Trib. Nola, 10.04.2010, in Giur. merito, 2010, 1, p. 74; Trib. Pavia, 16.01.2009, in De Jure; Trib. Modena, 25.10.2006,
n. 1691, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx; Trib. Verona, 25.07.2001, in Giur. merito, 2001, p. 974.
19 XXXXXXXXXX X., Xxxxxx xxxxxxxxx collegati, in Riv. it. Sc. Xxxx., 1937, p. 3 e ss.
20 In quegli anni al tema in oggetto dedicano importanti riflessioni DE XXXXXXX X., I contratti misti, cit.; XXXXX G., Vendita con esclusiva, cit., pp. 270 e ss., 377 e ss., 449 e ss., spec. 394 e ss.; XXXXXXXXX T., Contratto misto, negozio indiretto, negotium mixtum cum donatione, in Riv. dir. comm., 1930, II, p. 462; NICOLÓ R., Deposito in funzione di garanzia e inadempimento del depositario, cit., p. 1476; XXXXXXXXX C., Negozio collegato, negozio illegale e ripetibilità del pagamento, in Temi, 1951, p. 154; XXXXXX U., In tema di collegamento funzionale fra contratti, in Giur. compl. Cass. civ., 1946, II, p. 328. Vere e proprie pietre miliari del tema del collegamento sono rappresentate, inoltre, dagli organici contributi di XXXXXXXX A., Appunti in tema di negozi giuridici collegati, cit., p. 226; XXXXXXXXX N., Collegamento e connessione di negozi, cit., pp. 357 e ss. e 386 e ss.; DI SABATO F., Unità e pluralità di negozi, in Riv. dir. civ., 1959, I, p. 412.
21 Contrariamente a quanto è accaduto da noi, oltre i confini italiani il dibattito dottrinale sulla categoria dogmatica del collegamento negoziale non pare in realtà essere stato molto significativo. In Germania, per esempio, la categoria dei verbundene Rechtsgeschäfte non è stata, come tale, oggetto di approfondimenti particolarmente significativi; piuttosto, il dato della wirtschaftliche Einheit (unità economica) di una situazione strutturalmente complessa è stato utilizzato dallo stesso legislatore per dettare delle soluzioni specifiche in ordine a particolari rapporti, quali quelli connessi con operazioni di finanziamento; cfr.,
Se, dunque, ad una prima impressione può sembrare di trovarsi in presenza di una categoria dogmatica dai confini precisi e fondata su solide basi concettuali, ad un esame più attento ci si avvede di come la ripetitività delle massime giurisprudenziali mascheri numerose incertezze.
Lungi dal costituire altrettanti punti fermi, esistenza di un solo contratto (misto o complesso) o di più negozi distinti (ma collegati), qualità del nesso esistente fra i negozi, natura ed ampiezza degli effetti che dal collegamento discendono sono, invece, problemi aperti ad un ventaglio di soluzioni differenti.22 La dottrina, quindi, da una parte, si è fatta carico di squarciare il velo costituito dalle stereotipe formule utilizzate dalla giurisprudenza, privilegiando la discussione di casi concreti piuttosto che l’impostazione complessiva del problema, dall’altra, ha, tuttavia, sovente indulto in classificazioni e sterili petizioni di principio che l’hanno allontanata dal trarre le adeguate conseguenze dall’opera di analisi che andava svolgendo, smarrendo spesso la consapevolezza dell’effettiva rilevanza giuridica del
fenomeno.23
l’approfondita indagine svolta di recente da XXXXX X., Profili del collegamento negoziale, Milano, p. 91 e ss. Nella letteratura giuridica francese il problema è stato affrontato funditus solo da XXXXXXX X., Les groupes de contracts, Paris, 1975, le cui conclusioni sono state recepite dalla dottrina successiva; cfr., sul punto, le opere di XXXXX X., Profili del collegamento negoziale, cit., p. 134 e ss., e di XXXXX B., I contratti collegati nelle esperienze giuridiche italiana e francese, Xxxxxx, 0000. Nell’ambito della Common law, la categoria dei collateral contracts, originariamente utilizzata per disapplicare la parole evidence rule, solo di recente è stata rimeditata in termini che l’avvicinano notevolmente alle tematiche del collegamento negoziale.
22 Cfr. XXXXXXXX X., I contratti collegati, cit., p. 257.
23 Già da tempo la dottrina più avveduta ha denunciato la circostanza che la nozione generale di collegamento, pur valendo ad affrontare e risolvere alcuni problemi di fondo, in ragione della sua generalità, non appare idonea ad elaborare regole operazionali capaci di trovare applicazione alle operazioni complesse che si riscontrano nella pratica, cfr. XXXXXXXX X., Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, p. 234. Si leggano anche le parole di DI NANNI C., Collegamento negoziale e funzione
Recentemente, peraltro, il collegamento negoziale è assurto a tema di rinnovato interesse per la scienza civilistica ed è stato fatto oggetto di studi organici che ne hanno messo in luce i tratti caratterizzanti, il carattere proteiforme, nonché gli abusi patiti nella prassi applicativa, contribuendo alla sedimentazione di un metodo di scansione della figura che oggi possiamo impiegare con una certa disinvoltura.24
complessa, cit., p. 329: “il collegamento è una nozione funzionale, non concettuale. […] le nozioni funzionali non possono essere spiegate se non attraverso il richiamo al risultato che realizzano ed al ruolo che svolgono, che soli possono attribuire loro unità; non è possibile descrivere la nozione, ma soltanto indagare a che cosa serve”.
24 Fra i contributi di più ampio respiro prodotti dalla dottrina contemporanea è opportuno annoverare le importanti opere monografiche di SCHIZZEROTTO G., Il collegamento negoziale, Napoli, 1983; COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit.; LENER G., Profili del collegamento negoziale, cit.; XXXXX B., I contratti collegati nelle esperienze giuridiche italiana e francese, cit.; TROIANO P., Il collegamento contrattuale volontario, cit.; MAISTO F., Il collegamento volontario tra contratti nel sistema dell’ordinamento giuridico. Sostanza economica e natura giuridica degli autoregolamenti complessi, Napoli, 2002; RAPPAZZO A., I contratti collegati, Milano, 1998; ID., Il collegamento negoziale nella società per azioni, Milano, 2008; nonché i saggi di DI NANNI C., Collegamento negoziale e funzione complessa, cit., p. 279; XXXXXXXXX G., Negozi collegati in funzione di scambio, in Riv. dir. civ., 1979, II, p. 398; BARBA V., La connessione tra i negozi e il collegamento negoziale, in Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Napoli, 2008, p. 25; alcune voci enciclopediche: SCOGNAMIGLIO R., Collegamento negoziale, voce di Xxx. del diritto, Milano, 1960, VII, p. 375, ora anche in Scritti giuridici, I, Padova, 1996, p. 119; MESSINEO F., Contratto collegato, voce di Enc. del diritto, Milano, 1962, X, p. 48, e XXXXXXX XXXXXX X. – XXXXXXXXX X., Contratti misti e contratti collegati, voce di Xxx. giur. Treccani, vol. IX, Roma, 1988; nonché i capitoli dedicati al collegamento negoziale all’interno di importanti trattati: cfr., ad esempio, CARIOTA FERRARA L., Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1948, p. 329 e ss.; XXXXXXXXX XXXX X., XXXXXXX U., XXXXXXXX F.D., XXXXXX U., Diritto civile, I, Fatti e atti giuridici, Torino, 1986, p. 752; XXXXXXX XXXXXXXXXX F., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, p. 215; XXXXX X., Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Xxxxxx e Zatti, Milano, 2000, p. 387.
Menzione a parte merita l’attività di ricerca di Xxxxx Xxxxxxxx, che si è
ricorrentemente occupata del tema, trattandolo sempre con particolare acume e rivolgendo speciale attenzione ai casi decisi dalla giurisprudenza. I suoi preziosi contributi rappresentano un indubbio arricchimento della teoria del collegamento negoziale ed un irrinunciabile punto di riferimento per lo studioso che si avvicini alla materia: cfr., FERRANDO G., Criteri obiettivi (e “mistica della
volontà”) in tema di collegamento negoziale, in Foro pad., 1974, I, p. 339; EAD., I contratti collegati, in Nuova giur. civ. comm., 1986, II, p. 256; EAD., Credito al consumo: operazione economica unitaria e pluralità di contratti, in Riv. dir. comm., 1991, I, p. 608; EAD., Contratti collegati: il caso del credito al consumo, in Giur. civ. comm., 1995, I, p. 305; EAD., Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, p. 233; EAD., I contratti collegati: principi della tradizione e tendenze innovative, in Contr. e impr., 2000, 1, p. 127.
Ma è in occasione del commento a singole pronunce giurisprudenziali che la dottrina si è sbizzarrita nell’accostamento del tema del collegamento alle più disparate problematiche. Per limitarci alla citazione di alcuni solamente dei contributi di cui consta la sterminata letteratura sull’argomento: SATTA F., Corrispettività fra prestazioni, collegamento fra negozi, e proroga legale della locazione, in Giur. it., 1950, I, 2, p. 357; VELLANI M., In tema di negozi collegati, in Giur. compl. Cass. civ., 1951, III, 1, p. 320; XXXXXXXXX P., In tema di negozi collegati, in Dir. e giur., 1960, p. 273; XXXXXXXX X., Xxx negozi collegati, in Riv. dir. comm., 1962, II, p. 342; XXXXXX XXXXXXXX X., Negozi collegati e negozio di collegamento, in Dir. e giur., 1968, p. 837; SPALLAROSSA M.R., Xxxxxxxxx collegati e giudizio di buona fede, in Giur. merito, 1972, p. 149; XXXXXXX X., nota a Xxxx. n. 2404/1971, in Giust. civ., 1971, I, p. 1537; XXXXXXXX X., Criteri obiettivi (e “mistica della volontà”) in tema di collegamento negoziale, in Foro pad., 1974, I, p. 339; DI XXXXX X., I negozi collegati nella recente giurisprudenza (note critiche), in Dir. e giur., 1976, p. 130; XXXXXX E., Il fenomeno dei negozi collegati e le sue applicazioni in tema di contratti assicurativi, in Giust. civ., 1975, I, p. 1384; XXXXXXX F., Un interessante caso di collegamento negoziale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1979, p. 1586; XXXXXXX X., Parte plurisoggettiva e collegamento negoziale, in Dir. e giur., 1979, p. 430; XXXXXXXXXXXX G., Sussistenza e rilevanza di un collegamento negoziale nella prelazione agraria, in Nuovo dir. agr., 1982, p. 253; XXXXXXX X.X., Xxxxxx collegati ed eccezioni di inadempimento, Giur. it., 1982, I, 1, p. 378; ID., Sul collegamento funzionale di contratti, in Giur. it., 1984, I, 1, p. 1459; MELI M., Un caso di collegamento negoziale tra sottoscrizione di azioni e conferimento di appalti, in Giur. it., 1985, I, 1, p. 350; DELL’AQUILA F., Osservazioni sui contratti c.d. complessi e misti, in Riv. giur. sarda, 1990, p. 606; CLAPIZ D., Forma dei negozi complementari e collegati, in Riv. dir. civ., 1992, p. 738; XXXXXXX E., Collegamento contrattuale e recesso, in Rass. dir. civ., 1993, p. 429; XXXXXXX M., Riflessi di vicende sospensive dell'efficacia del contratto nel collegamento negoziale, in Dir. e giur., 1992, II,
p. 603; DE MARI C., Collegamento negoziale materiale e legittimazione dell’azione di
nullità, in Giur. it., 1993, fasc. V, pt. 1, p. 1075; XXXXXXX X., Collegamento negoziale e principio di buona fede nel contratto di credito per l'acquisto: l'opponibilità al finanziatore delle eccezioni relative alla vendita, in Foro it., 1994, I, p. 3097; SCODITTI E., Collegamento negoziale come fattispecie autonoma, in Foro it., 1994, I, p. 3094; ARMONE G., Collegamento negoziale e revocatoria: qualche osservazione, in Giur. it., 1995, I, 1, p. 767; CHINÈ G., Il collegamento contrattuale fra tipicità e atipicità, in Giust. civ., 1996, I, p. 1096; PIROTTA X., Contratto per persona da nominare e collegamento negoziale, in Contratti, 1996, 4, p. 329; XXXXXXXXXX F., La dicotomia
contratti misti-contratti collegati: tra elasticità del tipo ed atipicità del contratto, in Riv. dir. comm., 1996, II, p. 553; XXXXXXXXX F., Collegamento negoziale e multiproprietà azionaria, in Vita not., 1997, p. 1372; XXXXX X., Leasing, collegamento negoziale ed azione diretta dell’utilizzatore, in Foro it., 1998, I, p. 3081; MARI E., Collegamento funzionale tra un contratto di mutuo di scopo e un contratto di compravendita, in Temi rom., 1998, p. 864; XXXXXXXX A., Sulla definizione di collegamento contrattuale, in Contratti, 1999, p. 336; XXXXXXXX S., I contratti collegati: profili dell’interpretazione, in Europa e dir. privato, 2000, p. 133; XXXXXXXX P., Compravendita e mutuo di scopo: un’ipotesi di collegamento negoziale, in Banca, borsa e tit. cred., 2002, II, p. 400; nonché in Contratti, 2001, p. 1126; GIUA L., Sul collegamento tra negozi giuridici: in particolare, le vendite incrociate in funzione di permuta, in Riv. giur. sarda, 2001, p. 615; MAGRÌ A., Offerta reale e pluralità di creditori, incidenza del collegamento negoziale sull’eadem causa obligandi, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, p. 380; XXXXXX X., Riflessioni sugli effetti della risoluzione di uno dei negozi collegati, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, p. 654; XXXXX S., Collegamento negoziale: funzionale od occasionale?, in Giur. it., 2002, p. 1618; XXXXX A., Contratti collegati e disciplina della nullità parziale: un difficile connubio (il caso del patto commissorio), in Rass. giur. umbra, 2003, p. 418; REDI I., Contratto di leasing e opzione di riscatto anticipato: un’altra figura di collegamento negoziale, in Giur. it., 2004, p. 739; SERRA M.C., Osservazioni in tema di collegamento negoziale, in Foro pad., 2004, I, p. 263; CORNELI N., Il collegamento negoziale nel contratto di leasing, in Arch. civ., 2004, p. 1414; BRAVO F., L’unicità di regolamento nel collegamento negoziale: la “sovrapposizione” contrattuale, in Contratti, 2004, p. 118; SCARAMUZZINO F.M., Collegamento contrattuale e clausola di esclusione, in Riv. not., 2004, p. 204; TRENTINI C., Collegamento tra contratto di cooperativa edilizia e atto di assegnazione degli alloggi ai soci, in Contratti, 2004, 11, p. 1034; SEMPI L., Collegamento negoziale e «considerazione unitaria della fattispecie», in Giur. it., 2005, p. 1827; COLOMBA PERCHINUNNO M.R., Collegamento negoziale e contratti informatici: dai contratti sul software all’open source, in Contr. e impr., 2005, p. 205; XXXXXXX LUONI C., Collegamento negoziale e mancata applicazione del principio di buona fede, in Contratti, 2005, I, p. 30; MAISTO F., Sulla struttura del collegamento funzionale tra contratti, in Rass. dir. civ., 2005, p. 512; XXXXXXX G., In tema di leasing e collegamento negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 2005, I, p. 772; XXXXXXXX E., Collegamento negoziale tra contratto di agenzia e sublocazione (autonomia delle rispettive dell’indennità di fine rapporto e da avviamento), in Giur. it., 2006, 11, p. 2064; COSSU M., Domestic currency swap e disciplina applicabile ai contratti su strumenti finanziari. Brevi note sul collegamento negoziale, in Banca, borsa e tit. cred., 2006, II, 2, p. 168; VERDI M., Patto commissorio e collegamento negoziale, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 000; XXXXXXXX E., Collegamento negoziale e recesso intimato al socio-lavoratore, in Lav. nella giur., 2007, 5, p. 444; XXXXXXX X., Collegamento negoziale e pagamento traslativo nella revocatoria dei trasferimenti immobiliari realizzati tra coniugi in occasione della separazione consensuale, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 378; XXXXXXXX E., Il collegamento negoziale occasionale, in Contratti, 2008, p. 132; XXXXXXX A., Collegamento negoziale ed autonomia disciplinare
Si è notato, dunque, come le doti evocative della locuzione “collegamento negoziale” abbiano determinato – pur a fronte della conclamata incertezza nella definizione stessa – un impiego larghissimo del termine.
Ad esso si è fatto riferimento per alludere ai rapporti esistenti tra negozio preliminare e negozio definitivo, tra contratto di garanzia (e, più in generale, tra contratto accessorio) e contratto principale, tra negozio astratto e rapporto fondamentale.25
Alla teoria del collegamento ci si è rivolti per spiegare il fenomeno del subcontratto 26 , del negozio indiretto 27 , del negozio fiduciario28, della frode alla legge 29, della transazione.30 Il suo impiego ricorre anche per dare conto della varietà di contenuto degli accordi intercorsi fra coniugi all’atto della
dei contratti collegati, ivi, 2008, 12, p. 1093; TOSCHI VESPASIANI F., Credito al consumo e collegamento negoziale tra vendita e finanziamento, ivi, 2008, p. 266; XXXXXX I.L., Collegamento negoziale, causa concreta e clausola di traslazione del rischio: la giustizia contrattuale incontra il leasing, in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 358; DE POLI M., Credito al consumo e collegamento negoziale, qualche luce, molte ombre..., in Nuova giur. civ. comm., 2009, p. 1094; PUPPO C.A, Credito al consumo e collegamento negoziale, in Giur. it., 2009, p. 2392; RONCHESE F., Credito al consumo e diritti del consumatore nel rapporto con il finanziatore, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, p. 440; XXXXX C.A., Collegamento contrattuale legale e volontario, con particolare riferimento alla (vecchia e nuova) disciplina del credito ai consumatori, in Giur. it., 2011, p. 308.
25 Cfr. SCOGNAMIGLIO R., Collegamento negoziale, cit., p. 375; XXXXXXX
XXXXXXXXXX F., Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 216; MESSINEO F., Contratto collegato, cit., p. 49 e ss.; CARIOTA FERRARA L., Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 318 e ss. Quanto vado esponendo è evidenziato da XXXXXXXX X., I contratti collegati, cit., p. 257.
26 Cfr. la bibliografia citata, infra, alla nota n. 218.
27 Cfr. XXXXXXXX A., Appunti in tema di negozi giuridici collegati, cit., p. 267, e, più di recente, XXXXX B., I contratti collegati nelle esperienze giuridiche italiana e francese, cit., p. 29 e ss.
28 Cfr. XXXXXXXXXX X., Negozi giuridici collegati, cit., pp. 325-326, e ASCARELLI X.,
Il negozio indiretto e le società commerciali, cit., p. 3 e ss.
29 Si veda specificamente, infra, il § 3.6.5.
30 Cfr. CARNELUTTI F., La transazione è un contratto?, in Riv. dir. proc. civ., 1953, I,
p. 187 e ss.
separazione consensuale31, per individuare i rapporti esistenti tra contratto sociale e patti parasociali 32 , per studiare il problema dei patti successori33, per evidenziare la pluralità dei rapporti in cui si articola la c.d. polizza fideiussoria34 , o le relazioni tra contratti di leasing e di vendita del bene oggetto della concessione.35
L’esemplificazione potrebbe continuare considerando i casi della locazione con annesso obbligo di modificare la cosa locata, dell’appalto per la costruzione di un edificio in cui il corrispettivo dell’opera è costituito dal trasferimento della proprietà di alcune parti dell’edificio da costruire (e per il quale si stipula contestualmente il preliminare di vendita), dei molteplici contratti di trasporto intercorrenti tra le stesse parti, delle convenzioni urbanistiche tra comune e privati.36
Di recente, sono state inquadrate nel meccanismo del collegamento le operazioni, socialmente tipizzate, del project finance e del leveraged buy-out 37 , nonché il servizio di brokeraggio.38
31 Si veda FALZEA A., La separazione personale, Milano, 1943, p. 98 e ss., nonché in
Fam. e dir., 1996, p. 549.
32 Cfr. la classica trattazione di OPPO G., I contratti parasociali, cit., p. 67 e ss., e, di recente, la critica di XXXXX X., I patti parasociali e il collegamento negoziale, in Giur. comm., 2004, I, p. 200, che definisce il richiamo al collegamento negoziale in materia di patti parasociali “un medio argomentativo assolutamente inutile”.
33 Cfr. PALAZZO A., Autonomia contrattuale e successioni anomale, Napoli, 1983, p. 14 e ss.
34 Si legga Cass., 01.09.1984, n. 4751, in Giur. it., 1985, I, 1, p. 952, con nota di XXXXXX X., Rapporti fra debitore e garante nelle cosiddette assicurazioni fideiussorie.
35 Cfr. CLARIZIA R., Collegamento negoziale e vicende della proprietà. Due profili della locazione finanziaria, Rimini, 1982, p. 9 e ss., spec. 42 e ss., e XXXXX B., I contratti collegati nelle esperienze giuridiche italiana e francese, cit., p. 101 e ss. e la bibliografia ivi citata.
36 Cfr., rispettivamente, Xxxx. 18.02.1977, n. 751, in Giur. it., 1978, I, 1, p. 599; Cass. 28.03.1977, n. 1205, cit.; Trib. Genova 28.12.1970, in Giur. merito, 1972, I, p. 149, cit.; Cass., 11.03.1981, n. 1389, in Giur. it., 1982, I, 1, p. 378; Cass., 17.03.1978,
n. 1346, in Giur. it., 1978, I, 1, p. 2171. Cfr., altresì, la casistica riportata da DI NANNI C., I negozi collegati nella recente giurisprudenza (note critiche), cit., p. 137.
37 Cfr. XXXXX M., Contratti collegati e operazioni complesse, cit., p. 1235. La prima figura consta di: a) un contratto di appalto “chiavi in mano”, con garanzie a
Da questa panoramica risulta la tendenza ad impiegare il concetto di collegamento per risolvere problemi pratici assai diversi l’uno dall’altro 39 e, pertanto, si è correttamente osservato che ciò contribuisce all’impoverimento di un concetto che, astraendosi sempre più dalla realtà, diviene generico e perde gradualmente e proporzionalmente contenuto ed efficacia.40
prima richiesta emesse da istituti bancari a tutela del completamento dei lavori;
b) i contratti di acquisto o di affitto di terreno su cui realizzare l’impianto; c) un contratto di manutenzione e gestione dell’impianto; d) i contratti di assicurazione per la copertura dai rischi di inadempimento. Cfr., in materia, RABITTI G.L., Project finance e collegamento contrattuale, in Contr. e impr., 1996, 1, p. 224; XXXXXXXXXX X., Profili privatistici del project financing e gruppi di contratti, Contr. e impr., 2003, p. 395; FONDA C., Il project financing tra lex mercatoria e contratto, alla scoperta della causa, Roma, 2008; CASTENASI S., La finanza di progetto tra interesse pubblico e interessi privati, Firenze, 2009, p. 20 e ss. La seconda, invece, si realizza attraverso: a) la costituzione di una nuova società; b) la conclusione di un contratto di finanziamento per acquistare le azioni della società bersaglio; c) la costituzione in garanzia delle azioni e del patrimonio della società; d) l’acquisizione della società bersaglio; e) la fusione fra la società costituita e quella bersaglio, per la quale l’art. 2501 bis2 c.c. stabilisce che la relazione degli amministratori di cui all’art. 2501 quinquies c.c. debba indicare le ragioni che giustificano l’operazione e contenere un piano economico e finanziario con l’indicazione della fonte delle risorse finanziarie e la descrizione degli obiettivi che si intendono raggiungere. Cfr., sul tema, XXXXX X., Profili civilistici del leveraged buyout, Milano, 2003, p. 24 e ss.
38 Cfr. T.A.R. Reggio Calabria, 09.02.2010, n. 62, in Red. Amm. TAR, 2010, 2: “il
servizio di brokeraggio, essendo un negozio collegato al contratto assicurativo la cui conclusione rappresenta lo scopo del broker, integra una fattispecie negoziale complessa, avente causa in parte associativa ed in parte di scambio”.
39 Per quanto attiene agli aspetti connessi con le questioni di diritto internazionale privato e processuale che possono porsi in presenza di una pluralità di contratti collegati, cfr., per una panoramica, XXXX A., Il collegamento contrattuale: note in materia civile, arbitrale internazionale e di conflitti di legge, in Xxxxx xxxx. xxx., 0000, XX, x. 00; e XXXXXXX X., Il collegamento negoziale nel diritto internazionale privato, in Riv. dir. priv., 1998, p. 250. In relazione alle problematiche processuali che il collegamento negoziale solleva cfr. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX E., Collegamento negoziale e arbitrato, in AA.VV., I collegamenti negoziali e le forme di tutela, cit., nonché in xxx.xxxxxxxx.xx, 2008; e MARI E., Collegamento funzionale tra un contratto di mutuo di scopo e un contratto di compravendita, cit., p. 864.
40 Tale osservazione e l’esemplificazione che precede sono di XXXXXXXX X., I
contratti collegati, cit., pp. 256-258.
Allora l’espressione “collegamento negoziale” appare talvolta essere più che una categoria operativa del linguaggio giuridico, un nomen utilizzato indiscriminatamente per designare problemi diversi ed eterogenei. 41 Tanto che si è asserito che si dovrebbe parlare non di un solo collegamento negoziale ma di più tipi di negozi collegati e, perciò, che si debba discutere non del, ma dei collegamenti fra negozi.42
Tuttavia, è indubbio che per avere una sua utilità la nozione di collegamento negoziale debba definirsi non tanto in vista di scopi descrittivi, ma piuttosto ricostruttivi, al fine di risolvere concreti problemi di disciplina di fattispecie in cui un risultato pratico e unitario è raggiunto attraverso l’uso combinato di distinti tipi contrattuali.43
Una volta definiti i lineamenti teorici del collegamento ed inquadratene le possibilità operative, resta, altresì, da individuarne i limiti.
