SOCIETÀ
SOCIETÀ
& CONTRATTI
a cura di
Xxxxxxx XX XXXXXXX
/ Diritto
Societario
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1. Diritto societario
ATTIVITÀ DEI SINDACI
IN PRESENZA DI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI
Il perdurare dello stato di crisi rende sempre più importante un maggiore e oculato controllo della gestione aziendale da parte dei sindaci quando gli amministratori non intervengono adeguatamente. Anche le recentissime novità introdotte con il “decreto sviluppo” e il “decreto fare” possono risultare ulteriore motivo di accentuazione delle responsabilità dei sindaci per culpa in vigilando in caso di dissesto, se posti in essere comportamenti
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dilatori con abuso del diritto della crisi d’impresa. È necessario, quindi, che il Collegio sindacale sia dotato di una approfondita conoscenza anche del diritto della crisi d’impresa e degli standard per l’utilizzo degli strumenti di risanamento. Con questo primo intervento viene dato atto dell’attività che il Collegio deve svolgere in ipotesi di attuazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti per superare la crisi ed evitare il fallimento.
/ Xxxxxxxx XXXXXX*
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Le sempre più complesse condizioni in cui si trovano ad operare le imprese e la dilagante crisi economica di questi ultimi anni ha fat- to crescere in misura esponenziale il ricorso alle soluzioni alternative al fallimento per superare la crisi d’impresa.
Le modifiche apportate al diritto fallimenta- re, in particolare quelle introdotte a seguito del DL 83/2012 convertito in L. 134/2012 (c.d. “decreto sviluppo”) e quelle recentis- sime previste dal DL 21.6.2013 n. 69 (c.d. “decreto del fare”)1 , rendono oggi gli istituti alternativi al fallimento delle vere e proprie “occasioni” per negoziare con i creditori l’e- sposizione debitoria e gestire la continuità aziendale.
I nuovi strumenti, già noti dal 2005, sono:
1. il piano attestato di risanamento ex art. 67 co. 3 lett. d) del RD 267/1942 (di seguito L. fall.);
2. l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis della L. fall.;
3. il concordato preventivo ex art. 160 della L. fall..
Quest’ultimo istituto è stato “migliorato” grazie all’intervento del c.d. “decreto svilup- po” patrocinato dal Ministero dello Sviluppo economico le cui modifiche sono entrate in vigore l’11 settembre 2012.
La principale novità largamente usata (ma talvolta anche “abusata”) è la possibilità di anticipare la proposta ed il piano di con- cordato preventivo che il debitore intende presentare ai suoi creditori da una semplice
* Senior partner Xxxxxx & Associati Genova, Milano, Torino – Membro della Commissione nazionale di studio presso il CNDCEC “Liberato Xxxxxxxxxx – Il diritto fallimentare dopo la riforma” – Esperto presso il GSA Principi per gestire la crisi d’impresa costituto da XXXXX
1 In G.U. 21.6.2013 n. 144 – S.O. n. 50 e conv., con modificazioni, L. 9.8.2013 n. 98 in G.U. 20.8.2013 n. 194 – S.O. n. 63. Per le prime segnalazioni e commento alle novità si veda Pollio M. “Concordato, stretta sugli abusi”, Italia Oggi, 20.62013, p. 20, nonché Xxxxxxx
F. “Il decreto del «fare» e le nuove misure di controllo contro l’abuso del pre concordato”, Il Fallimentarista, 21 .6.2013.
domanda “in bianco”2 ex art. 161 co. 6 della
L. fall.3 , alla quale devono oggi essere al- legati esclusivamente i seguenti documenti:
A. gli ultimi tre bilanci di esercizio;
B. l’elenco nominativo dei creditori con l’indi- cazione dei rispettivi crediti.
In sostanza, senza la necessità di avere già pronto un piano ed una proposta e tutta la documentazione richiesta dall’art. 161 della
L. fall., il debitore può ottenere immediata- mente gli effetti tipici del concordato pre- ventivo pur senza essere immediatamente sottoposto alla procedura concorsuale e riservandosi di scegliere quale modalità di concordato utilizzare (liquidatorio o con continuità aziendale) o se ancora chiedere, prima dello scadere del termine che il tribu- nale deve assegnare a seguito della doman- da proposta dal debitore, la omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis della L. fall..
Con il ricorso per concordato preventivo con
riserva il debitore ottiene, quindi, il c.d. au- tomatic stay, ovvero il blocco automatico dei pagamenti operativo per i creditori an- teriori alla domanda, entrando in una sorta di “campana di vetro” che gli permette di valutare quale soluzione prospettare ai cre- ditori, proteggendo il patrimonio aziendale ed evitando qualsiasi aggressione da parte di terzi, ma anche la possibilità di soprasse- dere agli adempimenti previsti in ipotesi di perdita del capitale sociale (applicandosi il disposto dell’art. 182-sexies della L. fall.4 ). Per la verità, tale possibilità era già previ- sta in caso di utilizzo dell’istituto del “pre- accordo di ristrutturazione dei debiti” ex art. 182-bis co. 6 della L. fall., sennonché quest’ultimo strumento richiede molto più tempo ed impegno da parte del debitore, il quale, pertanto, è sempre (salvo particola- rissime situazioni) più allettato dall’utilizza- re il concordato prenotativo piuttosto che il preaccordo di ristrutturazione dei debiti.
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2 Domanda “in bianco” anche definita dagli operatori: “pre concordato” o “concordato con riserva” o “concordato prenotativo”. L’u- tilizzo di una qualsiasi delle espressioni anzidette fa riferimento sempre e comunque al ricorso per concordato preventivo ex art. 161 co. 6 della L. fall.
3 Il nuovo testo dell’art. 161 co. 6 della L. fall. a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 82 del DL 21.6.2013 n. 69 è il seguente (le sottolineature indicano le modifiche introdotte a previgente testo): “L’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni. Nello stesso termi- ne, in alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può depositare domanda ai sensi dell’articolo 182-bis, primo comma. In mancanza, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo. Con il decreto di cui al primo periodo, il tribunale può nominare il commissario giudiziale di cui all’articolo 163, secondo xxxxx, n. 3, e si applica l’articolo 170, secondo xxxxx. Il commissario xxxxxxxxxx, quando accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall’articolo 173, deve riferirne immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all’articolo 15 e verificata la sussistenza delle condotte stesse, può, con decreto, dichiarare improcedibile la domanda e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza reclamabile a norma dell’articolo 18”.
4 L’art. 182-sexies della L. fall. rubricato “Riduzione o perdita del capitale della società in crisi” permette la disapplicazione, dal momento della proposizione del ricorso per concordato preventivo anche ex art. 161 co. 6 della L. fall. o della domanda di omolo- gazione dell’accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis della L. fall. e sino alla omologazione disposta dal tribunale dello strumento proposto dal debitore, degli artt. 2446 co.2 e 3, 2446, 2482-bis co. 4, 5 e 6, e 2482-ter c.c. e dispone che per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui all’art. 2484, n. 4, e 2545-duodecies c.c., tuttavia non esenta gli amministratori dall’obbligo di gestione conservativa del patrimonio sociale ai sensi dell’art. 2486 c.c.. Per una prima analisi della disposizione si rinvia a De Angelis L., Xxxxxxxx C. “Le perdite e gli strumenti di soluzione nella crisi di impresa”, in AA.VV. “La riforma del fallimento”, Italia Oggi, Milano, 2012, p. 100.
I DOCUMENTI NECESSARI PER OTTENERE L’AUTOMATIC STAY | |||
NEL CONCORDATO PREVENTIVO CON RISERVA EX ART. CO. 6, L. FALL.: | NEL PREACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI EX ART. 182-BIS, L. FALL.: | ||
RICORSO CON ALLEGATI: | ISTANZA CON DOCUMENTI EX ART. 161 CO.1 E 2, L. FALL.: | ||
A. | Bilanci ultimi tre esercizi | A. | Aggiornata Relazione patrimoniale economica e finan- ziaria |
B. | Elenco nominativo dei creditori con indicazione dei ri- spettivi crediti | B. | Stato analitico ed estimativo attività nonchè elenco no- minativo creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle rispettive cause di prelazione |
C. | Visura camerale aggiornata (facoltativa ma consigliata) | C. | Elenco dei titolari dei diritti reali e personali su beni in proprietà o in possesso del debitore |
D. | Copia delibere autorizzative (facoltative o obbligatorie a seconda della prassi del tribunale competente) | D. | Valore dei beni e dei crediti particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili |
PROPOSTA DI ACCORDO | |||
DICHIARAZIONE IMPRENDITORE SU TRATTATIVE IN CORSO | |||
DICHIARAZIONE PROFESSIONISTA SU IDONEITÀ PROPOSTA |
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Il ricorso al concordato con riserva è inoltre più vantaggioso per il maggiore termine che il debi- tore può ottenere per definire il piano e la pro- posta ai creditori e valutare quale strumento sia più idoneo per la gestione della propria crisi. Il pre concordato può permettere un periodo di tempo (massimo) sino a 180 giorni, mentre il pre accor- do di ristrutturazione di fatto solo la metà, poiché il tempo di automatic stay è pari a 60 giorni oltre a 30 giorni per il tribunale per convocare i credi- tori e verificare che le trattative per raggiungere l’accordo siano reali.
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Pur essendo il debitore agevolato e pur essendo assai più semplificata la gestione della crisi in ipotesi di ricorso ad uno strumento di composi- zione negoziale alternativo al fallimento se anti- cipato dalla presentazione della domanda di pre concordato, gli organi sociali ed in particolare il
Collegio sindacale restano responsabili delle eventuali violazioni di legge. In particolare l’orga- no di controllo è obbligato dal prestare maggiore attenzione e sorveglianza sia all’utilizzo corret- to dello strumento di composizione della crisi sia alla tempistica di attuazione del processo di risanamento/ristrutturazione dell’impresa o dei suoi debiti.
L’obbligo del Collegio sindacale è inoltre quello di fare emergere con tempestività la crisi per indur- re gli amministratori a scegliere correttamente e quando necessario lo strumento più idoneo, af- finché l’impresa eviti il default, oltre a controllare che il debitore in crisi non abusi degli strumenti concessi dalla legge e non attui scelte meramente dilatorie5.
Proprio recentemente il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili ha ema-
5 La fattispecie della responsabilità degli organi sociali per utilizzo improprio del concordato prenotativo è stata già oggetto, nel caso Camuzzi S.p.A. in liquidazione, di una recente pronuncia del Trib. Milano 24.10.12, Pres. Xxxxxxx F.– Est. Xxxx X., in xxx.xxxxxx.xx, 8063, 12.11.2012, segnalata anche da Benaglia G. “Concordato con riserva e ruolo del collegio sindacale”, il fisco, 3, 2013, I, nt. 4, p.
