LA CONTRATTAZIONE PRELIMINARE AD OGGETTO IMMOBILIARE E LA DISCIPLINA URBANISTICA
LA CONTRATTAZIONE PRELIMINARE AD OGGETTO IMMOBILIARE E LA DISCIPLINA URBANISTICA
di XXXXXXXXX XXXXXXXXX
Approfondimento del 08 agosto 2016
ISSN 2420-9651
La sentenza della Corte di Cassazione, n. 9318 del 9 maggio 2016, offre lo spunto per analizzare la natura giuridica e la disciplina del contratto preliminare avente ad oggetto diritti reali immobiliari in relazione alle prescrizioni formali e sostanziali della fattispecie nonché con particolare riferimento alla disciplina urbanistica dei negozi traslativi di diritti reali immobiliari ed alla relativa applicabilità alla contrattazione preliminare.
SOMMARIO: 1. L’inquadramento della fattispecie. - 2. La disciplina urbanistica dei negozi traslativi di diritti reali immobiliari.
1. L’inquadramento della fattispecie.
Il contratto preliminare si inserisce nel vasto panorama delle tecniche di formazione progressiva dell’accordo e si definisce come il contratto con il quale le parti si obbligano a concludere un futuro contratto definitivo, il cui regolamento è già delineato nei suoi elementi essenziali. La ratio dell’istituto è ravvisata nell’utilità che può derivare alle parti di fissare con efficacia vincolante il proprio impegno e la relativa regolamentazione differendo, ad un momento successivo, gli effetti derivanti dalla conclusione del contratto definitivo. L’ambito di maggiore sviluppo dell’istituto è ravvisato dalla prassi proprio nel settore della contrattazione immobiliare, in cui la formazione progressiva dell’accordo si giustifica da svariate ragioni di ordine pratico quali, a titolo esemplificativo, la verifica della regolarità urbanistico-catastale dell’immobile ovvero il reperimento della provvista per il pagamento del prezzo.
In relazione alla natura giuridica del contratto si tratta, chiaramente, di un contratto obbligatorio la cui funzione è quella di vincolare le parti alla conclusione del futuro contratto definitivo.
La dottrina consolidata è, infatti, concorde nel ritenere che si tratti di un accordo, dotato di propria autonomia e in quanto tale avente natura negoziale, con cui le parti si obbligano a stipulare un contratto definitivo, che a sua volta si identifica secondo la sua funzione causale tipica. In quanto contratto obbligatorio il preliminare avrà natura di accordo bilaterale, qualora l’impegno sia assunto da entrambe le parti ovvero unilaterale, nel caso di assunzione dell’obbligo da una sola delle parti [1].
Prodromica alla ricostruzione della fattispecie in esame è una breve analisi dei requisiti essenziali del contratto preliminare avente ad oggetto la promessa di acquisto di un bene immobile [2].
1.1 I requisiti del preliminare di vendita immobiliare.
In relazione alla futura contrattazione definitiva avente ad oggetto il trasferimento di un diritto reale su bene immobile ovvero la costituzione di un diritto reale limitato immobiliare vi è, anzitutto, un obbligo di natura formale per il preliminare.
La forma del preliminare è espressamente prevista da una delle sporadiche norme dedicate dal Legislatore del 42’ all’istituto [3], secondo la quale «il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo». Si tratta concordemente di un’ipotesi di formalismo per
relationem tale per cuila norma sulla forma di cui all’art. 1351 c.c., chiaramente, trova applicazione in tutti i casi di preliminare di negozio formale. Il principio enunciato trova la sua giustificazione nell’assunto che sarebbe inutile assoggettare l’autonomia privata a limiti formali, se tali limiti potrebbero, poi, essere aggirati mediante la stipula di un contratto nella forma desiderata, avente l’unico effetto obbligatorio di vincolare le parti alla conclusione di un ulteriore contratto solenne.
Si discute se tale regola sia limitata alla forma ad substantiam, prescritta per la validità del contratto, o vada, altresì, estesa a quella ad probationem, richiesta solo ai fini della prova. Prevale, tra gli interpreti, la prima tesi, in ossequio al principio di libertà di forma e dei mezzi di prova, ricordando, però, che l’eventuale mancanza di forma può essere sanata dalla stipula del definitivo nella forma corretta. Naturalmente il preliminare nel caso della compravendita immobiliare, sarà soggetto alla forma scritta richiesta ad substantiam.
In relazione all’oggetto conformemente alla previsione di cui all’art. 1346 c.c. anche l’oggetto del contratto preliminare deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile. Il problema si pone, soprattutto, in tema di individuazione dell’oggetto nel preliminare di compravendita immobiliare, in relazione grado di specificazione necessario a soddisfare i requisiti della determinatezza o determinabilità dello stesso. In relazione al requisito della determinatezza, è stato affermato che il bene oggetto del contratto è determinato quando è identificato, mediante l’uso di un sistema di criteri sufficientemente sicuro e preciso, nella sua entità reale, al punto che esso rappresenta quell’immobile concreto, distinto da altri, sul quale le parti hanno indirizzato il loro intento in vista della stipulazione del futuro contratto definitivo [4]. É altrettanto evidente che non sono consentite pattuizioni con le quali si decida di rimettere puramente e semplicemente la determinazione dell’intero oggetto del preliminare ad un momento successivo alla perfezione del contratto. Sul punto è stato osservato, infatti, che se l’oggetto del preliminare non è determinato o determinabile, come prescrive l’art. 1346 c.c., il negozio è nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., poiché sarà posta in essere un’operazione contrattuale incompleta, non potendosi ritenere sufficiente il riferimento ad un futuro accordo delle parti o alla futura scelta di una sola di esse [5]. Quanto alla determinabilità, si è affermato che l’oggetto del contratto è determinabile quando il giudice possa in concreto individuarlo facendo riferimento ad elementi prestabiliti dalle parti, che si siano accordate sulla futura determinazione dell’oggetto, fissando i criteri e
le modalità da osservarsi a questo fine. La determinabilità, infatti, in tanto sussiste, in quanto al difetto della precisa descrizione dell’oggetto sia possibile ovviare con una precisa descrizione del processo logico di coordinamento degli elementi prestabiliti dalle parti [6]. Ai fini di una compiuta disamina di tali requisiti non si può prescindere da un’analisi delle soluzioni giurisprudenziali adottate sul punto.
