SOMMARIO
Scuola Dottorale di Ateneo Graduate School
Dottorato di ricerca
in Diritto, Mercato e Persona Ciclo XXIX
Anno di discussione 2017
LE SOPRAVVENIENZE CONTRATTUALI NEI RAPPORTI DI IMPRESA
Settore scientifico disciplinare di afferenza: IUS/01
Tesi di Dottorato di Xxxxxxx Xxxxxxxx, matricola 956058
Coordinatore del Dottorato Tutore del Dottorando Prof.ssa Xxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
Ad Xxxxxxx per aver capito i miei sacrifici.
“Il dubbio cresce con la conoscenza” Xxxxxx Xxxxxxxx xxx Xxxxxx
SOMMARIO
Il contratto lungi dall’essere intangibile V
1. L’incidenza del tempo sui contratti dell’impresa 1
2. Le sopravvenienze codificate 11
2.1 Le origini e il fondamento dell’art. 1467 c.c. 11
2.2 L’applicazione dell’art. 1467 c.c. al contratto preliminare 25
2.3 L’applicazione dell’art. 1467 c.c. al contratto normativo e all’accordo quadro 36
2.4 L’eccessiva onerosità sopravvenuta nel preliminare unilaterale e
1. Le sopravvenienze non codificate 66
1.2 La vendita di partecipazioni sociali e la presupposizione 82
1.3 La clausola generale di buona fede: dalla presupposizione alla rinegoziazione 99
CAPITOLO III 108
1. La rinegoziazione del contratto e l’obbligo di rinegoziare: tesi e confutazione 108
2. Relational e incomplete contracts 130
CONCLUSIONI 150
L’intervento del giudice sul contratto non risolve i problemi dei rapporti di durata 150
BIBLIOGRAFIA 154
GIURISPRUDENZA 171
INTRODUZIONE
Il contratto lungi dall’essere intangibile
1. L’inquadramento
Nei rapporti che si protraggono nel tempo (c.d. rapporti di durata) una delle prestazioni - in ragione di circostanze insorte dopo la conclusione del contratto - può divenire eccessivamente onerosa ovvero inidonea a soddisfare l’interesse per cui è stata convenuta1.
L’esame dei rimedi volti a neutralizzare tali sopravvenienze contrattuali intreccia fonti diverse:
- da un lato è necessario affrontare la disciplina dell’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.) e alcune previsioni legislative riferite a specifici tipi contrattuali;
- dall’altro è opportuno esaminare il contributo fornito dall’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale - attraverso il richiamo al generale principio di buona fede - alle problematiche non espressamente affrontate dal legislatore.
In un simile scenario, la seguente trattazione si pone l’obiettivo di tracciare i confini di un fenomeno così vasto da coinvolgere tutti i contratti caratterizzati da una percentuale - più o meno elevata - di imprevedibilità.
In particolare, si tenterà di capire se, al verificarsi di sopravvenienze, la continuazione del contratto (alternativa alla risoluzione) possa essere considerata una scelta efficiente per le parti e, in caso di risposta affermativa, di individuare uno strumento che consenta di adattare la relazione negoziale, nel rispetto della volontà dei contraenti.
2. Le sopravvenienze codificate
Oltre all’ipotesi dell’impossibilità sopravvenuta, il nostro codice civile si concentra nella parte riguardante i contratti in generale sull’incremento del costo della prestazione. Miratamente, l’art. 1467 c.c. attribuisce il diritto di chiedere la
1 X. XXXXX, La questione delle sopravvenienze: presupposizione e rinegoziazione, in Giust. civ., 2010, p. 235.
risoluzione del contratto alla parte la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa, a causa di avvenimenti straordinari ed imprevedibili. La risoluzione non può, però, essere accolta se lo squilibrio di valore tra le prestazioni rientra nella normale alea del contratto.
La disciplina codificata delle sopravvenienze non si arresta a tale previsione, avendo il legislatore reagito al fenomeno anche apprestando rimedi diversi ritenuti, di volta in volta, opportuni con riferimento a singoli contratti.
Si pensi, ad esempio, al contratto d’appalto ed in particolare all’art. 1664 c.c., il quale, prevedendo l’adeguamento automatico del corrispettivo monetario, garantisce la conservazione del contratto e - secondo alcuni autori - dovrebbe assurgere a disciplina generale del rischio, per tutti i rapporti contrattuali caratterizzati da scambi integrativi2.
Tecniche di reazione alle sopravvenienze di tipo conservativo sono, inoltre, riscontrabili nella vendita, nella locazione e nell’affitto.
Occorre, peraltro, osservare che l’incidenza degli eventi sopravvenuti assume rilevanza anche a seguito della conclusione di contratti “non definitivi”.
L’esigenza di arginare il suddetto fenomeno è, infatti, essenziale nei vincoli preparatori, ossia in quei contratti (come il contratto preliminare e quello di opzione) che prevedono una discrasia tra il momento della conclusione dell’accordo e quello della produzione degli effetti.
3. Le sopravvenienze non codificate
La materia delle sopravvenienze è regolata anche da istituti che non trovano collocazione all’interno del codice civile. Tra questi si annoverano la presupposizione e la rinegoziazione, che affrontano il fenomeno delle variazioni contrattuali valorizzandone differenti punti di vista.
2 Così X. XXXXXXX, Il mutamento di circostanze e l’obbligo di rinegoziazione, in X. Xxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, Manuale di diritto privato europeo, II, Milano, 2007, pp. 521 ss., che riprende la tesi proposta da X. XXXXXXXXXX, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Europa dir. priv., 2003, p. 487.
Questi due strumenti di reazione alle sopravvenienze sono frutto dell’elaborazione della giurisprudenza e della dottrina, che hanno cercato di fornire una risposta alla frustrazione dell’interesse perseguito dalle parti attraverso il contratto e alle alterazioni dell’equilibrio negoziale non contemplate dall’art. 1467 c.c..
In merito, peculiare attenzione deve essere rivolta all’analisi della turbativa dei beni che costituiscono l’oggetto mediato del contratto. Ad esempio, in mancanza di strumenti convenzionali, solo la presupposizione sembra tutelare le problematiche dell’azienda sociale, quale oggetto mediato del contratto di vendita di partecipazioni sociali3.
4. La buona fede
Come anticipato, affrontando le questioni di adattamento del programma negoziale è doveroso ricondurre il discorso anche alle potenzialità delle clausole generali, soffermandosi in particolare sulla buona fede, da sempre al centro del dibattito per la propria capacità di veicolare all’interno del contratto obblighi non espressamente previsti dalle parti. Questa clausola è, secondo l’opinione prevalente, l’appiglio normativo sia dell’istituto (ignoto al nostro codice di civile) della presupposizione sia delle teorie dottrinali sull’obbligo legale di rinegoziare il contratto.
5. La rinegoziazione
La rinegoziazione è stata definita come il congegno che permette di sostituire il dato obsoleto e non più funzionale a regolare il rapporto contrattuale, con un dato all’uopo più opportuno ed aggiornato4.
L’importanza della rinegoziazione è valorizzata da una parte della dottrina che la ritiene idonea a realizzare la volontà dei contraenti persino laddove sia
3 X. XXXXXX, Xxxxxxxxxxxxxxx ed equilibrio contrattuale nella cessione di partecipazione sociale, in Giust. civ., 2010, p. 395.
4 Cit. X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), II, 3° ed., Torino, 2004, p. 723.
imposta dal giudice, in assenza di una clausola contrattuale che contempli l’impegno dei contraenti a rinegoziare il contratto5.
La medesima scienza giuridica si è interessata anche di apprestare una soluzione quando le parti non trovino un accordo in sede di rinegoziazione, autorizzando l’intervento autoritativo del giudice sul contratto. Su tale prerogativa - difficile da concepire nella realtà concreta - esistono posizioni differenti, una delle quali sottolinea come il ricorso al giudice accompagni necessariamente la stasi nell’esecuzione del contratto, determinando un pregiudizio oltre che per le stesse parti anche per i traffici commerciali6.
6. Le soluzioni degli altri ordinamenti
L’indagine non potrebbe dirsi esaustiva se si limitasse a considerare solamente quanto disciplinato dal nostro ordinamento.
Sono, infatti, le fonti extra statali ad affrontare il fenomeno dal punto di vista evolutivo, approntando (nelle raccolte normative degli studiosi e nelle fonti di soft- law) soluzioni caratterizzate da particolare pragmatismo.
Come noto, la prassi negoziale del commercio internazionale conosce, da tempo, le clausole di hardship volte ad uniformare la disciplina delle circostanze sopravvenute che abbiano alterato l’equilibrio originario. Nello specifico, i Principi Unidroit (artt. 6.2.2 e 6.2.3) ed i PDEC (art. 6:111) ampliano il ruolo del giudice in ogni fase di realizzazione del contratto.
Su un piano comparatistico, occorre osservare che la tendenza ad attribuire rilievo al mutamento delle circostanze del contratto non si è radicata in eguale misura in tutti gli ordinamenti. In particolare, il sistema giuridico inglese va annoverato tra quelle legislazioni restie ad abbandonare il principio della sanctity of xxxxxxxx0, ancorché non sia per nulla sconosciuto al suo diritto il fenomeno
5 A. DI MAJO, Libertà contrattuale e dintorni, in Riv. crit. dir. priv., 1995, p. 8.
6 X. X’XXXXXX, La buona fede, in Tratt. dir. priv., dir. da X. Xxxxxxx, XIII, IV, 2003, p. 147.
7 E.C. XXXXXXXX, L’adattamento dei contratti a lungo termine nell’esperienza giuridica statunitense: aspirazioni teoriche e prassi giurisprudenziale, in Contr. e impr., 2006, p. 478.
dell’intervento giudiziale sul contratto (che opererebbe dietro le mentite spoglie degli implied terms8)9.
Alla luce di tale statuizione, rimane comunque emblematico il fatto che proprio nel sistema inglese si sia concretizzato il leading case più famoso in tema di frustation of purpose, il c.d. Coronation Cases10 (preso, tra l’altro, a modello dalle nostrane teorie della presupposizione).
In tutto ciò, particolare e specifica considerazione deve essere riconosciuta alle teorie dei contratti relazionali e a quelle dei contratti incompleti, sorte negli Stati Uniti11. La tesi concernente i contratti incompleti, ad esempio, si muove dal presupposto che i rapporti di lungo periodo siano rapporti per i quali non è dato, né in via legale né in via negoziale, prevedere al momento della stipula le soluzioni più efficienti a tutte le possibili sopravvenienze.
8 Cit. X. XXXXXXXXX, La vendita dei beni di consumo, in X. Xxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, Manuale di diritto privato europeo, II, Milano, 2007, p. 895.
9 P.S. XXXXXX, An introduction to the Law of Contract, Oxford, 1995, pp. 37 ss..
10 Così X. XXXXXXX, Il mutamento di circostanze e l’obbligo di rinegoziazione, in X. Xxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, Manuale di diritto privato europeo, II, Milano, 2007, p. 526.
11 B.J. XXXXXX e X. XXXX, Studies in contract law, The allocation of risk in the analysis of mistake and frustration, Toronto, 1980, pp. 182 ss..
CAPITOLO I
1. L’incidenza del tempo sui contratti dell’impresa
Se con il termine sopravvenienze si definisce un evento che influisce in modo imprevisto su un accordo negoziale in corso di esecuzione, il rispettivo fenomeno non può che riguardare tutti i rapporti destinati a spiegarsi nel tempo12.
La necessità di farsi carico di variazioni che colpiscono sul lungo periodo un determinato legame è da sempre sentita nel nostro ordinamento e trova concretizzazione negli ambiti più disparati. Si pensi, a mero titolo di riflessione, alla dettagliata disciplina prevista al sopraggiungere dell’intollerabilità della convivenza, che scioglie la comunione spirituale e materiale fondata sul matrimonio, o alla disciplina di cui dall'art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, che consente agli ex coniugi di chiedere al giudice la revisione dell’assegno divorzile quando “sopravvengano giustificati motivi”13.
Ciò premesso, l’analisi che ci si accinge a svolgere concernerà esclusivamente i rapporti contrattuali, poiché questi ultimi - a causa della laconicità del legislatore - appaiono privi di una regolamentazione che individui in modo esaustivo le diverse variabili influenzanti l’operazione negoziale programmata.
Peraltro, specifica attenzione deve essere riservata ai rapporti giuridici legati all’organizzazione d’impresa, per i quali il problema delle sopravvenienze si presenta particolarmente drammatico. I contratti tra imprese sono, infatti, molto complessi poiché richiedono l’investimento d’ingenti risorse e l’allestimento di operazioni contrattuali articolate14.
12 Si cfr. X. XXXXXX’, voce Alea, in Enc. del dir., s.d., Milano, 1958, I, p. 1025.
13 “Il provvedimento di revisione dell'assegno divorzile - previsto dall'art. 9 della legge n. 898 del 1970 - postula non soltanto l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma anche la idoneità di tale modifica a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti” cit. Cass., 2 maggio 2007, n. 10133. Sull’argomento X. XXXXXXXX, voce Clausola rebus sic stantibus, in Digesto Quarto disc. priv. sez. civ., II, Torino, 1988, p. 396.
14 Si veda X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, pp. 13 - 14, il quale pone l’accento sulla distinzione tra contratti di durata e istantanei. La prima definizione di contratto di durata sarebbe riconducibile alla dottrina tedesca, si cfr. X. XXXXXXX, Lehrbuch des Schuldrechts, I, Munchen, 1970, p. 29.
Questa tematica richiama il dibattito giuridico sorto attorno alla nozione di contratto d’impresa come “categoria, o almeno come nozione meritevole di distinta valutazione”15, la cui definizione sembra essere tutt’oggi difficile da ricostruire. In merito è precluso il richiamo all’epoca antecedente al codice del 1942, laddove vigeva la distinzione tra contratti civili e commerciali16, seppur venga delineandosi - sollecitata dall’economia globale e dalle relazioni internazionali - l’idea di una nuova lex mercatoria17.
Oggi la categoria dei contratti di impresa è menzionata con riferimento alla moderna ripartizione nata attorno allo scopo per il quale i contraenti concludono un determinato regolamento negoziale18. Ci si riferisce alla definizione di contratto di consumo fondata sulla contrapposizione tra consumatore - che opera per soddisfare un bisogno privato, personale o familiare - e professionista - che invece agisce per motivi professionali19. Partendo dalla definizione di contratto di consumo si è, infatti, giunti a forgiare la disciplina del c.d. “terzo contratto” tra imprese o “business to business” (richiamando la terminologia del commercio elettronico)20.
Per essere precisi sono contratti “dell’impresa” non solo quelli stipulati dall’imprenditore con un altro imprenditore, ma anche gli stessi contratti tra
15 Cit. X. XXXX, Note sulla contrattazione d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 629, che ha per primo trattato il tema dei contratti d’impresa cercando di individuarne i caratteri distintivi.
16 Prima dell’unificazione realizzata con il codice civile del 1942 - attraverso la c.d. “commercializzazione del diritto privato” - in Italia convivevano il codice civile del 1845 e il codice del commercio del 1882. Risale al dato normativo di quest’ultimo la definizione di cui all’art. 54, che prevedeva: “Se un atto è commerciale per una sola delle parti, tutti i contraenti sono per ragioni di esso soggetti alla legge commerciale”. Per approfondimenti, A. DAL MARTELLO, I contratti delle imprese commerciali, Padova, 1962 e X. XXXXXXXXX, Contratti d’impresa, Milano, 1993.
17 “Il contratto si fa prassi, la prassi genera l’uso e l’uso crea la norma” cit. X. XXXXX, Il contratto e le fonti del diritto, in Contr. e impr., 2001, p. 1085.
18 G. DE NOVA, Contratto: per una voce, in Il contratto alieno, Torino, 2008, p. 9.
19 La figura del consumatore è per la prima volta comparsa a livello europeo nella Direttiva 93/13, che all’art. 2 definisce consumatore “qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale” e professionista “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata”. In questi casi, è da tenere in considerazione che laddove il professionista sia anche imprenditore, il contratto costituisce pur sempre un contratto con l’impresa.
20 I rapporti contrattuali “business to business” sono quelli in cui entrambi i contraenti agiscono per un fine che non può dirsi estraneo all’attività professionale svolta. “Il terzo contratto denuncia, proprio con provocatoria articolazione numerica, l’impraticabilità, ai limiti dell’ipocrisia, di qualsivoglia teorizzazione del contratto in generale” cit. X. XXXXXXXXX, Nuovi abusi contrattuali: percorsi di una clausola generale, in
imprenditore e consumatore (si pensi ad esempio agli innumerevoli accordi sottoscritti per adesione dai clienti), quelli con i lavoratori e persino, in taluni casi, quelli con la pubblica amministrazione21.
Tra quelli citati, si presentano, però, come particolarmente rischiosi proprio i contratti tra due o più imprese22 (“business to business”), potendo questi ultimi influenzare l’esistenza stessa dell’attività imprenditoriale23.
Evocativa è, a tal proposito, l’autorevole opinione che paragona il rapporto tra due imprese a “una flotta di barche ciascuna delle quali trasporta una risorsa necessaria all’altra e inutile senza questa”24, poiché mette in risalto la meticolosità con cui devono essere gestiste le sopravvenienze in rapporti imprenditoriali di durata, in cui spesso l’esistenza di una relazione contrattuale condiziona quella di un’altra.
Appare, altresì, opportuno ricordare che la “famiglia” dei contratti di durata si è arricchita del c.d. “contratto di rete” per opera dell’art. 3 commi 4-ter e ss. del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito dalla legge 9 aprile 2009, n. 33 (e sue successive concretizzazioni)25.
Danno e responsabilità, 2012, p. 1168. Si veda per approfondimenti X. XXXXX, X. XXXXX, Il terzo contratto, Bologna, 2008.
21 Si ricorda che il nostro codice civile ha introdotto determinate regole considerando espressamente la categoria dei contratti d’impresa, si pensi all’insensibilità di questi contratti alle vicende personali dell’imprenditore, si cfr. l’art. 1330 c.c., secondo cui: “La proposta o l'accettazione, quando è fatta dall'imprenditore nell'esercizio della sua impresa, non perde efficacia se l'imprenditore muore o diviene incapace prima della conclusione del contratto, salvo che si tratti di piccoli imprenditori o che diversamente risulti dalla natura dell'affare o da altre circostanze”.
22 I rapporti tra imprese richiedono cospicui e specifici investimenti per l’imprenditore, tra cui si rammentano i costi transattivi connessi alla formazione e conclusione dell’accordo.
23 Mi sto riferendo al rischio per l’imprenditore. Poiché anche i contratti del consumatore o del lavoratore, quando si sviluppano nel tempo e, quindi, quando non sono contingenti ed istantanei, comportano a loro volta, come tutti i contratti di durata, un problema di sopravvenienze, che andrà per lo più a mettere in difficoltà la c.d. parte debole.
Si precisa che nella teoria economica rischio e incertezza non sono utilizzati come sinonimi: ricorre il rischio quando si conoscono le probabilità oggettive associate ai vari esiti possibili, ricorrere l’incertezza quando manchi la conoscenza di alcune di tali probabilità ovvero quando non siano definite, si veda X. XXXXXX, Risk, Uncertainty and Profit, Boston, Xxxxxxxx Mifflin, 1921.
24 Cit. X. XXXXXXX, Contratti di consumo e contratti tra impresa. Riflessioni sull’asimmetria contrattuale nei rapporti di scambio e nei rapporti “reticolari”, in Riv. crit. dir. priv., 2005, 4, p. 564.
25 “Se il contratto di rete è concepito come uno degli strumenti in grado di incrementare la competitività delle imprese sul mercato, a ricercare questa opportunità sono soprattutto le imprese collocate nella fascia monte della catena del valore: la grande maggioranza dei partecipanti ai contratti di rete è infatti rappresentata da fornitori di materiali, semilavorati, componenti o servizi, piuttosto che da produttori finali o, con distanza ancora più marcata, imprese di distribuzione” cit. X. XXXXXXX, P. XXXXXXXX, X.X. XXXXX, Il contratto di rete le prime pratiche: linee di tendenza, modelli e prospettive di sviluppo, in I Contratti, 2013, pp. 805 ss..
Nel contratto di rete la durata è, invero, funzionale alla collaborazione strategica tra le imprese in cooperazione, da cui derivano investimenti specifici ed effetti di “lock in”26. In ragione di queste caratteristiche, l’adozione di un contratto flessibile, comprensivo di clausole di gestione delle sopravvenienze, diviene “vitale” per le imprese coinvolte27.
A prescindere dal caso specifico del contratto di rete, è generalmente utile per l’imprenditore predisporre clausole contrattuali elastiche ovvero subordinare il contratto all’avveramento di determinate condizioni o ancora introdurre specifiche garanzie nel testo negoziale, al fine di neutralizzare alcuni dei futuri rischi dell’operazione economica/imprenditoriale28.
Nel settore imprenditoriale si propende, dunque, a munirsi di contratti “autosufficienti”, che siano in grado di far fronte alle future evenienze anche allo scopo di evitare il ricorso ai rimedi tradizionali del codice civile, incapaci (nella loro generalità) di rispondere alle esigenze concrete29. Xxxxxx, secondo un’autorevole dottrina: “Nessuno oggi scrive contratti pensando che la disciplina dei rapporti fra le parti sarà data, per il resto, dalla legge applicabile”30.
26 Per “lock in” s’intende il rapporto di dipendenza tra due imprese, tale che una di queste si trova nella condizione di non poter acquistare analoghi beni o servizi da un altro fornitore senza dover sostenere ingenti costi e rischi.
27 Tesi sostenuta da X. XXXXXXX, P. XXXXXXXX, X.X. XXXXX, Il contratto di rete le prime pratiche: linee di tendenza, modelli e prospettive di sviluppo, in I Contratti, 2013, pp. 799 ss.. Efficace è anche la precisazione secondo cui: “In tali contratti emerge una comunanza d’interessi delle parti, interessi complementari e non antagonistici, in quanto spesso indirizzati alla realizzazione di un «obiettivo comune» sono contratti in cui la logica «associativa» si impone su quella «di scambio» al di là della circostanza che tali contratti siano o meno tecnicamente definibili come contratti associativi” cit. X. XXXXXXXXX, L’incompletezza e completamento del contratto, Milano, 2007, p. 7.
28 X. XXXXXXX, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1969, p. 4.
29 X. XXXXX, I contratti del turismo organizzato, in AA. VV., Diritto privato comunitario. Fonti, principi, obbligazioni e contratti, a cura di Xxxxx, Napoli, 1997, p. 303, riferendosi a contratti del turismo organizzato, specifica che: “Fanno parte dei c.d. nuovi contratti di impresa, contratti che hanno ad oggetto più servizi che beni materiali, e che hanno per caratteristica quella di essere disciplinati prevalentemente dall’autonomia dei privati”.
30 Si riproduce la citazione per intero: “Nessuno oggi scrive contratti stendendo ex novo una serie di clausole che traducano gli accordi economici raggiunti dalle parti, e nessuno oggi scrive contratti pensando che la disciplina dei rapporti fra le parti sarà data, per il resto, dalla legge applicabile. Tale previsione rivela l’odierna predilezione ad avvalersi di formulari già preformati dagli studi legali e a stipulare un contratto “che non vuole essere regolato dalla legge” cit. G. DE NOVA, I contratti di oggi e la necessità di un elenco condiviso di divieti e clausole vietate, in Il contratto alieno, Torino, 2008, pp. 63 - 64.
In realtà, la tendenza ad introdurre nel contratto meccanismi preventivi di gestione delle sopravvenienze è in aumento in tutti i settori. Gli accordi prematrimoniali ne sono un esempio di grande attualità anche perché, producendo i propri effetti in una realtà strettamente personale, si inseriscono nel c.d. processo di “contrattualizzazione delle relazioni familiari”31.
È doveroso, d’altro canto, notare che, pur essendovi un nesso fra l’organizzazione d’impresa e l’adozione di un modello negoziale il più possibile completo32, un eccessivo formalismo non è ugualmente in grado di soddisfare le esigenze del caso singolo, portando alla stipula di contratti destinati a non sopravvivere33.
Il contratto tra imprese è, infatti, il prodotto di un difficile compromesso tra flessibilità e completezza: in primo luogo perché non tutto è prevedibile, in secondo luogo perché non tutto è negoziabile.
Si pensi solo ad alcuni dei fattori potenzialmente influenzabili dal trascorrere del tempo: il corrispettivo; gli investimenti specifici; la pianificazione del regolamento contrattuale; la componente fiduciaria tra le parti; la buona riuscita dell’operazione negoziale (in cui si inserisce il singolo contratto)34.
Pertanto, soprattutto, quando la rottura del rapporto sia in grado di danneggiare gravemente la situazione economico/giuridica dei contraenti - per via dell’irreversibilità degli effetti già prodotti dal contratto o della
31 Con la sentenza Xxxx., 21 dicembre 2012, n. 23713, la Suprema Corte si è dimostrata possibilista in merito agli accordi prematrimoniali, sull’argomento si veda X. XXX XXXXX, Accordi prematrimoniali, status dei conviventi e contratti di convivenza in una prospettiva comparata, in I Contratti, 2013, p. 913.
32 X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 15, e X. XXXX, I contratti di durata, in Riv. dir. comm. 1942, pp. 143 ss..
33 X. XXXXXXX, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1969, p. 17.
34 Quest’ultimi sono, infatti, alcuni dei fattori su cui si fonda la volontà di chi intende concludere un contratto di durata. “Si dovrebbe comprendere fra gli elementi della determinazione delle prestazioni anche la determinazione del tempo” cit. G. OSTI, Appunti per una teoria della sopravvenienza. La cosiddetta clausola rebus sic stantibus nel diritto contrattuale odierno in Riv. dir. civ., 1913, pp. 471 ss..
X. XXXXXXXXX, La sopravvenienza contrattuale, Milano, 2002, p. 67, sostiene questa tesi e precisa: “[...] Il collegamento tra contratto e mercato ha consentito di affermare che l’essenza del fenomeno contrattuale non risiede né nella volontà del promittente, né nell’affidamento del promissario, ma in questi stessi elementi in quanto ulteriormente coordinati con plurime condizioni in grado di assicurare la razionalità dell’atto e, quindi, la sua utilità al fine del funzionamento del mercato”.
dipendenza/specializzazione delle imprese coinvolte35 - vi è la tendenza della dottrina a richiamare il c.d. favor contractus, quale principio generale del nostro ordinamento, applicabile analogicamente ai contratti di lungo termine (ivi inclusi quelli tra imprese).
Una predilezione per la conservazione della relazione contrattuale sarebbe, invero, rinvenibile in alcune regole del codice civile. Si ricorda, in proposito, la disciplina dell’errore di calcolo, della riduzione ad equità per eccessiva onerosità sopravvenuta o per rescissione e della riduzione della controprestazione in caso di impossibilità parziale36.
Invece, nella sezione del codice civile relativa ai contratti tipici, merita specifica menzione il contratto d’appalto, la cui disciplina appare interamente influenzata dal favor contractus37, tanto che, il legislatore ha avuto cura di neutralizzare: (i) sia gli eventi imprevedibili, che hanno alterato i costi della prestazione (ii) sia le difficoltà di esecuzione non contemplate nell’accordo38.
Più precisamente, analizzando l’art. 1664 c.c., si può notare come la norma vada ad estromettere il rimedio della risoluzione in favore della revisione del prezzo, ritenuta più confacente alle esigenze dell’appaltatore39.
Preclude il ricorso al rimedio risolutorio - sostituito dalla riduzione ovvero dalla modifica ad equità - anche l’art. 1468 c.c., che regola l’eccessiva onerosità sopravvenuta per i contratti in cui una sola delle parti abbia assunto obbligazioni.
35 Sulla settorializzazione del mercato si veda X. XXXXXXXXXX, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Trattato di diritto privato europeo, a cura di X. Xxxxxx, Padova, 2003, III, p. 3.
36 X. XXXXXXXXX, Xx xisoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, VII, in Risoluzione dei contratti, Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, pp. 461 - 462; X. XXXXXXX, Xxxxxxx contrattuale e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti: dalla presupposizione all’obbligo di rinegoziazione, in Dir. civ., 2002, p. 72; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxxx e contratti - Scritti, Torino, 2011, pp. 265 ss..
37 Il contratto d’appalto non è l’unico a prevedere la conservazione del rapporto si pensi ad esempio alla riduzione del prezzo, quando il bene venduto sia gravato da oneri o diritti di godimento di terzi.
38 L’art. 1664 c.c. consente alle parti, al variare imprevedibile del costo dei materiali o della mano d’opera, superiore al decimo del prezzo convenuto, di chiedere una revisione dello stesso, per la differenza eccedente il decimo. L’articolo prevede, inoltre, un equo compenso per il manifestarsi di difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili non previste, tali da rendere notevolmente più onerosa la prestazione dell'appaltatore.
39 X. XXXXXXXX, voce Clausola rebus sic stantibus, in Digesto Quarto disc. priv. sez. civ., II, Torino, 1988, p. 390.
Siffatta disposizione è stata inserita nel capo XIV del codice civile rubricato “Della risoluzione del contratto”, per mera attinenza al limitrofo art. 1467 c.c. che, invece, scioglie il vincolo contrattuale divenuto eccessivamente oneroso per i contratti con prestazioni corrispettive40.
Pertanto, l’art. 1468 c.c., pur non contemplando la risoluzione, ha conferito coerenza al sistema, che altrimenti si sarebbe trovato privo di una risposta alle sopravvenienze che colpiscono i contratti con prestazioni di una sola parte.
Ciò detto, l’ostacolo a risolvere i contratti con obbligazioni di una sola parte non è, come sembrerebbe prima facie, da ricondurre alle logiche di conservazione del contratto, bensì all’impossibilità di procedere ad una stima comparata dell’eccessiva onerosità tra le prestazioni41. Questa ricostruzione trova conferma anche nella disciplina di alcuni negozi tipici a titolo gratuito. Ad esempio, il legislatore dimostra di non prediligere la continuazione del rapporto quando, in materia di donazione e comodato42, predispone strumenti di reazione specifica che consentano all’obbligato di revocare il vincolo contrattuale divenuto xxxxxxx00.
In conclusione, nei rapporti gratuiti e in generale in quelli con obbligazioni di una sola parte, l’ordinamento reagisce alle sopravvenienze attribuendo sempre
40 Così X. XXXXXXXXX, voce Onerosità eccessiva, in Enc. del dir., XXX, 1980, p. 160.
41 Così C.G. TERRANOVA, L'eccessiva onerosità nei contratti, artt. 1467 - 1469, Il Codice Civile, in Commentario diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Milano, 1995, p. 51. Sul punto, l’autore ha osservato che lo spirito di liberalità, coessenziale alla donazione, non si può conciliare con il rimedio risolutorio, ma solo con una modifica della modalità di esecuzione, che riconduca il contratto ad equità. Terranova esclude, altresì, che la risoluzione possa applicarsi alla fideiussione, intesa come contratto unilaterale e tendenzialmente gratuito, perché se tale rimedio fosse consentito il contratto verrebbe meno, a tutto danno della parte che ha fatto credito al debitore principale confidando nella garanzia, senza possibilità di ripristino dello status quo ante.
42 Ci si riferisce all’art. 803, comma 1, secondo cui: “Le donazioni, fatte da chi non aveva o ignorava di avere figli o discendenti al tempo della donazione, possono essere revocate per la sopravvenienza o l'esistenza di un figlio o discendente del donante”, ovvero all’art. 1809, comma 2, in tema di comodato, secondo cui: "Se però, durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente e impreveduto bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata”.
43 Sull’eccessiva onerosità che colpisce i contratti gratuiti si è pronunciata anche la Cassazione che ha confermato l’impossibilità di procedere ad una quantificazione dell’onerosità per gli stessi. Secondo la Cassazione l’onere di tipo economico dei contratti gratuiti consiste nella sopravvenuta sproporzione tra il valore originario della prestazione ed il valore successivo, a differenza che nei negozi a titolo oneroso, in cui l’aggravio verte sulla sopravvenuta sproporzione tra i valori delle reciproche prestazioni, cfr. Xxxx., 13 febbraio 1995, n. 1559, in Foro it., 1995, I, p. 2897, questione approfondita anche da X. XXXXXX, Dell’eccessiva onerosità, in Libro IV delle obbligazioni, in Commentario Scialoja-Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna-Roma, 2010, p. 27.
preminenza, nel bilanciamento degli interessi, alla tutela dell’obbligato, in conformità alla ratio enunciata nell’art. 1371 c.c., in tema di interpretazione del contratto44. Lo stesso deve dirsi, quindi, per l’art. 1468 c.c., che non mira alla conservazione del rapporto, ma solo ad attenuare l’aggravio economico per la parte che ha assunto le obbligazioni.
Nell’ambito di maggiorazioni economiche incidenti su un rapporto sinallagmatico, i relatori del codice civile - attraverso l’art. 1467 c.c. - hanno, invece, consegnato al contraente pregiudicato dall’eccessiva onerosità sopravvenuta, il rimedio risolutorio, laddove lo stesso non sia paralizzato dall’offerta di riduzione ad equità della controparte.
D’altro canto, per i rapporti con obbligazioni di entrambi i contraenti è la previsione (richiamata dallo stesso art. 1467 c.c.) di una irretroattività della risoluzione - che, ai sensi dell’art. 1458 c.c., non produce effetti sulle prestazioni già eseguite - a fare da contrappeso, salvaguardando il programma negoziale già attuato durante lo svolgimento del contratto45.
Al verificarsi di eventi sopravvenuti, il nostro ordinamento sembra, dunque, favorire in primo luogo lo scioglimento del contratto e solo in via di eccezione la conservazione dello stesso46. Questa tendenza riguarda tutti i contratti, inclusi i rapporti di durata e di impresa (salvo i casi individuali come quello del contratto d’appalto).
Alla luce di ciò, se dovesse sopraggiungere una turbativa dell’equilibrio contrattuale, in quali ipotesi è consentito ad una parte di svincolarsi dal contratto o eventualmente di chiedere l’adattamento delle mutate condizioni?
44 Il legislatore si preoccupa dell’aggravio della singola situazione dell’obbligato e non della variazione dell’equilibrio delle prestazioni che, come abbiamo visto, non può sussistere per i contratti con obbligazioni di una sola parte.
45 Sul punto è efficace la pronuncia della Suprema Corte che ha applicato il principio consacrato nell’art. 1458 “analogicamente anche nell’ipotesi in cui le diverse prestazioni di una pluralità di contratti ad esecuzione istantanea (nella specie: vendite) si ricollegano tutte ad un unico complesso rapporto” cit. Cass., 7 novembre 1984, n. 5626, in Arch. civ., 1984, p. 584. Si rinvia per approfondimenti al successivo Paragrafo 2.3.
46 Lo scioglimento del rapporto è la regola non solo in tema di sopravvenienze, ma anche al verificarsi di altre problematiche, si pensi ad esempio all’annullamento per errore.
A tale domanda vedremo come una parte della dottrina, fedele alla rigida ed incondizionata applicazione del principio pacta sunt servanda - enunciato nel comma 1 dell’art. 1372 c.c.47 - risponda che il regolamento negoziale è intangibile al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore. Una simile esegesi in tema di sopravvenienze consentirebbe di risolvere ovvero, in via residuale, di modificare equamente il contratto, solo nelle situazioni riconducibili agli eventi straordinari ed imprevedibili previsti dall’art. 1467 c.c., disinteressandosi del fatto che più il contratto si sviluppa nel tempo, più diviene prevedibile il verificarsi di eventi che ne possano intaccare i termini48.
Al contrario, per altra dottrina l’espressione pacta sunt servanda, pur consacrando l’irrevocabilità del consenso, nulla statuisce in tema di sopravvenienze, agendo quest’ultime per rimuovere e riequilibrare un assetto di interessi diverso da quello che le parti hanno regolato nell’accordo contrattuale49.
In questa prospettiva sembrano muoversi anche le pronunce giurisprudenziali sulla presupposizione50, ove è possibile costatare - a dimostrazione dell’insussistenza della tassatività delle ipotesi di risoluzione del
47 “Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”, così il comma 1 dell’art. 1372 c.c..
48 F. GALBUSERA, La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, VII, in Risoluzione dei contratti, Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, p. 440.
“Ogni evento straordinario è genericamente prevedibile, nel senso che ognuno di noi può prevedere che nei prossimi giorni o nel prossimo secolo avverranno fatti straordinari. Se mancasse all’uomo questa facoltà di immaginazione, lo stesso legislatore non avrebbe potuto preconfigurare, nell’art. 1467, eventi straordinari siti nel futuro. Ma l’art. 1467 c.c. si riferisce evidentemente a previsioni dotate di un margine di certezza e di specificità maggiore” cit. G.B. XXXXX, Dalla clausola rebus sic stantibus alla risoluzione per eccessiva onerosità, in Quadrimestre, 1988, p. 67.
49 Si vedano X. XXXXXXXXX, La sopravvenienza contrattuale, Milano, 2002, pp. 13 ss. e X. XXXXXXXX, voce clausola rebus sic stantibus, in Digesto Quarto disc. priv. sez. civ., II, Torino, 1988, p. 389. Secondo quest’ultimo la regola pacta sunt servanda e quella rebus sic stantibus sono compatibili, poiché la seconda accorre solo nel caso in cui si è di fronte ad un contratto diverso da quello concluso.