375. Si evidenzia, tuttavia, che tale sentenza è stata riformata da App. Milano 21.2.2013, Pres. Lombardi E.– Est. Fagnoni M. in Banca Dati Eutekne. La Corte ha rilevato come un atto di esercizio del diritto può definirsi abusivo se il titolare: i) ha intenzionalmente cre- ato un danno ad altri facendosi schermo dell’apparente legittimità, offerta dal diritto, della propria condotta; ii) nella valutazione del calcolo economico ha peggiorato la situazione di un altro soggetto senza sostanzialmente migliorare la propria; iii) ha esercitato il diritto deviando dalla sua funzione tipica, dalla sua ragion d’essere, dai principi dell’ordinamento ed in particolare che se è vero che la presentazione di un ricorso di pre concordato dopo aver già presentato una domanda di concordato può in astratto configurare un utilizzo abusivo delle facoltà riconosciute dalla normativa, tuttavia tale ipotesi è da escludere qualora la condotta del debitore non abbia arrecato alcun pregiudizio al creditore procedente (nel caso di specie, il creditore procedente aveva proposto reclamo avverso la dichiarazione di fallimento, dimostrando con ciò di avere fiducia nel superamento della crisi del debitore; occorre, inoltre, evidenziare che il debitore aveva proposto domanda di concordato avvalendosi della nuova normativa entrata in vigore dopo la presentazione della prima domanda di concordato).
nato sul punto il principio di comportamento n. 116 che si occupa della fase della crisi dell’impresa. Principio che, tuttavia, è stato emanato prima del- le modifiche apportate agli strumenti alternativi al fallimento, come riformati dalla L.134/2012.
Il presente approfondimento affronta il partico- lare ruolo che deve svolgere il Collegio sindacale nella ipotesi di utilizzo da parte del debitore in cri- si di un accordo di ristrutturazione dei debiti, mentre prossimamente saranno affrontati gli ob- blighi in caso di utilizzo del concordato preventivo e del piano stragiudiziale di risanamento.
In una fase delicata quale quella che affronta la crisi dell’impresa che può determinare il possibi- le rischio di fallimento, infatti, gli amministratori, ma soprattutto i sindaci sono chiamati a gestire la vita sociale con particolare attenzione, ponendo in atto tutta quella opportuna diligenza che serve a tutelare l’integrità del patrimonio e la continuità aziendale e, quindi, ove necessario, gestire i rap- porti con i terzi finanziatori (e fornitori) per per- mettere all’impresa di mantenere il credito e i cor- retti equilibri economici, finanziari e patrimoniali. La predisposizione di un piano di risanamen- to che permetta il superamento della crisi è, in tali contesti, assolutamente necessario. Il piano di superamento della crisi deve essere attuato, per altro, all’interno di un contesto legale di tutela dell’impresa, degli organi amministrativi e della società, nonché e conseguentemente delle responsabilità che investono gli organi di controllo (sindaci e revisori legali).
LA NECESSITÀ E FINALITÀ DI ATTUAZIONE DI UN PIANO DI
RISTRUTTURAZIONE
Un piano di ristrutturazione/risanamento, qualunque strumento legale venga scelto,
richiede la predisposizione di un “business plan” che dimostri la possibilità per l’impre- sa in crisi di raggiungere performance idonee a mantenere gli equilibri aziendali. Equilibri maggiormente messi alla prova dalla difficol- tà di reperire le risorse necessarie per finan- ziare la gestione imprenditoriale.
Il piano per superare la crisi aziendale ha come obiettivo finale il ripensamento e la ri- strutturazione dell’esposizione debitoria per rendere compatibile gli esborsi occorrenti per il pagamento dei fornitori e delle banche con la liquidità esistente o generabile dalla ge- stione dell’impresa. L’attuazione di un piano di ristrutturazione in situazione di crisi non è quindi un semplice atto di “oculata piani- ficazione strategica” a cui gli amministratori sono tenuti comunque e sempre, bensì un’e- sigenza per evitare che la tensione finanziaria aziendale possa determinare una situazione patologica. Occorre, infatti, ricordare, che la tensione finanziaria può sempre condurre all’in- solvenza7. Cosicché, al manifestarsi dell’in- solvenza è noto che gli amministratori (ed i sindaci) possano divenire responsabili penal- mente del mancato ricorso al fallimento in proprio dell’impresa ai sensi dell’art. 217 co. 1
n. 4) della L. fall., in base al quale è punito con
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la reclusione da sei mesi a due anni (se dichia- rato fallito) chi ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra colpa grave. Ed ancor peggio i soggetti coinvolti essere chiamati per bancarotta aggravata per avere posto in es- sere operazioni che hanno ridotto o distratto il patrimonio aziendale.
Come si dirà in seguito, pertanto, è opportu- no che i sindaci non assistano passivamente alla gestione o emersione della crisi e ove gli amministratori non diano conto e attuazione alle richieste dei sindaci, questi ultimi devono applicare le linee guida del CNDCEC in tema di eventuale denuncia al tribunale.
6 Norme di comportamento CNDCEC dicembre 2011, in Banca Dati Eutekne.
7 Si parla, infatti, di insolvenza futura. Secondo Xxxxxxxx X. “L’insolvenza futura è in realtà già insolvenza in atto, rivelata proprio dall’e- same della insufficienza della pianificazione finanziaria adottata, o per la sua radicale inadeguatezza originaria, o perché superata dagli eventi, i quali abbiano sconfessato la attuabilità di quelle previsioni, pur se non astrattamente irrazionali al momento in cui furono concepite”, in “L’insorgere della crisi e il dover essere nel diritto societario. Obblighi di comportamento degli organi sociali in caso di insolvenza”, Il Fallimentarista, 27.9.2012.
GLI OBBLIGHI DI CORRETTA GESTIONE SOCIALE IN SITUAZIONI DI CRISI
ministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, indu- striali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione” 9.
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Tuttavia non è solo l’invocazione dell’art. 217 (o dell’art. 216) della L. fall., pocanzi citato, che implica la responsabilità degli ammini- stratori e dei sindaci in situazioni di crisi che possono portare all’insolvenza (palese), bensì è necessario rammentare che i precetti della corretta gestione e, dunque, della necessità di conservare il patrimonio sociale risiedono già nelle norme del diritto societario. In parti- colare l’art. 2394 c.c.8 prevede che gli ammi- nistratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio. Così il Collegio sindacale, obbligato a vigilare sull’osservanza della legge ai sensi dell’art. 2403 c.c., risponde anch’esso ai sensi dell’art. 2407 c.c. in caso di omissioni di conserva- zione del patrimonio sociale da parte degli amministratori.
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Il manifestarsi della crisi, infatti, ancora prima che l’impresa possa mostrare squili- bri patrimoniali che comportano l’esigenza di provvedere ad operazioni sul capitale o quanto meno alla convocazione dell’assem- blea, ai sensi dell’art. 2446, 2447, 2482-bis e 2482-ter c.c., richiede di monitorare con attenzione l’esistenza dei presupposti per la continuità aziendale e così la necessità di attuare una attenta gestione programmata dell’impresa. L’art. 2381 co. 3 c.c., impone che il Consiglio di amministrazione vigili sull’o- perato degli amministratori delegati e che “sulla base delle informazioni ricevute valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, am-
IL CONTROLLO DEL COLLEGIO SINDACALE PER L’EMERSIONE DELLA CRISI
Di contro, il Collegio sindacale, sempre ai sensi dell’art. 2403 c.c. deve vigilare “sul ri- spetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto fun- zionamento”.
Essendo obbligo degli amministratori quello di evitare “la distruzione del patrimonio fi- nanziario ed umano costituito dalle imprese in crisi e dai soggetti con cui interagiscono” 10, è evidente che il Collegio sindacale ha l’ob- bligo (ovvero il dovere) di vigilare che gli am- ministratori siano consapevoli dello stato di allarme in cui si trova l’impresa e che questi agiscano tempestivamente per l’attuazione di misure idonee al raggiungimento dell’obietti- vo anzidetto.
Il verificarsi di situazioni di tensione e crisi impone, pertanto, ai sindaci un maggiore e più attento controllo della gestione azienda- le, anche per evitare che la vita della società (rectius la continuità aziendale) sia pregiudi- cata e che il patrimonio sociale sia perduto in conseguenza delle perdite economiche della gestione corrente o delle perdite economiche conseguenti alle rettifiche da operare quando viene meno la funzionalità dei beni e si verifi-
8 Rubricato “Responsabilità verso i creditori sociali”.
9 Per una analisi delle responsabilità degli organi sociali in uno “stato di crisi pre insolvenza” si veda recentemente Jacchia G. “Obblighi e responsabilità degli organi nella gestione delle imprese in crisi”, Il Fallimentarista, 3.12.2012, ove l’autore rileva che “In quest’ottica sembrano muoversi le già illustrate prescrizioni rese dal CNDCEC al collegio sindacale (…) dove ci si interroga in ordine alla responsabilità non solo per mancata adozione di una qualsivoglia misura in senso lato di crisi – dalla mera gestione conservativa alla liquidazione volontaria od ad uno dei piani previsti dalla legge fallimentare – ma anche alla responsabilità per averla adottata in ritardo o per averne adottata una non adeguata”.
10 Così Musso S. “La credibilità della continuità aziendale: il ruolo del consulente industriale”, in AA.VV. “La riforma del fallimento”, cit.,
p. 79 e ss.. L’autore prospetta il punto di vista del professionista esperto ed impegnato nella auspicata conservazione dell’attività economica di un’impresa per la gestione continuativa del business.
chi la perdita del going concern. Ed ancora sia aggravato il deficit patrimoniale da operazio- ni o scelte che possano aumentare le perdi- te e magari avvantaggiare alcuni creditori in danno di altri.
Per tale motivo, il principio n. 11.1 di com-
portamento del Collegio sindacale emanato dal CNDCEC prevede che “Il collegio sindacale, se nello svolgimento della funzione di vigilan- za rilevi la sussistenza di fatti idonei a pregiu- dicare la continuità dell’impresa, sollecita gli amministratori a porvi rimedio”.
Proprio in tale ottica le attività consigliate e previste dalla citata norma di comportamento sono finalizzate alla emersione della crisi per- ché gli amministratori attuino le misure più opportune. Il Collegio sindacale deve pertanto attuare il suo controllo attraverso:
1. il monitoraggio (permanenza) del going concern
2. il monitoraggio dell’attività degli ammi- nistratori per garantire la permanenza del going concern.
Ciò deve avvenire tramite controlli ed ispe- zioni periodiche, la vigilanza ex art. 2403 c.c., i poteri informativi ex art. 2403-bis c.c. e lo scambio d’informazioni con il revisore ex art. 2409-septies c.c..
Qualora dalla verifica dell’esistenza della cri- si sia evidente che la società è necessitata dall’attuare uno strumento di superamento della crisi previsto dalla legge fallimentare, allora il Collegio sindacale è chiamato a svol- xxxx una ulteriore e puntuale attività di con- trollo e sorveglianza dell’iter di corretta at- tuazione e utilizzo dello strumento prescelto.
SEGNALAZIONE ALL’ASSEMBLEA E DENUNZIA AL TRIBUNALE
Una situazione delicata e imbarazzante si può verificare quando gli amministratori si atteg- giano, nascondendo o non volendosi rendere conto dell’esistenza della oramai progressiva crisi in cui l’impresa si trova. Pertanto, qua- lora il Collegio sindacale, pur cercando di fare emergere la crisi e fare assumere le iniziative opportune da parte dell’organo amministrativo o dell’assembela non venga “ascoltato”, se la situazione effettivamente tardiva e grave, deve
evitare di assumere passivamente le decisioni degli amministrarori e degli azionisti, così, in base alla Norma 11.2 “Nel caso in cui gli am- ministratori omettano l’adozione di opportuni provvedimenti, il Collegio sindacale può con- vocare l’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c.”, e “Nei casi in cui l’assemblea non abbia avuto luogo o i suoi esiti non siano ritenuti adeguati il collegio sindacale, qualora la condotta degli amministratori integri anche i presupposti di gravi irregolarità, ove consentito dalla legge, può proporre la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c.”.
