CAPITOLO I
CAPITOLO I
CARATTERI E REQUISITI
SOMMARIO: 1. Nozione e contenuto. – 2. Locazioni abitative e registrazione del contratto. – 3. Va- lori di scambio e di uso. – 4. Fattispecie contermini. – 5. (Segue): il contratto di parcheggio. –
6. Soggetti. – 7. Oggetto. – 8. Forma e pubblicità. – 9. Modelli e tipi contrattuali.
1. Nozione e contenuto
La locazione – come recita l’art. 1571 c.c. – è il contratto con il quale una parte concede in godimento all’altra una cosa mobile o immobile per un deter- minato periodo, ottenendo in cambio il corrispettivo pattuito. Le prestazioni delle parti sono necessariamente distribuite nel tempo: quella del locatore, che consiste nella promessa di mettere a disposizione la res, è continuativa, mentre la controprestazione del locatario è di massima periodica 1.
Dal contratto sorge a favore del locatario il diritto personale di godimento 2. La radice personale del diritto in questione, che non appare stravolta dalla sua innegabile attinenza con il bene valutato nella sua stretta materialità, è facilmen- te distinguibile là dove si consideri che il medesimo diritto del locatario non ha per oggetto la cosa in sé, bensì la prestazione del locatore volta ad assicurare il godimento dell’oggetto 3. Il diritto del locatario trae dunque la propria scaturi- gine dall’obbligazione contrattuale del dante causa, rispetto alla quale la rela-
1 X. XXXXXXX, Locazione, in Tratt. Grosso-Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Milano, 1965, p. 6. Invece a pare- re di X. XXXXXXX, Il contratto di locazione (profili dommatici), Milano, 1961, p. 52, la locazione dovrebbe essere considerata un contratto a effetti immediati, perché l’acquisto del diritto da parte del locatario si realizzerebbe già al momento dell’accordo.
2 È appena il caso di osservare che appaiono isolati gli orientamenti – di matrice eminentemen- te dottrinale – volti a ricondurre il diritto del locatario nell’alveo degli iura in re aliena. D’altronde, la circostanza – su cui torneremo fra poco – a mente della quale il contratto di loca- zione può essere validamente perfezionato dal non dominus avalla definitivamente l’opinione po- stulante la natura obbligatoria del vincolo locatizio. Sul tema v., diffusamente, X. XXXXXXXXX, È la locazione una vendita di godimento?, in AA.VV., Scritti giuridici in memoria di Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Milano, 1964, p. 507 ss.
3 X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, La locazione di immobili urbani, 2a ed., Padova, 2005, p. 3.
zione tra persona (creditore) e res (oggetto del contratto) funge da semplice po- sterius del rapporto locatizio 4. Il potere di godimento è dunque l’ubi consistam di questa fattispecie negoziale, giacché identifica il suo substrato economico 5.
L’assenza di realità (che non è contraddetta dall’art. 1380 c.c.) 6, la quale aiuta a comprendere perché il godimento possa essere altresì concesso da chi non sia proprietario del bene o titolare di altra situazione implicante la legit- timazione sulla res 7, spiega la regola – che esamineremo nel dettaglio strada facendo 8 – secondo cui il contratto è a forma libera, ad eccezione della loca- zione immobiliare ultranovennale (art. 1350, n. 8, c.c.) 9. Tuttavia anche il proprietario è privato della libertà di locare quando, a causa della sussistenza sulla cosa di un diritto reale minore, il diritto di godimento spetti al titolare della situazione reale minore (usufruttuario o titolare dei diritti di uso o abita- zione) 10.
Il locatore, ove sia effettivo proprietario, conserva il valore di scambio del bene, mentre quello d’uso è sfruttato indirettamente, vale a dire tramite la per- cezione del canone. Insomma, ci troviamo dinanzi a un negozio che involge lo scambio d’attribuzioni patrimoniali 11: l’utilità del godimento diretto spettante al locatario giustificato dall’obbligazione del concedente di assicurare il divisato effetto vantaggioso, cui si contrappone – in chiave commutativa – il beneficio del godimento mediato fruito dal locatore per mezzo della conversione in mone- ta (o in altra prestazione corrispettiva) del valore d’uso 12.
4 X. XXXXXXXX, Manuale di diritto civile e commerciale, III, 1, 8a ed., Milano, 1954, p. 163.
5 X. XXXXXXXX, Manuale di diritto civile e commerciale, III, 1, cit., p. 162.
6 Cfr. X. XXXXXXX, sub art. 1571, in X. XXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXX, Della locazione. Dispo- sizioni generali, Artt. 1571-1606, in Comm. x.x. Xxxxxxxxxxx-Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, x. 00 x.
0 X. XXXXXXX, Locazione, cit., p. 31; X. XXXXXXXX, Parti e forma del contratto, in AA.VV., Cessione e uso di beni, in Tratt. Xxxxx, II, Milano, 2014, p. 896, il quale osserva che la tutela del conduttore, in caso di assenza di titolarità del diritto sulla cosa da parte del locatore, va assicura- ta dando rilievo all’ignoranza in sé con riguardo al vizio della volizione (ivi, p. 897); v. anche A. LA SPINA, in X. XXXXXXXXX, La locazione, in Tratt. Perlingieri, Napoli, 2013, p. 19 s. Sul fronte del diritto casistico x. Xxxx., 00 ottobre 1998, in Mass. Foro it., 1998. Secondo X. XXXXXXX, Il contratto di locazione, cit., p. 110 s., assodato che il diritto del locatario ha natura derivativa, il difetto di legittimazione del dante causa implica conseguentemente l’inesistenza del diritto di go- dimento.
8 Infra, par. 6.
9 Un discorso a parte occorre dedicare al c.d. rent to buy (v. infra, ult. cap.).
10 Cfr. X. XXXXXXXX, Parti e forma del contratto, cit., p. 898, il quale ricorda anche le limitazioni derivanti dall’art. 560, 2° co., c.p.c.
11 G. PROVERA, Locazione. Disposizioni generali, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, sub art. 1571- 1606, Bologna-Roma, 1980, p. 2.
12 X. XXXXXXX, Locazione, cit., p. 14; X. XXXXXXX, voce «Locazione», in Digesto/civ., XI, Tori- no, 1996 (rist.), p. 96.
2. Locazioni abitative e registrazione del contratto
In tema di locazioni abitative l’autorità normativa, oltrepassato il modello dell’equo canone, ha posto al centro della disciplina l’esigenza di contrastare ef- ficacemente il germe patogeno dell’evasione fiscale, imponendo l’onere della for- ma scritta sotto pena di nullità (art. 1, 4° co., l. cit.) 13.
Tale finalità è stata rafforzata dall’art. 1, 346° co., l. 311/2004, in virtù del quale «I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati» 14. Giova anticipa- re che ci troviamo di fronte a una regola anomala rispetto al principio secondo cui le violazioni di norme tributarie non incidono sulla validità iure privatorum dal rapporto sostanziale (art. 10, 3° co., ult. periodo, l. 212/2000) 15.
In caso di mancata registrazione del contratto redatto per iscritto (da cui di- scende l’additata nullità testuale) il conduttore è legittimato a chiedere l’ema- nazione di una sentenza ai sensi del riformato art. 13, 6° co., terzo periodo, l. 431/1998, che ha l’effetto di costituire il rapporto locatizio nullo per omessa re- gistrazione entro il termine di cui al 1° co. 16. Il giudice determina pertanto il canone dovuto, che non può eccedere quello del valore minimo definito ai sen-
13 X. XXXXXX, sub art. 1596, in X. XXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXX, Della locazione, cit., p. 319, ritiene che le esigenze di protezione dell’interesse erariale impongano il rispetto della forma anche per il mutuo dissenso, poiché esso implica l’estinzione del fatto imponibile. Con riguardo alla lo- cazione immobiliare (non abitativa) ultranovennale, l’accordo estintivo potrà essere redatto in forma orale – non esistendo un principio di simmetria di forme nel nostro sistema –, ferma re- stando la necessità della sua annotazione al contratto trascritto ai sensi dell’art. 2643, n. 8, c.c.: cfr.