In tal senso è stato acutamente rilevato che, trattandosi di uno strumento al quale il giudice fa ricorso in sede di qualificazione e controllo dell’attività privata, il rischio è quello di un progressivo ampliamento dell’area del collegamento che, nell’ansia di realizzare la giustizia del contratto nel caso concreto, finisca con lo sfumare i contorni della figura fino a renderla «una sorta di grimaldello utilizzabile in tutti i casi in cui lo strumentario tradizionale non consente di giungere a
41 Così ancora XXXXXXXX X., I contratti collegati, cit., p. 258.
42 CLARIZIA R., Collegamento negoziale e vicende della proprietà. Due profili della locazione finanziaria, cit., p. 400. L’Autore ritiene addirittura che l’espressione collegamento contrattuale si risolva “in un nomen che comprende una serie di ipotesi non riconducibili ad un criterio generale di applicazione”, per concludere che il collegamento negoziale non assume, “al di fuori dei casi di collegamento per volontà della legge, autonoma rilevanza giuridica”; in senso adesivo XXXXXXXXX G., Negozi collegati in funzione di scambio, cit., p. 437. Significativamente, una recente silloge di contributi sul tema da parte di autorevoli autori è intitolata I collegamenti negoziali e le forme di tutela, cit.
43 Cfr. XXXXXXXX X., I contratti collegati, cit., p. 261.
risultati appaganti in relazione alla sensibilità del singolo giudice».44
Si è osservato che tradizionalmente si ricorre al collegamento negoziale per risolvere tre ordini di problemi distinti.45
Innanzitutto, si fa riferimento al nesso di collegamento per determinare la disciplina applicabile ai contratti collegati quando le parti non abbiano espressamente disposto.46
In particolare, come vedremo, la giurisprudenza suole accostare i contratti collegati al contratto misto, quali contrapposte chiavi di lettura di operazioni economiche complesse. Mentre, infatti, dalla qualificazione giuridica unitaria discende l’applicazione di un’unica disciplina tipica, in omaggio alla c.d. teoria dell’assorbimento, dalla individuazione di più strumenti negoziali, consegue che a ciascun contratto, in modo conforme alla rispettiva autonomia di struttura, sarà applicabile una disciplina differente.
Un secondo ordine di problemi involge il controllo sulla complessiva operazione economica posta in essere per mezzo di più contratti collegati: l’esistenza di una relazione tra contratti potrebbe, infatti, disvelare un affare in frode alla legge.
44 XXXXX M., Contratti collegati e operazioni complesse, cit., p. 1234. Del resto, rilevava già DI NANNI C., I negozi collegati nella recente giurisprudenza (note critiche), cit., p. 130, che la nozione di collegamento negoziale esercita sulla giurisprudenza, specie delle corti di merito, un’attrazione che ne evidenzia la grande forza assorbente, dal momento che ad essa è ricondotta “la maggioranza delle ipotesi in cui non si riscontra, con assoluta sicurezza, la coesione di più prestazione atipiche intorno al nucleo essenziale di uno schema negoziale tipico”.
45 Così XXXXXXXX X., I contratti collegati, cit., p. 261.
46 La giurisprudenza, infatti, ha iniziato a porsi il problema della rilevanza del rapporto tra due o più contratti proprio in relazione ad ipotesi nelle quali le parti avevano trascurato di considerare e regolare l’incidenza, su uno dei due o più contratti, delle possibili vicende giuridiche che potevano interessare l’altro o gli altri negozi: il collegamento rappresenta la soluzione tecnica con cui la giurisprudenza riesce ad accordare tutela alle parti pregiudicate da determinate vicende sfavorevoli che, pur se astrattamente prevedibili, non erano state previste e considerate nella loro incidenza in sede di conclusione del contratto. Cfr. TROIANO P., Il collegamento contrattuale volontario, cit., p. 110.
Infine, il collegamento negoziale è chiamato in causa in relazione al problema della trasmissione delle patologie negoziali tra atti collegati e, in generale, in relazione allo svolgimento del rapporto: si considerino le questioni relative all’invalidità ovvero all’inadempimento, alla risoluzione, al recesso e così via. Esse vengono usualmente risolte invocando l’operatività del principio simul stabunt simul cadent.47
Peraltro, l’inquadramento della materia si presenta estremamente intricato in virtù della conclamata deficienza di una regolamentazione del fenomeno in parola da parte dell’ordinamento: il legislatore non fornisce una definizione di collegamento negoziale né stabilisce quando un nesso fra due o più negozi acquisti rilevanza giuridica.48
D'altra parte, appare degna di particolare menzione la circostanza che il collegamento negoziale, di recente, sia giunto ad essere oggetto di esplicito riconoscimento legislativo in disposizioni di rilevante importanza sistematica quali la disciplina del credito al consumo49, quella dei contratti con i
47 La tripartizione delle problematiche è di XXXXXXXX X., I contratti collegati, cit., pp. 261-262.
48 Cfr. le osservazioni al riguardo di LENER G., Profili del collegamento negoziale, cit., p. 203.
49 L’art. 000 xxx Xxxxx Xxxxx Xxxxxxxx (X. Lgs. 01.09.1993, n. 385), così come modificato dal D. Lgs. 13.08.2010, n. 141, definisce il contratto di credito collegato come quel contratto di credito finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici, col ricorso di almeno una delle seguenti condizioni: 1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito; 2) il bene o il servizio specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito.
L’art. 125 ter del T.U.B. (introdotto dal D. Lgs. 13.08.2010, n. 141) disciplina l’ipotesi di recesso del consumatore dal contratto di finanziamento: “Il consumatore può recedere dal contratto di credito entro quattordici giorni; il termine decorre dalla conclusione del contratto o, se successivo, dal momento in cui il consumatore riceve tutte le condizioni e le informazioni previste ai sensi dell’articolo 125-bis, comma 1”. Ed al quarto comma è previsto che “Il recesso disciplinato dal presente articolo si estende automaticamente, anche in deroga alle condizioni e ai termini eventualmente previsti dalla normativa di settore, ai contratti aventi a oggetto servizi accessori connessi col contratto di credito, se tali
consumatori50 , quella concernente la c.d. “multiproprietà”51 , quella dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali o
servizi sono resi dal finanziatore ovvero da un terzo sulla base di un accordo col finanziatore. L’esistenza dell’accordo è presunta. È ammessa, da parte del terzo, la prova contraria”.
L’art. 125 quinquies del T.U.B. (anch’esso introdotto dal D. Lgs. 13.08.2010, n. 141), dispone che “nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile”. Si tratta di una disposizione di eccezionale rilievo, la cui introduzione è il frutto di una lunga elaborazione dottrinale sviluppatasi nel solco della valorizzazione dell’unitarietà dell’operazione trilaterale cui dà luogo il collegamento tra contratto di fornitura e contratto di concessione di credito. In particolare, rispetto all’originaria formulazione dell’art. 1254 del T.U.B., è stata eliminata la condizione dell’esistenza di un’esclusiva a favore del finanziatore per la concessione del credito, generalizzando l’applicabilità della disciplina in questione a tutte le operazioni di finanziamento in cui sia parte il consumatore.
Per un’analisi critica della disciplina attuativa della direttiva 2008/48/CE si vedano GORGONI M., Xxx contratti di finanziamento dei consumatori, di cui al Capo II Titolo VI T.U.B., novellato dal Titolo I del D. Lgs. n. 141 del 2010, in Giur. merito, 2011,
p. 323; e MIGNACCA G., Inadempimento del fornitore nel credito al consumo e rimedi relativi al rapporto di finanziamento, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
50 Cfr. l’art. 1469 ter x.x., xxxxxxxxxx xxxxx X. 00.00.0000, x. 00, xxxxxxxxx xxxxx Xxxxxxxxx XX n. 13/1993; ora art. 34 del D. Lgs. 06.09.2005, n. 206, (Codice del consumo), a mente del quale il giudizio di vessatorietà delle previsioni contrattuali dipende anche dalla valutazione delle “altre clausole del contratto medesimo o di altro collegato o da cui dipende”. Mentre il richiamo alle “altre clausole del contratto medesimo” sembra riferirsi al criterio ermeneutico dell’interpretazione complessiva del contratto ex art. 1363 c.c., il riferimento alle clausole “di altro collegato o da cui dipende” pare segnare l’esplicito riconoscimento a livello normativo del fenomeno del collegamento negoziale. La norma distingue le ipotesi di interdipendenza (nesso di collegamento bilaterale, considerate l’unica figura di collegamento stricto sensu) da quelle di dipendenza (nesso di collegamento unilaterale, il richiamo al quale appare pleonastico, attesa la comprensiva menzione del collegamento) tra contratti. Scenario di valutazione dello squilibrio normativo tra professionista e consumatore che determina la vessatorietà di una clausola deve essere, dunque, l’operazione nel suo complesso, id est i contratti collegati nel loro insieme. Si veda, amplius, infra, il § 3.3.
51 Il D. Lgs. 23.05.2011, n. 79 ha riformato integralmente il Capo del Titolo IV del
D. Lgs. 06.09.2005, n. 206 (Codice del consumo) e, in particolare, la formulazione dell’art. 77 (il quale in precedenza riproduceva fedelmente l’art. 8 del D. Lgs.
conclusi a distanza 52 , quella relativa al lavoro interinale 53 e quella del patto di famiglia54, tramutandosi così in categoria normativa.
09.11.1998, n. 427, a sua volta modellato sull’art. 7 della Direttiva CE n. 13/1993), che adesso dispone: “1. L’esercizio da parte del consumatore del diritto di recesso dal contratto di multiproprietà o dal contratto relativo a un prodotto per le vacanze di lungo termine comporta automaticamente e senza alcuna spesa per il consumatore la risoluzione di tutti i contratti di scambio ad esso accessori e di qualsiasi altro contratto accessorio. 2. Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 125-ter e 125-quinquies del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, in materia di contratti di credito ai consumatori, se il prezzo è interamente o parzialmente coperto da un credito concesso al consumatore dall’operatore o da un terzo in base a un accordo fra il terzo e l’operatore, il contratto di credito è risolto senza costi per il consumatore qualora il consumatore eserciti il diritto di recesso dal contratto di multiproprietà, dal contratto relativo a prodotti per le vacanze di lungo termine, o dal contratto di rivendita o di scambio”. In questa ipotesi, l’esercizio dello jus poenitendi relativo al contratto istitutivo del diritto di godimento turnario dell’immobile comporta la risoluzione ipso jure non solo del contratto di concessione del credito, ma anche di tutti i contratti “di scambio” ad esso accessori: l’affare “cade” nella sua globalità.
52 Cfr. art. 58, D. Lgs. 22.06.1999, n. 185, attuativo della Direttiva CE n. 7/1997,
ora art. 676, del D. Lgs. 06.09.2005, n. 206, (Codice del consumo), che dispone: “qualora il prezzo di un bene o di un servizio, oggetto di un contratto di cui al presente titolo, sia interamente o parzialmente coperto da un credito concesso al consumatore, dal professionista ovvero da terzi in base ad un accordo tra questi e il professionista, il contratto di credito si intende risolto di diritto, senza alcuna penalità, nel caso in cui il consumatore eserciti il diritto di recesso conformemente alle disposizioni di cui alla presente sezione”.
53 Introdotto dalla L. 24.06.1997, n. 196, c.d. “Legge Treu”, abrogata dall’entrata
in vigore del D. Lgs. 10.09.2003, n. 276. La tesi del collegamento negoziale tra contratto di fornitura e contratto di prestazione di lavoro temporaneo è ampiamente sostenuta in giurisprudenza e dottrina. Si veda, al riguardo, Xxxx., 27.02.2003, n. 3020, in Gius, 2003, 13, p. 1458, la quale definisce il c.d. lavoro interinale quale “intelaiatura legislativa che pur articolandosi in negozi distinti, ciascuno dei quali funzionalizzato ad esigenze diverse, (contratto di prestazione di lavoro temporaneo e contratto di fornitura dello stesso) postula un ontologico collegamento negoziale fra le pur distinte fonti contrattuali ed un rapporto necessariamente trilaterale fra i soggetti dell’operazione”; cfr. anche Trib. Monza, 18.10.2007, ined.: “tale collegamento comporta la impossibilità per l’utilizzatore di rimanere estraneo alle conseguenze dei vizi contenuti nel contratto concluso tra impresa fornitrice e lavoratore”. In dottrina, cfr., per gli opportuni ragguagli sul tema, DEL PUNTA R., La fornitura di lavoro temporaneo nella l. n. 196/1997, in Riv. it. dir. lav., 1998, I, p. 200; XXXXX X., Il contratto di fornitura di lavoro temporaneo, in
L’obiettivo che questa ricerca si pone è quello di ricostruire il fenomeno delle relazioni qualificate tra negozi, indagandone tipologie, gradazioni e forme nel tentativo di metterne a fuoco rilevanza giuridica e risvolti di pratica utilità.
In particolare, partendo dall’esame della composita problematica del discernimento tra unità e pluralità negoziale in situazioni complesse, si cercherà di comprendere se sia opportuno postulare un nesso di collegamento tra negozi funzionalmente autonomi al fine di recuperarne l’unità economica e se sia possibile ed auspicabile giungere ad una ricostruzione unitaria del fenomeno.
Un’ultima preliminare considerazione dal punto di vista metodologico: l’individuazione di nuove ipotesi apparentemente idonee ad essere “lette” in chiave di collegamento tra contratti ha indotto la dottrina a privilegiare
Xxxx e Xxxxxxxxx, Il lavoro temporaneo – Commento alla L. n. 196/1997, Milano, 1999,
p. 106 e ss.; CORAZZA L., Dissociazione di poteri datoriali e collegamento negoziale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, p. 62 e ss.; XXXXXXXXXX E., Xxxxx stabunt simul cadent? Note in tema di lavoro temporaneo e collegamento negoziale, in Lav. e giur., 2000, p. 325 e ss.; XXXXXXX X., Profili del collegamento negoziale nel lavoro temporaneo, Riv. giur. lav., 2000, p. 242; D’XXXXXX X., Somministrazione, contratto di lavoro e tipi contrattuali utilizzabili, in Lav. nella giur., 2005, p. 731.
54 L’art. 768 quater3 c.c. – introdotto dalla L. 14.02.2006, n. 55, “Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia” –, prevede la possibilità per gli assegnatari dell’azienda di liquidare ex art. 536 c.c. i non assegnatari “anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purché vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti”. In tale ipotesi “il collegamento negoziale non assolverebbe esclusivamente alla tradizionale funzione di comunicazione al contratto collegato dei vizi e delle vicende relative al contratto principale, ma altresì alla più importante funzione di consentire il cumulo del valore dei beni oggetto del contratto collegato e dell’azienda oggetto del patto di famiglia […]. In difetto della previsione legislativa di codesto valore del collegamento negoziale, il successivo contratto attributivo di beni diversi dall’azienda, andrebbe qualificato come semplice donazione, soggetta a collazione […] e soprattutto soggetta all’aleatorietà della possibile lesione di legittima […]: ciò che naturalmente vanificherebbe l’effetto di stabile panificazione patrimoniale ricercata dal disponente”, così DE NOVA G. – XXXXXXX X., Delle successioni, in Commentario al Codice civile, diretto da Xxxxxxxxx X., Torino, 2010, p. 393.
una tecnica di ricerca inconsueta nella nostra scienza privatistica, il c.d. case law, che, attraverso un’attenta analisi scevra da apriorismi classificatori, permetterebbe di cogliere meglio i casi che effettivamente è opportuno inquadrare facendo ricorso alla nozione di collegamento, da quelli il cui l’accostamento a tale nozione potrebbe non essere di alcuna utilità.55
È questa la prospettiva che vorrei privilegiare, diffidando da risalenti condizionamenti dogmatici e dalle tralatizie categorizzazioni della pandettistica, in ragione dell’asserita sua vocazione a razionalizzare esasperatamente i dati dell’esperienza e a rivestirli di concetti, quando invece è la ricerca del caso concreto a disvelare la verità del diritto storicamente vivo.56
1.2. La casistica.
Una sorta di leading case in materia è rappresentato da una decisione della Suprema Corte a proposito di un contratto di compravendita di un immobile, appartenente a minorenni, perfezionato sotto la condizione sospensiva che fosse concessa l’autorizzazione giudiziaria richiesta per l’alienazione, al quale si aggiungeva l’accordo di depositare la somma corrispondente al prezzo nelle mani del notaio rogante, il quale l’avrebbe a sua volta consegnata al venditore o al mancato acquirente a seconda che si verificasse o meno la condizione sospensiva.57 Senonché,
55 Cfr. XXXXXXX XXXXXX X. – ARGIROFFI C., Contratti misti e contratti collegati, cit.,
p. 1; CHINÈ G., Il collegamento contrattuale fra tipicità e atipicità, cit., p. 1096.
56 Per utilizzare parole di XXXXXXXXX X., Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969, p. 13. In tal senso, è pur vero che “le concezioni classiche del diritto non collocano il contratto e la sentenza fra le fonti normative; ma se continuassimo a concepire il contratto e la sentenza come mere applicazioni del diritto, ci precluderemmo la possibilità di comprendere in qual modo muta il diritto nel nostro tempo”, XXXXXXX F., La giurisprudenza nella società post industriale, in Contr. e impr., 1989, p. 362.
57 Trattasi del caso deciso da Xxxx., 15.01.1937, n. 123, in Foro it., 1937, I, p. 1476.
verificatasi la condizione ma avendo il notaio medio tempore sperperato il denaro depositato presso di lui, i venditori si rifiutavano di consegnare l’immobile, mentre gli acquirenti agivano per ottenerne la disponibilità.
La Corte di Cassazione, dovendo risolvere il problema concreto su quale dei due soggetti del negozio fondamentale (venditore o compratore) dovessero gravare le conseguenze dell’inadempimento del depositario, sanciva che dovesse essere il compratore a subire tali oneri, argomentando dal fatto che il denaro depositato era rimasto di proprietà del compratore- depositante e che, perciò, in omaggio al principio res perit domino, il perimento della cosa non avrebbe potuto gravare che su quest’ultimo.
A prescindere dalla fragilità dei ragionamenti della Corte, che presuppongono la possibilità di perimento del denaro, la decisione fornì l’occasione ad autorevole dottrina per inquadrare la complessa vicenda in chiave di pluralità strutturale, sfruttando poi la potenzialità del collegamento negoziale per ricondurre ad unità l’affare.58
Da quel momento i casi ricostruiti in termini di collegamento tra contratti si sono moltiplicati 59 ed appare opportuno, per realizzare la complessità e la varietà delle questioni sottese alla materia, procedere all’esposizione di una sommaria panoramica giurisprudenziale.
58 Il riferimento è alle annotazioni di NICOLÓ R., Xxxxxxxx in funzione di garanzia e inadempimento del depositario, in Foro it., 1937, I, c. 1476; GRASSETTI C., Deposito a scopo di garanzia e negozio fiduciario, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x. 00; BIGIAVI X., Deposito in funzione di garanzia e inadempimento del depositario, in Foro it., 1938, I, p. 260; mentre contro l’individuazione di più negozi collegati si espressero XXXXXXX XXXXXXXXXX F., Deposito in luogo di adempimento, in Foro lomb., 1938, I, p. 97; ASCOLI A., Effetti dell’appropriazione del prezzo depositato da parte del depositario nella vendita, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x. 000; VIVANTE C., Deposito in funzione di garanzia e inadempimento del depositario, in Giur. it., 1938, I, p. 401.
59 Si veda l’ampia casistica della metà del secolo scorso riportata da DI NANNI C., Collegamento negoziale e funzione complessa, cit., pp. 300-301, note nn. 37-38, e da SPALLAROSSA M.R., Xxxxxxxxx collegati e giudizio di buona fede, cit., p. 149 e ss.
* * *
❖ Cass., 01.03.1973, n. 565.60
Apertura di credito e sconto. Il confine fra unità e pluralità negoziale.
La sentenza in esame ricorre al collegamento negoziale per spiegare i rapporti intercorrenti tra contratto di apertura di credito e contratto di sconto.
Xxxxx aveva stipulato con una banca un contratto di apertura di credito da utilizzarsi fino alla somma di venti milioni di Lire in conto corrente e fino a trenta milioni di Lire per sconto. Successivamente la banca comunicava la propria intenzione di recedere dal contratto con effetto immediato, chiedendo il pagamento di quanto dovuto più l’importo di due cambiali scontate, ma rimaste insolute alla scadenza.
Al riguardo, si trattava innanzitutto di stabilire se la banca potesse recedere senza preavviso. In tal senso, la Suprema Corte attribuisce rilievo decisivo alla clausola con cui le parti avevano pattuito la reciproca facoltà di chiedere in ogni momento il pagamento di tutto quanto fosse comunque dovuto in base alle risultanze del conto, pattuizione la cui importanza era stata trascurata dalla Corte d’Appello:
«È appena il caso di ricordare che il giudizio volto ad accertare l’inscindibile unità giuridica ed economica di due negozi postula una valutazione della volontà delle parti desunta dal contenuto delle clausole contrattuali, insindacabile dalla Corte di Cassazione, purché sorretto da adeguata e logica motivazione […], e che l’espressa statuizione della sentenza impugnata nel senso che le parti avevano regolato i rispettivi interessi per il raggiungimento di uno scopo negoziale oggettivamente unico, ponendo in essere un rapporto unitario di apertura di credito in conto corrente, non è stato censurato in questa sede. Orbene, se la combinazione di distinti schemi negoziali dà luogo ad una convenzione unitaria, in connessione con l’unicità della funzione economico-sociale perseguita, ogni clausola di tale convenzione può essere adeguatamente
60 In Foro pad., 1974, I, p. 338.
apprezzata, nell’indagine ermeneutica cui il giudice deve procedere, soltanto se venga esaminata, quanto alla sua portata e compatibilità con tutte le altre, nel contesto della complessiva disciplina che le parti, nei limiti e con l’efficacia delle manifestazioni di privata autonomia, hanno dato al rapporto».
Una seconda questione, tuttavia, si imponeva all’attenzione dei Giudici di legittimità con riferimento alle due cambiali, scontate dalla banca, non onorate dal debitore cambiario ed il cui pagamento era stato richiesto a Xxxxx in forza dell’art. 1859 c.c., domanda alla quale Xxxxx aveva replicato sostenendo che l’importo delle due cambiali avrebbe dovuto essergli addebitato sul conto corrente, residuando ancora disponibilità a proprio favore.
Nel giudizio di merito si era manifestata disparità di opinioni tra le parti (e tra Tribunale e Corte d’Appello) sul modo di intendere i rapporti tra apertura di credito e sconto in conto corrente, prevalendo poi la tesi dell’unità negoziale. La Suprema Corte, invece, muovendo dal rilievo dell’esistenza di un unico fine cui erano diretti apertura di credito e sconto, evidenziava la sussistenza del collegamento tra i due contratti, osservando come la loro predisposizione congiunta consentisse alle parti di conseguire risultati utili altrimenti esclusi:
«lo sconto cambiario combinato con l’apertura di credito in conto corrente, nella quale il beneficiario può utilizzare il credito soltanto scontando presso la banca cambiali emesse a suo favore, mentre dà al cliente la sicurezza di ottenere, fino alla concorrenza di una data somma, sconti altrimenti sempre rifiutabili dalla banca, nonché la possibilità di beneficiare di un fido per cifra più alta in ragione della maggiore garanzia che offre alla banca l’utilizzazione dell’apertura di credito per mezzo dello sconto, consente d’altra parte alla banca accreditante l’assunzione di un minor rischio, data la presenza di due responsabili nei suoi confronti (debitore principale e cliente girante per lo sconto), ed offre alla stessa, per effetto della dipendenza di ogni accredito al cliente da un’operazione di sconto, il vantaggio di una notevole mobilità del conto stesso, nonché la possibilità di smobilizzare via via il credito concesso riscontando le cambiali o esigendone il pagamento alla scadenza».
La Suprema Corte, quindi, conclude individuando i rapporti intercorrenti tra i due contratti:
«Il collegamento funzionale dell’accredito con il contestuale negozio di sconto, si risolve nella dipendenza del primo dall’esito del secondo, nel senso che, non verificandosi il pagamento da parte del debitore cambiario, nasce a favore della banca il diritto di agire nei confronti del cliente con le azioni che ad essa spettano in forza del contratto di sconto […]. È chiaro che se la banca, nel caso di mancato pagamento della cambiale scontata, non potesse rivolgersi contro lo scontatario con le azioni ad essa accordate dall’art. 1859 cod. civ., ma dovesse attendere la fine del rapporto di apertura di credito, perderebbe quelle garanzie che da un ordinario sconto le deriverebbero ed alle quali, stipulando una apertura di sconto utilizzabile fino ad un determinato ammontare soltanto attraverso (uno o più) sconti cambiari, non può ritenersi abbia implicitamente rinunciato».
Insomma, la pronuncia in oggetto affronta tutti e tre i problemi che caratterizzano l’indagine sul collegamento negoziale: la questione dell’unità e della pluralità negoziale, quella del fondamento e dell’accertamento del nesso di collegamento e, infine, quella relativa agli effetti del collegamento sulla disciplina dei negozi collegati.
Il primo appare essere risolto sulla base del mero confronto tra fattispecie concreta e schemi tipici, ravvisandosi la pluralità strutturale. Nella complessa operazione intercorsa tra le parti in causa, infatti, sono ravvisabili i profili propri di due negozi caratteristici della prassi bancaria: lo sconto e l’apertura di credito. In questo senso è facile notare la sottigliezza, che sfiora l’evanescenza, della linea che separa la qualificazione dell’affare come un unico contratto misto dalla sua frammentazione in una pluralità di negozi tipici.
Il legame tra contratti è, invece, il risultato dell’attività
ermeneutica che perviene ad individuare gli interessi sottesi all’operazione complessa: la subordinazione funzionale di un negozio all’altro costituisce strumento di tutela di un interesse apprezzabile oggettivamente nel regolamento contrattuale.
Infine, appare evidente che il maggior fido concesso dalla banca al cliente trovi la sua giustificazione nella maggior garanzia che lo sconto offre alla banca stessa e perciò la Suprema Corte afferma la sussistenza di un nesso di dipendenza unilaterale dell’apertura di credito dallo sconto e l’applicabilità a quest’ultimo dell’art. 1859 c.c.
* * *
❖ Cass., 18.01.1988, n. 321. 61
Pactum de ineunda societate e promessa di vendita a favore della società costituenda. L’invalidità del primo si riverbera sulla seconda.
Per mezzo di una scrittura privata Tizio, nella qualità di socio della ABC S.r.l., e Caio, avendo deciso di costituire tra loro una società per la costruzione e la vendita di un prototipo di imbarcazione realizzato dalla ABC S.r.l. e in via di definitivo allestimento, convenivano, di costituire “quanto prima possibile” una società atta a perseguire tali scopi. Xxxxx si impegnava poi, nella sua qualità, a far mettere a disposizione della costituenda società capannoni, attrezzature e quant’altro necessario per la costruzione del prototipo della detta imbarcazione. Entrambi i soggetti contraenti si obbligavano a versare, in corrispettivo, Lire 100 milioni per il prototipo. Su detto importo i predetti soggetti versavano in conto Lire 27 milioni ciascuno, riservandosi di versare il saldo (di Lire 23 milioni ciascuno) entro i successivi due mesi.