L’inerzia o non adeguato intervento degli am- ministratori rispetto alle indicazioni rese dal Collegio sindacale, impongono, dunque, a tale organo di attivare i necessari poteri “reatti- vi”, ed in particolare:
• convocare l’assemblea ex art. 2406 c.c., per informarla, sia dell’inerzia degli ammi- nistratori, sia dello stato di crisi, prestando particolare attenzione nell’evidenziare i fat- ti ritenuti rilevanti;
• proporre denunzia al tribunale ex art.
2409 c.c., qualora l’assemblea, pur essen- do stata convocata non abbia luogo o non prenda i provvedimenti opportuni, e la con- dotta degli amministratori abbia integrato una fattispecie di gravi irregolarità di ge- stione.
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La denuncia al tribunale può scattare anche quando, di fronte alla necessità di ricostituire il capitale perduto (ex artt. 2446, 2447 e 2482- ter c.c.), l’assemblea ometta di adottare gli op- portuni provvedimenti (riduzione del capitale, ricapitalizzazione, trasformazione ovvero scio- glimento). In presenza di cause di scioglimen- to non tempestivamente accertate da parte degli amministratori, inoltre, è potere-dovere del Collegio sindacale di presentare la relativa istanza al tribunale affinché venga accertata la causa di scioglimento, secondo quanto previ- sto dalla Norma di comportamento 10.9. Tali “reazioni”, come già accennato (e come si dirà in seguito), possono essere “sospese” e/o “atte- nuate” ai sensi del nuovo art. 182-sexies della
L. fall., dunque se la società ha scelto già di attivare uno strumento di composizione della crisi (tra concordato preventivo con riserva o
accordo di ristrutturazione dei debiti).
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La denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c. è possibile in caso di società per azioni e tale denuncia dovrebbe sopperire al rischio di con- corso in bancarotta per ritardato fallimento. In ogni caso, solo quando la situazione non è risolvibile altrimenti e quando l’insolvenza è palese, il Collegio potrebbe attivare un esposto alla Procura della Repubblica. Solo il PM, (o un creditore)11 infatti, è legittimato a presentare istanza di fallimento della società e non può essere il Collegio sindacale a presentare ricorso per fallimento in proprio (pur essendo organo della società), ex art. 14 della L. fall.12.
GLI STRUMENTI PER SUPERARE LA CRISI
Gli strumenti a disposizione delle imprese in dif- ficoltà per superare la crisi, a seguito delle modi- fiche apportate alla legge fallimentare nel marzo 2005, come già ricordato, sono diversi.
Il legislatore ha previsto più istituti (scalabili) ap- plicabili a seconda della gravità della crisi, ove sul primo “gradino” è collocabile il piano attestato stragiudiziale di risanamento, sul secondo l’ac- cordo di ristrutturazione dei debiti, sul terzo il concordato preventivo con continuità aziendale e sul quarto il concordato preventivo liquidatorio.
LA TUTELA DEL GOING CONCERN ATTRAVERSO GLI STRUMENTI DELLA LEGGE FALLIMENTARE | ||
PIANO ATTESTATO DI RISANAMENTO (ART. 67 CO. 3 LETT. D) | ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI (ART. 182-BIS) | CONCORDATO PREVENTIVO (ART. 160 E SS.) |
“Naturale” strumento anti crisi, stragiudi- ziale, per la tutela del going concern | Istituto anti crisi, stragiudiziale, con omo- loga a cura del tribunale ed utilizzabile in alternativa al concordato preventivo | Principale strumento anti crisi, giudiziale (procedura concorsuale), alternativo al fallimento |
Deve sempre basarsi su un piano indu- striale in continuità e non può essere adottato in situazioni di crisi irreversibili | Può basarsi sia su un piano di liquidazio- ne sia di continuità aziendale e può esse- re adottato anche in situazioni di crisi ir- reversibili, che possano essere superate per evitare il fallimento tramite l’accordo | Prevede l’intervento invasivo del tribu- nale e di organi di giustizia; può basarsi su un piano sia di liquidazione sia in continuità (in tal caso assume la veste di “concordato in continuità” disciplinato in modo specifico dall’art. 186 bis) |
Presuppone la continuità imprenditoriale ovvero il ritorno in bonis dell’impresa e dell’imprenditore | Richiede l’adesione di almeno il 60% dei creditori (monte crediti) | Richiede l’adesione (ovvero votazione) di almeno la maggioranza dei creditori che può avvenire anche con voto non palese (silenzio assenso) |
Non richiede necessariamente l’adesione dei creditori | I creditori non aderenti possono essere pagati entro 120 gg dall’omologa o entro 120 gg dalla scadenza dell’obbligazione | I creditori devono essere pagati secondo le tempistiche previste dal piano appro- vato |
L’eventuale stand still deve essere con- cordato con i creditori nelle more della predisposizione del piano, diversamente il debitore è sempre a rischio di azioni esecutive | Può essere anticipato da una domanda (“pre accordo”) per ottenere il c.d. auto- matic stay, ovvero il blocco dei pagamenti dei creditori | Può essere anticipato da una semplice domanda “in bianco” per ottenere un ter- mine dal tribunale per depositare piano e proposta e ottenere c.d. automatic stay, ovvero il blocco dei pagamenti dei credi- tori (domanda che non preclude in alter- nativa al concordato preventivo l’utilizzo dell’accordo di ristrutturazione dei debiti) |
Può essere pubblicato nel R.I. | Il “pre accordo” e l’accordo sono pubbli- cati nel R.I. | Il ricorso per concordato preventivo è pubblicato nel R.I. a cura della cancelleria del tribunale competente entro le 24 ore successive al deposito |
Può avere vantaggi fiscali per il debitore | Può avere vantaggi fiscali per il debitore e per i creditori | Può avere vantaggi fiscali per il debitore e per i creditori |
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11 Cfr. art. 6 della L. fall..
12 L’art. 14 della L. fall. prevede gli obblighi dell’imprenditore che chiede il proprio fallimento.
IL RUOLO DEL COLLEGIO SINDACALE NELL’UTILIZZO DEGLI STRUMENTI ANTI CRISI
Le molte alternative disponibili13 per le im- prese in crisi e le peculiarità di ciascuno strumento di superamento della crisi pre- visto dalla legge fallimentare impognono (così) una riflessione operativa sulla funzio- ne del Collegio sindacale nella crisi d’impresa ed in particolare sul controllo che tale orga- no è tenuto ad eseguire in fase di utilizzo, da parte dell’impresa, degli strumenti di risana- mento. Tale controllo è regolamentato, come detto, da standard professionali14 di recen- te introduzione. Introduzione che, tuttavia, è avvenuta prima delle ultime ed importanti modifiche alla legge fallimentare (ovvero prima dell’introduzione della L. 134/2012 e del DL 69/2013), cioè prima della possibili- tà di gestire la crisi con la domanda di pre concordato e prima che venisse meglio de- finita la figura e prescritta la responsabilità del professionista chiamato ad emettere il giudizio di attestazione dei piani di compo- sizione della crisi.
Neppure il recentissimo documento n. 2015
dell’Istituto di ricerca dei dottori commerciali- sti e degli esperti contabili risulta adeguato alle novità normative del 2012 e 2013 (e non sug- gerisce alcun modello di verbale attinente la fase della crisi, fase sempre più “ordinaria” nel- la vita delle imprese). È pertanto necessario che tutti i soggetti che svolgono il delicato ruolo di controllore delle società di capitali nella ve- ste di sindaco o revisore legale conoscano con sufficiente approfondimento non solo la prassi e le norme che regolano il particolare ruolo ad essi demandato, ma anche le disposizioni e la prassi operativa degli strumenti concorsuali per il superamento della crisi.
GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI
Come si è data evidenza, in questo intervento il focus è limitato allo strumento degli accor- di di ristrutturazione dei debiti ex art. 182- bis della L. fall., pertanto occorre innazitutto eseguire una breve disamina dell’istituto per inquadrarne le peculirità e l’iter di definizione dell’eventuale accordo con i creditori.
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (disci- plinati appunto dall’art. 182-bis della L. fall., rappresentano uno strumento di risoluzione della crisi para-giudiziale di natura privati- stico-contrattualistico. Tale forma di accordo deve essere stipulata – come precisa la norma
– con tanti creditori che rappresentino alme- no il 60% dell’ammontare dei crediti e deve essere corredato dalla relazione di un esperto avente ad oggetto la veridicità dei dati azien- dali e l’attuabilità dell’accordo, con partico- lare riguardo all’idoneità di quest’ultimo ad assicurare il regolare pagamento dei credito- ri estranei all’accordo. Pagamento che deve avvenire, ora, entro 120 giorni dalla data di omologazione dell’accordo da parte del tribu- nale competente se i debiti già scaduti prima di tale data oppure entro 120 giorni dalla data della scadenza naturale delle obbligazioni.
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Gli accordi di ristrutturazione rappresentano uno strumento di risoluzione della crisi au- tonomo e semplificato rispetto al concordato preventivo, assimilabile ad un “pactum de non petendo”.
Essi sono caratterizzati da due fasi:
• quella propriamente stragiudiziale, nella quale l’imprenditore in crisi “rinegozia” con i creditori la propria situazione debitoria, e
• quella giudiziale, in cui l’accordo, per es- sere produttivo di effetti legali, deve essere omologato da parte del tribunale.
L’istituto presenta, dunque, una natura ibrida
13 Sulla scelta dello strumento più idoneo e sulle nuove opportunità offerte dalla legge si veda Xxxxxxx X. “Alcuni spunti per la scelta dello strumento di composizione della crisi aziendale dopo il decreto sviluppo”, Il Fallimentarista, 4.4.2013.
14 Si era già dato atto di tali principi in un recente nostro intervento, cfr. Xxxxxx X. “Il ruolo del collegio sindacale nelle nuove soluzioni per facilitare la continuità aziendale”, in AA.VV. “La riforma del fallimento”, cit., p. 149.
15 Documento IRDCEC giugno 2013 n. 20 “Verbali e procedure del collegio sindacale”, in Banca Dati Eutekne.
che, da un lato, lo accosta agli accordi stra- giudiziali tradizionalmente intesi, dall’altro, lo distingue da questi. Infatti, anche per tali ac- cordi, nel corso delle trattative con i creditori l’impresa non è posta al riparo dalle azioni esecutive individuali.
L’accordo di ristrutturazione (stipulato con almeno il 60% dei crediti) deve essere pubbli- cato nel Registro delle imprese, e per 60 giorni dalla sua pubblicazione (questo rappresenta il
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c.d. stand still concesso dal tribunale dopo avere verificato la conformità formale della domanda e la completezza degli allegati16) nessun creditore (anteriore alla data del de- posito) può intraprendere o proseguire azioni esecutive individuali sul patrimonio del de- bitore; entro 30 giorni dalla pubblicazione i creditori possono proporre opposizione ed il tribunale, decise le opposizioni, omologa l’ac- cordo con decreto reclamabile entro 15 gior- ni dalla sua pubblicazione nel Registro delle imprese.
I creditori che non aderiscono all’accordo devono essere soddisfatti integralmente (nel termine di 120 giorni già indicato).
