Contratto a termine
Contratto a termine
Durata del contratto
di Xxxxxxxxx Xxxxxx
Adapt professional fellow
Il D.L. n. 34/2014 prevede che ogni contratto a termine possa avere una durata complessiva di 36 mesi, ma il d.lgs. n. 368/2001 prevedeva già, dopo le modifiche del 2007, una durata complessiva massima di 36 mesi cumulando i contratti a tempo determinato e le somministrazioni a termine.
Col decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34 il lavoro a termine viene profondamente destrutturato, abbandonando radicalmente il modello disegnato dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368.
Si stabilisce che il contratto di lavoro, per qualsiasi mansione, può essere a termine per una durata non superiore a 36 mesi, comprensiva di eventuali proroghe.
La durata del contratto
Tanto per i nuovi rapporti a termine acausali, quanto per i rapporti a tempo determinato già in essere si dovrà porre particolare attenzione al non superamento del termine complessivo di 36 mesi.
L'originaria formulazione del D.Lgs. n. 368/2001 non prevedeva limiti temporali massimi alla durata del contratto, salvo nei casi di proroga e in alcune particolari fattispecie, come ad esempio, per i lavori a giornata nel settore del turismo e dei pubblici servizi (3 giorni - art. 10, comma 3, D.Lgs. n. 368/2001); per il lavoro occasionale (12 giorni non prorogabili in coerenza con la condizione di occasionalità - art. 1, comma 4, D.Lgs. n. 368/2001); per le assunzioni nel settore aeroportuale (4 e 6 mesi - art. 2, D.Lgs. n. 368/2001); per i lavoratori anziani in possesso dei requisiti di pensionamento (2 anni, ripetibili - art. 10, comma 6, D.Lgs.
n. 368/2001); per i contratti dei dirigenti (5 anni - art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 368/2001).
Questo termine deve essere considerato anzitutto quale limite di durata massima del nuovo contratto acausale secondo quanto previsto dall’art. 1 del d.l. n. 34/2014.
Il legislatore stabilisce, in effetti, che il rapporto di lavoro a tempo determinato possa avere complessivamente una durata complessiva di 36 mesi, considerando che sono ammesse proroghe fino ad un massimo di 8 volte, sempreché ciascuna proroga faccia riferimento alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto era stato inizialmente stipulato a termine e con la condizione che la durata iniziale del contratto che si va a prorogare fosse inferiore a tre anni.
Ne consegue che il primo contratto a termine acausale, affinché sia prorogabile, dovrà prevedere una durata iniziale inferiore a 36 mesi.
Il periodo massimo di contratti a termine successivi
Il tetto dei 36 mesi, d’altronde, va valutato anche con riguardo alle previsioni dell’art. 5, comma 4-bis, del d.lgs. n. 368/2001 (introdotto dall’art. 1, comma 40, lett. b), della legge n. 247/2007) che non è stato modificato dal d.l. n. 34/2014. La durata massima consentita è stata mantenuta dall'art. 1, comma 9, della legge n. 92/2012, ma è stato previsto, ai fini del calcolo del limite complessivo dei 36 mesi, che si debba tener conto anche dei periodi di missione nell'ambito di contratti di somministrazione a tempo determinato aventi ad oggetto mansioni equivalenti e svolti tra gli stessi soggetti.
Il rapporto di lavoro è considerato a tempo indeterminato sia nel caso in cui il contratto a termine acausale sia durato complessivamente più di 36 mesi, sia allorquando, a seguito di una successione di contratti a termine, per lo svolgimento di mansioni equivalenti (requisito oggettivo: identità o equivalenza delle mansioni), fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore (requisito soggettivo: identità delle parti del contratto) si sono superati complessivamente i 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro (requisito temporale: superamento dei trentasei mesi complessivi).
Le deroghe al limite della durata complessiva
La limitazione dei 36 mesi complessivi riceve quattro distinte deroghe, previste esplicitamente dalla legge n. 247/2007:
a) deroga soggettiva: per due categorie di lavoratori, i dirigenti e i lavoratori in somministrazione di lavoro;
b) deroga aziendale attiene ai datori di lavoro che svolgono attività stagionali (D.P.R. n. 1525/1963);
c) deroga sindacale per cui il limite dei 36 mesi non opera nei riguardi delle attività stagionali appositamente individuate da avvisi comuni e contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative;
d) deroga assistita: dettata per la generalità dei lavoratori per cui un «ulteriore successivo contratto a termine» fra gli stessi soggetti può essere stipulato «per una sola volta», purché la stipula del contratto avvenga presso la Direzione territoriale del lavoro territorialmente competente e con l’assistenza di un rappresentante sindacale.