Xxxxx, il giorno seguente alla stipula, comunicava che
l’amministratrice della ABC S.r.l. aveva accettato che il prototipo venisse ceduto alla costituenda società.
61 In Giust. civ., Rep. 1988, voce Invalidità, n. 370; nonché in Giur. comm., 1988, II, p. 321.
Qualche mese più tardi, Xxxx conveniva davanti al Tribunale di Roma Xxxxx e la ABC S.r.l. e – premettendo di essere stato indotto ad accettare la proposta fattagli da Xxxxx che si spacciava come esperto di costruzioni nautiche e che gli aveva assicurato che il panfilo in questione per le sue rivoluzionarie caratteristiche strutturali avrebbe avuto un lusinghiero successo di mercato – esponeva che Xxxxx si era reso inadempiente in ordine alla costituzione della società che avrebbe dovuto acquistare l’imbarcazione e che comunque il contratto doveva essere annullato per dolo o risolto per inadempimento stante la mancanza delle qualità promesse ed essenziali e per il grave ritardo nella consegna del prototipo promesso.
Xxxxx, di converso, opponeva che alla stipula dell’atto
costitutivo della società non si era pervenuti in quanto lo stesso Xxxx pretendeva di imporre altri due soci e faceva presente che lo stesso non aveva provveduto, al pari di lui, a versare il saldo di Lire 23 milioni. Proponeva poi domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni da lui subiti.
Il Tribunale di Roma ravvisava, nella scrittura privata, due negozi distinti e autonomi: a) un contratto preliminare avente per oggetto la futura costituzione di una società commerciale per la produzione e la vendita del prototipo d’imbarcazione; b) un contratto di compravendita del prototipo con contemporanea cessione del diritto di venderlo e di produrlo industrialmente in altri esemplari.
Peraltro, dichiarava la nullità ex artt. 1346 e 1418 c.c. del pactum de ineunda societate, per difetto di indicazione del tipo della costituenda società, rigettando tutte le altre domande e valutando le inadempienze che le parti si erano reciprocamente addebitate nel senso che fosse colpevole, per essersi ingiustificatamente rifiutato di pagare il saldo del prezzo pattuito, il comportamento tenuto da Caio. Rinviava la liquidazione del danno in separata sede, e ordinava la restituzione a Caio di Lire 27 milioni, dati in acconto.
Avverso tale sentenza entrambe le parti interponevano gravame.
La Corte d’Appello di Roma ravvisava il collegamento funzionale tra i due distinti negozi sopra menzionati e la reciproca interdipendenza che le parti avevano stabilito tra il patto di costituzione della società e quello diretto ad assicurare alla costituenda società la disponibilità del prototipo d’imbarcazione e l’attrezzatura cantieristica necessaria per lo sfruttamento commerciale.
In disaccordo con il Tribunale, però, riteneva che la nullità del pactum de ineunda societate derivasse non dall’indeterminatezza del tipo di società da costituire, che era individuabile in quello della società di capitali, bensì dal fatto che per la costituzione di tale tipo di società, ai sensi dell’art. 2328 c.c., è richiesta ad substantiam la forma dell’atto pubblico e che, per il disposto dell’art. 1351 c.c., anche per l’analogo contratto preliminare è richiamata la stessa forma, nella specie non osservata. Riteneva, inoltre, la Corte d’Appello di Roma che la nullità del pactum de ineunda societate si estendesse al negozio collegato in cessione del prototipo dell’imbarcazione.
L’adita Corte di Cassazione, dopo aver ritenuto di trovarsi
in presenza di un’ipotesi di contratti bilateralmente collegati, confermava la sentenza della Corte d’Xxxxxxx.
Per quanto attiene al contratto preliminare di società, la Suprema Corte – dopo aver speso qualche considerazione sull’ammissibilità di tale accordo – conferma la nullità del preliminare di società per vizio di forma.
Per quanto attiene, invece, alla questione degli effetti della nullità di tale contratto preliminare sulla collegata promessa di vendita del prototipo, la Corte di Cassazione ritiene applicabile, in generale, la disposizione di cui all’art. 1419 c.c., salvo precisare che:
«nell’ipotesi di contratti collegati, non meno che in quella di parti del medesimo negozio tra loro interdipendenti nella considerazione giuridico- economica stabilita dai contraenti nell’unico contratto, la funzione
economica che le parti intendono perseguire viene attuata attraverso i più negozi collegati, così che rimanendo inattuato uno di essi viene meno la funzione dell’altro. Le vicende che riguardano uno dei negozi collegati influenzano perciò necessariamente l’altro, condizionandone non solo l’esecuzione ma anche la validità, dovendosi necessariamente supporre che se le parti (volontà ipotetica delle stesse) avessero conosciuto la ragione di invalidità che colpisce uno dei contratti non avrebbero posto in essere l’altro, e al tempo stesso ritenere che il venir meno dell’uno, impedendo la realizzazione del programma contrattuale che entrambi i negozi dovevano attuare non giustifica il mantenimento in vita dell’altro, in base al principio generale, che qui riceve deroga, della conservazione del negozio».
In relazione alla rilevabilità del collegamento fra negozi, la Suprema Corte si esprime nei termini che seguono:
«l’unità funzionale che le parti stabiliscono nel collegare tra loro i più negozi […] è un dato obiettivo che attiene alla struttura stessa di tale particolare figura negoziale e che il giudice può ravvisare d’ufficio nell’esaminare la fattispecie caratterizzata dalla nullità che ex se colpisca solo uno dei contratti che le parti hanno posto in essere, rendendolo tuttavia dipendente da altro contratto in sé valido. Ciò che rileva è il collegamento che le parti stabilirono nel momento della conclusione del negozio e la previsione del programma contrattuale fatta in quel momento. Non costituisce perciò onere delle parti (che non abbiano mostrato interesse, dandovi esecuzione a mantenere in vita l’altro contratto) di allegare la situazione di interdipendenza funzionale, tanto meno al momento in cui viene in rilievo la nullità parziale, in quanto il giudice al quale è sottoposto, per il controllo di validità, il negozio del quale sia chiesta l’esecuzione, è tenuto a rilevare di ufficio che a quel negozio, di cui ha accertato l’unitarietà funzionale, non può essere data l’esecuzione richiesta perché affetto – necessariamente nella sua globalità – da nullità, anche se il vizio accertato colpisca in via immediata e diretta solo uno dei negozi collegati».
Infine, e significativamente, i Giudici di legittimità concludono:
«resta da ultimo da ribadire che lo stabilire, in caso di nullità che colpisca uno dei contratti collegati, così come nel caso di nullità parziale, se i contraenti avrebbero o meno concluso ugualmente il contratto è ovviamente valutazione affidata al giudice di merito ed anzi, nell’ipotesi
di contratti collegati, insita nello stesso accertamento operato da quel giudice circa l’esistenza del collegamento negoziale, che appunto significa interdipendenza funzionale e inutilità dell’un negozio se l’altro non sia valido o non possa avere esecuzione. Con riferimento al caso di specie, la essenzialità del collegamento è stata ritenuta non solo per la contestualità delle due pattuizioni preliminari (di costituzione di società e di vendita) nell’unica scrittura del 29.6.1974, ma […] per la stretta correlazione tra dette pattuizioni, ognuna delle quali non avrebbe avuto da sola una propria sufficiente ragione d’essere, non foss’altro che per il fatto che la costituzione della società avrebbe rappresentato il venire ad esistenza del soggetto a cui favore la vendita promessa avrebbe dovuto essere effettuata, una volta accertato che [tra Xxxxx e Caio] non vi era società di fatto e che non costoro ma la costituenda società era destinataria della promessa di vendita».
L’operazione all’attenzione del Collegio configura un’ipotesi di collegamento fra negozi volontario, funzionale, verosimilmente bilaterale (stante la costituzione della società al solo fine di costruire e sfruttare commercialmente il prototipo di imbarcazione) e caratterizzato dalla diversità di parti contraenti.
Si può osservare come, secondo la Suprema Corte, spetti al giudice valutare – una volta positivamente riscontrata la sussistenza del collegamento sulla base degli elementi di fatto allegati e provati dalle parti – se il negozio non colpito da invalidità venga o meno ad essere completamente snaturato nella sua funzione, se cioè esso – tolto dal contesto in cui era stato originariamente inserito dalle parti – finisca o meno per realizzare una funzione del tutto diversa da quella originariamente assegnatagli.
Nel passaggio motivazionale da ultimo riportato, peraltro,
il Giudice nomofilattico sembra avvalorare la tesi della scindibilità logica e cronologica tra l’operazione ermeneutica di accertamento del nesso di collegamento e l’accertamento di essenzialità del contratto nullo in riferimento all’affare globale. Come vedremo, tale assunto non appare coerente con la
ricostruzione del fenomeno del collegamento negoziale che offriremo.
Infine, occorre porre attenzione al fatto che, i giudici di legittimità, pur affermando l’applicabilità dell’art. 1419 c.c., spiegano la dinamica della caducazione della promessa di vendita ricorrendo implicitamente al concetto di inutilità del secondo contratto preliminare, constatato che essendo nullo il primo dei due negozi «viene meno la funzione dell’altro»: l’antinomia è evidente, sostenendosi, da una parte, la valenza generale del principio di conservazione del negozio, dall’altra, definendo la questione in oggetto in accoglimento dell’opposta regola dell’utile per inutile vitiatur.
* * *
❖ Cass, 28.06.2001, n. 8844. 62
Preliminare di compravendita immobiliare e mandato a vendere. La caducazione derivata a seguito della risoluzione di uno dei due contratti collegati.
Con citazione del Luglio 1993, Xxxxx, esposto preliminarmente di avere promesso in vendita un appartamento sito in Alessandria a Caio cui in seguito conferì procura a vendere lo stesso bene, lamentò che, benché diffidato, il promittente acquirente non aveva adempiuto la corrispettiva obbligazione e, utilizzando la procura rilasciatagli, si era fatto arbitro di trasferire a se medesimo l’immobile e provvedere alla trascrizione del relativo atto in data anteriore ad altro contratto con il quale essa citante aveva alienato a un terzo il cespite. Convenne, pertanto, in giudizio Xxxx davanti al Tribunale di Alessandria, cui chiese di dichiarare l’avvenuta risoluzione del
62 In Giust. civ., 2002, I, p. 113; nonché in Giur. it., 2002, p. 1618; e Nuova giur. civ. comm., 2002, I, p. 654, n. VI.
preliminare e l’inefficacia del contratto concluso dal convenuto, con la condanna di quest’ultimo al risarcimento del danno.
Xxxx contestò la domanda, eccependo che inadempiente doveva ritenersi l’attrice, la quale aveva chiesto un ulteriore acconto di Lire 15.000.000 e una proroga del termine fissato per il rilascio dell’alloggio.
L’adito Tribunale rigettò la domanda principale e accolse la riconvenzionale.
La decisione, impugnata dalla soccombente, veniva ribaltata dalla Corte d’Appello di Torino sulla base dei seguenti rilievi. Le parti avevano stabilito, quanto al pagamento del prezzo, che la differenza a saldo di Lire 87.000.000 sarebbe stata pagata al momento della consegna delle chiavi e che il possesso dell’unità immobiliare sarebbe stato trasmesso al promittente acquirente entro il 1°.02.1993. Era pacifico in causa che a quest’ultima data Xxxx non avesse pagato il prezzo e non fosse stato immesso nel possesso. Tuttavia, il 1°.03.1993 Xxxxx provvide ad inviare lettera raccomandata con la quale diffidava Xxxx a versare il prezzo residuo, precisando che, contestualmente al pagamento, lo avrebbe immesso nel possesso dell’alloggio. Poiché tale diffida – avente i requisiti dell’art. 1454 c.c. e contenente il preciso impegno dell’appellante di trasmettere il possesso al momento del pagamento del prezzo – rimase senza effetto, si erano risolti per l’inadempimento di Caio sia il preliminare di vendita sia il mandato a vendere, costituenti contratti collegati. Da ciò conseguiva l’inefficacia del contratto con il quale Xxxx aveva venduto a se medesimo l’immobile.
Avverso la sopra riassunta sentenza Xxxx proponeva ricorso per cassazione articolato in due motivi. Xxxxxxxxx, quale erede di Xxxxx, resisteva con controricorso.
Per quanto interessa in questa sede, occorre rilevare che, col secondo motivo, il ricorrente denunziava violazione degli artt. 1351 e 2932 c.c. nonché omessa motivazione: sosteneva, infatti, che non poteva più dichiararsi la risoluzione del
contratto preliminare, essendo già stato stipulato il successivo contratto definitivo, costituente ormai l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto. Semmai, avrebbe potuto farsi questione di responsabilità del procuratore per risarcimento del danno.
La Suprema Corte disattende tale critica rilevando, di converso, l’esattezza giuridica del ragionamento della corte di merito, secondo la quale
«la risoluzione del contratto preliminare importò l’avvenuta risoluzione del mandato a vendere, a nulla rilevando il fatto che lo stesso fosse irrevocabile, poiché, proprio in virtù del suo collegamento con il preliminare di compravendita, ne ha seguito le sorti. Ne era specularmente derivata l’inefficacia del contratto con il quale [Xxxx] aveva trasferito a sé l’immobile».
Dopo aver evidenziato che il contratto collegato
«non è un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di regolamento degli interessi economici delle parti, caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia, risoluzione, ecc.) possono ripercuotersi sull'altro, seppure non in funzione di condizionamento reciproco e non necessariamente in rapporto di principale ed accessorio. […] Le parti, cioè, nell’esercizio dell’autonomia negoziale ad esse riconosciuta dall’ordinamento, sono libere di dar vita, in un unico contesto oppure in tempi diversi, a distinti contratti, i quali, pur caratterizzandosi ciascuno in funzione della propria causa e quindi conservando la rispettiva individualità giuridica, possono essere variamente collegati tra loro in un rapporto di dipendenza o di interdipendenza teleologica, in vista della realizzazione di interessi»,
la Corte di Cassazione conclude
«in questi ultimi casi, che interessano la presente fattispecie, la giustificazione del collegamento è data dalla finalità complessiva, che è tale quando rende inscindibile l’assetto economico costituito dai diversi contratti. Nella fattispecie esaminata, come correttamente osservato dalla corte torinese, era senz’altro possibile ravvisare un collegamento contrattuale atipico tra il contratto preliminare di vendita dell’immobile da parte [di Tizia] e quello di mandato a vendere concesso da quest’ultima [a Caio] per evidenti ragioni di garanzia dell’adempimento delle
obbligazioni facenti capo alla promittente venditrice e per consentire l’intestazione del bene a terzi senza un duplice passaggio di proprietà».
Le conseguenze derivanti dall’esposta argomentazione sono di non poco rilievo:
«Da questa premessa si ricava innanzi tutto che la risoluzione del primo contratto conseguente all’accertamento positivamente compiuto dalla corte distrettuale circa l’inadempimento posto in essere [da Caio] riverberava i suoi effetti sul secondo, rimasto privo di causa. Ne è derivata, con effetto di rimbalzo, la inefficacia, nei confronti del dominus, del contratto con se stesso stipulato [da Xxxx], il quale ha agito alla stregua di un falsus procurator».
La sentenza in questione si distingue per evitare, in materia di descrizione degli “effetti” del collegamento negoziale, la proclamazione acritica del brocardo simul stabunt simul cadent, sottolineando, piuttosto, che la vicenda risolutiva inerente un contratto cagiona il venir meno di un presupposto oggettivo integrante la causa (concreta) degli altri collegati.
Come vedremo, tale ricostruzione della “propagazione” delle vicende invalidanti dall’uno all’altro contratto appare coerente in relazione al significato che la causa del contratto ha assunto nella civilistica contemporanea.63
* * *
❖ Cass, 19.12.2003, n. 19556. 64
Preliminare di compravendita immobiliare e corrispettiva obbligazione di estinguere delle passività sociali. L’opponibilità dell’exceptio inadimpleti contractus nell’ambito di un’operazione strutturalmente plurima.
63 Cfr., infra, il § 3.6.1.
64 In Foro it., 2004, I, c. 718.
Con scrittura del 22.12.1982 la Mag S.r.l. prometteva in vendita a Caio una porzione di terreno di circa 1.650 mq in Grosseto, località Rugginosa, per il corrispettivo, già integralmente corrisposto, di Lire 1.650.000. Invocando tale contratto Caio conveniva in giudizio, innanzi al Pretore di Grosseto – successivamente dichiaratosi incompetente per valore in favore del Tribunale del medesimo capoluogo provinciale – la Mag S.r.l. per sentir pronunziare, ai sensi dell’art. 2932 c.c., il trasferimento, in sua proprietà, dell’appezzamento di terreno in questione.
Costituitasi in giudizio la società convenuta, resisteva all’avversa pretesa eccependo che la scrittura ex adverso invocata faceva funzionalmente parte di un complesso e unitario rapporto negoziale posto in essere tra le parti in data 22.12.1982. In detta data, infatti, Xxxxx e Xxxx, soci al cinquanta per cento con disgiunti poteri di gestione e di rappresentanza della Mag S.n.c., avevano regolato i rapporti patrimoniali conseguenti alla liquidazione della quota di Caio. In particolare:
a) Xxxxx si era obbligato a trasferire e vendere a Caio o a società dal medesimo designata, il cinquanta per cento dei beni costituenti parte dell’attivo della Mag S.n.c. risultante dalla situazione patrimoniale al 31.07.1982; b) Caio si era obbligato a provvedere al pagamento, in favore della Mag S.n.c., del cinquanta per cento delle passività risultanti alla data del 31.07.1982.
In relazione all’obbligo del trasferimento del cinquanta per cento dei beni, proseguiva la convenuta, erano stati stipulati sia il preliminare azionato da controparte, sia altro preliminare, avente ad oggetto un’unità immobiliare in Grosseto, via Xxxxxxx Xxxx n. 40, concluso tra la Mag S.n.c. e l’Alma S.r.l., successivamente indicata da Caio.
Al riguardo, precisava ancora la convenuta, Xxxx si era impegnato, altresì, a rimborsare alla Mag S.n.c. il cinquanta per cento delle rate maturande del mutuo concesso dalla Banca nazionale del lavoro alla medesima Mag previa iscrizione di
ipoteca sull’unità immobiliare venduta all’Alma (che, impegnatasi al momento del trasferimento dell’immobile ipotecato, al pagamento del descritto cinquanta per cento delle rate di mutuo, non aveva poi più potuto farvi fronte essendo stata dichiarata fallita).
Alla luce delle considerazioni sopra esposte la Mag S.r.l. eccepiva, ai sensi dell’art. 1460 c.c., la legittimità del proprio inadempimento, quanto al rifiuto di trasferire a controparte la proprietà dell’area di cui alla citazione introduttiva, chiedendo, pertanto, il rigetto della domanda attrice e, in via riconvenzionale, la condanna di Xxxx al pagamento della somma di Lire 31.813.192.
L’adito Tribunale, con sentenza del 03.06.1993, rilevata la completa autonomia dell’obbligazione azionata dall’attore rispetto a quelle addotte dalla convenuta a sostegno dell’eccezione proposta e della domanda riconvenzionale, trasferiva a Caio la porzione di terreno agricolo già di proprietà della Mag.
Appellata tale pronunzia dalla soccombente Mag S.r.l., cui succedeva, a seguito del pronunziato fallimento di questa, la curatela fallimentare, la Corte d’appello di Firenze con sentenza del 31.05.1999, in riforma della sentenza appellata, accertava la legittimità del comportamento della Mag S.r.l. in ordine alla mancata esecuzione del contratto preliminare di compravendita oggetto di causa, in applicazione del principio inadimpleti non est adimplendum; disponeva il trasferimento della quota della comproprietà pari al cinquanta per cento dell’intero appezzamento di terreno agricolo in questione; condannava Caio a pagare alla curatela del fallimento della Mag S.r.l. la somma di Lire 61.345.544, con gli interessi legali dalla domanda al saldo; disponeva che il trasferimento della proprietà di cui sopra fosse condizionato al pagamento della predetta somma; infine, condannava Xxxx al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
Tale pronuncia aveva ritenuto che la scrittura privata del 22.12.1982, con la quale Xxxxx e Caio, unici soci della Mag S.n.c., avevano regolato i loro reciproci rapporti in conseguenza del recesso dalla società da parte di Caio, fosse in «collegamento teleologico e funzionale» con i due contratti preliminari di compravendita del cinquanta per cento delle proprietà immobiliari della Mag, intervenuti tra la stessa Mag e Caio. Di conseguenza, accertato il parziale inadempimento di Caio agli impegni assunti quanto all’obbligo di pagare il cinquanta per cento delle rate di mutuo ipotecario erogato dalla Banca nazionale del lavoro, sino al suo frazionamento, da un lato, riteneva legittimo (in applicazione della regola di cui all’art. 1460 c.c.) il rifiuto della Mag di dare esecuzione al preliminare avente a oggetto la vendita, in favore di Xxxx, della quota del cinquanta per cento del terreno oggetto di controversia, dall’altro, disponeva il trasferimento di proprietà di tale quota dell’immobile in questione, solo subordinatamente al pagamento, da parte di Caio della somma indicata in dispositivo.
In particolare, la Corte d’Appello era pervenuta alla
conclusione che esistesse tra le varie convenzioni stipulate il 22.12.1982 il riferito collegamento teleologico e funzionale non solo sulla base della «contestualità temporale degli atti» ma soprattutto in base al rilievo che essendo nel primo documento prevista la vendita, a Caio o a persona o società da lui nominata, del cinquanta per cento degli immobili della società, le promesse di vendita intervenute tra la Mag S.n.c. e Caio, esecutive del primo accordo,
«non possono non essere ritenute facenti parte di un medesimo complessivo accordo negoziale».
Xxxx proponeva ricorso per Cassazione, censurando la sentenza gravata, nella parte in cui aveva ritenuto l’esistenza di un collegamento funzionale tra i vari negozi conclusi tra le parti il 22.12.1982, sostenendo, comunque, che l’eccezione
d’inadempimento ex art. 1460 c.c. postulasse necessariamente un rapporto di corrispettività tra la prestazione che si assume non adempiuta e quella di cui si pretende di rifiutare l’adempimento e la stessa, pertanto, fosse opponibile solo nell’ambito di un medesimo rapporto negoziale e non in altro autonomo rapporto, ancorché intercorso tra le stesse parti.
La Suprema Corte rigetta il ricorso, rilevando, innanzitutto, che i giudici d’appello avevano puntualmente evidenziato l’iter argomentativo seguito e l’esistenza di un collegamento funzionale tra i vari negozi,
«allorché hanno sottolineato, da un lato, la contestualità temporale dei vari atti, dall’altro, la previsione, nell’ambito di detti accordi, della liquidazione della quota di [Caio] in occasione del suo recesso della società».
In secondo luogo, la Suprema Corte, citando propri precedenti, sostiene la correttezza della conclusione giuridica cui sono pervenuti i giudici del merito, ritenendo fondata l’exceptio inadimpleti contractus formulata dalla Mag, per non avere Caio provveduto al pagamento del cinquanta per cento delle passività sociali.
«Deve ribadirsi, infatti, al riguardo, in conformità a una giurisprudenza più che consolidata di questa corte regolatrice, che il principio di autotutela sancito dall’art. 1460 c.c. (per effetto del quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, ciascun contraente può rifiutare la propria prestazione in costanza di inadempimento della controparte), deve ritenersi legittimamente esercitato, da parte del contraente adempiente, anche nell’ipotesi di inadempimento, da parte dell’altro contraente, di un diverso negozio, purché quest’ultimo risulti collegato con l’altro contratto da un nesso di interdipendenza — fatto palese dalla comune volontà delle parti — che renda sostanzialmente unico il rapporto obbligatorio, e la cui valutazione è rimessa al prudente ed insindacabile apprezzamento del giudice di merito».
Dunque, il requisito indispensabile ai fini dell’applicazione del principio inadimplenti non est adimplendum, sancito dall’art. 1460 c.c., non sembra essere l’unicità della fonte
contrattuale, bensì la sussistenza di un legame di corrispettività tra le diverse prestazioni, e l’eccezione di inadempimento deve ritenersi ammissibile laddove, in virtù del collegamento funzionale esistente tra negozi strutturalmente distinti, sia configurabile un unico, complessivo assetto negoziale, nel quale la prestazione rimasta inadempiuta e quella, scaturente da un diverso negozio, di cui si rifiuta l’adempimento siano legate da un rapporto di corrispettività.65
Siffatta regola, da sempre affermata, più o meno esplicitamente, sia in dottrina che in giurisprudenza, reperisce il proprio fondamento nell’unità regolamentare cui dà luogo il collegamento funzionale tra negozi e sarà oggetto di specifico approfondimento nell’ambito della presente ricerca.66
* * *
❖ Cass., 21.07.2004, n. 13580.67
Collegamento negoziale e patto commissorio.
Con atto notarile del 03.11.1986 Corrente Xxxxxxxx vendeva due immobili in Xxxxxxx Xxxxxx alla Sifi S.r.l. (le cui quote si appartenevano a sè medesimo ed al figlio Xxxxxxxx) e con successivo atto la Sifi vendeva per lo stesso prezzo di Lire
500 milioni i medesimi immobili alla Agrileasing S.p.a., che contestualmente li cedeva in locazione finanziaria alla Corrente Auto S.n. c. (le cui quote erano di pertinenza di Corrente Xxxxxxxx e Xxxxxxxx), per essere destinati ad attività di concessionaria Fiat. Sopraggiunto il fallimento di Corrente Xxxxxxxx e Xxxxxxxx, di Corrente Auto S.n.c. e della Sifi, il 05.12.1987, la curatela adiva il Tribunale di Taranto perché fossero dichiarati inefficaci e nulli i predetti contratti nonché il
65 Cfr., nei termini esposti, tra le tante, Trib. Nola, 10.04.2010, cit.; Cass., 19.10.2007, n. 21973, cit.; Cass., 25.11.1998, n. 11942, cit.
66 Cfr., infra, il § 3.6.4.
67 In Studium Juris, 2004, p. 1581, nonché in Giust. civ., 2005, 3, I, p. 685.
dissimulato contratto di xxxxx, con patto commissorio vietato ed in subordine instava per la revocatoria ex art. 67 L.F. nei confronti della Agrileasing.
