Tribunale L’Aquila, Sez. lavoro
Tribunale L’Aquila, Sez. lavoro
Sentenza 16 gennaio 2013
Con ricorso depositato l'8 settembre 2011 D.E., dipendente del Comune di Caganano, assunto a seguito di concorso pubblico a tempo indeterminato come collaboratore professionale cat. B3 Area tecnico manutentiva dal 2 gennaio 2008, premesso che dall'estate del 2010 è stato costretto a svolgere mansioni inferiori consistenti nella raccolta differenziata dei rifiuti e, per effetto di illegittima delibera della Giunta Municipale del 19 gennaio 2011, sono state rideterminate le mansioni del profilo professionale Cat. B3, previa sottoscrizione di apposito accordo sindacale "per evitare la mobilità obbligatoria'', di analogo tenore e parimenti nullo, avendo svolto dette mansioni inferiori in via prevalente e pertanto non sussistendo né il carattere della residualità delle stesse, né la necessità di procedere a mobilità obbligatoria, ed assumendo in diritto che nel contegno datoriale fosse ravvisabile una violazione dell'art. 2103
c.c. (in considerazione dell'assegnazione a mansioni non corrispondenti al grado e alla qualifica rivestiti) ha agito in giudizio nei confronti dell'amministrazione convenuta, per sentirla condannare, previa disappilicazione di tutti gli atti nulli e illegittimi, alla reintegrazione nelle sue legittime mansioni.
Si è costituito in giudizio Il Comune di Cagnano, che ha resistito alla domanda deducendo la piena legittimità e regolarità dell'operato dell'ente e le difficoltà economiche poste a fondamento della scelta operata, concludendo per il rigetto del ricorso.
Istruita attraverso l'acquisizione della documentazione in atti e attraverso
l'esperimento di una prova per testimoni, all'odierna udienza la causa è stata discussa e decisa mediante lettura della presente sentenza.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Va premesso che, ai sensi dell'art.68, co.1, D.Lgs. n. 29 del 1993 (oggi l'art.63 D.Lgs. n. 165 del 2001), sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'art.1, co.2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo.
Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, il giudice adotta nei confronti delle pubbliche amministrazioni tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati.
Tale ultima norma va coordinata con quella che prevede l'applicabilità ai rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti delle disposizioni del capo I, Titolo II, del Libro V del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa (art.2, co.2, D.Lgs. n. 29 del 1993, oggi art.2 D.Lgs. n. 165 del 2001) e con quella che attribuisce all'amministrazione i poteri del privato datore di lavoro (art.4, co.2, D.Lgs. n. 29 del 1993, oggi art.5 D.Lgs. n. 165 del 2001).
Alla luce di queste disposizioni deve dunque distinguersi, nell'ambito dei provvedimenti adottati dall'ente in confronto dei suoi dipendenti, tra atti intermedi o presupposti (i quali, inserendosi nel procedimento di formazione della volontà dell'ente, costituiscono il presupposto dell'atto direttamente lesivo del lavoratore), e atti finali (direttamente incidenti sulla posizione lavorativa).
Per quanto concerne i primi (atti di macroorganizzazione), non vi è dubbio che essi presentino caratteri autoritativo-discrezionali, e siano pertanto idonei a degradare la posizione soggettiva del privato prestatore di lavoro da diritto soggettivo ad interesse legittimo.
Tali atti, infatti, ove ritenuti illegittimi - per incompetenza relativa, violazione di legge od eccesso di potere - potranno essere impugnati dinanzi al giudice amministrativo (anche se la validità dell'atto presupposto non darà mai luogo ad una questione pregiudiziale amministrativa da decidere con efficacia di giudicato, in quanto la predetta impugnativa non sarà causa di sospensione del processo dinanzi al giudice del lavoro) e potranno essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice del lavoro se rilevanti ai fini della decisione della controversia (senza che possa profilarsi un pericolo di contrasto tra giudicato civile e giudicato amministrativo, in quanto la disapplicazione del giudice del lavoro, avendo carattere meramente incidentale, non potrà avere una simile efficacia in ordine alla validità dell'atto).