Sotto il profilo del contenuto, gli accordi di
ristrutturazione presentano le seguenti pecu- liarità:
A. dal lato dei creditori, le modalità propo-
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nibili dal debitore sono quelle consuete dei tentativi di soluzione stragiudiziale (dilazioni di pagamento, rinunce totali o parziali agli interessi o addirittura ad una parte del capitale, emissione di titoli di debito con valenza novativa, conversione di crediti in capitale, creazione anche di nuove obbligazioni come conseguenza di finanziamenti da utilizzare per l’estinzione di precedenti obbligazioni, costituzione di garanzie o impegno a stipulare negozi at- tuativi);
B. dal lato del debitore, l’accordo può pre-
vedere che l’attività d’impresa continui in
capo al debitore o che venga affidata ad un terzo; ma può stabilirsi anche che l’im- prenditore ceda in tutto o in parte i beni ai creditori (o ad uno o più mandatari di questi), ovvero che proceda direttamente alla liquidazione.
Più in generale, comunque, l’accordo è im- prontato alla finalità di ripristinare la con- dizione di solvibilità dell’impresa debitrice, attraverso un pagamento in percentuale dei creditori aderenti al patto e senza necessità che fra costoro sia rispettata la regola della par condicio creditorum.
Anche per tale strumento è necessaria la
predisposizione di un piano e di una pro- posta (considerato che uno degli allegati alla domanda di omologazione è il piano ex art. 161 co. 2 lett. e della L. fall.) che può avere ad oggetto la mera ristrutturazione dei debiti, ovvero contemplare un vero e proprio risa- namento dell’impresa in difficoltà. Il piano, prescrive la legge, deve essere accompagnato da una relazione redatta da un esperto, che oltre ad accertare la veridicità dei dati, deve attestare l’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei.
Anche gli accordi di ristrutturazione, come il concordato preventivo, possono rappresenta- re un’interessante (e certamente più snella) modalità di superamento di una crisi d’im- presa, essenzialmente in questo caso di tipo finanziaria, sia reversibile (quindi con previ- sione della continuità aziendale) sia irreversi- bile (quindi con previsione di un piano liqui- datorio), che non sia ovviamente già sfociata nell’insolvenza.
L’utilizzo di tale strumento, tuttavia, potrebbe servire anche a rimuovere l’insolvenza e scon- giurare il fallimento dell’impresa. La posizione della giurisprudenza (oramai consolidata17), infatti, lo parifica – sotto il profilo dell’utilizzo
16 Periodo di stand still ben diverso ed eventualmente successivo al periodo di automatic stay ottenuto dal debitore con la domanda ex
art. 182-bis co. 6 della L. fall. o con il ricorso di concordato con riserva ex art. 161 co. 6, L. fall..
17 Per uno sguardo d’insieme e ragionato della prima giurisprudenza formatasi in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti, an- corché trattasi di saggio relativo alla giurisprudenza ante ultime riforme normative, si rinvia ex aliis a Mandrioli L. “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.f.”, Il fallimento, 5, 2010, p. 610 e ss..
– al concordato preventivo, nella sua idoneità ed attitudine a superare lo stato di crisi e ad evitare la più grave insolvenza, configurando- lo pertanto come strumento ex se alternati- vo al fallimento.
Naturalmente, l’accordo di ristrutturazio- ne deve dimostrare idoneità ed attitudine a superare la crisi, assumendo in ciò un ruolo cruciale la relazione del professionista, ed avendo, pertanto, il tribunale il potere-do- vere di respingere la richiesta di omologa di un accordo non idoneo a superare la crisi e la cui relazione, soprattutto, sia scarsamente motivata e priva di qualsiasi informativa sulla concreta attuabilità dell’accordo stesso o non garantisca la veridicità dei dati su cui si fonda il piano sottostante all’accordo stesso.
Per raggiungere un accordo di ristruttrua-
zione dei debiti, quindi, il debitore deve:
1. prima predisporre un piano su cui basare le ipotesi di risanamento e ristrutturazio- ne dei debiti per verificare che la gestio- ne dello stesso crei la necessaria liquidità per pagare tutti i creditori, sia aderenti e quindi dilazionati o pagati in prcentuale sia non aderenti e quindi pagati integral- mente e nei tempi indicati dall’art. 182-bis della L. fall.;
2. definire un contratto o più accordi con
i creditori per dimostrare l’adesione della maggiornaza qualificata dei creditori;
3. predisporre la documentazione prescritta dall’art. 182-bis della L. fall. che richiama l’art. 161 della L. fall.;
4. fare attestare il piano, la proposta e
l’accordo da parte di un soggetto profes- sionalmente qualificato, ai sensi dell’art. 67 co.3 lett. d) della L. fall., il quale deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la attuabilità dell’accordo con particolare riferimento ai creditori non aderenti e per- tanto nominare il predetto professionista perché provveda all’emissione della sua re- lazione attestativa;
5. quindi depositare una domanda, corre-
data di tutta la documentazione richie- sta dalla legge, presso il tribunale ove ha sede l’impresa in crisi per la omologazione dell’accordo;
6. ed infine, mettere in esecuzione il piano
per l’adempimento dell’accordo.
Il Collegio sindacale, così, deve sorvegliare e presiedere a tutte le sei fasi sopra enunciate perché il debitore provveda a raggiungere l’ac- cordo con i creditori e ottenere la omologazio- ne dello stesso, nonché a rispettare gli impegni assunti, evitando il fallimento dell’impresa.
GLI STANDARD PROFESSIONALI DEL COLLEGIO SINDACALE NELL’UTILIZZO
DEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE
Il ruolo del Collegio sindacale nella crisi d’im- presa, come detto, è stato “codificato” dal CNDCEC attraverso l’emanazione delle nuove “Norme di comportamento del collegio sinda- cale” (in vigore dal 1° gennaio 2012) ed in par- ticolare della Norma n. 11, titolata “Attività del collegio sindacale nella crisi d’impresa”.
15
Lo standard deve essere osservato in quanto rappresenta un principio di comportamento che serve a tutelare la responsabilità dei sin- daci e a dimostrare ex post che gli stessi hanno attuato un comportamento conforme alla leg- ge e alla corretta prassi, applicabile alla parti- colare fattispecie in cui hanno operato.
In proposito occorre peraltro rilevare che la giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare come il sindaco “deve comportarsi come un av- veduto controllore ed adoperare, là dove man- chino disposizioni di legge, le norme di com- portamento proprie della professione svolta, in relazione alle funzioni concretamente esercita- te” 18, pertanto l’osservaza del principio n. 11 non è solo consigliata, ma diviene obbligato-
18 Trib. Milano 1.10.2011 n. 11586, in Banca Dati Eutekne, con commento di Xxxxx M. “Sindaci responsabili se vengono meno al potere/ dovere di vigilanza”, Il Quotidiano del Commercialista, xxx.xxxxxxx.xxxx, 10.1.2012.
ria nelle situzioni di crisi d’impresa.
Il principio n. 11 si focalizza sui seguenti aspetti della “vigilanza” che deve essere esercitata dal Collegio sindacale:
1. prevenzione ed emersione della crisi, in
LA TUTELA DEL GOING CONCERN ATTRAVERSO GLI STRUMENTI DELLA LEGGE FALLIMENTARE | |
Norma 11.1 | Prevenzione ed emersione della crisi |
Norma 11.2 | Segnalazione all’assemblea e denunzia al tribunale |
Norma 11.3 | Vigilanza in caso di adozione di piano attestato di risanamento |
Norma 11.4 | Vigilanza in caso di adozione di accordo di ristrutturazione di debiti |
Norma 11.5 | Vigilanza in caso di adozione di un concordato preventivo |
punto di monitoraggio going concern ed at- tuazione da parte degli amministratori delle misure idonee a garantirne la permanenza
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Come detto, tuttavia, la corretta ed efficace applicazione della Norma di comportamento
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n. 11 richiede l’approfondita conoscenza, da parte del collegio sindacale, del “diritto” del- la crisi d’impresa, degli standard per l’utilizzo degli strumenti di risanamento, in particola- re degli strumenti per il monitoraggio del going concern (principio di revisione n. 570), dei principi contabili in tema di crisi d’impresa (OIC 5 e 6), nonché della speci- fica prassi in tema di redazione (ed atte- stazione) dei “piani” nell’ambito delle varie soluzioni anti crisi alternative al fallimento. Inoltre, le modifiche introdotte dal decreto crescita impongono una (ri)contestualizza- zione della Norma di comportamento n. 11, la cui applicazione richiede maggiori atten- zioni e cautele da parte dell’organo di con- trollo.
In particolare, infatti, l’eventuale attivazio- ne della fase di pre-concordato determina la necessità da parte del Collegio sindacale di un più stringente monitoraggio della gestio- ne e degli atti posti in essere da parte degli amministratori.
In tale fase, come già ricordato, è ora pos- sibile continuare a gestire l’impresa pur in presenza della perdita del capitale sociale: ipotesi che in situazioni ordinarie deter- minerebbe l’obbligo di iscrivere la causa di
(norma 11.1), e interventi volti a far emer- xxxx la crisi in caso di inerzia degli ammini- stratori (norma 11.2);
2. utilizzo, in caso di conclamata crisi, degli
strumenti di risanamento, quindi piano attestato (norma 11.3), accordi di ristrut- turazione dei debiti (norma 11.4) e con- cordato preventivo (norma 11.5).
scioglimento al Registro delle imprese o di attuare le prescrizioni previste dalle norme del codice civile. Obblighi che vengono con- gelati sino alla omologazione della proposta ai creditori, ai sensi del nuovo art. 182-se- xies L. fall.. Tuttavia, la gestione dell’impre- sa è limitata agli atti ordinari e necessita di specifiche autorizzazioni del tribunale per gli atti straordinari ed urgenti, ai sensi dell’art. 161 co. 7 della L. fall., con obbligo altresì di osservanza della gestione conservativa che gli amministratori devono eseguire, ai sensi dell’art. 2486 c.c. (che proprio l’art. 182-se- xies della L. fall. richiama).
Le responsabilità appena ricordate possono dirsi in parte “mitigate” qualora il tribunale, anche nella fase di pre concordato, decida di provvedere a nominare il commissario giu- diziale, del che si deve ritenere applicabile quanto previsto dalla Norma di comporta- mento 11.5 (di cui appresso).
PREVENZIONE ED EMERSIONE DELLA CRISI
Prima che l’organo di amministrazione ab- bia già scelto di attuare un accordo di ri- strutturazione o meglio abbia verificato che sussistano le condizioni per raggiungere l’accordo, il Collegio è chiamato ad attivarsi affinchè gli amministratori procedano con
adeguata sollecitudine a dare impulso all’i- ter di ristrutturazione/risanamento dell’im- presa. La Norma 11.1 dei principi di com- portamento del Collegio sindacale stabilisce appunto che “Il collegio sindacale, se nello svolgimento della funzione di vigilanza rilevi la sussistenza di fatti idonei a pregiudicare la continuità dell’impresa, sollecita gli ammini- stratori a porvi rimedio”.
Tale principio, finalizzato a prevenire ovvero a far emergere la crisi, individua due piani di intervento del Collegio sindacale:
• un controllo costante sul mantenimento della continuità aziendale, nell’ottica del- la prevenzione e della pronta emersione della crisi;
• un monitoraggio sulle attività svolte dagli amministratori per garantire tale conti- nuità aziendale.