Si costituiva la Agrileasing, che resisteva alla domanda, chiedendo la risoluzione del contratto di leasing per inadempimento ed anche perché aveva scoperto che gli immobili in questione non erano stati occupati dalla Corrente Auto S.n.c. ma da altri soggetti.
Il Tribunale accoglieva la domanda attrice, ritenendo simulati gli atti in questione, in quanto predisposti per mascherare un mutuo con patto commissorio, poiché il rapporto sostanzialmente era intervenuto tra i Corrente e l’Agrileasing e che era significativo, ai fini di questa ricostruzione il fatto che gli immobili erano detenuti da terzi e che la Corrente Auto, con missiva del 14.11.1986, aveva significato di voler dismettere la concessionaria (medio tempore tra i due atti).
Avverso questa sentenza proponeva appello la Agrileasing. Resisteva la Nuova Immobiliare S.r.l., quale assuntore dei fallimenti Corrente.
La Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza depositata in data 07.01.2000, rigettava l’appello. Riteneva la corte di merito che nella fattispecie sussistesse la consapevole partecipazione dell’Agrileasing al disegno simulatorio. La motivazione valorizzava le seguenti circostanze: non era possibile che l’Agrileasing non avesse visionato gli immobili, rilevando che gli stessi erano già occupati da terzi locatari, tenuto conto che la convenuta aveva una filiale a Bari e che vi fu un verbale di consegna degli immobili; le visure commerciali esibite, da cui risultava che i Corrente erano in bonis, si riferivano solo ai Corrente ed alla Corrente Auto e non anche alla Sifi, che pure era il soggetto alienante. Secondo i giudici di appello l’Agrileasing era a conoscenza della struttura societaria della Sifi e l’intera operazione si riduceva ad un rapporto tra i Corrente e la
convenuta e gli atti erano simulati, in quanto non si trattava di vendita, ma di un mutuo con patto commissorio.
Dunque, riteneva la corte territoriale che oggetto del secondo atto fosse la costituzione di una garanzia reale in capo alla Agrileasing, che acquistava la proprietà di un immobile a garanzia del credito fatto ai Corrente, e che nella fattispecie fosse da escludere che sussistesse un contratto di sale and lease back, poiché la contestuale locazione finanziaria non era avvenuta nei confronti della venditrice Sifi, ma di un altro soggetto (Corrente Auto S.n.c.), per l’esercizio di un’attività nella pratica inattuabile.
Avverso questa sentenza la Agrileasing S.p.a. proponeva
ricorso per Cassazione, enunciando quattro motivi di censura.
Per quanto di interesse, con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamentava l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360
n. 5 c.p.c., in relazione agli artt. 1322, 1414, 1418 e 2744 c.c.
Riteneva, in sostanza, la ricorrente che la sentenza impugnata avesse escluso la configurabilità di un contratto lecito di sale and lease back, perché quest’ultimo presuppone l’identità formale e sostanziale dei soggetti che danno vita a detto negozio, mentre nella fattispecie i soggetti sarebbero tre stati (e differenti), poiché il venditore risultava essere la Sifi e l’utilizzatore risultava essere la Corrente Auto S.n.c.; che tale assunto entrava in contrasto con tutta la costruzione effettuata dal giudice di merito, secondo cui il rapporto era unico ed investiva da una parte Corrente Xxxxxxxx e dall’altra l’Agrileasing; che in questa ipotesi la sentenza impugnata avrebbe dovuto esaminare se sussistessero gli elementi per un valido contratto di sale and lease back; che se, invece, le parti contraenti erano effettivamente tre, allora i negozi stipulati rappresentavano l’effettiva estrinsecazione della fattispecie della locazione finanziaria immobiliare, con presenza di un venditore, di un concedente e di un utilizzatore.
La Suprema Corte ritiene fondate tali argomentazioni, rilevando la contraddittorietà dell’impugnata sentenza dal momento che non era dato comprendere dal complesso dell’intera motivazione se la corte di merito avesse ritenuto simulati i tre contratti in questione, ovvero se lo fossero solo i primi due di vendita (da Corrente Xxxxxxxx alla Sifi e da questa alla Agrileasing), mentre non lo fosse il contratto di leasing stipulato tra la Agrileasing e la Corrente Auto S.n.c.
Il Giudice nomofilattico, dunque, nel cassare con rinvio l’impugnata sentenza, evidenzia che, nella prima ipotesi, poiché venditore ed utilizzatore dissimulato dell’immobile coincidevano nella persona di Corrente Xxxxxxxx, la corte di merito avrebbe dovuto valutare se nella fattispecie sussistesse, come sostenuto dalla ricorrente, una vendita a scopo di garanzia del finanziamento, e quindi nulla per causa illecita (ex art. 1344 per violazione del divieto di patto commissorio), ovvero un valido contratto di sale and lease back, quest’ultimo definito
«operazione negoziale complessa […] caratterizzata da uno schema negoziale tipico nel cui ambito il trasferimento in proprietà del bene all’impresa di leasing rappresenta il necessario presupposto per la concessione del bene in “locazione finanziaria”, e non è quindi preordinato “per sua natura” e nel suo fisiologico operare ad uno scopo di garanzia, né, tanto meno, alla fraudolenta elusione del divieto posto dall’art. 2744 c.c.».
Nella seconda ipotesi, invece, e cioè nel caso in cui la corte di merito avesse ritenuto che la simulazione avesse investito solo i due contratti di vendita dell’immobile e non anche il contratto di leasing (il contratto dissimulato sarebbe stato costituito dalla vendita diretta dal Corrente alla Agrileasing dell’immobile, mentre il contratto di leasing da quest’ultima alla Corrente Auto S.n.c., non sarebbe stato simulato) osserva la Suprema Corte che la vendita dissimulata ed il successivo contratto di leasing, autonomamente considerati, non sarebbero stati nulli.
«Tuttavia, se essi fossero intimamente collegati per realizzare una vendita a scopo di garanzia e quindi per realizzare un finanziamento con patto commissorio, la nullità della causa investirebbe l’intero rapporto collegato».
A tal punto la corte di merito si sarebbe dovuta accertare della possibile esistenza di un collegamento tra i negozi in questione, collegamento
«che impone la considerazione unitaria della fattispecie, anche ai fini della nullità dell’intero procedimento negoziale per illiceità del motivo o della causa, ai sensi degli artt. 1344 e 1345 c.c.».
Osserva, pertanto, la Corte che
«il divieto di patto commissorio si estende a qualsiasi negozio, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento, dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un bene come conseguenza della mancata estinzione del debito. Poiché il collegamento tra negozi è configurabile anche quando siano stipulati […] tra soggetti diversi, sono nulli il contratto di vendita da un soggetto ad un lessor e quello di leasing finanziario tra quest’ultimo ed un lessee, se essi risultano collegati al solo scopo di costituire una vendita a garanzia dell’adempimento nei confronti del lessor, in quanto, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall’art. 2744 c.c., i contratti, così collegati, possono costituire un mezzo per eludere tale norma imperativa. In questo caso la nullità deriva dalla violazione dell’art. 1344 c.c., e cioè nullità per illiceità della causa, in quanto il collegamento negoziale suddetto costituisce il mezzo per eludere il divieto del patto commissorio».
Tale dictum si pone nel solco di una ben salda posizione della giurisprudenza che evidenzia l’importanza dello strumento del collegamento negoziale al fine di disvelare illecite elusioni della norma, orientamento del quale anche Xxxx., 16.09.2004, n. 18655 68, rappresenta espressione:
68 In Giust. civ., 2005, I, p. 125. In senso analogo Cass., 19.05.2004, n. 9466, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 000; e Xxxx., 04.03.2010, n. 5195, cit.
«La giurisprudenza consente di ravvisare il patto commissorio anche di fronte a più negozi tra loro collegati quando da essi scaturisca un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il procedimento negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un bene del creditore sia effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia, a prescindere dalla natura meramente obbligatoria o traslativa o reale del contratto ovvero dal momento temporale in cui l’effetto traslativo sia destinato a verificarsi nonché dagli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e, persino, dalla identità dei soggetti che abbiano stipulato i negozi collegati, complessi o misti, nel caso in cui tra le diverse pattuizioni sia dato ravvisare un rapporto di interdipendenza e le stesse risultino funzionalmente preordinate allo scopo finale di garanzia. Alla luce di questi principi deve ritenersi possibile la esistenza di un nesso tra un contratto preliminare ed uno definitivo di vendita di un bene del debitore, anche se stipulati tra soggetti diversi, e di un collegamento strumentale di entrambi i negozi che, pur restando astrattamente leciti ed autonomi, siano, nella realtà, strutturati verso la funzione di costituire una forma di garanzia reale atipica per pagamento di una somma da parte del promittente venditore (e poi venditore), il cui bene si trasferisce al creditore a condizione e come conseguenza del mancato adempimento. In tal caso la fattispecie negoziale complessiva si configura come un mezzo per eludere il divieto del patto commissorio e, quindi, rimane impressa da una causa illecita meritevole della sanzione di nullità radicale e totale in quanto destinata dalle parti al conseguimento di un risultato identico a quello vietato dall’art. 2744 c.c.».
L’interazione tra frode alla legge e collegamento, tanto stretta da ritenere la combinazione negoziale l’unica ipotesi in relazione alla quale attualmente possa configurarsi l’operatività della norma dell’art. 1344 c.c., costituisce un capitolo fondamentale dell’indagine sull’operazione complessa che sarà debitamente sviluppato nell’ambito della presente ricerca.69
* * *
69 Si veda, infra, il § 3.6.5.
❖ Trib. Milano, 07.05.2009.70
Contratto di time-sharing e mutuo di scopo. L’invalidità del primo si riverbera sul secondo.
Xxxxx proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Milano gli ordinava di pagare alla Y
S.p.a. la somma di Euro 19.648, oltre interessi e spese, relativa ad un contratto di finanziamento, rispetto al quale, non avendo provveduto a pagare le rate successive all’anticipo già versato, era intervenuta la decadenza del beneficio del termine.
L’opponente eccepiva di aver partecipato ad una manifestazione promossa dalla K S.p.a. e di aver sottoscritto, in tale occasione, una “proposta di acquisto” di multiproprietà; che a tale proposta era seguita, nei giorni successivi e presso il domicilio dell’opponente, la sottoscrizione di una “dichiarazione di perfezionamento” del contratto concernente “il diritto di soggiornare una settimana all’anno in alta stagione in tutti i centri di vacanza del Destinations Club” e di un contratto di finanziamento, senza che ne fosse consapevole; che nei dieci giorni successivi egli aveva comunicato alla K S.p.a. di voler recedere dai contratti stipulati e che, comunque, l’importo oggetto di ingiunzione non era dovuto in quanto il contratto di time-sharing concluso con la K S.p.a. era da ritenersi nullo per indeterminabilità dell’oggetto; il contratto di finanziamento sarebbe stato di conseguenza privo di causa in quanto collegato al primo.
L’opponente, pertanto, chiedeva la revoca del decreto
ingiuntivo opposto, mentre la convenuta Y S.p.a. eccepiva, fondamentalmente, la mancanza di collegamento funzionale tra contratto di finanziamento e contratto di vendita.
Il Tribunale accoglieva l’opposizione. Il contratto di mutuo includeva, infatti, una richiesta di finanziamento “per l’acquisto del bene/servizio sotto descritto”. Era esplicitato nel contratto che il fine in vista del quale era stato concesso il mutuo si
70 Il testo della sentenza è consultabile su xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx.
identificava nell’acquisto del bene che, nello stesso contratto di finanziamento veniva descritto come “Tipo multiproprietà – Settimana vacanza Club Destinations – individuazione ed ubicazione del bene: Spagna”.
Il giudice, su questa base, rileva la sussistenza di un collegamento volontario fra contratto di time-sharing e contratto di finanziamento:
«lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l’acquisto di detto bene determina un collegamento negoziale fra i due contratti. Sussiste infatti un nesso teleologico tra la richiesta di finanziamento e l’acquisto di quel diritto che viene descritto nel contratto di finanziamento medesimo. Da tale presupposto deriva che l’eventuale nullità o la risoluzione del contratto di vendita del bene si riflette sulla validità ed efficacia del contratto di mutuo».
La Corte milanese passa quindi ad occuparsi della questione della nullità del contratto di time-sharing, dal quale quello di finanziamento dipende in virtù del rilevato collegamento, ritenendo fondate le doglianze degli attori circa l’indeterminatezza ed indeterminabilità dell’oggetto del contratto di vendita. Infatti, mentre il diritto di godimento turnario risultava derivare dal contratto di acquisto della multiproprietà, il quale
«attribuisce il diritto di soggiornare in tutti i centri di vacanza del Destinations Club, nel contratto di finanziamento si specifica che il bene oggetto del godimento è ubicato in Spagna; […] sotto il profilo dell’ubicazione del bene oggetto del diritto di godimento acquistato vi è, pertanto, incertezza. […] Inoltre, vi è incertezza anche sul periodo nel quale il diritto acquistato può essere esercitato. […] Non si rinviene […] alcun elemento per poter individuare la settimana di alta stagione per ciascuno dei Paesi elencati nel documento informativo, né si indicano al socio che voglia avvalersene, concorrendo presumibilmente con gli altri soci, le modalità con le quali ed i termini entro i quali esprimere e rendere nota la sua volontà di usufruire di quel determinato periodo prescelto. […] Si ritiene, alla luce delle considerazioni svolte, che il contratto non corrisponda ai requisiti di determinazione o determinabilità dell’oggetto previsti dall’art. 1346 c.c. Pertanto lo stesso deve essere dichiarato nullo ai
sensi dell’art. 1418 c.c. Considerato il nesso teleologico che lega il contratto di finanziamento e il contratto di vendita, la nullità di quest’ultimo si riverbera sul primo, poiché viene meno lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l’acquisto del bene descritto in contratto».
Invero, la stipulazione di un contratto di mutuo per l’acquisto di un bene determinato è stata individuata dalla giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità, quale ipotesi “tipica” di collegamento negoziale:
«nel caso concreto è evidente il collegamento negoziale fra i due accordi, inteso quale collegamento specifico per cui gli effetti dei vari negozi si coordinano per l’adempimento di una funzione unica, con la conseguenza che il contratto principale di acquisto travolge anche quelli ad esso collegati e che al primo si richiamano: il finanziamento è stato infatti prospettato sin dall’inizio come un contratto connesso all’acquisto e idoneo a consentire all’acquirente una diversa ed immediatamente
proficua utilizzazione del bene».71
Le decisioni citate si allineano a quanto già statuito dalla Corte di Cassazione:
«Quando il mutuo di scopo risulti essere collegato ad un contratto di compravendita, in quanto la somma concessa in mutuo viene destinata al pagamento del prezzo, venuta meno la compravendita, il mutuo non ha più ragione d’essere; in difetto del sinallagma della fattispecie complessiva risultante dal collegamento negoziale, la richiesta di restituzione non va proposta nei confronti del mutuatario, ma direttamente ed esclusivamente
nei confronti del venditore».72
71 Trib. Parma, 05.03.2009, consultabile su xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx. Nello stesso senso Trib. Roma, 02.01.2012, n. 22, in Guida al dir., 2011, 11, p. 53; Trib. Rovigo, 10.03.2011, n. 26, cit.; Trib. Potenza, 12.05.2010, in De Jure; Trib. Cagliari, 11.11.2007, in Banca, borsa e tit. cred., 2009, 6, II, p. 756; Trib. Trieste, 27.09.2007, pubblicata su xxx.xxxxxxxxxxxx.xx.
72 Cass., 23.04.2001, n. 5966, in Contratti, 2001, p. 1126, nonché in Rass. dir. civ., 2003, p. 489. Allo stesso modo, da ultimo, Cass., 16.02.2010, n. 3589, in Contratti, 2010, p. 500, nonché in Dir. e giust., 2010 e in Giust. civ., 2010, 4, I, p. 825: “Nel contratto di mutuo in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l’acquisto di un determinato bene, il collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e quello di vendita, in virtù del quale il mutuatario è obbligato all’utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione,
È quest’ultimo un “effetto” del collegamento ormai uniformemente affermato in giurisprudenza. Infatti, in virtù del meccanismo triangolare che lega i contratti di vendita e di finanziamento, si genera un effetto ulteriore non riconducibile direttamente ad alcuno dei due contratti: il pagamento diretto del finanziatore al venditore della somma necessaria all’acquisto ha come conseguenza la richiesta diretta di restituzione della somma al venditore e non all’acquirente quando il contratto di vendita sia invalido.73
Il collegamento che le sentenze citate hanno rilevato,
dunque,
«è quello specifico collegamento cui dà luogo il cosiddetto contratto di mutuo di scopo […] consistente nella erogazione del credito a medio o a lungo termine, in cui acquista rilievo, accanto alla causa genericamente creditizia, il motivo specifico per il quale il mutuo viene concesso».
Per effetto della c.d. clausola di destinazione
«l’impiego del capitale, da motivo estraneo alla struttura, entra a far parte del regolamento contrattuale».
Se lo scopo del mutuo non può realizzarsi, come accade nel caso che la vendita sia nulla o venga annullata,
«il mutuo stesso non ha più ragione d’essere».74
Per ciò che interessa, quello descritto appare essere un tipico esempio di collegamento volontario, funzionale, di tipo unilaterale, fra contratti conclusi da parti non del tutto coincidenti.
comporta che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita ed il correlato venir meno dello scopo del contratto di mutuo, legittimano il mutuante a richiedere la restituzione dell’importo mutuato non al mutuatario ma direttamente ed esclusivamente al venditore”.
73 Cfr. XXXXXXXX X., Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, cit., p. 239.
74 Così si esprime Cass., 20.01.1994, n. 474, cit.
È da notare che, anche in materia di mutuo di scopo, la Corte di Cassazione afferma quasi costantemente l’operare della regola simul stabunt simul cadent, spesso omettendo qualunque precisazione in relazione a tale assunto.
Le sentenze da ultimo citate affermano, invece, significativamente che, venuta meno la vendita, il mutuo «non ha più ragione d’essere» da un punto di vista causale, così come la decisione del Tribunale di Milano riportata sembra, in taluni passaggi, accennare all’inutilità del contratto di finanziamento da un punto di vista funzionale.
Se così è, siamo in presenza di un’importante enfatizzazione della circostanza che il simul stabunt simul cadent non opera meccanicamente. È pur sempre necessaria, infatti, un’indagine diretta all’individuazione dell’interesse che le parti hanno voluto perseguire attraverso l’operazione posta in essere, la quale può, eventualmente, essere fatta salva se la volontà di conservazione si presenta cristallizzata in una o più clausole contrattuali.
* * *
❖ Cass., 21.09.2011, n. 19211.75
Per configurare il collegamento tra negozi occorrono un requisito soggettivo ed un requisito oggettivo.
Nel 1990 i coniugi Xxxxx e Xxxx, dopo aver ottenuto concessione a edificare su un loro terreno, addivenivano a un contratto preliminare con Xxxxxxxxx. Questi aveva preso contatti con gli odierni ricorrenti e con tale Xxxxx, proprietario di area limitrofa, per la realizzazione di un grande fabbricato ad uso uffici, proponendo ai proprietari la cessione di una porzione dell’erigendo fabbricato.
75 In De Jure.
In data 26.07.1991 furono stipulati, nello stesso giorno e presso lo stesso notaio, due rogiti: uno di vendita del terreno alla X S.r.l., indicata da Sempronio, e l’altro di vendita della porzione di fabbricato costruendo al solo Tizio, il quale con atto immediatamente precedente aveva concordato con la moglie il regime di separazione dei beni.
Nel Marzo 1996 i coniugi agivano contro la X S.r.l. per la risoluzione del contratto preliminare stipulato con Xxxxxxxxx, e dei due contratti del 1991, allegando il ritardo della X S.r.l. nell’adempimento, dal momento che la società convenuta non aveva ancora presentato il progetto idoneo al rilascio della concessione edilizia.
La X S.r.l. resisteva: a) dichiarandosi estranea alla convenzione del 1990; b) negando validità della pretesa indicazione della società quale sostituta contrattuale di Sempronio; c) negando che vi fosse collegamento negoziale tra i due atti di compravendita del 26.07.1991; d) chiedendo il risarcimento dei danni derivati dalla trascrizione.
Il Tribunale di Verona, nel 2002, dichiarava risolti per inadempimento della convenuta i due contratti stipulati nel 1991, con la condanna al rilascio degli immobili, respingendo la domanda di risarcimento danni.
In data 27.07.2005 la sentenza veniva confermata dalla Corte d’Appello di Venezia, la quale, da una parte, affermava che non risultava in atti prova del perfezionamento della electio amici da parte di Xxxxxxxxx in favore della X S.r.l., di cui era amministratore il di lui fratello Xxxxxxxx, e che pur non essendo il promissario mai “uscito” dal contratto, al contempo, non era stato citato in giudizio, sicché il preliminare del 1990 non poteva essere oggetto di risoluzione. Dall’altra, riteneva però sussistente un collegamento negoziale tra i due contratti del 1991 e che l’inadempimento nella vendita di cosa futura giustificava la declaratoria di risoluzione.
La X S.r.l. proponeva dunque ricorso per cassazione
mentre Xxxxx e Xxxx resistevano.
Per quanto di interesse, la X S.r.l., con il primo motivo di ricorso, denunciava violazione dei principi giurisprudenziali in tema di collegamento negoziale e delle regole ermeneutiche contrattuali, nonché insufficiente motivazione: la Corte veneta avrebbe errato nel ritenere sussistente il collegamento negoziale, affermando che i contratti del 1991, pur essendo intervenuti tra soggetti diversi, sarebbero stati funzionalmente connessi e interdipendenti al fine di conseguire unico scopo.
Parte ricorrente, nello specifico, contestava che vi fosse stato uno scopo inizialmente condiviso fra tutte le parti, deducendo che sarebbero mancati sia il requisito soggettivo del coordinamento dei contratti, sia il requisito oggettivo, negando che vi fosse la connessione teleologica tra essi. Xxxxxxxxx, infine, che l’unità dell’operazione non sarebbe stata dimostrata e che solamente Xxxxx aveva interesse a realizzare una propria nuova officina grazie alla vendita dell’area, mentre la di lui moglie Xxxx era a tale interesse estranea.
La Suprema Corte ritiene tali censure infondate, motivando nel modo che segue:
«Sulla corretta premessa che la fattispecie del collegamento negoziale è configurabile anche quando i singoli atti siano stipulati tra soggetti diversi, purché essi risultino concepiti e voluti come funzionalmente connessi e tra loro interdipendenti, onde consentire il raggiungimento dello scopo divisato dalle parti, la Corte veneziana ha ritenuto sussistente il collegamento negoziale, valorizzando il rapporto di coniugio tra Xxxxx e Caia, che li induceva ad operare nel senso di portare a compimento l’operazione [inizialmente programmata].
Invano parte ricorrente evidenzia la diversità dei soggetti e tenta abilmente di negare la sussistenza del requisito oggettivo, cioè della finalità complessiva perseguita dalle parti. Insegna la giurisprudenza che nel caso di negozi collegati, il collegamento deve ritenersi meramente occasionale quando le singole dichiarazioni, strutturalmente e funzionalmente autonome, siano solo casualmente riunite, mantenendo l’individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sicché la loro unione non influenza la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano; il collegamento è, invece, funzionale quando i diversi e distinti negozi, cui le parti diano vita nell’esercizio della loro autonomia
negoziale, pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo, vengono tuttavia concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza».
Prosegue la Corte di Cassazione osservando che la corte di merito, al fine di rilevare il collegamento negoziale, ha debitamente valorizzato il rilievo ermeneutico di alcuni inequivocabili dati oggettivi, rivelatori della volontà di tutte le parti del complesso affare di considerarlo come unitario ed inscindibile:
«la Corte d’Xxxxxxx ha ineccepibilmente motivato sul punto, spiegando che la collaborazione e il comune interesse tra i coniugi e tra essi e la X S.r.l. emergeva dal susseguirsi temporale degli atti, dalle modalità scelte per accelerare le pratiche notarili, nonostante i rischi per l’acquirente, dalla coincidenza tra prezzo versato ai coniugi e acconto corrisposto alla X S.r.l. dal solo Xxxxx per il futuro acquisto. Né si può omettere di rilevare che la scelta del regime di separazione dei beni appare evidentemente inserita nel contesto dell’operazione per favorire la migliore realizzazione di un obiettivo comune alla famiglia. Si badi in proposito che il regime patrimoniale dei beni configurato con la separazione, in luogo della comunione dei beni, non limita né attenua il vincolo coniugale e i doveri, anche di contribuzione materiale, che derivano dal rapporto, sicché si risolve soltanto in uno schema di regolamentazione degli acquisti futuri, volto a semplificare le operazioni condotte singolarmente nell’ambito della propria sfera patrimoniale.
In tale ottica la comune scelta in favore della separazione, in
coincidenza con l’avvio dell’operazione negoziale, è indizio di piena intesa agevolativa del programma di interessi volto alla alienazione dell’area e alla costruzione dell’edificio nel quale avrebbe dovuto essere successivamente realizzata la nuova officina. Né valgono le argomentazioni tese a negare il pieno coinvolgimento di X S.r.l. nella realizzazione del piano negoziale. L’interesse del costruttore poteva infatti attuarsi solo tramite la piena soddisfazione e conseguente cooperazione dei due venditori. D’altra parte il meccanismo dei pagamenti individuato dalla Corte d’Xxxxxxx conferma che il convincimento del giudice di merito, quanto alla pienezza dell’intesa, era logicamente misurato anche sulla posizione della società, di cui invano si contesta che condividesse l’accordo complessivo. […] la individuazione del nesso tra i contratti del 1991 è dunque sorretta da un accertamento del giudice di merito condotto
nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto; pertanto si sottrae al sindacato di legittimità».
La pronuncia in esame, dunque, sottolinea con chiarezza che per la configurabilità del collegamento tra negozi occorrono un requisito soggettivo ed un requisito oggettivo. Quest’ultimo, in particolare, è rappresentato da tutti quegli indici di unità regolamentare desumibili, secondo gli ordinari canoni ermeneutici, dai testi contrattuali e del comportamento delle parti. Come vedremo, tale impianto motivazionale recepisce un’impostazione affinata dall’elaborazione dottrinale sviluppatasi attorno al tema.76
76 Cfr., infra, il § 3.3.
Capitolo Secondo
IL CONTESTO SISTEMATICO
2.1. Collegamento negoziale o collegamento contrattuale?
Lo studio della questione concernente l’unità ovvero la pluralità strutturale delle situazioni negoziali complesse costituisce un’operazione che logicamente precede l’esame della tematica del nesso funzionale tra negozi, giacché è di palmare evidenza che di collegamento si possa parlare solo in quanto ci si trovi innanzi ad una situazione a struttura plurinegoziale.