Secondo l’impostazione più risalente il requisito della determinabilità successiva dell’oggetto, sia pure sulla base di criteri previamente fissati, incontrava il limite della forma scritta ad substantiam, per tale ragione non sembrava possibile il riferimento tout court al successivo comportamento delle parti, posto che esso, con riguardo ai trasferimenti immobiliari, violerebbe l’esigenza dell’atto scritto. Le sentenze più risalenti della Suprema Corte, infatti, avevano adottato un’impostazione severa e restrittiva in materia di determinatezza dell’oggetto del preliminare. Le stesse, infatti, avevano considerato indeterminabile il contenuto di un preliminare di vendita che, in ordine alla quantità di terreno da trasferire, aveva rinviato ad una successiva determinazione delle parti in relazione alle necessità tecniche e funzionali occorrenti, senza alcuna altra specificazione neppure in ordine all’interesse perseguito dalle parti [7]. In tal senso si era ritenuto nullo per indeterminatezza dell’oggetto il preliminare nel quale non erano indicati i dati catastali, né i confini dell’appartamento promesso in vendita [8]. Parimenti, si era riconosciuta la stessa sorte al preliminare di vendita relativo ad un appartamento posto in un determinato edificio a più piani in corso di costruzione in quanto le parti, pur indicandone la superficie e la composizione, non avevano stabilito il relativo piano, rimettendo la scelta al promittente alienante [9].
Successivamente, si è registrato un indirizzo che appare improntato ad una maggiore apertura e ad un atteggiamento di conservazione del contratto. Innanzitutto, si è affermato che l’oggetto del contratto preliminare di vendita immobiliare è sufficientemente determinato per relationem ove le parti abbiano fatto esclusivo riferimento alla planimetria allegata al contratto, ancorché se da essi non sottoscritta [10]. Proprio in tema di oggetto del contratto preliminare di compravendita è stato, poi, correttamente evidenziato che talvolta la determinabilità può passare anche attraverso una valutazione del comportamento complessivo delle parti, con riferimento a fatti accaduti dopo la promessa che, incidendo in senso riduttivo sull’iniziale indeterminatezza dell’oggetto, siano in grado, se non di eliminarla del tutto, quanto meno di ridurla notevolmente, in modo da delimitare l’alternativa fra prestazioni di più
oggetti determinati. A ben vedere si tratta di ipotesi ricorrenti in quanto è sempre più diffusa la prassi di operazioni contrattuali aventi ad oggetto beni immobili, quali, ad esempio, appartamenti standards appartenenti ad un genus limitatum [11].
In tale mutamento di indirizzo si inserisce il recente orientamento della Suprema Corte che ha enucleato il principio secondo il quale il giudice, nell’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, é tenuto ad accertare l’effettiva volontà delle parti in ordine all’esatta identificazione dell’oggetto, che, se non esattamente individuato dalle parti, deve essere individuabile anche con elementi acquisiti aliunde a mezzo di atti e documenti collegati al contratto [12]. Per questa ragione, ai fini della validità del contratto preliminare, non è indispensabile la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, risultando sufficiente l’accordo delle parti su quelli essenziali [13].
In particolare, per la fattispecie del preliminare di vendita immobiliare, assume rilievo, ai fini della determinabilità dell’oggetto, la necessità di inserire o meno il riferimento ai confini e dati catastali dell’immobile già nel contratto preliminare. Il recente orientamento della giurisprudenza, seppur non perfettamente univoco [14], ha evidenziato che l’oggetto di un contratto preliminare di vendita immobiliare può essere determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio, anche successivi alla sua conclusione, nella sola ipotesi in cui l’identificazione del bene da trasferire avvenga in sede di conclusione consensuale e negoziale del contratto definitivo, e non quando, invece, afferisca ad una pronuncia giudiziale ex art. 2932 c.c. In tal caso, infatti, occorre che l’esatta individuazione dell’immobile, con l’indicazione dei confini e dei dati catastali, risulti dal preliminare, dovendo la sentenza corrispondere esattamente al contenuto del contratto, senza poter attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto del trasferimento.
In conclusione, dunque, nell’ordinamento italiano, in difetto di un specifica normativa, l’individuazione dei limiti di determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto preliminare è stata lasciata all’opera della dottrina e della giurisprudenza, che hanno seguito un percorso parallelo nel tentativo di rendere flessibile l’istituto, per adeguarlo alle esigenze dei traffici commerciali. Si è dunque superata l’impostazione che negava autonomia giuridica al contratto preliminare, chiarendo che il contenuto del contratto definitivo non deve essere integralmente già indicato nel preliminare.
2. La disciplina urbanistica dei negozi traslativi di diritti reali immobiliari.
Al fine di verificare l’applicabilità della normativa urbanistica al contratto preliminare è necessario enucleare la relativa disciplina e l’ambito applicativo per i contratti traslativi di diritti reali immobiliari.