Operativamente, il Collegio sindacale è tenu- to ad effettuare controlli e ispezioni tanto più mirate quanto più evidenti sono i segnali della crisi, questi ultimi rilevabili essenzial- mente nell’ambito:
• della vigilanza ex art. 2403 c.c “sull’osser- vanza della legge e dello statuto”, sul “ri- spetto dei principi di corretta amministra- zione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrati- vo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento” e, di conse- guenza, dalle specifiche notizie sull’anda- mento delle operazioni sociali o su deter- minati affari richesti agli amministratori, ai sensi dell’art. 2403-bis co. 2 c.c. e se- condo la norma di comportamento n. 5.3;
• dell’interazione con il soggetto incari- cato della revisione legale dei conti (ove presente), con il quale formalizzare lo “Scambio di informazioni”, secondo le in- dicazioni della norma di comportamento
5.3 (espressamente richiamata).
VIGILANZA IN CASO DI ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE
Nell’ipotesi di accordo di ristrutturazione dei debiti, la Norma 11.4 richiede al Collegio sindacale di vigilare:
• sulla corretta scelta del professionista
attestatore, sotto il profilo del “possesso dei requisiti di professionalità” per l’as- sunzione dell’incarico;
• “dopo l’omologazione da parte del tribunale (…) sulla corretta esecuzione dell’accordo da parte degli amministratori”.
Il Collegio sindacale deve verificare il ri- spetto degli adempimenti formali necessari all’omologa e di pubblicità legale dell’accor- do. Nella fase esecutiva, dopo l’omologazio- ne, deve vigilare sulla puntuale esecuzione dell’accordo, richiedendo informazioni agli amministratori, focalizzando il controllo sul regolare (ora integrale) pagamento dei cre- ditori estranei all’accordo e sulla puntuale esecuzione da parte degli amministratori delle soluzioni indicate nell’accordo di ri- strutturazione.
In particolare, il Collegio sindacale, (pur se non è di sua competenza esprimersi sul merito), deve prendere conoscenza dell’ac- cordo di ristrutturazione dei debiti predispo- sto dall’organo amministrativo e svolgere una funzione di vigilanza, quest’ultima rife- xxxx alla fase prodromica ed alla fase esecu- tiva degli accordi.
Il principio n. 11 auspica, altresì, che “il col- legio sindacale raccomandi il rispetto delle indicazioni contenute nelle «Linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi» ema- nate dal Consiglio Nazionale”.
17
In particolare:
• nella fase prodromica, sia con riferimen- to alla richiesta di pre-accordo (istanza cautelare ex art. 182-bis co. 6 della L. fall. ma anche se scelto lo strumento ex art. 161 co. 6 della L. fall.), sia con riferimento alla richiesta di omologazione dell’accor- do definitivo, il controllo deve riguardare la sussistenza delle formalità necessarie alla presentazione delle istanze ed al corretto svolgimento dei rispettivi iter procedurali, affinchè eventuali errori non pregiudichino la gestione e la continuità aziendale, o peggio rendano del tutto inu- tili le iniziative per evitare il fallimento;
• nella fase esecutiva dell’accordo omolo-
gato, il Collegio sindacale – alla luce delle precisazioni e novità introdotte col decre-
to crescita – deve verificare il rispetto dei requisiti di attuabilità dell’accordo, ov- vero il pagamento integrale dei creditori estranei “a) entro centoventi giorni dall’o- mologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data; b) entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non an- cora scaduti alla data di omologazione”.
Le novità introdotte (anche per il concordato preventivo applicabili in caso di accordo di ri- strutturazione dei debiti), richiedono che il Col- legio sindacale, oltre a vigilare sulla sussistenza dei requisiti di professionalità ed “adeguatezza” dell’attestatore e dell’advisor, verifichi:
• che la domanda di omologazione dell’accor- do possieda i requisiti formali-documentali richiesti dalla legge e che, in particolare, sia corredato da “un piano contenente la de- scrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta”;
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• “nel caso di modifiche sostanziali della proposta e del piano”, che il professionista attestatore designato dal debitore xxxxxx una nuova relazione di attestazione;
18
• in caso di deposito di domanda di concor- dato “in bianco” (ex art. 161 co. 6), che in- nanzitutto non sussistano requisiti di inam- missibilità della domanda e che la proposta sia regolare dal punto di vista formale e quindi contenga l’allegazione (come xxxxxx- sto dalla novella) dei bilanci relativi agli ul- timi tre esercizi e dell’elenco nominativo dei creditori. Il Collegio sindacale dovrà, inoltre, monitorare che il ricorso, una volta accet- tato, venga integrato con tutta la docu- mentazione legalmente prevista (dal sopra richiamato co. 2) nei termini assegnati dal tribunale e cioè convertito (sempre nei suddetti termini assegnati) in proposta di accordo di ristrutturazione di debiti, proce- dendo in tal caso alla verifica dei requisiti di regolarità formale-documentale dell’accor- do di ristrutturazione. Il Collegio sindacale, inoltre, dovrà monitorare che il debitore
– una volta decretato l’accoglimento della domanda di concordato in bianco – effettui regolarmente e correttamente “gli obbli- ghi di informativa periodica, anche relativi alla gestione finanziaria, che il debitore deve
assolvere sino alla scadenza del termine fissato” dal tribunale, corredando l’infor- mativa delle informazioni afferenti lo stato avanzamento lavori per la predisposizione della proposta e del piano ai creditori;
• se nominato il commissario xxxxxxxxxx, il
Collegio sindacale deve relazionarsi con quest’ultimo e segnalare allo stesso ogni anomalia che dovesse riscontrare, affinchè il commissario xxxxxxxxxx possa informare nelle opportune forme e sedi il tribunale.
FINANZIAMENTI PREDEDUCIBILI E CONTINUITÀ AZIENDALE
Alla (neo introdotta) possibilità per il debito- re di richiedere autorizzazione a contrarre fi- nanziamenti prededucibili nell’ambito di una proposta di concordato preventivo (anche “in bianco”) o di una domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione (nuovo art. 182-quinques) la novella ricollega l’obbligo di predisporre specifica “attestazione” (in temini di verifica di “funzionalità” dei nuovi finanziamenti alla migliore soddisfazione dei creditori), i cui contenuti formali si ritiene debbano essere oggetto di preventivo con- trollo da parte del Collegio sindacale, sem- preché l’organo amministrtivo metta il Col- legio sindacale a conoscenza della richiesta e dei lavori dell’attestatore. Ovviamente dovrà essere lo stesso Collegio a farsi parte attiva per verificare l’avanzamento dell’iter di pre- disposizione del piano di ristruttruazione dei debiti e quindi di ogni altra integrazione e richiesta da proporsi al tribunale.
IL CONTROLLO SULLA NOMINA DELL’ATTESTATORE
Innanzitutto i “chiarimenti” sanciti dal de- creto sviluppo in punto di requisiti di “in- dipendenza” del professionista attestatore (applicabili a tutte le relazioni attestatrici richieste dalla legge fallimentare e frutto del recepimento della prassi operativa), im- pongono una maggiore attenzione da parte dell’organo di controllo, il quale deve veri- ficare il puntuale rispetto degli standard di “indipendenza” dell’attestatore (figura professionale che la novella ha chiarito – se
mai ce ne fosse stato bisogno – essere desi- gnata dal debitore).
Inoltre, ancorché la norma di comportamento
n. 11 non lo preveda, il Collegio sindacale si ritiene debba “valutare” anche l’adeguatezza delle competenze tecniche e della “struttu- ra” del professionista attestatore, basandosi sulla proposta formulata dal revisore legale nominato ai fini del rilascio del giudizio di at- testazione (un po’ come accade per il giudizio di adeguatezza espresso dal Collegio sindacale per il revisore nominato dall’assemblea)19.
La valutazione dovrebbe essere svolta nel cor- so del lavoro di predisposizione del “piano”, in riferimento anche all’attività dell’advisor (eventualmente) nominato dalla società (se questa non dotata di idonee strutture per predisporre un piano di ristrutturazione/ri- sanamento), non potendo ritenersi del tutto esente da responsabilità l’organo di control- lo che non vigili sull’adeguatezza del lavoro. Ma la (valutazione di) adeguatezza del lavo- ro impone al Collegio sindacale di verifica- re – pur senza dover entrare nel merito – la correttezza “formale” dell’attestazione e del giudizio in essa contenuto, il quale deve (ora) riguardare (come precisato dalla novella) i due ambiti della veridicità dei dati aziendali e della attuabilità in caso di accordi di ristrutturazione).
Ad avviso di chi scrive, poi, l’attestazio- ne deve pronunciarsi motivatamente sulla permanenza della continuità aziendale in capo all’impresa in crisi ed in conseguenza del piano di ristrutturazione da attuare, pre- disposto dall’imprenditore. Il Collegio sinda- cale, benchè l’attività sia eseguita dal reviso- re legale incaricato dell’attestazone di legge, non può esimersi dal verificare che l’attesta- zione sia completa e corretta sul punto, es- sendo uno specifico obbligo e responsabilità dell’organo di controllo verificare che il pia-
no approvato dall’organo amministrativo per il mantenimento della continuità operativa sia ritenuto in grado di assicurare l’attività dell’impresa in un futuro prevedibile20.
CONCLUSIONI
Le molte novità introdotte agli strumenti alter- nativi al fallimento, così come modificati recen- temente impongono un maggiore controllo da parte del Collegio sindacale per il corretto acces- so ed utilizzo, da parte dell’impresa in crisi dei percorsi protetti per evitare il fallimento.
La Norma di comportamento n. 11 deve essere, infatti, letta ed applicata alla luce delle “nuove” opportunità, le quali se da un lato “facilitano” ulteriormente l’accesso agli strumenti di risa- namento (anticipandone ed estendendone – in nome del going concern – i conseguenti effetti protettivi sul patrimonio del debitore), dall’altro possono prestarsi ad un utilizzo improprio e “non corretto”, soprattutto se fruiti in mancan- za dei presupposti oggettivi-aziendalistici che ne giustificano l’impiego (il going concern ed i connessi pressupposti per il risanamento).
19
Il ruolo dell’organo di controllo, quindi, diven- ta ancora più “cruciale”, esponendo i soggetti che lo compongono – in caso di omissioni e/o mancanza di diligenza – ad ulteriori fattispecie della “tipizzata” (e medesima) responsabilità (anche penale) per culpa in vigilando idonea ad emergere in caso di dissesto a seguito del non corretto utilizzo degli strumenti di risanamento. Vigilanza che in caso di presentazione di una istanza di pre-concordato ai sensi dell’art. 161 co. 6 della L. fall. dovrà essere attuata con parti- colare riguardo agli effetti di sterilizzazione della disciplina societaria in materia di conservazione del capitale sociale, con l’accortezza di segui- re tutte le fasi della presentazione del piano e della proposta ai creditori relativi all’accordo di
19 Sul punto si segnala che da poco è stato costituito un Gruppo di attenzione e studio (GSA) presso l’AIDEA (Accademia Italiana dei Docenti di Economia Aziendale), il quale si occupa della predisposizione dei “principi per gestire le crisi”. Il primo documento in corso di redazione riguarda proprio i principi di attestazione dei piani di composizione della crisi. Pertanto il Collegio sindacale, una volta formulati tali principi, dovrà avere cura di valutare l’adeguatezza dell’operato dell’attestatore anche alla luce di tale best practice. Si veda “Aziende in Crisi. A Bologna si studiano i rimedi”, Italia Oggi, 17.7.2013.
20 Sul punto si veda anche Galletti D., cit..
ristrutturazione raggiunto con i creditori.