È opportuno allora considerare preliminarmente che la necessità di un’indagine riguardante la struttura di un assetto economico articolato si è sempre posta laddove ne fosse in discussione l’aspetto funzionale.
Si è, infatti, perspicacemente osservato che, qualora il collegamento individuato non fosse di tipo funzionale ma genetico 77 , non ci si è mai interrogati circa la ricostruzione strutturale della fattispecie: per esempio, mai ci si è posti il dubbio che il preliminare e il definitivo o la revoca e l’atto revocato potessero costituire ipotesi di negozi strutturalmente unitari, essendo palese l’autonomia di funzione di ciascuno di essi.78
Diversamente è accaduto in presenza di un legame di tipo finalistico-causale: in questo caso, infatti, la linea di demarcazione intercorrente fra semplice collegamento funzionale tra singoli negozi e vera e propria unità funzionale che si traduca in unità anche sotto l’aspetto strutturale è da
77 Sulla distinzione fra collegamento funzionale e collegamento genetico si veda, infra, § 2.4.
78 Cfr. COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 38.
sempre stata avvertita come molto labile; tanto che nelle trattazioni più recenti si è affermata addirittura l’irrilevanza di tale questione, atteso che quasi sempre i criteri discretivi suggeriti finivano per non rivelarsi decisivi.
È poi opportuno precisare che anche nell’ambito del collegamento funzionale la questione si è sempre prospettata a proposito del solo collegamento c.d. volontario79 , giacché la complessità strutturale individuabile nell’ambito dei casi riconducibili al collegamento funzionale c.d. necessario non è mai stata messa in dubbio: ad esempio, quando sia ravvisabile un rapporto di accessorietà giuridica fra negozi – come nel caso della fideiussione e del contratto da cui origina l’obbligazione garantita – la circostanza che ci si trovi di fronte ad una duplicità di negozi è sempre stata data per scontata.
Dunque, la rilevanza del dilemma unità/pluralità, da un
lato, è direttamente connessa con l’aspetto funzionale del collegamento fra negozi, dall’altro, essa emerge unicamente ove il collegamento funzionale non sia la conseguenza di un particolare rapporto che la legge stessa impone fra due o più negozi, ma è il risultato di una peculiare utilizzazione da parte dei privati degli strumenti di autonomia contrattuale.
Ciò precisato, appare prioritario addivenire a un chiarimento terminologico che si traduce in una breve riflessione sull’ambito di interesse del fenomeno oggetto della presente ricerca: è più appropriata l’espressione di collegamento negoziale oppure quella di collegamento contrattuale?80
79 Sulla distinzione fra collegamento funzionale volontario e collegamento funzionale necessario, si veda, infra, § 2.4.
80 Peraltro, si può anche osservare che la capacità espansiva della disciplina del contratto agli atti unilaterali tra vivi sia a contenuto patrimoniale che non patrimoniale (si veda, su quest’ultimo aspetto, quanto affermato dalla Relazione al Re, al n. 604 e, in dottrina, per tutti, cfr. XXXXXXX XXXXXXXXXX F., Atto giuridico, voce di Enc. dir., IV, Milano, 1959, pp. 211-212) fa di esso una sorta di sinonimo di negozio giuridico, così FERRI G.B., Il negozio giuridico fra libertà e norma, cit., p. 92.
Al riguardo, è allettante fare riferimento ad una succinta analisi introduttiva svolta da un Autore che di recente ha trattato organicamente l’argomento.81
Egli parte dalla considerazione fondamentale – sull’autorevole scia di Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxx – che nel contratto viene esplicato dai privati il più alto grado di autonomia, ossia di autoregolamentazione dei propri interessi.82
La regola contrattuale non è, infatti, soltanto la fonte di creazione, modificazione ed estinzione del rapporto tra le parti, ma anche e soprattutto fonte ordinatrice del rapporto stesso, così che le parti appaiono sovrane nel forgiare l’assetto degli interessi perseguiti.83
In primo luogo, infatti, mentre nel contratto l’elemento funzionale non sarebbe né univoco, né predefinito, ma potrebbe ricavarsi solo dall’utilizzazione concreta che i privati ne fanno, ciò non accadrebbe nel testamento, né nel matrimonio, ovvero in quei negozi che si caratterizzano per essere tipicamente
Osserva ROMANO F., La ratifica nel diritto privato, Pompei, 1964, p. 89, che in dottrina non ci si è mai posti l’interrogativo se di collegamento possa parlarsi solo rispetto ai negozi oppure il concetto sia estensibile anche ai nessi intercorrenti tra atti non negoziali e tra negozi ed atti non negoziali, ove si rinvenga anche per questi ultimi una autonoma ed individuata funzione. Un’indagine in questo senso travalicherebbe obiettivamente i limiti e le finalità della presente ricerca sebbene la completezza scientifica postulerebbe senz’altro una soluzione della questione, inquadrando l’argomento nel campo delle combinazioni tra atti in senso ampio, cfr. XXXXXXXXXX X., Teoria generale del diritto, Roma, 1940, p. 349 e ss.
81 Cfr. COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 40.
L’opera, puntualmente recensita da PALAZZO A., Operazioni economiche e collegamento negoziale in una recente ricostruzione, in Riv. dir. comm., 2001, I, p. 387 e ss., costituisce un contributo scientifico di indubbio rilievo ed originalità, un aggiornamento raramente prezioso di un argomento – quello del collegamento tra negozi – l’interesse per il quale vive ormai della luce riflessa degli studi della metà del secolo scorso e che si è cristallizzato (rectius, svilito) nelle formule stereotipe della giurisprudenza e degli annotatori. Sugli esiti della ricerca di Xxxxxxx torneremo nel corso dell’opera.
82 Cfr. FERRI G.B., Il negozio giuridico fra libertà e norma, cit., p. 100.
83 Cfr. FERRI G.B., Il negozio giuridico fra libertà e norma, cit., p. 101.
strumentali rispetto ad altri (ad esempio, ratifica, convalida, recesso, revoca, remissione, ecc.).84
Effettivamente, si può convenire che questa sia proprio la caratteristica distintiva del contratto rispetto ad altri atti negoziali, nei quali l’esercizio di autonomia appare limitato al se porre in essere o meno il negozio e non orientato a stabilirne funzione ed effetti.85
L’univocità funzionale di queste manifestazioni di volontà le rende incompatibili con il principio di autonomia privata enunciato dall’art. 13222 c.c., non essendo ipotizzabili, nel nostro ordinamento, alternative atipiche né in relazione agli atti mortis causa, né in relazione al matrimonio, né in relazione ai negozi di diritto familiare, né per quanto concerne i negozi funzionalmente strumentali.86
84 Tra questi ultimi, in particolare, gli atti unilaterali di esercizio di un potere potestativo, come la revoca, il riscatto, la convalida o la ratifica, sono caratterizzati da una tipicità funzionale assoluta, avendo contenuto ed effetti predeterminati, limitazioni tali da far dubitare addirittura della loro natura negoziale; cfr., al riguardo, FERRI G.B., Xxxxx e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 394 e ss., nello specifico, sub nota n. 110. Tale predeterminazione funzionale rappresenta espressione diretta della natura accessoria di questi atti rispetto ad un’operazione “nella cui valutazione causale essi sono, in un certo senso riassorbiti”, FERRI G.B., Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., pp. 396-397. Cfr. anche XXXXXXXXX X., Dal contratto al negozio unilaterale, cit., pp. 193- 194, in relazione alla strumentalità dell’istituzione di erede rispetto all’accettazione dell’eredità: tra i due negozi unilaterali non è dato rinvenire un nesso di accessorietà, bensì di complementarità; legame che li rende espressione giuridica di un’unica operazione “economicamente” bilaterale.
85 Nota l’Autore che la pluralità di forme in cui possono realizzarsi, ad esempio, il testamento (olografo, pubblico segreto, testamenti speciali) ed il matrimonio (civile o concordatario) non riflette in alcun modo una possibile diversità di funzioni astratte. Unica funzione astratta del testamento, qualunque ne sia la forma, è sempre quella di indirizzare, entro i limiti della quota disponibile, in tutto o in parte, la sorte del proprio patrimonio trasmissibile. Unica funzione astratta del matrimonio è sempre quella di creare la “comunione spirituale e materiale tra i coniugi”.
86 Non a caso, in tema, ad esempio, di testamento, non si è mai posto il
problema di una sua eventuale funzione (o causa) atipica, ma di atipicità si è unicamente parlato in relazione al suo contenuto; non si è mai posto, inoltre, il problema del rapporto tra causa e tipo, come invece accaduto rispetto al
Al contrario, il contratto appare essere lo strumento di autonomia multifunzionale per eccellenza, anche sul piano astratto, poiché non esprime di per sé alcuna funzione, né concreta, né astratta, non potendo quest’ultima essere identificata nella troppo generica formula che fa capo alla costituzione, regolazione ed estinzione di rapporti giuridici patrimoniali.87
Sembrerebbe, pertanto, opportuno dare rilievo ad una prima considerazione: quando un negozio è caratterizzato da una funzione astratta predefinita l’univocità funzionale non può che tradursi in una semplicità strutturale. Se, infatti, come si vedrà, il criterio discretivo tra unità e pluralità negoziale viene tradizionalmente individuato nell’unità o nella pluralità funzionale, ove la funzione sia univoca, necessariamente unico sarà il negozio concreto della cui struttura si discute.
Al contrario, quando il negozio sia caratterizzato dalla multifunzionalità anche sul piano astratto, come nel caso del contratto, ad un’unità di funzione corrisponderebbe un’unità strutturale, ad una pluralità di funzioni corrisponderebbe una pluralità strutturale.
A questo punto si fa largo un interrogativo: anche le promesse unilaterali sono da considerarsi figure astrattamente monofunzionali, come quelle appena esaminate, oppure esse esprimono una varietà tendenzialmente infinita di funzioni?88
contratto. Il differente atteggiarsi dell’autonomia privata nel testamento rispetto al contratto si spiegherebbe tramite la necessità logica, ancor prima che giuridica, del fenomeno successorio. Cfr. COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 44.
87 Cfr. COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 51.
88 Cfr. COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 47. Come affermato poc’anzi, sub nota n. 84, per quanto attiene ai negozi unilaterali di esercizio di un potere potestativo sono caratterizzati dalla rigida tipicità della funzione. Ciò si traduce nell’essenziale accessorietà dei medesimi ad un’operazione che di essi si trova a monte e nella cui valutazione causale sono riassorbiti; cfr. FERRI G.B., Xxxxx e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 396. Il rapporto di accessorietà funzionale dà luogo ad un collegamento necessario con
Questo spunto permette di introdurre una sommaria indagine sul tema delle promesse unilaterali, pur conscio che una riflessione poco più che superficiale sull’argomento trascende le finalità di questo lavoro e ammonito circa il fatto che «pochi istituti sono pieni di tante oscurità e generano tanti dubbi come le promesse unilaterali».89
La dottrina tradizionale avvalora la tesi della tipicità 90 ed ha sostenuto che scarso, se non nullo, sarebbe nelle promesse unilaterali lo spazio lasciato all’autonomia privata: essa, infatti, non avrebbe modo di esprimersi né mediante la modificazione degli schemi tipici predisposti dal legislatore, né mediante la creazione di schemi nuovi: l’esplicazione dell’autonomia privata sarebbe pertanto, anche in questo campo, limitata alla possibilità di riempire di un certo contenuto un contenitore funzionalmente già definito. 91
un altro negozio (principale), che presenta questioni diverse da quelle del collegamento volontario, cfr., infra, § 2.4.3.
89 XXXXXXXX X.X., Promessa unilaterale, voce di Enc. giur., XXIV, Roma, 1991, p. 1.
90 Sulla scia della Relazione al Re (n. 251): “non si potrebbe concedere alla promessa unilaterale di operare illimitatamente, senza scompaginare il campo di applicazione del contratto ed atomizzare gli elementi costitutivi di questo”. Cfr. CARIOTA FERRARA L., Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 147 e ss.; XXXXXXXX P., L’autonomia privata e le promesse unilaterali, in Studi per Betti, V, Milano, 1962, p. 127; FALQUI MASSIDDA C., Promessa unilaterale, voce del Noviss. Dig. it., XIV, Torino, 1968, p. 77.
91 A supporto del principio di tipicità delle promesse unilaterali si sono
suggerite argomentazioni di varia natura e consistenza, che privilegiano l’analisi ora della situazione del promittente, ora di quella del promissario: cfr. MESSINEO F., Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1957, p. 217, il quale sostiene che tale sarebbe la diretta conseguenza della natura di norma di ordine pubblico della disposizione dell’art. 1987 c.c.; XXXXXXX XXXXXXXXXX F., Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 170, per il quale la ragione del regime di tipicità delle promesse discenderebbe dall’efficacia che la promessa determina, per il sol fatto della propria emissione, nella sfera giuridica dell’agente; BRANCA G., Delle promesse unilaterali, in Commentario al codice civile, a cura di Xxxxxxxx e Branca, Bologna, 1959, p. 352, per il quale la promessa non sarebbe fonte generale di obbligazioni per la difficoltà logica a ricollegare alla volontà unilaterale una situazione necessariamente bilaterale o plurilaterale e per l’ambiguità della promessa sotto il punto di vista causale, considerando altresì lo sfavore
In ottica opposta 92 , si è sottoposta a critica serrata la dogmatica sottostante il principio di tipicità delle promesse
dell’ordinamento per i negozi astratti; CARRESI F., Autonomia privata nei contratti e negli atti giuridici, in Riv. dir. civ., 1957, I, p. 265, per il quale, producendo l’atto unilaterale effetti nella sfera di terzi, ove si rompesse l’argine della tipicità, l’atto unilaterale si risolverebbe in uno strumento di sopraffazione o quanto meno di arbitraria intromissione nella sfera giuridica di terzi; per quest’ultimo, una libertà del soggetto di creare nuovi schemi di atti unilaterali sarebbe addirittura un “vero e proprio non senso”. Per un’utile sintesi, anche in chiave critica, di questi argomenti cfr. FERRI G., Autonomia privata e promesse unilaterali, in Banca, borsa e tit. cred., 1960, I, p. 481, nonché in Studi per Betti, V, Milano, 1962, p. 127; XXXXXXX F., Il negozio giuridico, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Xxxx, Messineo e Xxxxxxx, Milano, 1988, p. 206 e XXXXXXXXX G., Promesse unilaterali atipiche, in Riv. dir. comm., 1983, I, p. 327.
Cfr., per la tesi della tipicità degli atti unilaterali, anche XXXXXXX F., Il contratto e l’atto unilaterale, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, fondata da Bigiavi, diretta da Xxxx e Bessone, I, Torino, 1991, p. 377 e ss., per il quale “un sistema basato, come il nostro, sulla causalità del contratto (e dell’atto unilaterale) non può tollerare quella che la Relazione definisce come la ”atomizzazione degli elementi costitutivi di questo“ […]. L’atomizzazione spezzerebbe il rapporto di corrispettività fra le due prestazioni; finirebbe con l’assecondare la prepotenza della parte più forte, la quale avrebbe tutto l’interesse a frantumare un contratto tipico in due o più atti unilaterali atipici, aventi ad oggetto, ciascuno, una prestazione non legata sinallagmaticamente alle altre, con il vantaggio di rendere del tutto discrezionale il se e il quando del proprio adempimento”; un controllo sugli atti unilaterali atipici concernente la meritevolezza dell’interesse perseguito, ai sensi dell’art. 13222 c.c., avrebbe esito positivo solamente “ove si accertasse che l’atto di un soggetto ”trova causa“ nell’atto del destinatario; e questo accertamento finirebbe, manifestamente, con il restituire contrattualità al rapporto, nonostante la diversa configurazione scelta dalle parti. Atti unilaterali che hanno in sé la propria causa, ossia la ragione della meritevolezza dell’interesse perseguito, sono eccezionali; e questa loro sociale eccezionalità spiega la loro giuridica tipicità”.
92 A partire dalla seconda metà del secolo scorso, la dottrina ha apportato una
revisione critica al principio di tipicità delle promesse unilaterali: per un quadro complessivo del tema è d’obbligo il rinvio all’imprescindibile indagine svolta da XXXXX X., Il contratto, I, Lineamenti generali, Milano, 1955, ed ai suoi scritti minori, fra i quali: ID., Il potere della volontà nella promessa come negozio giuridico, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, X, x. 00; ID., Quid dei pacta adiecta ex intervallo, in Riv. dir. comm., 1966, I, p. 262; ID., Promesse condizionate ad una prestazione, in Riv. dir. comm., 1968, I, p. 432. Cfr. anche gli autorevoli contributi di XXXXXX X., Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, p. 166; SBISÁ G., La promessa al pubblico, Milano, 1974; SACCO R., Il contratto, II, in Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxxxxx X.,
unilaterali e si è sostenuto che, non concretandosi i casi ammessi dalla legge in tipi specifici bensì in semplici categorie generali93, l’autonomia privata si esplicherebbe nelle promesse unilaterali in un grado che potrebbe apparire ancora più elevato che nei contratti.94
Ad ogni modo, credo che la questione della configurabilità o meno di fenomeni di collegamento volontario tra promesse o tra promessa e contratto, non sia pregiudicata dalla questione della tipicità od atipicità delle promesse unilaterali.
Difatti, innanzitutto, a prescindere dall’evoluzione di prospettiva che ha interessato il tema, si può convenire con l’osservazione per la quale tutta la problematica dell’incrocio sinallagmatico di promesse provenienti da due soggetti diversi viene assorbita dalla disciplina del contratto di scambio che, in tal modo, si è formato fra le parti.95
Torino, 1975, p. 793 e ss.; XXXXXXXXX G., Promesse unilaterali atipiche, cit., p. 327; XXXXXXX G., Promesse condizionate ad una prestazione, in Rass. dir. civ., 1987, p. 332; XXXXXXXX C.A., Promessa unilaterale, cit., p. 1; D’XXXXXX X., Le promesse unilaterali, in Commentario al codice civile, diretto da Xxxxxxxxxxx, Milano, 1996.
93 Cfr. FERRI G., Autonomia privata e promesse unilaterali, cit., p. 483: “I casi ammessi dalla legge non si concretano in regolamenti tipici e individuali di interessi, ma in categorie generali, nell’ambito delle quali i regolamenti tipici o non sono addirittura individuati o sono individuati attraverso astratti schemi strutturali”.
Il procedimento logico tramite cui si giunge ad affermare la possibilità di assumere obbligazioni in base a promesse atipiche passa necessariamente attraverso la svalutazione del dato letterale dell’art. 1987 c.c., per mezzo del quale, il legislatore avrebbe voluto ribadire “che le promesse unilaterali sono fonti di obbligazioni, di per sé sole, soltanto nei casi previsti espressamente dalla legge, mentre, se innominate, lo sono allorquando si inseriscono nel procedimento di formazione di un contratto con obbligazioni del solo proponente”, configurando così l’art. 1333 c.c. come la valvola di ingresso nel sistema delle promesse unilaterali atipiche, XXXXXXX G., Promesse condizionate ad una prestazione, cit., p. 334, nota 13. Per una sintesi chiara ed efficace si veda XXXXXXXX C.A., Promessa unilaterale, cit.
94 Così FERRI G., Autonomia privata e promesse unilaterali, cit., p. 487.
95 Così COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 48. Cfr. sul punto SACCO R. - DE NOVA G., Il contratto, I, in Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxx, Torino, 2004, II, p. 637, “una visuale sorvegliatamente unitaria del
D’altro canto, risulta difficile configurare la differente ipotesi di più promesse unilaterali legate da nesso funzionale e provenienti da un medesimo soggetto: sia di fronte ad una promessa a contenuto complesso, sia di fronte ad una promessa semplice, ma indirizzata ad una pluralità di destinatari determinati, ritengo che si debba tendenzialmente propendere per l’unicità strutturale del negozio.
Peraltro, resta insoluto l’interrogativo concernente la possibilità di configurare un collegamento volontario in senso proprio tra una promessa unilaterale ed un contratto.
Al riguardo, si può osservare che la dottrina è grossomodo concorde nel sostenere che le promesse unilaterali siano riconducibili alle seguenti figure: a) promesse al pubblico, b) promesse individualizzate ex art. 13332; c) titoli di credito; d) promesse “imposte” da un onere, da un obbligo legale o dal giudice 96 ; ed interpreta lo sfavore con cui il legislatore ha
contratto ha imposto di ricordare che le due promesse, o, comunque, i due sacrifici, non vivono di vita autonoma; lo scambio di due promesse non crea due negozi indipendenti, ma un unico contratto […]. Una volta preferita alla visuale atomistica delle due promesse la visuale unitaria del contratto visto nel suo insieme, la somma delle due promesse viene ad essere insieme causa (come somma delle reciproche giustificazioni degli obblighi assunti) e volontà contrattuale”.
Ovviamente, ove tale rapporto sinallagmatico non sussista viene meno anche la premessa fondamentale perché di collegamento funzionale si possa parlare.
Assorbite dal sinallagma possono ritenersi anche quelle promesse che, nel corso dell’attuazione del rapporto contrattuale, vengono formulate da una parte nei confronti dell’altra con effetti esclusivamente a favore della seconda e non originariamente inerenti all’oggetto e al contenuto del contratto, ad es., la promessa del venditore di immobile futuro di eseguire senza corrispettivo opere di rifinitura originariamente non comprese nella definizione dell’oggetto e quello della promessa del committente di pagare all’appaltatore un premio in caso di anticipazione rispetto al termine convenuto del compimento dell’opera. Sui presupposti di validità di tali pattuizioni sopraggiunte alla conclusione del contratto si veda GORLA G., Quid dei pacta adiecta ex intervallo, cit., p. 265.
96 Cfr. XXXXXXXX C.A., Promessa unilaterale, cit., p. 3. La promessa di pagamento
e la ricognizione di debito, invece, non potrebbero essere considerate dichiarazioni di volontà con cui il dichiarante assume un’obbligazione, poiché
guardato alle promesse unilaterali (art. 1987 c.c.) quale mero richiamo ai limiti interni a ciascuna delle elencate categorie: le promesse individualizzate, dunque, sarebbero giuridicamente rilevanti solo in quanto non intervenga il rifiuto dell’oblato ed indichino una causa; le promesse contenute nei titoli di credito solo se siano emanate nella forma prescritta; le promesse “imposte” solo se si appoggino ad un precedente contratto, nel quale trovano il proprio fondamento causale.97
Dato che, allora, una promessa, per produrre effetti, deve, per sua natura, reperire una causa suffisante, raisonnable o juste98
avrebbero una rilevanza puramente probatoria: si veda, sul punto, D’XXXXXX X.,
Le promesse unilaterali, cit., p. 433 e ss.
97 Cfr. XXXXXXXX C.A., Promessa unilaterale, cit., p. 3.
98 Il riferimento al motif raisonnable et juste è ovviamente retaggio di DOMAT J., Les loix civiles dans leur ordre naturel, Paris, 1745, Liv. I, Titre I, Sec. I, art. 6, 20; mentre la cause suffisante è espressione la cui paternità è da ricondurre a XXXXXXX R.J., Trattato delle obbligazioni, Venezia, 1833 p. 48 e ss.
Secondo le note conclusioni di GORLA G., Il contratto, cit., p. 82 e ss., influenzato dai citati giuristi francesi e fautore di una causa identificata nella giustificazione della nascita del vincolo obbligatorio, nella moderna civil law, si distinguerebbero le obbligazioni di dare dalle altre obbligazioni: quelle di fare, non fare, prestare in senso lato. Affinché le prime non abbisognino del requisito formale proprio della donazione, sarebbe necessaria la presenza di una cause suffisante, valutata secondo criteri oggettivi. Per le seconde, invece, sussisterebbero sì limitazioni al principio del nudo consenso, ma di ben altra gravità: sarebbe necessaria – per distinguerle dai vincoli sociali, morali, di cortesia, d’onore, ecc. – solo una cause raisonnable, intesa quale criterio oggettivo che rende plausibile la promessa e che giustifica la condanna del promittente. Tale distinzione non sussisterebbe nella common law, ove qualunque sia l’obbligazione, la forma è sempre necessaria qualora difetti la consideration (intesa grossomodo come controcredito).
Il ripensamento delle impostazioni tradizionali in tema di promesse, dunque,
non può prescindere da una revisione del concetto di causa: questa non è intesa quale funzione economico-sociale del negozio, bensì come giustificazione dell’attribuzione patrimoniale non motivata da spirito liberale, con il compito di tutelare colui che assume un’obbligazione. Per una ricostruzione della nozione di causa si veda, infra, il § 3.1.
Cfr. anche XXXXXXXXX G., Promesse unilaterali atipiche, cit., p. 330: “la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti a norma dell’art. 1987 non già quando (e perché) non sia accettata dal destinatario, ma quante volte manchi una ragione sufficiente capace di giustificare il progettato spostamento patrimoniale da un soggetto all’altro. La promessa non causata si mantiene solo se rivestita
in un altro rapporto od inserirsi, comunque, in un più ampio assetto di interessi implicante uno scambio giuridico- economico99 (inteso in senso lato di reciprocità di prestazioni,
della forma solenne della donazione”. In questo senso, si è detto (cfr. SBISÁ G., La promessa al pubblico, cit., p. 40 e ss.) che l’art. 1987 c.c. non costituirebbe altro che una conferma dei principi generali sulla forma e sulla causa, dal momento che troverebbe applicazione solo ove difetti un interesse del promittente e la promessa neppure abbia i requisiti di cui all’art. 782 c.c. Per esprimere il dualismo causa-forma con un’espressione frequentemente citata: “quando difetta la causa, la forma salva il negozio”, SACCO R. - DE NOVA G., Il contratto, cit., p. 656.
Pienamente condivisibili appaiono allora quelle teorie che propugnano l’atipicità delle promesse unilaterali, in quanto perfettamente compatibile con i principi del sistema: “se l’esistenza di una iusta causa evita il rischio di impegni astratti, rimane soltanto da difendere la libertà di scelta del beneficiario. E una volta che si riconosca nel potere di rifiuto a lui attribuito un meccanismo capace di dar spazio all’eventuale suo contrario apprezzamento, parrebbero cadere entrambi i capisaldi delle dottrine tradizionali”, XXXXXXXXX G., Promesse unilaterali atipiche, cit., p. 336.