50 Si ricorda in particolare una pronuncia, la Cass., 11 novembre 1986, n. 6584, in Giur. civ., 1987, I, p. 1494, che ha stabilito: “Il Giudice chiamato a decidere una controversia relativa ad un rapporto giuridico autonomo, che non trovi disciplina nell’ordinamento, deve fare ricorso ai principi generali dell’ordinamento stesso, a norma dell’art. 12 disp. prel.; tra questi principi generali nel campo dei rapporti patrimoniali vi è quello che si racchiude nell’espressione rebus sic stantibus, cui si ispira l’art. 1467 c.c., in forza del quale un rapporto giuridico patrimoniale, ove non altrimenti disciplinato, non può essere mantenuto in vita quando siano venute meno, in misura notevole, le condizioni di equilibrio nelle quali esso è sorto” sul punto si rinvia al preciso approfondimento di X. XXXXXXXXX, La sopravvenienza contrattuale, Milano, 2002, p. 17.
contratto - l’applicazione della clausola rebus sic stantibus e l’adesione ad un’interpretazione estensiva dell’art. 1467 c.c.51.
Quel che si vuole evidenziare - a conclusione di questa preliminare e propedeutica disamina - è che l’esigenza di attribuire rilievo agli eventi incidenti sul contratto, non limitatamente ai casi espressamente regolati, è tanto pressante da stemperare il dogma ottocentesco dell’intangibilità dell’impegno contrattuale52, anche laddove il dato letterale del codice sembra ribadirne l’assunto53.
51 X. XXXXXXX, Xx xresupposizione, in Giur. sist. di dir. civ. e comm., fondata da X. Xxxxxxx, III, I contratti in generale, diretto da X. Xxxx X. Xxxxxxx, Torino, 1991, p. 513. Si rinvia al successivo Capitolo II Paragrafo 1.1 in tema di presupposizione.
52 X. XXXXXXXXX, Xx xisoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, VII, in Risoluzione dei contratti, Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, pp. 440 ss..
53 X. XXXXXXX, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1969, pp. 8 -16.
2. Le sopravvenienze codificate
2.1 Le origini e il fondamento dell’art. 1467 c.c.
È il codice civile del 1942 ad aver introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, al fine di garantire - così come espresso nella Relazione allo stesso - la “revisione dei contratti” in ossequio “alla nostra tradizione giuridica che, nel diritto comune, trova affermata la implicita soggezione alla clausola rebus sic stantibus di ogni rapporto convenzionale”54.
La Relazione al codice civile riconduce, quindi, l’eccessiva onerosità di cui all’art. 1467 c.c. alla clausola rebus sic stantibus, la cui origine, seppur non rintracciabile nelle fonti del diritto romano, si può far risalire ad un valore presente nella coscienza morale dell’antica Roma55.
La clausola rebus sic stantibus, frutto di una lenta contaminazione di fondamenti originariamente morali, ha trovato applicazione nei rapporti contrattuali prima dell’entrata in vigore del codice del 1942 come: “Principio sottinteso al dettato contrattuale volto ad ancorare le obbligazioni assunte alla permanenza dello stato di fatto esistente al momento del loro sorgere per tutto il tempo dell’esecuzione”56.
54 Si rinvia alla Relazione al codice civile del 16 marzo 1942 n. 665: “In parecchi casi il legislatore italiano ha dovuto intervenire con leggi speciali per disciplinare l’influenza di eventi straordinari sui contratti in corso; ma tale intervento si è determinato in relazione agli eventi più gravi e di portata generalissima. Deve essere invece considerata la quotidiana possibilità di avvenimenti straordinari ed imprevedibili che vengano a turbare profondamente l’equilibrio contrattuale pur non avendo una portata generale tale da incidere sulla vita della Nazione: la nostra pratica mercantile e gli usi da essa creati sono già nel senso di riconoscere efficacia risolutiva alla sopravvenuta onerosità della prestazione, per effetto degli avvenimenti di cui si è fatto cenno”. Si veda anche il progetto del codice del 1942 n. 266: “Nei contratti ad esecuzione differita se, per il verificarsi di eventi straordinari ed imprevedibili al momento in cui il contratto fu concluso, la prestazione di una delle due parti è divenuta eccessivamente onerosa oltre i limiti dell’alea normale del contratto, la parte che deve la prestazione può chiedere la risoluzione del contratto se l’altra non preferisce mantenerlo i vita offrendo di modificare equamente le condizioni al fine di eliminare la sopravvenuta onerosità. Nei contratti in cui una sola parte è obbligata, questa, verificandosi la ipotesi prevista dal comma precedente può chiedere una riduzione ovvero una modificazione delle modalità di esecuzione”.
55 Xxxxxx passi di autorevoli autori come Xxxxxxxx e Xxxxxx ne sono la prova, si veda M.T. XXXXXXXX,
lib. I, cap. 10, De officiis e L.A. XXXXXX, lib. IV, De Beneficiis, per approfondimenti si rinvia allo studio di G. OSTI, La cosiddetta clausola rebus sic stantibus nel suo sviluppo storico, in Riv. dir. civ., 1912, p. 6.
56 X. XXXXXXXX, La clausola rebus sic stantibus, in Giur. sist. di dir. civ. e comm., fondata da X. Xxxxxxx, III, I contratti in generale, diretto da X. Xxxx X. Xxxxxxx, Torino, p. 546. Per una breve analisi della storia e delle origini della clausola si vedano: X. XXXXXXXXX, La sopravvenienza contrattuale, Milano, 2002, p. 79; X. XXXXXX, Dell’eccesiva onerosità, in libro IV delle obbligazioni, in Commentario Scialoja-Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna-Roma, 2010, p. 1; X. XXXXXXXX, Xxxxxxx e sopravvenienze, Napoli, 2013, pp. 57 ss..
Nessun accenno espresso alla clausola rebus sic stantibus era, però, riscontrabile nel codice del 1865, a cui la suddetta rimase formalmente estranea.
In mancanza di una disposizione espressa, fu l’art. 1124 - relativo al principio di equità e buona fede nell’esecuzione dei contratti - ad essere utilizzato dalla dottrina per giustificare la risoluzione ovvero la modifica del rapporto al verificarsi di circostanze sopravvenute57.
Peraltro, nel tentativo di trovare un fondamento positivo alla clausola rebus sic stantibus, si svilupparono durante il XIX secolo ben tre diversi filoni di pensiero58.
1) Per alcuni la clausola di cui si sta disquisendo doveva avere un fondamento di tipo oggettivo, rinvenibile nella volontà dei contraenti di mantenere l’equilibrio contrattuale tra prestazione e controprestazione, durante tutto il periodo di esecuzione del contratto a lungo termine59.
2) Di contro, il fondamento soggettivo della clausola era ricondotto al presupposto che chi promette lo fa nella certezza soggettiva che vi sia una corrispondenza tra prefigurazione delle parti al momento della manifestazione di volontà e futura realtà. Pertanto, al sopraggiungere di un’alterazione di tale corrispondenza, si riconosceva al contraente pregiudicato il diritto di chiedere lo scioglimento del contratto per errore60.
3) Vi era, infine, una terza teoria più elaborata che ricollegava la clausola rebus sic stantibus alla causa negoziale, ogni volta che il fine del contratto non poteva
57 In particolare, secondo giurisprudenza e dottrina, l’art. 1124 del codice 1865, prevedendo che i contratti dovevano essere eseguiti secondo buona fede, obbligava le parti non soltanto a quanto era nei medesimi espressamente convenuto, ma anche a tutte le conseguenze che potevano ricondursi secondo equità al contratto. Esclusi erano, quindi, solo gli sforzi eccessivi, non potendosi considerare ricompresi nella cornice contrattuale, si cfr. X. XXXXXX, La sopravvenienza, in Riv. dir. comm. 1924, I, pp. 297 ss..
58 C.G. TERRANOVA, L'eccessiva onerosità nei contratti. Artt. 1467 - 1469, Il Codice Civile, in Commentario
diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Milano, 1995, p. 11.
59 Si cfr. X. XXXXXXXX, La cosiddetta clausola rebus sic stantibus e la teoria dei presupposti, in Scritti vari di diritto privato, 4° ed., I, Torino, 1914, pp. 417 ss. ed X. XXXXXXXXX, Dell’eccessiva onerosità, in Commentario del Codice civile - Dei Contratti in generale - IV, artt. 1425 - 1469 bis e leggi collegate, 2011, pp. 606 ss..
60 Si cfr. G. OSTI, Appunti per una teoria della sopravvenienza. La cosiddetta clausola rebus sic stantibus nel diritto contrattuale odierno, in Riv. dir. civ., 1913, p. 471.
essere raggiunto essendoci una divergenza fra la prestazione della parte obbligata e l’entità economica della controprestazione61.
Oggi, proprio in ragione delle difficoltà che si incontrano nel tentare di ricostruire i confini della clausola rebus sic stantibus, alcuni autori preferiscono evitare semplicemente di ricondurre le sopravvenienze contrattuali, così come previste dall’art. 1467 c.c., all’ancestrale clausola richiamata dalla Relazione al codice civile62.
È, all’opposto, di più facile individuazione l’origine dell’impossibilità sopravvenuta. Quest’ultima, sotto la vigenza del vecchio codice, era disciplinata dall’art. 1226 che escludeva la responsabilità del debitore al verificarsi di un fatto fortuito e di forza maggiore. Ciononostante, l’art. 1226 lasciava a carico del debitore tutti quegli accadimenti puramente economici che non fossero tali da comportare un azzeramento della prestazione63.
Solo con lo scoppio dei primi conflitti bellici si sentì la necessità di introdurre strumenti che attribuissero espressa tutela anche al verificarsi di maggiorazioni economiche64. Sicché, nel 1915 attraverso una legge speciale, il legislatore intervenne per proteggere il debitore dalle conseguenze derivanti dal deprezzamento monetario che fossero tali da rendere eccessivo lo sforzo richiesto al medesimo65.
È stata, quindi, una legge contingente ad introdurre nel nostro ordinamento il primo espresso strumento di neutralizzazione delle sopravvenienze, dimostratosi in seguito irrinunciabile anche quando, al cessare della guerra, venne meno una delle principali cause di alterazione dei contratti locali66.
61 Vedi G. OSTI, Appunti per una teoria della sopravvenienza. La cosiddetta clausola rebus sic stantibus nel diritto contrattuale odierno, in Riv. dir. civ., 1913, pp. 647 ss..
62 Si cfr. X. XXXXXXX, La risoluzione del contratto per eccesiva onerosità, Torino, 1952, p. 9 e Cass., 3 ottobre 1977, n. 4198, in Rep. Foro it., 1977, voce Contratto in genere, p. 587, n. 169.
63 In sostanza l’impossibilità sopravvenuta non era utilizzata per i meri casi di eccessiva onerosità tanto che, come abbiamo visto, la dottrina preferiva leggere quest’ultima tra le righe dell’art. 1124 del codice previgente.
64 D.lgs. it. 27 maggio 1915, n. 739: “A tutti gli effetti dell’art. 1226 c.c. la guerra è considerata causa di forza maggiore non solo quando renda impossibile la prestazione, ma anche quando la rende eccessivamente onerosa, purché l’obbligazione sia stata assunta prima della data del decreto di mobilitazione”.
65 Si tratta del citato d.lgs. it. 27 maggio 1915, n. 739.
66 La legge fu abrogata all’indomani del conflitto con il R.D.L. 2 maggio 1920, n. 663. Per approfondimenti X. XXXXXXXX, La legislazione di guerra nel diritto civile e commerciale, Torino 1917, p. 80
Tale riconoscimento non fu, però, così immediato tanto che al termine del conflitto bellico, con l’abrogazione della citata legge, dottrina e giurisprudenza negarono nel modo più assoluto l’ammissibilità tacita di uno strumento di neutralizzazione delle maggiorazioni economiche67.
La diatriba cessò con l’introduzione nel codice civile del 1942 dell’art. 1467
c.c.68.
L’art. 1467 c.c. - posto accanto alle ipotesi di inadempimento e di
impossibilità sopravvenuta - è una fattispecie rigorosa, secondo cui: “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”69.
La formulazione dell’articolo non è casuale: da un lato, il legislatore ha voluto consacrare la rilevanza delle sopravvenienze sui termini dell’operazione negoziale, dall’altro circoscrivere l’applicazione delle stesse alle sole ipotesi eccezionali70.
La prudenza legislativa è riconducibile al risalente - e già accennato - conflitto tra il vincolo contrattuale che “ha forza di legge tra le parti” e la possibilità di
e X. XXXXXXXX, La guerra nei rapporti di diritto privato contrattuale (commento ai decreti luogotenenziali 27 maggio, n. 739 e 30 maggio 1915, n. 764), in Dir. comm., 1915, I, p. 359.
67 G. OSTI, voce Clausola rebus sic stantibus, in Noviss. Dig. it., Torino, 1975, p. 359.
68 G.B. XXXXX, Dalla clausola rebus sic stantibus alla risoluzione per eccessiva onerosità, in Quadrimestre, 1988, pp. 54 ss..
69 G.B. FERRI, Le annotazioni di Xxxxxxx Xxxxxxxx in margine a taluni progetti del libro delle obbligazioni, Padova, 1990, p. 37: “La rigorosa limitazione dell’efficacia della clausola ad eventi che non possono assolutamente farsi rientrare nelle rappresentazioni che ebbero le parti al tempo del contratto, esclude il pericolo di eccessi; ma garantisce contro tal pericolo anche la rigida valutazione obiettiva del concetto di eccessiva onerosità, che per il nuovo codice non opera quando non è superata l’alea normale del contratto (art. 1467, secondo comma) o quando il contratto è essenzialmente o convenzionalmente aleatorio (art. 1469: vendita a termine di titoli di credito, rivendita)”.
70 Il legislatore ha attribuito rilievo ad alcuni rischi “integrando una bilancia di prestazioni, individuate dalle
parti secondo il loro contenuto, con una bilancia delle prestazioni, misurate secondo il loro valore” Cit. R.
ammettere lo scioglimento dello stesso al sopraggiungere di variazioni71. Il legislatore proprio a rigore dei dogmi tradizionali si è, infatti, cautelato circoscrivendo entro limiti ragionevoli le sopravvenienze rilevanti per l’ordinamento72.
I riferimenti che seguono individuano le singole condizioni che consentono ad un contraente di avvalersi dell’art. 1467 c.c..
1) Il presupposto basilare dell’art. 1467 c.c. è collocato nella rubrica dello stesso, che lo limita ai soli contratti a prestazioni corrispettive. Tale aspetto, riscontrabile anche nelle altre azioni risolutorie73 pone, come già anticipato, una sostanziale discrepanza tra l’art. 1467 e il successivo art. 1468, rubricato “Contratto con obbligazioni di una sola parte”. L’art. 1468 è, invero, l’unico articolo all’interno del capo XIV a non avere alcuna attinenza con il rimedio risolutorio74.
L’oggetto di tutela della norma è, dunque, il sinallagma, definibile come il legame tra prestazione e controprestazione, che deve esistere sia alla nascita del rapporto (sinallagma genetico) sia durante tutto il suo svolgimento (sinallagma funzionale)75.
Ne consegue che i contratti a titolo gratuito ed i contratti associativi, essendo sforniti del requisito della corrispettività, devono dirsi esclusi dalla disciplina posta dall’art. 1467 c.c.76.
XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), XX, 0x xx., Xxxxxx, 0000, p. 698.
71 G.B. XXXXX, Dalla clausola rebus sic stantibus alla risoluzione per eccessiva onerosità, in Quadrimestre, 1988, p. 73 ss..
72 X. XXXXXXX, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1969, p. 7. Il fatto che la risposta codicistica alle alterazioni incidenti sull’economia contrattuale del contratto sembri più un’eccezione che una regola vera e propria non può, quindi, stupire, in questo senso si veda X. XXXXXXXX, voce Clausola rebus sic stantibus, in Digesto Quarto disc. priv. sez. civ., II, Torino, 1988, p. 386.
73 Le azioni risolutorie sono tutte destinate a scongiurare i difetti che, verificandosi nella fase di esecuzione del contratto, infrangono la correlazione tra le prestazioni.
74 X. XXXXXXXXX, voce Onerosità eccessiva, in Enc. del dir., XXX, 1980, p. 160.
75 Si cfr. X. XXXXXXX, voce Eccessiva onerosità, in Noviss. Dig. it., IV, Torino, 1960, pp. 331 ss. e C.G. TERRANOVA, L'eccessiva onerosità nei contratti, artt. 0000 - 0000, Xx Codice Civile, Commentario diretto da
X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, pp. 50 ss..
76 Si segnala che vi sono alcuni autori che si scagliano contro questa tesi considerando l’eccessiva onerosità sopravvenuta adatta anche ai contratti associativi, così X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, I rimedi per le sopravvenienze, Obbligazioni e contratti, II, in Tratt. dir. priv. (diretto da X. Xxxxxxxx), 00, 0x xx., Xxxxxx, 0000, p. 679. La tesi è sostenuta anche da X. XXXXX, Il contratto, Bologna, 2011, p. 962, il quale in merito all’esclusione dei contratti associativi precisa che: “L’esclusione secca non è giustificata
2) Il primo elemento individuato dal testo della norma sull’eccessiva onerosità esige, invece, che il contratto si presenti ad esecuzione continuata, periodica o differita. Ciò poiché un rapporto può essere intaccato da sopravvenienze solo se decorre un lasso di tempo tra la sua conclusione e la sua esecuzione o sviluppo (c.d. distantia temporis).
Nei contratti a prestazione continuata l’esecuzione della prestazione è costante e progressiva, nei rapporti ad esecuzione periodica l’esecuzione è frazionata con intervalli tra una prestazione e l’altra, infine nei contratti ad esecuzione differita, quest’ultima è eseguita in momento successivo rispetto alla stipula77.
3) L’art. 1467 c.c. richiede che l’onerosità sia oggettivamente eccessiva e che sia tale da superare i confini della normale alea. Il richiamo all’alea genera, altresì, un collegamento tra l’articolo in questione e l’art. 1469 c.c., che esclude dall’eccessiva onerosità i contratti “etichettati”, per loro natura o per volontà delle parti, come aleatori78.
Per la precisione, pur non essendo nella prassi sempre possibile distinguere eccessività e alea, al primo dei suddetti criteri è riconosciuta natura quantitativa, mentre all’alea normale è attribuita sia una natura quantitativa sia una natura qualitativa. L’alea normale è, infatti, definita come il rischio sopportabile dalle parti per ogni singolo tipo contrattuale79.
[…] si dovrà distinguere se il rischio imprevedibile colpisce l’insieme delle prestazioni di tutti i soci in quanto destinate all’organizzazione sociale, allora si tratta di un rischio sociale che ciascun socio ha scelto di correre e deve sopportare; ma se invece colpisce in modo differenziato la prestazione del singolo socio, contro questo rischio eventuale non c’è ragione di negare i rimedi”.
77 X. XXXXXXXXX, voce Onerosità eccessiva, in Enc. del dir., XXX, 1980, p. 161.
78 Il codice civile non fornisce una definizione di contratto aleatorio che può essere inteso come un rapporto in cui la prestazione è collegata ad un fattore di rischio che diviene la causa dell’intero rapporto, si pensi al contratto di assicurazione.
79 La nozione di alea è più contenuta rispetto a quella di rischio contrattuale, si veda X. XXXXXXXXX, Dell’eccessiva onerosità, in Commentario del Codice civile - Dei Contratti in generale - IV, artt. 1425 - 1469 bis e leggi collegate, 2011, pp. 606 ss..
4) Infine, il fatto causativo dell’onerosità deve essere imprevedibile e straordinario nonché sopravvenuto dopo la stipula del contratto, ma prima della scadenza del termine per la sua esecuzione80.
Se l’evento deve essere oggettivamente sopravvenuto, al contrario il giudizio di fatto sul carattere imprevedibile e straordinario dello stesso deve essere svolto con riferimento alla capacità di previsione dell’uomo medio.
Imprevedibilità e straordinarietà, pur apparendo sinonimi, richiedono di essere distinti: “L’evento è straordinario quando è eccezionale, è imprevedibile quando non è dato rappresentarsene l’accadere alla stregua dalle comune capacità di previsione”81.
In merito, non pochi problemi sono derivati dall’opportunità di classificare la svalutazione monetaria come elemento straordinario ed imprevedibile, seppur la stessa sia pacificamente inclusa dalla giurisprudenza tra le cause di risoluzione del contratto quando generi un’alterazione macroscopica del sinallagma82.
A livello processuale, non integrando l’art. 1467 c.c. un’ipotesi di risoluzione di diritto, l’ordinamento richiede, affinché operi, l’intervento di una sentenza favorevole.
Per quanto riguarda gli effetti della sentenza risolutiva non si può che rinviare alla disciplina sulla risoluzione per inadempimento e all’art. 1458 c.c., da cui discendono: (i) l’estinzione delle obbligazioni non ancora eseguite e (ii) l’irretroattività della risoluzione per le prestazioni che hanno già avuto esecuzione83. Al contrario, è opportuno esaminare accuratamente l’eventuale sentenza di accoglimento dell’offerta di reductio ad aequitatem, proposta dal convenuto e valutata
dal magistrato come idonea a paralizzare la domanda di risoluzione attorea84.
80 Ne consegue che “il soggetto che ha già adempiuto senza imbattersi in una sopravvenienza rilevante non potrà sollevare, in futuro, alcun problema derivante dell’aumento di valore della sua propria prestazione” cit. X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), XX, 0x xx., Xxxxxx, 0000, p. 707.
81 Cit. X. XXXXXXXXXX, I Xxxxxxxxx, Parte Generale, Torino, 2014, p. 232.
82 Tra le altre si vedano: Cass., 15 dicembre 1984, n. 6574, in Giust. civ. mass., 1984, 12; Cass., 2 dicembre 1986, n. 7119, in Comm. trib. centr. 1989, I, pp. 828 ss. e in Bollettino trib. 1990, pp. 1348 ss..
83 X. XXXXXXXXX, voce Onerosità eccessiva, in Enc. del dir., XXX, 1980, p. 171.
84 Si parla del c.d. “effetto estintivo dell’offerta”, per approfondimenti si veda S. D’XXXXXX, L’offerta di equa modificazione del contratto, Milano, 2006, pp. 127 ss.. Il potere di far valere l’offerta di equa modificazione del contratto è attribuito dal codice civile alla parte contro la quale è stata domandata la
Ciò in quanto sulla ratio dell’offerta di riduzione ad equità si è generato un vivace dibattito, che ha visto contrapporsi due orientamenti85.
a) Un primo orientamento - volto a dimostrarne la natura sostanziale - equipara la richiesta di riduzione ad equità ad una dichiarazione di volontà negoziale rivolta alla controparte o, ove questa non la accetti, al giudicante86, sottraendola così alle preclusioni processuali87. In particolare si ritiene che, avendo una simile offerta lo scopo di evitare la risoluzione, non possa incontrare alcun limite nel processo (fermo restando il passaggio in giudicato)88.
b) Un secondo orientamento sostiene, invece, che l’offerta di riconduzione ad equità del contratto abbia natura processuale89.
risoluzione. Il contraente eccessivamente onorato può unicamente domandare la risoluzione. Si veda anche la monografia di X. XXXXXXXX XXXXXXX, L’offerta di riduzione ad equità, Milano, 1990, pp. 172 ss..
85 X. XXXXXXXXXX, Preclusione dell’offerta di riduzione del contratto ad equità, in Riv. dir. proc., 1953, II, p. 109, ritiene che l’offerta non possa essere né un’eccezione né una riconvenzionale né una domanda del convenuto, ma una proposta di modificazione del contratto, alla quale la legge riconosce l’efficacia di modifica purché sia equa, anche senza accettazione dell’altra parte.
E. QUADRI, La rettifica del contratto, Milano, 1973, pp. 132 ss., ha in seguito sviluppato la teoria del Carnelutti qualificando l’offerta come un negozio giuridico unilaterale.
86 Cit. Cass., 24 marzo 1954, n. 837, in Foro it., 1954, I, p. 755.
87 Per una ricostruzione esaustiva di tale orientamento si veda Cass., 16 aprile 1951, n. 431, in Mass. giur. it., 1951, II, p. 320, secondo cui: “L’offerta non può considerarsi come una eccezione, ma deve configurarsi invece come una contro-domanda, non equiparabile neppure alla riconvenzionale, giacché non si basa sulla situazione giuridica preesistente, bensì sull’assunzione di nuove condizioni contrattuali e, in caso di rifiuto, si chiede al giudice di fungere da arbitratore per ristabilire l’equilibrio economico delle prestazioni. Questa funzione viene esercitata con l’accertamento dell’idoneità dell’offerta a ricondurre il contratto ad equità, qualora essa sia del tutto determinata nel suo contenuto, ovvero con la precisa determinazione delle nuove condizioni del contratto, qualora l’offerta sia formulata in termini tali da richiedere un adeguamento alla specie o comunque un’opera di concretizzazione. È ovvio, infatti, che l’offerta, se non può essere puramente generica, ben può riferirsi ad altri elementi che ne consentano agevolmente la determinazione. Ciò posto, devesi ritenere che una siffatta contro-domanda, che presuppone il fondamento di quella avversaria di risoluzione o di rescissione e che tende solo a paralizzarne gli effetti in virtù della creazione di un rapporto sostanziale nuovo, sia sottratta alle regole processuali sulle preclusioni. [...] L’offerta, come può essere fatta stragiudizialmente, così è sempre ammissibile nel corso del giudizio, anche in grado di appello, fino a che non sia formato il giudicato sulla rescissione e la risoluzione (esclusa, s’intende, la proponibilità della Cassazione per il particolare carattere del relativo procedimento)”. Sul punto si veda anche Cass., 6 febbraio 1970, n. 257, in Giust. civ., 1970, I, p. 562.
88 X. XXXXXXX, voce Eccessiva onerosità, in Noviss. Dig. it., IV, Torino, 1960, p. 337.
Questo primo orientamento si fonda sull’osservata possibilità di proporre l’offerta anche al di fuori della sede processuale.
89 Per un’analisi dettagliata delle due tesi si rinvia a X. XXXXXXXXX, Rimedi giudiziali e adeguamento del contenuto, relazione presentata al convegno internazionale “Il contratto nel sistema giuridico latinoamericano. Basi per un codice latinoamericano tipo”, svoltosi a Bogotá dal 3 al 6 settembre 2001, pp. 193 ss..
L’esponenda tesi - frutto della più recente evoluzione giurisprudenziale - scaturisce dalla constatazione che l’iniziativa di revisione, essendo rimessa ad apposita richiesta del convenuto nel corso del giudizio, assurgerebbe a tutti gli effetti a domanda processuale, con l’applicazione delle relative limitazioni e decadenze90.
Si pensi all’art. 112 c.p.c., il quale imponendo al giudice di “decidere su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa”91, limiterebbe - nel caso di specie - la decisione dello stesso all’alternativa tra l’accoglimento e il rigetto della somma offerta dal convenuto92.
Pertanto, secondo questa tesi il giudice non avrebbe alcun potere riduttivo e sarebbe costretto a rigettare la modifica offerta, laddove la stessa non sia tale da liberare l’attore dall’aggravio eccedente la normale alea del contratto93.
Come disse Xxxxxx Xxxxxx, valutando “questi due casi: se vincete, vincete tutto, se perdete non perdete nulla”94, onde evitare decadenze è consigliabile tenere per buona la tesi più restrittiva. Pertanto, la parte convenuta in giudizio per eccessiva onerosità sopravvenuta non dovrebbe limitarsi a formulare un’offerta, bensì chiedere in via subordinata che quest’ultima, quando non sia giudicata idonea dal giudice, sia determinata per relationem dal medesimo in corso di causa (ad esempio ricorrendo ad un consulente tecnico d’ufficio)95 o secondo il proprio prudente apprezzamento96.
90 X. XX XXXXXXX, L’eccessiva onerosità nell’esecuzione dei contratti, Milano, 1950, p. 139.
91 Per un approfondimento si consulti X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, Nozioni introduttive e disposizioni generali, di cui al Libro I del Corso di diritto processuale civile, Torino, 2013.
92 Tra le altre: Cass., 11 gennaio 1992, n. 247, in Corr. giur., 1992, pp. 662 ss..
93 App. Roma, 15 giugno 1968, in Foro Pad., 1969, p. 458.
94 Cit. X. XXXXXX, Xxxxxxxx, p. 223, ci si riferisce alla c.d. “scommessa” del matematico, fisico, filosofo e teologo francese così riassumibile: “Scommettendo che Dio non esiste, non si vince nulla, ma si perde tutto (cioè il bene finito); al contrario, «scommettendo» che Dio esiste si vince tutto (cioè la beatitudine eterna ed infinita) e non si perde nulla; ed il fatto che la scommessa a favore di Dio è totalmente ed infinitamente propizia e vantaggiosa a coloro che la compiono, ciò significa che è fondata, e diventa dunque la scommessa stessa una prova di tale esistenza divina, e dunque la vittoria della scommessa è nella scommessa stessa, che in tal modo non è più scommessa, ma è già vittoria certa” così P.A. XXXXXXX, Il paiolo bucato. La nostra condizione paradossale, 1998, pp. 201 - 209.
95 X. XXXXXXXXX, Alea e rischio nel contratto. Studi, Napoli, 1997, p. 17, riassumendo le pronunce giurisprudenziali sull’argomento precisa che è stata ammessa dalla giurisprudenza un’offerta generica (Cass., 16 aprile 1951, n. 431, in Mass. giur. it., 1951, II, pp. 320 ss.) - nonostante la stessa dovrebbe essere concreta in tutti i suoi elementi (Cass., 14 ottobre 1947, n. 1607, in Giur. completa Cass. civ., 1947, XXVI, 2° quadrim., p. 347) - e che il giudice, ove richiesto dalle parti, può determinare giudizialmente l’entità dell’offerta sulla base di elementi oggettivi, accertabili in giudizio, senza con questo violare il principio
Cosicché se il giudice dovesse aderire al secondo orientamento, il convenuto dovrebbe quantomeno andare esente dal rischio di veder rigettata l’offerta dal punto di vista processuale. Al contrario, se il giudice dovesse aderire alla tesi che considera esente la domanda da decadenze processuali, il convenuto non avrebbe “niente da perdere”.
Se il problema relativo alla formulazione dell’offerta del convenuto è stato almeno in parte circoscritto ricorrendo ad un espediente pragmatico, rimane da capire a quali parametri deve attenersi il giudice nel valutare la congruità della proposta97.
Preliminarmente ed a scanso di equivoci, è doveroso precisare che il richiamo all’equità, riscontrabile nel dato letterale dell’art. 1467 c.c., non implica una pronuncia secondo equità ai sensi dell’art. 114 c.p.c., essendo questo giudizio, a tutti gli effetti, svolto secondo diritto e destinato a “ricondurre ad equità l’economia del rapporto”98.
In secondo luogo, è di tutta evidenza che la lacuna lasciata - coscientemente o meno - dal legislatore, in materia di parametri dell’eccessiva onerosità99, sconti il rischio che si generi una certa arbitrarietà nelle decisioni giudiziarie100.
dispositivo (Cass., 9 dicembre 1958, n. 3854, in Giust. civ., 1959, I, p. 245). Contra S. D’XXXXXX, L’offerta di equa modificazione del contratto, Milano, 2006, p. 262, il quale precisa che l’offerta generica deve intendersi l’offerta priva di criteri per determinare il tipo o il quantum delle modificazioni offerte (c.d.: offerta puramente generica) e non l’offerta che contiene l’indicazione dei criteri, essendo quest’ultima un’offerta a contenuto determinabile (c.d.: offerta specifica). Quest’ultimo, nella propria analisi, ritiene non convincenti gli argomenti della dottrina a favore dell’offerta puramente generica (nota 67) e contesta Xxxxxxxxx (nota 81), che in un primo scritto - Xxxx e svalutazione monetaria nell’offerta di riduzione ad equità, in Rass. dir. civ., 1983, p. 716 - aveva ritenuto necessaria un’offerta concreta e in seguito - nello scritto Offerta di riduzione ad equità del contratto, in Digesto Quarto disc. priv. sez. civ., 2003, p. 978 - ha cambiato idea, giustificando la tesi dell’offerta generica. Sul punto anche X. XX XXXXXXX, L’eccessiva onerosità nell’esecuzione dei contratti, Milano, 1950, p. 138.
96 Tra le altre, si veda: Cass., 18 luglio 1989, n. 3347, in Foro it., 1990, cc. 564 ss.. con nota di X.
XXXXXXX, Xxxxxxxxx onerosità, riconduzione ad equità e poteri del giudice e in Xxxxx. civ., 1989, I, pp. 2564 ss..
97 X. XXXXXXXXX, Rimedi giudiziali e adeguamento del contenuto, relazione presentata al convegno internazionale “Il contratto nel sistema giuridico latinoamericano. Basi per un codice latinoamericano tipo”, svoltosi a Bogotá dal 3 al 6 settembre 2001, pp. 206 ss..
98 Cit. Cass., 24 marzo 1976, n. 1067, in Giust. civ., 1976, I, pp. 1493 ss..
99 Ovviamente nella valutazione del rapporto e della situazione il giudice deve prescindere dall’adozione di precetti morali o dalla considerazione degli interessi subiettivi dei contendenti e deve, invece, attenersi a criteri estimativi di carattere eminentemente tecnico, sul punto si veda X. XXXXXXXXX, La rescissione del contratto, Napoli, 1951, p. 203.
Tale scelta si presenta ancor più singolare, se si considerano gli indici guida introdotti per l’interprete in altre disposizioni codicistiche. Tra cui:
(i) l’articolo 1664, comma 1, dell’appalto, per il quale è stato specificato un criterio aritmetico: “Qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo”101;
(ii) l’istituto della rescissione del contratto, laddove si richiede una lesione eccedente la “metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto”102.
Tra i due articoli, quello sulla rescissione è di particolare interesse poiché riproduce la struttura dell’eccessiva onerosità sopravvenuta103.
Si pensi al fatto che anche in materia di rescissione, il convenuto - contro il quale è domandata la risoluzione - può chiedere la modifica del contratto riportandolo ad equità104.
100 Si cfr. X. XXXXX, voce Eccessiva onerosità sopravvenuta, in Digesto disc. priv. sez. civ., VII, Torino, 1991,
p. 239 e in Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992, p. 183.
101 “Il trovare una tale disposizione proprio in tema di appalto non stupisce; l’appalto è un tipico rapporto di durata che, proprio per il fatto di svolgersi normalmente nel tempo per un certo numero di anni, è particolarmente esposto al rischio di mutamenti anche notevoli tali da rendere non più profittevole la prosecuzione dei lavori. Si consideri ancora che l’esecuzione di un contratto di appalto implica normalmente la predisposizione di un apparato produttivo, spese, investimenti, a volte anche notevoli necessari per portare a compimento l’opera intrapresa. In queste condizioni, in presenza di una sopravvenienza tale da rendere eccessivamente onerosa la prosecuzione dei lavori alle condizioni pattuite, l’appaltatore si troverebbe nel triste dilemma di dover scegliere se chiedere la risoluzione del contratto e subire una perdita pari agli investimenti ed alle spese organizzative effettuate, oppure perseverare nell’esecuzione del contratto e sopportare i maggiori oneri dovuti all’aumento dei costi” cit. X. XXXXX, voce Eccessiva onerosità sopravvenuta, in Digesto disc. priv. sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 243.
102 Si cfr. il secondo comma dell’art. 1448 c.c..
103 Così Cass., 16 aprile 1951, n. 431, Mass. giur. it., 1951, II, p. 320, con commento di X. XXXXXXXXX,
Natura dell’offerta di reductio ad aequitatem e limiti per farla valere nel processo.
104 Per completezza si rammenta che un’offerta della parte che subisce l’azione è riscontrabile anche nella disciplina dell’annullamento del contratto per errore, si confronti l’art. 1432 c.c., relativo al mantenimento del contratto rettificato: “La parte in errore non può domandare l'annullamento del contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio, l'altra offre di eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto che quella intendeva concludere”.
Xxxxxx nel spiegare la differenza tra rescissione ed eccessiva onerosità sopravvenuta è X. XXXXXXXXX, voce Onerosità eccessiva, in Enc. del dir., XXX, 1980, p. 160, di cui si riporta un inciso: “Indubbiamente esistono a favore della tesi che tende ad assimilare i rimedi ex art. 1448 e 1467, elementi testuali offerti dalle
Nonostante ciò, il criterio della rescissione non può estendersi alle ipotesi di risoluzione per eccessiva onerosità, poiché dal punto di vista sostanziale la prima è alquanto dissimile dall’alterazione sopraggiunta nella fase funzionale del rapporto, ex art. 1467 c.c..
La proposta di modifica in un giudizio di rescissione deve essere, infatti, tale da condurre il rapporto rescindibile in una situazione di equivalenza delle prestazioni. Questo perché il legislatore, con la disciplina della rescissione, mira ad introdurre una proporzione tra prestazioni del contratto geneticamente inique, a causa dell’approfittamento di una parte in danno dell’altra105.
Nell’articolo sulla rescissione sembra riecheggiare la giustizia commutativa o regolatrice divulgata da Xxxxxxxxxx, secondo il quale l’equità trova la sua garanzia più piena ed autentica in un giudice capace che toglie a colui che si è avvantaggiato con iniquità, per dare a chi ha perso106.
Non stupisce, dunque, la rappresentazione della rescissione come ipotesi eccezionale (avvalorata dall’aggravio di un termine di prescrizione di solo un anno dalla conclusione del contratto) attraverso la quale l’ordinamento ha prestato rilievo alla proporzione dei valori scambiati, notoriamente di competenza delle parti107.