X. XXXXXXXX, Xxxxxx e vicende del rapporto, in AA.VV., Cessione e uso di beni, in Tratt. Roppo, II, cit., p. 984 s.
14 Il legislatore ha così reagito all’orientamento giurisprudenziale secondo cui la nullità di cui all’art. 13, 1° co., l. cit., non era riferibile alla originaria simulazione del canone (Cass., 27 ottobre 2003, n. 16089, in Foro it., 2004, I, c. 1155). Parte della magistratura di merito ritiene tuttavia, te- nuto conto della finalità della regola proiettata alla lotta contro l’evasione fiscale, che la nullità sia sanabile per effetto della registrazione tradiva con effetto ex nunc: Trib. Lecce, 8 gennaio 2014, in Dejure; Trib. Bari, 24 ottobre 2011, in Giur. merito, 2012, p. 2335 ss., con nota di X. XXXXXX, La registrazione della locazione dopo la cedolare secca, ivi, p. 2337 ss. Altre decisioni, facendo leva su un’interpretazione alterante il testo della legge, ritengono però che la medesima registrazione co- stituisca una semplice condizione di efficacia del contratto: v., ad esempio, Trib. Napoli, 16 otto- bre 2013, in Pluris Cedam; Trib. Messina, 23 maggio 2013, ibidem. In senso invece conforme alla lettera e alla ratio della legge si veda App. Brescia, 28 febbraio 2013, in Arch. loc., 2013, p. 633.
15 Tale principio continua a valere in ipotesi di omesso pagamento dell’imposta di registro con- cernente un contratto registrato: Cass., 16 ottobre 2015, n. 20938, in Dejure.
16 Invece, secondo l’art. 3, 8° co., d.lgs. 23/2011, la locazione si costituiva ex novo per effetto della registrazione tardiva. Tale disposizione è stata dichiara incostituzionale per mancanza di co- pertura da parte della legge di delegazione (C. cost., 14 marzo 2014, n. 50, in Giur. it., 2014, p. 533 ss., con nota di X. XXXXXXX, Il problema della mancata registrazione del contratto di locazione, ivi, p. 537 ss.).
si dell’art. 2, oppure – ricorrendone i presupposti – dell’art. 5, 2° e 3° co., l. 431/1998. Detta legittimazione non dovrebbe essere riconosciuta al locatore: pare infatti collidere con la ratio legis attribuire una posizione di sostanziale van- taggio – tesa al favor contractus – nei riguardi della parte che ha trasgredito l’obbligo di registrazione. L’autorità giudiziaria, con la medesima sentenza costi- tutiva, ordinerà al locatore la restituzione delle somme pagate in eccesso rispetto al canone così determinato.
Poste queste basi, nasce il dilemma se il conduttore possa lo stesso pretende- re l’emanazione della sentenza costitutiva del rapporto di locazione qualora la sua nullità sia intrinseca, ossia dipenda (addirittura) dalla mancata osservanza dell’onere formale ex art. 1, 4° co., l. 431/1998 17. Applicando il canone minus dixit, dovremmo propendere per la soluzione più liberale; essa sembra avvalora- ta dal rilievo che assenza del predetto elemento strutturale e omessa registrazio- ne (identificante un frammento estrinseco alla fattispecie negoziale) sono unifi- cati dall’identico fine di protezione degli interessi erariali.
Il conduttore, là dove non si determini a esercitare l’azione di accertamento del rapporto de facto, essendo ad esempio disinteressato a godere pro futuro dell’alloggio grazie al provvedimento in parola (annientante – lo abbiamo appe- na notato – la nullità venata da ragioni fiscali), potrà chiedere la restituzione di tutti i canoni pagati (art. 2033 c.c.); l’altra parte non potrà a sua volta proporre l’azione ex art. 2041 c.c., siccome la domanda di arricchimento parrebbe pre- supporre la meritevolezza dell’interesse, che nel caso di specie non sembra rav- visabile stante la nullità del rapporto per contrarietà a norme di ordine pubbli- co, quali sono quelle destinate a contrastare l’evasione fiscale, la cui violazione è stata addirittura punita – come notammo – con la nullità di diritto privato.
Volendo dare maggior credito a questa lettura si noti che l’ultimo periodo del 6° co., concernente la restituzione ex officio dei canoni eccedenti, presuppo- ne che il conduttore abbia – giova ripetere – chiesto la sentenza costitutiva del rapporto nullo. Chi intendesse seguire un’altra strada dovrebbe allora ammette- re – ma si tratta di una soluzione a nostro parere alquanto debole alla luce dell’attuale costellazione normativa – che anche questa regola minus dixit quam voluit: se il canone pagato corrisponde a quello che sarebbe stato accertato nel caso in cui l’attore avesse domandato una sentenza costitutiva, allora il convenu- to potrà trattenere quanto già riscosso.
L’ordinamento ha addossato al locatore l’obbligazione di registrazione 18. Usan-
17 Come ha stabilito Trib. Firenze, 5 novembre 2015, in Dejure, la registrazione del contratto orale non è idonea a sanare la nullità originaria del rapporto, presupponendo la registrazione stes- sa un contratto validamente concluso per iscritto.
18 Come segnala X. XXXXXXX, Xxxxxx e il contratto di locazione: note a margine dell’art. 1, co. 59, legge 28 dicembre 2015, n. 208, in Corr. giur., 2016, p. 600, risulta «integrata, per le sole loca- zioni ad uso abitativo, la previsione dell’art. 1575 c.c. circa gli obblighi che dal contratto derivano.
do un criterio sistematico possiamo affermare che se il contratto è privo della forma scritta, affiora in apicibus un impedimento all’esecuzione dell’onere che precede e l’invalidità del contratto trarrà quindi origine – come dicemmo – dall’assenza di un elemento intrinseco ex art. 1325, n. 4, c.c.; se invece la forma è rispettata ma non c’è stata la registrazione entro il termine di decadenza, la nullità deriva dall’assenza di un presupposto estrinseco (di natura tributaria) ugualmente strutturale della fattispecie, presupposto il quale rileva eccezional- mente sotto il profilo dell’iter di perfezionamento dell’atto negoziale e, di rifles- so, del rapporto sostanziale 19.
La registrazione pare in tal modo assurgere a elemento costitutivo della vi- cenda, la cui assenza giustifica i rimedi in capo al conduttore dianzi esposti, ad astrarre dalla sua cooperazione all’evasione. È vero che lungo il descritto per- corso si prospetta il paradosso che il conduttore, ove non intenda chiedere la sentenza costitutiva, riesca a svincolarsi dall’obbligazione di pagamento del- l’arricchimento, fermo restando il suo obbligo alla restituzione dell’immobile. Sennonché, questa è una conseguenza a prima vista giustificata dal proposito del legislatore di punire in termini civilistici il locatore che abbia evaso l’imposta di registro e sottratto dunque il reddito immobiliare dall’imposizione fiscale.
L’ordinamento fiscale riacquista tuttavia la sua connotazione di specialità là do- ve considera ambedue le parti del contratto di locazione solidalmente responsabili del pagamento dell’imposta di registro. Possiamo allora inferire che il conduttore sia egualmente legittimato a chiedere la registrazione del contratto in caso d’inerzia della parte locatrice, la quale – in chiave civilistica – è l’unica obbligata all’adem- pimento di questa formalità dotata – come si è visto – di efficacia costitutiva. Vero difatti è che la modifica all’art. 13 l. 431/1998 non ha variato la disciplina fiscale prevista, ai fini dell’imposta di registro, dagli artt. 10 e 57 d.p.r. 131/1986 20.
L’integrazione viene così ad aggiungere due adempimenti (il secondo di mera comunicazione dell’avvenuta registrazione al conduttore ed all’amministratore del condominio) non previsti al momento della emanazione della legge n. 431/1998 giacché determinati da norme successive».
19 Per un’equilibrata critica a questa tecnica legislativa v. X. XXXXXXX, Xxxxxx e il contratto di locazione: note a margine dell’art. 1, co. 59, legge 28 dicembre 2015, n. 208, cit., spec. p. 601.
20 Si rammenti che l’articolo 10, 1° co., lett. a), d.p.r. 131/1986, stabilisce, tra l’altro, l’obbligo di richiedere la registrazione a cura delle parti contraenti [e, dunque, tale obbligo è addossato sia al locatore che al locatario per i contratti di locazione redatti tramite scrittura privata non autenti- cata. Il medesimo obbligo grava, altresì, gli agenti di affari in mediazione, ai sensi della successiva lettera d-bis)]. In tale costellazione di regole l’art, 57 d.p.r. 131/1986 prevede l’obbligo solidale di pagamento dell’imposta in capo alle parti contraenti e agli agenti immobiliari «per le scritture pri- vate non autenticate di natura negoziale stipulate a seguito della loro attività per la conclusione degli affari». Cfr. Xxxx. Xx. Xxxxxxx, 00 giugno 2016, n. 27/X. Xx tenga infine a mente che ai sensi dell’art. 8, l. 392/1978, le spese di registro debbono essere ripartite fra le due parti, salvo che una delle parti stesse sia lo Stato (art. 55, 6° co., d.p.r. 634/1972). La registrazione del contratto verba- le (e quindi) nullo, ammessa ai sensi dell’art. 10, 1° co., lett. a), cit., serve quindi a evitare la san- zione per omessa esecuzione dell’onere in parola.