Esempi socialmente tipici di impegni non corrispettivi sono rappresentati dal contratto autonomo di garanzia (la causa cavendi ne costituirebbe la ragione giustificativa) e dalle lettere di patronage (ritenute fonte di obbligazioni nei limiti in cui un intento di obbligarsi sia ricavabile dalla loro formulazione letterale).
99 Cosicché essa debba necessariamente inquadrarsi “nella complessità dell’operazione di cui fa parte”, BENEDETTI G., Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969, p. 1. Cfr. anche D’XXXXXX X., Le promesse unilaterali, cit., p. 297 e ss. e SACCO R. – DE NOVA G., Il contratto, cit., p. 649: “nessuna promessa è autosufficiente […]. Se non è accompagnata da un elemento che ne spiega la ragione e la giustifica, la promessa non produce effetto”.
Sulla possibilità che la giustificazione causale della promessa sia riconducibile ad un rapporto di scambio che trascenda il contenuto della medesima e sulla non necessità della expressio causae per la validità dei negozi non solenni ad effetti obbligatori, si vedano le argomentazioni e la giurisprudenza citata da D’XXXXXX X., Le promesse unilaterali, cit., p. 258 e ss. e p. 429 e ss.
Per XXXXXXXXX G., Promesse unilaterali atipiche, cit., p. 362 e ss., oltre alla promessa solvendi o cavendi causa, sarebbe vincolante, ai sensi dell’art. 13332, anche la promessa che, seppure al di fuori di un meccanismo di scambio o di associazione, corrisponda ad un interesse economico del promittente; per cui sarebbero da ricondurre al novero delle promesse unilaterali, e non allo schema della donazione, quelle promesse che, in conformità all’intento del loro autore, si rivolgono al soddisfacimento di un interesse non liberale del promittente, costituendo così un rapporto giuridico principale (ad es., promesse a titolo
pubblicitario); sul punto cfr. gli esempi addotti da D’XXXXXX X., Le promesse unilaterali, cit., p. 299.
Contra, per quanto concerne le promesse di dare fatte nella speranza o in vista di una chance di vantaggi economici, GORLA G., Il contratto, cit., p. 191, per il quale esse sono considerate donazioni, in quanto le mere chances di conseguire vantaggi economici non costituirebbero una cause suffisante. Di contrario avviso è pure D’XXXXXX X., Le promesse unilaterali, cit., p. 299 e ss., per il quale non è valida, se non accompagnata dalle formalità proprie della donazione, la promessa non giustificata da un corrispettivo attuale o futuro, né volta a provocare un comportamento futuro del promissario assimilabile ad una controprestazione connessa al soddisfacimento di un interesse patrimoniale del promittente.
Al di là del dibattito sulla possibilità che tali promesse non si sottraggano allo
schema formale della donazione, appare, comunque, logicamente impossibile configurare promesse di tal genere come collegate ad un’altra promessa o ad un contratto, pena la perdita di quella vera e propria “autonomia causale” che le connota, giacché esse non si inserirebbero in un’operazione di scambio, né presupporrebbero una “controprestazione”, bensì solo un interesse del promittente meritevole di tutela ex art. 13222. In questi casi, dunque, la causa della promessa è costituita dall’interesse, patrimoniale o meno, ma comunque non liberale, di colui che assume l’obbligazione. Cfr. in questo senso anche SACCO R. - DE NOVA G., Il contratto, cit., p. 651 e ss.
Emblematica, al riguardo, è la vicenda decisa da Xxxx., 09.10.1991, n. 10612: moglie e marito concludono con due coacquirenti un accordo in base al quale la moglie promette di vendere al prezzo di Lire 120.000.000 un proprio terreno con villetta soprastante e il marito promette di trasferire a titolo gratuito (atteso che il relativo valore era già ricompreso nel prezzo della vendita conclusa dalla moglie) un proprio terreno confinante. La Suprema Corte ha ritenuto che la promessa di trasferimento del terreno senza corrispettivo da parte del marito configurasse un contratto gratuito a favore di terzo (la moglie): il primo negozio avrebbe infatti agevolato la conclusione del secondo ed inciso sulla determinazione del relativo prezzo, vantaggioso per il coniuge del disponente. Si veda la nota critica di GAZZONI F., Babbo Natale e l’obbligo di dare, in Giust. civ., 1991, I, p. 2895, il quale sostiene, invece, l’autonomia dell’obbligo di dare assunto dal marito, giustificato dall’interesse (non liberale) di quest’ultimo all’attribuzione patrimoniale alla moglie, attribuzione della quale anch’egli avrebbe indirettamente beneficiato.
A mio parere, in questo caso, la promessa indubbiamente dà vita ad un
rapporto giuridico autonomo dal punto di vista concettuale, ma al contempo si qualifica quale strumento funzionale alla realizzazione di un affare bilaterale di scambio, dal cui sinallagma viene avvinta.
Quanto alle promesse condizionate ad una prestazione favorevole al promittente e sulla quale il promissario può influire, si osserva che anche questa tipologia di dichiarazione unilaterale appare idonea a costituire un rapporto
benefici-sacrifici e rischi cui corrispondano effetti sia a favore che a carico di ciascun contraente), se tra promessa e contratto vi sia una relazione, tale legame può essere solo nel senso per cui la prima, pur trovando la sua giustificazione in un autosufficiente interesse del promittente, è inesorabilmente influenzata dal rapporto scaturente dal secondo e, dunque,
«assistiamo ad una reazione esercitata da un negozio sull’altro, non ad un collegamento tra di essi».100
In altre parole, le promesse unilaterali, pur potendo assumere connotati di autonomia strutturale, determinano l’insorgenza di una obbligazione la cui efficacia concreta appare di regola vincolata dalla validità e dall’efficacia di un altro rapporto: esse presuppongono necessariamente un’altra relazione giuridica e, evidentemente, il venir meno di questa comporta il venir meno dell’efficacia della promessa.101
giuridico autonomo, qualificandosi come strumento per la realizzazione di un affare di scambio. Si tratta delle offers calling for an act, poste da Xxxx Xxxxx all’attenzione della dottrina italiana, le quali, come promesse atipiche individualizzate, corrispondono grossomodo alla tipologia di promesse al pubblico effettuate “a favore di chi […] compia una determinata azione” (art. 1989): cfr. XXXXX X., Il contratto, cit., passim; ID., Promesse condizionate ad una prestazione, cit., p. 432. In proposito, tuttavia, si concorda con l’autorevole orientamento dottrinario che riconduce tali promesse all’ambito del contratto: cfr. XXXXXXXXX G., Promesse unilaterali atipiche, cit., p. 375; XXXXXXX G., Promesse condizionate ad una prestazione, cit., passim.
100 Notava già GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 328.
101 Cfr. le considerazioni, a proposito della promessa di pagare l’altrui debito, svolte da XXXXXX X., L’adempimento dell’obbligo altrui, Milano, 1936, p. 269 e ss.; ID., Xxxxx promessa di pagare il debito altrui, in Foro it., 1936, I, p. 1466: “nella promessa di pagare il debito altrui il riferimento a questo si esaurisce nel momento della creazione del negozio, perché è ovvio che, nella fase di esecuzione, il promittente non adempie più l’obbligo altrui, bensì l’obbligo proprio. Non si può dire perciò che l’elemento causale dell’obbligo preesistente si trasfonda nell’obbligo del terzo e costituisca pure l’elemento giustificativo di questo. L’obbligo del terzo ha una fisionomia propria e una sua autonomia e trova le condizioni della sua esistenza e della sua efficacia solo nel negozio da cui è sorto. Che vi sia fra l’obbligo preesistente e l’obbligo nuovo del terzo identità economica è possibile, ma che vi sia identità giuridica è senz’altro da escludere. Sta solo a vedere come l’obbligo originario influisca sulla configurazione
Tali effetti – che, come vedremo, sono propri anche del collegamento funzionale tra contratti – sono dunque la conseguenza di un legame di strumentalità imposto dalla natura stessa della categoria “promessa”.102
Così, – sebbene sia senz’altro concepibile una promessa che, collegandosi ad un contratto a prestazioni corrispettive, rappresenti un elemento di una complessa fattispecie di scambio – ritengo che per tali motivi l’esame delle problematiche legate all’ipotesi del collegamento tra un contratto ed una promessa unilaterale abbia sempre esulato dall’impostazione delle trattazioni classiche.103
dell’elemento causale del negozio di assunzione. L’influenza può essere più o meno decisa secondo i casi, ma un elemento indeclinabile si può fermare ed è questo: che la nullità o in genere la invalidità dell’obbligazione originaria si risolve in un vizio della causa del negozio di assunzione”.
102 Si potrebbe parlare al riguardo di collegamento necessario; cfr. infra il § 2.4.3. 103 Cfr. anche le osservazioni di D’XXXXXX X., Le promesse unilaterali, cit., p. 274: “la promessa, pur essendo in se stessa volta alla costituzione di un rapporto obbligatorio a struttura unilaterale, può tuttavia essere collegata ad altri rapporti in relazione ai quali promessa e obbligazione possono rivelarsi inerenti ad uno scambio […] e possono trovare in esso giustificazione causale. […] componenti ed effetti propri di distinti negozi si integrano in una operazione di scambio che trascende ciascuno di essi e tutti li ingloba”; l’Autore, inoltre, ammonisce, sub nota n. 60, che “può apparire in tal caso precaria la stessa netta apposizione di confini tra dichiarazioni negoziali e tra negozi, e la stessa pluralità di questi ultimi (ciò in particolare nell’ipotesi di identità di parti), o quantomeno appare naturale riconoscere, pur nell’articolazione negoziale, una complessiva
dimensione contrattuale unitaria”.
In alcuni casi di promessa al pubblico può sussistere un “collegamento” con un contratto: è il caso, ad esempio, del contratto la cui conclusione può costituire il “premio” per colui che risulta avere diritto alla prestazione. In questi casi, tuttavia, sembra non potersi parlare di collegamento funzionale, ma semmai di collegamento di tipo genetico (cfr., infra, § 2.4.2): la relazione che si instaura fra promessa e contratto sembra essere di pura strumentalità, nel senso che, nella dinamica introdotta dalla promessa, il contratto non è recepito nella sua dimensione di regolamento di interessi, bensì come mero fatto giuridico; in questo senso COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 50.
È poi possibile che le parti contraenti convengano di assumere obbligazioni mediante successive promesse unilaterali. Appare, dunque, corretto ritenere che
In questo senso, dunque, comprendiamo come il dilemma unità/pluralità e conseguentemente il problema del collegamento volontario e funzionale, nonostante l’aggettivo qualificativo tradizionalmente utilizzato – negoziale – abbia da sempre investito ipotesi riconducibili essenzialmente all’ambito dei contratti.
2.2. Unità e pluralità negoziale nella dottrina tradizionale.
Si è introduttivamente considerato come accada di rado, nella pratica odierna, che gli attori del mondo giuridico concludano accordi precisamente coincidenti con uno dei tipi contrattuali regolati dalla legge.
Al cospetto di una operazione complessa nella quale non sia individuabile prima facie alcun tipo contrattuale le possibilità sono, in linea di massima, le seguenti:
a) che si tratti di un unico contratto riconducibile ad uno dei tipi disciplinati, giacché gli elementi di difformità, che in un primo momento sembrano far fuoriuscire la fattispecie concreta dall’alveo della fattispecie astratta, ad un esame più attento si rivelano compatibili con il tipo, attesa la sua naturale elasticità;
b) che si tratti di un unico contratto atipico (intendendosi il significato più ampio possibile, ricomprendente anche le ipotesi dei contratti misti e dei contratti solo socialmente tipici);
c) che non si tratti di una fattispecie a struttura unitaria, bensì che si sia di fronte ad un’ipotesi di più contratti.104
tali dichiarazioni abbiano efficacia obbligatoria dal momento che trovano il loro fondamento causale non tanto in se stesse, quanto nel contratto a monte, il quale deve perciò qualificarsi quale contratto normativo. Cfr. XXXXXXXX C.A., Promessa unilaterale, cit., p. 3.
104 Cfr. COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 66.
Il tema del discernimento dell’unità dalla pluralità negoziale in situazioni negoziali complesse costituisce tòpos classico della letteratura civilistica italiana degli inizi del secolo scorso.
Appare evidente come quest’ultima ipotesi sia l’unica idonea a costituire il presupposto di un collegamento, mentre negli altri casi prefigurati il problema sarà unicamente quello di individuare la disciplina applicabile.
In relazione all’aspetto qualificatorio non si può non condividere la considerazione per la quale nell’ambito di una situazione complessa, l’affermazione della coesistenza di due negozi strutturalmente autonomi (ma collegati fra loro) è soluzione corretta solo «quando esista una ragione intima contraria alla riduzione dei diversi elementi individuati ad un unità, a quell’unità che a suo favore ha già l’esteriorità materiale del comportamento delle parti, l’unitas actus».105
Questo, dunque, vorrebbe costituire il criterio orientativo di fondo della ricerca di un discrimen tra unità e pluralità di negozi: distinzione che dovrà per quanto possibile rispettare l’essenziale esigenza di non atomizzare ciò che si può logicamente e giuridicamente tenere unito.106
Le fattispecie che stimolarono la riflessione scientifica sul tema, in particolare, furono, come noto, la vendita con esclusiva, il c.d. trasporto in assegno, la locazione di una camera con servizio, la locazione c.d. di cassette forti nelle banche, i depositi bancari a custodia, il godimento di un immobile contro prestazione di lavoro, il contratto di pensione alberghiera, il negozio misto a donazione, la donazione modale allo scopo di finanziare opere di beneficienza, la vendita a scopo di garanzia, la rappresentanza a scopo di vendita e così via; cfr. XXXXXXXXX X., Contratto misto, negozio indiretto, negotium mixtum cum donatione, cit., p. 80: “Innanzi tutto, in molti di questi casi, conviene domandarsi: siamo di fronte a un negozio unico o invece a una pluralità di negozi?”.
105 Così, egregiamente, MESSINA G., I negozi fiduciari, Introduzione e parte I,
Milano, 1908, ora in Scritti giuridici, I, Milano, 1948, p. 102; in senso conforme DE XXXXXXX X., I contratti misti, cit., p. 60: “la soluzione non può non essere orientata decisamente verso l’unità giuridica del rapporto, in chi riconosca utile, logica e fondata nel nostro sistema la categoria dei contratti misti: riconoscimento che evita di ricorrere alla teoria, che secondo me deve costituire una extrema ratio, del concorso di più negozi”.
106 Così anche COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 71, il quale non manca di rilevare che l’inutile scomposizione, lungi dall’essere semplicemente sgradevole su di un piano “estetico”, costituisce una possibile fonte di ingiustizia: ad esempio, può essere foriera di un’imposizione fiscale plurima a fronte di un’operazione strutturalmente e funzionalmente unitaria. Già
la questione fu sollevata da FERRI G., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 396, sub nota n. 2.
Si veda, al riguardo, Cass., 15.06.1981, n. 3863, in Foro it., 1982, I, c. 1371 e ss.: “Il contratto di vendita di area edificabile con il quale gli alienanti si riservano la proprietà delle aree corrispondenti ad alcuni piani del futuro fabbricato è assoggettato all’imposta di registro prevista per la vendita del suolo e a quella relativa alla costituzione dei diritti di superficie”, principio ricavato in base alla ricostruzione plurima della fattispecie, nella quale si individuano due contratti, uno relativo al trasferimento della proprietà del suolo da Xxxxx a Caio, e l’altro relativo alla concessione di un diritto di superficie da Caio a Tizio. Cfr., sul punto, XXXX X., Rapporti atipici e prassi notarile, in Rapporti atipici nella esperienza negoziale, Milano, 1988, p. 108 e ss. e le critiche di XXXXXX X., Acquisto pro quota dell’area con diritto parziale di sopraelevazione, in Foro it., 1971, I, c. 2961 e ss.
Più recentemente (cfr. Cass., 24.01.1992, n. 811, in Giust. civ., 1993, I, p. 239, e Cass., 27.04.1993, n. 4926, in Foro it., 1994, I, c. 1884 e ss.), invece, si tende ad inquadrare simili operazioni nell’ambito della permuta (di cosa presente – l’area edificabile – contro cosa futura – il fabbricato da costruirsi o parti di esso –), ovvero nell’ambito del contratto misto vendita-appalto, a seconda della rilevanza che si ritiene essere stata data dalle parti all’elemento del facere: dunque, viene salvaguardata l’unitarietà dell’affare, anche sul piano strutturale.
Le conseguenze da un punto di vista fiscale sono rilevanti. Infatti, secondo la normativa sull’imposta di registro (D.P.R. 16 aprile 1986, n. 131), in caso permuta (ma il discorso non muta se si ricostruisce la fattispecie in termini di contratto misto) l’imponibile viene commisurato in ragione del valore del bene che dà luogo all’applicazione della maggiore imposta (art. 43, lett. b; a meno che una delle due prestazioni sia soggetta ad IVA, nel qual caso l’imposta verrà commisurata all’altra prestazione e la doppia imposizione risulterà inevitabile); mentre, ovviamente, la qualificazione in termini di pluralità negoziale condurrebbe necessariamente ad una doppia imposizione, dal momento che ogni singolo contratto verrebbe tassato autonomamente in ragione della prestazione in esso dedotta. Cfr. TROJA D., Il contratto di permuta tra IVA e imposta di registro, in Rass. trib., 1988, I, p. 537.
Cfr., da ultimo, Cass., 04.05.2009, n. 10180, in Obbl. e xxxxx., 2009, p. 668, nonché in Rass. Foro arianese, 2009, p. 108: “In tema di registrazione di atti che contengano più disposizioni, occorre distinguere tra l’ipotesi dell’atto complesso e il ben diverso caso del collegamento negoziale: l’atto complesso va assoggettato ad un’unica tassazione di registro, in quanto le varie disposizioni che in esso confluiscono sono rette da un’unica causa, e quindi derivano necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre. Viceversa, le disposizioni che danno vita ad un collegamento negoziale, ma sono rette da cause distinte, sono soggette ciascuna ad autonoma tassazione, in quanto la pluralità delle cause dei singoli negozi, ancorché funzionalmente collegate dalla causa complessiva dell’operazione, essendo autonomamente identificabili, portano ad escludere che
le disposizioni rette da cause diverse possano ritenersi derivanti, per loro intrinseca natura, le une dalle altre”. Ciò in quanto l’imposta di registro è un’imposta d’atto, ossia un tributo che si commisura alla capacità economica manifestata dall’atto sottoposto a registrazione. Pertanto, tutte le volte in cui un documento contenga più “atti”, ciascuno espressione di un’autonoma capacità contributiva, appare coerente con la disciplina legislativa vigente che l’imposta si applichi distintamente ad ognuno di essi: “alla suddetta regola può fare eccezione solo il caso in cui più atti risultino così intrinsecamente connessi tra loro da risultare rivolti alla realizzazione di una vicenda giuridica unitaria ed inscindibile (negozi complessi), in quanto, in tal caso, la connessione tra gli atti risulta tale da non consentire di ritenere ciascuno di essi espressione di autonoma capacità contributiva”. Nello stesso senso Cass., 31.08.2007, n. 18374, in Giust. civ. Mass., 2007, 10.
Occorre evidenziare altresì che come la surrettizia scomposizione di
un’operazione unitaria può andare a danno del contribuente, essa può anche costituire il mezzo per eludere l’imposizione fiscale: anche in tali frangenti, dunque, il ricorso alla nozione di collegamento negoziale è d’ausilio all’interprete.
Per evitare siffatti fenomeni elusivi, in tema di imposta di registro, l’art. 20 del
D.P.R. 26.04.1986, n. 131, recita che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.
Si veda, sul punto, Cass., 25.02.2002, n. 2713, in Fisco, 2002, p. 4061, nonché in Dir. e prat. trib., 2003, II, p. 1007, annotata (unitamente a Cass., 23.11.2001, n. 14900) da XXXXXXXX F.M., Collegamento negoziale, interpretazione degli atti ai fini dell’imposta di registro, elusione fiscale: “se un soggetto adotta un atto di conferimento in società di un immobile gravato da finanziamento ipotecario e poi il conferente stesso cede alla società conferitaria le quote acquisite con il conferimento, i due comportamenti realizzano effetti parziali che, autonomi dal punto di vista civilistico, secondo la legge sull’imposta di registro sono meramente strumentali rispetto all’effetto giuridico finale prodotto dall’intera fattispecie complessa e costituito dal trasferimento dell’immobile alla società. I due negozi, perciò, vanno considerati, dal punto di vista della speciale legge dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario”. Dunque, afferma in generale il Supremo Consesso, “la pluralità degli atti che vengano compiuti per realizzare uno di quegli effetti che la legge sull’imposta di registro considera rilevante – per esempio l’effetto traslativo della proprietà di un bene immobile – non priva di rilevanza il risultato di quell’unitas multiplex che è data dall’insieme dei negozi collegati strutturalmente, per identità dei soggetti e dell’oggetto, e funzionalmente per il contributo parziale e strumentale che ciascuno dei negozi, che pure si succedano nel tempo, dà alla formazione progressiva di un’unica fattispecie identificabile attraverso un determinato effetto giuridico finale”. Siffatta conclusione dei giudici di legittimità (ribadita, più recentemente, da
È allora opportuno iniziare questo breve excursus sottolineando – come la dottrina abbia rilevato sin da tempi risalenti – che la ricerca di un criterio discretivo fra unità e pluralità negoziale è caratterizzata dalla consapevolezza di essere di fronte ad un problema di una certa oscurità107, che taluno non ha esitato a definire addirittura di impossibile scioglimento 108 , le cui possibili soluzioni finiscono inevitabilmente per essere tutte contraddistinte da un certo grado di arbitrio.109
Cass., 12.05.2008, n. 11769, in Giur. it. Mass., 2008), è stata criticata, tra l’altro, dal Consiglio nazionale del notariato (studio n. 95/2003/T, del 26.03.2004), perché, come detto, l’imposta di registro è essenzialmente un’imposta di atto e ciò precluderebbe all’Ufficio l’utilizzo di elementi extratestuali nell’attività di interpretazione dell’atto registrato. Sulle interazioni tra collegamento negoziale e frode alla legge si veda comunque, infra, il § 3.6.5.
Infine, altra ipotesi rilevante da un punto di vista tributario è quella concernente l’imprenditore in caso di molteplici cessioni di beni dell’impresa, la quale può essere considerata anche “cessione d’azienda”. Il trattamento fiscale è nettamente differenziato: nel primo caso si applica l’IVA ed il cessionario potrà recuperare l’imposta mediante l’esercizio del diritto di detrazione, mentre nella cessione di azienda si applica l’imposta di registro sull’intero valore netto aziendale (attivo meno passivo) ed il cessionario non può recuperare l’imposta di registro pagata. Sul punto si vedano le considerazioni di XXXXX X., Il debito fiscale nelle procedure concorsuali, in Dir. prat. trib., 2006, II, p. 407.
Xxxxxx, infine, ROPPO V., Il contratto, cit., p. 428, che la distinzione fra unità e pluralità negoziale è imprescindibile per determinare alcune conseguenze strumentali di non lieve momento, come quelle legate al tempo ed al luogo della conclusione (decorso dei termini e competenza territoriale).
107 XXXXXXXX X., Allgemeines Xxxxxxxxxxx xxx X.X.X., 0000, Xxxxxxx – Leipzig, p. 324.
108 ENNECCERUS L. – XXXXXXX X., Xxxxxxxx, xxx xxxxxxxxxxxx Xxxxxx, XX, Xxxxxxxx, 0000, p. 355; LANG E., Teilweise Nichtigkeit der Rechtsgeschäfte, Berlin, 1928, p. 102; mentre XXXXXX A., Il contratto di assicurazione in abbonamento, Roma, 1935, p. 87, afferma che il problema non permette una soluzione precisa e di portata generale per tutte le ipotesi.
109 Cfr. GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 276; DE XXXXXXX X., I contratti misti, cit., p. 59; XXXXXXXXXX X., La donazione mista, Milano, 1970, p. 26 e COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 74 che riportano la scettica affermazione di VON TUHR A., Der Allgemeine Teil des deutschen Bürgerlichen Rechts, Leipzig, 1910-1914, p. 191.
La genericità dei criteri in origine proposti, la cui eterogeneità trae senz’altro linfa anche da incertezze lessicali che si sono tradotte in un grave disordine anche sul piano concettuale, ha contribuito ad attribuire valore determinante all’analisi delle peculiarità della fattispecie concreta.
In particolare, la dottrina italiana d’inizio del secolo scorso è stata posta innanzi alla problematica dell’unità e della pluralità di contratti nel momento in cui ha rivolto la propria attenzione alle fattispecie del deposito bancario in cassette di custodia110 e della vendita con esclusiva.111
Non appare il caso di indagare se ed in quali termini la questione de qua si sia posta anche nel diritto romano: FERRI G., Xxxxxxx con esclusiva, in Dir. prat. comm., 1933, p. 395, sub nota n. 1, osserva come si facesse distinzione tra stipulatio e contratti liberi di forma; per la prima valeva il principio quot summae, quot res, tot stipulationes, in cui summae e res stavano ad indicare la promessa di prestazione; per gli altri si propendeva per lo più per la sussistenza di un contratto unitario, malgrado la complessità di contenuto.
Sul punto, GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 280, nota che i giuristi romani si pongono il problema solo per determinare quale azione competa al creditore in tali casi di contratto a contenuto complesso e, per lo più, decidono per l’estensione, anche alle altre prestazioni, dell’azione relativa alla prestazione principale; l’illustre Autore sottolinea poi che tali criteri appaiono di un formalismo tale da non poter fornire spunti utili per una riflessione nell’ambito del diritto moderno. Nello stesso senso DE XXXXXXX G., I contratti misti, cit., p. 48.
Cfr., per la dottrina tedesca, gli autorevoli scritti di XXXXXXXXXXXX F., Vertrag mit zusammengesetzten Inhalt oder Mehrheit von Verträge?, in Jher. Jahr., 48°, 1904, p.
452 e ss. e LIEBE F., Die Stipulation und das einfache Xxxxxxxxxxx, § 000, Xxxxxxxxxxxx, 0000; per quanto riguarda la dottrina italiana, spendono qualche fugace considerazione sul tema LA LUMIA I., I depositi bancari, Torino, 1913, p. 117 e ss.; e, di recente, COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 69.