Diversamente, in presenza di un’eccessiva onerosità sopravvenuta il giudice deve ricorrere ad un parametro che permetta di ripristinare la funzione voluta dalle
norme stesse sulla rescissione per lesione e sulla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, quali la previsione dell’offerta di reductio ad aequitatem contenuta negli art. 1450 e 1467 comma 3 e l’esclusione dell’applicazione di entrambi i rimedi ai contratti aleatori (art. 1448 comma 4 e 1469). Ma tali caratteri comuni non sono sufficienti a ricondurre le due azioni ad una medesima ratio (la reazione contro gli squilibri contrattuali) riducendone la differenziazione solo al momento temporale dell’intervento (originario e successivo). Né, infine, individuando come fondamento dell’art. 1467 (norma cardine dell’istituto dell’eccessiva onerosità sopravvenuta) l’intervento legislativo contro le alterazioni del sinallagma che provocano la rottura dell’equilibrio del singolo contratto così come le parti lo hanno concepito e voluto al momento della stipulazione, si viene a spezzare una supposta unità di ratio con l’art. 1468 (norma che riguarda i contatti con obbligazioni di una sola parte, in cui, per la sua stessa struttura, non si pongono problemi di equilibrio di prestazioni contrapposte), perché tale unità non esiste [...]”.
105 Per approfondimenti si rinvia a X. XXXXXX, Il fondamento dell’azione di rescissione, in Temi, Torino,
1949, p. 54 e a X. XXXXXXX, La rescissione del contratto, art. 1447-1467, Il codice civile Commentario, diretto da Xxxxxx Xxxxxxxxxxx, Milano, 2000.
106 Si confronti XXXXXXXXXX, Etica nicomachea, libro V.
107 “L’offerta non svolge una efficacia impeditiva degli effetti delle sentenze di rescissione e di risoluzione, bensì evita la rescissione o la risoluzione nel senso che fa sorgere il dovere del giudice di non pronunciare la rescissione o la risoluzione” cit. X. X’XXXXXX, l’offerta di equa modificazione del contratto, Milano, 2006, p. 34.
parti con la conclusione del contratto e che riconduca la situazione, esistente al momento della pronuncia, entro la normale alea108.
Ad oggi, la quantificazione di tale parametro è da ritenersi esclusivamente rimessa alla valutazione discrezionale dei giudice del processo.
Da notare è, da ultimo, la scelta del legislatore di vincolare il processo relativo ad un’ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta ad una rigida e predeterminata dialettica delle parti, tanto che non è consentito al debitore onerato della maggiorazione economica di optare per la conservazione del contratto, pur potendo avere anche quest’ultimo un legittimo interesse a ricondurre il rapporto ad equità, piuttosto che a risolverlo109.
Proprio al fine di contrastare questa rigida ripartizione dei ruoli, in presenza di rapporti di durata, alcuni autori hanno suggerito un’interpretazione estensiva dei poteri del giudice che si allinei alla ratio della conservazione del contratto110. Invero, appare doveroso anticipare che è proprio l’offerta - così come disciplinata dal comma 3, dell’art. 1467 c.c. - ad avere fondato il convincimento dell’esistenza di un
108 L’indagine del giudice deve essere condotta attendendosi a criteri estimativi oggettivi di carattere tecnico, che siano in grado di riportare il contratto esattamente all’equilibrio quo ante, così Cass., 9 ottobre 1989, n. 4023, in Giur. it., 1990, I, 1, c. 944. Per quanto riguarda il momento in cui deve essere commisurata la congruità dell’offerta, al fine di produrre le modiche del rapporto, si vedano: Cass., 13 gennaio 1984, n. 275, in Giur. it., 1985, I, 1, p. 362, con nota di X. XXXXXX, Preliminare, eccessiva onerosità sopravvenuta, offerta di riduzione ad equità; contra Cass., 8 giugno 1982, n. 3464, in Rep. Giur. it., 1982, voce Obbligazioni e contratti, in Giust. civ. mass., 1982, p. 1267. Sul punto si precisa che il superamento della tesi che considerava rilevante il momento in cui l’obbligazione è sorta è avvenuto con l’inquadramento dell’istituto dell’offerta di riduzione ad equità nella categoria dei debiti di valore, così X. XXXXXXXXX, Alea e rischio nel contratto. Studi, Napoli, 1997, p. 28.
Riassumendo l’eccessiva onerosità va individuata con riferimento al momento dell’adempimento ovvero a quello successivo, differito per fatto o colpa della controparte, e non già con riferimento al tempo della pronuncia, al contrario l’adeguatezza dell’offerta di modifica del contratto va effettuata con riferimento al momento della pronuncia, il giudice dovrà, quindi, tenere conto anche della svalutazione monetaria sino a quel giorno, si veda C.G. TERRANOVA, L'eccessiva onerosità nei contratti, artt. 1467 - 1469, Il Codice Civile, in Commentario diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Milano, 1995, p. 102.
109 Si ricorda che tale potere è precluso anche al giudice in difetto di apposita domanda della parte contro cui viene azionata l’eccessiva onerosità sopravvenuta, si veda X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 266.
110 X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 289: “Al di là, perciò, delle affermazioni di principio, tese a rievocare l’assai poco significativa concezione secondo la quale le modificazioni del contratto rientrano nella sfera sovrana dell’autonomia dei contraenti, dovrà ammettersi che, nella disciplina dei rapporti ad esecuzione protratta nel tempo, il giudice possa, non accertare la congruità dell’offerta (più correttamente, l’equità della condizione del contratto così come sarebbero modificate), bensì provvedere, su richiesta della parte legittimata, alla modificazione del contratto”.
obbligo di rinegoziare il contratto anche ed indipendentemente dalla ricorrenza dei requisiti individuati nella citata previsione codicistica111.
A più parti è, quindi, sembrato plausibile generalizzare il potere di revisione del magistrato oltre i limitati confini dell’art. 1467 c.c. che “rende il contratto risolvibile, ma non lo risolve”112.
Lasciando gli approfondimenti sull’obbligo di rinegoziare il contratto al successivo Capitolo III ad esso dedicato, dopo aver analizzato l’offerta di riduzione ad equità di cui all’art. 1467 c.c., possiamo osservare che: (i) l’adeguamento di un contratto, che ha subito un oggettivo aggravio di una delle prestazioni, seppur contemplato dalla norma che codifica gli eventi straordinari e imprevedibili, è rimesso alla richiesta unilaterale della parte convenuta; (ii) nel giudizio sull’eccessiva onerosità sopravvenuta il giudice non può autonomamente riscrivere il rapporto113.
111 Così X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 312, contra X. XXXXXXXXX, La rinegoziazione, in Contr. e impr., 2002, p. 809, secondo cui la possibilità di intervento sul merito del contratto resta limitata ai soli casi in cui è prevista, o quando siano state inserite o volute clausole di rinegoziazione che rimettano la rideterminazione direttamente al terzo o in caso di disaccordo dei contraenti e P.G. XXXXXXX, La rinegoziazione e l’intervento del giudice nella gestione del contratto, in Contr. e impr., 2, 2005, pp. 539 ss., secondo il quale l’intervento del giudice non può rinvenirsi nell’art. 1467 c.c. perché in tale ipotesi il giudice si limita a valutare la congruità dell’offerta.
112 Cit. X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), II, 3° ed., Torino, 2004, p. 718. Si veda anche X. XXXXX, voce Eccessiva onerosità sopravvenuta, in Digesto disc. priv. sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 243.
113 Si cfr. X. XXXXXXXXXX, Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice civile e diritto europeo, Torino, 2006, p. 216; F. GALBUSERA, La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, VII, in Risoluzione dei contratti, Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, p. 452; in giurisprudenza: Cass., 14 ottobre 1947, n. 1607, in Giur. completa Cass. civ., 1947, XXVI, 2° quadrim., p. 347.
Un’ultima questione rimasta aperta è se l’eccessiva onerosità possa essere fatta valere in via d’eccezione per neutralizzare la richiesta di adempimento o di risarcimento dei danni avanzata da parte attrice. Siffatta questione assume una particolare valenza, in caso di risposta negativa, che comporterebbe l’automatica esclusione della proponibilità della difesa in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c.. Non vi è una risposta certa, seppur dal punto di vista pratico una simile possibilità sia da escludersi, essendo consentito chiedere solo in via riconvenzionale la risoluzione del contratto. Sull’argomento X. XXXXX, voce Eccessiva onerosità sopravvenuta, in Digesto disc. priv. sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 242. Per gli orientamenti volti ad escludere la proponibilità di tale rimedio in via d’eccezione, si veda Cass., 26 ottobre 2004, n. 20744, in Giust. civ. mass., 2004.
2.2 L’applicazione dell’art. 1467 c.c. al contratto preliminare
Se il fattore temporale è il leit motiv dell’intera trattazione, nel presente Paragrafo esso diviene oggetto di analisi per quel che attiene la decisione dei contraenti - rapportabile alla necessità ovvero alla strategia - di posticipare l’assunzione di taluni impegni114.
Alcune difficoltà, concomitanti alla costruzione di un rapporto contrattuale, possono, infatti, essere arginate ricorrendo a contratti - talvolta anche a mere clausole - che consentono di “prendere tempo”. Se si pensa all’applicazione pratica di un siffatto accorgimento nell’ambito degli investimenti imprenditoriali, si potrà comprenderne l’utilità, consistente ad esempio: (i) nello studiare adeguatamente gli assetti proprietari della società controparte; (ii) nel valutare i fattori di rischio; (iii) nel procedere all’espletamento di un’adeguata due diligence; ovvero semplicemente
(iv) nel reperire il finanziamento necessario a realizzare l’operazione negoziale voluta115.
Possiamo, dunque, concepire i vincoli preliminari come dispositivi di allocazione delle risorse, idonei a far fronte alle difficoltà di predisporre contratti fin da subito esaustivi, soprattutto laddove si operi nella trama di operazioni imprenditoriali o societarie116.
Nell’analisi delle convenzioni prodromiche è, in primo luogo, doveroso soffermarsi sul contratto preliminare117, essendo quest’ultimo la più diffusa tra quelle figure negoziali o pre-negoziali, unilaterali o bilaterali, preordinate alla formazione di un futuro contratto118.
114 Nel Paragrafo concernente i contratti di durata si è, infatti, appurato il ruolo da protagonista riservato al tempo nei rapporti giuridici legati all’organizzazione d’impresa.
000 X. XXXXXXXXX, Xx contratto di opzione, Milano, 2007, p. XII.
116 X. XXXXX, Il contratto, Bologna, 2011, p. 615, precisa che il preliminare può pacificamene applicarsi anche ai contratti associativi, essendo diffusi nella prassi i preliminari di società e di consorzio.
117 X. XXXXXXXX, voce Contratto preliminare, contratto preparatorio e contratto di coordinamento, in Enc. dir., X, p. 175.
118 C.G. TERRANOVA, L'eccessiva onerosità nei contratti, artt. 1467 - 1469, Il Codice Civile, in Commentario
diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Milano, 1995, p. 94.
Occorre muoversi dalle peculiarità del preliminare119, per arrivare a comprendere come anche questo vincolo - autonomamente e prima della conclusione del contratto definitivo - possa essere colpito da fenomeni avulsi dalla volontà dei contraenti e in grado incidere sul valore e sulla funzionalità delle prestazioni contrattuali120.
La sequenza preliminare-definitivo è tra le più affascinanti, avendo fatto la prima apparizione sulla scena del mercato, quando era ancora sconosciuta alle elaborazioni dei dotti121. Tale considerazione, combinata con il vasto consenso raccolto dal preliminare tra gli operatori del mercato, è la dimostrazione di come - al presentarsi di determinate occorrenze - la pratica degli affari fornisca risposte
119 La stessa definizione di contratto preliminare, seppur non espressamente riscontrabile nella disciplina codicistica, ne conferma la natura autonoma e scindibile dal correlato contratto definitivo. Il preliminare bilaterale è definito come il contratto mediante il quale le parti si obbligano a concludere in futuro un ulteriore contratto già interamente determinato nei suoi elementi essenziali, si veda X. XXXXXXXX, Dei contratti preliminari nel diritto moderno italiano, Milano, 1896, poi trasfuso in voce Contratto preliminare, in Enc. giur. it., III, 2, 3, Milano, 1902, pp. 68 ss..
X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), II, 3° ed., Torino, 2004, p. 268, precisa che per contratto preliminare si intende: “Il contratto con cui le parti si impegnano a stipulare, in futuro, un altro contratto, chiamato - per contrapposizione - definitivo”. Il preliminare va distinto dal contratto in cui le parti vogliono fin da subito la produzione di effetti definitivi, ma si promettono reciprocamente di riprodurre il consenso in un secondo momento nonché dalla minuta o puntuazione che appartiene alla fase non vincolante della trattativa.
Si vedano X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, 1992, p. 12 e X. XXXXX, Il contratto, Bologna, 2011, p. 613, che evidenzia come la figura sia data per scontata nel codice civile. Al preliminare vengono, infatti, dedicate norme sparse qua e là, per regolarne singoli profili: la forma (art. 1351), uno specifico rimedio contro l’inadempimento (art. 2932) e la trascrizione (art. 2645 bis).
120 Molte decisioni giurisprudenziali hanno valorizzato la necessità di restituire certezza anche ai vincoli “non definitivi” intaccati da alterazioni impreviste. Con la sentenza Xxxx., 8 giugno 1982, n. 3464, in Rep. Giur. it., 1982, voce Obbligazioni e contratti, in Giust. civ. mass., 1982, p. 1267, si ammette la compatibilità della previsione di cui all’art. 1467 c.c. con il preliminare di vendita, effettuando una valutazione dell’eccessiva onerosità con riferimento al momento stabilito per l’adempimento della prestazione del contraente che chiede la risoluzione, ovvero a quello successivo in cui l’adempimento stesso risulti differito per fatto e colpa della controparte. Tra le tante decisioni si vedano: Xxxx., 13. gennaio 1984, n. 275, in Giur. it., 1985, I, p. 1, 362; Cass., 22 novembre 1985, n. 5785, 1985, in Rep. Foro it. 1985, voce Contratto in genere, n. 285; Cass., 18 luglio 1989, n. 3347, in Foro it., 1990, c. 564 e in Giust. civ., 1989, I, p. 2564; Cass., 31 ottobre 1989, n. 4554, in Rass. giur. en. elet., 1991, p. 523; Cass., 21 febbraio1994, n. 1649, in Giust. civ. mass., 1994, p.185.
121 X. XXXXX, Il contratto preliminare, Obbligazioni e contratti, II, in Tratt. dir. priv. (diretto da X.
Xxxxxxxx), 00, 0x xx., Xxxxxx, 0000, p. 514. Il contratto preliminare è nato in Germania, dove non ha avuto la medesima diffusione che ha avuto in Italia, complice il fatto che l’ordinamento tedesco in caso di mancata attuazione del preliminare consente di ricorrere ad una mera sentenza di condanna, così X. XXXXXX, Il contratto preliminare, Padova, 2002, p. 350 e X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, 1992, p. 26.
concrete più velocemente non solo del legislatore, ma anche di dottrina e giurisprudenza.
Come già accennato, la scissione dell’attività giuridica in due fasi permette di onorare esigenze pratiche di particolare rilevanza122, che trovano diversa applicazione a seconda del tipo contrattuale123. Ad esempio, attraverso il preliminare di una vendita immobiliare, il promittente acquirente può prenotare l’acquisto rinviandone gli effetti reali, cosicché “un’eventuale contestazione lo trovi legittimato passivo ad un’azione di adempimento, piuttosto che legittimato attivo di un’azione di risoluzione”124.
Riepilogando, le parti hanno interesse a stipulare un contratto preliminare, ove vogliano cogliere l’attimo favorevole fissandone subito solo gli elementi oggettivamente essenziali, che saranno completati in un secondo momento con la conclusione del negozio definitivo125.
000 X. XXXXXX, Xx contratto preliminare, Padova, 2002, p. 3, ricostruisce le motivazioni che possono spingere un soggetto a concludere un contratto preliminare, ossia quando: (i) il contenuto dell’accordo non può essere determinato in tutti i suoi elementi, ma le parti intendano vincolarsi; (ii) una parte non è in grado di adempiere immediatamente; (iii) la conclusione del definitivo dipende dal rilascio di un’autorizzazione.
C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 2° ed., p. 182, osserva come ci sia un ricorso frequente al preliminare nelle vendite immobiliari, ove le parti costituiscono immediatamente un vincolo obbligatorio sull’alienazione di un bene, con effetti analoghi a quelli della vendita obbligatoria, riservando ad un successivo atto la creazione del titolo costitutivo dell’effetto reale. Il preliminare, in questo settore, offre tra l’altro il vantaggio di non addossare alle parti gli oneri fiscali di un’operazione che non è ancora matura per l’adempimento. L’autore precisa, inoltre, che la validità dell’impegno preliminare è esclusa solo per quei negozi che esigono una libertà nella decisione attuale del soggetto, come i negozi familiari, il testamento, la donazione. In particolare, il vincolo preliminare contrasta irrimediabilmente con la causa liberale della donazione, che non può costituire un atto giuridicamente dovuto.
000 X. XXXXXX, Xx contratto preliminare, Padova, 2002, p. 4, sostiene che la contrattazione preliminare può
ritenersi estranea al concetto di contratto tipico, non potendosi contrapporre il preliminare ai tipi di contratto normativamente previsti. Invero, il preliminare costituisce uno schema neutro, nel quale possono essere provvisoriamente trasfusi contenuti dei più diversi tipi contrattuali.
124 Cit. X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto preliminare, II, Obbligazioni e contratti, in Tratt. dir. priv. (diretto da X. Xxxxxxxx), 00, 0x xx., Xxxxxx, 0000, p. 514.
125 X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, 1970, p. 54. Anche X. XXXXXXXX, La compravendita, Torino, 2009, pp. 401 ss., precisa a sua volta, in modo esaustivo, quali potrebbero essere i motivi che spingono le parti a concludere un preliminare.
L’operatività del meccanismo preliminare-definitivo126 è stata perfezionata dalla legge, che l’ha reso ancor più appetibile, attraverso previsioni inserite nel codice civile o in leggi speciali, come:
1) la sostituzione del consenso mancante per la conclusione del contratto definitivo, con la sentenza di cui all’art. 2932 c.c.127;
2) la possibilità di trascrivere il preliminare, intervenuta con legge 28 febbraio 1997, n. 30 (cfr. art. 2645 bis c.c.);
3) la previsione di cui all’art. 2775 bis c.c., relativa al credito per la mancata esecuzione di contratti preliminari, e quella di cui al successivo art. 2825 bis c.c., concernente l’ipoteca sul bene oggetto di un contratto preliminare;
4) la tutela in sede fallimentare prevista dal comma 5, art. 72, legge fallimentare, secondo cui: “Qualora l’immobile sia stato oggetto di preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645 bis codice civile e il curatore, […], scelga lo scioglimento del contratto, l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all’art. 2775 bis codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento”.
Peculiare valore deve, altresì, essere attribuito alla possibilità di rifiutare legittimamente l’adempimento del definitivo quando un contraente venga a conoscenza di circostanze prima ignote ovvero quando si verifichi un mutamento di quelle precedentemente conosciute128.
126 X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, 1970, p. 11.
127 Si cfr. X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXXXXX, Contratto preliminare, I, Diritto Civile, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1988, p. 10, ove il rimedio è definito coraggioso, felice e necessario.
128 Numerosi sono i casi in giurisprudenza in cui è considerato legittimo il rifiuto a stipulare il definitivo anche se azionato chiedendo la risoluzione del preliminare. Si veda ad esempio la decisione: Cass., 11 febbraio 2000, n. 1525, in Giust. civ. mass., 2000, p. 303, che ha ritenuto legittimo il rifiuto a concludere il contratto definitivo di acquisto di un immobile sul quale era stata trascritta un’ordinanza di acquisizione del patrimonio comunale, perché abusivo, benché nel corso della causa fosse sopraggiunto il condono.
In tema di vincoli di inedificabilità, rilevanti ai fini della presupposizione, si veda la sentenza Xxxx., 17 dicembre 1991, n. 13578, in Mass. giur. it., 1991, rinviando la questione al Capitolo II, Paragrafo 1.1 della presente trattazione. Con riferimento ai vincoli di inedificabilità, si rinvia ad X. XXXXXXXX, La compravendita, Torino, 2009, p. 410, il quale ritiene che il D.P.R. 6 giugno 0000, x. 000 (xx cui art. 46 prescrive la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione, lo scioglimento di diritti reali relativi ad edifici, ove dai suddetti atti non risultino gli estremi del permesso di costruire
In questo caso, qualora non vi fossero i presupposti per giustificare un rifiuto a concludere il contratto definitivo, l’altra parte (contro cui il rifiuto viene fatto valere) potrà sempre chiedere al giudice l’esecuzione in forma specifica del medesimo, attraverso una sentenza che ne produca gli effetti, ex art. 2932 c.c..
A questo punto occorre capire quali poteri siano riconosciuti in questa sede al giudicante e se quest’ultimo possa procedere alla modifica dell’oggetto del contratto, dando esecuzione ad un accordo non totalmente corrispondente al preliminare129. Nel fare ciò, pensiamo ad esempio alla diffusa ipotesi in cui il rifiuto a stipulare il contratto definitivo sia giustificato da vizi riscontrati nella cosa venduta.
o del permesso in sanatoria) e le altre nullità, già previste dalle legge 28 febbraio 1985, n. 47, siano applicabili anche al preliminare quando la costruzione abusiva non sia suscettibile di sanatoria. La giurisprudenza maggioritaria si è, tuttavia, mostrata contraria a riconoscere l’applicazione di tali norme ai contratti preliminari non essendo dotati di effetti reali, tra le altre si vedano: Cass., 19 dicembre 2013, n. 28456, in Giust. civ. mass., 2013; Cass., 4 gennaio 2002, n. 59, in Foro it., 2002, I, c. 366;
Cass., 28 marzo 1997, n. 2776, Mass. Foro it., 1997 e Cass., 2 aprile 1996, n. 3028, in Foro it., 1996, I, p. 2036, da ultimo Cass., 9 maggio 2016, n. 9318, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx. Contra tale opinione si confronti: Xxxx., 17 ottobre 2013, n. 23591, in Diritto & Giustizia, 2013 e in Imm. e propr., 2013, p. 12, che estende, l’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, anche al preliminare poiché avrebbe ad oggetto la stipulazione di un contratto definitivo nullo per contrarietà a norma imperativa. Nello stesso senso anche Xxxx., 17 dicembre 2013, n. 28194, in Diritto e Giustizia online, 2013.
129 L’integrazione del contratto preliminare è in generale consentita purché essa non turbi l’economia del contratto e non incida sull’oggetto o sulla causa prefigurata nello stesso, per approfondimenti X. XXXXXX, Il contratto preliminare, Padova, 2002, p. 370.
Sul rapporto tra sopravvenienze e sentenza costitutiva si veda Cass., 23 febbraio 2001, n. 2661, Giur. it., 2001, p. 1824, di cui in particolare si ricordano i fatti giudiziari che portarono al ricorso in Cassazione: il tribunale di primo grado respinse una domanda tendente alla risoluzione per inadempimento del contratto preliminare, dichiarandolo risolto per eccessiva onerosità sopravvenuta. La sentenza venne impugnata da parte soccombente ed, in via incidentale, da parte vincitrice che ripropose la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento del promittente acquirente. La Corte d'Appello di Palermo (in accoglimento dell'impugnazione principale e respinta quella incidentale) trasferì la proprietà del vano, oggetto di contestazione, al promittente acquirente subordinando detto trasferimento al versamento, da parte di quest'ultimo, della somma di lire 250.000.000 e consentendo allo stesso di sospendere il pagamento del residuo prezzo sino alla liberazione, da effettuarsi a cura e spese del promittente venditore, delle garanzie reali gravanti sul bene. La sentenza fu impugnata con ricorso in Cassazione dalla parte venditrice, senza buon esito. La Cassazione confermò, infatti, la sentenza d’Xxxxxxx non ravvisando i presupposti dell’eccessiva onerosità e ribandendo il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui: “In sede di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, è legittimo un intervento del giudice volto a riequilibrare il sinallagma funzionale alterato dalla presenza di oneri o vincoli sul bene non conosciuti dalla parte. Più in particolare […] in materia di contratto preliminare di vendita immobiliare, l'inadempienza del promittente all'obbligo di provvedere alla cancellazione di pregresse ipoteche, ovvero la sopravvenienza di trascrizioni o iscrizioni implicanti pericolo di evizione, non osta a che il promissario possa chiedere l'esecuzione in forma specifica a norma dell'art. 2932 c.c.”.
Xxxxxx, nonostante alcune titubanze iniziali130, la Cassazione ha riconosciuto, al giudice il potere di integrare l’oggetto del preliminare evitando, però, di consegnare al terzo imparziale uno strumento in grado di frustare l’autonomia contrattuale131.
Il giudice è stato, infatti, autorizzato a modificare l’accordo solo in presenza di difformità relative al valore del bene, non sostanziali e non incidenti sull'effettiva utilizzabilità dello xxxxxx000. La ratio è (anche in questo caso) quella di conservare il contratto senza però introdurre elementi totalmente nuovi e non corrispondenti all’interesse perseguito dalle parti.
I limiti al potere di intervento del giudice sul contratto, saranno adeguatamente approfonditi nel Capitolo finale del presente scritto, ritorniamo, quindi, sull’argomento principe, ossia sull’applicazione dell’art. 1467 c.c. al preliminare, poiché “proprio il preliminare costituisce terreno elettivo per il funzionamento di tale disciplina”133.
130 Sul punto X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, 1992, pp. 205 ss., ritengono che la crescente rilevanza economica del fenomeno della contrattazione preliminare abbia indotto la giurisprudenza a cambiare idea: “Se, oggi, si può fondamentalmente affermare che la maggioranza degli acquisti immobiliari avviene attraverso il ricorso alla fase intermedia della stipulazione preliminare, costituirebbe un’indubbia anomalia del sistema il ritenere che la parte acquirente non possa nella sostanza beneficiare dei rimedi previsti per la vendita definitiva, dato che alla conclusione immediata di quest’ultima non si addiviene quasi sempre per volontà di parte venditrice di conservare il diritto reale sul bene o per rispettiva intenzione di cautelarsi da possibili gravi inadempimenti nella realizzazione del bene stesso” cit. p. 2230.
131 Così di X. XXXXXXXX, La compravendita, Torino, 2009, p. 420, quest’ultimo esclude l’applicabilità
delle regole sulla garanzia della vendita al preliminare, in quanto inadeguate e superflue. X. XXXXXX, Il contratto preliminare, 2011, pp. 377 ss., precisa che l’azione di riduzione del prezzo non deve essere considerata un rimedio specifico del contratto di compravendita, potendo trovare applicazione generale nei contratti a prestazioni corrispettive, come mezzo di salvaguardia dell’equilibrio delle prestazioni.
132 Cass., 31 luglio 2012, n. 13739, in Dir. giustizia, 2012: “In presenza di difformità non sostanziali e non incidenti sull'effettiva utilizzabilità del bene ma soltanto sul relativo valore, il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell'accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l'azione di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell'art. 2932 cod. civ., chiedendo cumulativamente e contestualmente l'eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo. Dunque, l'azione di esecuzione specifica del contratto a norma dell'art. 2932 cod. civ. e l'actio quanti minoris ben possono cumularsi ed essere, quindi, proposte con il medesimo atto”. Sono conformi le seguenti sentenze: Cass., 26 gennaio 2010, n. 1562, in Xxxxx. xxx. xxxx., 0000, 0, x. 00; Cass., sez. II, 15 febbraio 2007, n. 3383, in Diritto e Giustizia online, 2007, in Giust. civ. mass., 2007, p. 2, in Obbl. e contr., 2007, 6, p. 550; Cass., sez. II, 8 ottobre 2001, n. 12323, in Giust. civ. mass., 2001, p. 1720.
133 Cit. X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, in Trattato del Contratto, a cura di X. Xxxxxxxx, III, Effetti,
Milano, 2006, p. 494.
Innanzitutto, il preliminare ben si accosta al tema dell’eccessiva onerosità sopravvenuta poiché presuppone un lasso di tempo, più o meno ampio, prima di che si giunga alla conclusione del definitivo. Del resto, se prima dell’intervento del definitivo la prestazione del promittente non può dirsi attuata, con la conclusione di quest’ultimo si realizza ed esaurisce la funzione stessa del vincolo preliminare134.
Disponendo per il futuro, il contratto preliminare potrebbe identificarsi con la categoria dei contratti ad esecuzione differita e giustificare un’applicazione dell’art. 1467 c.c.135 a prescindere dall’onerosità del definitivo che, il più delle volte, si configura come un contratto istantaneo136.
Un limite alla possibilità di avvalersi del rimedio di cui all’art. 1467 c.c. può, però, dipendere dal fatto che spesso i contraenti ricorrono al preliminare proprio al fine di controllare le sopravvenienze in una prima fase del rapporto, anche introducendo nel testo specifici meccanismi di protezione (i.e. clausole di recesso o di indennizzo)137. In questo caso la risoluzione codicistica può essere chiesta solo per il verificarsi di sopravvenienze straordinarie ed imprevedibili non neutralizzate dalle previsioni del preliminare138.
Pensiamo ad un aumento dei prezzi eccessivo o ad una svalutazione monetaria eccezionale, non rientrante nell’alea normale del tipo contrattuale139.
134 E. AL MUREDEN, Le sopravvenienze contrattuali. Tra lacune normative e ricostruzioni degli interpreti, Padova, 2004, p. 78 e X. XXXXXX, Dell’eccessiva onerosità, in Libro IV delle obbligazioni, in Commentario Scialoja-Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna-Roma, 2010, p. 91.
135 Così X. XXXXXXXX, La compravendita, Torino, 2009, p. 421 e X. XXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, 1966, p. 244.
In giurisprudenza Cass., 31 ottobre 1989, n. 4554, in Rass. giur. en. elet., 1991, p. 523: “La risoluzione per eccessiva onerosità è ipotizzabile anche per il contratto preliminare, che ben può ricondursi allo schema ed al meccanismo del contratto ad esecuzione differita, sia pure sulla base del giudizio che, date le peculiarità tipiche del particolare tipo di contratto e la sua connessione con il contratto definitivo - con il quale, anche per la prevista coercibilità, concorre a realizzare la fattispecie traslativa - non può prescindere dalla considerazione e valutazione del regolamento fissato per l’adempimento delle prestazioni corrispettive previste dal contratto definitivo”.
136 C.G. TERRANOVA, L'eccessiva onerosità nei contratti, artt. 1467 - 1469, Il Codice Civile, in Commentario diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, x. 00 x X. XXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, 1966, p. 244. 000 Xxx. X. XXXXXX, Xx contratto preliminare, Padova, 2002, p. 6.
138 Non è possibile affermare in astratto quali eventi posso essere considerati imprevedibili o straordinari, così X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, in Trattato del Contratto, a cura di X. Xxxxxxxx, III, Effetti, Milano, 2006, p. 496.
139 Una Cassazione del 1980 ha ritenuto eccessiva la svalutazione passata dal 7% al 21%: “Invero, agli effetti dell’eccessiva onerosità di un contratto preliminare di vendita di beni immobili, il giudice di merito deve considerare comparativamente sia il valore dei beni anzidetti sia quello della prestazione corrispettiva, tenendo conto, a quest’ultimo riguardo, della svalutazione monetaria che, nell’arco di tempo previsto dal contratto - e
Il preliminare non è, quindi, del tutto immune alle sopravvenienze idonee ad azionare il meccanismo previsto dall’art. 1467 c.c..
In proposito, anche la tesi che vorrebbe ricondurre la valutazione dell’eccessiva onerosità al valore delle prestazioni del solo definitivo, escludendola implicitamente con riguardo al preliminare, deve ritenersi superata e smentita dalle pronunce giurisprudenziali140. Questa desueta concezione reputava immune dal rimedio di cui all’art. 1467 c.c. il contratto strumentale al definitivo, poiché ritenuto privo di un carattere economico.
All’opposto, il preliminare - pur essendo un contratto prodromico al definitivo, con il quale le parti si obbligano a stipulare un secondo contratto - ha già enunciati i termini del sinallagma contrattuale potenzialmente intaccabili da sopravvenienze141.
successivamente prorogato come nel caso di specie, dalle parti - per la stipulazione del contratto definitivo, abbia diminuito il valore intrinseco del prezzo ancora dovuto […]” cit. Cass., 4 novembre 1980, n. 5905, in Foro it., 1981, I, c. 1343. Nel medesimo senso si muovono le decisioni che hanno attribuito rilievo all’aumento considerevole dei prezzi nel periodo tra gli anni 1973 e 1975, si confronti in proposito Cass., 13 febbraio 1995, n. 1559, in Xxx. xxx.,0000, p. 601.
140 Tale tesi è riconducibile ad X. XXXXXXXX, Contratto preliminare, opzione ed eccessiva onerosità, in Riv. dir. comm., 1974, pp. 376 ss. e a X. XXXXXXX, Risoluzione e rescissione dei contratti, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1949, p. 170.
Contra in giurisprudenza: Cass., 3 agosto 1990, n. 7833, in Giur. it., 1991, I, 1, p. 163; Cass., 31 ottobre
1989, n. 4554, in Rass. giur. ener. elet., 1991, p. 523; Cass., 9 ottobre 1989, n. 4023, in Giur. it., 1990, I, 1, c.
944; Cass., 13 gennaio 1984, n. 275, in Giur. it., 1985, I, 1, p. 362; Cass., 8 giugno 1982, n. 3464, in Rep. Giur. it., 1982, voce Obbligazioni e contratti, in Giust. civ. mass., 1982, p. 1267; Cass., 20 gennaio 1976, n. 167, in Giust. civ., 1976, I, p. 918. In dottrina, tra gli altri: X. XXXXXX, I vincoli preliminari ed il contratto, Milano, 1974, p. 228; X. XXXXXX, Il contratto preliminare, Napoli, 1967, p. 133; A. ALABISO, Il contratto preliminare, Milano, 1966, p. 24. Si aggiunga X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), II, 3° ed., Torino, 2004, p. 704, secondo cui: “Le osservazioni ora riportate non convincono. Perché mai assoggettare il promittente danneggiato dalla sopravvenienza all’azione di cui all’art. 2932, e concedergli un’azione a parte per la risoluzione?”.
X. XXXXXX, Il contratto preliminare, Padova, 2002, p. 15, evidenzia, infine, come sia deficitaria la tesi che riconduce la valutazione dell’eccessività alle sole prestazioni del definitivo: “Non vi è alcuna coincidenza logica, né giuridica, tra contratto preliminare e definitivo, i contratti si distinguono sia come tipi di atto, sia con riguardo agli effetti che producono”.
141 Sul punto X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, I rimedi sinallagmatici, Obbligazioni e contratti, II, in Tratt. dir. priv. (diretto da X. Xxxxxxxx), 00, 0x xx., Xxxxxx, 0000, p. 678 - 679, afferma: “L’onerosità non si deve né si può misurare dal costo intrinseco della prestazione […] ma dal disvalore delle conseguenze patrimoniali che essa comporta: il valore delle conseguenze dell’atto strumentale dipende dal valore delle conseguenze del definitivo”, nello stesso senso anche X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, 1992, p.
151. In adesione a tale pensiero si vedano in giurisprudenza: Cass., 31 ottobre 1989, n. 4554, in Rass. giur. ener. elet., 1991, p. 523; Cass., 8 giugno 1982, n. 3464, in Rep. Giur. it., 1982, voce Obbligazioni e contratti, in Giust. civ. mass., 1982, p. 1267; Cass., 4 novembre 1980, n. 5905, in Foro it., 1981, 1, c. 1343; Cass., 27 settembre 1991, n. 10139, in Giust. civ. mass., 1991, p. 1412, che letteralmente prevede: “La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, ipotizzabile anche per il contratto preliminare in relazione alle
Pertanto, al sopraggiungere - dopo la definizione del preliminare e prima della manifestazione di volontà definitiva - di un fatto che incida, in modo straordinario e imprevedibile, sull’equilibrio economico delle prestazioni che confluiranno nel definitivo, sarà possibile per la parte gravata dall’onerosità avvalersi della risoluzione ex art. 1467 c.c.142.
Ciò è confermato anche dal fatto che la valutazione dell’eccessiva onerosità deve essere eseguita con riguardo al termine fissato per la conclusione del definitivo, seppur si segnalino decisioni che fanno riferimento alla situazione esistente al momento della pronuncia143.
Da ultimo si osservi che, se è incontestabile la risoluzione del preliminare in cui entrambe le prestazioni non abbiano già trovato esecuzione, in giurisprudenza si è giunti a negare tale possibilità laddove si assuma colpita da sopravvenienze la prestazione che sia stata, in gran parte o integralmente, eseguita144. È, quindi, a
prestazioni che le parti hanno previsto quale contenuto del definitivo”. La possibilità di esperire l’azione risolutoria per inadempimento parziale del preliminare, ove il contratto definitivo non esaurisca l’intero contenuto del preliminare, senza che gli ulteriori diritti e obblighi di quest’ultimo vengano meno per relationem, conferma l’autonomia dei due rapporti giuridici, così Cass., 18 novembre 1987, n. 8486, in Foro it. 1988, I, p. 1606.