Anzitutto, come è noto, la disciplina urbanistica di riferimento attiene agli artt. 40 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 e art. 46 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 secondo i quali sono nulli i trasferimenti immobiliari che non contengono le menzioni urbanistiche relative alla regolarità dell’edificio e nella specie, per gli ammobili costruiti dopo il 1 settembre 1967 gli estremi del permesso abilitativo edilizio mentre per gli immobili costruiti successivamente a tale data, la dichiarazione, nelle forme dell’autocertificazione, di questa anteriorità.
Vi è, inoltre, l’art.30, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 secondo il quale, tra gli altri, gli atti traslativi di diritti reali immobiliari relativi a terreni sono nulli se agli stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata, con relativa dichiarazione di vigenza, di cui al successivo comma 3.
Come affermato [15] l’art. 46 del citato d.P.R. è stato formulato riproducendo integralmente l’art. 17 della legge 47 del 1985, senza apportarvi sostanziali differenze. Il legislatore, con l’art. 40 della legge 47 del 1985, si è preoccupato di comprendere in una sola norma tutta questa tipologia di situazioni, stabilendo che, ai fini della commerciabilità, era sufficiente l’indicazione in atto dell’una o dell’altra delle seguenti evenienze:
- estremi del titolo abilitativo edilizio;
- estremi della concessione in sanatoria (nell’ipotesi che la costruzione fosse avvenuta senza provvedimento di assentimento, ma in ordine alla quale fosse stato attivato il procedimento d sanatoria);
- dichiarazione che si trattava di costruzione iniziata anteriormente al 1° settembre 1967, data di entrata in vigore della legge-ponte (per costruzione iniziata prima dell’entrata in vigore della legge-ponte).
2.1. La natura giuridica della nullità.
Anzitutto, è necessario chiarire che la nullità per violazione della normativa urbanistica in esame può essere di natura formale allorquando la mancata dichiarazione in esame
non sia dipesa dal mancato rilascio del titolo abilitativo edilizio e, quindi, l’immobile è sostanzialmente regolare ma nell’atto non siano contenute le prescritte menzioni ovvero sostanziale nel senso che, quindi, l’immobile è irregolare in quanto è stato costruito in assenza ovvero in totale difformità dal titolo abilitativo edilizio.
Questo primo profilo differenziale ha creato non poche difficoltà nel tempo in relazione all’applicabilità del richiamato art. 40 l. 47 del 1985 alle ipotesi di nullità formale ovvero, anche, sostanziale.
Un primo consolidato orientamento della giurisprudenza ha ritenuto che gli art. 17 e 40 l. 28 febbraio 1985, n. 47 comminano una nullità avente carattere esclusivamente formale tale per cui è sufficiente che sia riscontrata la mancanza nell’atto degli estremi della licenza, o concessione, ad edificare, a prescindere dalla reale esistenza di essa, ovvero che si rilevi la mancata indicazione nel medesimo atto della concessione rilasciata in sanatoria e, per le opere iniziate anteriormente al 1 settembre 1967, la mancata dichiarazione sostitutiva di atto notorio, attestante che l’opera è iniziata prima di quella data [16].
In termini ancora più espliciti la suprema Corte ha affermato che [17] la disciplina urbanistica commina la nullità degli atti tra vivi con i quali vengano trasferiti diritti reali su immobili ove essi non contengano la dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell’immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria, mentre non prende in considerazione l’ipotesi della regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico, ossia della conformità o meno della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione.
Tale orientamento, infatti, faceva leva sull’assunto che queste norme comminano la nullità al fine di sanzionare specificamente la sola violazione di un obbligo formale, imposto al venditore al fine di porre l’acquirente di un immobile in condizione di conoscere le condizioni del bene acquistato e di effettuare gli accertamenti sulla regolarità del bene stesso, attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dalla concessione edilizia, ovvero dalla domanda di concessione in sanatoria. Pertanto, secondo il menzionato orientamento, nessuna invalidità deriva al contratto dalla difformità della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione ed, in generale, dal difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche [18].
La Suprema Corte, con i menzionati orientamenti, ha affermato che la nullità in discorso
riveste carattere formale ed ha specificato che si tratta di nullità prevista espressamente dalla legge, per cui la norma codicistica di riferimento non è l’art. 1418, comma 1, che, come noto, attiene alla nullità c.d. virtuale, caratterizzata dal fatto che, mancando una specifica previsione del vizio della nullità, questa va desunta solo dall’esigenza di salvaguardia di un interesse generale tutelato, bensì si tratterebbe di una nullità speciale Se la giurisprudenza risultava essere orientata nel senso della nullità formale, la dottrina appare divisa. Alcuni autori hanno accolto la tesi giurisprudenziale della nullità formale ex art. 46 d.P.R. 380 del 2001 [19], basandosi soprattutto sul dato letterale della norma. Altri hanno affermato trattasi, invece, di nullità sostanziale in quanto è pur vero che l’art. 46 d.P.R.380 del 2001 prevede letteralmente la nullità dell’atto se non si osservano alcune regole di carattere documentale, ma l’interprete ma deve chiedersi quale sia effettivamente l’interesse protetto dalla norma e, pertanto, quali siano le conseguenze qualora, pur osservando queste norme documentali, detto interesse venga effettivamente leso [20]. Tale dottrina, quindi, è portata ad affermare che una falsa dichiarazione della parte non impedisce la nullità negoziale se l’unità immobiliare sia sostanzialmente abusiva.