110 Cfr. ARCANGELI A., Il servizio bancario delle cassette forti di custodia, in Riv. dir. comm., 1905; SCIALOJA A., Sulle cassette forti di custodia, in Giur. it., 1907, IV, p. 243; CARNELUTTI F., Natura giuridica del contratto di cassetta-forte per custodia, in Riv. dir. comm., 1911, II, p. 902; LA LUMIA I., Contratti misti e contratti innominati, in Riv. dir. comm., 1912, I, p. 720 e ss.; ID., I depositi bancari, cit., p. 118; XXXXX X., Cassette di sicurezza, voce di Enc. giur. dir., 1960.
111 Cfr. GRECO P., Vendita con esclusiva, in Dir. e prat. comm., 1923, II, p. 137 e ss.; XXXXX G., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 394, e XXXXXXXXXXXXX R., Natura giuridica della compravendita con esclusiva, in Riv. dir. comm., 1939, I, p. 247.
Per una certa dottrina, il problema si pone quando in una situazione negoziale, vi sia una pluralità di intenti diretti alla produzione di una corrispondente pluralità di scopi pratici, ove per scopo pratico si intenda la direzione della dichiarazione di volontà verso una singola conseguenza economica.112
Sotto altro punto di vista, invece, si è affermato che il problema dell’unità o pluralità di negozi si pone qualora la fattispecie negoziale oggetto di indagine riveli «qualche cosa di più o di diverso; si presenta cioè sovrabbondante rispetto al tipo, previsto dal legislatore oppure elaborato dalla prassi».113
Ad ogni modo, le prime indicazioni che si rinvengono in letteratura sono fornite da alcune teorie piuttosto datate che individuavano il criterio discretivo in indici estrinseci quali l’unità del documento114, l’unità della dichiarazione 115 o l’unità del corrispettivo 116.
112 L’impostazione è di GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 279, che parla di scopo empirico.
113 DI SABATO F., Unità e pluralità di negozi, cit., p. 414.
114 Teoria che si ispira alle conclusioni raggiunte da XXXXXXXXX O., Gemischte Verträge im Reichtsschuldrecht, in Jher. Jahr., 1911, pp. 106 e 115-117.
Al dato estrinseco della “comunanza d’istrumento” la dottrina, come la giurisprudenza, ha da sempre attribuito un valore latamente presuntivo ma, ovviamente, mai decisivo in ordine alla determinazione della unità negoziale: cfr. LA LUMIA I., I depositi bancari, cit., p. 113; XXXXXXXXXX F., Documento e negozio giuridico, in Riv. dir. proc. civ., 1926, I, p. 181; XXXXX G., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 396; XXXXXXXXXX X., La donazione mista, cit., p. 27; MESSINEO F., Dottrina generale del contratto, Milano, 1944, p. 199; XXXXXXXXX P., In tema di negozi collegati, cit., p. 275; XXXXXXX F., Diritto civile e commerciale2, II, 1, Padova, 1993, p. 198.
Del pari, si è sostenuto che deve ritenersi irrilevante la mera unità cronologica: cfr. DE XXXXXXX X., I contratti misti, cit., p. 50, il quale esclude che, per quanto concerne la questione che ci occupa, possa aver alcun peso la circostanza che l’accordo tra le parti si sia formato in un momento unico od in più momenti successivi; così come VALERI G., Trasporti cumulativi, Milano, 1913, p. 120, rileva come possa benissimo un singolo negozio prendere vita per mezzo di più atti cronologicamente successivi.
115 Cfr. LA LUMIA I., I depositi bancari, cit., p. 113: “da una dichiarazione, che
deve considerarsi giuridicamente unica, non può sorgere che un negozio ed uno soltanto”; soggiunge però l’Autore citato che “può spesso accadere che due o più dichiarazioni si confondano in modo da presentare l’apparenza di una sola”,
riportando, altresì, sub nota n. 5, la singolare trasposizione della questione in termini algebrici effettuata da XXXXXX X., Xxx Xxxxxxxxxxx xxxxxxx, Xxxxxxx, 0000,
p. 26, sub nota n. 1: xy oppure x + y? Ove x ed y rappresentano nel primo caso elementi di un contratto unico e nel secondo caso contratti distinti.
A questo criterio discretivo pare riferirsi anche XXXXXXXXX X., Contratto misto, negozio indiretto, negotium mixtum cum donatione, cit., p. 81, quando partisce l’indagine relativa alla unità/pluralità negoziale in due fasi e descrive la prima di queste alludendo al necessario riscontro dell’unità della dichiarazione: “Perché ci sia un negozio unico, a me sembra innanzi tutto necessaria l’unicità della fonte e cioè della o delle manifestazioni di volontà dalla quali risulta il negozio […]. Quando l’unità possa venir affermata da questo punto di vista comincia la più delicata delle indagini, perché non può escludersi che uno actu le parti abbiano mirato a concludere più negozi”. L’Autore finisce poi per individuare l’elemento decisivo della seconda parte dell’indagine nella volontà delle parti, riallacciandosi così alla teoria c.d. soggettiva; dunque, per aversi unità negoziale, parrebbe essere innanzitutto necessaria, ma non sufficiente, l’estrinseca unità della dichiarazione; cfr. anche ARCANGELI A., Il servizio bancario delle cassette forti di custodia, cit., p. 194. Per una critica a tale tesi cfr. XXXXX X., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 396, sub nota n. 5.
Anche GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 277, nell’introdurre la propria indagine, pone quale punto fermo la considerazione per la quale una sola dichiarazione di volontà non basta a dar vita a più negozi (“per ogni negozio è necessaria una determinata dichiarazione di volontà”) ma sottolinea che discorso ben più spinoso è “determinare se una dichiarazione di volontà che potrebbe anche apparire unica sia in effetti il risultato di più dichiarazioni dirette a più fini pratici, e se a tale pluralità di fini pratici corrisponda una pluralità di negozi giuridici o no”.
116 Pur non considerandola un criterio decisivo, DE XXXXXXX X., I contratti
misti, cit., p. 50, vede nell’unità del corrispettivo “un indizio molto probatorio, poiché le parti fanno corrispondere la determinazione del corrispettivo, nel senso visto, al loro modo di pensare nei riguardi dell’unità, o meno, del contratto”; nello stesso senso, XXXXXXXXX T., Il negozio indiretto e le società commerciali, cit., p. 17; ID., Xxxxxxxxx misto, negozio indiretto, negotium mixtum cum donatione, cit., p. 81: “un indice, seppur non decisivo, dell’intima connessione dei vari elementi perseguiti dalle parti e quindi dell’unicità del negozio può frequentemente trovarsi nella unicità o meno della controprestazione, ad esempio l’unicità o pluralità del prezzo in cambio di più servizi”. Cfr. anche XXXXX X., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 396; MESSINEO F., Dottrina generale del contratto, cit., p. 200; XXXXXXXXXX X., La donazione mista, cit., p. 26; e XXXXXXXXX G., Negozi collegati in funzione di scambio, cit., p. 436, nota n. 83. La considerazione è già presente in REGELSBERGER F., Vertrag mit zusammengesetzten Inhalt oder Mehrheit von Verträge?, in Jher. Jahr., 48°, 1904, p. 453; e in XXXXX X., Xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000, p. 73. La giurisprudenza ha spesso dato credito al criterio in
Vi è poi chi ha propeso per l’unità dell’obbligazione.117
Ma messi da parte questi criteri essenzialmente formalistici, tre furono gli indirizzi in cui, nella prima metà dello scorso secolo, si divisero gli Autori che si occuparono della questione.118
Secondo un primo orientamento, per rinvenire un criterio discretivo tra i casi di unità e quelli di pluralità negoziale occorre far capo all’elemento soggettivo della volontà delle parti.119
esame onde discriminare l’unità dalla pluralità di negozi: cfr., Cass., 22.11.1989, n. 5001, in Dir. prat. lav., 1990, p. 431.
117 Cfr. le critiche mosse a questo orientamento già da XXXXX X., Il concordato nel fallimento e prima del fallimento, Torino, 1902, p. 217, che afferma che “quello che decide dell’unicità del contratto non è l’unicità dell’obbligazione che ne deriva (ché anzi spesso da un solo contratto derivano più obbligazioni), ma l’unicità dell’obietto del consenso”.
Nello stesso senso FERRI G., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 396 e GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 278; quest’ultimo osserva innanzitutto come la fallacia della tesi esposta discenda direttamente dalla circostanza per cui nel nostro ordinamento giuridico non ogni negozio sia fonte di obbligazioni; ed aggiunge che “la individualità di ogni negozio giuridico non è data dalla natura e dal contenuto degli effetti (tra i quali rientrano le obbligazioni) che da esso derivano, ma dal contenuto della dichiarazione di volontà, cioè dagli scopi pratici cui è diretto l’intento della parte (o delle parti)”.
118 L’esposizione più completa di questi tre indirizzi la dobbiamo, come dà atto
anche GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 281, a FERRI G., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 397 e ss. Cfr. anche DI SABATO F., Unità e pluralità di negozi, cit., p. 415 e ss.
119 HÖNIGER H., Vorstudien zum Problem der gemischten Verträge, Freiburg im B., 1906, p. 23, principale assertore di questa teoria, sostiene che non è compito dell’ordinamento, ma della volontà delle parti, discernere se in una certa situazione si debba ravvisare l’esistenza di uno oppure di due contratti.
Nella dottrina tedesca sostengono la tesi anche XXXXXXXX X., Xxxxxx Xxxxx, XX, Xxxxx, 0000, p. 112; XXXXX X., Einfache, zusammengesetzten, verbundene Rechtsgeschäfte, Xxxxxxx, 0000, p. 11; XXXX E., Teilweise Nichtigkeit der Rechtsgeschäfte, cit., p. 105 e ss.
Nell’ambito della dottrina italiana tale teoria venne precisata da XXXXXXXXX T., Il negozio indiretto e le società commerciali, cit., p. 16, che afferma: “per aversi negozio unico […] sembra innanzitutto necessaria l’unicità della fonte e cioè della o delle manifestazioni di volontà dalle quali risulta il negozio; […] l’elemento decisivo è quello del collegamento nella volontà delle parti dei vari scopi da esse
È evidente, peraltro, come tale teoria più che risolvere il problema lo sposti: resta da determinare quando possa dirsi che le parti abbiano voluto l’unità e quando la pluralità di negozi, atteso che esse appaiono sovente lungi dal preoccuparsi esplicitamente della struttura giuridica dell’affare.
A questa teoria, se ne affianca un’altra che, pur ponendo alla base delle proprie argomentazioni l’elemento volitivo, ritiene che tale elemento debba essere integrato dall’elemento oggettivo della connessione tra prestazioni.120
perseguiti: quando gli intenti economici perseguiti dalle parti sono strettamente connessi fra loro può parlarsi di negozio unico”; e da ARCANGELI A., Il servizio bancario delle cassette forti di custodia, cit., p. 196, il quale ritiene che vi sia negozio unico quando le prestazioni appaiano fra di loro connesse per rispondere ad un fine unico, secondo quella che è l’intenzione delle parti; cfr. anche le posizioni, sostanzialmente omogenee, di SCORZA B., Natura giuridica dell’abbandono della nave agli assicuratori, in Riv. dir. comm., 1932, I, p. 549 e ss.; e XXXXXXX D., Contributo alla teoria della condizione, Milano, 1937, p. 54 e ID., Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Torino, 1946, pp. 433-434. Di recente il criterio soggettivo sembra essere stato riproposto da CLARIZIA R., Collegamento negoziale e vicende della proprietà, cit., p. 21.
120 I principali sostenitori ne furono, nella dottrina tedesca, REGELSBERGER F.,
Vertrag mit zusammengesetzten Inhalt oder Mehrheit von Verträge?, cit., p. 459 e ss., che si richiama al concetto, mutuato dal campo dei diritti reali, di pertinenza (Zubehöreigenschaft); e XXXXXXXXX O., Gemischte Verträge im Reichtsschuldrecht, cit.,
p. 117: “sull’unità giuridica di un contratto a più prestazioni decide esclusivamente la volontà delle parti entro quei limiti in cui è riconosciuta alla dichiarazione di volontà una efficacia giuridica: volontà e dichiarazione debbono però compenetrarsi con l’unità materiale ed economica per raggiungere l’unità giuridica”. Si afferma, in sostanza, che la considerazione giuridica di una fattispecie negoziale non può discostarsi dalla sua considerazione economica, da effettuarsi però alla luce dell’interesse delle parti; cfr. DE XXXXXXX X., I contratti misti, cit., p. 52 e 58. Osserva GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 283, sub nota n. 1, come non sia giusto accomunare le posizioni dei due Autori tedeschi (quella di Xxxxxxxxx, peraltro, rappresentava una replica critica a quella di Xxxxxxxxxxxx) e pone l’attenzione sul maggior rigore nella formulazione della tesi di Xxxxxxxxxxxx, per il quale la connessione tra prestazioni determinerebbe l’unità del negozio quando una di esse possa dirsi subordinata alle altre. Per quanto concerne la dottrina italiana, cfr. RUBINO D., Negozio giuridico indiretto, Milano, 1937, p. 86.
Anche in questo caso, la questione, più che risolta, è posta in termini differenti ma non meno problematici: quand’è che la connessione economica tra le prestazioni assume una connotazione tale da determinare l’unità del negozio?121
Entrambe le teorie, denominate soggettiva ed intermedia (a causa del perdurante riferimento alla volontà), furono, dunque, investite dagli strali della dottrina ispirata alla teoria precettiva, secondo la quale solo l’ordinamento può attribuire al negozio effetti giuridici.
Quelle hanno rivelato la loro inesattezza innanzi alla circostanza per cui l’indagine in questione si risolve in un problema di qualificazione giuridica: pertanto, come tutti i problemi di qualificazione, essa risulta indisponibile alla volontà privata.122
Come si è detto, infatti, le parti mirano semplicemente a realizzare un determinato intento pratico e la loro volontà in ordine alla strutturazione dell’operazione che pongono in essere per raggiungerlo non è vincolante per l’interprete, il quale, – si afferma – nella sua missione interpretativa e qualificatoria, è condizionato dal fine e non dal mezzo prescelto dai contraenti.123
121 Cfr. XXXXX X., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 401 e ss.: “La imprecisione e la indeterminatezza della teoria diviene ancor più evidente quando si pensi che la connessione economica delle prestazioni deve essere tale da porre in essere un interesse tutelabile che funzioni come limite dell’autonomia della volontà, la quale impera sovrana nel campo dei diritti di obbligazione e quando si pensi che la tutelabilità dell’interesse si ha ogni qualvolta la connessione non possa considerarsi arbitraria. Sì che in definitiva, nonostante la ulteriore precisazione, è fondamentalmente la volontà delle parti che decide sulla soluzione del problema, con l’unica differenza che la connessione delle prestazioni nelle volontà delle parti non deve essere arbitraria”.
122 Cfr. COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 77 e gli
autori ivi citati sub nota n. 25
123 Cfr. in questo senso FERRI G., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 398 e ss.; LA LUMIA I., I depositi bancari, cit., p. 115; ID., Negozio unico e pluralità di negozi, in Riv. dir. comm., 1912, II, p. 921; DE XXXXXXX X., I contratti misti, cit., p. 52; XXXXXXXX A., Appunti in tema di negozi giuridici collegati, cit., p. 259; e XXXXXXXXXX X., La donazione mista, cit., p. 21. Il criterio discretivo dell’intento pratico è già presente in
Inoltre, se si accoglie la prospettiva di un’indagine condotta secondo criteri squisitamente subiettivi, si finisce col porre il discrimen sopra un elemento difficile da afferrare in concreto, col rischio di pervenire a risultati del tutto arbitrari e che comunque non costituiscono significativi passi in avanti rispetto a quelle teorie che, come accennato, finivano per basarsi sugli attributi esteriori della manifestazione di volontà.124
SCIALOJA A., Sulle cassette forti di custodia, cit. La volontà delle parti può, al più, porre in essere gli stati di fatto che l’interprete dovrà poi valutare sul piano giuridico; tale l’opinione – attribuita ad ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone. Parte generale, Padova, 1915, p. 55, e poi seguita dalla generalità degli Autori, tra i quali XXXXX X., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 399 e ss., e XXXXX E., Sugli oneri e i limiti dell’autonomia privata in tema di garanzia e modificazione di obbligazioni, in Riv. dir. comm., 1931, II, p. 692 – sostiene essenzialmente che nel campo del diritto delle obbligazioni la volontà umana ha sì maggiori poteri che non nel campo dei diritti reali, ma tale libertà riguarda solamente la formazione degli stati di fatto.
Siffatto pensiero è precisato, peraltro, da GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 282: “la volontà umana nel campo dei negozi giuridici non può limitarsi a porre in essere degli stati di fatto; ma è invece la sua direzione verso uno scopo pratico garentito dalla legge che ha la massima importanza nel determinare il contenuto del negozio”, altrimenti – prosegue l’Autore sub nota n. 3 – si renderebbe impercettibile o addirittura vana quella già di per sé fragile linea di confine tra atto e negozio giuridico. Cfr., da ultimo, TROIANO P., Il collegamento contrattuale volontario, cit., pp. 309-311: “la disponibilità degli effetti giuridici riconosciuta alle parti non implica […] anche disponibilità della natura dell’operazione giuridica realizzata”.
124 Si vedano, peraltro, le considerazioni di DI SABATO F., Unità e pluralità di
negozi, cit., pp. 416-417, dirette a stemperare la portata totalizzante delle critiche mosse alle teorie subiettive: “A me sembra necessario infatti distinguere il caso in cui la volontà si riduca ad una mera opinione gratuita delle parti dal caso in cui l’intento diretto alla considerazione unitaria o plurima del negozio sia motivato dal perseguimento di un certo risultato pratico che attraverso di esso si realizza, e si sia tradotto in un adeguato regolamento concreto: in quest’ultimo caso, in verità, non vedo per quale ragione la volontà delle parti debba ritenersi irrilevante e non possa dare forma giuridica adeguata alla fattispecie concreta […]. Qualora le parti abbiano manifestato un certo intento giuridico, nulla quaestio se esso coincida con l’intento empirico; diversamente, nel caso che esso diverga dall’intento empirico tipico di un dato schema negoziale, o esso non ha forza precettiva (ed è questo il caso che si tratti di una mera opinione delle parti)
L’ultima teoria, sulla quale si attestava fermamente la dottrina dominante, riteneva esclusivamente decisivo, ai fini della soluzione del problema, l’elemento oggettivo della connessione economica delle prestazioni.
Secondo tale tesi, nel caso in cui da un rapporto sorgano a carico di una parte più prestazioni, saremmo in presenza di un unico negozio quando le prestazioni siano combinate in modo che solo una sia prevalente, mentre le altre servano solo «a rendere possibile o a completare l’altra». 125
o, in caso affermativo, esso – in quanto corrisponde ad un risultato concreto (o, secondo i punti di vista, ad un atteggiamento psichico) diverso da quello postulato dall’intento tipico – non può non trovare tutela, dal momento che la sua presenza nella fattispecie concreta costituisce una disposizione delle parti”. Xxxxxxxxx, per l’Autore citato, le correnti soggettive vanno rigettate poiché l’ordinamento giuridico vede pur sempre il negozio come oggettivo regolamento di interessi, del quale la volontà costituisce soltanto il presupposto logico e psicologico.
125 Lo afferma XXXXXX X., Arbeitsvertrag, I, Leipzig, 1908, p. 193 e ss., in materia
di contratto di lavoro e lo sostiene XXXXXXXXXX F., Natura giuridica del contratto di cassetta-forte per custodia, cit., pp. 903-904, in materia di locazione di cassette di sicurezza. Per quest’ultimo, in particolare, nel caso in cui da un rapporto sorgano a carico di una parte più prestazioni, alcune di fare e altre di dare, “non basta una connessione di scopo tra la cosa e l’attività prestate per determinare l’unità del rapporto”, bensì si ha negozio unico quando il dare serve di mezzo al fare o viceversa. Cfr. anche MESSINA G., I negozi fiduciari, Xxxxx xx Xxxxxxxx, 0000, x. 000, xxx in Scritti giuridici, I, Milano 1948; e ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone. Parte generale, cit., p. 55, che parla di “rapporto di subordinazione funzionale” tra prestazioni.
In particolare, si veda LA LUMIA I., I depositi bancari, cit., p. 117, secondo il quale si ha un unico negozio “quando le varie prestazioni, in apparenza distinte, formino in realtà parti integranti di una prestazione sola, avuto riguardo alla natura del singolo contratto, quando cioè risulti fra loro un tal vincolo di subordinazione da far considerare l’una come mezzo d’adempimento dell’altra. Così, ad esempio, il conduttore di una cosa, oltre all’obbligo di farne restituzione all’epoca stabilita, ha anche quello di custodirla durante il suo godimento; ma il secondo obbligo, più che conseguenza del primo, n’è addirittura elemento costitutivo, diremmo quasi presupposto, condicio sine qua non, giacché per essere in grado di restituire bisogna aver custodito”. Xxxxxxxx, in sostanza, del noto criterio derivato dalla teoria c.d. dell’assorbimento, elaborata nell’ambito della teoria del negozio misto, sul quale mi soffermerò brevemente infra al § 2.3.
Siffatta impostazione è fatta propria, tra gli altri, anche da Xxxxxxxxxx, il quale la corregge sostituendo alla “prestazione” il concetto di “conseguenza economica del negozio”, sì da poter affermare che «perché si abbia un unico negozio, una delle conseguenze economiche debba essere prevalente e le altre subordinate».126
L’Autore specifica che la subordinazione deve essere intesa come subordinazione funzionale, per cui «l’un risultato renda possibile l’altro», e che tale rapporto tra risultati economico- empirici non possa fondarsi quindi sulla volontà delle parti né sulla comune coscienza sociale: la dipendenza deve essere giuridica, oltre che economica, «cioè deve essere giuridicamente ed economicamente impossibile, in quella determinata fattispecie, raggiungere quel determinato risultato senza quella attività subordinata».127
In questo senso, egli ritiene, ad esempio, unitario il contratto con cui la banca concede l’uso della cassetta di sicurezza – poiché «delle due attività non è chi non veda come una sia la prevalente, ed essa è quella della custodia dei valori: l’altra, quella concernente la messa a disposizione dei locali, serve a prepararla e a renderla possibile» –, mentre in altre ipotesi ben più numerose (ad esempio, la vendita con trasporto a carico del venditore, l’appalto con concessione di locali all’appaltatore, la vendita con esclusiva, il trasporto marittimo di persone con somministrazione di vitto, il trasporto a cui si aggiunga l’obbligo della presa in consegna della merce presso il domicilio del committente, il contratto con cui si concedono in locazione locali da adibire ad uso industriale e si fornisce la forza motrice necessaria, ecc.) viene ravvisata una pluralità di contratti.
Se, dunque, da una parte, si finisce per propendere all’atomizzazione delle situazioni complesse, dall’altra, l’intimo
126 GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 295 e ss.
127 GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 297.
nesso economico che lega i negozi posti in essere dalle parti
«non deve essere senza rilevanza nel campo del diritto» e, pertanto, il frazionamento dell’operazione è ridimensionato dalla potenzialità unificatrice del collegamento negoziale.128
In seno all’orientamento oggettivo, peraltro, l’indirizzo maggioritario ricorre esplicitamente al concetto di causa.129
128 GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 297.
Osserva peraltro CATAUDELLA A., La donazione mista, cit., pp. 22-23, menzionando anche la relativa critica di Xxxxxxxxx a Xxxxxxxxxxxx, che appare vano ogni tentativo di precisare quale intensità la connessione tra prestazioni debba assumere per legittimare la configurazione di un rapporto unitario, evidenziando altresì il pericolo che così opinando si finisca per dare rilievo decisivo ai motivi individuali dei contraenti che, in quanto tali, dovrebbero rimanere esterni all’atto di autonomia ed irrilevanti per il diritto.
La più compiuta critica all’impostazione di Xxxxxxxxxx è svolta da DI SABATO F., Unità e pluralità di negozi, cit., p. 419: “l’unità di risultato economico, sia esso semplice o complesso, oltre che difficilmente determinabile in sé, potrebbe anche essere compatibile con una pluralità di negozi; anzi, proprio l’unità d’intento, con varia terminologia, è stata assunta come indice del collegamento tra più negozi […]. Se si ha riguardo poi ai vari elementi di fatto della fattispecie concreta, la “subordinazione funzionale” non influisce affatto sull’inscatolamento di essi in uno o più negozi, ben potendo uno di essi essere subordinato all’altro, pur costituendo un negozio a sé stante; senza di che il problema del collegamento non avrebbe ragion d’essere”.
129 Cfr. LA LUMIA I., I depositi bancari, cit., p. 117; ASQUINI A., Il contratto di
trasporto terrestre di persone. Parte generale, cit., p. 56; DE XXXXXXX X., I contratti misti, cit., p. 53; XXXXX G., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 404; DOMINEDÓ F.M., Sistema dei contratti di utilizzazione della nave, Milano, 1937, p. 61.
Menzione a parte merita la tesi di VON XXXXX J., Die Obligationsverhältnisse, Wien, I, 1890, il quale, occupandosi del contratto di deposito e ritenendo che non fosse possibile un concorso di cause nel medesimo rapporto materiale, in base al quale lo stesso elemento negoziale soggiacesse simultaneamente alle norme contrattuali dettate per due tipi diversi, sostiene che possa ammettersi la sussistenza di una pluralità di negozi unicamente quando sia possibile scindere le cause contrattuali nel tempo, in modo che fino ad un certo punto possa considerarsi come decisiva l’una causa e da quel punto in poi l’altra: “se questa separazione di tempo è possibile, è anche possibile scindere fra loro i vari rapporti, altrimenti no, perché una sola causa può dominare l’intero rapporto”.
Nella dottrina italiana questa tesi sembra sia stata seguita da BOLAFFIO L., Il
contratto estimatorio quale atto oggettivamente commerciale, in Riv. dir. comm., 1919, I,
p. 381, il quale nel contratto estimatorio distingue due fasi, nella prima esso sarebbe contratto di deposito, mentre nell’altra esso corrisponderebbe ad un
«Perché un rapporto, da cui sorgano prestazioni molteplici e di natura diversa, debba considerarsi come negozio unico occorre che, nonostante la mancanza di omogeneità, fra le varie prestazioni corra una connessione tale, un rapporto di interdipendenza, che unica ne risulti la funzione economica, ossia la causa», intesa nel senso di «nocciolo economico, di funzione economica del negozio», ed è in sostanza «l’unità economica, l’unità materiale che determina l’unità giuridica».130 Senonché apparve fin da subito chiaro che il ricorso alla causa implicasse anzitutto di fondare la soluzione della vexata quaestio sopra un concetto altrettanto controverso131, e che, nella
contratto di vendita. Ma come è stato esattamente ribattuto, non ogni fattispecie in cui tale scissione sia possibile dà luogo a più negozi, né le fattispecie in cui tale separazione sia possibile costituiscono un solo contratto: cfr. LA LUMIA I., I depositi bancari, cit., p. 114; e XXXXXXXXX A., Il servizio bancario delle cassette forti di custodia, cit., p. 196, che afferma l’impossibilità di riscontrare nel contratto di trasporto due differenti contratti, uno di deposito, l’altro di locazione d’opera; mentre la reciproca coesistenza del contratto principale e di quello di garanzia non può certo implicare la presenza di un contratto unico. Allo stesso modo non è esatto affermare che non è possibile che una medesima fattispecie sottostia allo stesso tempo alle regole di più tipi negoziali, né è corretto guardare, per la risoluzione del problema, esclusivamente alla fase esecutiva dell’operazione contrattuale; cfr. XXXXX X., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 402 e ss.; e XXXXXXXXXX M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 284, sub nota n. 3.