Con riguardo al testo originario dell’art. 13, 4° co. (secondo periodo), l. 431/1998 – attinente ai contratti esonerati dai limiti di canone – a mente del quale «sono nulli, ove in contrasto con le disposizioni della presente legge, qual- siasi obbligo del conduttore nonché qualsiasi clausola o altro vantaggio econo- mico o normativo diretti ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito», occorre avvertire che esso doveva essere interpreta- to in modo coerente alla già evocata finalità di lotta all’evasione fiscale. Sotto quest’angolatura la norma sembrava in parte superflua, perché la nullità degli accordi simulatori non registrati già era accreditata dall’art. 13 cit., 1° co. 21. Sic- ché, la portata precettiva della disposizione consisteva in ciò, che il legislatore ha inteso colpire in modo espresso le clausole destinate, di fatto, a retribuire il go- dimento della res ove fossero vestite con l’abito delle prestazioni accessorie oc- cultanti – agli occhi dell’erario – il reddito immobiliare. Il problema – il quale sottendeva un difetto di ridondanza normativa – è stato ora superato dalla l. 208/2015, che ha modificato la disposizione in esame eliminando il riferimento agli altri vantaggi economici o giuridici 22.
L’esempio che segue semplificherà i termini della questione. Supponiamo che il conduttore di un alloggio si obblighi a pagare nelle mani del locatore la somma di cinquemila euro all’anno come prezzo per la pulizia del cortile. Il pat- to è di per sé ammissibile, ma la sproporzione di valori resa evidente dalla diffe- renza tra dato e ricevuto è talmente lampante da far ritenere che al disotto si celi l’obbligazione corrispettiva del valore d’uso, rivestita da una specie di «tuta mi- metica» mirata a distogliere – per così dire – l’attenzione del fisco. Il locatario,
21 Come ha chiarito Cass., 18 aprile 2016, n. 7634, in Pluris Cedam, la nullità prevista da tale disposizione colpisce unicamente il patto occulto di maggiorazione del canone, restando valido il contratto oggetto di ostentazione (se registrato). Si continui a osservare che ai sensi del novellato art. 13, 1° co., secondo periodo, l. 431/1998, il locatore è tenuto a «provvedere alla registrazione nel termine perentorio di trenta giorni, dandone documentata comunicazione, nei successivi ses- santa giorni, al conduttore ed all’amministratore del condominio, anche ai fini dell’ottemperanza agli obblighi di tenuta dell’anagrafe condominiale di cui all’articolo 1130, numero 6), del codice civile». Il conduttore, entro il termine di decadenza di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile, può chiedere la restituzione delle somme pagate in forza dell’accordo dissimulato (art. 13, 2° co.,
l. 431/1998). Resta il dubbio sulle sorti del rapporto là dove il locatore registri tardivamente il pat- to dissimulato ma prima che il conduttore eserciti l’azione di correzione giudiziale del contratto ai sensi del 6° co.: cfr. X. XXXXXXX, Xxxxxx e il contratto di locazione: note a margine dell’art. 1, co. 59, legge 28 dicembre 2015, n. 208, cit., p. 600. Torna utile ripetere che in ipotesi di mancata regi- strazione del contratto, il conduttore, ai sensi del riformato art. 13, 6° co., terzo periodo, l. 431/1998, può far accertare il rapporto di fatto.
22 Detta novella – come avverte X. XXXXXXX, Xxxxxx e il contratto di locazione: note a margine dell’art. 1, co. 59, legge 28 dicembre 2015, n. 208, cit., p. 599 – ha inserito un nuovo comma nel corpo dell’art. 13 cit. (il 5°), il quale – tramite complessi rinvii – vuole supplire alle conseguenze delle due pronunce d’incostituzionalità (si allude alle sentenze n. 50/2014 e n. 169/2015) che toc- carono sia i due commi dell’art. 3 d.lgs. 33/2011, sia la disposizione introdotta in sede di conver- sione del d.l. 47/2014 con cui si era cercato di porre rimedio alla prima pronuncia della Consulta.
una volta appurata la nullità del patto, potrà chiedere la restituzione di quanto pagato in cambio della prestazione di facere entro sei mesi dalla riconsegna dell’immobile (art. 13, 6° co., primo periodo).
Questi rilievi sommari aiutano viepiù a comprendere in qual misura la san- zione di diritto privato sia stata assoldata alla causa dell’erario, perché la nullità serve a dissuadere il titolare del reddito immobiliare dalla stipulazione di accor- di orientati all’evasione delle imposte 23.
Il divieto di cui all’art. 13, 3° co., l. 431/1998 si deve ritenere violato allorché i poteri di autonomia privata siano stati usati dalla parte economicamente forte in modo abusivo, e cioè al fine d’arrecare un pregiudizio agli interessi del con- duttore. La libertà di determinare il canone non può ad esempio essere sfruttata per raggirare la disciplina sulla durata minima del rapporto negoziale.
In questa direzione l’elusione svetta quando sia stato previsto un incremento manifestamente sproporzionato del canone a datare dall’inizio del quinto anno, il cui obiettivo risponda all’interesse del locatore d’aggirare la regola sul rinnovo alla prima scadenza, costringendo – di fatto – il conduttore a recedere dal rap- porto perché disincentivato alla sua prosecuzione a causa dell’antieconomico soprappiù 24. Detto altrimenti, l’elevazione del corrispettivo non giustificata in funzione di controprestazione del valore d’uso, rileva quale strumento di coerci- zione o di pressione subdolamente combinato per schivare la norma imperativa sancente la durata minima del contratto. Non bisogna spendere troppe parole allo scopo di argomentare che il sospetto di prevaricazione potrebbe essere su- perato ove il locatore dimostrasse che l’evocato aumento trovi la propria base di legittimazione dall’impegno di eseguire miglioramenti al bene concesso in go- dimento. Sotto tale angolatura il rapporto fra canone e valore d’uso è fatto salvo perché l’aumento del primo è consequenziale all’incremento del secondo 25.
23 Si è in tal modo superato l’indirizzo, cui la dottrina civilistica era abituata, a tenore del quale il mancato adempimento di prescrizioni dettate dalla legge fiscale trovava nella medesima fonte la propria sanzione. Si riteneva pertanto che la violazione generasse una «mera irregolarità, insuscet- tibile di determinare conseguenze circa la normale funzionalità del contratto quanto ai suoi effetti sul piano giuridico»: X. XXXXXXX, Xxxxx contrari alla legge (contratto di locazione e nullità speciali), in Riv. dir. civ., 1999, I, p. 487, il quale segnala che l’antecedente dell’art. 13 cit. è rappresentato dall’art. 1, r.d.l. 1015/1941. Prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina sulle locazioni d’immobili a uso abitativo valeva la regola secondo cui la denuncia di un contratto verbale di lo- cazione all’ufficio del registro aveva finalità rigorosamente fiscali, sicché detta denuncia – quan- tunque sottoscritta da entrambi gli stipulanti – una volta prodotta in giudizio e contestata dalla controparte non sarebbe stata ex se idonea a provare la novazione oggettiva del precedente rap- porto di locazione: Cass., 13 gennaio 2000, n. 329, in Giur. it., 2000, p. 2055. Ma si tenga a mente che le sole variazioni di misura del canone e la modificazione del termine di scadenza non costitui- scono l’indice sintomatico della novazione del rapporto di locazione: v., tra le tante, Xxxx., 19 no- vembre 1999, n. 12838, in Mass. Foro it., 1999.
00 X. XXXXXXX, Xxxxx contrari alla legge, cit., p. 480.
25 Secondo X. XXXXXXX, Xxxxx contrari alla legge, cit., p. 481, sarebbero egualmente nulle le di-
3. Valori di scambio e di uso
Chiusa la parentesi sul canone di locazione, mette ora conto di avvertire che per effetto del diritto attribuito al locatario, che lo autorizza a trarre per un cer- to periodo le utilità dell’oggetto correlate al valore d’uso, il locatore da un lato limita i propri poteri sul bene (essendo tenuto a sopportare il godimento dell’avente causa), dall’altro si avvantaggia dei frutti civili dovuti dall’obbligato a titolo di controprestazione.