D’altro canto, l’art. 28 del d.l. n. 179/2012, convertito in legge n. 221/2012, nel dettare apposite disposizioni in materia di rapporto di lavoro subordinato nelle start-up innovative, prevede che oltre il limite massimo dei 36 mesi, un ulteriore successivo contratto a tempo determinato tra gli stessi soggetti e per lo svolgimento delle medesime attività può essere stipulato presso la Direzione territoriale del lavoro, per un periodo massimo di 4 anni dalla data di costituzione della start-up.
Lo spazio per i contratti di prossimità
Con riguardo al contratto a termine è possibile immaginare che un contratto di prossimità
possa intervenire sull’estensione della durata cumulativa dei contratti a tempo determinato, in deroga al limite generale di 36 mesi, ma anche sulla durata del contratto a termine acausale comprese le proroghe, derogando al limite di durata massima dei 36 mesi introdotto dal d.l. n. 34/2014.
I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale di realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori in deroga alla contrattazione collettiva nazionale di lavoro e alla legge (art. 8, commi 1, 2 e 2-bis, del d.l. n. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011).
Sono “contratti di prossimità” i contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale da organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, ai sensi della normativa di legge e degli Accordi interconfederali vigenti, compreso l’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, nonché alla luce dei risvolti attuativi del Protocollo d’intesa sulla rappresentanza del 31 maggio 2013 e dell’Accordo interconfederale del 10 gennaio 2014 recante il Testo Unico sulla Rappresentanza.
Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e
non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene.
Contratto a termine
Contratti in corso: come operare?
di Xxxxxxxx Xxxxxxx
Consulente del lavoro, Commercialista e Revisore legale in Catanzaro
Con l'entrata in vigore delle nuove regole in materia di contratto a tempo determinato a seguito delle modifiche contenute nel D.L. n. 34/2014, una delle problematiche di natura applicativa che si presenta sotto il profilo della operatività quotidiana riguarda gli effetti della nuova disciplina sui contratti in corso al 21 marzo 2014.
Le modifiche al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 operate dal DL n. 34/2014 cambiano in misura rilevante le regole da applicare ad una tipologia contrattuale molto utilizzata e peraltro oggetto di continui interventi da parte del legislatore che rendono necessaria una valutazione di quale sia la disciplina applicabile.
Quadro normativo
Senza voler qui fare l'excursus delle modificazioni intervenute soprattutto dal 2007 in poi, va tuttavia evidenziato che in particolare gli interventi operati dalla legge 28 giugno 2012, n.92 - cd. Xxxxx Xxxxxxx, entrate in vigore il 18 luglio 2012 e gli importanti ritocchi a tali disposizioni in vigore dal 28 giugno 2013 contenute nel decreto legge 28 giugno 2013, n.76, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 13, n.99, hanno profondamente cambiato il quadro del contatto.
Su tutti: l'introduzione del contratto acausale, modifiche agli intervalli temporali ed a quelli di prosecuzione del rapporto oltre il termine (cd. periodi cuscinetto).
Le modifiche del DL 34/2014
Col decreto legge n. 34/2014 il cambiamento è radicale: la più importante novità è senza dubbio il superamento del contratto acausale come eccezione del contratto causale basato su elementi oggettivamente individuabili nell'ambito delle esigenze di natura organizzativa, tecnica, produttiva o sostitutiva.
Infatti, dal 21 marzo quella che era eccezione diventa regola in quanto il nuovo comma 1 dell'articolo 1 del D.Lgs. 368/2001 prevede che alla durata del contratto di lavoro è consentita l'apposizione di un termine non superiore a trentasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato.
Ora dunque il contratto potrà essere stipulato:
1) per qualsiasi tipo di mansione;
2) per una durata massima di 36 mesi.
L'introduzione della durata massima di 36 mesi nel comma 1 dell'articolo 1 determina quale conseguenza, l'introduzione di un tetto massimo generalizzato e non più previsto per i contratti prorogati.
Viene inoltre abrogato il comma 1 bis introdotto dalla legge n. 92/2012 e che regolava il cd. contratto acausale stipulabile in passato fino a 12 mesi per i lavoratori che non avevano avuto precedenti esperienze di lavoro con lo stesso datore di lavoro.
Come ha osservato Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro, intervenuta sul D.L.n.34/2014 con la circolare n. 5/2014 diffusa lo stesso giorno di entrata in vigore del provvedimento, " La soppressione del comma 1-bis comporta l’eliminazione delle attuali ipotesi di contratto a termine c.d. acausale, dato che la modifica del comma 1 dell’art. 1 del D.Lgs. 368/2001 determina il venir meno del requisito delle causali in modo generalizzato.".
Contratti a temine in corso e proroghe
Per quanto concerne l'applicabilità della nuova disciplina ai rapporti di lavoro in corso, va rilevato che le nuove previsioni in ordine ai requisiti per la stipula del contratto riguardano esclusivamente i nuovi, ovvero conclusi dal 21 marzo in poi.