Il Collegio sindacale in estrema sintesi deve fare sì che l’organo amministrativo non attui comportamenti dilatori che possano peggiora- re lo stato di crisi e allontanare le possibilità di risanamento/ristrutturzione dell’impresa. Situa- zioni che il Collegio sindacale deve scongiurare per evitare che l’aggravamento del dissesto21 e quindi rischiare di concorrere con l’imprenditore nel reato di bancarotta ex art. 217 co.1 n. 4) della L. fall..
In ogni caso il Collegio sindacale, nell’ipotesi
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di utilizzo di un accordo di ristrutturazione dei debiti deve partecipare attentamente all’in- tero iter di predisposizione del piano, dell’ac- cordo e del rilascio dell’attestazione da parte del professionista per ottenere tutte le infor- mazioni necessarie a monitorare la corretta e tempestiva attuazione dello strumento prescelto dalla società. I sindaci non devono e non possono assistere passivi22 alle scelte
della società e seppure non sono tenuti ad en- trare nel merito delle stesse, devono però valu- tare quali conseguenze le stesse hanno in con- creto per il superamento della crisi. Pertanto, ogni volta che il debitore inizia un processo di composizione della crisi con trattative anche prolungate e complesse con i propri credito- ri, risulterà opportuno che il Collegio si fac- cia dare resoconto delle riunioni, documenti le proprie verifiche e valuti i documenti e le corrispondenze nel frattempo intercorse. Diversamente la condotta del collegio sarà sempre a rischio di responsabilità per caren- za di vigilanza. Ovviamente il Collegio non deve neppure atteggiarsi eccessivamente in via prudenziale e di salvaguardia della propria posizione, in quanto non deve fare ostru- zionismo al debitore per il raggiungimento dell’accordo, soprattutto se i fatti e le evidenze fanno emergere che i creditori hanno interesse e credono nel raggiugimento dell’accordo.
20
21 Cfr. sul tema Cass. 26.8.2011 n. 32899, in Banca Dati Eutekne, che ha esaminato il caso della responsabilità dell’imprenditore che pur credendo nella propria impresa ha continuato a finanziare la società con risorse proprie aggravando il dissesto e divenendo re- sponsabile del reato di bancarotta. La S.C. infatti ha sostenuto che “per dissesto deve intendersi non tanto una condizione di generico disordine dell’attività della società quanto una situazione di squilibrio economico e patrimoniale progressivo e ingravescente che, se non fronteggiata con opportuni provvedimenti, o con la presa d’atto dell’impossibilità di proseguire l’attività, può comportare l’aggravamento inarrestabile della situazione debitoria, con conseguente incremento del danno che l’inevitabile, e non evitata insolvenza, finisce per procurare alla massa dei creditori”.
22 Il sindaco “passivo” può essere imputato di concorso in bancarotta come stabilito da Cass. 5.8.2011 n. 31163, in Banca Dati Eutekne, con commento di Xxxxx M. “Il sindaco «passivo» di fronte a eventi illeciti concorre nella bancarotta”, Il Quotidiano del Commercialista, xxx.xxxxxxx.xxxx, 6.8.2011.
1. Diritto societario
SUCCESSIONE NELLE QUOTE SOCIETARIE ED EREDITÀ GIACENTE
La morte di un socio è un evento di non agevole gestione, tanto più se ci saranno più eredi, se i chiamati all’eredità rinunziano o non accettano o sono irreperibili, se non addirittura inesistenti entro il sesto grado. Tratteremo in breve le ipotesi codicistiche e le eventuali clausole statutarie atte a regolare la successione nelle partecipazioni, per analizzare poi in modo più approfondito le delicate situazioni
attinenti la traslazione della quota e la spettanza dello status socii nelle fasi transitorie del trasferimento. Verranno poi analizzate in concreto le ipotesi di comunione pro indiviso, di vacanza e giacenza, il ruolo del curatore, l’attività assembleare e gli atti dispositivi leciti e vietati. La trattazione sarà completata da alcune esemplificazioni pratiche.
/ Xxxxxxx XXXXXXXX*
LA SUCCESSIONE NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI
CLAUSOLE DI CONSOLIDAZIONE
Nelle società di capitali la quota di partecipazione è liberamente trasferibile a causa di morte, salva diversa disposizione statutaria: è ammesso, in- fatti, un patto che imponga l’accrescimento delle quote del socio deceduto in capo ai soci supersti- ti, con conseguente maturazione di un credito a favore degli eredi del socio defunto.
Proprio in tale liquidazione è da riscontrarsi il discrimen tra la c.d. clausola di consolidazione pura1 e quella impura2:
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• la prima comporterebbe un evidente contrasto con il divieto dei patti successori3 in quanto non contempla alcuna forma di liquidazione a favore degli eredi del socio deceduto;
• la seconda, viceversa, deve reputarsi legittima in quanto espressamente impone a carico dei soci superstiti l’onere di liquidare la quota agli eredi del socio defunto.
Anche la Cassazione ha sposato la tesi della nulli- tà4 della clausola di consolidazione pura.
* Avvocato
1 Es. di clausola statutaria: “In caso di morte di un socio, la propria quota si accrescerà in capo ai soci superstiti, proporzionalmente alle quote dai medesimi già possedute, senza obbligo di liquidare eredi e/o legatari del socio deceduto”.
2 Es. di clausola statutaria: “In caso di morte di un socio, la propria quota si accrescerà in capo ai soci superstiti, proporzionalmente alle quote dai medesimi già possedute, con obbligo, in capo ai medesimi, di liquidare eredi e/o legatari secondo le disposizioni dettate dal codice in tema di recesso”.
3 Rimandando ad altra sede, eventualmente, l’analisi delle varie tipologie di patto successorio, sia sufficiente ricordare come l’art. 458 c.c. preveda la nullità di quegli accordi in forza dei quali si vada a disporre di una successione non ancora aperta.
4 Cass. 16.4.1975 n. 1434, Giur. It. 1,1976, I, p. 591: “il patto con il quale si dispone che alla morte di uno dei soci le azioni o le quote si trasferiscano agli altri, senza che sia prevista l’attribuzione di alcunchè ai successori per legge o testamento, è patto che esclude del tutto la libertà testamentaria ed è quindi nullo ai sensi dell’art. 458”.
Stante l’incertezza che ancora vige in materia di consolidazione nelle società di capitali, si consi- glia di evitare le clausole di consolidazione pura e di prevedere, se del caso, quelle c.d. impure, prevedendo l’onere in capo ai soci superstiti di soddisfare le pretese ereditarie ed altresì le moda- lità di determinazione della liquidazione a favore degli eredi del socio deceduto. In assenza di tale specificazione e in caso di intrasmissibilità mortis causa della quota, la liquidazione a favore degli eredi dovrà essere effettuata dalla società e non dai soci superstiti.
CLAUSOLE DI GRADIMENTO
Attraverso tali clausole si intende subordinare gli effetti della cessione, anche a causa di morte, al gradimento dell’organo amministrativo o dell’as- semblea dei soci. Anche in tale ipotesi possiamo distinguere due tipologie di gradimento:
• gradimento proprio, ovvero le clausole che
Società e Contratti, Bilancio e Revisione
intendono sottoporre la cessione della qualità di socio al placet di un determinato organo, anche mero e non qualificato;
• gradimento improprio, ovvero quelle clausole
che subordinano il trasferimento all’esistenza di criteri e requisiti predeterminati dallo Sta- tuto sociale.
Il Legislatore ha previsto, altresì, un rimedio a fa- vore dei soci, in presenza di clausole di gradimen- to “senza prevederne condizioni e limiti” 5, consi-
stente nella facoltà di recesso; appare evidente, tuttavia, che tale terminologia è impropria lad- dove si tratti di successione mortis causa: infatti gli eredi del socio deceduto non avranno facoltà di recesso, in quanto non avranno mai acquista- to la qualità di soci; in capo a costoro sussisterà, invece, un diritto ad ottenere la liquidazione della quota secondo i parametri codicistici o statutari.
CLAUSOLE DI PRELAZIONE E OPZIONE
La clausola di prelazione è destinata a realizza- re una successione familiare tra consoci quando volta in favore dei soci superstiti e nei confron- ti degli eredi o legatari, sicchè si prevede nello Statuto che, laddove gli eredi del socio defunto intendano cedere le azioni o le quote ereditate, dovranno preferire, a parità di condizioni, i soci superstiti quali acquirenti delle partecipazioni sociali. La ratio di tale disposizione può ravvi- sarsi nella volontà dei soci di impedire l’ingresso in società ad estranei ed inoltre nella volontà di mantenere inalterato l’equilibrio di poteri tra i soci superstiti; tale ultima finalità potrà ben es- sere raggiunta solo laddove lo Statuto preveda che la proposta di acquisto debba essere rivolta indistintamente a tutti i soci superstiti e non solo ad alcuni di essi.
Aspetto problematico della prelazione statutaria è dato dal potenziale conflitto con l’art. 732 c.c.6; sia consentito una esempio per semplificare.
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ESEMPIO
Xxxxx e Xxxx sono soci di una spa il cui Statuto sociale prevede una clausola di prelazione a favore dei soci superstiti; alla morte di Xxxxx, suoi coeredi sono Sempronio e Xxxxx. Il coerede che intendesse alie- nare la partecipazione sociale ricevuta iure ereditario dovrà offrirla in prelazione al socio superstite (come da Statuto) o al coerede ex art. 732 c.c.?
5 Così art. 2469 c.c.. Sul punto cfr. Consiglio Notarile di Milano massima n. 32. “Condizioni di efficacia delle clausole di mero gradimen- to nella s.p.a. (art. 2355 bis c.c.)” – “Le clausole di mero gradimento contenute nello statuto di s.p.a. sono efficaci anche nel caso in cui (pur non prevedendosi il diritto di recesso ovvero l’obbligo, per la società o per gli altri soci, di acquistare le azioni al valore stabilito per il recesso, come prevede l’art. 2355 bis c.c.) contemplino l’obbligo per la società o per gli altri soci di acquistare «a parità di condizioni», cioè al prezzo che l’alienante ha concordato con il terzo non gradito, ovvero l’obbligo, per la società, di procurare altro acquirente gradito, che acquisti al valore stabilito per il recesso o «a parità di condizioni»”.
6 Art. 732 – Diritto di prelazione: “Il coerede, che vuole alienare (1542 e seguenti) a un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione. Questo diritto deve essere esercitato nel termine (2964) di due mesi dall’ultima delle notificazioni. In mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall’acquirente e da ogni successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria (1502). Se i coeredi che intendono eserci- tare il diritto di riscatto sono più, la quota è assegnata a tutti in parti uguali”.
Pare preferibile aderire alla teoria secondo la quale deve ritenersi preminente la prelazione ere- ditaria (e quindi il coerede piuttosto che il socio superstite) imposta dal codice civile, ritenuta di rango superiore rispetto alla prelazione volontaria imposta dallo Statuto sociale; basti pensare alle conseguenze ed alle possibili sanzioni in caso di mancato rispetto dell’una piuttosto che dell’altra prelazione: solo in caso di inosservanza dell’art. 732 c.c. si prevede il c.d. diritto di riscatto a fa- vore dei coeredi, mentre si tende7 ad escludere la medesima sanzione nell’ipotesi di prelazione sta- tutaria8.