Dai superiori cenni discende che la locazione non produce né il distacco de- finitivo del valore di scambio da quello d’uso, né la modifica strutturale del di- ritto di proprietà (o del diritto minore eventualmente spettante al dante causa). Se così, dalla locazione scaturisce una compressione del valore d’uso – compres- sione imputabile alle facoltà agganciate al diritto del locatario –, la quale non può far a meno di riverberarsi sul valore di scambio stante la minor commercia- bilità della res provvisoriamente vincolata a locazione 26.
A tale riguardo si osservi – ma il tema sarà diffusamente trattato oltre 27 – che la vendita dell’immobile locato non genera l’estinzione del preesistente contratto di locazione: emptio non tollit locatum (art. 1599 c.c.), e cioè Xxxx bricht nicht Miete (la vendita non distrugge la locazione). Questa regola, che ben si armonizza con il principio pacta sunt servanda 28, sembra funzionale all’incremento del traffico im- mobiliare. Prova ne sia che l’eventuale scelta opposta, tesa all’instabilità del rap- porto personale di godimento a cagione dell’effetto demolente generato dalla so- pravvenuta vicenda traslativa inter vivos, avrebbe reso più labile la posizione dei locatari con il consequenziale indebolimento del mercato delle locazioni, indebo- limento che si sarebbe riverberato sul valore di scambio 29.
4. Fattispecie contermini
Dal ceppo della locazione si distingue il contratto di affitto, il cui dato diffe- renziale consiste in ciò, che la cosa deve essere dotata di un’autonoma vocazione produttiva (art. 1615 c.c.). Qualora sussista tale caratteristica, essendo la res in
chiarazioni del conduttore, contenute nel corpo del contratto di locazione, esprimenti la volontà di recedere dal contratto alla prima scadenza, dato che tali dichiarazioni si porrebbero in contra- sto con la ratio che sta alla base dell’art. 13, 3° co.
26 Più esattamente, la vendibilità è indirettamente proporzionale alla durata della locazione. Cfr., diffusamente, X. XXXXXXXX, Autonomia privata e controllo pubblico nel rapporto di locazione, Napoli, 1979, p. 101 ss.
27 Cap. V, par. 7.
28 Lo intuì I. XXXX, La metafisica dei costumi (1797), trad. it., Bari, 1999, parte II, app. 4 (p. 203).
29 Cfr. X. XXXXXXXX, Proprietà e locazione. Prelazione e valore di scambio, Torino, 2004, p. 39.
grado di produrre frutti naturali (si pensi al terreno, a una miniera, oppure a un complesso di beni aziendali organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’at- tività di produzione o scambio di cose o servizi) 30, entrerà in scena la disciplina di cui agli artt. 1615 ss. c.c., dalla quale nasce l’obbligo dell’affittuario di rispet- tare la destinazione economica della res e quindi di gestirla in modo tale da non disperdere la sua capacità produttiva, a fronte del diritto di far propri i frutti e le altre utilità conseguibili dal bene goduto.
Il contratto con il quale, per un unico corrispettivo, sia ceduto il godimento di un immobile costituito da una casa di abitazione e da un terreno idoneo allo sfruttamento agricolo, può essere qualificato di locazione o di affitto in base alla circostanza che le parti abbiano voluto soltanto pattuire il godimento dell’im- mobile in conformità ai suoi possibili usi, nella cerchia dei quali vi è anche la coltivazione del terreno, oppure abbiano considerato la funzione produttiva del bene ricollegando a questa un autentico obbligo dell’affittuario alla coltivazione del fondo 31. Vale a dire, se la causa effettiva del contratto è il godimento del- l’edificio mentre l’annesso terreno rappresenta un semplice accessorio inidoneo a mutare la predetta funzione empirica del rapporto obbligatorio, saremo di fronte a un contratto di locazione; invece se prevale l’interesse allo sfruttamento agricolo del terreno occorrerà applicare lo statuto sull’affitto, stante la finalità meramente strumentale del godimento dello stabile.
Secondo una massima ricorrente, la differenza tra locazione di immobile (eventualmente con pertinenze) e affitto di azienda si esprime nella variabile che, con riguardo alla prima ipotesi, l’immobile concesso in godimento rappre- senti l’oggetto principale della stipulazione, laddove nell’affitto di azienda l’edificio viene valutato alla stregua di uno degli elementi costitutivi del com- plesso di cose legate fra di loro da un vincolo d’interdipendenza e complemen- xxxxxx per il conseguimento di un determinato scopo produttivo 32.
Il contratto di comodato – che (similmente alla locazione immobiliare infra- novennale) non è sottoposto a particolari oneri formali neppure quando abbia per oggetto immobili, perché da esso deriva un diritto personale (e non già rea-
30 X. XXXXXXX, Locazione, cit., p. 12. Per quanto concerne l’affitto d’azienda v. gli artt. 2557, 4° co., 2558, 3° co. e 2562 c.c.
31 Cass., 19 marzo 1998, n. 2919, in Mass. Foro it., 1998. V. anche Cass., 10 ottobre 1996, n. 8856, in Giur. it., 1997, I, 1, c. 1361: nel caso di specie i giudici di legittimità confermarono la sen- tenza impugnata con riferimento a un contratto avente a oggetto un edificio di dimensioni rilevan- ti e un appezzamento di terreno di circa un ettaro sito a un chilometro di distanza, qualificando tale vicenda come locazione di immobile per uso abitativo con la consequenziale nullità, per frode alla legge, delle clausole inerenti ai rapporti agrari. Cfr. infine Cass., 19 aprile 1996, n. 3724, in Arch. loc., 1996, p. 916; Cass., 19 gennaio 1995, n. 592, in Riv. dir. agr., 1995, II, p. 403 ss., con nota di I. GRENDENE, Locazione di immobile e affitto di fondi rustici, ivi, p. 406 ss.
32 V., ex multis, Cass., 11 giugno 2007, n. 13683, in Mass. Foro it., 2007; Cass., 31 marzo 2007,
n. 8076, ibidem; Cass., 15 marzo 2007, n. 5989, ibidem.
le) di godimento 33 – si perfeziona per mezzo della consegna del bene, la quale può tuttavia essere surrogata dal costituto possessorio o dalla traditio brevi ma- nu 34. All’opposto, la locazione appartiene alla categoria dei contratti consensua- li, perché la consegna della res funge da atto solutorio.
Il comodatario, cui spetta il diritto di trarre godimento dal bene mobile o immobile oggetto del contratto reale, è obbligato a restituire la cosa ricevuta dal comodante anziché l’equivalente. Ciò in quanto, a differenza del mutuo, l’oggetto del rapporto giuridico è rappresentato da res (oggettivamente o sog- gettivamente) infungibili e inconsumabili 35. Come il lettore avrà intuito, siffatta caratteristica accomuna il comodato alla locazione.
Il contratto è essenzialmente gratuito; la pattuizione di una controprestazio- ne a carico del comodatario trasformerebbe il rapporto in locazione. Tuttavia – ad avviso di un orientamento consolidato – la naturale gratuità del contratto non è messa a repentaglio dall’imposizione al comodatario medesimo di un one- re, la cui funzione non sia quella di dissimulare la prestazione corrispettiva do- vuta a titolo di godimento della cosa 36. Ne discende che il patto in virtù del qua- le si addossa al comodatario l’obbligo di pagare le imposte gravanti l’immobile oggetto del vincolo – partecipando, per l’appunto, della natura di modus – non tramuta il contratto da gratuito in oneroso 37.
Da quanto precede ricaviamo che il comodato – a differenza della locazione
– rientri nella gamma dei contratti unilaterali 38. Xxxxxxxxx, è vero che dal vinco- lo obbligatorio derivano diritti e obblighi reciproci; ma essi non sono corrispet- tivi, poiché non si atteggiano in termini di prestazione e controprestazione 39.
5. (Segue): il contratto di parcheggio
Il contratto di parcheggio, con il quale l’automobilista fruisce del servizio messogli a disposizione dalla controparte all’interno di una struttura chiusa die-
33 Merita notare che a parere di una radicata opinione non è applicabile per estensione la rego- la di cui all’art. 1350, n. 8, c.c.