La giurisprudenza a ben vedere ha accolto recentemente [21] l’impostazione di ricomprendere nel divieto in esame sia la nullità formale che sostanziale, secondo tale impostazione, quindi, il contratto sarebbe nullo non solo se, a prescindere dalla sostanziale violazione urbanistica, il contratto non menzioni i titoli abilitativi edilizi (nullità formale) ma anche se in concreto il patto traslativo viola le prescrizioni urbanistiche (nullità sostanziale).
A completamento della disamina vi è da evidenziare che la nullità in questione si riferisce esclusivamente di mancanza del titolo abilitativo edilizio ovvero al caso di difformità totale del bene immobile, restando, invece, validi gli atti traslativi aventi ad oggetto beni immobili in parziale difformità rispetto al titolo abilitativo. Sul punto, con orientamento consolidato è stato affermato che la nullità in esame avrebbe ad oggetto non solo un immobile costruito in assenza di licenza o concessione edilizia, ma anche quello caratterizzato da totale difformità della concessione mentre, nel caso di immobile che non presenti un vizio di regolarità urbanistica superiore alla soglia della parziale difformità rispetto alla concessione, l’atto sarebbe valido [22].
2.2 La contrattazione preliminare e la disciplina urbanistica.
Venendo al profilo specifico che interessa il caso di cui si tratta l’applicabilità della disciplina urbanistica alla contrattazione preliminare e, quindi, la possibilità di porre validamente quale oggetto del preliminare di compravendita un immobile abusivo è stata oggetto di un ampio dibattito giurisprudenziale e dottrinale.
Anzitutto, secondo l’orientamento tradizionale della dottrina [23] e della giurisprudenza si evidenzia che le menzionate prescrizioni urbanistiche concernono esclusivamente gli atti pubblici o privati che comportano un immediato trasferimento della proprietà, o di altri diritti reali, rimanendo esclusi, pertanto, i contratti con effetti meramente obbligatori quali il preliminare. Il corollario di tale assunto è che, quindi, le prescritte menzioni dovranno essere contenute solo nel contratto definitivo.
L’orientamento contrario [24], allo stato minoritario, che riteneva applicabili anche al preliminare le nullità di cui agli artt. 17 e 40,l. 47 del 1985, e successive modificazioni, si era diffuso all’indomani dell’entrata in vigore della suddetta legge. Questo faceva leva sulla constatazione che il contratto preliminare è, comunque, preordinato al trasferimento immobiliare, considerata la possibilità di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. Inoltre, la finalità della legge di disincentivare l’abusivismo edilizio mediante speculazioni illegali si rinveniva anche nella stipula di contratti preliminari. Il richiamato orientamento maggioritario, che escludeva l’applicabilità delle prescrizioni urbanistiche alla contrattazione preliminare in quanto meramente obbligatoria, a ben vedere, è stato oggetto di una radicale inversione di tendenza da parte della Suprema Corte. La Cassazione, infatti, con alcune recentissime pronunce del 2013 [25] ha previsto espressis veribis che, anche se il contratto preliminare ha efficacia obbligatoria e non reale, è da considerare nullo ove abbia ad oggetto la vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico. La Corte, nel ragionamento espresso, ha ritenuto che il contratto preliminare avente ad oggetto un bene affetto da irregolarità
urbanistica è da considerare nullo sulla scorta del disposto dell’art. 40, legge n.47 del 1985 che, seppur di non perfetta formulazione, afferma la nullità di carattere sostanziale degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge una nullità di carattere formale per gli atti di trasferimento di immobili in regola, o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi.
La Corte giunge, inoltre, alla predetta conclusione in relazione alla possibilità di conferma prevista dalla legge del negozio nullo allorquando l’assenza delle citate
dichiarazioni o dei relativi documenti non sia dipesa da mancanza della licenza o della concessione [26].
La previsione di tale conferma, secondo la Corte, lascerebbe intendere che gli atti non sono ab origine validi, ferme restando le responsabilità per inadempimento del venditore, di conseguenza, è da ritenere nullo anche il preliminare che abbia ad oggetto la vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico e ciò a prescindere dal fatto che il definitivo ha efficacia reale immediata, mentre il preliminare semplicemente obbligatoria.
In relazione alla tipologia di nullità la seconda le pronunce prese in esame, ha ribadito che il contratto preliminare di vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico è nullo per la comminatoria di cui all’art. 40, comma 2, l. 28 febbraio 1985, n. 47, che, sebbene riferita agli atti di trasferimento con immediata efficacia reale, si estenderebbe al preliminare, con efficacia meramente obbligatoria e, quindi, ha ritenuto tale contratto nullo in quante avente ad oggetto la stipulazione di un contratto definitivo nullo.
Sembra, dunque che la sentenza in esame commini al preliminare la sanzione della nullità per illiceità dell’oggetto in quanto si tratterebbe della stipula di un contratto definitivo, appunto, nullo per per contrarietà a norma imperativa.
La ricostruzione è stata oggetto di un revirement della Suprema Corte [27] che, conformemente al commentato e prevalente orientamento, ha affermato nuovamente l’inapplicabilità al preliminare della menzionata normativa urbanistica per tutte le esposte xxxxxxx.Xx stessa, infatti, ha evidenziato che la sanzione della nullità prevista dalla l. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40 e succ. mod., con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita. Tanto premesso è arrivata alla conclusione che la documentazione relativa alla regolarità dell’edificazione, all’eventuale concessione in sanatoria o alla domanda di oblazione e ai relativi versamenti, ben potevano essere prodotte all’atto della stipulazione del definitivo contratto traslativo, ovvero in corso di giudizio e prima della pronunzia della sentenza ex art. 2932 c.c., che tiene luogo di tale contratto.