Quelli già in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n.34/2014, invece, continuano ad essere regolati dai contratti stipulati tra le parti che risultano vincolanti sotto il profilo giuridico relativamente ai patti in essi contenuti e per l'intera durata del rapporto.
Non va dimenticato che il contratto ha forza di legge tra le parti.
E quindi, se tra di esse si è concluso un contratto per specifiche esigenze, il lavoratore non potrà essere occupato in attività lavorativa non coerente con quella oggetto del contratto perché era e rimane la ragione che, all'atto della sottoscrizione del contratto, ne ha giustificato la conclusione.
Risulta invece applicabile la nuova disciplina della proroga con i limiti tuttavia relativi alle ragioni giustificatrici della stessa.
A tali conclusioni giunge anche la Fondazione Studi dei consulenti del lavoro con la circolare
n. 5/2014 nella quale " [...] si precisa che la nuova disciplina si applica anche ai contratti di lavoro a termine in corso di validità alla data di entrata in vigore del decreto."
Va a tal proposito osservato che le nuove regole vanno comunque applicate tenendo conto anche del contratto originario.
Fino al 20 marzo la proroga era possibile:
1) a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive;
2) si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato;
3) comunque al massimo una volta.
Dal 21 marzo il D.L. n. 34 stabilisce che si può concordare tra le parti una proroga :
1) si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato;
2) fino ad un massimo di otto volte.
Nel caso di nuovi contratti, non c'è dubbio che la proroga rimane legata esclusivamente ad una condizione: deve riguardare la stessa attività che ha giustificato la stipula del contratto, che risulta costituirne pertanto l'oggetto e che deve essere indicata nel contratto.
Per i contratti già stipulati alla data di entrata in vigore del decreto ed ancora in corso, invece, la nuova disciplina sarà applicabile relativamente al numero di proroghe.
Quindi non più una proroga soltanto ma fino ad un massimo di otto.
Rimane tuttavia anche in questo caso il vincolo tra le parti contenuto nei patti sottoscritti in sede di stipula del contratto.
Conseguentemente, se è vero che deve riguardare la stessa attività lavorativa, non potrà questa che essere comunque collegata e determinata da ragioni collegate alla causale contenuta nel contratto stipulato tra le parti che ha forza di legge tra di esse.
Rileva giustamente la Fondazione dei Consulenti che "viene soppresso il requisito delle ragioni oggettive della proroga, in coerenza con la soppressione delle causali per la stipulazione del contratto".
Ma per quelli già stipulati, la proroga non potrà che mantenere gli effetti secondo le previsioni del contratto stipulato tra le parti e quindi anche la necessità che sia comunque richiesta da ragioni oggettive evidentemente legate alla causale indicata nel contratto.
Il concetto di "stessa attività lavorativa", in quanto normativamente connessa alla stipulazione del contratto, assume una dimensione oggettiva, riferibile alla destinazione aziendale del lavoro; e, più in particolare, al lavoro previsto dalle ipotesi indicate nella disciplina che aveva legittimato il contratto a termine. La protrazione del contratto è legittima in quanto è protrazione della destinazione prevista da queste ipotesi (Cass. 10140/2005).
Anche nel caso di contratto acausale stipulato ai sensi dell'articolo 1, comma 1 bis, si ritiene possano valere le stesse considerazioni, seppure anche se in tal caso non già in ordine alle causali del contratto originario ma della durata.
Quindi, sarà possibile avvalersi della proroga fino ad un massimo di otto volte, ma la durata massima si ritiene non possa che essere di dodici mesi in quanto il contratto era stato stipulato tra le parti secondo la disciplina del comma 1 bis che prevedeva una durata massima di dodici mesi e con le finalità previste di natura legale ovvero contrattuale secondo l'eventuale disciplina della contrattazione collettiva.
Certamente il nuovo comma 1 dell'articolo 1 del D.Lgs. n. 368/2001 presenta analogie col precedente comma 1 bis ed anzi si risulta più ampio in ordine ai requisiti per la stipulazione. Tuttavia, le parti hanno sottoscritto il contratto facendo riferimento e pattuendo secondo le previsioni del citato comma 1 bis che vigente all'epoca della stipula e continua, fino alla scadenza naturale o prorogata, a regolare i reciproci rapporti.
In tutti i casi, le parti potranno decidere in alternativa, una volta raggiunto il termine del contratto, di stipularne uno nuovo. Tuttavia, sarà necessario che tra la data di scadenza del contratto precedente e quello nuovo vi sia soluzione di continuità.
In particolare, sarà necessario rispettare gli intervalli temporali previsti dall'articolo 5 del D.Lgs. n.368/2001 di durata pari, rispettivamente, a dieci o venti giorni a seconda che il contratto scaduto aveva una durata fino a sei mesi o superiore.