000 Xxx. X. XXXXXX, Xx contratto preliminare, Padova, 2002, p. 22. Sul punto anche X. XXXXX, Il contratto, Bologna, 2011, p. 622, la quale in breve precisa che: “Vizi e sopravvenienze che, ancor prima del definitivo, colpiscono o mettono a rischio la prestazione dedotta in questo, deludono direttamente l’interesse contrattuale della parte del preliminare, che questa prestazione attende (sia pure tramite il definitivo). E dunque fanno scattare in suo favore, contro il preliminare, i corrispondenti rimedi contrattuali”. In tutti questi casi - come meglio approfondito nel Capitolo III - il rimedio applicabile dal giudicante è esclusivamente quello della risoluzione, non essendo plausibile procedere ad un adeguamento dei valori mutati, in difetto di specifica offerta equitativa della parte contro cui venga fatta valere la risoluzione o di una precisa clausola di rinegoziazione appositamente inserita nel contratto preliminare così X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, in Trattato del Contratto, a cura di X. Xxxxxxxx, III, Effetti, Milano, 2006, p. 495. Si veda in particolare la decisione del Trib. Milano, 9 gennaio 1997, in Xxx. xxx., 0000, x. 00
000 Xx confronti X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, in Trattato del Contratto, a cura di X. Xxxxxxxx,
III, Effetti, Milano, 2006, p. 495.
Per le sentenze che fanno riferimento al momento della domanda si vedano: Cass., 9 ottobre 1989, n. 4023, in Giur. it., 1990, I, 1, c. 944; Cass., 8 giugno 1982, n. 3464, in Rep. Giur. it., 1982, voce Obbligazioni e contratti, in Giust. civ. mass., 1982, p. 1267, al contrario tra le sentenze che fanno riferimento al momento della conclusione del preliminare si vedano: Cass., 3 agosto 1990, n. 7833, in Giur. it., 1991, I, 1, p. 163, e Cass., 4 novembre 1980, n. 5905, in Foro it., 1981, I, c. 1343.
144 Cass., 14 dicembre 1982, n. 6858, in Riv. dir. comm., 1984, II, p. 41, secondo cui: “La risoluzione per eccessiva onerosità non può essere chiesta dalla parte che ha già adempiuto la propria obbligazione”. Si veda anche Cass., 3 maggio 1955, n. 1236, in Giust. civ., 1955, p. 446, ove si precisa: “Se è vero che l’eccessiva onerosità di una prestazione va concepita come alterazione dell’equilibrio tra le prestazioni, tale alterazione può dedursi soltanto allorché entrambe le prestazioni siano da adempiere e non quando una di esse - cioè quella pecuniaria - sia stata già adempiuta in un momento in cui rappresentava l’equivalente economico della controprestazione”.
maggior ragione, considerato irrisolvibile il contratto preliminare ad effetti anticipati per entrambe le parti145.
Al contrario, nel caso in cui sia stato effettuato solo un pagamento parziale e relativo ad una modesta porzione del corrispettivo, la valutazione della turbativa dell’equilibrio, consacrato dalle parti nel contratto, deve essere circoscritta alla parte di prezzo non ancora corrisposta146.
In breve e conclusivamente, al verificarsi di mutamenti di valore delle prestazioni di un preliminare, la parte svantaggiata avrà facoltà di liberarsi dall’obbligo de contrahendo ricorrendo al rimedio di cui all’art. 1467 c.c., fuorché non sia quella che con il proprio comportamento abbia ritardato l’esecuzione del contratto, permettendo che si verificasse la sopravvenienza147. Di tutta risposta la controparte dell’accordo preliminare - oltre a poter paralizzare l’azione risolutiva domandando la riconduzione del contratto ad equità148 - è legittimata, nel caso in cui non ritenga integrati i presupposti di cui all’art. 1467 c.c., a fare valere il proprio diritto all’esecuzione in forma specifica del definitivo.
Una simile dialettica, instaurata nel medesimo giudizio, non sembra comportare particolari problemi processuali, realizzando una piena esplicazione del
C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 2° ed., p. 186, evidenzia come rientri nel normale atteggiarsi del fenomeno nella pratica negoziale che il promittente acquirente anticipi una parte del prezzo o che il promittente alienante anticipi la consegna del bene. Il preliminare non potrebbe, invece, prevedere l’integrale attuazione del rapporto finale, ponendosi in tal caso esso stesso come definitivo.
145 Cass., 13 giugno 1997, n. 5349, in Rep. Giust. civ., 1997, voce Obbligazioni e contratti, n. 288, ha statuito: “Se le obbligazioni sinallagmatiche del contratto definitivo di compravendita - pagamento del prezzo e consegna del bene - sono state anticipate al momento della stipula del contratto preliminare, non può chiedersi la risoluzione di questo per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), poiché questa norma non è applicabile se l’alterazione dell’equilibrio patrimoniale delle predette prestazioni è successivo al loro adempimento”. Si veda anche X. XXXXXX, Dell’eccessiva onerosità, in Libro IV delle obbligazioni, in Commentario Scialoja-Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna-Roma, 2010, p. 96.
146 Cass., 9 luglio 1980, n. 166, in Giur. civ. mass., 1980, p. 1.
147 Contra alcuni autori come X. XX XXXXXXX, Xxxxxxx o ritardato adempimento del contratto ed eccessiva onerosità sopravvenuta, in Giur. completa cass. civ., 1948, II, p. 775, ritengono il rimedio esperibile anche dalla parte che ha per sua colpa differito l’adempimento.
148 In tal caso la congruenza della proposta di modifica è da valutarsi con riferimento al momento della pronuncia, così X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, in Trattato del Contratto, a cura di X. Xxxxxxxx, III, Effetti, Milano, 2006, p. 497.
contraddittorio149. Tuttavia, deve essere oggetto di vaglio anche l’eventualità che la domanda di risoluzione del preliminare sia proposta in una sede processuale differente rispetto all’instaurato o instaurando procedimento di esecuzione in forma specifica150. Siffatta ipotesi è stata espressamente affrontata dalla giurisprudenza che ha escluso la pregiudizialità/dipendenza tra i due giudizi non comminando la sospensione di cui all’art. 295 c.p.c.151.
149 I contraenti potrebbero anche decidere di mantenere il rapporto rinunciando all’effetto risolutorio, così X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, in Trattato del Contratto, a cura di X. Xxxxxxxx, XXX, Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 497.
000 X. XXXXXX, Xx contratto preliminare, Padova, 2002, pp. 336 e 337.
151 “Non sussiste un rapporto di pregiudizialità, tale da giustificare la sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., fra il giudizio di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta del contratto preliminare e quello di risoluzione per inadempimento dello stesso contratto e l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il definitivo, non costituendo l’accertamento della fondatezza della prima domanda di risoluzione un antecedente logico indispensabile per la pronuncia sulla seconda” cit. Cass., 6 novembre 1993, n. 10989, in Giust. civ. mass., 1993, p. 140.
2.3 L’applicazione dell’art. 1467 c.c. al contratto normativo e all’accordo quadro
Tratti comuni al contratto preliminare sono riscontrabili nel contratto normativo o programmatico152.
Seppur la nozione di contratto normativo (non prevista nel codice civile) appaia tutt’oggi controversa - tanto che “nonostante la denominazione” non tutti gli riconoscono natura contrattuale153 - quest’ultimo può definirsi come un’operazione attraverso la quale le parti predispongono anticipatamente il contenuto di contratti che in futuro potranno (e non necessariamente dovranno) essere stipulati tra le stesse parti (c.d. contratto normativo bilaterale) ovvero tra ciascuna di esse e terzi (c.d. contratto normativo unilaterale)154.
Dalla formulazione se ne deduce che il contratto normativo si differenzia dal preliminare poiché, pur creando un vincolo sul contenuto, non obbliga le parti a stipulare il futuro contratto, che rimane un’eventualità155. Invero, nessun contraente di un accordo normativo può costringere l’altro a concludere l’accordo particolare,
152 Il contratto normativo è un regolamento contrattuale che determina il contenuto di una serie di contratti futuri ed eventuali. La natura del contratto normativo è controversa, ma ha perso rilevanza a seguito dell’intervento di Xxxxxxxxxx. Quest’ultimo ha, infatti, ritenuto che l’esistenza di un rapporto contrattuale prescinda dall’assunzione convenzionale di obblighi primari di prestazione e riferendosi, in modo specifico, al rapporto di intermediazione bancaria ha precisato: “Il contratto scritto, una volta stipulato rimane a disciplinare il rapporto tra intermediario e cliente per tutte le successive operazioni rientranti nell’attività di intermediazione mobiliare” cit. X. XXXXXXXXXX, Il diritto civile della legislazione nuova. La legge sull’intermediazione mobiliare, in Banca, borsa e titoli di credito, 1993, I, pp. 314 e 315. Sull’argomento si rinvia ad X. XXXXXXXX e M.L. D’ETTORRE, Il contratto normativo, in I rapporti giuridici preparatori, a cura di X. Xxxxxxxxx, Milano, 1996, pp. 164 e ss..
153 X. XXXXXXXX, voce Contratto normativo e contratto tipo, Enc. Dir., X, 1962, pp. 117 ss.: “Vogliamo dire che è ragione di equivoco, chiamare con il nome di «contratto normativo», un istituto, il quale deve poggiare indubbiamente sopra un elemento volontario, ma che, privo com’è, di funzione dispositiva, non ha affatto la sostanza del contratto” “nonostante il nome (contratto) - che la specificazione «normativo» certo non oblitera - si abbia da fare, non con un contratto, ma con qualche cosa di, almeno parzialmente diverso, e che, pertanto, sarebbe preferibile qualificare altrimenti”. Quest’ultimo preferisce adottare il termine convenzione normativa piuttosto che contratto normativo. Si veda anche Xxxx., 18 dicembre 1973, n. 1706, in Giur. it., 1974, 1, p. 771.
154 A. ALBANESE e M.L. D’ETTORRE, Il contratto normativo, in I rapporti giuridici preparatori, a cura di X. Xxxxxxxxx, Milano, 1996, p. 179 e X. XXXXXXXXXXXX, I contratti normativi, Padova, 1969, p. 50.
Il contratto normativo si distingue dalla minuta che, essendo volta a fissare alcuni punti raggiunti nella trattativa, ha una valenza probatoria.
155 Sulle differenze tra contratto preliminare e contratto normativo si veda Cass., 22 giugno 1968, n. 2096, Giur. it., 1969, p. 2212.
invocando l’art. 2932 c.c. al fine di ottenere una sentenza che produca gli effetti del medesimo.
A ciò si aggiunga, che se il contratto preliminare esaurisce la sua funzione al momento della stipula del definitivo, al contrario il contratto normativo continua ad essere operativo anche dopo la conclusione degli accordi successivi, dal contenuto predeterminato156.
Il contratto normativo richiede autonoma nota, trovando un amplissimo impiego nel settore imprenditoriale157. Per essere precisi, si tratta di uno schema che consente:
(i) per quanto concerne i contratti normativi bilaterali (o interni) di evitare inutili ritardi nelle trattative, creando uniformità nella disciplina concordata tra le parti. Si pensi alle imprese che avvalendosi di produzioni o commercializzazioni in serie intendono predisporre un regolamento unitario, non essendo necessario discutere di volta in volta il contenuto dei singoli contratti che andranno a concludere158;
(ii) per quanto riguarda i contratti normativi unilaterali (o esterni), di predeterminare l’applicazione di regole nei rapporti con i terzi159.
156 X. XXXXXXXXXXXX, I contratti normativi, Padova, 1969, p. 218, individua altre differenze tra cui il fatto che i contratti normativi non soggiacciono ai vincoli di forma individuati all’art. 1351 c.c. per il preliminare.
157 “L’uomo, guidato dallo spirito di previdenza, acuito dalle esigenze di vita moderna (esigenze che a settanta anni di distanza si sono ulteriormente accentuate, n.d.a.), tende sempre più a volgere il pensiero, oltre che agli attuali suoi rapporti economico-giuridici, a quelli che potrà essere indotto ad instaurare nell’avvenire. A tale tendenza sono, evidentemente, da ricondurre tutte le convenzioni con cui si fissa comunque il contenuto di futuri negozi. Queste convenzioni, che hanno appunto per oggetto la disciplina di negozi giuridici eventuali e futuri, vanno sotto il nome di «contratti normativi». La loro funzione è, dunque, una funzione preventiva: le parti vogliono crearsi l’assicurazione che, se un giorno si dovranno porre in essere determinati negozi, questi avranno un certo contenuto” cit. X. XXXXXXX FERRARA, Riflessioni sul contratto normativo, Padova, 1937, p. 53.
158 X. XXXXXXXXXXXX, I contratti normativi, Padova, 1969, pp. 1 e ss..
“I contratti normativi sono contratti su contratti futuri. Ma non sono gli unici: regolano contratti futuri anche i contratti d’opzione; i contratti preliminari; i contratti che vietano futuri contratti, come i patti di esclusiva e di non alienare" cit. X. XXXXX, Xx xxxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000, p. 498.
159 X. XXXXXXXXXXXX, I contratti normativi, Padova, 1969, pp. 160 e ss., l’esistenza di un contratto normativo unilaterale è giuridicamente irrilevante per i terzi che concludono il contratto con una delle parti vincolate, pertanto essi non potranno pretendere l’osservanza delle regole di cui al contratto normativo e l’eventuale mancanza di queste regole non inciderà sulla validità del loro negozio. Secondo l’autore l’obbligazione discendente - per le parti di un contratto normativo unilaterale - di non allontanarsi dalla disciplina concordata nei confronti dei terzi, può assumere natura positiva o negativa a seconda del singolo caso.
In conformità a quest’ultima ripartizione, si osserva che - nonostante permanga il dubbio sulla natura giuridica del contratto normativo (nonché sulla possibilità per quest’ultimo di generare obbligazioni) - la più attenta dottrina ha riconosciuto quantomeno all’accordo normativo unilaterale la qualifica di contratto in senso proprio160.
Tra l’altro, all’accordo normativo unilaterale è ricondotto il contratto di consorzio, con cui le imprese consorziate si obbligano reciprocamente a pattuire determinate condizioni nei contratti conclusi con i terzi161.
Nella pratica la joint venture è stata definita come contratto plurilaterale normativo162, che dà luogo ad un’organizzazione di disciplina giuridica, destinata ad operare nei rapporti tra le parti e nei rapporti tra le parti e i terzi163.
La diatriba sorta attorno alla definizione di contratto normativo non può dirsi sopita neppure alla luce delle pronunce giurisprudenziali. Nota è, in merito, la recente qualificazione come contratto normativo (o quadro) della concessione di
160 X. XXXXXXXXXXXX, I contratti normativi, Padova, 1969, pp. 99 ss., nega la natura di contratto al c.d. contratto normativo bilaterale individuale: “Un contratto si perfeziona soltanto se le parti raggiungano l’accordo su tutti i punti che almeno una di esse chiede vengano a far parte del contenuto del contratto stesso” ma “nella stessa nozione di contratto normativo bilaterale è implica la riserva di alcuni punti”. L’autore riconosce, tuttavia, al contratto normativo unilaterale: (i) la capacità di far sorgere delle obbligazioni in capo a ciascuna delle parti, seppur subordinate alla conclusione di uno o più contratti con i terzi (cfr. p. 167) e
(ii) la natura di rapporto giuridico contrattuale, basandosi anche sull’osservazione che è lo stesso legislatore a definire come contratto l’accordo tra i consociati di cui all’art. 2602 c.c. (quale esempio di contratto normativo individuale, cfr. p. 175).
Il contratto normativo può anche essere collettivo, quando una delle parti è rappresentata da un ente collettivo che concorda con un altro soggetto (sia esso collettivo o individuale) le clausole da inserire nei contratti stipulati dai propri associati.
161 Si cfr. l’articolo 2602 c.c.: “Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese. Il contratto di cui al precedente comma è regolato dalle norme seguenti, salve le diverse disposizioni delle leggi speciali”.
162 “Con il termine joint venture vengono indicate le varie e diverse forme di associazione temporanea tra due o più imprese finalizzate all’esercizio di un’attività economica in un settore di interesse comune, siano essere rivolte all’esecuzione di un’opera complessa, ovvero limitate alla prestazione di particolari servizi o al compimento di un singolo affare” così X. XXXXXXXXXX, Il contratto di subfornitura, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, diretto da X. Xxxxxxx, 2, Torino, 1995, p. 1349. Sul punto si veda anche F.M. XXXXXXXX, Le joint ventures nell’ordinamento giuridico italiano: topiche privatistiche e fiscali, in Contr. e impr., 2002, pp. 350 ss..
163 X. XXXXXXX, Il contratto di joint venture, Milano, 1981, p. 11. Il contratto normativo nei casi citati darebbe luogo ad un’organizzazione secondo X. XXXXXXXX, voce Contratto normativo e contratto tipo, Enc. Dir., X, 1962, p. 122. A riguardo si veda anche X. XXXXXXX, Il contratto plurilaterale, in Trattato di diritto civile, II, 2010, pp. 301 ss., che cita la Cass., 24 dicembre 1975, n. 681, in Giur. comm., 1976, II, p. 780, per la definizione di joint venture, quale: “Contratto associativo atipico distinto dal contratto di società, con il quale le parti pongono in essere un vincolo soltanto interno”.
vendita in esclusiva: “Essa consiste, sul piano strutturale, in un contratto-quadro o contratto normativo, da cui deriva l’obbligo di stipulare singoli contratti di compravendita ovvero l’obbligo di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti, alle condizioni fissate dall’accordo iniziale”164.
Da una lettura superficiale delle massime sul tema si potrebbe, dunque, pensare che la giurisprudenza abbia riconosciuto natura contrattuale all’accordo normativo di concessione di vendita in esclusiva.
In realtà, la qualifica contrattuale di tale rapporto è ancorata all’obbligazione di concludere futuri contratti, che non caratterizza il contratto normativo, ma solo l’accordo quadro.
La Suprema Corte - classificando come contratto normativo le operazioni che prevedono un obbligo di stipulare futuri contratti - ha, quindi, assimilato figure negoziali diverse, giungendo in concreto a disconoscere un’esistenza autonoma del contratto normativo165.
Si è, da altra parte, osservato che la controversia sulla natura contrattuale dell’accordo normativo esaurisce il suo rilievo in una prospettiva più che altro dogmatica e classificatoria, dato che l’accordo normativo genera comunque un vincolo, seppur atipico e condizionato alla conclusione dei futuri contratti166.
Aderendo a tale ricostruzione dottrinale sarebbero, quindi, applicabili al rapporto in esame, in via analogica, alcune norme del codice civile relative alla parte generale del contratto167. Pertanto, a titolo esemplificativo, nel caso in cui un contraente rifiuti ingiustificatamente di stipulare il contratto attuativo alle
164 Si cfr: Cass., 22 ottobre 2002, n. 14891, in Giust. civ., 2003, I, p. 2479; Cass., 22 febbraio 1999, n. 1469, in
Giur. it., 1999, p.1655 e in Giust. civ., 2000, I, p. 1811; Cass., 28 agosto 1995, n. 9035, in Dir. Fall. 1996, II,
p. 851; Cass., 19 febbraio 2010, n. 3990, in Guida dir., 2010, 11, p. 75 e in Giust. civ. mass., 2010, 2, p. 239;
Cass., 11 giugno 2009, n. 13568, in Mass. giur. it., 2009; Trib. Modena, 14 giugno 2012, in Contratti, 2012,
10, p. 825.
In tema di concessione di vendita di autoveicoli con riferimento all’obbligo di inserire, a pena di inefficacia, nei singoli contratti la clausola di riserva di proprietà genericamente inserita nel contratto quadro si rinvia a Cass., 7 aprile 2005, n. 7275, in Mass. Foro it., 2005, c. 606.
165 La giurisprudenza sembra ammettere che ogni volta che c’è un contratto quadro c’è al suo interno anche un accordo normativo, ma non ci consente di capire se possa un accordo normativo sussistere anche senza essere inserito in un accordo quadro.
166 X. XXXXXXXX, voce Contratto normativo e contratto tipo, Enc. Dir., X, 1962, p. 123.
167 Così F. X’XXXXXXXXX, Il contratto normativo, in Obbl. e contr., 2008, p. 63.
condizioni prestabilite dal contratto normativo bilaterale, l’altra parte sarà legittimata a chiedere quantomeno il risarcimento dei danni per violazione della buona fede nello svolgimento delle trattative, ex art. 1337 c.c.168.
In questa ipotesi, stante l’attitudine dell’accordo normativo a perdurare nel tempo, un rifiuto a rispettare i vincoli discendenti dal medesimo potrebbe anche essere giustificato dal fatto che si siano verificate delle sopravvenienze169.
Se così fosse sarebbe possibile richiamare la disciplina dell’eccessiva onerosità sopravvenuta per sottrarsi al vincolo? E qualora la risposta a tale domanda fosse affermativa, sarebbe logico ricorrere a tale istituto?
A differenza del richiamo in precedenza fatto all’art. 1337 c.c., l’applicazione dell’art. 1467 c.c. all’accordo normativo bilaterale, presuppone di aderire preliminarmente (o quantomeno di sottintenderla) alla tesi che riconosce natura contrattuale al rapporto oggetto di disamina e, in secondo luogo, di capire se il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sia compatibile con lo stesso.
Potrebbe - in astratto - richiamarsi la disciplina dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, nel caso in cui il contratto normativo prevedesse un vincolo di contenuto suscettibile di alterazione economica (ad esempio relativo un determinato corrispettivo170) divenuto eccessivamente gravoso171.
168 Si vedano: Cass., Sez. U., 22 luglio 1966, n. 1987, Giur. comm., 1966, I, p. 1896; Cass., Sez. U., 28 ottobre 1966, n. 2688, Giur. comm., 1967, I, p. 18.
Si ricorda anche l’orientamento che ritiene che il contratto normativo - avendo ad oggetto la disciplina di negozi giuridici eventuali e futuri dei quali fissa preventivamente il contenuto - non comporti il sorgere di un rapporto da cui scaturiscono immediatamente diritti ed obblighi per i contraenti, ma detti norme intese a regolare il rapporto, nel caso in cui le parti intendano crearlo, Cass., 18 dicembre 1973, n. 1706, in Giur. it., 1974, 1, p. 771.
169 X. XXXXXXXX, voce Contratto normativo e contratto tipo, Enc. Dir., X, 1962, p. 122 precisa che il contratto normativo dà luogo ad un sinallagma funzionale ad esecuzione continuata e periodica.
170 X. XXXXXXXXXXXX, I contratti normativi, Padova, 1969, p. 101, l’autore nonostante arrivi a negare la natura contrattuale del contratto normativo, ne riconosce l’elemento della patrimonialità “dato il campo, squisitamente economico in cui l’istituto in esame opera”.
Il Trib. Napoli, 6 ottobre 1984, in Resp. civ. e prev., 1986, pp. 350 e ss., ha ritenuto che il contratto di abbonamento, relativo alle operazioni di riparazione e manutenzioni di immobili con l’impegno di applicare per tali attività lo sconto del 20 per cento sui prezzi di listino, costituisse una ipotesi di contratto normativo.
171 Il rimedio della risoluzione potrebbe in seguito essere fatto valere anche per i contratti attuativi (sia tra le parti stesse, sia nei confronti dei terzi, ove si trattasse di contratto normativo unilaterale) in corso di esecuzione, riprodottivi dell’obbligazione alterata. Si veda Cass., Sez. U., 28 ottobre 1966, n. 2688, Giur. comm., 1967, I, p. 18.
Tuttavia, non è facile individuare nella prassi contratti normativi bilaterali che - senza ricadere nell’accezione più ampia dell’accordo quadro - siano nel contempo contrassegnati da un valore economico ed anche sinallagmatici172.
A ciò si aggiunga, la già ricordata facoltà delle parti di evitare consensualmente la conclusione dei contratti particolari173. Del resto quando si stipula un contratto normativo bilaterale “la decisione se concludere o no il contratto particolare ed utilizzare tale strumento per formarne il contenuto deve ancora essere presa da ciascuna parte. Essa è subordinata ad una duplice valutazione positiva, comune a tutte le parti, e cioè non soltanto ad un giudizio affermativo in ordine all’utilità di stipulare un contratto, ma anche in relazione all’utilizzazione, come (parte del) contenuto del medesimo, delle clausole concordate nell’accordo preparatorio”174.
Anche solo facendo riferimento a queste prime indicazioni la disciplina dell’art. 1467 c.c. sembra rimanere sullo sfondo per il contratto normativo.
Torniamo, quindi, al caso concreto, se si considera percorribile per la parte penalizzata dal sopraggiungere dell’eccessiva onerosità, l’alternativa di rifiutare legittimamente la riproduzione delle condizioni non più vantaggiose - individuate nel contratto normativo bilaterale (anche chiedendo alla controparte di modificare lo
Al contrario, se l’eccessiva onerosità colpisse unicamente il negozio particolare, resterebbe limitata a questo non implicando effetti sul contratto normativo, cfr. Trib. Roma, 6 febbraio 1960, in Temi romana, 1960, p. 545. Sulla rescissione degli accordi normativi (e dei contratti dagli stessi disciplinati) si veda X. XXXXXXXXXXXX, Considerazioni sulla rescissione dei contratti preparatori, in Riv. dir. civ., 1968, II, p. 69.
172 Basti pensare al citato contratto di consorzio - battezzato dalla dottrina come un accordo normativo unilaterale avente natura di vero contratto - il quale, essendo un contratto associativo, non può possedere il requisito della sinallagmaticità. Ai contratti associativi manca il requisito della sinallagmaticità, poiché: “Ciò che ciascuna parte conferisce o paga rappresenta un sacrificio economico, rispetto a cui il correlativo vantaggio di entrare a fare parte della società o dell’associazione non costituisce una controprestazione diretta ed immediata delle altre parti: anche queste ultime infatti, affrontano un sacrificio ed ottengono un vantaggio analogo, che risultano rispettivamente ed in ogni caso rivolti all’ente e da esso provenienti in funzione dello scopo comune del contratto” cit. X. XXXXX, Lezioni di diritto privato, 2011, p. 403.
Si scagliano contro l’esclusione dei contratti associativi dai contratti, cui può invece applicarsi il rimedio dell’eccessiva onerosità, sia X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, I rimedi per le sopravvenienza, Obbligazioni e contratti, II, in Tratt. dir. priv. (diretto da X. Xxxxxxxx), 00, 0x xx., Xxxxxx, 0000, p. 679, sia
X. XXXXX, Il contratto, Bologna, 2011, p. 962. Sul tema anche X. XXXXXXX, Il contratto plurilaterale, in Trattato di diritto civile, II, 2010, pp. 301 ss., il quale osserva: “La nozione di contratto con comunione di scopo ha il merito di aver reso possibile la collocazione dei fenomeni associativi nell’ambito del diritto dei contratti”.
173 F. X’XXXXXXXXX, Il contratto normativo, in Obbl. e contr., 2008, p. 64.
174 Cit. X. XXXXXXXXXXXX, I contratti normativi, Padova, 1969, p. 110.
stesso) - chiaramente quest’ultima agirà in tal senso175. La pretesa dell’altro contraente di eseguire un accordo nel rispetto di condizioni di mercato che sono medio tempore mutate è, infatti, contraria al principio di buona fede e, quindi, non si paleserà il rischio per la parte onerata di subire una condanna al risarcimento del danno ex art. 1337 c.c.176.
Si pensi, all’esempio concreto del contratto di castelletto di sconto bancario177, ossia al contratto tra banca e cliente, diretto a fissare il contenuto di futuri contratti di sconto ed a determinare il “limite massimo di fido oltre il quale la banca stessa non prenderà in considerazione altre proposte di sconto”178. Una simile operazione negoziale, costituisce un’ipotesi di contratto normativo bilaterale, che consente alla banca di rifiutare lo sconto non solo alla presenza di titoli privi dei richiesti requisiti, ma anche laddove intervenga un mutamento delle circostanze considerevole, che faccia ragionevolmente venire meno la decisione presa dall’istituto di credito179.
Leggermente diverso è il caso in cui l’eccessiva onerosità colpisca un contratto normativo di tipo unilaterale, la cui natura contrattuale sembra più certa, ma al quale sono per lo più ricondotte ipotesi prive del requisito della corrispettività delle prestazioni. Si tratta di norma di rapporti associativi180.
175 Cfr. X. XXXXXXXXXXXX, I contratti normativi, Padova, 1969, p. 154, il rifiuto dovrà dirsi arbitrario quando sia privo di idonea giustificazione e potrà certo consentire all’altra parte di chiedere il risarcimento del danno per interruzione colposa della trattativa ai sensi dell’art. 1337 c.c., infatti, durante le trattative le parti non sono legate da un contratto, ma in relazione al rapporto che si è venuto a creare si esige un certo comportamento da parte delle stesse.
176 Così F. X’XXXXXXXXX, Il contratto normativo, in Obbl. e contr., 2008, p. 64, si veda anche X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, p. 892.
177 Il castelletto di sconto è l’accordo con il quale la banca si impegna, entro il limite e per il periodo di tempo convenuto, a scontare a favore di un determinato soggetto gli effetti che lo stesso presenterà. Si tratta di una figura negoziale, dalla qualificazione controversa, generalmente inserita in un contratto di apertura di credito. X. XXXXXXX, Castelletto di sconto e apertura di credito in conto corrente: collegamento e autonomia, in Banca borsa tit. cred., 1997, p. 59.
178 X. XXXXXX, L’apertura di credito: profili generali, in Le operazioni bancarie, a cura di G.B. Portale, II, Milano, 1978, pp. 507 ss..
179 La particolare flessibilità di questo strumento nei rapporti tra banca e il cliente ne giustifica la preferenza rispetto al contratto preliminare.
180 X. XX XXXX, La joint venture, in Contratti di collaborazione, a cura di Xxxxxx, in Trattato dei contratti diretto da X. Xxxxxxxx ed X. Xxxxxxxxx, 16, Torino, 2011, p. 1105, dichiara: “In altri termini, caratteristica dei contratti plurilaterali (con comunione di scopo) appare che le prestazioni non sono oggetto di scambio reciproco, bensì parallele”.
In siffatta ipotesi, la parte gravata dall’eccessiva onerosità potrebbe avere interesse (qualora ve ne fossero i presupposti) a ricorre alla risoluzione ex art. 1467 c.c., al fine di svincolarsi dall’obbligo di contenuto nei rapporti con terzi, a cui la stessa non intenda rinunciare181.
Sennonché, anche per il contratto normativo unilaterale, si deve constatare che la parte appesantita dall’onerosità - piuttosto che intentare una gravosa ed incerta causa di risoluzione - potrebbe preferire concludere il contratto (a cui non intende rinunciare) con il terzo, discostandosi dal vincolo derivante dall’accordo normativo, anche a costo di subire una condanna al risarcimento del danno o un’eventuale sanzione di fonte contrattuale (si pensi ad una clausola penale a garanzia dell’osservanza del contenuto disciplinatorio)182.
Alla luce delle brevi osservazioni esposte, il ricorso all’eccessiva onerosità per il contratto normativo (ammessa e non concessa l’applicazione di tale disciplina in mancanza di un correlato obbligo de contrahendo) appare in ogni caso superfluo, residuale ed antieconomico, tanto che questa flessibile costruzione (contrattuale o meno) si mostra, in più circostanze, da sé un espediente confacente alla gestione delle sopravvenienze del rapporto.
Meritevole di attenzione è, anche, il contratto quadro o di coordinamento, essendo altrettanto diffuso nella prassi e caratterizzato da elementi che lo rendono affine sia al contratto preliminare sia a quello normativo. Il contratto quadro, oltre a predisporre il contenuto dei successivi contratti, comporta l’obbligo di conclusione dei medesimi, continuando a produrre i propri effetti fino al raggiungimento dei limiti quantitativi o al termine di scadenza183.
181 Si ricorda che un rifiuto a concludere il contratto particolare non costituisce inadempimento del contratto normativo unilaterale, essendo peculiare di tale operazione negoziale.
182 F. X’XXXXXXXXX, Il contratto normativo, in Obbl. e contr., 2008, p. 64.
183 L’autonomia del contratto quadro è riconosciuta da X. XXXXXXXX, Contratti preparatori e contratti di coordinamento, Studi onore di Xxxxxx, 0000, pp. 721 e ss. e in Riv. dir. com., 1940, II, pp. 21 ss., e da X. XXXXXXXXX, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979, pp. 267 - 268. Quest’ultimo definisce contratti quadro i contratti di distribuzione: “In forza dei quali un operatore economico assume, verso contropartita consistente nelle opportunità di guadagno che si legano alla commercializzazione, l’obbligo di promuovere la rivendita dei prodotti forniti dalla controparte: obbligo il cui adempimento postula la stipulazione di singoli contratti per l’acquisto, a condizioni predeterminate, dei prodotti da rivendere”.
Parte della dottrina proprio per la comunanza di elementi con altre fattispecie contrattuali, non riconosce un’autonoma esistenza al contratto quadro, incasellandolo forzosamente ed ambiguamente nella disciplina del preliminare, che non sopravvive al definitivo, o nella disciplina del contratto normativo, che non impone alcun obbligo de contrahendo184.
Francamente, si può pensare che l’accostamento tra contratto normativo e accordo quadro sia dovuto al fatto che il contratto normativo, autonomamente considerato, non riesce a rispettare la nozione di contratto in senso stretto e che in un accordo quadro è praticamente sempre ricompreso un accordo normativo185.
Oltre che ricorrendo ad un accordo quadro, esigenza di vincolare i contraenti, ora per allora, potrebbe essere perseguita anche avvalendosi di un unico contratto che si protrae nel tempo, in una serie di prestazioni periodiche o successive. Si pensi ad esempio a un mandato cui seguono le relative istruzioni.
184 Tale tendenza è anche dalla giurisprudenza basti solo osservare la massima dianzi riprodotta sulla concessione di vendita. Cfr. X. XXXXXXXXXX, Il diritto civile della legislazione nuova. La legge sull’intermediazione mobiliare, in Banca, borsa e titoli di credito, I, p. 322, nota 20 e X. XXXXXXX, Normativo (contratto), in Digesto Quarto disc. priv. sez. civ., XII, 1995, p. 213, contra X. XXXXXXX, Vorvertrag, Optionvertrag, Vorrecthvertrag, 1965, Berlin-Tubingen, p. 117.
Negli Stati Uniti, il contratto normativo e l’accordo quadro potrebbero essere considerati umbrella agreement: “What differentiates umbrella agreements from other contractual agreements is, therefore, not the time horizon of the contractual arrangement but its function; and the function of an umbrella agreement is to supply clauses that can be used in a defined set of transactions” cit. X. XXXXXX, X. XXXXX, Relational Contract Theory: Confirmations and Contradictions, Paper presented at 24th IMP Conference, Uppsala, Sweden, 2008, p. 9.
Si veda, invece, con specifico riferimento ai contratti aperti il testo di M.P. XXXXXX, The Use of Open Terms in Contract, Colum. L. Rev., 1992, 92, p. 997, secondo cui: “Yet contracts with open terms are attractive despite their defects, because they align individual risk and joint risk at the time of contracting better than do contracts with fixed performance terms”.
185 Si pensi al contratto di conto corrente (al quale è attribuita la qualifica di contratto normativo, avendo la funzione di regolare i rapporti che verranno ad instaurarsi in futuro tra i contraenti): se è pur vero che il servizio di cassa in favore del cliente - proprio del conto corrente - potrebbe in astratto essere assunto del tutto indipendentemente dall’esistenza di un deposito o di un’apertura di credito, è parimenti innegabile che le banche non siano disposte ad aprire un conto corrente se il cliente non versa denaro o se non è concessa un’apertura di credito, sul punto X. XXXXXX, La ricostruzione giudiziaria del rapporto di conto corrente, in Obbl. e contr., 2012, 11, pp. 777 ss..
Si pensi, inoltre, al contratto di sconto, inteso per alcuni come un mezzo di attuazione (o esecuzione) di un principale contratto di apertura di credito, nella cui struttura esso finisce in buona parte per confluire, perdendone la propria autonomia.
Tale modalità operativa si differenzia, però, dall’accordo quadro, poiché in quest’ultimo sono definiti solo i principali elementi negoziali, mentre gli altri troveranno determinazione nei successivi singoli contratti186.
Analizziamo, dunque, le differenze tra il contratto ad esecuzione ripartita e l’accordo quadro, con riferimento all’ipotesi in cui ciascuno di essi sia colpito da eventi sopravvenuti.
Se in un contratto ad esecuzione ripartita e periodica dovessero subentrare turbative di valore - tali da giustificarne il ricorso all’eccessiva onerosità sopravvenuta - la risoluzione produrrà effetti sull’intero rapporto, ad eccezione degli atti che abbiano già trovato esecuzione, come previsto dall’art. 1458 c.c.187.
L’art. 1458 c.c. riconosce, infatti, un effetto retroattivo (tra le parti) alla risoluzione del contratto, salvo che per i contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite.
186 Per comprendere meglio questa ripartizione potrebbe è interessante riprendere il dibattito attinente alle caratteristiche strutturali dell’operazione negoziale di prestazione di un servizio di investimento, in relazione alla quale si registrano due diversi orientamenti interpretativi: “il primo è quello secondo cui l'operazione d'investimento si sostanzierebbe nella conclusione di un unico contratto di mandato, costituto dalla convenzione generale di negoziazione, mentre i singoli ordini di acquisto sarebbero semplici istruzioni o direttive impartite dal mandante al mandatario ex art. 1711 c.c.; il secondo, preferibile, è quello secondo cui l'operazione negoziale di investimento si articolerebbe nella conclusione di un previo accordo generale fra l'intermediario e il cliente - appunto, il «contratto quadro» - e di successivi autonomi contratti di compravendita di strumenti finanziari, esecutivi dello stesso. Scendendo maggiormente nel dettaglio, il contratto quadro è, secondo tale ricostruzione, un accordo con il quale «le parti programmano future (e non ancora definite) operazioni contrattuali di investimento, regolandone preventivamente le condizioni», il quale deve essere nettamente distinto dalle singole operazioni di investimento […]” cit. X. XXXXXXX, L'attività di consulenza finanziaria tra autonomia e propedeuticità ai contratti di investimento (una questione in tema di responsabilità civile dell'intermediario finanziario), in Resp. civ. e prev., f. 6, 2012, p. 2045.