34 V., a mo’ di esempio, Cass., 29 gennaio 2003, n. 1293, in Mass. Foro it., 2003; Cass., 6 mag- gio 2003, n. 6881, ibidem. Il punto è esaminato da X. XXXXXXX, Il comodato, in Tratt. Cicu- Messineo-Xxxxxxx, Milano, 2004, p. 89 s.
35 Al riguardo x. xx xxxxxxxxxxxxxxxx xx X. XXXXXXX, Il comodato, cit., p. 125.
36 Cass., 2 marzo 2001, n. 3021, in Riv. not., 2002, p. 1009 ss., con nota di X. XXXXXXXX, Il con- tratto di comodato e le conseguenze dell’apposizione di un onere a carico del comodatario, ivi, p. 1013 ss.
37 Cass., 15 gennaio 2003, n. 485, in Giur. it., 2003, p. 1333. Cfr., diffusamente, X. XXXX, Il comodato modale, Milano, 2001, spec. p. 42.
38 X. XXXXXXX, Il comodato, cit., p. 92 s.
39 X. XXXXXXX, Il comodato, cit., p. 174.
tro pagamento di una tariffa oraria o giornaliera, è un rapporto obbligatorio che rientra nello schema del deposito o in quello della locazione?
L’interesse empirico dell’utente è di regola animato dal bisogno di custodire il mezzo. In caso contrario non vi sarebbe alcuna differenza causale tra parcheg- gio oneroso e sosta a pagamento sulla via destinata al pubblico transito. Al ri- guardo serve considerare che i sistemi di sorveglianza predisposti dal gestore il parcheggio fanno nascere in capo alla generalità degli utenti la fondata aspetta- tiva del praestare custodiam, la quale è remunerata dal prezzo del biglietto 40.
Né vale a ribaltare l’interpretazione che precede l’obiezione secondo cui non è prospettabile la detenzione del bene, raffigurante l’emblema del deposito, qualora l’utente non abbia consegnato le chiavi dell’autovettura all’altra parte. Ciò in quanto ai fini della configurazione della detenzione non occorre la tradi- tio simbolica 41, né è richiesto che il detentore possa utilizzare il (o disporre fisi- camente del) bene, essendo senz’altro ammissibile la detenzione – e quindi la custodia – di cosa chiusa 42. Non bisogna per giunta dimenticare che di norma è il depositario a non richiedere la consegna delle chiavi, ritenendo più conve- niente affidare ai depositanti l’incombenza di sistemare l’auto all’interno degli spazi liberi. Tale scelta, giustificata dalle contingenti strategie imprenditoriali, non può dunque condizionare il regime di responsabilità del custode.
Serve adesso osservare che l’uso vessatorio dei poteri di autonomia privata è prospettabile, fuori del paradigma di cui all’art. 33, 1° co., c. consumo, anche nell’ipotesi in cui le condizioni generali di contratto siano impiegate allo scopo d’imprimere al rapporto seriale una qualificazione tipologica adatta a attenuare la responsabilità da inadempimento della parte economicamente forte. Vale a dire, il professionista per sfuggire alla responsabilità ex recepto tende a inserire entro le condizioni generali la clausola che riconduce il rapporto nell’area della locazione.
Eppure l’interesse – alimentante, si è visto, il fondamento negoziale o la cau- sa concreta del rapporto –, che spinge l’utente a fruire del servizio di parcheg-
40 Cass., 23 agosto 1990, n. 8615, in Foro it., 1991, I, c. 1523.
41 X. XXXXXXXXXXX, I contratti reali, in Tratt. Xxxxx, Torino, 1999, p. 111.
42 Anche C.A. FUNAIOLI, Deposito. Sequestro convenzionale. Cessione dei beni ai creditori, in Tratt. Grosso-Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Milano, 1961, p. 12, ritiene che il contratto innominato di posteg- gio di un veicolo vada inquadrato, ai fini della disciplina applicabile, nello schema generale del contratto di deposito. A questo scopo occorre l’affidamento della cosa al depositario, affidamento che può avvenire in qualsiasi modo e non necessariamente mediante la consegna delle chiavi e del documento di circolazione, non essendo siffatta formalità necessaria per l’attribuzione al deposita- rio della detenzione del veicolo. Da tale contratto nasce perciò l’obbligo, in capo a colui il quale gestisca il parcheggio, di custodire e restituire l’automezzo nello stato in cui è stato consegnato. Di lì l’ulteriore obbligo, ove la cosa stessa venga sottratta, del risarcimento del danno, a meno che il depositario fornisca la prova specifica della inevitabilità dell’evento nonostante l’uso della diligen- za del buon padre di famiglia: Xxxx., 22 dicembre 1983, n. 7557, in Rep. Giur. it., 1983, voce «De- posito (Contratto di)», n. 5; conf. Cass., 20 dicembre 2005, n. 28232, in Foro it., 2006, c. 2065;
Cass., 28 ottobre 2014, n. 22807, in Pluris Cedam.
gio, è rappresentato dall’affidamento dell’automezzo a un imprenditore, il quale organizza la propria azienda in maniera da assicurare la sorveglianza della res. In questa nuova luce finisce con il tradursi in un autentico abuso l’imposizione del modello contrattuale destinato a secondare l’interesse del professionista di libe- rarsi dal rischio che gli compete nella veste di depositario ai sensi dell’art. 1766
c.c. L’abuso merita di essere combattuto – ed è stato efficacemente contrastato dalla corte di legittimità 43 – ritenendo sfornita di efficacia vincolante l’abile in- castonatura del rapporto nel contratto di locazione 44.
In ogni caso assume rilievo l’argomento secondo cui l’autorità decidente non è mai vincolata dalla qualificazione della fattispecie contrattuale data dalle parti; tale regola di giudizio – si osservi conclusivamente – vale a maggior ragione quando la qualificazione stessa sia stata imposta dallo stipulante che detta ad li- bitum le condizioni dell’affare.
6. Soggetti
La natura obbligatoria del diritto spettante al locatario suffraga la già esposta tesi incontrastata, a parere della quale non occorre essere titolari di una posizio- ne reale sulla cosa per concederla in godimento a terzi 45. Si continui a tener pre- sente che l’aformalità del contratto – fuori delle eccezioni di cui agli artt. 1350,
n. 8, c.c. e 1, 4° co., l. 1998/431 – comprova l’indipendenza della legittimazione a locare dalla titolarità del diritto reale sulla cosa oggetto del rapporto obbliga- torio.
Xxxxxx, non solo il proprietario, l’enfiteuta, l’usufruttuario 46 e il superficiario sono normalmente legittimati a stipulare efficaci contratti di locazione, ma an- che il comodatario ha facoltà di attribuire il godimento della cosa ad altre per- sone 47.
L’essenza del contratto è rappresentata – come si ricorderà – dallo scambio del godimento dietro pagamento di un determinato corrispettivo. Il conduttore
43 Cass., 26 febbraio 2004, n. 3863, in Foro it., 2004, I, c. 2132; conf. Cass., 1° dicembre 2004,
n. 22598, in Giust. civ., 2005, I, p. 2635; Cass., 13 marzo 2007, n. 5837, in Giur. it., 2007, p. 1912.
44 V., diffusamente, X. XXXXXXX, Parcheggio, contratto di posteggio e responsabilità, Padova, 1999, p. 122 ss.
45 Cass., 22 ottobre 2014, n. 22346, in Pluris Cedeam.
46 La donazione della nuda proprietà di un bene a favore di colui che già lo sfrutti in forza del preesistente contratto di locazione tra le medesime parti non estingue per mutuo consenso il dirit- to personale di godimento, in quanto solo colui che si è riservato l’usufrutto sulla res può conce- derlo in uso: così Cass., 26 maggio 1999, n. 5099, in Giust. civ., 2000, I, p. 439.
47 Ricordiamo sin d’ora che attraverso il meccanismo negoziale del subcontratto anche il locatario può a sua volta concedere il bene in godimento al terzo (art. 1594 c.c.). Tale rilievo conferma a mag- gior ragione che il titolo d’appartenenza non si eleva a elemento costitutivo del tipo contrattuale.
non può pertanto rifiutare la corresponsione del canone adducendo l’alienità della cosa locata quando tale circostanza non gli abbia impedito il suo concreto uso. Ciò che conta è che, trattandosi di vicenda negoziale meramente obbligato- ria, sia stato ottenuto il risultato del godimento utile; assicurato tale esito perde di rilevanza giuridica l’assenza di titolarità in capo al concedente ove egli abbia posto la controparte nella condizione di usare il bene locato in aderenza alla lex contractus 48.