Con riguardo invece agli atti (finali) che incidano direttamente sulla sfera giuridica del dipendente (ad es. l'atto che ne preveda il trasferimento, o il mutamento di mansioni, o che stabilisca la cessazione del rapporto) deve escludersi ogni connotazione autoritativa o discrezionale, in quanto il giudice del lavoro può adottare nei confronti dell'ente "tutti i
provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati" (art.68, co.2, cit.).
Da tale fondamentale premessa derivano diverse conseguenze:
b) in secondo luogo i predetti atti non sono qualificabili come provvedimenti amministrativi, ma come atti negoziali unilaterali (atti di gestione, secondo la definizione datane da una parte della dottrina) che si inseriscono nella dinamica del rapporto contrattuale;
c) in terzo luogo, allorché dall'esercizio dei poteri della pubblica amministrazione-datrice di lavoro il privato-prestatore lamenti una indebita lesione della sua sfera giuridica, la posizione soggettiva lesa non potrà mai essere qualificata come mero interesse legittimo, ma sempre come diritto soggettivo, ai sensi e per gli effetti dell'art.2907 c.c. (Cass., Sez. un., 24 febbraio 2000 n.41/SU, in Foro it., 2000, I, 1483);
d) in quarto luogo, infine, la giurisdizione del giudice del lavoro non incontra il limite di cui all'art.4 L. 20 marzo 1865, n. 2248 All.E, in quanto non si tratta di una giurisdizione sull'atto (eventualmente culminante in una pronuncia caducatoria di un provvedimento amministrativo), ma di una giurisdizione sul rapporto (volta alla tutela dei diritti attraverso pronunce di accertamento, costitutive o di condanna: sul punto cfr., di recente, Corte Cost. 5 -23 luglio 2001).
Tanto premesso in generale, è agevole rilevare, nel caso di specie, che sia il provvedimento di modifica del profilo professionale - sebbene possa
apparire prima facie un atto di macroorganizzazione - sia l'accordo sindacale - avente ad oggetto l'assegnazione in via residuale dello svolgimento dell'attività di raccolta rifiuti - si inseriscono non già nella categoria sopra descritta degli atti presupposti, ma in quella degli atti finali, in quanto incidono direttamente sulla sfera giuridica del lavoratore, comportandone lo svolgimento di mansioni non rientranti nel profilo professionale per il quale il predetto è stato assunto.
Il Giudice del lavoro non è chiamato pertanto a conoscere dell'atto (ed eventualmente a caducarlo mediante una pronuncia di annullamento), ma a conoscere della lesione, lamentata dalla ricorrente, del diritto a non essere adibito a mansioni inferiori o non equivalenti a quelle per le quali è stata assunto (ed eventualmente a tutelarla mediante l'emissione di una sentenza di condanna dell'amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nelle mansioni precedentemente svolte).
Nel merito va anzitutto osservato che la disciplina delle mansioni nel pubblico impiego è attualmente contenuta nell'art.52 D.Lgs. n. 165 del 2001 (già art.56D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art.25 D.Lgs.
n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art.15 D.Lgs. n. 387 del 1998).
Questa norma, pur ponendo una regolamentazione in parte differente da quella rinvenibile nell'art.2103 c.c. per il rapporto di lavoro privato (soprattutto in relazione alla fattispecie della assegnazione a mansioni superiori), stabilisce tuttavia anche nel rapporto di pubblico impiego il principio del divieto di mutatio in pejus delle mansioni del dipendente, con la previsione secondo cui il prestatore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto e con l'assenza di previsione circa la sua utilizzabilità in mansioni inferiori. Resta preclusa, infatti, in termini
generali, la possibilità di richiedere mansioni ulteriori rispetto a quelle qualificanti e tipiche della professionalità acquisita, alla stregua dell'art. 2103 cod. civ. che pone un divieto analogo esplicitato dalla previsione della nullità di ogni patto contrario. L'esatto ambito delle mansioni esigibili è, pertanto, indicato in termini analoghi nelle due citate disposizioni e l'attività prevalente e assorbente svolta dal lavoratore deve rientrare fra le mansioni corrispondenti alla qualifica di appartenenza. Tuttavia, per ragioni di efficienza e di economia del lavoro o di sicurezza, possono essere richieste, incidentalmente o marginalmente, attività corrispondenti a mansioni inferiori che il lavoratore è tenuto ad espletare.