Ciò chiarito occorre, però, stabilire se sia possibile dare esecuzione in forma specifica ad un preliminare avente ad oggetto la promessa di un trasferimento immobiliare
nell’ipotesi in cui esso sia privo di menzioni urbanistiche.
A ben vedere le ipotesi che possono in concreto verificarsi sono diverse.
Anzitutto l’ipotesi di piena regolarità urbanistica dell’immobile oggetto di un preliminare nel quale, stante la mancanza dell’obbligo a pena di validità di indicare le menzioni urbanistiche, quest’ultime non siano state inserite. Tale immobile, quindi, è regolare e, pertanto, commerciabile ed è oggetto di un preliminare valido ma risulta necessario che, nel successivo definitivo, siano inserite le predette menzioni. Qualora, invece, una delle due parti sia inadempiente l’opinione maggioritaria ritiene che il promittente alienante possa rendere in giudizio la dichiarazione urbanistica o i relativi documenti [28].
In particolare, è stato affermato che in mancanza delle dichiarazioni urbanistiche contenute del preliminare, potrà essere emanata una sentenza di esecuzione in forma specifica solo se il promittente venditore abbia provveduto a rendere in giudizio la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà – prevista dalla legge, attestante che la realizzazione delle relative opere di costruzione fossero state eseguite prima del 1° settembre 1967 [29] nonché, in assenza della dichiarazione, contenuta nel preliminare, o successivamente prodotta in giudizio, degli estremi della concessione edilizia [30].
Problema analogo pone la mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica ex art. 30 d.P.R. 380 del 2001 che, parimenti, non è obbligatorio per il contratto preliminare, ma deve essere prodotto prime della sentenza ex art. 2932 c.c. [31]
La ratio contenuta in tale orientamento sembra essere quella di considerare irrilevante il rispetto della normativa per il preliminare, ritenendola applicabile solo per gli atti ad effetti reali traslativi, con la precisazione che, però, quest’ultima assume rilievo quando sia formulata una domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in quanto tale domanda tende, tramite la pronuncia di una sentenza costitutiva, a produrre gli stessi effetti del contratto non concluso. Nel caso, invece, di inadempimento del preliminare da parte del promittente alienante sarà, allora, il promissario acquirente a poter rendere tali dichiarazioni in quanto la disciplina urbanistica prevede l’ipotesi di conferma mediante atto successivo ad opera di una qualsiasi delle parti. Si tratta chiaramente dell’art. 46, comma 4, d.P.R. 380 del 2001 (e dell’art. 40, comma 3, l. 47 del 1985) per i fabbricati e dell’art. 30, comma 4-bis, del citato d.P.R. per i terreni, secondo i quali se la mancanza delle dichiarazioni urbanistiche non sia dipesa
dall’insussistenza al tempo dell’atto del titolo abilitativo edilizio (per i fabbricati) ovvero del Certificato di destinazione urbanistica (per i terreni), tali atti possono essere con fermati anche da una sola delle parti.
2.3 Il negozio di conferma.
Come evidenziato la disciplina urbanistica prevede il negozio di conferma all’art. 46, comma 4, d.P.R. 380 del 2001 per i fabbricati e dell’art. 30, comma 4-bis, del citato
d.P.R. per i terreni, secondo i quali se la mancanza delle dichiarazioni urbanistiche non sia dipesa dall’insussistenza al tempo dell’atto del titolo abilitativo edilizio (per i fabbricati) ovvero del Certificato di destinazione urbanistica (per i terreni), tali atti possono essere confermati anche da una sola delle parti. La ratio di tale conferma evidenzia che il meccanismo tracciato dal legislatore, nullità - atto di conferma, l’intento di valutare la concreta ed oggettiva esistenza dell’interesse protetto: se la regolarità urbanistica del bene esiste, la nullità per la sua mancata indicazione in atto non costituisce vizio definitivo, ma vizio provvisorio, sanabile con l’atto, appunto, di conferma. Secondo tale impostazione è stato osservato che la legge sul condono edilizio evidenzia che l’irregolarità del bene non rileva di per sé, ma solo in quanto preclude la conferma dell’atto. E, quindi, simmetricamente, la regolarità del bene sotto il profilo urbanistico non rileva in sé, ma solo in quanto consente la conferma dell’atto [32].
Dal punto di vista giuridico il negozio di conferma è nuovo e distinto atto, avente la stessa forma del precedente, mediante il quale si provvede alla comunicazione dei dati mancanti o all’allegazione dei necessari documenti. Quanto alla legittimazione attiva, questo può essere posto in essere anche da una sola delle parti o aventi causa dalla stessa. In relazione al contenuto verosimilmente dovrà contenere il riferimento alla consapevolezza della nullità del negozio nullo da confermare e la volontà, espressa dagli indicati legittimati, di voler confermare l’atto, attraverso l’indicazione delle necessarie menzioni urbanistiche ovvero, come innanzi precisato, dell’indicazione degli estremi del titolo abilitativo edilizio, per i fabbricati, ovvero l’allegazione del Certificato di destinazione urbanistica in forma storica unitamente alla dichiarazione che lo stesso, in forma storica, contiene la destinazione urbanistica del terreno al momento della stipula dell’atto da confermare.
In relazione alla natura giuridica dell’atto di conferma sono state prospettate diverse tesi.
Una parte della dottrina [33] ha sostenuto che tale atto di conferma sarebbe una deroga eccezionale al principio della insanabilità del negozio nullo, sancito ex art. 1423 c.c. Con tale conferma, infatti, accade, per la prima volta, che si recupera l’atto precedente nella sua integrità di effetti e, quindi, con la conferma si rimuove la causa di nullità del negozio originario [34].