Se il locatore agisce in assenza di legittimazione, il contratto è valido inter partes sebbene inopponibile al terzo proprietario (art. 1372 c.c.): questi può dunque esperire l’azione di rivendica contro il conduttore, il quale ha diritto d’invocare la garanzia di cui all’art. 1586, 2° co., c.c. verso il suo dante causa 49. Ad ogni modo, fino a che il godimento del conduttore non sia stato messo in di- scussione dal proprietario o dal titolare di altro diritto reale minore sulla cosa, non è dato ravvisare la nascita di sopravvenienze alteranti il normale svolgimen- to del rapporto locatizio 50.
48 X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, La locazione di immobili urbani, cit., p. 81.
49 X. XXXXXXXXXX, La locazione di un bene in comproprietà, nota a Trib. Bari, 6 febbraio 2004, in Rass. dir. civ., 2006, p. 777 s. V. amplius infra, cap. II, par. 29.
50 X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, La locazione di immobili urbani, cit., p. 84, i quali ritengono non estensibile al conduttore di buona fede la tutela riconosciuta al compratore ai sensi dell’art. 1479 c.c., perché il locatore di cosa altrui non è inadempiente qualora, di fatto, abbia messo a di- sposizione della controparte l’oggetto del rapporto obbligatorio: «Finché il terzo legittimato resta inerte, il locatore è adempiente e nei suoi confronti non può essere adoperato un rimedio contro l’inadempimento quale è, primo fra tutti, la risoluzione» (ivi, p. 86). In situazioni del genere il conduttore, allo scopo di liberarsi dal vincolo, potrebbe solo fare valere il vizio (naturale o provo- cato) della volizione (ivi, p. 87). V. anche X. XXXXXXX, Locazione, cit., p. 36. È stato deciso che
«per assumere la qualità di locatore non è necessario avere un diritto reale sulla cosa, in quanto il contratto di locazione ha natura personale e prescinde dall’esistenza e dalla titolarità da parte del locatore di un diritto reale sul bene, essendo sufficiente che egli ne abbia la disponibilità, la quale, tuttavia, deve essere giuridica e non di mero fatto, cioè deve avere la sua genesi in un rapporto o titolo giuridico atto a giustificare il potere del locatore di trasferire al conduttore la detenzione ed il godimento del bene. Ne consegue che non può assumere la qualità di locatore colui che abbia soltanto la disponibilità di fatto del bene»: Xxxx., 10 dicembre 2004, n. 23086, in Riv. giur. edil., 2005, p. 1145 ss., con nota di X. XXXXX, Sull’azione di rivendicazione e di restituzione, ivi, p. 1147 ss. Tale opinione non pare corretta. In realtà, il non legittimato compie un atto avvicinabile – spo- stando lo sguardo ai negozi traslativi – alla fattispecie di cui all’art. 1478 c.c.: la reazione del pro- prietario, nella vendita di cosa altrui, giustificherà il passaggio dalla disciplina appena evocata allo statuto sull’evizione rivendicatoria. Ne discende che in ambedue le ipotesi il non legittimato con- cluda un contratto perfettamente valido, fatti sempre salvi gli effetti derivanti dal diritto opposto dal proprietario contro l’avente causa dal non dominus. V. anche Cass., 29 luglio 2004, n. 14395, in Pluris Cedam, secondo cui l’animus rem sibi habendi non può desumersi dalla circostanza che il bene sia stato locato «in quanto la concessione in locazione di un immobile non costituisce atto esclusivo del proprietario, potendo legittimamente assumere la veste di locatore anche colui che abbia la mera disponibilità del bene medesimo»; Cass., 25 novembre 2003, n. 17913, in Xxxxxxxxx, 2004, p. 924 ss., con nota di D.A. XXXXXXXXXXX, La novazione nel contratto di locazione, ivi, p. 928 ss.; Cass., 20 aprile 1995, n. 4477, in Arch. loc., 1995, p. 567; Cass., 1° dicembre 1994, n.
Il divieto convenzionale di locare ha efficacia solo obbligatoria tra le parti (ex art. 1379 c.c.) 51. Ciò significa che esso non sia opponibile al terzo; per questi motivi la sua trasgressione è sanzionabile con la pretesa al risarcimento del dan- no 52. La domanda potrà essere estesa al terzo locatario qualora sussistano gli estremi dell’induzione all’inadempimento (ciò è quanto accade là dove questi, ben consapevole del divieto, persuada il proprietario alla violazione della promessa adesso esaminata).
Il regolamento condominiale di natura contrattuale può limitare la destina- zione delle singole proprietà? Impiegando una chiave di lettura assiologicamen- te orientata, pare fondato sostenere che le restrizioni alle proprietà solitarie ac- quistino efficacia reale purché siano degne di protezione, lontano dal sospetto che si sostanzino in atti d’abuso del potere della maggioranza a scapito dei con- dòmini più deboli 53.
S’immagini – a titolo di esempio – le limitazioni riguardanti l’esercizio di at- tività rumorose o fonte d’esalazioni e simili 54: il contenimento del diritto domi- nicale sulla proprietà individuale è posto a favore della collettività; circa la meri- tevolezza dell’interesse non pare sussistano dubbi. Diverso è il giudizio da riser- vare alla clausola di gradimento, che subordinasse genericamente la scelta dei locatari al beneplacito dell’assemblea, perché nella specie all’interesse comune verrebbero a sostituirsi odiose forme di controllo sociale sulla destinazione pri- vata della cosa 55. Egualmente immeritevole di tutela sembra doversi considerare la clausola imposta dal proprietario originario dell’intero stabile vietante l’eser- cizio di attività commerciali in concorrenza con quella da lui esercitata. Detto
10270, ivi, p. 345; Cass., 11 novembre 1994, n. 9491, in Pluris Xxxxx (nella specie è stato escluso che l’appaltatore, il quale aveva la detenzione dell’opera costruita su un’area promessagli in vendi- ta dal committente, godesse del potere di disporre dell’opera stessa a titolo di locazione, essendosi trattato di una disponibilità di mero fatto, conseguita fuori di qualsiasi rapporto giuridico impli- cante l’attribuzione di un simile potere).
51 Sul tema torneremo oltre, cap. V, par. 1.
52 Si potrebbe tuttavia discutere se sia o no ammissibile il risarcimento in forma specifica (art. 2058, 1° co., c.c., il quale – a giudizio dell’opinione dominante – è estensibile oltre i confini del torto aquiliano). Non deve sfuggire che se si affermasse l’indirizzo favorevole verrebbero assegnati alla convenzione, sebbene in modo indiretto, effetti sostanzialmente reali. Detta conseguenza do- vrebbe far propendere per la soluzione più restrittiva.
53 Cfr. X. XXXXXX, voce «Condominio negli edifici, I) Diritto civile», in Enc. giur., VIII, Roma, 1988, p. 4.
54 Ma si rammenti che limiti o divieti eccessivamente generici vanno incontro alle censure simi- li a quelle sollevate alla sentenza di merito da parte di Xxxx., 1° ottobre 1997, n. 9564, in Arch. loc., 2004, p. 504.
55 X. XXXXXX, I regolamenti di condominio, Torino, 2004, p. 145 s. Diversamente orientata è App. Milano, 12 giugno 1987, in Corr. giur., 1987, p. 958, con nota di X. XXXXXXXXX, Vincoli alla proprietà e termini di durata. È del resto discutibile se possa superare il test di meritevolezza la clausola subordinante il mancato gradimento all’indicazione, da parte dell’assemblea, di un con- duttore gradito.
divieto non tutelerebbe l’uso comune della cosa ma solo l’interesse speculativo del costruttore. Infine, per giustificare l’inammissibilità di clausole in deroga alle disposizioni elencate nell’art. 1138, 4° co., c.c., bisogna evocare l’argomento correlato alla tipicità dei diritti reali, siccome la modifica convenzionale di tali regole altererebbe i tratti tipologici dello statuto normativo del condominio 56.