187 Si segnala una recente sentenza con la quale la Corte ha applicato la risoluzione parziale del
contratto ad un particolare caso di contratto istantaneo con prestazioni distinte e frazionabili, parzialmente eseguito: “La risoluzione parziale del contratto, esplicitamente prevista dall’art. 1458 c.c. in riferimento ai contratti ad esecuzione continuata o periodica, deve ritenersi possibile anche nell’ipotesi di contratto ad esecuzione istantanea, quando l’oggetto di esso sia rappresentato non da una sola prestazione, caratterizzata da una sua unicità e non frazionabile, ma da più cose aventi una distinta individualità, il che si verifica allorché ciascuna di esse, separata dal tutto, mantenga una propria autonomia economico-funzionale che la renda definibile come un bene a sé stante e come possibile oggetto di diritti o di autonoma negoziazione” cit. Cass., 2 luglio 2013, n. 16556, in Giust. civ. mass., 2013.
Con riferimento all’accordo quadro troverà, invece, applicazione il principio simul stabunt, simul xxxxxx000, per cui la risoluzione per eccessiva onerosità, oltre a travolgere il contratto quadro, scioglierà pure i contratti attuativi “concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, per cui le vicende dell’uno debbano ripercuotersi sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia”189.
Sennonché, anche nell’ipotesi di accordo quadro potrebbero porsi dei limiti all’estensione retroattiva dell’effetto risolutivo. La Suprema Corte ha, infatti, esteso l’irretroattività della risoluzione, prevista per i contratti ad esecuzione continuata e periodica “analogicamente anche nell’ipotesi in cui le diverse prestazioni di una pluralità di contratti ad esecuzione istantanea (nella specie: vendite) si ricollegano tutte ad un unico complesso rapporto”190.
In particolare, la Cassazione ha equiparato un accordo quadro di rivendita autorizzata e le singole vendite successive (allo stesso collegate), ad unico ampio rapporto di durata, in considerazione del quale le vendite attuative già concluse seguirebbero la sorte stabilita dall’art. 1458 c.c. per le prestazioni già eseguite191.
188 Una applicazione significativa degli effetti della risoluzione sui contratti collegati è stata prevista dal legislatore europeo nella direttiva 2008/48, in tema di credito al consumo, trasposta poi nella legislazione interna, secondo cui nei contratti di credito collegati la risoluzione del contratto di fornitura per inadempimento del venditore/prestatore fa sorgere, in capo al consumatore, il diritto di richiedere anche la risoluzione del contratto di finanziamento collegato.
189 Cit. Cass., 18 settembre 2012, n. 15640, in Diritto e Giustizia online, 2012: “In particolare, ove si tratti di una pluralità di negozi connessi, il collegamento deve ritenersi occasionale quando le singole dichiarazioni, strutturalmente e funzionalmente autonome, siano solo causalmente riunite, mantenendo l’individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sicché la loro unione non influenza la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano. Il collegamento è invece funzionale quando i diversi e distinti negozi, cui le parti danno vita nell’esercizio della loro autonomia negoziale, pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale, vengono tuttavia concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca indipendenza, per cui le vicende dell’uno debbono ripercuotersi sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia”. Il collegamento negoziale sussiste, quindi, quando una pluralità di negozi distinti per struttura, sono unilateralmente o bilateralmente dipendenti, sicché la nullità, l’annullamento e la risoluzione dell’uno si ripercuote sugli altri causandone la caducazione per il medesimo titolo, così X. XXXXX, Profili del collegamento negoziale, Milano, 1999, p. 1. Estende l’obbligo di rinegoziare - di cui parleremo nel successivo Capitolo III - anche ai contratti collegati il Trib. Bari, 31 luglio 2012, in Nuova giur. civ. comm., 2013, p. 117. Nell’ipotesi dei contratti collegati la rinegoziazione riguarderebbe l’insieme dei contratti facenti parti della medesima operazione negoziale e inscindibilmente legati da un nesso teleologico.
190 Cass., 7 novembre 1984, n. 5626, in Arch. civ., 1984, p. 584.
191 La medesima ratio è stata in seguito utilizzata da una decisione del Tribunale di Bari per estendere la tesi dell’obbligo di negoziare (propria dei contratti di durata) alle ipotesi di contratti collegati, cfr. F.P. PATTI, Collegamento negoziale e obbligo di rinegoziazione, commento all’ordinanza Trib. Bari, 31 luglio
La statuizione della Suprema Corte appare ragionevole se si considera che i contratti istantanei, che hanno trovato attuazione prima del verificarsi dell’evento sopravvenuto (e quindi quando la convenzione quadro era valida), sono oramai totalmente immuni ed indifferenti all’alterazione di valore incidente sull’equilibrio dell’accordo quadro192.
A completamento del presente Paragrafo relativo all’accordo quadro, è utile porre l’attenzione sull’ampio ricorso operato nella prassi bancaria a tale strumento.
Le banche si avvalgono di accordi quadro in operazioni per lo più di durata, riguardo alle quali appare verosimile che il decorso del tempo incida sull’andamento dei parametri economici di riferimento193. Il largo utilizzo di un simile strumento extracodistico sembra confermare l’inadeguatezza del codice civile a regolare la realtà attuale del rapporto banca-cliente194.
Anche in questo settore l’applicazione all’art. 1467 c.c., pur essendo ipotizzabile, sembra avere una portata ridotta. Il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia e le autorità di settore hanno, infatti, precisamente regolato molte delle sopravvenienze riferibili ai contratti bancari195.
Esemplare, al riguardo, è il riconoscimento da parte dell’ordinamento del potere per l’istituto bancario di variare unilateralmente le condizioni contrattuali196.
2012, in Nuova giur. civ. comm., 2013, p. 120. Con riferimento all’obbligo di rinegoziare si rinvia al Capitolo III.
192 La massima riprodotta costituisce un precedente isolato. La fattispecie aveva ad oggetto un rapporto continuativo di rivendita autorizzata di prodotti chirurgico-sanitari, in esecuzione del quale le parti avevano stipulato diversi contratti di compravendita degli articoli di volta in volta occorrenti, risolto il contratto, la rivenditrice autorizzata aveva fatto valere il collegamento, con alcune vendite eseguite alcuni giorni prima della risoluzione, al fine di ripetere il prezzo versato. Critico sulla sentenza citata è
X. XXXXX, Profili del collegamento negoziale, Milano, 1999, p. 40.
193 Cit. X. XXXXX, La trasparenza bancaria, in L’attività delle banche a cura di X. Xxxxxx, 2010, p. 42.
194 X. XXXXXXX, Castelletto di sconto e apertura di credito in conto corrente: collegamento e autonomia, in Banca borsa tit. cred., 1997, p. 59.
195 La clausola di ius variandi, costituisce oggettivamente uno strumento di adeguamento del contratto a circostanze sopravvenute nel corso dell’esecuzione o a un mutato assetto di interessi; nella prassi bancaria le banche procedono a variazioni secondo valutazioni solo in parte oggettive, tenendo conto, altresì, di aspetti non propriamente contingenti, bensì legati a esigenze gestionali e alle condizioni soggettive dei contraenti, così A. SCARPELLO, Jus variandi e strumenti di tutela del contraente, relazione al V congresso giuridico per l’aggiornamento forense, Roma, 12 marzo 2010.
196 L’esigenza di modificare unilateralmente i tassi d’interesse e le altre condizioni economiche individuate nel contratto è stata accolta dal legislatore, che ha dato una risposta positiva alle istanze del ceto bancario individuando precise tutele per il cliente, onde evitare che quest’ultimo si trovasse
Sul punto si rileva che si sta “facendo strada” l’idea - accolta anche da alcune decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario197 - che sarebbero le sopravvenienze imprevedibili (e non rientranti nell’alea propria del contratto) a giustificare lo ius variandi della banca198. In altre parole, secondo questa tesi l’art. 1467 c.c. non sarebbe altro che un’ipotesi costitutiva dello ius variandi bancario199. Si viene cosi ad aprire un ponte tra la disciplina bancaria e quella codicistica dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.
A onor del vero, è possibile concepire lo ius variandi200, rinvenibile nelle clausole di pressoché tutti i contratti bancari, come specifico strumento utilizzato dalla banca per gestire (tendenzialmente a proprio vantaggio) le sopravvenienze201.
vincolato ad un rapporto caratterizzato da condizioni economiche diverse da quelle inizialmente previste.
La facoltà riconosciuta all’istituto di credito deve essere originariamente pattuita nel contratto. Si osservi, in proposito, che nell’art. 118 t.u.b. (cosi come riformulato dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141) il legislatore distingue i contratti a tempo indeterminato (dove la facoltà di variazione è più estesa) da quelli a tempo determinato (ove la stessa può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi a oggetto i tassi di interesse, cfr. art. 118, comma 1). Per l’esercizio dello ius variandi deve sussistere un giustificato motivo e bisogna che la banca effettui una comunicazione al cliente, al quale viene riconosciuto il diritto di recedere dal contratto. Ugualmente, la disciplina in questione è applicabile ai contratti aventi ad oggetto servizi di pagamento, così come previsto dall’art. 126 sexies, comma 2, t.u.b.. Confrontando i due articoli sembra potersi ricavare che il nuovo testo dell’art. 118 è costruito in termini di un vero e proprio diritto potestativo dello ius variandi, rispetto all’art. 126 sexies che regola una sequenza procedimentale assai diversa per i servizi di pagamento, meglio riconducibile all’interno di un meccanismo di modifica convenzionale, così X. XXXXXXX, Ius variandi bancario e finanziario tra tolleranza e reazione del cliente, in Banca borsa tit. cred., 4, 2012, p. 415.
197 ABF Milano, n. 98/2010 (Est. Lucchini Guastalla) e ABF Milano, n. 249/2010 (Est. Sciarrone
Xxxxxxxxx).
198 A.A. DOLMETTA, Linee evolutive di un ius variandi, in Ius variandi bancario, Sviluppi normativi e di diritto applicato, a cura A.A. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Milano, 2012, p. 44, dubbioso su siffatta ricostruzione dogmatica di X. XXXXXXXXXX XXXXXXXXX, Interventi normativi sul contenuto regolamentare dei contratti bancari: il diritto di recesso e lo ius variandi, oltre la trasparenza?, Atti del Convegno tenutosi in San Miniato il 22 e 23 ottobre 2010, p. 76.
199 A. SCIARRIONE XXXXXXXXX e X. XXXXXXXXXX, La pluralità delle normative di ius variandi nel t.u.b.: sistema e fratture, in Ius variandi bancario, Sviluppi normativi e di diritto applicato, a cura di A.A. Dolmetta e X. Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Milano, 2012, p. 88, riassumono come segue l’orientamento che riconduce lo ius variandi all’art. 1467 c.c.: “Il giustificato motivo consiste in un fatto successivo alla conclusione del contratto, che, nella sostanza, altera (quantomeno nel suo valore economico) l’assetto degli interessi dei contraenti così come programmato dal contratto stesso, senza che l’alterazione fosse prevedibile al tempo dell’atto - se diversa dall’inadempimento o dal deterioramento delle condizioni patrimoniali del debitore - né il fatto imputabile al contrante a favore del quale sia previsto il ius variandi”.
200 Un’importante regola grammaticale impone di anteporre a ius variandi l’articolo determinativo “il”. Tuttavia la fonetica declina senz’altro l’articolo “lo” così è introdotto il libro a cura di A.A. DOLMETTA e X. XXXXXXXXXX XXXXXXXXX, Ius variandi bancario, in Sviluppi normativi e di diritto applicato, Milano, 2012.
Quest’ultimo, pur essendo rimesso alla decisione dei contraenti (più che altro a quella della banca) incontra precisi limiti nella legge. Si tratta, quindi, di un dispositivo di gestione delle sopravvenienze che si colloca un gradino più in basso degli strumenti di tipo pattizio e un gradino più in alto di quelli normativi (come l’art. 1467 c.c.).
Tra gli esempi di contratti bancari concepiti come accordo quadro, oltre al contratto di investimento202, sulla cui articolazione ancora si discute203, si deve annoverare il contratto tipico di apertura di credito.
L’apertura di credito costituisce, nella pratica, il più diffuso strumento di credito a breve termine “col quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di danaro per un certo periodo di tempo o a tempo indeterminato” (art. 1842 c.c.). Rispetto a questo nucleo essenziale e tipico, i singoli atti di utilizzazione del cliente non possono essere qualificati come atti esecutivi, bensì come contratti autonomi collegati, in relazione ai quali l’apertura di credito funge da contratto quadro204.
201 L’istituto dello ius variandi attribuisce ad un contraente la facoltà di modificare l’assetto del rapporto originariamente pattuito. L’ordinamento delega il controllo dell’economia del rapporto ad una sola parte in quanto con ogni probabilità questa parte - per status, capacità, informazioni - è meglio in grado dell’altra di monitorare costantemente la funzionalità del contratto, così X. XXXXXXXXX, Revisione del rapporto (diritto privato), in Enc. Dir., XL, Milano, 1989, p. 128.
202 Si parla “contratto quadro” riferendosi al contratto a monte degli ordini nelle operazioni di investimento, e che “funge per così dire da reticolo di base nel quale si inseriscono i singoli rapporti operativi (di prestazione) ogni volta che siano voluti dalle parti” cit. X. XXXXXXXXXX, Il diritto civile della legislazione nuova. La legge sull’intermediazione mobiliare, in Banca, borsa e titoli di credito, 1993, I, pp. 314 e 315. Xxxxxxxxxx si riferisce al contratto quadro d’investimento chiamandolo “contratto scritto” ed evocando la rozza espressione dell’art. 6, lett. c) della legge 2 gennaio 1991, n. 1.
203 Sulla natura del contratto di investimento si veda tra gli altri X. XXXXXXXXXXXX, I contratti di investimento e l’efficacia adesiva delle “Sentenze Rordorf”, in Giur. it., 2014, 10, p. 2165, secondo cui il contratto di investimento mostra evidentemente una natura trifasica, articolandosi: (i) nella stipulazione di un contratto quadro; (ii) nella fase intermedia, caratterizzata da flusso informativo che l’intermediario fornisce, ed acquisisce, dal cliente al fine di consentire a quest’ultimo di formare compiutamente la propria volontà di acquisto di uno specifico titolo; ed infine (ii) nell’esecuzione dell’ordine conferito al cliente da parte dell’intermediario.
204 Cit. X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, Diritto della banca e dei contratti bancari, Padova, 2003, p. 231. A
favore di tale orientamento anche X. XXXXXXXX, Contratti preparatori e contratti di coordinamento, Studi onore di Xxxxxx, 0000, pp. 721 e ss. e in Riv. dir. com., 1940, II, pp. 21 ss..
A supplemento di quando detto si osservi che l’apertura di credito - essendo un contratto oneroso, non aleatorio205 e a prestazioni corrispettive206 - ben potrebbe, per le variazioni che non trovino conforto nei rimedi del testo unico bancario, essere risolto ai sensi dell’art. 1467 c.c..
205 Il contratto di apertura di credito non è aleatorio perché le parti conoscono in anticipo le condizioni applicabili al rapporto.
206 Il contratto di apertura di credito è a prestazioni corrispettive perché la banca si obbliga a mettere a disposizione le somme e il cliente a corrispondere gli interessi, così C.G. CORVESE, L’apertura di credito, in L’attività delle banche a cura di X. Xxxxxx, 2010, pp. 125 ss..
2.4 L’eccessiva onerosità sopravvenuta nel preliminare unilaterale e nell’opzione
Al fine di rendere completa l’indagine iniziata nel precedente Paragrafo 2.2 sul contratto preliminare, non è possibile disinteressarsi dei casi in cui le sopravvenienze colpiscono il preliminare unilaterale207.
Come saggiamente evidenziato dalla dottrina, la funzione del contratto preliminare, con obblighi a carico di una sola parte, differisce da quella del preliminare con vincolo per entrambi i contraenti208.
Miratamente, la conclusione di un preliminare unilaterale consente solo all’avente diritto di rimandare la propria decisione, in ordine alla conclusione del definitivo, fino all’ultimo giorno utile per l’esercizio del diritto - eventualmente speculando sulle fluttuazioni del mercato - e di ricorrere, qualora fosse necessario, all’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.209.
L’assenza di contropartita per la parte vincolata alla conclusione del contratto costituisce la principale peculiarità del contratto preliminare unilaterale. Quest’ultima dovrebbe, in ogni caso, avere un interesse alla stipulazione di un simile rapporto, ad esempio di tipo promozionale, reclamistico o tutelativo della scelta consapevole della controparte210.
Da un punto di vista formale, il vincolo unilaterale si perfeziona in difetto di tempestivo rifiuto del destinatario, ai sensi del comma 2, dell’art. 1333 c.c..
207 X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, 1992, p. 345.
208 Il preliminare unilaterale è l’accordo con il quale una sola parte si obbliga a prestare il consenso al definitivo.
209 X. XXXXXXXXX, Contratto preliminare (Sintesi di informazione), in Riv. dir. civ., II, 1993, p. 152 ss. e X. XXXXX, X. Xxxxx e G. De Nova, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), II, 3° ed., Torino, 2004, p. 271. Si veda anche X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, in Trattato del Contratto, a cura di X. Xxxxxxxx, III, Effetti, Milano, 2006, pp. 391 e ss..
210 X. XXXXX, X. Xxxxx e G. De Nova, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), II, 3° ed., Torino, 2004, p. 279, osserva che un preliminare unilaterale privo di una giustificazione, diversa dal mero intento liberale, per essere valido dovrebbe avere la forma della donazione. X. XXXXXXXXXX, I vincoli unilaterali nella formazione progressiva del contratto, Milano, 1954, p. 65, invece, sostiene che la giustificazione al preliminare unilaterale può essere la corresponsione da parte del destinatario della promessa di un premio, ossia una promessa pecuniaria posta a carico della parte non vincolata alla manifestazione di volontà, che non modifica la caratteristica dell’unilateralità sostanziale del preliminare, poiché: “Il premio è una prestazione eventuale, che non ha la funzione del corrispettivo, non rientrante nelle funzioni necessarie del tipo legale”.
Ricostruito per sommi capi lo scheletro del preliminare unilaterale, l’analisi delle sopravvenienze che possono colpirlo sembrerebbe evocare la singolare formulazione di cui all’art. 1468 c.c., secondo cui: “In un contratto nel quale una sola delle parti ha assunto obbligazioni, questa può chiedere una riduzione della sua prestazione ovvero una modificazione nelle modalità di esecuzione, sufficienti per ricondurla ad equità”.
Il citato dettato normativo precluderebbe, dunque, la risoluzione di un preliminare unilaterale per eccessiva onerosità sopravvenuta, offrendo alla parte colpita un mero adeguamento riduttivo o esecutivo211.
Tale deduzione, seppur avvalorata da una parte della dottrina, non può ad ogni buon conto trascurare le prerogative del preliminare unilaterale.
Invero, il preliminare unilaterale è un’operazione negoziale con cui si pone a carico di una sola parte l’obbligazione di stipulare il successivo contratto definitivo, che è, però, nella maggior parte dei casi, a prestazioni corrispettive212.
In virtù di una simile considerazione - combinata con gli esiti raggiunti nel precedente Paragrafo 2.2 che impongono di misurare l’eccessiva onerosità sopravvenuta con riferimento all’equilibrio del contratto definitivo i cui termini sono già enunciati nel preliminare213 - l’unica soluzione percorribile, ove si tratti di un preliminare unilaterale relativo ad un definitivo con obbligazioni per entrambe le parti, appare la risoluzione, liberatoria dell’obbligo de contrahendo, di cui all’art. 1467 c.c. (e non, quindi, l’adeguamento di cui al successivo art. 1468 c.c.)214.
Viceversa, è corretto invocare la reductio ad aequitatem, di cui all’art. 1468 c.c., per il preliminare che obblighi alla stipulazione di un definitivo unilaterale, la cui prestabilita obbligazione sia divenuta, ancor prima della conclusione del contratto definitivo, straordinariamente ed imprevedibilmente gravosa.
A scanso di equivoci, si ribadisce che l’eventuale modifica equitativa del rapporto, ai sensi dell’art. 1468 c.c., non incide sull’obbligazione di tenere vincolata
211 Così X. XXXXXXXXXX, I vincoli unilaterali nella formazione progressiva del contratto, Milano, 1954, p. 77, secondo cui del vincolo unilaterale può essere chiesta solo la reductio ad aequitatum ai sensi dell’art. 1468 c.c.
212 Si veda anche la tesi di X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), XX, 0x xx., Xxxxxx, 0000, p. 704.
213 Per chiarezza si riporta quanto precisato nel Paragrafo 2.2.
una sola parte, bensì su tale obbligo rapportato alla prestazione (divenuta eccessivamente onerosa) che troverà attuazione nel definitivo.
Per completezza è necessario, altresì, richiamare l’opinione più netta di chi - considerando confacente al preliminare con una sola obbligazione unicamente la risoluzione - rammenta che gli ambiti di applicazione degli artt. 1467 e 1468 c.c. non sarebbero “separati da quella profonda barriera che la loro lettera potrebbe far pensare”215.
Il contratto preliminare unilaterale non è l’unico in cui si presenta come dubbia l’applicazione dell’art. 1468 c.c.; un altro esempio è il contratto di opzione216, almeno nell’ipotesi in cui al diritto di opzione non corrisponda una remunerazione, che farebbe diversamente ricadere il contratto nella disciplina dell’art. 1467 c.c.217.
A fronte della diffusa applicazione nella prassi, l’analisi del contratto di opzione richiede una trattazione specifica. All’opposto, non saranno oggetto di
214 X. XXXXXX, I vincoli preliminari e il contratto, Milano, 1974, p. 231.
215 Cit. X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), II, 3° ed., Torino, 2004, p. 704, secondo cui: “Se il preliminare unilaterale dipende da un contratto a prestazioni corrispettive, esso potrebbe essere rettificato o risolto, e in quest’ultimo caso il creditore che subisce la risoluzione ripeterebbe il prezzo pagato. Ma la difficoltà inizia quando il contratto preliminare sia esso unilaterale. La riduzione della prestazione negoziale dedotta nel preliminare non riparerebbe al pregiudizio. Il rimedio deve incidere sulle prestazioni dedotte nel definitivo, altrimenti non raggiunge lo scopo”.
Si veda, in merito, Cass., 10 agosto 1953, n. 2694, in Foro it., 1954, I, p. 1276, la quale nell’accordare la risoluzione di un preliminare di compravendita per onerosità sopravvenuta, verificatasi quando la proposta irrevocabile era in attesa di accettazione, ha esteso tale soluzione ai casi in cui l’onerosità intervenga dopo la formazione del preliminare unilaterale e prima dell’accettazione da parte del promissario acquirente.
216 La sentenza Xxxx., 11 ottobre 1986, n. 5950, in Giur. it., 1987, I, 1, p. 1626, distingue il contratto preliminare unilaterale dalla proposta irrevocabile e dall’opzione, evidenziando come il primo per il perfezionamento del definitivo richieda una successiva manifestazione di volontà, al contrario dell’opzione e della proposta irrevocabile che richiedono una dichiarazione unilaterale dalla parte favorita. Utile a comprendere le differenze è anche Cass., 26 marzo 1997, n. 2692, in Mass. Foro it., 1997,
p. 469: “Il contratto preliminare unilaterale è un contratto in sé perfetto e autonomo, ancorché con obbligazioni a carico di una sola parte, rispetto al contratto definitivo, mentre l’opzione non è che uno degli elementi di una fattispecie a formazione successiva, costituita inizialmente da un accordo avente ad oggetto l’irrevocabilità della proposta e, successivamente, l’accettazione definitiva del promissario che, saldandosi con la proposta, perfeziona il contratto: accordo questo la cui identificabilità è rimessa al giudice di merito, che deve far riferimento al comune intento negoziale”.
217 In proposito, si precisa che non pochi sono gli autori che fondano la differenza tra opzione e proposta irrevocabile sul necessario corrispettivo richiesto dalla prima. Siffatta tesi è riscontrabile anche nella giurisprudenza, in particolare: App. Milano, 11 marzo 1997, in Corr. giur., 1997, pp. 805 ss., in Giur. it., 1998, p. 488 e in Riv. not., 1997, II, pp. 1493 ss., ove si riconosce la nullità dell’attribuzione del diritto di opzione avvenuta senza la specificazione di alcun diritto che la giustifichi e la renda meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
illustrazione né la proposta unilaterale né il patto di riscatto, trattandosi di mere frazioni di un contratto principale che di regola subiscono la sorte del medesimo218.
Con la costituzione di un diritto di opzione si crea, per un certo periodo di tempo, un vincolo del proponente alla propria proposta (considerata irrevocabile per gli effetti dell’art. 1329 c.c.) che lascia, invece, libero l’altro contraente di addivenire alla conclusione del contratto con la semplice dichiarazione di accettazione219.
L’opzione configura, quindi, un contratto preparatorio che nel traffico giuridico assume multiformi varietà. L’opzione può essere ad esempio prevista da un contratto ad hoc oppure essere inserita in un contratto già vigente tra le parti220.
218 Per la precisione la giurisprudenza in taluni casi ha ammesso risoluzione della proposta irrevocabile per eccessiva onerosità sopravvenuta: Cass., 20 marzo 1952, n. 739, in Giur. completa Cass. civ. 1952, 1, p. 611; Cass., 19 aprile 1958, n. 1300, in Rep. giust. civ., 1958, voce Obbligazioni e contratti, n. 570.
Si vedano in merito: X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), II, 3° ed., Torino, 2004, p. 705, secondo cui: “La giurisprudenza riconosce la rimediabilità della proposta unilaterale divenuta onerosa; ma per non ammettere la contestazione di una semplice proposta, differisce il rimedio alla fase successiva alla conclusione del contratto. Vale a dire: l’oblato avrebbe diritto di concludere il contratto; e l’offerente avrebbe diritto di risolverlo”; X. XXXXXXX, Il contratto, Tratt. di dir. civ. e comm., già diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx e continuato da X. Xxxxxxx, XII, 2, Milano, 1987, p. 763, secondo cui: “Sarebbe antieconomico imporre al proponente l’onere di promuovere un giudizio per sciogliersi da un vincolo (che, oltre ad essere strumentale, è anche per sua natura provvisorio) quando potrebbe cautelarsi in maniera adeguata comunicando all’oblato, l’esistenza delle circostanze che, nel caso in cui il contratto si formasse, lo legittimerebbe ad agire o per la sua risoluzione o per il suo annullamento”. La tesi è sposata anche da App. Bari, 7 marzo 1946, in Giur. it., 1948, I, 2, p. 133. Si cfr. anche X. XXXXXX, I vincoli preparatori e il contratto, Milano, 1974, p. 27.
Interessante sull’argomento è la trattazione di X. XXXXXXXXX, I rapporti giuridici preparatori, Milano,
1996, p. XIII, ove l’autore cerca di ricostruire i rapporti giuridici preparatori, evidenziando la tendenza europea ad estendere l’area dei rapporti obbligatori senza obbligo primario di prestazione.
Si sottolinea che la differenza tra proposta irrevocabile ed opzione è netta almeno dal punto di vista classificatorio, essendo la prima una proposta e la seconda un contratto. Pertanto, la dichiarazione nell’opzione rimane ferma per il generale principio di vincolatività del contratto. Diversa è inoltre la disciplina relativa al termine. La proposta irrevocabile senza termine ha natura di proposta semplice, al contrario in presenza di un’opzione senza l’indicazione di un termine ci si potrà avvalere della disciplina ex art. 1183, comma 2, c.c., sul punto si rinvia a C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 2° ed., pp. 262 ss.. La distinzione tra i due istituti viene, invece, fondata da X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), II, 3° ed., Torino, 2004, p. 322, nella causa onerosa dell’opzione.
219 Si veda A. SCIARRONE XXXXXXXXX, L’opzione, in I rapporti giuridici preparatori, a cura di X. Xxxxxxxxx, Milano, 1996, p. 61.
La scadenza dell’opzione può essere articolata secondo il modello europeo, che consente di esercitarla solo a scadenza o secondo il modello americano che consente di esercitare il diritto di opzione durante tutto il periodo precedente alla scadenza, di conseguenza, in qualsiasi momento si può decidere (a seconda del tipo di opzione, call o put) di acquistare o vendere.
220 “Il patto d’opzione può accedere a qualsiasi contratto, il che vuol dire che può essere stipulato nell’iter formativo di qualsiasi contratto; può costituire un contratto autonomo sotto qualsiasi punto di vista, può
La distinzione tra preliminare unilaterale ed opzione non è sempre facile da individuare221, ciononostante può osservarsi che:
(i) con il primo il promittente assume un obbligo di stipulare il definitivo successivamente alla dichiarazione favorevole di controparte. Il definitivo richiede, quindi, una nuova manifestazione di volontà (di entrambi i contraenti, se il definitivo è a prestazioni corrispettive) che potrà essere ottenuta attraverso l’esecuzione in forma specifica di cui all’art. 2932 c.c., nel caso in cui l’obbligato si rifiuti di prestarla;
(ii) ricorrendo ad un contratto di opzione, invece, il concedente assume una posizione di soggezione in correlazione al diritto potestativo dell’opzionario. In questa ipotesi è la mera dichiarazione unilaterale del beneficiario a determinare la conclusione del rapporto xxxxxx000.
Un altro problema rimasto aperto, in materia di opzione, è la sua corrispettività.
costruire una clausola di un contratto tipico trasformandone la formazione rispetto a quella ordinaria, può infine formare oggetto di una clausola di un contratto già perfetto e riguardante una futura attività contrattuale tra le stesse parti” cit. X. XXXXXXXXXX, I vincoli unilaterali nella formazione progressiva del contratto, 2° ed., Milano, 1991, p. 88.
Si vedano anche C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 2° ed., pp. 261 ss. e F. VENOSTA, La forma dei negozi preparatori e revocatori, Milano, 1997, pp. 114 e ss..
221 Un’autorevole dottrina (X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, 1970, p. 308), oramai superata, riconduceva il contratto preliminare unilaterale all’opzione (definendolo come un patto di opzione avente ad oggetto un preliminare bilaterale), seppur quest’ultima sia maggiormente vantaggiosa.
X. XXXXXXXXX, Il contratto di opzione, Milano, 2007, p. 36, precisa che l’effetto tipico di ciascuna fattispecie è diverso: l’opzione permette la conclusione del contratto finale con l’esercizio positivo del diritto di opzione stesso, il preliminare genera un diritto alla conclusione del definitivo.
222 Così X. XXXXXXXXXX, I vincoli unilaterali nella formazione progressiva del contratto, Milano, 1954, p. 186.
Si cfr. anche X. XXXXX, Il contratto, Bologna, 2011, pp. 157 ss. e C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 2° ed., p. 186, il quale nell’enunciare i caratteri distintivi si sofferma sulle regole interpretative che devono individuare l’interesse concretamente perseguito dalle parti. Pertanto, in sede di interpretazione dovrà escludersi che si tratti di preliminare se il dichiarante assume un obbligo in ordine al contratto solo se la parte avrà deciso positivamente, configurandosi in tal caso un’opzione o una proposta irrevocabile di un preliminare o di un definitivo. Per la distinzione si ripercorre la sentenza Cass., 26 marzo 1997, n. 2692, in Mass. Foro it., 1997, p. 469: “Il contratto preliminare unilaterale è un contratto in sé perfetto e autonomo, ancorché con obbligazioni a carico di una sola parte, rispetto al contratto definitivo, mentre l’opzione non è che uno degli elementi di un fattispecie a formazione successiva, costituita inizialmente da un accordo avente a oggetto l’irrevocabilità della proposta e, successivamente, dall’accettazione definitiva del promissario che, saldandosi con la proposta, perfeziona il contratto”.
Infatti, nonostante giurisprudenza e dottrina maggioritaria riconoscano la validità di un’opzione gratuita o priva di causa onerosa223, è riscontrabile sul punto una decisione della Corte di Appello di Milano, secondo cui l’opzione può validamente sorgere solo quando “trovi una contropartita in analoghi impegni - a carattere preliminare o preparatorio - posti a carico della parte nei cui confronti viene fatta la proposta, ovvero venga pattuito per essa un corrispettivo in denaro (c.d. premio)”224.
Va da sé che nella prassi sia spesso pattuito un corrispettivo proprio per attribuire una causa all’opzione225. Nondimeno, ove il corrispettivo non sia previsto in modo espresso, il diritto di opzione potrà essere giustificato da un sacrificio non immediatamente quantificabile, ma pur individuabile nella più ampia operazione contrattuale in cui è inquadrato226.
223 Tra gli autori a favore dell’opzione gratuita si segnala: A. TORRENTE e X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, Milano, 1999, p. 491. In giurisprudenza: Cass., 6 aprile 1981, n. 1944, Cass., 6 aprile
1981, n. 1944, in Giust. civ., 1981, I, p. 2272; Trib. Bari, 23 giugno 2009, in Xxxxxxxxx, 0000, x. 000 x xx Xxxx xx. Rep., 2010, voce Contratto in generale, n. 369 e Trib. Milano, 3 ottobre 2013, n. 12213, in Redaz. Xxxxxxx, 2013 e in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
224 Cit. App. Milano, 11 marzo 1997, in Corr. giur., 1997, pp. 805 ss., in Giur. it., 1998, p. 488 e in Riv. not., 1997, II, pp. 1493 ss. che a sua volta richiama altre due sentenze della Cassazione (le quali di fatto riguardano contratti con effetti traslativi definiti): (i) Cass., 21 luglio 1965, n. 1299, in Giur. it., I, 1, p. 1412 e (ii) Cass., 20 novembre 1992, n. 24101, in Foro it., 1993, I, p. 1506. Quest’ultima in particolare afferma che: “Nei contratti a prestazioni corrispettive il difetto di equivalenza, almeno tendenziale, delle prestazioni e, a maggior ragione, il difetto tout court della pattuizione di un corrispettivo o comunque della ragione della prestazione prevista comporta l’assoluta mancanza di causa”.
Sulla questione si veda X. XXXXXXXX, E’ valida l'opzione c.d. "gratuita"? - il commento, in Corr. giur., 1997, pp. 805 ss. e X. XXXXXXXXXX, Il contratto d’opzione: le problematiche, l’ammissibilità della mancata previsione di un corrispettivo e il rapporto con l’art. 1333 c.c., in Giust. civ., 2005, 7 - 8, p. 298. Successivamente questa tesi è stata confutata dalla stessa Corte d’Appello di Milano (App. Milano, 27 luglio 2011, n. 2280, in I Contratti, 2011, p. 1085, con nota di X. XXXXXXXX, L'opzione e le figure affini: gratuità o onerosità dell'opzione) secondo cui: “Anche a voler prescindere dal rilievo che nella fattispecie in esame l'opzione si inserisce in una complessa operazione economica dalla quale entrambe le parti (appellante e appellato) traggono cospicui vantaggi patrimoniali, va detto che l'opzione, quale figura contrattuale tipica, è dotata di causa meritevole di tutela legale, né si caratterizza come negozio necessariamente od essenzialmente oneroso, ben potendosi ipotizzare tale contratto come a titolo gratuito col quale come noto una sola parte riceve e l'altra sopporta un sacrificio, rimanendo tuttavia estraneo ogni spirito di liberalità in capo a quest'ultima”.
Si cfr. X. XXXXXXXX, L'opzione e le figure affini: gratuità o onerosità dell'opzione, commento ad App. Milano, 27 luglio 2011, n. 2280, in I Contratti, 2011, pp. 1085 ss..
225 Fonda l’opzione su una causa onerosa X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), XX, 0x xx., Xxxxxx, 0000, p. 322.
226 P. DIVIZIA, Patto di opzione con onerosità non apparente. Rielaborazione del concetto di opzione senza corrispettivo nell'ottica notarile, in Vita Not., 2009, 3, p. 1709. Sul punto anche F.C. FOLLIERI e X. XXXXX, L’ammissibilità dell’opzione gratuita. Una questione ancora aperta, in I Contratti, 2015, p. 304.
Si veda, inoltre la decisione del Trib. Milano, 24 aprile 2006, in Giur. it., 11, 2006, p. 2093, che statuisce: “L’opzione di vendita di un pacchetto azionario (c.d. "put"), da esercitarsi per un tempo determinato e un prezzo minimo prefissato, non è gratuita, nonostante la mancata pattuizione di un premio, in quanto collegata ad altra
Quanto all’applicazione concreta, il contratto d’opzione trova una delle sue migliori applicazioni “nelle mani” dell’imprenditore, consentendo a quest’ultimo di organizzare e pianificare investimenti e relazioni commerciali, con riguardo a disponibilità finanziarie odierne, ma anche future227. A titolo esemplificativo, si pensi all’utilità che può trarre l’imprenditore nello stipulare un contratto di affitto di azienda, accompagnato da un diritto di opzione d’acquisto della stessa in proprio favore, esercitabile quando abbia avuto modo di constatare “sul campo” i possibili rischi dell’investimento.
Come evidenziato, data la somiglianza del contratto di opzione con altri istituti giuridici è possibile raggiungere il risultato concretizzabile con l’ausilio dell’opzione anche attraverso la stipulazione di un contratto preliminare, di una proposta irrevocabile, di un patto di riscatto e persino avvalendosi di una condizione228. L’opzione sembra, però, essere lo strumento più immediato e flessibile per vincolare una parte e rimettere all’altra, quando e se gli parrà conveniente, la conclusione di un contratto229.