Altra parte della dottrina, di diverso avviso, non ha ritenuto che il negozio de qua possa essere qualificata quale vero e proprio atto di conferma, equiparabile alle fattispecie ex artt. 590 e 799 c.c., concernenti rispettivamente la conferma del testamento nullo e la conferma della donazione nulla, e nemmeno come atto di convalida, sulla falsariga della norma prevista nell’art. 1444 c.c. con esclusivo riferimento all’atto annullabile [35].
La dottrina notarile, invece, ritiene che la conferma dell’atto viziato non integra una sanatoria in senso tecnico giuridico, ma un semplice rimedio convalidante, consentito in dipendenza di carenze formali della precedente stipulazione e non in presenza dell’insussistenza all’epoca di essa, dei requisiti sostanziali per la commerciabilità del bene. Occorre avvertire che, secondo tale impostazione, non si tratta di una reiterazione dell’atto né di una fattispecie a formazione complessa, nella quale, se manca un elemento, gli effetti non si verificano; ma si tratta di recuperare l’atto, sostanzialmente cancellando la nullità precedente e facendolo rivivere. Tale qualificazione determina di conseguenza che gli effetti costitutivi o traslativi di diritti reali, una volta intervenuta la sanatoria, decorrono ex tunc e non ex nunc. L’atto nullo, insomma, sarà improduttivo di effetti immediatamente, a causa della nullità, ma gli effetti decorreranno dalla data della sua stipulazione una volta intervenuto l’atto di sanatoria.
2.4 Il preliminare di vendita di un immobile abusivo.
Infine, merita un approfondimento l’ipotesi di preliminare di vendita di immobile abusivo che si ha allorquando il bene dedotto quale oggetto del preliminare sia abusivo in quanto costruito in assenza del titolo abilitativo edilizio, anche in sanatoria, ovvero in maniera totalmente difforme da esso. In tale caso la dottrina e la giurisprudenza ritengono in maniera unanime che il bene sia assolutamente incommerciabile e, pertanto, non potrebbe essere oggetto del trasferimento con sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c.
Esclusa la possibilità che al preliminare avente ad oggetto un immobile abusivo segua un contratto definitivo ovvero una sentenza di esecuzione in forma specifica, sulle sorti,
invece, del preliminare di immobile abusivo sono state elaborate diverse teorie.
Una prima parte della dottrina ha ritenuto il contratto in esame nullo per impossibilità giuridica dell’oggetto ovvero per vizio causale.
La dottrina preferibile [36] ritiene che l’impossibilità di applicare il rimedio dell’esecuzione in forma specifica non implica la carenza di causa del preliminare in quanto la violazione dell’impegno assunto verrà sanzionata non con la nullità ma con il rimedio ad hoc previsto per l’inadempimento della risoluzione e del risarcimento del danno. Sul punto è stato, altresì, osservato che tale preliminare non potrebbe nemmeno dirsi nullo per impossibilità dell’oggetto in quanto come osservato [37] l’oggetto del preliminare è la stipula del futuro contratto definitivo e non il trasferimento dell’immobile ancorché abusivo.
Infine, può essere considerato valido il preliminare di immobile abusivo o temporaneamente inalienabile allorché nel contratto sia previsto che la stipula del definitivo possa avvenire solo a condizione che il bene divenga regolare dal punto di vista urbanistico [38].
Riferimenti bibliografici
[1] X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, 1970, 261 e X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXXXXXXX, voce Contratto preliminare, in Enc. giur., Roma, 1988, vol. IX, 13 ss. Tale orientamento è emerso anche in giurisprudenza: Cass., 14 luglio 1965, n. 1512, in Giust. civ. Mass., 1965, 778; Cass. 14 dicembre 1960, n.3247, in Giust. civ., 1961, I, 853.
[2] Il presente lavoro trae origine dalla sentenza della Cassazione, n. 9318 del 9 maggio 2016.
[3] Il nuovo codice civile prevede espressamente il contratto preliminare negli artt. 1351, relativo alla forma, 2652, n. 2, relativo alla trascrizione della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica, e, implicitamente, nell’art. 2932, in relazione alla tutela in forma specifica.
[4] X. XXXXXX-X. XXXXXXXX, Il contratto preliminare, in X. XXXXXX (a cura di) Il diritto privato oggi, Milano, 1992, 81.
[5] In tal senso Cass., 10 giugno 1982, n. 3529, in Rep. Foro it., 1982, voce Contratto in genere, 128.
[6] Cass., 12 giugno 1981, n. 3813, in Rep. Foro it., 1982, voce Contratto in genere, 132, con la quale, alla stregua del menzionato principio, la Corte ha cassato con rinvio la decisione dei giudici del merito che dalla mera indicazione di due confini del fondo promesso in vendita, contenuta nel relativo preliminare, avevano ritenuto di poter risalire all’individuazione degli altri due confini.
[7] Cass. 21 febbraio 1983, n. 1312, in Rep. Foro. it., 1983, voce Contratto in genere, 253.
[8] Cfr. App. Firenze, 11 settembre 1985, in Vita not., 1986, 1285. [9] Cass., 24 novembre 1980, n. 632, Foro it. 1981, 3, 263.
[10] Cass., 24 novembre 1983, n. 7047. in Foro it. 1984, 1, 70.