Supponiamo che il regolamento condominiale proibisca iure di destinare le proprietà individuali all’esercizio di specifiche professioni liberali, giacché sti- mate pericolose per la salute pubblica o incompatibili con la funzione abitativa dell’edificio. Dall’esame dei repertori ci avvediamo che il divieto possa inoltre ri- guardare lo scotimento dei panni fuori certi orari o la stenditura della biancheria dalle finestre 57 e via discorrendo 58. Di fronte a simili clausole gran parte della letteratura 59 e della giurisprudenza forense 60 riconosce che il conseguente limite (negativo) alla proprietà privata assuma i tratti della servitù reciproca, distinta dalla mutualità anziché unilateralità del vantaggio. In questo modo si scansano i problemi implicati dall’atipicità e durata del vincolo, in quanto esso viene ad as- sumere i tratti distintivi del diritto reale non (necessariamente) soggetto a limiti di durata 61. Nel caso di violazione di disposizioni contenute nel regolamento condominiale stabilenti il divieto di destinare le proprietà solitarie a usi partico- lari, il condominio può chiedere nei confronti del conduttore la cessazione della destinazione abusiva, siccome questi non può trovarsi – rispetto al condominio stesso – in posizione diversa da quella del condomino suo locatore cui sia oppo- nibile la clausola limitativa in esame. Ne discende che il conduttore, il quale sia stato costretto ad astenersi dall’esercizio dell’attività vietata, è legittimato ad agi- re per il risarcimento del danno subito nei confronti del suo dante causa che, con il proprio consenso (essenziale ai fini dell’approvazione della disposizione regola- mentare fonte del divieto), abbia trasgredito gli obblighi contrattuali assunti 62.
56 X. XXXXXX, I regolamenti di condominio, cit., p. 147 ss. Cfr. Cass., 28 settembre 1994, n.
7894, in Mass. Foro it., 1994.
57 Cass., 11 ottobre 1999, n. 11692, in Arch. loc., 2004, p. 504.
58 A parere della giurisprudenza dominante i vincoli di destinazione posso essere formulati in- dicando specificatamente le attività vietate, oppure desunti tramite il riferimento ai pregiudizi che s’intendono evitare: Cass., 13 febbraio 1995, n. 1560, in Pluris Cedam; Cass., 23 dicembre 1994, n.
11126, in Arch. loc., 1995, p. 309; Cass., 15 luglio 1986, n. 4554, ivi, 1986, p. 640.
59 C.M. BIANCA, Diritto civile, 6, La proprietà, Milano, 1999, p. 509; X. XXXXXXX, Le servitù prediali, Padova, 2007, p. 22, nota 71; X. XXXXXXXXXX, Vincoli di destinazione, in N. IRTI (a cura di), Dizionari del diritto privato, I, Diritto civile, Milano, 1980, p. 876 s.; X. XXXXXX, I regolamenti di condominio, cit., p. 162 s.; X. XXXXXXXX, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. dir. civ., 2006, II, p. 190.
60 Cass., 4 aprile 2001, n. 4963, in Mass. Foro it., 2001; Cass., 7 gennaio 1992, n. 49, ivi, 1992.
61 Cass., 15 aprile 1999, n. 3749, in Giust. civ., 2000, I, 163 ss., con nota di X. XX XXXXX, Sulle limitazioni del regolamento contrattuale di condominio: servitù prediali ed oneri reali.
62 Cass., 13 dicembre 2001, n. 15756, in Riv. giur. edil., 2002, I, p. 307; v. anche Cass., 8 marzo
D’altro canto, le corti considerano il locatore responsabile verso il condominio delle violazioni perpetrate dal conduttore ai divieti di destinazione fissati nel re- golamento condominiale, allorché il locatore stesso non abbia esercitato l’azione di risoluzione per la mutata destinazione d’uso 63.
L’istituto della servitù prediale si presta infatti a dare lo stimma della realità ai vincoli di destinazione sulle proprietà individuali – contessenti le trame dell’autentico programma di sfruttamento delle singoli unità immobiliari 64 – grazie alla sua nota distintiva dell’indeterminatezza di contenuto entro le linee di fondo dettate dalla legge. Gli spazi così riconosciuti all’autonomia negoziale dei privati – pur nel rispetto, imposto dal principio di tipicità, delle caratteristiche generali forgianti i lineamenti essenziali della categoria – conferiscono alla servi- tù doti particolari di elasticità, che si sono dimostrate funzionali a adattare la fat- tispecie alle nuove esigenze della realtà pratica 65.
In questo quadro riusciamo a scorgere l’importanza delle servitù reciproche, nelle quali al peso sul fondo servente non si contrappone in modo esclusivo, come accade secondo il modello tradizionale, l’utilità a vantaggio del predio dominante; qui vantaggi e pesi convivono sui medesimi fondi, nel senso che la biunivocità delle relazioni attive e passive consente di cumulare la qualifica di fondo servente e dominate. A ben guardare, il peso posto a carico della proprie- tà isolata costituisce nello stesso tempo un vantaggio per la stessa, permettendo al dominus di pretendere il rispetto del vincolo di destinazione – gravante il proprio alloggio – nei confronti degli altri condòmini.
I vincoli reciproci di destinazione hanno contenuto eminentemente negativo, non solo quando nel regolamento vengano qualificati sotto il profilo del non fa- cere, ma pure allorché siano stati descritti in termini positivi (come, ad esempio, succede quando il predetto regolamento stabilisca che le proprietà singole deb- bano essere destinate esclusivamente a fini abitativi). Siamo dunque di fronte a reciproche servitù negative, perché sottraggono facoltà che il proprietario po- trebbe altrimenti mettere a profitto. Richiamando osservazioni già fatte, la de- scritta mutualità aiuta a ravvisare che il rispetto del vincolo va a vantaggio dello stesso onerato stante la duplicità della situazione reale ora analizzata, ove il peso è bilanciato (in termini di realità o di relazioni proprietarie) dal diritto all’osservanza del medesimo nei riguardi degli altri comproprietari 66.
2006, n. 4920, in Pluris Cedam,; Cass., 27 gennaio 1997, n. 825, ibidem. Cfr. X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, La locazione di immobili urbani, cit., p. 98 s.
63 Cass., 29 agosto 1997, n. 8239, in Giur. it., 1998, p. 1340.
64 X. XXXXXXXXXX, Vincoli di destinazione, cit., p. 876.
65 Cfr. X. XXXXXXX, voce «Servitù prediali», in Digesto/civ., XVIII, Torino, 1998, p. 500.
66 Ma in senso contrario x. Xxxx., 5 settembre 2000, n. 11684, in Giur. it., 2001, p. 446, se- condo cui la mera limitazione al godimento degli immobili, senza la determinazione di un peso o di prestazioni positive, dà luogo non già ad una servitù prediale ma a un rapporto obbligato-
rio reale insuscettibile di trascrizione; v. anche Cass., 13 agosto 2004, n. 15763, in Vita notar., 2004, p. 1567, la quale evoca l’istituto dell’obbligazione propter rem; conf. Cass., 11 ottobre 1999, n. 11692, cit. Quest’indirizzo dissidente si spiega in ragione del fatto che la magistratura di legittimità ha voluto da un lato impedire che il diritto all’uso difforme fosse acquisibile a ti- tolo d’usucapione, dall’altro paralizzare l’eccezione di prescrizione ex artt. 1073 e 1074 c.c. sol- levata a séguito della violazione del vincolo, comprimente il diritto dominicale esclusivo, pro- tratta ininterrottamente per oltre vent’anni. Viene cioè affermato che l’obbligazione concatena- ta al diritto di proprietà non si prescrive per effetto del mancato esercizio del ius prohibendi da parte del condominio stante il carattere permanente dell’illecito (tale essendo il comportamento lesivo che non si esaurisce uno actu, come rammenta – ex multis – Cass., 16 novembre 2000, n. 14681, in Mass. Foro it., 2000), ferma restando la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da tale condotta contraria agli obblighi contrattuali. Quanto al problema della tipicità delle obbligazioni reali, detto orientamento è del parere che i limiti alla proprietà fuo- riuscenti dai vincoli di destinazione non siano extra ordinem, perché la legge implicitamente consente ai comproprietari di obbligarsi ad assumere impegni accessori di per sé non in contra- sto con le disposizioni normative (Cass., 13 agosto 2004, n. 15763, cit.). Il riferimento alle ob- bligazioni reali (o propter rem) suscita motivate perplessità. I dubbi nascono dal rilievo che gli obblighi correlati alla situazione d’appartenenza sono tipici (X. XXXXXXX, Le servitù prediali, cit., p. 91; in giurisprudenza v., tra le tante, Cass., 2 gennaio 1997, n. 8, in Giur. it., 1998, p. 262 ss.; Cass., 20 agosto 