130 FERRI G., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 404. L’Autore osserva, sub nota n. 3, che
è preferibile parlare di “connessione economica” che di “subordinazione funzionale”, perché “non sempre è possibile stabilire una subordinazione funzionale fra le varie prestazioni, così ad es., quando le prestazioni anziché a carico di una parte sola siano contrapposte”.
131 “Uno dei più controversi della teoria del diritto privato”, GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 301: l’Autore afferma che accogliendo il discrimen della causa il problema del discernimento di uno o più negozi si trasforma in quello del discernimento di una o più cause, nient’affatto di più agevole soluzione; cfr. anche XXXXXXXXXX X., La donazione mista, cit., pp. 20-21. A monte di questa posizione scettica vi è proprio la critica al concetto di causa quale funzione oggettiva del negozio: “la funzione è una parola suggestiva per indicare il complesso degli effetti del negozio di cui essa non è mai il prius logico” (XXXXXXXXXX M., Negozi giuridici collegati, cit., p. 306). Così opinando si finisce per identificare la causa con l’oggetto del negozio e ci si illude di aver trovato un concetto di causa, mentre non si trova che il negozio stesso inteso come
sostanza, tale impostazione non si discostasse significativamente da quella proprie delle teorie oggettivo- intermedie: ciò che rileva è l’obiettiva connessione delle prestazioni quale espressione dell’unicità del fine interno alla volontà dei contraenti.132
complesso dei suoi effetti giuridici, aprendo la strada all’equivoca commistione tra causa e tipo. Sulle orme di FERRARA F., Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, Milano, 1902, l’Autore svolge una serrata critica sia alle teorie soggettive della causa, sia alle teorie che la connotano come la giustificazione degli effetti del negozio: “non solo la causa è estranea alla volontà dei subbietti, ma è anche estranea all’economia del negozio. In altri termini, la causa agisce dall’esterno, è come dice il Ferrara, la ragione giustificatrice dell’intervento legale […]. È in sostanza la volontà della legge che si contrappone alla volontà dei privati”. Dunque – prendendo le mosse dall’elaborazione di XXXXXX X., Intorno ai concetti di causa giuridica, illegittimità, eccesso di potere, Milano, 1934, p. 24 – Xxxxxxxxxx identifica la causa nel rapporto economico-sociale in cui si pongono disponente ed arricchito, distinguendo i negozi a seconda che tale rapporto economico-sociale tra soggetti sia preesistente al negozio stesso (e tra tali negozi rientrerebbero gli atti dispositivi senza corrispettivo) ovvero immanente al negozio (fra i quali rientrerebbero i negozi sinallagmatici). Si comprende, dunque, come tale nozione di causa – concepita come esterna al negozio, come giustificazione dell’attribuzione patrimoniale e condizione di legittimità dell’autoregolamento privato imposta dalla legge – sia inidonea a costituire il discrimen ricercato, in quanto il problema di capire se il negozio abbia o meno una causa, in tale ottica, si porrebbe, da un punto di vista logico, successivamente proprio a quello relativo allo stabilire se in una situazione complessa vi siano uno o più negozi.
132 È, infatti, lo stesso XXXXX X., Xxxxxxx con esclusiva, cit., p. 404, sub nota n. 4, ad
ammettere che “la teoria qui sostenuta non è molto lontana da quella seguita dall’Arcangeli o dall’Ascarelli, o dal Regelsberger e dallo Xxxxxxxxx. Diverso è soltanto l’angolo visuale da cui l’indagine è compiuta. Così anche con la teoria qui sostenuta può dirsi che vi è unità di contratto quando vi è unità di fine o connessione di scopi, ma tale connessione di scopi ed unità di fine si colgono non già in relazione alla volontà delle parti, ma in relazione alla natura obiettiva del rapporto, secondo la rappresentazione che ne fa la coscienza giuridica comune nel tempo e nel luogo in cui il contratto è concluso: non si ha cioè riguardo al caso singolo, ma alla normalità dei casi”.
Significativo appare il parametro di riferimento della coscienza giuridica comune in un determinato contesto spazio-temporale, criterio, come accennato, rigettato da Giorgianni, ma che permette tendenzialmente di uscire dalla secche dal pericoloso relativismo in cui rischia di arenarsi l’indagine sull’obiettiva connessione od interdipendenza tra prestazioni.
L’entrata in vigore del nuovo Codice civile non contribuì significativamente a diradare le incertezze congenite al tema, ma se non altro vide razionalizzarsi le molteplici opinioni attorno ad un orientamento omogeneo, affermatosi nel solco delle teorie oggettive e ponentesi in relazione di continuità con la teoria di Xxxxxxxx Xxxxx, per il quale l’unità della causa assumeva un peso determinante.133
Apparentemente discordante è, invece, la voce di Xxxxx, il quale guarda alla produzione degli effetti, nel senso che, «data una pluralità di dichiarazioni connesse, è da distinguere se ad ognuna di esse si ricolleghino siccome effetti propri ed indipendenti gli effetti giuridici rispondenti alla loro destinazione, oppure se tali effetti non si ricolleghino che al complesso delle dichiarazioni insieme riunite. Nella prima ipotesi si hanno più negozi collegati; nella seconda, un negozio unitario che consta di più dichiarazioni fra loro complementari».134
In realtà, come è stato acutamente rilevato135, questi due orientamenti finiscono per esprimere posizioni sostanzialmente identiche per il comune accoglimento della teoria funzionale della causa, intesa nell’accezione di funzione economico-sociale del
133 Cfr. le sintesi di GANDOLFI G., Xxx negozi collegati, cit., p. 345, e COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 84 e ss. Aderiscono esplicitamente al criterio della causa, seppur con differenze argomentative, CARIOTA FERRARA L., Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., pp. 320-321; XXXXXXXX A., Appunti in tema di negozi giuridici collegati, cit., p. 259; XXXXXXXXX N., Collegamento e connessione di negozi, cit., p. 359 e ss.; MESSINEO F., Contratto collegato, cit., p. 49; ID., Dottrina generale del contratto, Milano, 1944, p. 200; ID., Il contratto in genere, in Trattato di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1968, pp. 719 e ss.; XXXXXXXXXXXX R., Collegamento negoziale, cit., p. 376; ID., Collegamento negoziale, in Scritti giuridici, cit., pp. 120-121; XXXXXXXX X., Xxx negozi collegati, cit.,
p. 345 e ss.; ID., Diritto civile e commerciale, cit., p. 198; SCHIZZEROTTO X., Il collegamento negoziale, cit., pp. 39 e 48-49; XXXXXX X.X., Diritto civile, Il contratto, cit., p. 483.
134 BETTI E., in Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1955, p. 297.
000 Xxx. XXXXXXXX X., Xxx negozi collegati, cit., p. 347, e COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., p. 85.
contratto e che il disaccordo definitorio esprime anche in termini di sintesi degli effetti136 o degli intenti tipici perseguiti dai contraenti.137
Infatti, l’elemento che in un contesto negoziale complesso consente di individuare una pluralità di dichiarazioni e di collegare determinati effetti ad una determinata dichiarazione
136 Cfr. XXXXXXXXX X., Nuovi aspetti del problema della causa dei negozi giuridici, in
Diritto civile. Metodo. Teoria. Pratica, Milano, 1951, p. 75 e ss.
137 La distinzione tra le due posizioni sfuma sino a scomparire nei vari contributi che si occupano della questione: si veda quanto affermato da XXXXXXXX A., Appunti in tema di negozi giuridici collegati, cit., p. 259, il quale, sostiene che “quando ricorrono più dichiarazioni, vi è negozio unico se le singole dichiarazioni non danno luogo se non nel loro complesso alla produzione degli effetti giuridici propriamente rispondenti alla destinazione del negozio; vi è pluralità di negozi se, distintamente, ad ognuna delle dichiarazioni si ricolleghino autonomi ed indipendenti effetti giuridici conformi alla destinazione delle dichiarazioni medesime […] L’elemento al quale si fa capo per stabilire la destinazione delle dichiarazioni è la causa”. Allo stesso modo, VELLANI M., In tema di negozi collegati, cit., p. 320, dapprima aderisce a quanto statuito da Cass., 20.09.1950, n. 2550, ovvero che “solo ove la causa sia unica, ancorché complessa, potrà configurarsi un rapporto unitario”, salvo poi citare, sempre in senso adesivo ed a fini esplicativi, la tesi di Xxxxx.
Che il modo di ragionare sia il medesimo è evidenziato anche dalle equipollenti
argomentazioni di GASPERONI N., Collegamento e connessione di negozi, cit., p. 361, e dello stesso XXXXX E., in Teoria generale del negozio giuridico, p. 297 e ss. Per il primo “indice dell’unità della causa è la connessione oggettiva delle prestazioni. Se la prestazione tipica, rispondente alla destinazione del negozio, è congiunta con altre prestazioni atipiche (atipiche rispetto a quel negozio, riconducibili, cioè, a distinti schemi negoziali) basterà accertare se queste ultime costituiscono solo particolari modalità della prima e hanno mero carattere strumentale, sì che non possa riscontrarsi una deviazione o un’alterazione della funzione del negozio tipico prevista dalla legge. Quando nella fattispecie negoziale complessa le varie prestazioni siano tra loro in un rapporto di subordinazione funzionale e costituiscono semplicemente mezzi strumentali per attuare lo scopo economico del contratto, risultino, cioè, tutte preordinate al raggiungimento dello stesso intento negoziale, dovrà concludersi per la figura del negozio unitario”. Dal canto suo, il secondo scriveva: “l’unità del negozio non è compromessa da ciò che le singole dichiarazioni congiunte nell’unità del negozio producano conseguenze giuridiche a sé stanti, quando queste conseguenze siano di carattere secondario, preliminare e preparatorio, purché gli effetti giuridici propriamente rispondenti alla destinazione del negozio siano ricollegati unicamente al complesso delle dichiarazioni insieme riunite”.
finisce per identificarsi nell’intento (inteso come rappresentazione psichica dell’effetto) pratico e socio- economicamente tipico (quindi isolabile dagli altri) delle parti, il quale si oggettiva nella funzione del negozio.
Peraltro, da una parte, si sostiene che indice dell’unità di causa è pur sempre «la connessione oggettiva delle prestazioni», dall’altra, tale criterio discretivo sfuma ove si afferma che profili causali autonomi e distinti possono comunque trovarsi «in rapporto di coordinazione o di fusione» tale da dare vita «ad un (unico) negozio misto o a tipo misto».138 In generale, le persistenti incertezze e le difficoltà di reductio ad unitatem delle varie impostazioni sembrano originare, da una parte, dalla già denunciata anfibolia connaturata alla nozione di causa, dall’altra, dalla sua latente
identificazione con il tipo.139
Verso la metà del secolo scorso i vizi delle esposte impostazioni furono identificati nell’eccessivo empirismo di queste. Se il nesso di subordinazione funzionale poteva costituire utile strumento d’indagine, risultava tuttavia insufficiente in assenza di un criterio oggettivo di valutazione
138 Così GASPERONI N., Collegamento e connessione di negozi, cit., pp. 361-362.
139 Pur riconducibili ad un ceppo comune, infatti, le nozioni di causa sottese alle varie argomentazioni appaiono assumere sfumature percettibilmente differenti: ad esempio, se, da una parte, GASPERONI N., Collegamento e connessione di negozi, cit., p. 360, intende la causa espressamente quale “funzione economico-sociale del negozio” e afferma che “la volontà privata, invero, è libera di espandersi entro lo schema negoziale fino ai limiti consentiti dalla struttura del tipo”, dall’altra, XXXXXXXX A., Appunti in tema di negozi giuridici collegati, cit., p. 261, assume la causa dei contratti nominati come “intento minimo e tipico per il quale l’ordinamento giuridico appresta un determinato strumento” mentre la causa dei contratti innominati è “lo scopo pratico oggettivamente riconosciuto meritevole di tutela secondo l’ordine giuridico (1322 c.c.), con la sola differenza che, per essi, la causa è fissata dalle parti, e non dalla legge”. Se, dunque, nel primo Autore citato appare evidente l’identificazione della causa con il tipo, nel secondo sembra emergere quella concezione di causa quale momento di valutazione del negozio poi teorizzata da X.X. Xxxxx. Si veda, sul punto, l’ottima sintesi di MINUTILLO TURTUR R., I negozi collegati, in Giust. civ., 1987, II, p. 257. Cfr. anche SCHIZZEROTTO G., Il collegamento negoziale, cit., p. 26 e ss.
di tale nesso. Da questo punto di vista, infatti, nessun dubbio può nutrirsi in relazione al fatto che un criterio oggettivo non può essere rappresentato dalla volontà delle parti, né dalla cognizione personale dell’interprete.
Pertanto, costituendo oggetto della ricerca un parametro discriminante giuridico e non meramente empirico, si è osservato come, nella risoluzione dell’annoso problema, non si possa trascurare il ruolo dei mezzi messi a disposizione dall’ordinamento per l’esplicazione dell’autonomia privata: da un lato, gli schemi tipici, dall’altro, «l’autonomia libera da forme predisposte».140
In questo senso, la chiave di volta risiederebbe nel raffronto che l’interprete deve effettuare tra regolamento privato e tipo astratto delineato dall’ordinamento: ponendo la fattispecie concreta a confronto con i vari tipi contrattuali, deve considerarsi la possibilità che quella costituisca pratica applicazione – sia pure non rigida e perfettamente coincidente – di uno di questi.
Nel caso in cui la fattispecie concreta consti di «qualcosa “di più” o “di diverso”» rispetto al più attiguo tipo legale, occorrerebbe individuare l’interesse atipico, ma socialmente degno di tutela, che costituisce il logico fondamento dell’autonomia privata. Sotto un certo aspetto, dunque, il problema della distinzione tra unità e pluralità negoziale, di natura qualificatoria, «si riduce ad una valutazione sociale della fattispecie», ove gli schemi tipici non sono altro che «il “minimo contenuto predisposto” per la realizzazione di interessi, che parimenti degni per la società, hanno avuto – unica differenza rispetto ai primi – un’espressa considerazione a causa della loro pratica frequenza».141
Ne discenderebbe che se l’elemento “sovrabbondante” costituisce solo una deviazione marginale dallo schema tipico
140 DI SABATO F., Unità e pluralità di negozi, cit., p. 421.
141 DI SABATO F., Unità e pluralità di negozi, cit., p. 421.
ovvero, pur dando luogo ad un effetto giuridico diverso, sia omogeneo rispetto agli effetti giuridici previsti per quel dato tipo di negozio (non contrasta cioè con la disciplina di quel tipo), allora non potrebbe mettersi in dubbio l’unità del contratto.
In altre parole, per predicarsi l’unità del negozio, l’effetto giuridico eterogeneo non deve essere dotato di un’autonomia funzionale tale da determinare un mutamento giuridico sensibilmente diverso da quello astrattamente previsto per il tipo, ma deve essere strumentale alla produzione di siffatto mutamento, ovvero dare luogo ad un risultato atipico.
Al contrario, in tutti i casi in cui lo “sfasamento” tra tipo e fattispecie concreta permetta di isolare un preciso interesse delle parti che esuli dai limiti funzionali dello schema legale (ricostruiti per mezzo del complesso di norme che ne rappresentano la disciplina), potremmo allora rilevare la pluralità negoziale.
Peraltro, dal momento che appare storicamente incontestabile la relazione biunivoca tra la predeterminazione della funzione del tipo e rilevanza sociale del medesimo, costituendo questa «substrato materiale della determinazione normativa», sarà «possibile – risalendo alla ratio delle norme ed al loro fondamento sociale – integrare la valutazione meramente formale circa i limiti funzionali della fattispecie concreta con i dati desunti dalla valutazione sociale della fattispecie astratta».142
D’altro canto, il fenomeno della non perfetta
sovrapponibilità tra fattispecie concreta e schema legale è esasperato dall’inesorabile evoluzione tecnico-economica della società, che si impone con veemenza all’inerte realtà giuridica dei tipi.
142 DI SABATO F., Unità e pluralità di negozi, cit., p. 423. Per l’Autore citato l’art. 1322 c.c. rappresenterebbe proprio l’apertura del nostro ordinamento alla tipologia sociale dei negozi.
Ed allora, da un punto di vista squisitamente storico, si è constatato come, nei singoli casi in cui si è posto un problema di unità o pluralità negoziale, «si sia quasi sempre cominciato col vedere una pluralità di negozi e poi, col sempre più frequente riprodursi di quelle fattispecie e con l’affinarsi della sensibilità dello studioso, si sia finito col convincersi dell’unità del negozio».143
Solamente allorché una determinata operazione negoziale assuma l’attitudine a soddisfare esigenze costanti e normali, a rispondere cioè «a un’esigenza durevole della vita di relazione» 144 , allora essa assume unitarietà nella coscienza sociale ed è a tal punto che il giurista può e deve selezionare gli interessi meritevoli di fondare un nuovo schema legale, indirizzando l’attività del legislatore.
Per riferire degli esempi formulati dall’Autore che ho estesamente citato, emblematiche appaiono le vicende del contratto di cassette di sicurezza, ovvero del portierato, o del contratto di albergo, prima scomposti in una serie di singoli negozi e successivamente considerati unitari; allo stesso modo, per riportare un episodio odierno, potrebbe menzionarsi il caso dell’affiliazione commerciale, divenuta di recente oggetto di esplicita regolamentazione legale.
Altre ipotesi, invece, alle quali non è sottesa alcuna particolare rilevanza economico-sociale (come nell’ipotesi classica della locazione della villa con noleggio di motoscafo145), sono sempre state valutate al plurale, dal momento che non soddisfano esigenze sociali costanti e durevoli che in quanto tali postulino una considerazione giuridica autonoma.146
143 DI SABATO F., Unità e pluralità di negozi, cit., p. 424.
144 XXXXX X., Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 191.
145 È la fattispecie oggetto delle riflessioni di PACCHIONI C., Corso di diritto civile
– Dei contratti in generale, Torino, 1933, p. 55, uno dei primi casi in cui l’idea di collegamento si presentò all’attenzione della dottrina.
146 Questo l’epilogo del denso discorso di DI SABATO F., Unità e pluralità di negozi, cit., p. 425.
Peraltro, la dottrina da ultimo citata, pur giunta a coronare un faticoso percorso di approfondimento del tema in oggetto e pur rappresentando una riflessione di indubitabile maturità, non ha incassato il favore degli studiosi che più di recente si sono interrogati sul senso di un’indagine strutturale.147
147 Per SCHIZZEROTTO G., Il collegamento negoziale, cit., pp. 44-46, la teoria di Xx Xxxxxx sarebbe intrinsecamente viziata per aver identificato la causa del negozio con l’interesse delle parti al mutamento giuridico, oscillando pericolosamente verso la concezione subiettiva della causa. Inoltre, l’enfatico ricorso al concetto di coscienza sociale nasconderebbe il tentativo di estromettere l’ordinamento giuridico dal processo di determinazione dell’unità o pluralità negoziale.
In realtà, il riferimento ai tipi elaborati dalla coscienza sociale, più che una deriva di stampo soggettivista, appare come un tentativo di stemperare la rigidità insita nella scansione dell’operazione economica attraverso i tipi legali, con il rischio di frammentarla eccessivamente in dispregio dell’unità del programma delle parti.
A parere di XXXXX B., I contratti collegati nelle esperienze giuridiche italiana e francese, cit., pp. 47-50, il pensiero di Xx Xxxxxx, pur coerentemente sviluppatosi in seno alla teoria precettiva del negozio, sarebbe carente nella misura in cui non contempla le ipotesi concrete in alcun modo riconducibili ad un tipo legale o sociale. Per di più, tale teoria sarebbe anche intrinsecamente contraddittoria, dal momento che, da una parte, indica il discrimen tra unità e pluralità negoziale nell’autonomia funzionale di quel “qualcosa in più” che esula dal tipo, dall’altra, giunge a dover giustificare la rilevanza giuridica del collegamento proprio negando reciproca autonomia funzionale ai contratti individuati facendo uso del predetto parametro.
In relazione al primo rilievo, mi sento di sostenere che in caso di atipicità totale
del profilo funzionale – peraltro, di difficile immaginazione – l’interprete debba propendere, ove ravvisi sussistere l’unicità del programma negoziale, per l’unità dello strumento, attenendosi al principio del favor unitatis.
La seconda obiezione ripropone l’annosa ed evidente contraddizione per cui il profilo funzionale tipico è al contempo evocato, da un punto di vista logico, per frammentare l’operazione, da una parte, e per ricucirne i pezzetti, dall’altra.
Secondo TROIANO P., Il collegamento contrattuale volontario, cit., pp. 322-325, che pur condivide il senso di una ricerca volta a ricostruire il profilo strutturale dell’operazione attraverso il ricorso alla causa economico-sociale del negozio, la teoria di Xx Xxxxxx sarebbe invece incompleta poiché, nel predicare la pluralità negoziale di quelle fattispecie concrete “sovrabbondanti” rispetto ai tipi legali, determinerebbe un’eccessiva frammentazione delle operazioni private complesse. Inoltre, essa presupporrebbe “un giudizio ex post circa quella che, al termine di un processo storico più o meno lungo, sarà la definitiva considerazione sociale in ordine alla natura, unitaria o meno, di un’operazione
Come vedremo, le linee di pensiero più scettiche predicano, più o meno apertamente, l’inutilità (rectius, l’impossibilità) di una indagine sulla struttura dell’operazione, implicitamente propugnando il tramonto della teoria del collegamento negoziale. Esse postulano un vaglio articolato che andremo a svolgere solo dopo aver dato succintamente conto dell’atteggiamento della giurisprudenza innanzi al delineato problema.
2.3. I negozi misti, complessi e collegati nella giurisprudenza.
Il versante giurisprudenziale ha indubbiamente risentito delle ricostruzioni del fenomeno elaborate dalla dottrina.
Le pronunce, fin dalla metà del secolo scorso, – allo scopo di distinguere le ipotesi in cui una fattispecie negoziale unitaria fosse caratterizzata dall’irriducibilità della relativa disciplina a quella dello schema prevalente, dalle ipotesi in cui tale riduzione era invece possibile – ricorrono costantemente ad una tripartizione fra contratti complessi, contratti misti e contratti collegati148:
negoziale. Essa non indica, tuttavia, come l’operatore giuridico debba orientarsi prima che emerga un qualche orientamento nella coscienza sociale” (p. 324, nota n. 46).
Peraltro, in relazione a quest’ultimo profilo, la teoria criticata invero non appare carente: innanzi a più prestazioni di natura eterogenea ed in assenza di una sedimentazione nella coscienza degli operatori economici e giuridici di un determinato ed unitario schema funzionale che le abbracci tutte, mi pare che – seguendo la tesi di Xx Xxxxxx – l’interprete dovrebbe propendere per una diagnosi di pluralità strutturale.
148 Ogni discorso che affronti la tematica dell’unità e pluralità negoziale necessariamente si imbatte nella citata tripartizione: tra i tanti, paradigmatici sono i contributi di DI NANNI C., Collegamento negoziale e funzione complessa, cit., p. 133; XXXXXXXX X., I contratti collegati, cit.; SCHIZZEROTTO G., Il collegamento negoziale, cit., p. 51 e ss.; MINUTILLO TURTUR R., I negozi collegati, cit., p. 251.
«se i medesimi soggetti, con un solo atto, danno vita a diversi rapporti negoziali, questi possono essere configurati come un unico contratto complesso di molteplice contenuto giuridico o come un contratto misto, risultante dalla sintesi di più schemi negoziali, o, invece, come più contratti distinti, tra loro occasionalmente collegati. Il contratto complesso rimane regolato da una disciplina unitaria; ai contratti misti si applica la teoria della prevalenza; i contratti collegati mantengono l’individualità propria di ciascun tipo negoziale e la loro unione non influenza, di regola,
la disciplina dei singoli negozi».149
Ed ancora oggi:
«le parti, nell’esplicazione della loro autonomia negoziale, possono, con manifestazioni di volontà espresse in uno stesso contesto, dar vita a più negozi distinti ed indipendenti, ovvero a più negozi tra loro collegati; le varie fattispecie in cui può configurarsi un negozio giuridico composto possono così distinguersi in contratti collegati, contratti misti (quando la fusione delle cause fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi di un negozio unico, soggetto alla regola della causa prevalente) e contratti complessi (contrassegnati dall’esistenza di una causa unica, che si riflette sul nesso intercorrente tra le varie prestazioni con un’intensità tale da precludere che ciascuna delle predette prestazioni possa essere rapportata ad una distinta causa tipica e faccia sì che le predette prestazioni si presentino tra loro organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale
oggettivamente unico)».150
Per quanto attiene alla nozione di contratto complesso, si rinvengono alcune pronunce che evidenziano come questo sarebbe caratterizzato da un tale nesso intercorrente fra le prestazioni, che nessuna può essere rapportata ad una distinta causa tipica, così da realizzare un’interdipendenza assai profonda fra le dette prestazioni, che tendono tutte al raggiungimento di un intento negoziale unitario.151
149 Cass., 22.07.1960, n. 2090, in Giur. it., 1961, I, p. 1.
150 Cass., 10.07.2008, n. 18884, cit.; negli stessi termini, Cass., 28.03.2006, n. 7074,
cit.; Cass., 12.07.2005, n. 14611, cit.
151 Cfr. gli estremi giurisprudenziali riportati da MINUTILLO TURTUR R., I negozi collegati, cit., p. 253; SICCHIERO G., Il contratto con causa mista, Padova, 1996, p. 38 e ss.; ID., Contratti misti, in I contratti in generale, VI, in Il diritto privato nella