[11] In tal senso la Suprema Corte ha considerato valido un preliminare di vendita immobiliare recante l’indicazione dell’oggetto con un’espressione del seguente tenore:
«appartamento di 150 mq. in via Teocrito», quando poi, successivamente alla stipula del contratto, il promissario acquirente aveva preso possesso proprio di un bene dalle evidenziate caratteristiche. La Suprema Corte, infatti, ha osservato che non può essere esclusa la validità del contratto allorquando l’oggetto possa determinarsi attraverso atti e fatti storici anche successivi alla sua conclusione e persino in base a elementi del
mondo esterno ad esso estranei o riconducibili per relationem; Cass., 27 giugno 1987, n. 5716, in Giur. it., 1989, I, 374.
[12] Cass., 5 dicembre 2014, n. 25725, in Giust. civ. Mass., 2014, con tale sentenza la Suprema Corte ha ritenuto corretta la sentenza di merito che era pervenuta alla esatta individuazione dei beni oggetto del preliminare attraverso il «riferimento alla quota ereditaria di comproprietà degli immobili identificata "per relationem" rispetto all’asse ereditario».
[13] Cass., 1 febbraio 2013, n. 2473, in Dir. e giur., 2013, secondo la quale: «In particolare, nel preliminare di compravendita immobiliare, per il quale è richiesto ex lege l’atto scritto come per il definitivo, è sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il riferimento ad elementi esterni, ma idonei a consentirne l’identificazione in modo inequivoco, che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può anche essere incompleta o mancare del tutto, purché, l’intervenuta convergenza delle volontà sia anche aliunde o per relationem, logicamente ricostruibile. Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito, che aveva negato valore di contratto preliminare ad un impegno di rogito, sottoscritto dalle parti davanti al giudice di pace, nonostante esso contenesse le puntuali indicazioni dell’immobile da trasferire e ne determinasse il prezzo tramite rinvio alla stima di un consulente tecnico d’ufficio».
[14] Cass., 16 gennaio 2013, n. 952, in Vita Not. 2013, 2, 756. Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva rigettato una domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare avente ad oggetto un lotto di terreno, del quale era ricavabile la sola superficie complessiva, genericamente descritta come parte di un mappale, ma non la sagoma e l’esatta collocazione dell’area, assumendosi perciò la carenza dei parametri di determinabilità del bene promesso in vendita. In senso analogo: Cass., 7 agosto 2002, n. 11874, in Giur. it., 200, secondo la quale: «Anche quando non sussistano dubbi su quale sia il bene oggetto del contratto preliminare, l’esatta individuazione dello stesso, con l’indicazione dei confini e dei daticatastali, deve necessariamente risultare dal contratto preliminare, poiché, dovendo la pronuncia da emettere ai sensi dell’art. 2932 x.x. xxxxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxx xxxxxxxxx xxxxxxxxxxx, l’individuazione del bene oggetto del trasferimento deve
avvenire in base ai dati contenuti nel contratto stesso, e non attingendoli da altra documentazione». Si segnala, per puntualità di trattazione, anche, in senso contrario: Xxxx. 14 dicembre 2012, n. 23162, in Dir e giur 2012, secondo la quale: «Nel contratto preliminare avente ad oggetto immobili, l’indicazione dei daticatastali e degli altri elementi individuativi del bene può essere anche carente, purché sia possibile accertare, in base alle emergenze probatorie, non necessariamente risultanti dall’atto stesso, che le parti abbiano inteso riferirsi ad un bene determinato o, quanto meno, determinabile; di tal che l’imprecisione testuale nella relativa indicazione non si riflette sulla determinatezza o determinabilità della prestazione promessa».
[15] CNN, La commercializzazione dei fabbricati tra Testo Unico sull’edilizia e la L. n. 47 del 1985 sul condono edilizio, studio n. 4509, 2003, 15.
[16] Ex multis: Cass. 26 luglio 2005, n. 15584, in Dir. e giust. 2005, 35 ed in tal senso Cass., 5 luglio 2013, n. 16876, in Riv. giur. edil., 2013, 6, I, 1055; Cass., 20 marzo 2006
, n. 6162, in Giust. civ. Mass. 2006, 3.
[17] Cass. 24 marzo 2004, n. 5898, in Riv not., 2, 205, 304, con nota di X. XXXXXXXXXXX DUCCI, La Cassazione si pronuncia sulla natura della nullità di un atto in materia di urbanistica: osservazioni alla luce del Testo Unico n. 380 del 2001.
[18] Cass. 7 dicembre 2005, n. 26970, in Giust. civ. Mass. 2005, 12 .
[19] Per tutti: X. XXXXXXXX, Sulla nullità degli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, in Rass. dir. civ., 1981, 710; X. XXXX, Abusivismo edilizio, invalidità negoziale e contratto preliminare, in Nuova giur. civ. comm., 1998, p. 10; X. XXXXXX, Abusi edilizi e compravendita di case, Padova, 1984, 175.
[20] Per tutti: X. XXXX, Art. 17 della L. n. 47 del 1985, in Le nuove leggi civili commentate, 1985, 1086; X. XXXXXXX-X. XXXXXXX-X. XXXXXXX, Xxxxx considerazioni sulla commerciabilità degli immobili dopo la L. 28 febbraio 1985, n. 47, in Nuova giur. civ. comm, 1985, 530; X. XXXXXXXX, I nuovi regimi di circolazione giuridica degli edifici, dei terreni e degli spazi a parcheggio, in Quadrimestre, 1985, 326; I. XXXXX, La peculiare conferma prevista negli artt. 17, comma 4 e 40, comma 3, della L. n. 47 del 1985, in Giur. it., 1994, I, 1, 652.