A ciò si aggiunga, che è con l’opzione che la coniugazione tempo-rischio raggiunge una delle sue migliori espressioni, giacché, come recentemente ricordato dal Tribunale di Milano, l’opzione è “una fattispecie a formazione progressiva della
opzione d'acquisto di quel pacchetto (c.d. "call"), intercorsa tra gli stessi contraenti, da esercitarsi al medesimo prezzo, nel periodo di tempo immediatamente precedente”.
227 X. XXXXXXXXX, Il contratto di opzione, Milano, 2007, p. XIV, nota 1, individua alcune ipotesi “in cui l’opzione si manifesta come strumento utile a soddisfare le diverse esigenze imprenditoriali, si pensi ad un contratto condizionato di affitto di un esercizio commerciale ed a una collegata opzione con cui il conduttore si garantisce la conclusione di un contratto di fornitura di merci o servizi ad un prezzo determinato […]”.
228 La sentenza Xxxx., 25 febbraio 1998, n. 2017, in Giust. civ., 1999, I, p. 2809, ha affrontato le difficoltà che spesso riscontrano le corti nell’individuare quale vincolo preliminare le parti abbiano inteso inserire nel contratto. Nel caso in esame la Suprema Corte aveva ritenuto che: “Con la clausola contrattuale che attribuisce al destinatario di un’offerta di vendita di beni la facoltà di rinunciare all’acquisto per eccesso del prezzo richiesto rispetto a quello di mercato si configura un’opzione (relativa alla compravendita) a suo favore e non l’attribuzione di un diritto di recesso”, confondendo di fatto gli istituti.
A proposito di elementi che possono essere confusi, si ricorda che tra i requisiti che distinguono l’istituto dell’opzione dal recesso, assume particolare rilevanza il fatto che il recesso consente ad una parte di liberarsi di un contratto già vigente e vincolante seppur non ancora eseguito; nella distinzione tra opzione e condizione, assume invece particolare rilevanza il fatto che solo quest’ultima produce effetti retroattivi.
229 “Dalla costatazione della natura bilaterale dell’opzione, infatti, si è tratta la convinzione che essa debba necessariamente contenere, completo, il regolamento finale di interessi, con la riserva che esso è già vincolante per una delle parti, mentre l’altra ha la facoltà di scegliere se renderlo vincolante anche per se stessa, o meno" cit. F. VENOSTA, La forma dei negozi preparatori e revocatori, Milano, 1997, p. 114.
volontà contrattuale inizialmente costituita da un accordo avente per oggetto la irrevocabilità della proposta del promittente e, in seguito, dalla eventuale accettazione del promissario, che - saldandosi immediatamente con la proposta irrevocabile precedente - perfeziona il negozio giuridico”230.
Tuttavia, è plausibile che il rinvio di un impegno ad un momento successivo assuma un connotato negativo per una delle parti, pensiamo: (i) ad un’opzione di acquisto, nella quale sia già predeterminato il prezzo del bene, divenuto totalmente sproporzionato rispetto al valore assunto dallo stesso al momento del perfezionamento della compravendita231; (ii) ovvero, come sovente accade nell’ambito delle vendite di partecipazioni sociali232, alla modifica irreparabile del
c.d. “bene di secondo grado” (riguardante la situazione patrimoniale della società) che lasci la parte minacciata dall’obbligo di acquisto (a seguito dell’esercizio di un’opzione di vendita put del soggetto oblato) nel rischio di divenire vincolativamente proprietaria di un’impresa in totale dissesto233.
230 Trib. Milano, 3 ottobre 2013, n. 12213, in Redaz. Xxxxxxx, 2013 e in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, si veda anche la sentenza del Trib. Milano, Sez. Impr., 30 gennaio 2014, n. 1419, in Le Società, p. 927 e in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
231 In ordine al prezzo di un’opzione relativa alla vendita di partecipazioni sociali si rinvia a X. XXXXXXXXXXX, Contratto di opzione su azioni e nozione di contratto “finanziario”, in Giur. merito, 1, 2013, pp. 49 ss.: “Con la previsione di un prezzo fisso nel contratto di opzione è altamente probabile che la partecipazione venga successivamente compravenduta a un prezzo «sbagliato», nel senso di maggiore o minore rispetto al suo valore di mercato. Per evitare l’arricchimento di una delle parti a svantaggio dell’altra è usuale che il contratto di opzione contenga solo una formula con la quale si può calcolare il futuro prezzo della compravendita. Tale meccanismo deve essere il più neutrale e preciso possibile, per ridurre il rischio di contestazioni fra i contranti. E’, inoltre, consigliabile prevedere un sistema di arbitraggio in caso di disaccordo fra le parti, con il quale si rimette a un terzo la valutazione della partecipazione”. L’autore consiglia, altresì, di introdurre un divieto di alienazione della partecipazione in pendenza di termine, onde evitare che il diritto di opzione venga frustrato.
232 Si veda anche X. XXXXXXX, Il contratto plurilaterale, in Trattato di diritto civile, II, 2010, p. 203: “Il
patto di opzione può avere da oggetto la sottoscrizione di partecipazioni azionarie. Così è nel caso dei warrants, emessi dalla società per azioni, che attribuiscono il diritto di sottoscrivere azioni in occasione di futuri aumenti di capitali; oppure nel caso delle stock options, emesse dalle medesime società a favore dei propri amministratori o managers, attributive anch’esse del diritto di sottoscrivere azioni di nuova emissione”. Si ricorda che la pattuizione di un’opzione put, che preveda la fissazione del prezzo di vendita della partecipazione sociale pari a quello originariamente sborsato per il suo acquisto, ha generato in dottrina e giurisprudenza un cospicuo dibattito sulla compatibilità della stessa con la norma imperativa recante il divieto del patto leonino, risolvendosi di fatto in una esclusione dalla partecipazione alle perdite in favore del socio titolare del diritto di cessione.
233 Il caso è tutt’altro che ipotetico, essendo molto probabile che nel lasso di tempo intercorrente tra la
pattuizione dell’opzione e il suo esercizio, il valore degli asset sottostanti alle partecipazioni modifichino il proprio valore. Come non ricordare il famoso caso Fiat-General Motors (X. XXXXXXXXXX CINTI, Il piano di risanamento Fiat, in Quaderni Xxxxx Xxxxx Xxxxx, Novembre, 2002; L.
Un’opzione di acquisto di tipo strutturale è rinvenibile al termine del contratto di leasing234, che negli ultimi anni ha avuto una sensibile diffusione nel settore fotovoltaico235. Nella pratica l’istituto finanziario autorizzato mette a disposizione l’impianto fotovoltaico (di cui diviene proprietario per consentire l’operazione) ad un utilizzatore il quale, in cambio del godimento dell’impianto, dovrà procedere al pagamento: (i) di un prima quota (c.d. “maxi-rata”) alla firma del contratto, a copertura dei costi fissi per l’acquisto dell’impianto da parte dalla banca;
(ii) di una serie di rate periodiche per l’utilizzo (secondo un preciso piano di ammortamento). Ad una certa scadenza l’utilizzatore potrà, inoltre, esercitare un’opzione di acquisto finale ad un valore stabilito, inferiore al prezzo di mercato.
Il leasing traslativo è uno strumento di ripartizione del rischio tra finanziatore ed utilizzatore, che consente a quest’ultimo di gestire l’impianto,
POLITO, L’alleanza Fiat-GM e la fusione Daimler-Chrysler nella prospettiva della globalizzazione dei mercati e ruolo dell’informazione, in Quaderni Xxxxx Xxxxx Xxxxx, Novembre, 2002) ove nell’ambito di un Master Agreement era stata pattuita a favore di Fiat un’opzione put, con la quale quest’ultima si riservava il diritto di alienare a GM il restante 80% di Fiat Auto. Nel frattempo il rating di Fiat Auto venne declassato da Standars & Poor e GM iniziò ad avanzare i primi dubbi sulla validità della put option. La vicenda si chiuse con una serie di offerte di GM affinché Fiat rinunciasse all’opzione, che culminarono nella corresponsione di 1,55 miliardi di euro di GM alla Fiat al fine di risolvere l’accordo e cancellare l’opzione. Si veda X. XXXXXXXXX, Il contratto di opzione, Milano, 2007, p. XXXV e pp. 266 ss..
234 Sull’argomento si veda X. XXXXX, Il leasing, in L’attività delle banche, a cura di X. Xxxxxx, 2010, pp. 245 ss. Il leasing è una operazione contrattuale che coinvolge tre distinti soggetti: l’utilizzatore che necessita di procurarsi il godimento di un determinato bene pur non avendo la disponibilità economica per acquistarlo direttamente, il fornitore che produce o vende il bene che intende ottenere l’utilizzatore, il concedente che acquista il bene dal secondo e lo mette a disposizione del primo sotto forma di leasing. Il concedente, in particolare, attribuirà all’utilizzatore il godimento sul bene, a fronte del pagamento di un canone periodico per un dato periodo di tempo, corrispondente alla durata del contratto. Al termine del contratto l’utilizzatore potrà: (i) restituire il bene ed estinguere il rapporto; (ii) rinnovare il leasing; (iii) esercitare l’opzione di acquisto del bene versando il prezzo stabilito.
Tra i diritti di opzione previsti dal codice civile si ricorda l’art. 2441 c.c., che riconosce al socio azionista, il potere di sottoscrivere secondo il valore nominale le azioni che saranno emesse in corrispondenza di aumenti di capitale deliberati dall’assemblea in proporzione al numero di azioni già da lui possedute. Sul punto si veda X. XXXXXXX, Natura giuridica del diritto di opzione nelle società di capitali, Le Società, n. 8, 2007, pp. 921 ss..
235 Il motivo della diffusione del leasing nel settore del fotovoltaico è riconducibile agli incentivi messi a disposizione dello Stato per la produzione di energia: chi installa un impianto fotovoltaico riceve una tariffa incentivante per ogni kWh prodotto e immesso in rete dall’impianto stesso. Gli importi sono concessi dal GSE (Gestore Servizi Energetici) che è una società per azioni gestita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Se prima del 2014 le tariffe si calcolavano con riferimento a tutta l’energia prodotta dall’impianto, oggi il calcolo si basa sulla somma della tariffa omnicomprensiva (energia immessa in rete) più il premio per l’autoconsumo (energia consumata subito). Gli incentivi statali per l’installazione di un impianto fotovoltaico del quinto conto energia sono terminati nel giugno 2013, permangono le agevolazioni del quarto conto energia nei casi individuati dal GSE.
usufruendo esso stesso dell’energia prodotta nonché di godere dei proventi della vendita e della tariffa incentivante riconosciuta per legge.
Orbene, il settore fotovoltaico è stato travolto dalla crisi per l’effetto della riduzione retroattiva degli incentivi statali che ne avevano determinato il rapidissimo sviluppo236, generando: (i) un aumento degli interessi da parte delle banche; (ii) una richiesta di rinegoziazione del debito da parte dell’utilizzatore; (iii) e, per quel che qui interessa, il mancato esercizio dell’opzione al termine del contratto di leasing: lasciando gli istituti di credito nella proprietà di molteplici impianti fotovoltaici privi del valore stimato originariamente.
Simili scenari rendono di estrema importanza l’individuazione dei mezzi che posso essere utilizzati per far fronte agli imprevisti relativi al contratto di opzione. Non a caso in presenza di opzioni contrattuali si ricorre spesso all’ingegno degli operatori del settore al fine di individuare strumenti di autotutela volti ad arginare i rischi, si pensi ai c.d. contratti di escrow237, alle clausole penali e alle clausole di aggiustamento del prezzo o di rinegoziazione238.
Posta la doppia articolazione del contratto di opzione, nello studio delle sopravvenienze è necessario distinguere a seconda che si consideri l’opzione come un autonomo impegno o come fattispecie strumentale al regolamento di interessi che troverà attuazione in un secondo momento.
Non sembrano, invero, sussistere grossi dubbi sulla risoluzione del vincolo di opzione autonomamente inteso, laddove l’impegno a tenere ferma la proposta sia divenuto svantaggioso ovvero sproporzionato rispetto all’eventuale premio (c.d.
236 Attraverso l’art. 26 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 116, è stato disposto l’intervento sulle tariffe incentivanti dell’elettricità prodotta da impianti fotovoltaici. Pertanto, dal primo gennaio 2015 si è assistito ad una riduzione delle tariffe incentivanti riconosciute.
237 Il contratto di escrow consiste in un deposito in garanzia di un bene o del prezzo oggetto del contratto, presso un mandatario, che nel caso in cui si tratti di azioni e quote può consistere in un’intestazione fiduciaria delle stesse ad un soggetto autorizzato. Il termine “escrow” deriva dalla parola francese “escroe” che letteralmente significa “rotolo di pergamena”. L’istituto trova origine nella prassi del diritto inglese di richiedere ad un terzo di trattenere un bene di valore, fino all’avverarsi di certe condizioni, verificatesi le quali il bene dovrà essere consegnato ad una persona designata. Sul punto si veda A.M. XXXXXXX, Xxxxxx, in Contr. e impr., 2005, pp. 801 ss..
000 X. XXXXXXXXX, Xx contratto di opzione, Milano, 2007, pp. 6 - 7.
opzione onerosa) 239. Stando all’analisi dei casi concreti, non sembra però così diffuso il verificarsi di una simile circostanza.
Al contrario, la dottrina che aveva escluso la risoluzione per eccessiva onerosità del contratto preliminare (costituendo quest’ultimo un regolamento contrattuale in fieri) allo stesso modo l’aveva negata in caso di opzione, per le alterazioni rilevanti solo dopo la conclusione del rapporto finale240.
Sembrava, pertanto, esclusa la possibilità che il concedente - nel periodo in cui non è ancora esercitabile il diritto di opzione - potesse avvalersi del rimedio risolutorio, ritenendo eccessivamente onerosa la futura definizione del rapporto finale a causa di avvenimenti sopraggiunti nel periodo di pendenza241.
Tale tesi, come ricordato in merito al contratto preliminare, è stata superata anche per l’opzione facendo leva sulla ratio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, che estende siffatta disciplina persino ai contratti in cui “l’attribuzione di una parte a favore dell’altra non è oggetto di un’obbligazione, ma dipende da un diritto potestativo o da un potere dell’altra”242.
Accogliendo questa prospettiva interpretativa, non sussistono ragioni ostative alla risoluzione dell’opzione per eccessiva onerosità sopravvenuta al fine di
239 Si veda X. XXXXX, Opzione ed eccessiva onerosità sopravvenuta, in Giur. compl. Cass. civ., 1954, I, pp. 129
- 139; si veda anche X. XXXXX, X. Xxxxx e X. Xx Xxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxxx), II, 3° ed., Torino, 2004, p. 705, secondo cui: “L’opzione ha bisogno di una causa, che di solito sarà un corrispettivo. Per lo più, dunque, l’opzione potrà dare luogo ai rimedi di cui all’art. 1467, a nulla rilevando che la controprestazione sia stata adempiuta contestualmente alla stipula dell’opzione”. Si segnala l’opinione dissenziente di chi ritiene che la risoluzione debba essere esclusa non sussistendo mai fra premio e soggezione del concedente un nesso di “precisa e obiettiva interdipendenza”, in questo caso si potrà ricorrere al solo art. 1468 c.c., così X. XXXXXX, Il contratto e l’opzione, Napoli, 1969, p. 224. X. XXXXXX, I vincoli preliminari e il contratto, Milano, 1974, pp. 225, dichiara: “Un’ipotetica sproporzione fra il valore del vincolo e il suo corrispettivo nulla dice circa i rapporti fra le prestazioni del contratto definitivo cui entrambe le parti sono già vincolate”.
240 Si noti come tutti i casi di sopravvenienze dianzi esemplificati rientrino in questa accezione.
L’opzione determina già il contenuto del rapporto finale, che costituisce oggetto dell’accordo delle parti e rimette la costituzione di tale rapporto ad un atto unilaterale di una di esse, così C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 2° ed., p. 263.
241 Si cfr.: X. XXXXXXX, Patto di opzione ed eccessiva onerosità sopravvenuta, in Xxxx Xxxxxx, 0000, I, pp. 867 e ss.; X. XXXXXXXX, Contratto preliminare, opzione ed eccessiva onerosità, in Riv. dir. comm., 1964, pp. 376 ss.; X. XXXXXX, Trattativa, proposta irrevocabile e patto di opzione, nota a Cass., 6 aprile 1981, n. 1944, in Giust. civ., 1981, I, pp. 2274 ss.
242 C.M. XXXXXX, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 2012, 2° ed., p. 425. Si veda anche X. XXXXX, voce Eccessiva onerosità sopravvenuta e problemi di gestione del contratto in diritto comparato,
evitare che si giunga alla conclusione di un contratto finale, con uno squilibrio notevole tra le prestazioni rispetto al progetto originario delle parti243.
In proposito, è utile ricordare una pregevole sentenza del Tribunale di Milano244, che induce proprio a riflettere sull’applicabilità dell’art. 1467 c.c. al contratto di opzione.
Nel caso di specie l’attore aveva chiesto la risoluzione ex art. 1467 c.c., per eccessiva onerosità sopravvenuta, di un contratto che riconosceva un’opzione put alla controparte ed in subordine il rimedio perequativo della riduzione del prezzo di acquisto delle azioni quotate, oggetto dello stesso.
In particolare, il contratto, comportava l’obbligo per l’attore, in caso di esercizio dell’opzione put del convenuto, di comprare determinate azioni ad uno strike price di euro 4,85 per ciascuna (e, quindi, a prescindere dal prezzo di mercato) in cambio di un premio245.
La difesa dell’attore si fondava sulla preliminare natura commutativa e non aleatoria del rapporto, che aveva l’effetto di legittimare la risoluzione dello stesso a seguito del manifestarsi, dopo il fallimento della Xxxxxx Brothers, della "grave crisi economica globale" tale da svilire di ogni significato la causa del contratto, le cui azioni avevano perso sensibilmente valore246.
Il convenuto, al contrario, eccepiva: (i) l’inapplicabilità del rimedio in questione ad un contratto derivato; (ii) in ogni caso l’impossibilità di ricondurre una
Digesto Quarto disc. priv. sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 237, e X. XXXXXXXX, Contratto preliminare, opzione ed eccessiva onerosità, in Riv. dir. comm., 1964, p. 380.
243 X. XXXXX, Opzione ed eccessiva onerosità sopravvenuta, in Giur. compl. Cass. civ., 1954, I, pp. 129 - 139: “La risoluzione del patto di opzione trova in questo caso giustificazione nell’idoneità del patto a svolgere la propria funzione preparatoria di un valido contratto di vendita per cui non vi è ragione di costringere il soggetto vincolato a stipulare un contratto al cui adempimento potrà in seguito legittimamente sottrarsi. Poiché il giudizio di eccessiva onerosità si articola nel confronto fra il valore della prestazione al tempo in cui sono sorte rispetto a quello in cui devono essere eseguite, questo giudizio, per quanto riguarda il concedente va riferito al momento in cui, essendosi perfezionata l’opzione, egli ha contemporaneamente prestato il consenso alla prestazione (trasferimento del bene o pagamento del prezzo) derivante dal contratto finale di vendita”.
244 Trib. Milano, Sez. Impr., 30 gennaio 2014, n. 1419, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
245 Si precisa che le parti nella fattispecie esaminata avevano in seguito più volte prorogato la scadenza del contratto, modificando anche simbolicamente il premio.
246 L’attore ha fondato la propria domanda anche sul fatto che le parti non avevano escluso l’applicazione del rimedio di cui all’art. 1467 c.c. e che avevano prorogato il termine di scadenza del contratto, da ultimo con un versamento solo simbolico del premio, denotando di non ritenere il contratto di tipo aleatorio.
crisi globale ad un evento straordinario ed imprevedibile247; (iii) ed altresì la preclusione del debitore moroso di chiedere l’azione di risoluzione248.
Il giudicante, prescindendo dalla natura aleatoria o meno del contratto derivato, costituito in forma di opzione, fondava la propria decisione sul difetto di prova del fatto costitutivo posto a base della domanda attorea.
L’attore non avrebbe dimostrato l’intervenuta eccessiva onerosità della propria obbligazione in dipendenza di eventi straordinari e imprevedibili piuttosto che in dipendenza delle normali alterazioni del titolo conseguenti a fattori fisiologici compresi nell’alea del contratto (quali l'andamento dell’impresa sociale ovvero del mercato specifico e borsistico)249.
Se, invece, il giudice si fosse soffermato sull’aleatorietà delle opzioni finanziarie, il ricorso all’eccessiva onerosità sopravvenuta sarebbe stato probabilmente escluso, ai sensi dell’art. 1469 c.c. e, quindi, indipendentemente dall’indagine sulla straordinarietà e imprevedibilità delle sopravvenienze che
247 Si ricorda in proposito che il carattere della straordinarietà è di natura obiettiva, qualificando un evento in base all'apprezzamento di elementi (quali la frequenza, le dimensioni, l’intensità) suscettibili di misurazione e, quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di ordine statistico; al contrario il carattere dell’imprevedibilità ha una radice soggettiva, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza, si veda tra le altre Cass., 23 febbraio 2011, n. 2661, in Giur. it., 2001, p. 1824.
248 Con la terza eccezione il convenuto si è avvalso dell’orientamento secondo cui la risoluzione del contratto non potrebbe essere fatta valere dalla parte che, con il suo inadempimento, ha ritardato l’esecuzione del contratto, rendendo necessario il ricorso dell’altro contraente alla tutela giudiziaria, sul tema X. XXXXXX, Dell’eccessiva onerosità, in Libro IV delle obbligazioni, in Commentario Scialoja-Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna-Roma, 2010, p. 98.
249 L’evento non sarebbe stato secondo il giudice imprevedibile avendo i due litiganti nell’ottobre 2009 “protratto la scadenza del rapporto essendo ben consapevoli - secondo nozioni di comune esperienza tanto più per soggetti entrambi quantomeno non digiuni del mercato borsistico se non addirittura esperti dello stesso - della fase recessiva mondiale iniziata nel 2008” e, in ogni caso, poiché la struttura del contratto si sarebbe basata sulla dipendenza del contenuto della prestazione di una delle parti alla variazione dei dati economici.
X. XXXXX, La risoluzione per eccessiva onerosità delle opzioni di vendita di partecipazioni societarie, commento a Trib. Milano, 30 gennaio 2014, n. 1419, in Le Società, 2014, 8 - 9, pp. 932 ss.: “Non sembra azzardato sostenere che la funzione addirittura strutturale del contratto preveda, per volontà delle parti, l’assunzione del rischio esclusivo del possibile differenziale tra il prezzo di borsa e prezzo di cui all’opzione put, sì da trasformarlo in un contratto aleatorio per volontà delle parti rendendo incerta la consistenza della prestazione dedotta in contratto. Xxxx è che all’atto della conclusione dell’accordo di opzione il rapporto tra valore di borsa e prezzo concordato è certo e conosciuto dalla parti, tuttavia esso è destinato sicuramente a modificarsi restando incerto il solo segno della modifica”. L’autore nell’esaminare il contratto oggetto di giudizio lo classifica, per l’appunto, come un contratto la cui natura aleatoria deriva dalla volontà stessa delle parti e per questo lo sottrae alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. L’autore nel proprio commento evidenzia anche la tendenza dei giudici a valutare la prevedibilità dell’evento e non la sua incidenza
avevano influito, nel caso concreto, sul contratto250.
La sentenza merita attenzione poiché (nonostante il rigetto nel caso di specie della domanda di risoluzione ex art. 1467 c.c. promossa dall’attore, per mancanza di prova251) il giudice, nella motivazione, ha indirettamente confermato ed ammesso l’applicazione della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta al contratto di opzione252.
Pertanto, concludendo, l’opzione può considerarsi pacificamente soggetta alla risoluzione ex art. 1467 c.c. o alla riduzione ex art. 1468 c.c., a seconda che dal contratto finale discendano obbligazioni corrispettive o obbligazioni a carico di una sola parte, salvo il caso in cui il medesimo debba intendersi aleatorio per natura o
sull’alea normale del contratto, facendo coincidere il requisito della straordinarietà con quello della normale alea contrattuale.
250 L’opzione tradizionale è una fattispecie astratta, priva di natura aleatoria, e si differenzia da quelle finanziarie, seppur queste riproducano lo schema di cui all’art. 1331 c.c..
Ovviamente la natura non aleatoria dell’opzione codicistica non impedisce che siano le parti, nell’espressione della propria libertà contrattuale, ad indicare quali siano gli elementi straordinari e imprevedibili ed ancora ad imprimere concretamente una aleatorietà all’opzione, così X. XXXXXXXXX, Il contratto di opzione, Milano, 2007, p. 380. Della medesima opinione è anche la giurisprudenza: “Anche per i contratti cosiddetti commutativi le parti, nel loro potere di autonomia negoziale, ben possono prefigurarsi la possibilità di sopravvenienze, che incidono o possono incidere sull'equilibrio delle prestazioni, ed assumerne, reciprocamente o unilateralmente, il rischio, modificando in tal modo lo schema tipico del contratto commutativo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l'effetto di escludere, nel caso di verificazione di tali sopravvenienze, la applicabilità dei meccanismi riequilibratori previsti nell'ordinaria disciplina del contratto (art. 1467 e 1664 cod. civ.). L'assunzione del suddetto rischio supplementare può` formare oggetto di una espressa pattuizione, ma può anche risultare per implicito dal regolamento convenzionale che le parti hanno dato al rapporto e dal modo in cui hanno strutturato le loro obbligazioni” così Xxxx., 26 gennaio 1993, n. 948, in Giust. civ ., 1993, I, p. 3021.
La distinzione tra contratti commutativi e aleatori riguarda la natura delle controprestazioni, nei primi
l’entità delle singole prestazioni è certa, all’opposto nei contratti aleatori tale rapporto sinallagmatico non è certo, né conosciuto dalle parti, dipendendo da fatti futuri e incerti tanto da caratterizzare la causa contrattuale. Con riferimento all’alea normale del contratto si riporta tra le tante la massima secondo cui: “L’assunzione di un rischio convenzionale pattuito e verificatosi esclude la disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta” cit. Cass., 19 ottobre 2006, n. 22396, in I Contratti, n. 6, 2007, p. 559. In merito ai contratti derivati è opportuno richiamare la ricostruzione del Trib. Milano, 19 aprile 2001, in Banca borsa tit. cred., 2011, II, p. 748, in cui si precisa che la causa dei contratti derivati costruiti in forma di opzione è individuata nell’assunzione da parte di ciascun contraente di un rischio di variazione del valore sottostante generando profili di problematicità in ordine alla tradizione distinzione tra contratti commutativi ed aleatori. Il sinallagma negoziale e la commutatività delle prestazioni sono perfettamente sussistenti in siffatte operazioni nel momento genetico, per poi portare eventualmente nel corso del rapporto ad uno squilibrio delle prestazioni. La componente aleatoria è, pertanto, strettamente intrinseca alla struttura dei derivati e compatibile con i reciproci e commutativi impegni. Si ricorda, inoltre, la sentenza Xxxxx Xxxx., 00 febbraio 2010, n. 52.
251 La sentenza ha, quindi, accolto le domande riconvenzionali proposte dal convenuto di risoluzione
per inadempimento per fatto e colpa dell’attore e di risarcimento del danno.
252 X. XXXXX, La risoluzione per eccessiva onerosità delle opzioni di vendita di partecipazioni societarie, commento a Trib. Milano, 30 gennaio 2014, n. 1419, in Le Società, 2014, 8-9, pp. 932 ss..
per volontà degli stessi contraenti253.
253 La risoluzione del contratto è stata esclusa anche in un’ipotesi affrontata da X. XXXXXXXXX, Contratti di put and call option, in Rass. dir. civ., Xxxxxx, 4, 2007, p. 1160, secondo il quale: “La Società aveva inoltre ben presente che l’opzione put and call, per come era stata concretamente costruita e strutturata, sul piano dell’assunzione del rischio presentava comunque un significativo connotato di rischiosità, tale da ampliare i normali limiti di elasticità dell’alea normale del contratto”.
CAPITOLO II
1. Le sopravvenienze non codificate
1.1 La presupposizione
Quanto detto finora è servito a mettere in luce i limiti dell’art. 1467 c.c. il quale, disciplinando il solo rischio quantitativo, esclude dal proprio ambito di applicazione le alterazioni del sinallagma che non incidono sul valore economico delle prestazioni254.
Per il vero, al nostro codice civile non sono del tutto estranei gli strumenti volti a neutralizzare, almeno in parte, le sopravvenienze di tipo qualitativo. Ci si riferisce alle seguenti previsioni:
(i) l’art. 1463 c.c., che da un lato libera la parte di un contratto sinallagmatico, la cui prestazione sia stata colpita da impossibilità sopravvenuta, e dall’altro lato le impedisce di chiedere la controprestazione (imponendole la restituzione di quanto eventualmente già ricevuto)255;
254 Sono escluse dell’ambito di applicazione dell’art. 1467 c.c. anche le alterazioni che, pur incidendo su tale valore, non giungono a varcare la soglia dell’eccessiva onerosità. X. XXXXX, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992, p. 276. A parere di X. XXXXX, Il contratto, Bologna, 2011, p. 963, i rimedi generali del codice civile non rispondono in modo esauriente agli innumerevoli problemi che il contratto può porre.
Per una ricostruzione dei limiti dell’art. 1467 c.c. si veda: X. XX XXXXXXX, Le sopravvenienze contrattuali. Tra lacune normative e ricostruzioni degli interpreti, Padova, 2004, pp. 29 ss., che evidenzia come l’articolo: (i) si limiti a regolare il fenomeno delle sopravvenienze sotto il profilo dell’incremento dei costi; (ii) affronti solo i presupposti oggettivi tenuti presenti dalle parti, escludendo quelli soggettivi; (iii) ammetta la risoluzione del contratto solo in presenza di eventi straordinari e imprevedibili.
255 Secondo il parere di X. XXXXXXX, Obbligazioni e contratti, 14° ed., Napoli, 2008, pp. 1028 e ss., l’art. 1463 c.c., relativo all’impossibilità della prestazione, si distingue dalle altre ipotesi di risoluzione per “l’automaticità dell’effetto di scioglimento al di fuori da ogni pattuizione o iniziativa di parte”.
In generale, nell’ipotesi d’impossibilità (a differenza dell’eccessiva onerosità sopravvenuta) la legittimazione a fare valere la risoluzione spetta ad entrambe le parti: la parte impossibilitata e la controparte la cui obbligazione sia ancora possibile (si veda Cass., 18 settembre 1956, n. 3222, in Rep. Foro it., 1956, voce Obbligazioni e contratti, n. 497). La pronuncia di risoluzione del contratto per impossibilità può, inoltre, essere rilevata d’ufficio dal giudice con una sentenza di mero accertamento (Cass., 11 luglio 2003, n. 10935, in Mass. giur. it., 2003, voce Contratto in genere, n. 302).
Per poter azionare la risoluzione ex art. 1463 c.c., l’impossibilità deve essere sopravvenuta, irreversibile, non imputabile e comunque tale da reclamare uno sforzo tecnico e volitivo incompatibile con il rapporto predisposto. Nel caso specifico di contratti di durata, ove vi sia un’impossibilità temporanea, che si protragga fino a frustrare definitivamente l’interesse del creditore, verrà a delinearsi un’ipotesi di risoluzione parziale (così Xxxx., 22 ottobre 1982, n. 5496, in Rep. Foro it., 1982, voce Contratto in genere,
(ii) l’art. 1464 c.c., ai sensi del quale nell’ipotesi in cui la prestazione di una parte sia divenuta solo parzialmente impossibile si riconosce all’altra il diritto di ridurre la propria prestazione in modo corrispondente ovvero di recedere dal contratto256;
(iii) l’art. 1660 c.c. in tema di appalto, che rimette al giudice il potere di stabilire le variazioni al progetto (e correlativamente al prezzo) necessarie ad eseguire l’opera a regola d’arte, quando non vi sia l’accordo tra i contraenti. Inoltre, se le variazioni sono tali da superare il sesto del prezzo, è data all’appaltatore la facoltà di recedere dal contratto ottenendo un’equa indennità. La possibilità di recedere dal contratto è attribuita anche al committente quando le variazioni siano particolarmente consistenti, restando inteso che, ove il committente si avvalga del diritto recesso, quest’ultimo sarà tenuto a corrispondere un equo indennizzo all’appaltatore257;
(iv) il successivo art. 1661 c.c., riferito alle variazioni richieste dal committente al progetto, considerate ammissibili purché il loro ammontare non superi il sesto del prezzo convenuto258.
n. 302). L’opinione maggioritaria ritiene che in caso d’impossibilità parziale sia solo la parte creditrice che ne è colpita ad avere diritto di avvalersi degli strumenti indicati nell’art. 1464 c.c..
256 In giurisprudenza si è, tra gli altri, preso in considerazione il tema dello sciopero che incide qualitativamente sulla prestazione lavorativa del dipendente e che, pertanto, non può aprioristicamente escludersi dal concetto di impossibilità sopravvenuta: “In fattispecie di sciopero parziale di durata minore dell'intera giornata lavorativa con incidenza sulla produzione qualitativa per effetto dell'interruzione del ciclo continuo nella fase precedente le ore di sciopero, deve ritenersi legittimo il rifiuto della residua prestazione lavorativa e la conseguente trattenuta retributiva da parte dell'azienda, che ha il diritto di poter utilizzare la prestazione residua in maniera proficua in relazione alla sua organizzazione ed alla sua potenzialità produttiva” cit. Cass., Sez. Lav., 11 gennaio 1988, n. 84, in Giust. civ., 1988, I, p. 1227, in Riv. it. dir. lav., 1988, II, p. 375 e in Arch. civ., 1988, p. 562.
A proposito di variazioni qualitative del bene, nel titolo I del codice civile, avente ad oggetto le obbligazioni, il legislatore disciplina l’impossibilità sopravvenuta dell’obbligazione per causa non imputabile al debitore. Precisamente l’art. 1258 c.c. si occupa dell’impossibilità parziale, che consente al debitore di liberarsi eseguendo la parte rimasta della propria prestazione. Al secondo comma della citata norma il legislatore estende questa previsione anche alle variazioni qualitative del bene, riferendosi al caso in cui deve essere consegnata una cosa determinata che ha subito un deterioramento (in questa ipotesi il debitore dovrà consegnare la cosa deteriorata o i suoi resti). Si veda X. XXXXXXXXXX, L’impossibilità sopravvenuta della prestazione per fatto imputabile al creditore, Milano, 2007, p. 21.
257 Le variazioni prese in considerazioni dall’art. 1660 c.c. sono quelle che risultano necessarie nel corso dell’esecuzione dell’opera non imputabili all’appaltatore o al committente.
258 Si anticipa che per alcuni autori la disciplina dell’appalto, comprensiva della parte relativa al rischio qualitativo, dovrebbe assurgere, in sostituzione all’art. 1467 c.c., a disciplina generale del rischio per
Malgrado ciò, nel codice civile non è formulata alcuna previsione che si occupi di sopravvenienze tali da rendere la prestazione semplicemente inidonea al soddisfacimento degli interessi che abbiano portato le parti a stipulare uno specifico contratto259.
L’assenza di una risposta puntuale da parte dell’ordinamento ad una simile problematica ha indotto giurisprudenza e dottrina a mutuare dal diritto tedesco l’inedita figura della presupposizione, con la quale si è cercato di fornire una tutela più o meno univoca alla frustrazione degli interessi delle parti non espressamente enunciati nel testo contrattuale260.
Sennonché, proprio a causa del difetto di indici normativi, il nutrito apporto giurisprudenziale ha finito per ricomprendere in questo istituto extracodicistico fattispecie tra loro eterogenee e lontane dalle problematiche tipicamente riconducibili alle sopravvenienze261.
tutti gli scambi integrativi. Sul punto si veda M. BARCELLONA, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Europa dir. priv., 2003, p. 487 e X. XXXXXXX, Il mutamento di circostanze e l’obbligo di rinegoziazione, in X. Xxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, Manuale di diritto privato europeo, II, Milano, 2007, p. 533.
259 X. XXXXXXX, Il mutamento di circostanze e l’obbligo di rinegoziazione, in X. Xxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, Manuale di diritto privato europeo, II, Milano, 2007, p. 530.
260 La presupposizione (Voraussetzung) è stata elaborata dalla pandettistica tedesca (ed in particolare da
X. XXXXXXXXXX, Die Xxxxx xxx xxxxxxxxx Xxxxxx xxx xxx Xxxxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxxx, 0000, pp. 7 ss.), nella seconda metà del 1800. La figura essendo stata ricondotta alla volontà implicita delle parti, trovava applicazione tutte le volte in cui quest’ultime avevano condizionato il proprio consenso ad un determinato presupposto, pur senza esprimerlo. Successivamente (nella accezione di X. XXXXXXXX, Die Geschäftsgrundlage. Ein neuer Rechtsbegriff, Xxxxxxx - Xxxxxxxx, 0000, pp. 27 ss.) la presupposizione ha assunto tratti meno soggettivistici divenendo la situazione a base del negozio (Geschäftsgrundlage) il cui venir meno porta ad escludere il fondamento dello stesso.
Si rinvia a X. XXXXX, Il contratto e le fonti del diritto, in Contr. e impr., 2001, p. 1089 e per una ricostruzione completa dello scenario tedesco si consiglia X. XXXXXXX, X. X’XXXXXX, voce Presupposizione, in Enc. dir., Milano, 1986, pp. 326 ss..