Diversa si configura la situazione in presenza di un cosiddetto “patto di opzione” ex art. 1331 c.c., che obbliga i successori cui pervengono le azioni o le quote del socio premorto a rimanere, per un de- terminato tempo, vincolati ad offrirle in opzione ai soci superstiti, ad un prezzo il cui criterio di deter- minazione è già fissato dalla clausola statutaria9. A ben vedere si potrebbe arrivare a negare la vali- dità di tali clausole di opzione, in quanto contra- stanti con il solito divieto del patto successorio ex art. 458 c.c.; tuttavia una nota pronuncia di Cas- sazione10 ne ha confermato la validità laddove sia stata predeterminata l’entità della partecipazione destinata ad essere offerta in opzione alla morte del socio, sì da evidenziarne l’immediatezza della
attribuzione, ponendo in essere un negozio tra vivi con effetti post mortem; la medesima Cassazione, nella citata sentenza, ha xxxxxxx che la morte del socio non deve essere considerata la causa del- la attribuzione, bensì il momento a decorrere dal quale può essere esercitata l’opzione per l’acquisto delle azioni pervenute dal de cuius agli eredi e sul- le quali già gravava un vincolo di indisponibilità a carico reciprocamente dei soci.
IL RAPPRESENTANTE COMUNE
LA COMPROPRIETÀ
Senza dilungarci in disquisizioni dottrinarie non consone a questa sede, partiamo dal presuppo- sto che le azioni/quote sono indivisibili, pertanto, in caso di comproprietà, i diritti dei comproprie- tari devono essere esercitati da un rappresentan- te comune nominati ai sensi degli artt. 1105 e 1106 c.c.11 Ad esempio, in tema di comunione di azioni sociali, può partecipare all’assemblea dei soci il solo rappresentante comune, designato secondo le norme sulla comunione, con esclu- sione della legittimazione dei singoli comunisti12, subordinatamente alla iscrizione nel libro soci. Concentriamoci nella fase successoria:
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7 Trib. Brindisi 17.3.2006, in Banca Dati Eutekne e in Le Società, 12, 2007, p. 1513 – “Pur riconoscendosi l’efficacia reale della clausola sta- tutaria di prelazione, in favore dei soci per il caso di quote sociali, essendo stata sottoposta al regime di pubblicità nel Registro Imprese, deve nondimeno escludersi che la violazione di detta clausola comporti il diritto di riscatto in capo al socio prelazionario pretermesso”.
8 Dunque, prima di applicare la disciplina statutaria, sarà doveroso applicare la norma di cui all’art.732 c.c..
9 Un interessante esempio di clausola di opzione, integrata da un gradimento improprio nel senso già indicato nel presente lavo- ro, è riscontrabile nell’art. 6 co.7 dello Statuto della “Xxxxxxxx Xxxxxxx e C. società in accomandita per azioni”, che così recita: “le azioni pervenute in proprietà o altro diritto reale per donazione o successione legittima o testamentaria a soggetti che non siano discen- denti consanguinei dell’azionista xxxxx causa o altri possessori di azioni dovranno essere offerte in opzione a questi ultimi nei modi e con gli effetti di cui ai precedenti commi. Sino a quando non sia stata fatta l’offerta e non risulti che questa non è stata accettata, l’ere- de, il legatario o il donatario non sarà iscritto nel libro dei soci, non sarà legittimato all’esercizio del diritto di voto e degli altri diritti am- ministrativi inerenti alle azioni e non potrà alienare le azioni, con effetto verso la società, a soggetti diversi dagli altri possessori di azioni”. Per tale segnalazione sia consentito un rimando alla brillante Relazione svolta al Convegno organizzato dal Comitato Regionale Notarile della Sicilia su “Destinazione e circolazione dei beni in ambito familiare” (Taormina, 3 e 4 aprile 2009), svolta dal Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx.
10 Cass. 16.4.1994 n. 3609 in Banca Dati Eutekne, in Le Società, 1994, p. 1185 e ss.; in Giur. Comm., 1996, II, p. 217 e ss; in Giur. It., 1, 1995, I, c. 1334; in Riv. Not., 1994, II, p. 1491.
11 Conforme anche Xxxx. 23.4.2013, n. 9801 in Banca Dati Eutekne e in xxx.xxxxxxxxxxx.xx, in merito all’ipotesi di vendita di una quota di partecipazione azionaria da parte di solo alcuni coeredi – “Il contratto di vendita della quota di una società di capitali caduta in successione “mortis causa”, concluso da alcuni coeredi sull’assunto dell’attuale piena titolarità dei diritti di partecipazione sociale, la quale poteva, invece, esser loro riconosciuta soltanto all’esito del pendente giudizio di divisione, non avendo ad oggetto la quota di eredità spettante agli stessi cedenti, non è volto a far subentrare l’acquirente nella comunione ereditaria e rimane, pertanto, inopponibile ad altro coerede rimasto estraneo all’alie- nazione, neppur rilevando rispetto a tale alienazione l’esercizio della prelazione di cui all’art. 732 cod. civ.; né l’opponibilità di detta cessione nei confronti del comproprietario non partecipe al negozio può essere affermata ricostruendo l’accordo come vendita di quota indivisa dei soli diritti sociali, ai sensi dell’art. 1103 cod. civ., in quanto anche un tale atto di disposizione riveste un’efficacia meramente obbligatoria, condizionata all’attribuzione del bene, in sede di divisione, ai coeredi alienanti” (Cassa, con rinvio, App. Bologna 15.11.2005).
12 Cass. 18.7.2007 n. 15962 in Banca Dati Eutekne e in Riv Not. 3, 2008, p. 658; App. Milano 31.1.2003 in Banca Dati Eutekne e in Giur. It., 2003,
p. 1178; contra Cass. 16.7.1976 n. 2815 in “Manuali Notarili” a cura di Xxxxxxxx X., Xxxxxxxxx X. “Le società di capitali e le cooperative”, vol. 3, t. 1, Cedam, 2012, p. 140.
ESEMPIO
Xxxxx, socio azionista della Alfa spa, muore senza aver redatto testamento, lasciando due figli e la mo- glie a succedergli. Ammettendo che i chiamati all’eredità intendano accettare, chi saranno i soggetti legittimati ad esercitare i diritti sociali?
Iniziamo a dare una prima risposta: i tre eredi saranno proprietari pro indiviso delle singole azioni, sicchè non avremo tre soci distinti con i relativi diritti amministrativi e patrimoniali, bensì una co- munione indivisa ex artt. 1100 e ss c.c., tale per cui i medesimi risponderanno delle obbligazioni in via solidale e i relativi diritti dovranno essere esercitati da un rappresentante comune, scelto tra i medesimi o anche estraneo. Quanto alle modalità di nomina del rappresentante comune, la Riforma ha effettuato il rimando ai citati artt. 1105 e 1106 c.c., sicchè la nomina dovrà avvenire a maggio- ranza secondo le quote di partecipazione e in caso di disaccordo vi provvederà l’autorità giudiziaria.
L’ART. 2347 C.C.
COME NORMA IMPERATIVA?
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Società e Contratti, Bilancio e Revisione
Ma se i comunisti trovassero un accordo, la no- mina del rappresentante comune sarebbe co- munque necessaria? Ora, l’art. 2347 c.c. al primo comma sembra dettare una norma imperativa allorquando specifica che “i diritti dei compro- prietari devono essere esercitati da un rappre- sentante comune”, salvo poi precisare al comma secondo che “se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiara- zioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti”. Stante, tut- tavia, il principio del favor societatis, si tende ad aderire13 alla tesi più conforme al dettato letterale, ai sensi della quale pare necessaria la nomina del rappresentante comune al fine di impedire qualsivoglia tipo di stasi od ostacolo alla vita societaria, ritenendo il comma secondo dell’art. 2347 c.c. quale norma da applicarsi nelle more tra l’apertura della successione e la nomina del rappresentante comune. Ne deriva che sarà opportuno ottenere tempestivamente la nomina del rappresentante comune, di guisa da non cre- are difficoltà al funzionamento dell’assemblea, che, se protratte, potrebbero anche condurre alla causa di scioglimento ex art. 2484 n. 3 c.c.14.
I DIRITTI DEI SINGOLI COMPROPRIETARI
Aderendo a questa impostazione, possiamo già vedere quali diritti siano inibiti ai singoli com- proprietari:
A. il diritto di intervento e di voto in assemblea
B. l’azione di responsabilità
C. il diritto agli utili.
La natura dei dividendi è evidentemente quella di diritti di credito, spettanti ai singoli coeredi indi- pendentemente dalla nomina del rappresentante comune; trattandosi di diritti di credito, però, ap- pare opportuno un breve cenno in merito al loro ingresso automatico in comunione incidentale: se l’opinione tradizionale era orientata nel senso della ripartizione di debiti e crediti tra i coeredi in proporzione alle rispettive quote15, bisogna se- gnalare che ad oggi16 tale opinione appare con- divisibile esclusivamente per i debiti17; i crediti del de cuius (tra i quali si devono far rientrare an- che i dividendi), cadono in comunione di default, sicchè ciascun coerede potrà agire per riscuotere l’intero. In altri termini si applicherà la discipli- na codicistica18 in tema di solidarietà, sicchè, in presenza di più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione e l’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore nei confronti di tutti i creditori.
13 Xxxxxx Xxxxxxx A. “Breviaria Iuris. Commentario breve al diritto delle Societa”, Cedam, 2007, p. 283.
14 “Impossibilità di funzionamento o continuata inattività dell’assemblea”.
15 Nomina et debita ipso iure dividuntur.
16 Cass. SS.UU. 28.11.2007 n. 24657 e, più di recente, Cass. 00.0.0000 x.000, in Banca Dati Eutekne.
17 Debita ipso iure dividuntur.
18 Art. 1292 c.c..
Xxxxxx, invece, sono altre ipotesi, quali la fa- coltà di convocare l’assemblea e di consulta- re i libri sociali, diritti che sembrano, tuttavia, riconoscibili anche al singolo comproprietario, stante l’utilità per il singolo e l’indifferenza nei confronti della persona giuridica19.
DIVISIONE E FRAZIONAMENTO DELLA QUOTA
Quale strumento deve riconoscersi al singolo erede che intenda legittimarsi singolarmente nei confron- ti della società, così acquistando in proprio diritti amministrativi e patrimoniali? Avendo applicato le disposizioni generali in tema di comunione, appare lecito il rinvio all’art. 1111 c.c. (a sua volta richiama- to dall’art. 713 c.c. in tema di comunione ereditaria), sicchè ciascuno dei comunisti sarà legittimato a ri- chiedere lo scioglimento della comunione inciden- tale; sarà, poi, l’autorità giudiziaria a valutare l’ipotesi di congrua dilazione per l’ipotesi in cui l’immediato scioglimento possa arrecare danno agli interessi degli altri comunisti. Anche prima della Riforma del 2003 e prima della abrogazione del libro soci, la Giu- risprudenza si esprimeva nel senso della necessità della previa divisione20.