[21] Cass. 5 dicembre 2014, n. 25811, in Giust. civ. Mass. 2014, secondo la quale: «Gli atti di trasferimento di diritti reali su immobili sono nulli, ai sensi dell’art. 40, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, sia nel caso in cui gli immobili oggetto di
trasferimento non siano in regola con la normativa urbanistica (nullità di carattere sostanziale), sia quando dagli atti di trasferimento non risulti la circostanza della regolarizzazione in corso (nullità di carattere formale)».
[22] Sul punto: Cass. 12 marzo 2013, n. 3892, in Guida dir. 2012, 15, 67; Cass. 7 aprile 2014, n. 8081 in Riv. not. 2014, 3, 528. La medesima soluzione è stata espressa dal consiglio nazionale del Notariato con la circolare CNN, Legge 28.02.1985, n.47 – Criteri interpretativi, cit., 22.
[23] X. XXXXXXXXX, Validità dei preliminari di vendita di fabbricati abusivi, Commento a Cass. 3 settembre 1993, n. 9313. in Corr. giur., 1994, 89-90; X. XXXXXXX, La legge 28 febbraio 1985, n. 47 nella Contrattazione immobiliare problemi ed esperienze dei primi due anni, in Riv. not., 1987, 29 ss; X. XXXXXXXXXX, La legge 28 febbraio 1985, n. 47 nei suoi riflessi sull’attivita notarile, in Riv. not, 1986, 280 ss.; X. XXXXXXXX, Profili di diritto civile della legge sul condono edilizio, in Riv. not. 1989, 339 ss.; X. XXXXXXXXXXXXX, Condono edilizio, Milano, 1991, 352 ss. In Giurisprudenza: Cass. 17 giugno 1999, n. 6018, in Giust civ. Mass., 1999 , 1418; implicitamente: Xxxx. 8 febbraio 1997, n. 1199, in Giust civ., 1997, 1550; Cass 2 aprile 1996, n. 3028, in Foro it., 1996, I, 2036; Cass, 9 luglio 1994, n. 6493, in Vita not. 1995, 280; Cass. 3 settembre 1993, n. 9313, cit., 85 e più recentemente Xxxx. 18 luglio 2011, n. 15734, secondo la quale: «La sanzione della nullità prevista dall’art. 40 l. 28 febbraio 1985 n. 47 con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, come si desume dal tenore letterale della norma, nonché dalla circostanza che successivamente al contratto preliminare può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi o essere prodotta la dichiarazione prevista dalla stessa norma, ove si tratti di immobili costruiti anteriormente al 1º settembre 1967, con la conseguenza che in queste ipotesi rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto definitivo di vendita, ovvero si può far luogo alla pronunzia di sentenza ex art. 2932 cc».
[24] Tale teoria era sostenuta da X. XXXXXXXX, I nuovi regimi di circolazione giuridica degli edifici, dei terreni e degli spazi a parcheggio, in Quadr.,1985, 328 ss; R CAMPO, La nullità degli atti giuridici e la responsabilità del notaio, come strumenti inibitori della realizzazione dei risultati e dei profitti dell’attività urbanistico edilizia
xxxxxxx, in Vita not., 1985, 836.
[25] Cass. 17 dicembre 2013, n. 28194, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 2013, 1715, con nota di I. PIETROLETTI, Preliminare nullo se l’immobile è abusivo e Cass. 17 ottobre 2013, n. 23591, in Giust. Civ. Mass. 2013.
[26] Cfr. § immediatamente successivo.
[27] Cass., 9 maggio 2016, n. 9318, inedita.
[28] X. XXXXXXXXXXXXX, Condono edilizio, cit., 39.
[29] Cass. 27 aprile 2006, n. 9647, in Giust. civ. Mass. 2006, 4, secondo la quale: «Non può pronunciarsi sentenza sostitutiva dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di compravendita di immobile, ex art. 2932 c.c. qualora sia giudizialmente accertata la difformità tra le risultanze catastali e l’effettiva consistenza dei beni immobili al momento del trasferimento, in mancanza di concessione edilizia o di successiva regolarizzazione di esse ex art. 40 della legge n. 47 del 1985, e qualora il promittente venditore non abbia provveduto, con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà - prevista dalla legge, che in materia non ammette equipollenti - ad attestare che le relative opere fossero state eseguite prima dell’1settembre 1967».
[30] Cass. 22 maggio 2008 n. 13225, in Riv. not. 2008, 6, 1422.
[31] Cass. 6 giugno 2006, n. 13221, in Obbl. e contr. 2006, 11, 936; Cass. 28 marzo 1997, n. 2776, in Giust. civ. Mass. 1997, 489.
[32] Cass., 15 giugno 2000, n. 8147, in Vita. not., 2000, I, 1433.
[33] X. XXXXXX, Ricerche di diritto civile, Napoli, 1986, 92.
[34] CNN, La commercializzazione dei fabbricati tra Testo Unico sull’edilizia e la L. n. 47 del 1985 sul condono edilizio, Studio n. 4509, 2003, 23.
[35] CNN, La commercializzazione dei fabbricati tra Testo Unico sull’edilizia , cit. 24.
[36] X. XXXXXXXXX, Validità del preliminare di vendita di fabbricati abusivi, cit. 88.
[37] Cfr. §1.
[38] Sul punto Cass. 28 novembre 1998, n. 12113, in Contratti, 1999, 767, con nota di:
X. XXXXXXX, che in tema di edilizia popolare ha affermato che : «Il contratto preliminare di vendita di un alloggio di edilizia economica e popolare concluso nel periodo di inalienabilità del medesimo, può essere considerato valido e suscettibile di produrre effetti quando preveda la stipulazione di un contratto definitivo dopo la scadenza del periodo cennato».