Inoltre, nell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale dell'art.2103 c.c. (estensibile all'art.52 D.Lgs. n. 165 del 2001), pur dandosi atto di due diversi orientamenti in relazione alle conseguenze della violazione del divieto di assegnazione a mansioni inferiori - da una parte ritenendo ammissibile il ripristino della situazione pregressa mediante reintegrazione e dall'altra, il solo obbligo del risarcimento del danno - più recentemente (Cass. n. 16689/08) la Suprema Corte ha statuito che "ove venga accertata l'esistenza di un comportamento contrario all'art. 2103 cod. civ., il giudice di merito, oltre a sanzionare l'inadempimento dell'obbligo contrattualmente assunto dal datore di lavoro con la condanna al risarcimento del danno, può emanare una pronuncia di adempimento in forma specifica che - pur non essendo coercibile, né equiparabile all'ordine di reintegrazione ex art. 18 L. n. 300 del 1970 , disposizione che ha i caratteri della tipicità, eccezionalità e dell'efficacia reale - ha un contenuto pienamente satisfatorio dell'interesse leso in quanto diretta a rimuovere gli effetti che derivano dal provvedimento
illegittimo".
Nei fatti, non è contestato che il ricorrente, con decorrenza dall'estate del 2010 provvedesse alla raccolta dei rifiuti porta a porta. Tale circostanza, mai contestata dall'amministrazione, risulta dai provvedimenti, dagli ordini di servizio e dall'accordo sindacale, oltre che dalle dichiarazioni del teste escusso, che, collega di lavoro del ricorrente, svolgendo anche lui le medesime mansioni, ha riferito che da settembre a giugno, dopo aver accompagnato i bambini a scuola (dalle 8 alle 8,45) "cambiano mezzo e procedono alla raccolta dei rifiuti" (dalle 8.45 alle 13) per poi riprendere con lo scuolabus i bambini all'uscita da scuola (dalle 13 alle 13,30), precisando altresì che in estate provvedono alla sola raccolta di rifiuti, che però è resa più laboriosa, per la presenza di numerosi non residenti che fanno raddoppiare il numero della popolazione.
Ove allora si tenga conto delle risultanze della prova testimoniale, deve ammettersi che lo svolgimento di mansioni consistenti nella raccolta dei rifiuti è avvenuto non già in via residuale ma in via assolutamente prevalente, anzi, durante il periodo estivo, in via esclusiva.
Quanto al fatto che l'attività di raccolta di rifiuti integra lo svolgimento di mansioni inferiori, determinando pertanto il dedotto demansionamento, deve anzitutto rilevarsi che neppure l'amministrazione metta in dubbio tale circo sia perché nello stesso verbale di accordo sindacale di cui si dirà tra breve, riconosce che trattasi di mansioni inferiori, sia perchè, l'assunzione di lavoratore interinale (cfr. delibera G.C. n. 60/11 in atti), da adibirsi alla raccolta dei rifiuti, per un periodo di 10 giorni, in sostituzione proprio del D., assente per infortunio, è stata operata con riguardo ad "operaio di cat. A1".
Aggiungasi a questo che, tenuto conto delle declaratorie contrattuali,
appartengono alla categoria A il lavoratori che svolgono attività caratterizzate da conoscenze di tipo operativo generale, acquisibile attraverso esperienza diretta sulla mansione, di contenuto di tipo ausiliario e con problematiche lavorative di tipo semplice, mentre appartengono alla cat. B il lavoratori che svolgono attività caratterizzate da buone conoscenze specialistiche, di contenuto operativo con responsabilità di risultati parziali, con discreta complessità dei problemi da affrontare e discreta ampiezza delle soluzioni possibili. Sostanziandosi la raccolta dei rifiuti in attività meramente esecutiva di tipo semplice e non già operativa, per lo svolgimento della quale è sufficiente l'acquisizione di una esperienza diretta e non già una conoscenza specialistica, essa non può che riferirsi a mansioni appartenenti alla cat. A.
Se è vero che ai sensi dell'art.56 D.Lgs. n. 29 del 1993 (ora art.52 X.Xxx.
n. 165 del 2001), il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive, o, ancora, alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, tale equivalenza non può discendere se non dalla "classificazione del personale", nella specie operata, dal CCNL Comparto Autonomie locali, che all'art. 3 rinvia alle declaratorie di cui all'allegato A, salvo per gli enti, in caso di identificazione di profili professionale non individuati nell'allegato A o aventi contenuti professionali diversi li collocano nelle corrispondenti categorie, nel rispetto delle relative declaratorie, utilizzando in via analogica i contenuti delle mansioni dei profili indicasti a titolo
esemplificativo nell'allegato A.