EREDITÀ GIACENTE
DIFFERENZA TRA EREDITÀ GIACENTE ED EREDITÀ VACANTE
Abbiamo brevemente analizzato l’ipotesi della suc- cessione nella quota di partecipazione in società di capitali; ma cosa accade in mancanza di chiamati all’eredità? E allorquando dei successibili si ignora l’esistenza? Le due vicende possono condurre alla applicazione dell’art. 586 c.c. in tema di successione dello Stato, ma divergono profondamente:
• nel caso in cui sia assolutamente inconfutabile e certa l’assenza di chiamati all’eredità entro il sesto grado, l’eredità si devolve immediatamen- te allo Stato, che diventa socio in via retroattiva a decorrere dalla apertura della successione, a seguito di idonea istanza alla Avvocatura dello Stato ex art. 586 c.c.; nelle more tra l’apertura della successione e la concreta prova (a carico dello Stato) circa l’assenza di successibili, l’eredi- tà si definirà “vacante”;
• se invece non v’è certezza in merito alla assen- za dei successibili, si apre la c.d. giacenza e si dovrà provvedere alla nomina di un curatore dell’eredità giacente, a cura del tribunale del circondario in cui s’è aperta la successione, su richiesta di qualsivoglia soggetto interessato o d’ufficio. Se, ad esempio, l’organo amministra- tivo di una società intendesse convocare l’as- semblea, sarà suo onere indirizzare – a pena di invalidità della delibera – la convocazione diret- tamente al curatore e, pertanto, sarà opportuno attendere tale nomina al fine di non incappare in invalidità (o addirittura nullità della delibera per mancata convocazione). A differenza della “vacanza”, l’eredità giacente presuppone la pos- sibilità di una futura accettazione.
PRESUPPOSTI ED EFFETTI DELL’EREDITÀ GIACENTE
A mente degli artt. 528 e ss. c.c., avremo l’ere- dità giacente quando:
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A. esista un chiamato il quale, tuttavia, non abbia ancora accettato l’eredità;
B. tale chiamato non si trovi nel possesso dei beni ereditari
X. venga nominato il curatore, così eliminando in capo al chiamato qualsiasi forma di pote- re conservativo ex art. 460 c.c..
19 In dottrina Xx Xxxxx X., “Comunione di azioni e potere di convocazione dell’assemblea”, Notariato, 2, 2000, p. 158, secondo il quale i comunisti potrebbero esercitare quei diritti che non presuppongono una determinazione di volontà unitaria (es. consultazione libri sociali, visione del bilancio, ecc.).
20 Trib. Roma 2.5.2001, Vita Notar., 2003, p. 328, “È illegittima l’iscrizione nel libro dei soci dell’acquisto di quote divise in capo a ciascuno dei coeredi, non preceduta dal deposito nel registro delle imprese e dalla conseguente iscrizione nel libro soci della comunione ereditaria avente ad oggetto la quota sociale relitta, essendo questa la conseguenza immediata, ed insuperabile, della successione ereditaria al socio defunto. Invero, l’acquisto in proprietà esclusiva di porzioni di quota proporzionali al diritto di ciascun coerede, presuppone il pre- cedente acquisto, in capo ai chiamati, della quota indivisa, la cui iscrizione nel libro soci (previo deposito nel registro delle imprese) non può in alcun caso essere omessa, pena la violazione del principio generale di continuità delle iscrizioni. La illegittimità della iscrizione nel libro soci dell’acquisto di quote divise, in quanto non preceduta dal deposito nel registro delle imprese di alcun atto autentico avente natura divisionale, deriva altresì dalla violazione del disposto dell’art. 2479 c.c., comma 4, che prevede il requisito della forma autentica per il deposito e l’iscrizione nel registro delle imprese di ogni atto inter vivos avente ad oggetto la titolarità di quote di partecipazione al capitale sociale, ivi compresa la divisione”.
Ai sensi dell’art. 2830 c.c., non sarà possibile – pendente la giacenza – l’iscrizione di ipoteche giudiziali sui beni ereditari, al fine di tutelare la par condicio creditorum; traslando tale divieto al caso di specie, evidentemente non saranno ammesse iscrizioni pregiudizievoli contro le quote/azioni cadute in successione.
IL CURATORE
Il curatore dell’eredità giacente è titolare di un ufficio di diritto privato, consistente:
• nell’obbligo di prestare giuramento ex art. 193 disp. att. c.p.c.;
• nell’obbligo di redigere inventario ex art. 529 c.c.;
• nell’obbligo di compiere atti urgenti sotto la vigilanza del tribunale. In particolare, il cu- ratore dovrà ottenere l’autorizzazione giudi- ziale ex artt. 782 e 783 c.p.c. per gli atti di straordinaria amministrazione.
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Società e Contratti, Bilancio e Revisione
In particolare, il curatore avrà l’onere di com- piere le attività dispositive che reputerà neces- sarie per la conservazione del patrimonio e la liquidazione delle passività: ad esempio dovrà procedere alla vendita dei beni mobili (e quindi, eventualmente, anche delle quote societarie) ex art. 783 c.p.c. allorquando lo ritenga opportu- no per realizzare un maggior investimento di capitale. Deve ritenersi, allora, ammissibile ogni azione che possa tutelare il patrimonio sociale, ad esempio, l’intervento in assemblea al fine di assumere delibere opportune per l’ente, la sot- toscrizione di aumenti di capitale con il relati- vo esercizio di prelazione/opzione, l’esercizio di prelazione sull’inoptato, ecc..
Il medesimo curatore, nell’adempimento dei propri doveri, si avvarrà della liquidità a sua di- sposizione, ponendo in essere, altresì, quelle at- tività21 idonee a procurarsi la liquidità sufficien- te e necessaria per la protezione del patrimonio.
CASISTICA
L’azione di responsabilità da parte di un comunista
Xxxxx, vedovo e con due figli (Xxxxxx e Xxxx), socio unico della Alfa spa, muore senza aver disposto per testamento del proprio patrimonio. Ammini- stratore della società è Mevio. Xxxx, convinto che l’amministratore unico abbia compiuto azioni in danno dell’ente, si rivolge al Tribunale per un’a- zione di responsabilità nei confronti del reggente, nonostante il parere contrario di Xxxxxx.
Il Tribunale di Milano 30.9.2011 statuisce quanto segue: “In caso di comunione di azioni, i diritti dei comproprietari competono esclusivamente al rap- presentante comune previsto dall’art. 2347 c.c. e non possono essere esercitati disgiuntamente (ed in via individuale e potenzialmente divergente) dai singoli soci; pertanto, il comproprietario di azioni difetta di legittimazione attiva a proporre la de- nunzia ex art. 2409 c.c.”.
Decesso dell’unico socio
Xxxxx, socio unico della Beta srl unipersonale, muore lasciando moglie e un figlio. A seguito dell’accettazione dell’eredità da parte dei chia- mati, i medesimi chiedono se debbano con- tinuare ad applicarsi le disposizioni in tema di “società unipersonale” o se debbano applicarsi, anche prima della divisione, le norme in tema di società pluripersonali.
Stante il principio della indivisibilità della quota, si dovranno applicare le norme in tema di società con unico socio fin quando non sarà stipulata (od ottenuta giudizialmente) la divisione tra comproprietari22.
Recesso esercitato dal rappresentante comune
A seguito del decesso di un socio azionista della
21 Art. 783 c.p.c..
22 Conforme Comitato dei Notai del Triveneto massima I.M.1 (Partecipazione totalitaria in comproprietà – 1° pubbl. 9/10) “Nel caso in cui la partecipazione rappresentante l’intero capitale di una s.r.l. appartenga a più soggetti in un’unica comproprietà indivisa (ad esempio per subentro degli eredi del socio unico defunto), si ritiene opportuno applicare integralmente la normativa riferita alla «società uniper- sonale». È infatti da rilevare che, ai sensi dell’art. 2468, comma 5, c.c., nel caso di comproprietà di una partecipazione, i diritti sociali non spettano «uti singuli» ai comproprietari, disgiuntamente tra loro, bensì congiuntamente al «gruppo», che li può esercitare esclusivamen- te attraverso un rappresentante comune. Così ad esempio non ci saranno tanti diritto di intervento all’assemblea, tanti diritti di voto o tanti diritti di impugnativa quanti sono i comproprietari della partecipazione, ma un unico diritto di intervento, un unico diritto di voto e un unico diritto di impugnativa da esercitarsi dai comproprietari congiuntamente per il tramite del rappresentante comune”.
Alfa spa, viene nominato rappresentante co- mune degli eredi il dott. Filano. Viene indet- ta l’assemblea per trasformare il tipo sociale da spa in srl. Ammettendo che la nomina del rappresentante comune non subisca alcuna forma di limitazione nell’atto di nomina, sarà valida ed efficace la dichiarazione del mede- simo dott. Filano di voler esercitare il recesso ex art. 2437 c.c.?
Riconoscendo nel diritto di recesso una facoltà meramente abdicativa e non dispositiva della propria quota di partecipazione, si deve ritene- re che il diritto possa ben essere esercitato nei confronti dell’ente anche dal rappresentante comune, a mente dell’art. 2347 c.c..
Giacenza pro quota
Xxxxx e Xxxx, unici figli e legittimari del defunto padre Xxxxxxxxx, si trovano ad essere chiamati alla di lui eredità, nella quale si trova anche la sua partecipazione nella Alfa srl; Xxxxx accetta l’eredità, mentre Xxxx se ne disinteressa. Xxxxx, allora, al fine di provvedere ai necessari adem- pimenti societari, fa istanza al giudice affinchè nomini un curatore di eredità giacente.
A fronte della più autorevole posizione dottrina- ria23 tradizionale, favorevole alla giacenza pro quo- ta, si pone la tesi negatrice della Giurisprudenza di legittimità24, alla quale tendiamo ad aderire.
Il curatore dell’eredità giacente
Xxxxx è chiamato all’eredità che ancora non ha deci- so se accettare o meno e che non si trova nel pos- sesso dei beni ereditari. Su istanza di un potenziale interessato, viene richiesta al Tribunale del circon- xxxxx della apertura della successione la nomina di un curatore di eredità giacente. Per tale incarico si propone il medesimo Xxxxx, cosa dovrà decidere il Tribunale. Stante il fatto che la procedura si reputa necessaria proprio a causa della indecisione di Xxxxx, chiamato all’eredità, non si reputa ammissibile la sua nomina a curatore dell’eredità giacente.
L’erede ignoto
Xxxxx è unico socio ed amministratore unico della società a responsabilità limitata Alfa srl. La società è debitrice di una somma di euro 50.000 nei con- fronti di Caio. All’improvviso muore Xxxxx, senza aver redatto testamento e senza lasciare figli, co- niuge, ascendenti, discendenti né parenti entro il sesto grado. Xxxx, allora, adisce l’autorità giudizia- ria al fine di richiedere la nomina di un curatore di eredità giacente. Si vede, tuttavia, respinta l’istan- za in quanto, stante la certezza circa l’assenza di successibili, si deve applicare l’art. 586 c.c. in forza del quale l’eredità è stata acquistata di diritto dallo Stato che, pertanto, avrà il diritto di nominare un nuovo amministratore ed il dovere di provvedere a saldare il credito vantato da Caio.
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23 Ex multis Carraro L. “Eredità giacente pro quota”, Xxxx. It. 2,1947, I, p. 527.
24 Cass. 22.2.2001 n. 2611, in Banca Dati Eutekne e in Giur. It., 1, 2002, p. 61, “L’accettazione dell’eredità da parte di uno dei chiamati preclu- de la possibilità di instaurare il procedimento per la nomina di un curatore dell’eredità giacente rispetto alla quota di spettanza degli altri chiamati non accettanti”. Cass. 19.4.2000 n. 5113, in Banca Dati Eutekne, “Le disposizioni di cui all’art. 528 e 529 c.c. in tema di nomina e di attività del curatore dell’eredità giacente presuppongono la mancata accettazione da parte dell’unico chiamato alla successione ovvero di tutti i destinatari della delazione ereditaria”.