Si ricorda che, analogamente a quanto precisato nel Paragrafo precedente con riferimento all’eccessiva onerosità sopravvenuta, anche i rapporti tra la teoria riassunta nella clausola rebus sic stantibus e la presupposizione appaiono di difficile definizione. Tuttavia, la clausola rebus sic stantibus, l’eccessiva onerosità e la stessa presupposizione devono considerarsi come diverse risposte fornite dell’ordinamento rispetto a modifiche verificatesi nell’economia del contratto, così X. XXXXXXXX, voce Clausola rebus sic stantibus, in Digesto Quarto disc. priv. sez. civ., II, Torino, 1988, p. 388.
261 X. XXXXX, Il contratto e le fonti del diritto, in Contr. e impr., 2001, p. 1041, considera la presupposizione come un tema tipicamente traversale che interseca “i territori dell’errore e dalla sopravvenienza, e dei corrispondenti rimedi. Poi quello della condizione. Poi ancora quello dei rapporti fra volontà espressa e tacita, e dell’interpretazione e integrazione del contratto. Infine, quello della relazione fra causa e motivi”. In particolare, secondo quest’ultimo la teoria della presupposizione ha ridefinito fondamento e limiti del principio d’irrilevanza dei motivi. Lo stesso X. XXXXX, La dottrina della presupposizione, in Trattato del Contratto, a cura di X. Xxxxx, X, Xxxxxx -0, Xxxxxx, 2006, p. 521, ritiene che la
Specificatamente, la Suprema Corte ricorre alla presupposizione quando “una determinata situazione di fatto o di diritto (passata, presente o futura) possa ritenersi tenuta presente dai contraenti nella formazione del loro consenso - pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali - come presupposto condizionante il negozio […]” e richiede, affinché abbia rilevanza: “1) che la presupposizione sia comune a tutti i contraenti; 2) che l’evento supposto sia stato assunto come certo nella rappresentazione delle parti (e in ciò la presupposizione ne differisce dalla condizione); 3) che si tratti di un presupposto obiettivo, consistente cioè in una situazione di fatto il cui venir meno o il cui verificarsi sia del tutto indipendente dell’attività e volontà dei contraenti e non corrisponda, integrandolo, all’oggetto di una specifica obbligazione”262.
Anche solo limitandosi all’osservazione di tale diffusa nozione di presupposizione - che attribuisce rilievo alla discrasia tra le previsioni dei contraenti (intese come presupposto comune) e la situazione concreta - appare riduttivo equiparare la presupposizione all’eccessiva onerosità sopravvenuta. Ciononostante, deve precisarsi che sono riscontrabili sull’argomento pronunce che hanno identificato proprio nell’art. 1467 c.c. la norma attraverso cui la presupposizione è stata introdotta “in via generale e in modo espresso nel nostro ordinamento”263.
presupposizione riunisca una molteplicità ed eterogeneità di problematiche, mediante un procedimento sostanzialmente “finzionistico”.
262 Cit. Cass., 31 ottobre 1989, n. 4554. Si vedano anche: Cass., 24 marzo 1998, n. 3083, in Giur. it., 1999, c.
511; Cass., 21 novembre 2001, n. 14629, in Le Società, 2002, p. 1246; Cass., 5 gennaio 1995, n. 191, in
Giust. civ. mass., 1995, p. 34.
263 Si cfr. Cass., 28 agosto 1993, n. 9125, in I Contratti, 1993, p. 677 e in Foro it., 1995, I, c. 1601, che nello specifico ha ritenuto applicabile l’art. 1467 c.c. al contratto di vendita di un terreno sul presupposto, seppur non esplicitato, della sua edificabilità, venuta meno a seguito dell’intervento della pubblica autorità (precedentemente al saldo del prezzo e alla stessa stipulazione del negozio per atto pubblico). Si vedano altresì: Cass., 3 dicembre 1991, n. 12921, in Giur. it. 1992, I, 1, c. 2210; Cass., 17 maggio 1976, n. 1738, in Riv. dir. comm., 1977, II, p. 341.
La tendenza ad accorpare gli istituti dell’eccessiva onerosità e della presupposizione è rinvenibile anche in due risalenti pronunce del 1947, che ritengono applicabile l’eccessiva onerosità sopravvenuta anche quando la circostanza sopravvenuta che turba l’adempimento contrattuale non sia un evento imprevedibile dalle parti: Cass., 17 ottobre 1947, n. 1619, in Giur. compl. Cass. civ., 1947, XXVI, p. 354 e Cass., 15 gennaio 1947, n. 32, in Mon. trib., 1947, p. 35.
La dottrina ha da subito manifestato il proprio dissenso rispetto all’arbitraria sovrapposizione di istituti fra loro assai diversi. In particolare, si segnala X. XXXXX, La presupposizione e l’art. 1467 c.c., in Riv. dir. comm., 1948, pp. 163 e ss., il quale ritiene che non essendovi alcun accenno alla presupposizione nell’art. 1467 c.c., quest’ultimo non possa introdurre il principio in via generale.
A dimostrazione dell’importanza rivestita dalla presupposizione, prima di esaminare i casi concreti oggetto di statuizione giurisprudenziale, appare utile ripercorrere gli orientamenti dottrinali che hanno tentato di fornire un inquadramento giuridico dell’argomento.
▪ Vi è una prima dottrina soggettivistica, fondata sull’eccezionale rilevanza dell’errore dei motivi, che considera la presupposizione come una falsa rappresentazione della realtà, presente, passata o futura.
Onde attribuire fondamento a questa tesi il suo autore nega il carattere tassativo delle ipotesi di errore essenziale (previste dall’art. 1429 c.c.) inserendovi anche l’errore sul motivo determinante ed accordando alla presupposizione il rimedio dell’annullamento264. Codesto orientamento, così facendo, ha aggirato l’ostacolo su cui si erigeva la diffidenza del legislatore del 1942, il quale ha preferito astenersi dal disciplinare un istituto che avrebbe potuto attribuire un ruolo ai motivi, da sempre considerati irrilevanti dall’ordinamento265.
▪ Il ricorso all’annullamento del contratto è fatto proprio anche dalla teoria che considera la presupposizione come un errore bilaterale del motivo
X. XXXXXXX, X. X’XXXXXX, voce Presupposizione, in Enc. dir., Milano, 1986, p. 326, sottolineano come l’evoluzione storica (della concezione del contratto, delle teorie sulla sopravvenienza e delle tecniche giurisprudenziali) abbia segnato la rottura della corrispondenza tra presupposizione e sopravvenienze. Si rinvia, infine, a G.B. XXXXX, Dalla clausola rebus sic stantibus alla risoluzione per eccessiva onerosità, in Quadrimestre, 1988, p. 69, secondo cui la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta si è definitivamente svincolata anche dalla teoria della presupposizione a cui, una parte della dottrina formatasi durante la vigenza del codice civile 1885 e talune decisioni giurisprudenziali, l’avevano ricollegata. La prima è, infatti, una fattispecie obiettivamente individuata, al contrario della presupposizione che sarebbe un fatto psicologico.
264 Si tratta della tesi di X. XXXXXXXXX, “Presupposizione” ed errore sui motivi nei contratti, in Riv. dir.
civ., 1985, p. 69, il quale aggiunge che l’errore sui motivi è essenziale se la rappresentazione di un evento presupposto da una parte è stata conosciuta dall’altra. Interessate appare la critica di X. XXXXXXX, Economie individuali e connessione contrattuale. Saggio sulla presupposizione, 1997, pp. 335 e ss., fondata sull’equiparazione fatta da Xxxxxxxxx tra errore e ignoranza.
Contro la tesi di Xxxxxxxxx sembrano scagliarsi anche le decisioni della giurisprudenza, secondo cui: “Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, dalla quale il collegio non ravvisa motivi per doversi discostare, costante nell'escludere che tra gli elementi, tassativamente indicati dall'art. 1429 c.c., ai fini dell'essenzialità dell'errore comportante l'annullamento del contratto, rientrino il valore della cosa formante oggetto di una compravendita o il prezzo (Cass. 16031/07, 11879/02, 8290/93, 721/77), a meno che la fallace rappresentazione non sia dipesa da un errore su una qualità essenziale della res empia (Cass. nn 2935/96, 985/98), accordando l'ordinamento per siffatti casi, ove ricorrano le altre particolari condizioni, lo specifico e diverso rimedio della rescissione” cit. Cass., 27 novembre 2012, n. 21094, in Guida dir., 2013, 11, p. 37.
265 X. XXXXX, La dottrina della presupposizione, in Trattato del Contratto, a cura di X. Xxxxx, X, Xxxxxx -0, Xxxxxx, 2006, p. 526.
comune. Con il riferimento al motivo comune l’autore non intende la somma di motivi individuali, che rimangono irrilevanti, bensì una realtà oggettivamente idonea a provocare un conflitto di interessi266.
▪ Al contrario, chi considera la presupposizione come destinata a salvaguardare l’equilibrio economico del contratto e la distribuzione di rischi e danni tra le parti, non può che reputare la disciplina dell’errore - indirizzata a contemperare l’esigenza di protezione della parte che vi è caduta con l’affidamento dell’altro contraente - assai lontana dalla presupposizione267.
▪ Rafforza ulteriormente quest’ultima distinzione tra presupposizione ed errore, la dottrina che ha cura di rimarcare come siano diversi gli effetti derivanti da una domanda di annullamento per errore da quelli che assumono rilievo nel meccanismo della presupposizione; poiché se così non fosse “la teoria della presupposizione si configurerebbe come un indecoroso trucchetto attraverso il quale fare rientrare surrettiziamente ciò a cui si è di già negato l’ingresso dalla via principale”268.
▪ Nel progressivo oggettivarsi della presupposizione, questo tema si è legato alla causa, portando a definire la presupposizione come lo strumento che attribuisce rilevanza alla difformità tra causa concreta del negozio e causa astratta fissata dal legislatore269.
L’obiettivo cui mira siffatta visione, è quello di precludere “il riconoscimento degli effetti giuridici propri di un determinato tipo a contratti che in concreto non ne realizzano la funzione”270.
266 Si cfr. X. XXXXXXXXX, voce Presupposizione (dir. civ.), in Enc. giur., Xxxx, 0000, pp. 3 e 5 e L’errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova, 1963, pp. 508 ss., il quale più precisamente ritiene che: (i) quando la falsa presupposizione riguardi una sola parte, ci sia un errore unilaterale sul motivo comune che determina l’annullamento per errore sull’oggetto; (ii) al contrario, quando la rappresentazione falsa riguardi entrambi i contraenti, si configuri un vero e proprio motivo comune erroneo che rileva indipendentemente dalla riconoscibilità.
267 X. XXXXXXX, X. X’XXXXXX, voce Presupposizione, in Enc. dir., Milano, 1986, p. 340.
268 Cit. X. XXXXXXXX, La presupposizione, in Tratt. dir. priv., dir. da X. Xxxxxxx, XIII, IV, 2003, p. 47.
269 X. XXXXX, La dottrina della presupposizione, in Trattato del Contratto, a cura di X. Xxxxx, X, Xxxxxx -0, Xxxxxx, 2006, p. 530.
270 Cit. X. XXXXXXXXXX, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966, pp. 231 ss.. Il discorso di Xxxxxxxxxx si snoda in tre tappe: la prima qualifica come inefficace il contratto a prestazioni corrispettive privo di una funzione di scambio; la seconda si fonda sull’equiparazione della presupposizione agli artt. 1447 ss. e 1467 ss. (da cui è possibile desumere il principio generale che preclude il ricollegamento degli effetti giuridici, di un determinato tipo, a contratti che in concreto non ne realizzano la funzione); la
In attuazione di ciò, la teoria causalistica prende atto: (i) dell’inefficacia del contratto fin dalla sua stipulazione, nel caso in cui la falsa presupposizione sia originaria; (ii) dell’intervenuta inefficacia (anche attraverso il ricorso ad un’azione di accertamento), laddove sia venuto meno in un secondo momento il presupposto idoneo a realizzare in concreto la funzione di scambio del contratto271.
▪ In adesione all’opinione che concepisce la causa come la funzione economico-individuale del contratto272, e quindi comprensiva non solo di interessi riconducibili al tipo contrattuale, ma anche degli interessi che abbiamo determinato l’operazione contrattuale, si sviluppa la tesi che considera la presupposizione come lo strumento necessario ad attribuire rilievo all’irrealizzabilità degli interessi ulteriori rispetto a quelli inquadrati nel tipo contrattuale273.
▪ Ciò detto, si deve evidenziare che persino le argomentazioni che si fondano sull’incontro tra presupposizione e causa non sono esenti da critiche274. Si pensi, a titolo esemplificativo, al fatto che la presupposizione non è un elemento
terza finale ritiene che il fondamento normativo della presupposizione non vada ricercato nei citati articoli, ma nel principio da essi reso visibile. Critica tale discorso X. XXXXXXX, Economie individuali e connessione contrattuale. Saggio sulla presupposizione, 1997, pp. 369 ss., la quale rifiuta l’equiparazione fatta da Xxxxxxxxxx, prima, tra risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta e rescissione, poi, tra queste due e la presupposizione: “Mentre il problema che il legislatore ha visto regolato nelle discipline della rescissione e della eccessiva onerosità è, seppur sotto profili differenti, il problema dell’equilibrio contrattuale e del rapporto di valore tra le prestazioni, il problema suscitato dalla mancanza del presupposto non attiene all’equilibrio, ma alla stessa conclusione del contratto, all’interesse ad un certo tipo di scambio che con il contratto si sarebbe dovuto attuare e che, mancando il presupposto, non si può (più) attuare”.
Allo stesso modo Xxxxxxxxxx è criticato da X. XXXXXXXX, La presupposizione, in Tratt. dir. priv., dir. da
X. Xxxxxxx, XIII, IV, 2003, p. 51, nota 24, secondo cui: “Nel discorso del Cataudella circa il fondamento normativo della presupposizione chi scrive non è riuscito a trovare alcunché di realmente diverso da una ben consegnata sovrastruttura retorica di un mero giudizio libero”.
271 X. XXXXXXXXXX, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966, pp. 231 ss..
272 G.B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, pp. 203 ss..
273 Sul punto X. XXXXX, La dottrina della presupposizione, in Trattato del Contratto, a cura di X. Xxxxx, X, Xxxxxx -0, Xxxxxx, 2006, p. 530.
Si cfr., altresì, X. XXXXXXXXXXXX, Contratti in generale, in Trattato Grosso-Xxxxxxx Passatelli, 3° ed, Milano, 1975, p. 38, secondo cui: “Nel caso in cui sia stato ceduto un bene ed emerga, in sede di ermeneutica, che i contraenti abbiano avuto altresì di mira una peculiare utilizzazione di esso, l’impossibilità di attuare quest’ultima potrà attribuire alla parte interessata un’eccezione fondata appunto sull’obbligo di esecuzione secondo buona fede”. Xxxxxxxxxxxx è criticato da X. XXXXXXXX, La presupposizione, in Tratt. dir. priv., dir. da X. Xxxxxxx, XIII, IV, 2003, p. 63, il quale ritiene che nella prospettiva del medesimo la figura della presupposizione si configuri come una figura sintomatica di un generale criterio di disciplina avente un più vasto campo di applicazione e non già come un’autonoma categoria.
274 Per una ricostruzione completa si veda X. XXXXX, La dottrina della presupposizione, a cura di X. Xxxxx, X, Xxxxxx -0, Xxxxxx, 2006, pp. 528 e ss..
essenziale del contratto275, ma piuttosto inerisce agli interessi che con esso si intendono definire, al contrario della causa che attiene alla logica degli interessi già definiti276.
▪ Dall’analisi della dottrina finora citata, emerge una predilezione degli autori per il rimedio dell’inefficacia in luogo della tradizionale nullità. Tuttavia, un richiamo alla nullità (seppur nella sua forma meno invasiva) deve essere fatto. Vi è, invero, una dottrina che ipotizza di applicare alle ipotesi di presupposizione (per mancanza originaria del presupposto) la nullità relativa, azionabile dal solo contraente della “prestazione materialmente possibile, ma qualitativamente impossibile”277. La medesima autrice contempla, nella propria monografia, la presupposizione come una figura posta a presidio del dogma dell’irrilevanza dei
motivi278.
▪ Un ulteriore rimedio riconducibile alla presupposizione è il recesso unilaterale, riconosciuto (anche in quest’ottica, come in quella che precedente) solo a favore della parte il cui presupposto sia stato al momento della conclusione del
275 P. XXXXXX, voce Presupposizione, in Noviss. Dig. it., XIII, Torino, 1966, p. 780.
276 X. XXXXXXXX, Dalla causa alla presupposizione, in Giust. civ., 1988, II, p. 291.
La Cassazione nella sentenza Cass., 25 maggio 2007, n. 12235, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 1177 (con commento di X. XXXXXXX, Difetto di presupposizione e rimedi esperibili: il révirement della Suprema Corte) ha distinto la causa dalla presupposizione escludendo “che possano ad essa ricondursi fatti e circostanze ascrivibili alla causa, nel senso cioè di condizionarne la realizzazione nel suo proprio significato di causa concreta, quale interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare (cfr. Cass. 8 maggio 2006). I cc.dd. presupposti causali assumono infatti rilievo già sul piano dell’interesse che giustifica l’impegno contrattuale, e pertanto appunto la causa dello stesso”. X. XXXXXXXXX, La risoluzione per eccessiva onerosità, in I contratti in generale, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 1999, p. 1572, ritiene, invece, che la teoria causalistica sposti il problema del fondamento dell’istituto senza risolverlo.
277 X. XXXXXXX, Economie individuali e connessione contrattuale. Saggio sulla presupposizione, 1997, p. 497.
278 La tesi dell’autrice, X. XXXXXXX, Economie individuali e connessione contrattuale. Saggio sulla presupposizione, 1997, si sdoppia in due filoni: (i) uno che considera i contratti di scambio rientranti nel modello della contrattazione mercantile, in relazione ai quali la presenza del presupposto è affidata alla deroga che le parti hanno disposto in ordine al piano ordinario di vantaggi e rischi postulato dal tipo contrattuale scelto. In questo caso il giudice in via interpretativa deve ricostruire l’economia del contratto sancendo, in caso di inattuabilità della stessa, la nullità o la risoluzione dello stesso. Il giudice non può, però, modificare il contratto che si presenta iniquo, ma solo dichiarare l’inefficacia del medesimo quando riscontri l’inattuabilità del programma concordato; (ii) un secondo modello che si riferisce alle fattispecie nelle quali il presupposto inerisce all’oggetto del contratto, determinando una qualità essenziale del bene oggetto dello scambio. In questo secondo caso l’inattuabilità del programma concordato elide l’efficacia del negozio. Qui il giudice non assume alcuna funzione interpretativa, dichiarando la risoluzione o nullità per mancanza del presupposto anche se le prestazioni sono ancora possibili. Contra X. XXXXXXXX, La presupposizione, in Tratt. dir. priv., dir. da X. Xxxxxxx, XIII, IV, 2003, p. 99.
contratto inesistente/impossibile o il cui vincolo sia divenuto in un secondo momento intollerabile/inutile. Precisamente, secondo tale orientamento, il recesso deve essere dal giudice accordato quando appaia dovuto con riferimento al significato del contratto e ricorrendo alla sua interpretazione soggettiva e oggettiva279.
▪ Infine, vi sono autori che classificano la presupposizione come: “Una causa di risoluzione del contratto non prevista dalla legge, ma riconosciuta dalla giurisprudenza”280. Ne deriva che nel nostro ordinamento, accanto alle ipotesi di scioglimento del contratto per sopravvenienze straordinarie e imprevedibili, debba aggiungersi la risoluzione per presupposizione, fondata su sopravvenienze prevedibili281.
▪ Il rimedio della risoluzione è accostato alla presupposizione anche dall’opinione che richiama la clausola generale di buona fede, quale: “Criterio idoneo per la soluzione di conflitti insorti circa la compatibilità fra adempimento e circostanze sopravvenute”282.
Le due statuizioni esaminate conclusivamente hanno il pregio di apprestare - allorché il presupposto comune venga meno dopo la stipulazione del contratto - il rimedio risolutorio, conformemente a quanto riconosciuto in via generale dal codice
279 C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 2° ed., pp. 414 e 467. L’autore è criticato da
X. XXXXXXXX, La presupposizione, in Tratt. dir. priv., dir. da X. Xxxxxxx, XIII, IV, 2003, pp. 72 e ss., il quale ritiene che non sia possibile capire di cosa si occupi realmente la teoria della presupposizione del Bianca soprattutto allorquando si analizzi il caso pratico richiamato dall’autore. Infatti, il Bianca si è avvalso, nello spiegare la presupposizione, del caso in cui una parte si obblighi ad eseguire la prestazione quando avrà ottenuto un determinato finanziamento pubblico, senza spiegare se la menzione del finanziamento valga a specificare un modalità temporale della prestazione o se, invece, valga a subordinare l’obbligazione della parte all’ottenimento del contributo sperato.
Non è d’accordo con chi ricorre al recesso in caso di presupposizione X. XXXXXXX, La presupposizione e le altre ipotesi di sopravvenuta mancanza della causa, in Trattato di diritto civile, II, 2015, p. 645, secondo cui: “Si attribuisce così alla figura di cui all’art. 1373 la funzione di generale rimedio ad ogni difetto, originario o sopravvenuto, del contratto che questa figura non è, in verità, idonea ad assolvere”.
280 Cit. X. XXXXXXX, La presupposizione e le altre ipotesi di sopravvenuta mancanza della causa, in Trattato di diritto civile, II, 2010, p. 557.
281 G. DE NOVA, Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, 2011, p. 650.
282 X. XXXXXXX, X. X’XXXXXX, voce Presupposizione, in Enc. dir., Milano, 1986, p. 345 e X. XXXXXXX, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1969, p. 285, secondo cui per individuare l’insieme degli obblighi e dei rischi che gravano su ciascuno dei contraenti occorre affrontare a volta a volta questioni di qualificazione del contratto, di interpretazione delle clausole oscure e di integrazione del suo contenuto, tanto varie quanto sono diversi i singoli contratti.
civile nelle ipotesi di sopravvenienze (a causa di impossibilità ovvero di eccessiva onerosità sopravvenuta)283.
Una simile deduzione è condivisibile, ma pare esaltare il paradosso del nostro ordinamento in tema di eventi sopravvenuti. Specificamente, pur essendo la risoluzione confacente ai casi di presupposizione, ove crolla l’architrave costruito dalle parti, tale rimedio codicistico non si mostra sempre il più opportuno284.
Un esempio dell’inadeguatezza della risoluzione sembra essere offerto proprio dall’art. 1467 c.c., con riferimento all’eccessiva onerosità sopravvenuta. Non a caso, è in tema di eccessiva onerosità sopravvenuta, e non in tema di presupposizione, che si sono sviluppate le tesi sulla rinegoziazione del contratto e sul controllo giudiziario285.
Dopo aver esaminato il tessuto dottrinale, occorre soffermarsi sulla componente giurisprudenziale che ha fortemente contribuito all’individuazione della figura della presupposizione.
In proposito, si rileva che la giurisprudenza, nonostante abbia fornito una definizione pacifica di presupposizione286, non ha però raggiunto altrettanta univocità di vedute in merito al rimedio applicabile alla stessa. Xxxx, in relazione a ciò è stato proposto un ampio, e spesso confuso, ventaglio di soluzioni287:
1) vi sono decisioni che, impostando il problema in termini di errore, indicano il rimedio dell’annullamento288;
283 Queste tesi attribuiscono il rimedio della risoluzione alla presupposizione, pur evitando di accorparla erroneamente all’eccessiva onerosità (e ai limiti previsti per la stessa).
284 Si veda in proposito X. X’XXXXXX, La buona fede, in Tratt. dir. priv., dir. da X. Xxxxxxx, XIII, IV, 2003, p. 149.
285 Le tesi sull’obbligo di rinegoziare del contratto saranno meglio approfondite in prosieguo.
286 La ricostruzione più risalente nel tempo considera la presupposizione come una condizione non sviluppata e inespressa. Tale orientamento corrisponde a quello tedesco di Windscheild, si confrontino: Cass., 17 settembre 1970, n. 1512, in Foro it., 1971, I, p. 3028; Cass., 21 settembre 1981, n. 5186 in Foro it., 1982, p. 106; Cass., 15 maggio 1987, n. 4487, in Giust. civ. mass., 1987, 5.
000 X. XXXXX, Xx xxxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000, p. 965.
288 Il ricorso all’istituto dell’errore è riscontrabile in materia lavoristica, tra le altre: Cass., 29 aprile 1959,
n. 1385, in Orient. giur. lav., 1959, p. 246; Trib. Milano, 11 ottobre 1948, in Foro it., 1948, I, p. 994 e Trib. Torino, 3 marzo 1948, in Giur. it., 1948, I, 2, p. 345.
In materia contrattuale civilistico si segnalano invece, il Trib. Pavia, 24 febbraio 1973, in Giur. mer., 1974, I, p. 20 e il Trib. Taranto, 16 ottobre 2012, in xxx.xxxxxx.xx, secondo cui: “In tema di presupposizione, con riguardo ad un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto terreni, l'aver ignorato la non immediata edificabilità del lotto, rientra nell'ipotesi dell'errore ex art. 1429, n. 2, c.c., ossia quello
2) non mancano pronunce che applicano alla presupposizione la sanzione della nullità e dell’inefficacia289;
3) talune sentenze riconoscono un diritto recesso290;
4) altre pronunce si riferiscono alla risoluzione del contratto riconducendo la presupposizione all’art. 1467 c.c. e ai limiti di quest’ultimo291;
5) il maggior numero di decisioni, infine, ricorre alla presupposizione sia alla presenza di un difetto originario del presupposto sia al venir meno del medesimo nella fase esecutiva, riconoscendo alle parti il diritto di domandare la
che cade sopra una qualità del bene cosicché, in via di interpretazione estensiva della predetta norma, l'annullabilità del contratto va ammessa anche quando la situazione erronea sia stata implicitamente tenuta presente da tutte le parti contraenti e sia stata la ragione determinante del consenso all'operazione economica divisata”.
289 Si confronti Xxxx., 03 dicembre 2009, n. 25401, in Rep. Foro it., 2009, voce Contratto in genere n. 347. Si riferisce alla nullità e all’inefficacia la decisione dell’App. Torino, 11 luglio 2003, in Giur. mer., 2004, p. 6, che statuisce: “Laddove il contratto sia stato stipulato tra le parti sulla base di un presupposto costituito da una supposta disciplina giuridica del rapporto contrattuale, in realtà non sussistente, è nullo e inefficace”.
Solo all’inefficacia si riferiscono, invece: Cass., 6 luglio 1971, n. 2104, in Giur. it., 1973, I, 1, p. 283, nonché in Riv. not., 1973, p. 293 e App. Trieste, 12 ottobre 1987, in Nuova giur. civ. comm., 1989, p. 23, che in particolare precisa: “Ricorre la figura della presupposizione quando un determinato fatto, che ha costituito il presupposto comune a tutte le parti per la formazione del negozio, non si realizza per causa indipendente dalla volontà delle parti, comportando come conseguenza l'inefficacia dell'atto”.
Si rinvia da ultimo alla Cass., 26 gennaio 1995, n. 975, in Foro. it., 1995, I, c. 2502, che pur non riferendosi espressamente alla presupposizione, la evocandola quando si riferisce alla causa come “funzione pratica che le parti hanno effettivamente assegnato al loro accordo” in un caso in cui un tifoso del Toro si era abbonato alle partite del nuovo campionato sul presupposto, dichiarato dal presidente della società calcistica durante la campagna abbonamenti, che il centravanti Lentini avrebbe continuato a giocare nella squadra. A stagione appena iniziata, il giocatore veniva però ceduto e il tifoso chiedeva il rimborso del prezzo pagato per l’abbonamento.
Si veda in proposito X. XXXXX, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente né compiacente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, I, pp. 957 e ss..
290 “La presupposizione, non attenendo all'oggetto, né alla causa, né ai motivi del contratto, consiste in una circostanza ad esso «esterna», che pur se non specificamente dedotta come condizione ne costituisce, specifico ed oggettivo presupposto di efficacia, assumendo per entrambe le parti, o anche per una sola di esse - ma con riconoscimento da parte dell'altra - valore determinante ai fini del mantenimento del vincolo contrattuale, il cui mancato verificarsi legittima l'esercizio del recesso” cit. Cass., 25 maggio 2007, n. 12235, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 1177.
291 Le decisioni che riconducono la presupposizione all’art. 1467 c.c., applicano il rimedio della risoluzione e i limiti rinvenibili nell’articolo stesso Trib. Modena, 29 novembre 2007, in www.pluris- xxxxxx.xx e Cass., 14 agosto 2007, n. 17698, in Giust. civ. mass., 2007.
Fanno riferimento alla risoluzione Trib. Torino, Sez. Lav., 6 febbraio 2008, in xxx.xxxxxx-xxxxxx.xx; Cass., 24 maggio 2006, n. 6631, in Xxxx. xxxx. xx., 0000, x. 000, Xxxx., 00 maggio 2005, n. 10340, in Il
civilista, 2009, 12, p. 88.
nullità del contratto nel primo caso e la risoluzione per fatto non imputabile nel secondo292.
Appare, al contrario, consolidata nelle corti e nei tribunali la disciplina processuale della presupposizione, che - non essendo rilevabile d’ufficio - è considerata un’eccezione in senso stretto, la cui allegazione rientra nella disponibilità esclusiva della parte che resiste alla domanda293. Eppure anche in questa considerazione qualcosa stride: se la nullità è sempre rilevabile d’ufficio dal giudice, in un’ipotesi di presupposizione per così dire genetica, il giudice avrebbe il potere e dovere di accertarne la nullità anche in difetto di domanda di parte294.
Altrettanto pacificamente, l’indagine del giudice diretta a stabilire se una determinata situazione di fatto o di diritto sia stata tenuta presente dai contraenti secondo lo schema della presupposizione, è considerata come improntata sul piano propriamente interpretativo (attraverso il ricorso al principio della buona fede)295.
292 Tra le altre si ricorda: Xxxx., 11 ottobre 1990, n. 8200, in Giust. civ. mass., 1990, 8, secondo cui la presupposizione determina “l'invalidità o la risoluzione del contratto, quando la situazione presupposta, passata o presente, in effetti non sia mai esistita e, comunque, non esista al momento della conclusione del contratto, ovvero quella contemplata come futura (ma certa) non si verifichi”. Si cfr. anche: Cass., 14 agosto 2007, n. 17698, in Giust. civ. mass., 2007; Cass., 25 maggio 2007, n. 12235, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 1177; Cass., 24 marzo 1998, n. 3083, in Giur. it., 1999, c. 511; Cass., 5 gennaio 1995, n. 191, in Giust. civ. mass., 1995, p. 34; Cass., 13 maggio 1993, n. 5460, in Giust. civ. mass., 1993, p. 857; Cass., 9 novembre 1994 n. 9304, in Giust. civ. mass., 1994, 11; Cass., 14 gennaio 1998, n. 295, in Giust. civ. mass., 1998, p. 64; Cass., 28 agosto 1993, n. 9125, in I Contratti, 1993, p. 677 e in Foro it., 1995, I, c. 1601; Cass., 4 luglio 1991,
n. 7368, in Giust. civ. mass., 1991, 7.
293 Così X. XXXXX, La dottrina della presupposizione, in Trattato del Contratto, V, Rimedi -2, Milano 2006,
p. 541 che cita Cass., 6 ottobre 2000, n. 13333, in Foro pad., 2001, I, p. 55. Inoltre, si richiamano: Cass., 24 marzo 1998, n. 3083, in Giur. it., 1999, c. 511; Cass., 13 maggio 1996, n. 4449, in Giust. civ. mass., 1996, p. 718.
294 Si ricorda in proposito la decisione delle Sezioni Unite del 2012: “Alla luce del ruolo che l’ordinamento affida alla nullità contrattuale, quale sanzione del disvalore dell’assetto negoziale e atteso che la risoluzione contrattuale è coerente solo con l’esistenza di un contratto valido, il giudice di merito, investito della domanda di risoluzione del contratto, ha il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti ex actis, una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso, purché non soggetta a regime speciale (escluse, quindi, le nullità di protezione, il cui rilievo è espressamente rimesso alla volontà della parte protetta); il giudice di merito, peraltro, accerta la nullità incidenter tantum senza effetto di giudicato, a meno che sia stata proposta la relativa domanda, anche a seguito di rimessione in termini, disponendo in ogni caso le pertinenti restituzioni, se richieste” cit. Cass., Sez. Un., 4 settembre 2012, n. 14828, in. Giust. civ. mass., 2012, 9, p. 1088, in Vita Not. 2013, 1, p. 209 e in Rass. dir. civ., 2014, 2, p. 563. Si veda anche Xxxx., Sez. Un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243, in Giust. civ. mass., 2014 e in Diritto & Giustizia, 2015.
295 L’indagine, riservata al giudice di merito, diretta all’individuazione dei motivi che possono
attribuire rilievo alla situazione presupposta si esaurisce, quindi, sul piano ermeneutico, alla stregua degli artt. 1362 ss. (in questo senso: Cass., 21 novembre 2001, n. 14629, in Le Società, 2002, p. 1246; Cass., 18 settembre 2009 n. 20245, in Giust. civ. mass., 2009, 9, p. 1336).
In proposito, si condivide la seguente sintesi: “Il tema della situazione presupposta apparterebbe a quella stessa zona di confine tra causa e motivi (per usare dei riferimenti terminologici acquisiti ormai in dottrina) cui appartengono motivazioni non esplicitate nella regola contrattuale, ma percepibili, attraverso i criteri dell’interpretazione”296.
Con specifico riferimento alle fattispecie concrete ricondotte dalle decisioni dei giudici alla materia della presupposizione, è doveroso - in primo luogo - citare il caso di scuola più famoso: il c.d. “Coronation Case”, riferito all’ordinamento inglese. Esso trova il suo presupposto sulla soppressione della cerimonia di incoronazione del re Xxxxxxx XXX, avvenuta nel 1903, in occasione della quale i giudici inglesi hanno considerato legittimo il rifiuto di versare il corrispettivo da parte di chi aveva affittato il balcone per vedere il corteo reale297.
Come anticipato, la giurisprudenza italiana sull’argomento è nutrita e, talvolta, tende a ricondurre, sotto la rubrica della presupposizione, situazioni eterogenee tra di loro. Non è, quindi, possibile smentire chi definisce la presupposizione come: “Una formula magica alla quale il giudice rimette problemi che non intenda o non sia in grado di governare attraverso le ordinarie tecniche di applicazione e integrazione delle discipline legali”298.
Si veda, inoltre, X. XXXXXXX, Economie individuali e connessione contrattuale. Saggio sulla presupposizione, 1997, pp. 13 e ss., la quale riassume l’impostazione della giurisprudenza, secondo cui il contratto va riguardato dall’interprete come un’operazione economica dotata di una sua logica singolare, che deve essere ricostruita in modo obiettivo, ricorrendo anche a quanto le parti, seppur in modo non espresso, abbiano posto a fondamento dell’operazione stessa, tutte le volte in cui le circostanze sopravvenute ne mettano in pericolo la concreta realizzazione.
Concordano sul ruolo interpretativo del giudice: X. XXXXX, Il contratto, Bologna, 2011, p. 966; X. XXXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova, 1992, pp. 86 ss.; C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 2° ed., p. 467. Contra la riconduzione della presupposizione all’interpretazione X. XXXXXX, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969.
296 Cit. G.B. XXXXX, Dalla clausola rebus sic stantibus alla risoluzione per eccessiva onerosità, in
Quadrimestre, 1988, p. 71.
000 X. XXXXXXX, Xx mutamento di circostanze e l’obbligo di rinegoziazione, in X. Xxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, Manuale di diritto privato europeo, II, Milano, 2007, p. 521 ss..
298 Si veda X. XXXXXXXX, La presupposizione, in Tratt. dir. priv., dir. da X. Xxxxxxx, XIII, IV, 2003, p. 117, che considera la presupposizione come il nome di un istituto o figura o principio, che condensa e stabilizza modelli decisionali e pratiche interpretative non razionali.
A titolo esemplificativo, tra i casi giurisprudenziali che hanno fornito rilievo alla presupposizione, giuridicizzando un interesse irrilevante in xxx xxxxxxxx000, xx possono citare quelli aventi ad oggetto contratti di locazione300, di affitto301, di mutuo302, di transazione303, di garanzia304, di fornitura305, di opzione306, di permuta307 e di xxxxxx000.
Tuttavia, il più diffuso utilizzo della presupposizione si registra in materia di compravendita309. Una simile considerazione (ed eccezione delle ipotesi, seppur maggioritarie, in cui si tratti di un contratto preliminare di vendita) rende evidente la rottura tra presupposizione ed eccessiva onerosità sopravvenuta che, per definizione, non trova spazio per i contratti ad esecuzione istantanea, come la vendita310.
299 X. XXXXXXXX, La presupposizione, in Tratt. dir. priv., dir. da X. Xxxxxxx, XIII, IV, 2003, p. 17. Belfiore nel dare enfasi alla propria teoria negativa utilizza più volte la formulazione “giuridicizzazione di un interesse irrilevante in via autonoma”.
300 Cass., 3 ottobre 1972, n. 2828, in Giur. it., 1974, I, 1, p. 83; Cass., 22 settembre 1981, n. 5168, in Foro it.,
1982, I, c. 104; Cass., 8 agosto 1995, n. 8689, in Giust. civ. mass., 1995, p. 1498;; Trib. Bologna, 4 dicembre
1975, in Giur. it., 1977, I, 2, p. 362.
301 Cass., 8 agosto 1978, n. 3864, in Giur. it., 1974, I, 1, c. 835, che nel caso di specie ha però escluso la presupposizione.