Trattasi all'evidenza di un provvedimento generale, in materia di profili e categorie professionali, finalizzato alla classificazione del personale dell'ente, cui non è certo riconducibile il provvedimento della Giunta Comunale in data 19 gennaio 2011 - al di là dell'eccepito profilo di incompetenza o meno dell'organo che lo ha emesso - che, adottato, come si legge in premessa, "per risolvere il problema della esatta attribuzione della qualifica di inquadramento al dipendente D.E. ", delibera di "approvare le mansioni del Profilo professionale in oggetto stabilendo che il dipendente addetto dovrà svolgere in maniera prevalente l'attività di autista scuolabus e macchine operatrici complesse ed in maniera residuale le attività di raccolta dei rifiuti solidi urbano come da prospetto allegato", Emerge con evidenza come lungi dall'integrare una forma di generale ed astratta classificazione del personale, detto provvedimento costituisce una modifica concreta e specifica in peius delle sole mansioni oggetto del Profilo professionale di D.E., incidente, in forma autoritativa, direttamente sul rapporto di lavoro, rispetto al quale la stessa amministrazione è parte contrattuale su base paritetica, dovendo agire per converso con i poteri del privato datore di lavoro. Il predetto atto risulta pertanto adottato al di fuori della previsione di cui all'art. 3 CCNL citato e comunque in violazione dell'art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001, come parimenti il conseguente ordine di servizio, in pari data, di analogo contenuto.
Né esito diverso può sortire l'accordo sindacale stipulato in data 17 novembre 2010, in cui, sul presupposto che "il Sindaco non ha più necessità di un autista bensì di un operaio e pertanto propone la mobilità obbligatoria", si addiviene alla soluzione per cui "il dipendente dovrà
svolgere in maniera prevalente le funzioni di autista scuolabus e mezzi complessi ... ed in via residuale, mansioni inferiori quali quelle richieste per la raccolta differenziata."
E' unanime infatti la giurisprudenza nel ritenere che "il patto di demansionamento che, ai soli fini di evitare un licenziamento, attribuisce al lavoratore mansioni, e conseguente retribuzione, inferiori a quelle per le quali era stato assunto o che aveva successivamente acquisito, prevalendo l'interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro su quello tutelato dall'art. 2103 cod.civ., è valido non solo ove sia promosso dalla richiesta del lavoratore - il quale deve manifestare il suo consenso non affetto da vizi della volontà -sibbene anche allorché l'iniziativa sia stata presa dal datore di lavoro, sempreché vi sia il consenso del lavoratore e sussistano le condizioni che avrebbero legittimato il licenziamento in mancanza dell'accordo (.
Nel caso in esame, tali condizioni, al di là della indicazione del Sindaco di "non avere necessità di un autista ma di un operaio", non sono state né allegate né dimostrate dall'amministrazione che ne era onerata, tenuto conto che "la mobilità" avrebbe potuto riguardare anche dipendente diverso dal D. con identica qualifica.
In definitiva pertanto, stante l'adibizione del ricorrente in via prevalente ed assorbente nella attività di raccolta dei rifiuti non rientrante fra le mansioni corrispondenti alla qualifica di appartenenza, risultano violati i limiti esterni dello "ius variandi" del datore di lavoro, trattandosi di mansioni inferiori che non sono marginali e accessorie rispetto a quelle di competenza e rientrano nella competenza specifica di altri lavoratori di professionalità meno elevata.
Ne consegue la condanna dell'amministrazione alla reintegra del D. nelle
mansioni di appartenza oltre che alla rifusione delle spese di lite, secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo.
1. Condanna il Comune di Cagnano in persona del Sindaco pro tempore alla reintegrazione del ricorrente nelle mansioni di collaboratore professionale di cui alla cat. B3, come previste dall'allegato A CCNL Regioni Enti locali
2. Condanna il Comune di Cagnano in persona del Sindaco pro tempore alla rifusione delle spese di lite liquidate in Euro 3.000 per competenze professionali oltre IVA e CPA come per legge
Così deciso in L'Aquila, il 16 gennaio 2013. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2013.