302 Trib. Firenze, 28 marzo 1998, in Gius., 1998, p. 2189; Trib. Pescara, 24 gennaio 1997, in Foro it., 1998, I,
c. 613.
303 Cass., 15 dicembre 1987, n. 9272, in Giust. civ. mass., 1997.
304 Trib. Napoli, 7 ottobre 2003, in Giur. napoletana, 2003, p. 397.
305 Cass., 23 settembre 2004, n. 19144, in Giust. civ. mass., 2004.
306 Tra le altre, App. Cagliari, 26 gennaio 1996 in Riv. dir. comm., 1998, II, p. 65 e App. Cagliari, 23 marzo, 1996, in Riv. giur. sarda, 1997, p. 633.
307 Cass., 9 maggio 1981, n. 3074, in Giur. it., 1983, I, I, p. 1737.
308 Cass., 9 dicembre 2002, n. 17534, in Giust. civ. mass., 2002, p. 2155; Cass., 17 dicembre, 2004, n. 23520,
in Giust. civ. mass., 2005; Cass. 23 gennaio 1992, n. 728, in Notiziario giuridico lav., 1992, p. 564.
309 Cass., 14 giugno 1966, n. 1544, in Foro pad., 1967, I, p. 790 e Trib. Milano, 9 aprile 1964, in Rass. dir. civ., 1965, p. 28. Si è fatto ricorso alla presupposizione anche per la vendita di partecipazioni sociali, si veda Cass., 23 febbraio 2000, n. 2059, in Le Società, 2000, p. 1205 e in I Contratti, 2000, p. 1008: “L’acquisto delle quote sociali era finalizzato all’acquisizione della disponibilità dell’esercizio commerciale, per cui fruibilità la licenza di polizia rappresentava un presupposto indispensabile; conseguentemente, l’irregolarità di detta licenza costituiva inesatto adempimento contrattuale da parte dei cedenti”.
310 Sull’argomento vi sono anche sentenze che escludono l’applicabilità della presupposizione alla vendita, evidenziando proprio come la presupposizione rilevi solo con riferimento ai contratti ad esecuzione continuata e periodica ovvero ad esecuzione differita. Si ricordano tra le altre le già citate sentenze, si vedano: Cass., 14 agosto 2007, n. 17698, in Giust. civ. mass., 2007; Trib. Modena, 29 novembre 2007, in xxx.xxxxxx-xxxxxx.xx. Quest’ultima in particolare statuisce: “Nel caso in cui debba desumersi, dalle clausole di un contratto traslativo della proprietà di un terreno, che le parti intesero effettivamente far assurgere a presupposto delle volontà negoziale la futura acquisizione, da parte del terreno stesso, della qualità giuridica di «destinazione a cava», non può essere pronunciata la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, in caso di definitiva mancata sopravvenienza di tale «qualità»:
I presupposti comuni a queste fattispecie concrete sono i più vari: nelle compravendite immobiliari o di terreni, si riscontrano con una certa frequenza pronunce che sanciscono la nullità del contratto o la risoluzione del medesimo a causa della diversa destinazione urbanistica dell’area, della non edificabilità del lotto o per il difetto di autorizzazione a costruire311.
Nonostante le numerose sentenze sull’argomento, nella maggior parte dei casi, le decisioni si chiudono con il rigetto della domanda di presupposizione per difetto, nel caso concreto, degli elementi che a parere della Cassazione caratterizzano l’istituto.
Come già anticipato, la Cassazione ritiene, infatti, che affinché possa parlarsi di presupposizione, debba sussistere: (i) una situazione di fatto o diritto comune ad entrambi i contraenti; (ii) la certezza che l’evento presupposto si realizzi nella
ed invero, il terreno non fu venduto come cava, ma come semplice terreno boschivo, e come tale ne fu trasferita immediatamente la proprietà all'acquirente. In tale fattispecie non appare pertanto applicabile l'istituto della c.d. presupposizione, e non può comunque essere richiesta la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, istituto che è applicabile solo ai contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero differita, e non ai contratti ad esecuzione immediata come quello di cui al caso di specie”.
311 La Cass., 14 novembre 2006, n. 24295, in Guida dir., 2007, p. 50, ha sancito la nullità del contratto per difetto originario della presupposta edificabilità del fondo promesso in vendita, confermando le decisioni in appello e in primo grado che si basavano sull’eccezione avanzata dal convenuto di nullità del contratto per la falsa presupposizione dell'edificabilità del terreno promesso in vendita o, alternativamente, per l'essere venuta meno la situazione di fatto presupposta.
Per le argomentazioni che attribuiscono rilevanza all’inedificabilità e ai problemi urbanistici si citano i seguenti passi: (i) della Cass., 17 dicembre 1991, n. 13578, in Mass. Giur. It., 1991: “Con riguardo ad un preliminare di compravendita di un terreno, la circostanza che il terreno medesimo, contrariamente alle aspettative del promissario acquirente, risulti inedificabile, può abilitare quest'ultimo a chiedere la risoluzione a norma dell'art. 1467 c.c. del rapporto, in applicazione dell'istituto della c.d. presupposizione, se l'inedificabilità sia sopravvenuta alla conclusione del contratto e, inoltre, se l'edificabilità sia stata tenuta presente da entrambi i contraenti quale presupposto oggettivo, ancorché inespresso, per la formazione del consenso”; (ii) della Cass., 28 agosto 1993, n. 9125, in I Contratti, 1993, p. 677 e in Foro it., 1995, I, c. 1601: “Anche gli strumenti urbanistici in itinere (nella specie, piano regolatore non ancora approvato dall'autorità regionale) incidono immediatamente sulla edificabilità dei terreni […] i possono, conseguentemente, determinare, in applicazione dell'istituto della c.d. presupposizione, la risoluzione del contratto di compravendita di un terreno stipulato dalle parti nel comune presupposto - il cui accertamento implica apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione - della sua edificabilità, nel caso in cui sia, poi, accertato essere esso incluso in area che il nuovo strumento urbanistico sottrae alla edificabilità”.
Con specifico riferimento agli edifici da costruire va altresì ricordato che l’art. 46 del D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380 (testo unico in materia edilizia), che ha espressamente sanzionato con la nullità gli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione e lo scioglimento di diritti reali, ove dai suddetti contratti non risultino gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Le irregolarità edilizie sono però solo in parte sottratte all’area di operatività della presupposizione, essendo controversa la possibilità di avvalersi di tale norma per i contratti preliminari difettandone l’effetto reale (come da ultimo si veda Xxxx., 9 maggio 2016, n. 9318, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx).
rappresentazione delle parti; (iii) l’oggettività del presupposto; (iv) la mancanza di riferimenti al presupposto nel testo contrattuale312.
Si può, quindi, concludere che la Suprema Corte sia riuscita con il proprio intervento chiarificatore a limitare, almeno in parte, le istanze creative riscontrabili in tema di presupposizione.
312 Si veda X. XXXXXXXX, La presupposizione, in Tratt. dir. priv., dir. da X. Xxxxxxx, XIII, IV, 2003, p. 119.
1.2 La vendita di partecipazioni sociali e la presupposizione
Il contratto di cessione di partecipazioni sociali presenta particolari complessità riconducibili alla duplice natura e qualificazione giuridica del proprio oggetto313.
L’oggetto immediato del contratto è, infatti, costituito dalle partecipazioni al capitale di una società, traferite dal socio uscente al socio acquirente, a un prezzo determinato o quantomeno determinabile314. Il patrimonio, l’azienda e, più in generale, i beni sociali sono, invece, oggetti mediati, il cui trasferimento è solo una conseguenza economica alla cessione della titolarità delle partecipazioni315.
Come vedremo, tale sdoppiamento assume particolare rilievo nel nostro ordinamento poiché manca uno strumento di tutela dell’oggetto mediato il quale, pur rimanendo sullo sfondo dell’operazione, incide notevolmente sulla complessità e sulla regolamentazione economica della medesima316.
Le vendite di partecipazioni sociali, poiché muovono importanti risorse, richiedono di norma lunghi periodi di negoziazione e l’assunzione di costi transattivi non indifferenti317. Pregnanti verifiche (anche attraverso lo svolgimento
313 Il presente Paragrafo descrive le problematiche connesse alla vendita di partecipazioni rappresentative del capitale di una società, intesa quest’ultima come il complesso dei beni organizzati per l’esercizio collettivo di un’attività economica, allo scopo di dividerne gli utili.
X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto elle clausole di garanzia, in I contratti del commercio, dell'industria e del mercato finanziario, Trattato diretto da X. Xxxxxxx, Torino, 1995, I, p. 247, sottolinea come la gestione delle imprese commerciali (ma anche l’esercizio delle più varie attività economiche e persino l’amministrazione di patrimoni privati) si svolga attraverso la veste societaria, il cui passaggio, tra i diversi soggetti della gestione, si attua con il trasferimento di partecipazioni sociali.
314 Riferendosi alla compravendita di partecipazioni sociali, la dottrina giuridica intende, in senso atecnico e generico, la cessione di partecipazioni. Con riferimento alla nozione di oggetto del contratto di vendita si rinvia a X. XXXXX, Compravendita di partecipazioni sociali, Dalla lettera di intenti al closing, Torino, 2015, p. 124.
315 G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2001, p. VI.
Si veda sull’argomento la recente sentenza che ha applicato alle garanzie contrattuali il termine di prescrizione decennale, Cass., 4 luglio 2014, n. 16963, in Diritto & Giustizia, 2014: “Nella ipotesi di cessione di azioni o di quote di società, oggetto della vendita sono le partecipazioni sociali e non i beni costituenti il patrimonio sociale. Quest’ultimo è di proprietà della società e non dei soci, i quali non sono titolari di un diritto reale sui beni sociali e subiscono, per effetto dalle perdite del capitale sociale, soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione del valore della loro partecipazione”.
316 Sul punto si rinvia a X. XXXXXXXXX, Le sopravvenienze contrattuali, in Lezioni di diritto civile. Xxxx, questioni e tecniche argomentative di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxx, Milano, 2012, p. 379.
317 Così G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2001, p. III. Si cfr. anche X. XXXXX, Esito di contrattazione e abuso di dipendenza economica: un orizzonte più sereno o la consueta pie in the sky?, in Riv. dir. imp., 2000, p. 259.
di due diligence) sono, inoltre, consigliate al socio entrante che miri all’acquisizione del pacchetto totalitario o di controllo della società318.
I controlli sono necessari affinché il compratore sia in grado di valutare proprio le caratteristiche del bene sotteso al contratto, ossia: la consistenza patrimoniale della società (si pensi agli aspetti finanziari, all’esposizione creditoria/ debitoria e alla liquidità dei debiti), le possibilità di crescita/sviluppo della stessa, le peculiarità dei rapporti contrattuali in essere, le controversie in corso e potenziali.
È, quindi, evidente che, nonostante l’assenza nel nostro ordinamento di tutele in favore dell’oggetto mediato, tra i fattori incidenti direttamente sulla quantificazione del prezzo delle partecipazioni scambiate, specifica attenzione è attribuita proprio agli asset aziendali319.
La ragione per la quale la nostra legislazione trascura un aspetto che incide sensibilmente e concretamente sulle valutazioni delle parti, va ricercata nell’origine anglosassone del contratto di cessione di partecipazioni societarie, recepito nell’ordinamento italiano su impulso di traffici commerciali internazionali ed in assenza di specifica disciplina320.
318 X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto elle clausole di garanzia, in I contratti del commercio, dell'industria e del mercato finanziario, Trattato diretto da X. Xxxxxxx, Torino, 1995, I, p. 252, nota 10, individua la differenza tra il contenuto delle garanzie assunte nella cessione di un pacchetto di controllo o totalitario e quelle assunte in un pacchetto di minoranza, precisando che solo nella prima cessione l’acquirente attribuisce rilievo, oltre che al valore della partecipazione, anche agli interessi ulteriori relativi all’impresa sociale.
319 Spesso per la determinazione del prezzo della cessione l’acquirente prende in considerazione, oltre all’ultimo bilancio approvato, anche i bilanci di più annualità nonché il bilancio dell’esercizio ancora in corso, come pure gli utili conseguiti lungo un certo arco temporale, così X. XXXXXX, Il prezzo nella vendita di partecipazioni azionarie, in Riv. delle Soc., 1991, p. 758.
Tali problematiche riguardano gli acquisti di un certo valore in mercati non borsistici, sul punto si veda
X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto elle clausole di garanzia, in I contratti del commercio, dell'industria e del mercato finanziario, Trattato diretto da X. Xxxxxxx, Torino, 1995, I, p. 256, nota 16, che si sofferma anche sulla compravendita avente ad oggetto titoli quotati in borsa, per la quale sono richiesti particolari obblighi ed oneri di comunicazione, all’autorità competenti, e di pubblicità. La quotazione in borsa delle azioni fornisce al compratore una certa garanzia della sussistenza o dell’assenza di determinati fatti importanti ai fini della valutazione della convenienza dell’acquisto.
320 Si veda A.P. SCARSO, La vendita non garantita di partecipazioni sociali, in Nuova giur. comm., 1999, II,
pp. 123 ss.: “Le operazioni di acquisizione di partecipazioni sociali hanno conosciuto una continua e crescente diffusione, in linea con l’aumentata internazionalizzazione dei mercati e la rapida evoluzione nei traffici commerciali”.
Di regola le parti, che intendano porre in essere l’operazione di cessione, dopo aver sottoscritto un primo atto produttivo di effetti obbligatori, si trovano davanti al notaio, per la conclusione di un secondo atto con cui si perfeziona il trasferimento della proprietà delle partecipazioni e, in occasione del quale, l’acquirente adempie la propria obbligazione pecuniaria321.
La cessione di partecipazioni sociali postula, dunque, un differimento temporale, dovuto anche alla complessità dell’operazione che, come illustrato, richiede articolate verifiche, precisi adempimenti (tra cui ad esempio il nulla osta antitrust) e delicate negoziazioni322.
Il differimento temporale richiama la disciplina nazionale del contratto preliminare, ma nonostante le affinità, l’equiparazione non è considerata corretta dalla dottrina predominante. La qualificazione del rapporto come contratto preliminare richiede, infatti, rigidi e predeterminati elementi non riscontrabili nella prassi del c.d. Sale and Purchase Agreement323.
Per questo motivo, una parte della scienza giuridica preferisce richiamare la categoria extra-codicistica del contratto quadro324, intendendo la cessione di partecipazioni come un vero e proprio contratto definitivo ad effetti obbligatori, nel quale l’elemento del prezzo è indicato con riferimento a margini massimi e minimi,
321 “Si tratta di un modus procedendi che tende a soddisfare le esigenze dell’acquirente di verificare se quanto affermato dal venditore, in merito soprattutto alla valutazione patrimoniale, corrisponda al vero, ma è un modo di procedere che soddisfa anche esigenze del venditore che può verificare, ad esempio, la concessione al compratore del finanziamento necessario per effettuare l’operazione o l’ottenimento dell’autorizzazione di una data authority” cit. X. XXXXX, Compravendita di partecipazioni sociali, Dalla lettera di intenti al closing, Torino, 2015, p. 65.
Per il deposito ai fini dell'iscrizione nel registro delle imprese dell'atto dal quale risulti il trasferimento della partecipazione sociale e le correlative variazioni del contratto di società, la legge prescrive che, ai fini dell'attuazione della necessaria pubblicità, debba essere utilizzato l'atto pubblico o la scrittura privata autenticata. Ciò non toglie che la cessione priva di tali requisiti sia comunque efficace, quantomeno inter partes.
322 Si anche confronti la decisione Cass., 28 marzo 1996, n. 2843, in Giur. comm. 1998, II, p. 362, che riconduce il contratto con cui vengono cedute le quote di una società in cambio di un prezzo alla vendita di cui al codice civile.
000 X. XX XXXX, Xx Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2001, p. 15. X. XXXXX, Compravendita di partecipazioni sociali, Dalla lettera di intenti al closing, Torino, 2015, p. 66. Per la disciplina del contratto preliminare si rinvia al Capitolo I, Paragrafo 2.2, ricordando che la funzione del contratto preliminare è quella di obbligare le parti a concludere un futuro contratto. Tale effetto giuridico non può essere attribuito alla sottoscrizione di una lettera di intenti o ad altri tipi di accordi preparatori.
324 Per approfondimenti sul contratto quadro si rinvia al Capitolo I, Paragrafo 2.3.
con riserva di precisarlo in una fase successiva che trova attuazione attraverso il consecutivo contratto325.
Si segnala, inoltre, che non di rado il trasferimento di proprietà è concretizzato ricorrendo all’esercizio di un’opzione, realizzando così una cessione di partecipazioni sociali ad esecuzione differita326.
Capire come si struttura l’operazione di cessione di partecipazioni ha importanza non solo ai fini classificatori, ma anche con riferimento alla materia delle sopravvenienze e della presupposizione327.
Innanzitutto, il periodo che va dal signing (sottoscrizione dell’accordo preparatorio) al closing328 (perfezionamento dell’operazione) è molto delicato, sia perché la società continua ad essere operativa329 ed influenzata del generale andamento del mercato, sia perché il venditore ne mantiene la gestione senza avere più interesse a valorizzarla330.
325 Così X. XXXXXX, Il prezzo nella vendita di partecipazioni azionarie, in Riv. delle Soc., 1991, p. 762.
X. XXXXX, Le condizioni del closing, in Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, a cura di
X. Xxxxxxx- M. De Xxxxx, 1990, p. 171 ss., fa una ripartizione tra il contratto definitivo di compravendita che si colloca alla conclusione delle trattative o che realizza il preliminare e il successivo perfezionamento, che generalmente coincide con il momento in cui le obbligazioni delle parti sono divenute esigibili, essendosi verificate tutte le condizioni previste nel contratto. Con il closing si verifica, quindi, la definitiva intestazione dei titoli in capo all’acquirente e la sua iscrizione nel libro dei soci della società emittente.
326 Si rinvia al Capitolo I, Paragrafo 2.4 sull’opzione e in particolare alla decisione App. 26 gennaio 1996 in Riv. dir. comm., 1998, II, p. 65. X. XXXXX, Compravendita di partecipazioni sociali, Dalla lettera di intenti al closing, Torino, 2015, p. 315, precisa che: “Tra le clausole che riguardano le partecipazioni sociali, si vanno sempre più diffondendo quelle c.d. put and call in virtù delle quali una parte del capitale sociale non ceduto con il contratto originario potrà essere ceduta o acquistata successivamente. Si tratta di due pattuizioni (alcune volte anche accorpate in un’unica clausola) che sono state qualificate come diritti di opzione. Con la clausola put una parte si riserva il diritto di cedere la propria quota, con la clausola call un parte si riserva il diritto di acquisire la quota di controparte”.
327 Così X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, Milano, 2006, p. 35.
328 Il closing richiede il compimento di tutta una serie di attività contestuali al trasferimento della proprietà delle azioni.
000 X. XX XXXX, Xx Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2001, p. 25, considera l’azienda come un “bene vivo”.
330 Così G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2001, p. 25.
X. XXXXX, Compravendita di partecipazioni sociali, Dalla lettera di intenti al closing, Torino, 2015, p. 343, dichiara: “Problema particolarmente sentito in un contratto di acquisizione di partecipazioni sociali è quello relativo all’amministrazione della società target nel periodo intercorrente tra il signing e il closing, soprattutto in ipotesi di acquisto totalitario posto che il venditore potrebbe disinteressarsi della gestione societaria o peggio ancora, porre in essere operazioni che pregiudicano l’aspettativa dell’acquirente relativamente ad una determinata consistenza patrimoniale della società o, comunque, alla sua situazione economico-finanziaria”.
È, dunque, frequente che durante questo periodo interinale la società subisca variazioni di una certa rilevanza.
Al verificarsi di sopravvenienze non sembra, in linea di massima, esclusa la possibilità per la parte svantaggiata di avvalersi della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, di cui all’art. 1467 c.c.. Il ricorso all’eccessiva onerosità codicistica appare, però, difficoltoso. Per esperire efficacemente l’azione di risoluzione occorre, infatti, provare che sia sopraggiunta una modifica di valore delle partecipazioni non rientrante nell’alea normale del contratto e dovuta ad un evento straordinario e imprevedibile331.
L’acquirente dovrebbe, pertanto, tutelarsi in via preventiva (e in alternativa al difficile esercizio di questa azione giudiziaria) introducendo nel testo contrattuale preparatorio specifiche clausole destinate a condizionare l’efficacia del contratto ed a consentire, a seconda dei casi, di svincolarsi o di ottenerne un adeguamento dello stesso.
Il ricorso a simili clausole permette ai contraenti di negoziare gli effetti delle sopravvenienze incidenti sull’oggetto mediato nel c.d. interim period332 (tra cui ad
331 Non sembra potersi negare al venditore la possibilità di esercitare l’azione di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, determinata da eventi straordinari ed imprevedibili, con conseguente diritto del compratore di paralizzarla offrendo di ricondurre il contratto ad equità, attraverso una integrazione del prezzo, così X. XXXXXX, Il prezzo nella vendita di partecipazioni azionarie, in Riv. delle Soc., 1991, p. 769.
Il Tribunale di Bologna, con decisione del 12 gennaio 2011, ha escluso il ricorso all’eccessiva onerosità sopravvenuta nel caso di vendita di partecipazioni sociali ritenendo tra l’altro che: “La variabilità del valore delle azioni di una società nel tempo potrebbe rientrare nell’alea normale del contratto in quanto caratteristica specifica della tipologia di bene in questione, onde, ad abundantiam, l’applicazione dell’art. 1467
c.c. dovrebbe escludersi anche sotto tale profilo”. Conformi sono anche Trib. Milano, 19 aprile 2011, in Banca borsa tit. cred., 2011, II, p. 748 e Trib. Milano, 06 febbraio 2012, in Giur. it., 2012, p. 7.
In proposito, si rinvia al testo di X. XXXXXXXX, Trasferimento delle partecipazioni sociali, contratto aleatorio e rescissione per lesione, commento a Trib. Milano, 27 febbraio 1992, in Giur. it., 1992, I, 2, secondo cui nel caso di variazione di valore della partecipazione viene in gioco la nozione di alea normale del contratto e non quella di contratto aleatorio, essendo le problematiche relative al patrimonio sociale profili estranei all’oggetto della vendita e, quindi, non in grado di incidere sulla natura di tale contratto.
X. XXXXX, Strutture e funzioni delle clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, Milano, 2006,
p. 80, esclude il rimedio dell’art. 1467 c.c. quando le parti abbiano introdotto meccanismi di revisione periodica del corrispettivo.
Si confronti, infine, X. XXXXXXXXXX, Vendita del pacchetto azionario di società in liquidazione per perdite, in Riv. dir. priv., 1996, p. 382, e la più generica decisione del Trib. Milano, 15 febbraio 2006, in Impresa, 2007, p. 591.
332 X. XXXXXX, Il prezzo nella vendita di partecipazioni azionarie, in Riv. delle Soc., 1991, p. 764.
esempio: la material adverse change clause333, la price adjustment clause334 e i
convenant335).
Le seccature per l’acquirente non sono limitate solo al periodo preparatorio e antecedente alla cessione delle partecipazioni, ma possono sorgere anche a seguito del trasferimento della proprietà (normalmente concomitante al closing).
Ad esempio, dopo il passaggio di consegne l’acquirente potrebbe riscontrare delle difformità tra le reali caratteristiche della c.d. società target (i.e. reddituali, patrimoniali, legali) e la documentazione o le dichiarazioni rilasciate dal venditore in sede di trattative336.
In questa fase, avendo il contratto già avuto esecuzione, ogni richiamo all’eccessiva onerosità è precluso al nuovo socio.
Ci si domanda, invece, se all’acquirente di un pacchetto azionario totalitario, relativo ad un’impresa che si dimostri inconsistente o insoddisfacente, sia consentito invocare le norme di cui alla compravendita codicistica ed in particolare gli artt. 1494 e 1497 x.x., xxx xxxx x xxxxx xxxxxxxx xx xxxxxxx xxx xxxx000. D’altronde, la
333 Con la definizione nel contratto delle clausole di material adverse change o material adverse effett, le parti cercano di prevedere cosa potrebbe accadere alla società nel c.d. interim period, scegliendo quali rischi sopportare e quali rischi consentono, invece, all’acquirente di svincolarsi dall’operazione. Normalmente tali clausole sono divise in due parti: (i) una prima parte, più ampia, definisce cosa s’intente per cambiamento avverso rilevante o per effetto negativo rilevante; (ii) una seconda parte analitica, contiene un elenco di eccezioni che sono escluse dai possibili eventi considerati rilevanti; si veda G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2001, p. 102.
Nel diritto italiano queste clausole sarebbero riconducibili a condizioni sospensive. Secondo un autore tali clausole vanno a modificare la disciplina legale dell’art. 1467 c.c., determinando per l’alienante un ampliamento dell’alea, così X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, Milano, 2006, p. 253.
334 La possibilità di aggiustare il prezzo richiede di operare un confronto tra la situazione patrimoniale in considerazione della quale si è determinato il prezzo scritto nello SPA e la situazione in cui trova la società al momento del closing, analizzando il c.d. closing date financial statement, la cui redazione può essere affidata anche ad un terzo imparziale; sul punto si veda G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2001, p. 121.
335 I convenant impongono un determinato comportamento al venditore durante il periodo precedente al perfezionarsi della cessione.
336 X. XXXXXXXXX, Le sopravvenienze contrattuali, in Lezioni di diritto civile. Xxxx, questioni e tecniche argomentative di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxx, Milano, 2012 p. 379.
337 Si segnala anche la tesi minoritaria accolta inizialmente dalla sentenza Cass., 27 luglio 1933 (sentenza Xxxxxx), in Riv. dir. comm., 1935, II, pp. 123 ss..
In dottrina, si vedano: X. XXXXX, La vendita dell’impresa sociale, in Ann. dir. comp., VII, 1932, p. 159 e X. XXXXXXXX, senza titolo, in Foro it., 1936, I, c. 207, che considera la vendita delle partecipazioni come un negozio indiretto: “Se le parti prendono immediatamente in considerazione come oggetto diretto del contratto quello che ne è ordinariamente l’oggetto mediato e considerano la vendita delle azioni come un mero
cessione di partecipazioni sociali presuppone un trasferimento della proprietà di una cosa (la partecipazione sociale) verso il corrispettivo di un prezzo, come richiesto dalla compravendita di cui all’art. 1470 c.c.338.
L’inquadramento appare, però, forzato poiché “a bene vedere, nessuna norma - ma proprio nessuna del Capo Della vendita - si occupa in modo rilevante della cessione delle partecipazioni sociali, tanto meno di partecipazioni sociali di controllo”339 e in ogni caso insoddisfacente con riferimento all’oggetto mediato del contratto340.
In proposito, si ricorda che l’impresa sociale non è soggetta ad alcuna vicenda transattiva anche quando il prezzo delle partecipazioni sia negoziato dalle parti tenendo conto del valore della medesima341.
strumento formale per conseguire la cessione della totalità o di parte notevole dell’azienda anche questo oggetto indiretto del negozio diventa giuridicamente rilevante”.
X. XXXXXXXXX, Riflessioni in tema di titoli azionari e società tra società, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955, p. 240, considera le azioni come beni di secondo grado, rappresentative di diritti relativi a beni che appartengono economicamente al titolare di azioni stesse. Si confronti in proposito la sentenza Xxxx., 9 settembre 2004, n. 18181, in Giust. civ. mass., 2005, secondo cui: “Le azioni (e le quote) delle società di capitali costituiscono beni di «secondo grado», in quanto non sono del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all'esercizio dell'attività sociale; pertanto, i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all'oggetto del contratto di cessione del trasferimento delle azioni o delle quote di una società di capitali, sia se le parti abbiano fatto espresso riferimento agli stessi, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, sia se l'affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede. Ne consegue che la differenza tra l'effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, incidendo sulla solidità economica e sulla produttività della società, quindi sul valore delle azioni o delle quote, può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa, che rende ammissibile la risoluzione del contratto ex art. 1497, c.c., ovvero, qualora i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell'acquirente, quindi «radicalmente diversi» da quelli pattuiti, l'esperimento di un'ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c.”. Contra queste tesi minoritarie si vedano in dottrina le opinioni di X. XXXXX, Le società di comodo e la vendita delle loro azioni, in Riv. dir. comm., 1935, II, p. 123 e di X. XXXXX, Incidenza delle obbligazioni sociali nei rapporti fra cedente e cessionario di quota sociale, in Foro it., 1936, c. 718. Quest’ultimo ritiene consentito parlare di negozio indiretto quando lo scopo che si vuole raggiungere indirettamente sia dalle parti perseguibile, ma nella vendita di partecipazioni sociali, il trasferimento del patrimonio sociale è uno scopo che non può essere raggiunto dato che il titolare del patrimonio sociale è la società e non i singoli soci.
000 X. XX XXXX, Xx Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2001, p. 15.
000 Xxx. X. XX XXXX, Xx Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2001, p. 15.
340 X. XXXXX, Compravendita di partecipazioni sociali, Dalla lettera di intenti al closing, Torino, 2015, p. 65, ritiene: “Le parti, in un contratto di acquisto di partecipazioni sociali, a seguito del buon esito delle trattative procedono alla stipula del contratto definitivo, soggetto ad una serie di precedent conditions, seguita da quello che viene definito closing, ossia l’attività a mezzo della quale le parti procedono alla formale e definitiva intestazione delle partecipazioni sociali, con le modalità richieste a seconda del tipo societario e a seconda del fatto che la società sia o meno quotata”.
341 X. XXXXXX, Il prezzo nella vendita di partecipazioni azioniarie, in Riv. delle Soc., 1991, p. 767.
Il ricorso alle garanzie della compravendita è ammissibile, quindi, solo con riferimento alle difformità riguardanti il complesso dei diritti e degli obblighi incorporati o comunque relativi alle partecipazioni e non può estendersi a beni di proprietà di un soggetto terzo rispetto al socio, quale è la società342.
Il compratore è privo di tutela, anche laddove dichiarasse di essere incorso in errore sul patrimonio sociale o attinente al valore delle partecipazioni343. L’errore è, infatti, essenziale solo se, cadendo sull’identità delle partecipazioni sociali ovvero sulla qualità delle stesse (art. 1429 c.c.)344, incide direttamente sul pacchetto oggetto di acquisto345.
342 Si pensi alle caratteristiche delle partecipazioni, che possono essere ordinarie, di godimento, di risparmio, a voto limitato, privilegiate, con o senza prestazioni accessorie. In proposito si rinvia alla decisione Cass., 29 agosto 1995, n. 9067, in Giust. civ., 1996, I, p. 1049, che si riferisce alle facoltà e ai diritti conferiti al titolare delle partecipazioni.
X. XXXXXXXXX, La tutela dell'acquirente nella vendita dei titoli di credito, in Riv. Dir. Comm., 1959, I, p. 290, ritiene non esatto il richiamo fatto da una sentenza (Cass., 28 agosto 1952, n. 2784, in Foro it., 1953, I, p. 1639) all’aliud pro alio, invece, invocabile quando non sia riscontrabile l’identità tra le azioni contrattate e le azioni consegnate, rendendo il venditore inadempiente al suo obbligo di consegnare un bene corrispondente a quello su cui è caduto il consenso. Così anche X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto elle clausole di garanzia, in I contratti del commercio, dell'industria e del mercato finanziario, Trattato diretto da X. Xxxxxxx, Torino, 1995, 1, p. 252, nota 26.
Contra tali opinioni si veda una decisione che riconosce l’inadempimento, anche nel caso di xxxxx pro alio, per una cessione di quote di una società priva della licenza per gestire un bar-tabaccaria (Cass., 23 febbraio 2000, n. 2059, in Le Società, 2000, p. 1205 e in I Contratti, 2000, p. 1008).
Si rinvia in proposito a X. XXXXX, Cessione di partecipazioni societarie e tutela del compratore: aliud pro aliud?, in Contr. impr. 1994, pp. 183 ss. e a X. XXXXXXX, Cessione di partecipazioni sociali e superamento della alterità soggettiva fra socio e società, in Contr. impr., 2004, pp. 537 e ss..
343 Si cfr.: Cass., 14 febbraio 1963, n. 325, in Giust. civ., 1963, I, p. 743; App. Milano, 13 aprile 1951, in Foro it., 1951, I, p. 607. Si veda, inoltre, X. XXXXXXX, Giurisprudenza e dottrina su acquisizione di società e di pacchetti azionari di riferimento, in Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, a cura di X. Xxxxxxx - X. Xx Xxxxx, 1990, p. 21.
344 Si rinvia a: X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto elle clausole di garanzia, in I contratti del commercio, dell'industria e del mercato finanziario, Trattato diretto da X. Xxxxxxx, Torino, 1995, 1, p. 265; X. XXXXXXXXX, Garanzie nella cessione di quote sociali, in Le Società, 1991, p. 969; X. XXXXXXXXX, La tutela dell'acquirente nella vendita dei titoli di credito, in Riv. dir. comm., 1959, I, p. 292.
In questo senso anche la giurisprudenza di cui in particolare si richiama la seguente massima: “In caso di compravendita delle azioni di una società, che si assume stipulata ad un prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, senza che il venditore abbia prestato alcuna garanzia in ordine alla situazione patrimoniale della società stessa, il valore economico dell'azione non rientra tra le qualità di cui all'art. 1429 n. 2 c.c., relativo all'errore essenziale. Pertanto, non è configurabile un'azione di annullamento della compravendita, basata su una pretesa revisione del prezzo tramite la revisione di atti contabili (bilancio e conto profitti e perdite ex art. 2423 e ss. c.c.), per dimostrare quello che non è altro che un errore di valutazione da parte dell'acquirente, anche quando il bilancio della società pubblicato prima della vendita sia falso e nasconda una situazione in forza della quale devono applicarsi gli art. 2447 e 2448 n. 4” cit. Cass., 29 agosto 1995, n. 9067, in Giust. civ., 1996, I, p. 1049. Si confronti anche la sentenza Xxxx., 19 luglio 2007, n. 16031, in Giur. comm., 2008, II, pp. 103.
345 Si veda X. XXXXX, Incidenza delle obbligazioni sociali nei rapporti fra cedente e cessionario di quota sociale, in Foro it., 1936, p. 719, secondo cui la consistenza del patrimonio sociale non può essere considerata
Differente è l’ipotesi di dolo, potendo l’inganno o l’artificio del venditore riguardare qualsiasi rappresentazione della realtà (anche concernente il patrimonio e il reddito della società) che abbia indotto l’acquirente a concludere il contratto346. Il ricorso al risarcimento del danno è, nel contempo, esperibile seppur sia concretamente ostacolato dalle difficoltà probatorie347.
L’irrilevanza per il patrimonio sociale - sottostante alla cessione di partecipazioni - trova conferma in numerose pronunce giurisprudenziali, che si soffermano sull’oggetto mediato solo nell’ipotesi in cui le parti abbiano convenzionalmente introdotto nel testo contrattuale dichiarazioni e garanzie a favore del socio entrante (c.d. representations and warranties)348. La tutela del
come una qualità intrinseca dell’azione, essendo un elemento che influisce unicamente sul valore dell’azione. Pertanto, per arrivare ad ammettere l’annullamento del contratto sulla base dei principi dell’errore, bisogna ammettere che anche l’errore sul valore possa determinare l’annullamento del contratto.
Sull’argomento si confronti anche X. XXXXXXXXXX, Vendita del pacchetto azionario di società in liquidazione per perdite, in Riv. Dir. priv., 1996, p. 371.
346 X. XXXXXXXXX, La tutela dell'acquirente nella vendita dei titoli di credito, in Riv. Dir. Comm., 1959, I, p. 291, precisa che: “Se il venditore sapeva che la reale situazione del patrimonio sociale era diversa da quella che egli veniva rappresentando al compratore, o comunque da quella che le parti contraenti espressamente consideravano come essenziali nell’economia del contratto, deve ritenersi propria la disciplina del vizio del consenso provocato dal dolo: essendo da accettare quella posizione più avanzata della dottrina che dà rilevanza all’errore provocato anche dal cosiddetto dolo passivo”.
In tema di dolo si vada la recente decisione del Trib. Milano, 5 gennaio 2015, n. 32, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx: “Sia l’impugnazione di un contratto di cessione di partecipazioni sociali ex art. 1439 c.c. quando, pur essendo il suo oggetto un bene c.d. di secondo grado rappresentato da un complesso obiettivato di posizioni giuridiche irriducibile al patrimonio della società, si deduca che proprio l’inganno consapevole del cedente in merito ad una componente di quel patrimonio abbia indotto il cessionario ad una falsa rappresentazione tale da indurlo all’acquisto, b) sia che il dolus malus dell’alienante possa esser consistito anche solo nella consapevole reticenza di una specifica circostanza ove si dimostri che tale silenzio sia stato sufficiente ad occultarla all’acquirente che pure abbia speso nella trattativa la propria ordinaria diligenza, e si provi che l’ingannato non avrebbe proceduto all’affare ove notiziato della circostanza stessa”.
347 Si veda X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto elle clausole di garanzia, in I contratti del commercio, dell'industria e del mercato finanziario, Trattato diretto da X. Xxxxxxx, Torino, 1995, 1, p. 269.
Per completezza si precisa che potrebbe applicarsi alla fattispecie in esame anche la rescissione per lesione, pur apparando difficile individuare casi concreti di stato di bisogno e di approfittamento dell’altra parte.
348 Per representation si intende la dichiarazione resa su un fatto passato o presente, con warranty si intende la promessa che un fatto corrisponda al vero e quindi una assunzione di responsabilità circa la verità del fatto dichiarato G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2001, p. 154.