1993, n. 8797, in Mass. Foro it., 1993); per altro verso la loro opponibilità ai terzi trae origine dalla predetta situazione, senza bisogno di ricorrere alla pubblicità immobi- liare (C.M. XXXXXX, Diritto civile, 6, La proprietà, cit., p. 139 s.). Le parti possono senz’altro prevedere obbligazioni reali atipiche, ma devono essere consapevoli che esse soggiacciono ai limiti di cui all’art. 1379 c.c. Alla luce di questi rilievi sembra possibile superare le remore che hanno indotto i giudici di legittimità a rifugiarsi, per i motivi dianzi accennati, nel perimetro apparentemente rassicurante delle obbligazioni reali, immaginando di percorrere un’altra stra- da, tesa a disconoscere i presupposti per applicare l’istituto della prescrizione tanto estintiva (non uso ventennale) quanto acquisitiva. L’esito dipenderebbe dalla stessa natura delle servitù reciproche; vale a dire, la già evocata relazione biunivoca fra pesi e utilità, nonché l’assenza di una rigida contrapposizione tra fondo dominante e fondo servente implica che l’utilizzo abusi- vo di una sola porzione del condominio, di fatto tollerato per oltre vent’anni dagli altri com- proprietari, non costituirebbe una situazione d’inerzia legittimante l’acquisto del diritto al mu- tamento di destinazione. Similmente, l’impiego della proprietà individuale per destinazioni contrarie ai patti non dà titolo all’acquisto del diritto per usucapione, giacché il suo contenuto negativo comprimente la libertà del proprietario [Cass., 20 ottobre 1997, n. 10250, in Vita no- tar., 1998, p. 955, secondo cui è negativa la servitù che «conferisce al suo titolare non la facoltà di compiere attività o di porre in essere interferenze sul fondo servente, ma di vietare al pro- prietario di quest’ultimo un particolare e determinato uso del fondo stesso», in dottrina v. so- prattutto X. XXXXXXXXXX, voce «Diritti reali (Diritto civile)», in Novissimo Dig., V, Torino, 1968, p. 748 ss., ora in ID., Xxxxxxx minori, Napoli, 1988, p. 649], rende il peso (uso difforme) non apparente ai sensi dell’art. 1061 c.c. (sull’interpretazione di questa disposizione v., per tut- ti, X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 139 ss.). Xxxxx aggiungere che nel campo delle servitù reciproche la natura complessa dei vincoli sulle proprietà individuali posti dalla medesima fonte contrat- tuale complica viepiù il ricorso all’usucapione, perché occorrerebbe prima dimostrare che il nostro sistema permetta la trasformazione ex uno latere del fondo da «misto» in tout court do- minante. Solo là dove la condotta abusiva sia condivisa da tutti gli obbligati sembra allora am- missibile invocare l’istituto della prescrizione per non uso siccome, svanito il succitato rapporto di reciprocità, è possibile ravvisare i presupposti per applicare l’art. 1073 c.c., forgiato avendo in mente la nozione tradizionale di servitù prediale in cui è rigorosa la contrapposizione tra pe- so sul fondo servente e utilità a beneficio del diritto reale (v. X. XXXXXXX, voce «Servitù predia- li», cit., p. 497). Ma fino a che l’uso contra pacta sia circoscritto a una singola porzione
Ai sensi dell’art. 1103 c.c. ciascun comproprietario può cedere la propria quota oppure dare ad altri il godimento della cosa comune nei limiti della quota stessa. In quest’ultimo caso il locatore, pur conservando la contitolarità della co- sa, sostituisce il terzo a sé nel suo uso diretto 67. Ciò significa – sia detto per inci- so – che il godimento esclusivo della cosa non è elemento essenziale della fatti- specie 68. Nulla esclude che il bene sia concesso in locazione a uno dei compro- prietari, il quale gode in tal modo delle quote appartenenti agli altri comunisti 69. Occorre ora appurare come possano essere efficacemente perfezionati i con- tratti di locazione aventi per oggetto la cosa comune unitariamente intesa. L’art. 1108, 3° co., c.c. 70, stabilisce che se la locazione eccede i nove anni – data la sua natura di atto di straordinaria amministrazione 71 – è necessario raccogliere il consenso di tutti i comproprietari 72. Ove il vincolo sia invece inferiore al noven-
d’immobile, non sembra estinguersi il vincolo reciproco di destinazione perché, in assenza dell’eccezione appena additata, è irragionevole e privo di base logica ammettere per iniziativa individuale la mutazione della servitù reciproca in ordinaria, nella quale ultima la porzione del comproprietario usucapente diventerebbe fondo esclusivamente dominante. Affiora, infine, un altro ostacolo (ex art. 1073, 2° co., c.c.), che consiste nella difficoltà a reputare il mutamento di destinazione d’uso come fatto materiale impediente l’esercizio della servitù qualora il peso ne- gativo (non facere) consista in una condotta umana e non già in fatti materiali quali, ad esempio, l’edificazione violatrice della servitù (egualmente negativa) di non edificare o sopraelevare (cfr. Cass., 16 gennaio 1998, n. 326, in Riv. giur. edil., 1998, I, p. 583; Cass., 5 dicembre 1997, n.
12350, in Mass. Foro it., 1997).
67 Il conduttore, per far valere le azioni nascenti dal contratto di locazione, non deve ottenere il consenso degli altri comproprietari, non essendo nella specie applicabile l’art. 1105 c.c.: Cass., 5 gennaio 2005, n. 165, in Nuova giur. comm., 2006, I, p. 196 ss., con nota di X. XXXXXX, Locazione della quota: vecchi e nuovi problemi, ivi, p. 201 ss.
68 Si veda X. XXXXXXX, Locazione, cit., p. 98, il quale osserva che in caso di scioglimento della comunione «il godimento del conduttore potrà risultare impossibile qualora la cosa non venga assegnata a quello dei partecipanti che ha locato la propria quota (omissis). Può anche darsi, sem- pre in caso di locazione della quota, che i comunisti deliberino di imprimere alla cosa una destina- zione incompatibile con il diritto di godimento del conduttore ed anche in questa ipotesi il locato- re verrà a trovarsi nella impossibilità di adempiere al suo obbligo di far godere, impossibilità di cui potrebbe essere chiamato a rispondere» (ivi, p. 99).
69 È stato deciso che in ipotesi d’inadempimento del conduttore-comproprietario, la sentenza di risoluzione del contratto non legittima il convenuto al rilascio del bene all’altro comproprieta- rio avendo il primo diritto al godimento pro quota. In siffatta eventualità spetta ai comunisti il po- tere di disciplinare l’ordinaria amministrazione della cosa comune senza privare alcuno dei conti- tolari delle sue facoltà di godimento e così eventualmente di ricorrere, persistendo il disaccordo, all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 1105, ult. co., c.c., in vista della nomina di un amministra- tore: Xxxx., 5 giugno 2007, n. 13087, in Mass. Foro it., 2007; v. anche Cass., 23 giugno 1999, n. 6405, in Riv. giur. edil., 2000, I, p. 62 ss., con nota di X. XX XXXXX, Sulla locazione ad uno dei comproprietari, ivi, p. 66 ss.; Cass., 20 luglio 1991, n. 8110, in Arch. loc., 1992, p. 55; Cass., 22 maggio 1982, n. 3143, in Rep. Giur. it., 1982, voce «Comunione e condominio», nn. 24 e 25.
70 Applicabile al condominio in virtù del rinvio ex art. 1139 c.c.
71 V., diffusamente, X. XXXXXXXXXX, La locazione di un bene in comproprietà, cit., p. 776 ss.
72 Per la formazione di tale consenso unanime non è necessario il rispetto del metodo assem-
xxx entrano in scena le regole in tema di amministrazione ordinaria: il contratto potrà essere perfezionato con deliberazione della maggioranza dei comproprie- tari, calcolata secondo il valore delle loro quote (art. 1105, 2° co., c.c.) 73. Si ri- tiene tuttavia che occorrerà la maggioranza qualificata di cui all’art. 1108 c.c. se la locazione della cosa comune importi una modifica alla sua destinazione 74.
Affiorano i tratti distintivi dell’atto compiuto dal non legittimato quando uno o più comproprietari, agendo all’insaputa degli altri, abbiano abusivamente lo- cato l’intera cosa. Chi afferma – seguendo un criticabile orientamento delle cor- ti 75 – che in detta eventualità il sottostante rapporto di comunione permetta di scorgere una legittimazione tacita che finisce con il vincolare gli altri contitolari
bleare, essendo ciascun comproprietario sostanzialmente titolare del diritto di veto: cfr. G. GA- BRIELLI, X. XXXXXXXX, La locazione di immobili urbani, cit., p. 104. Cfr. X. XXXXXXXXXX, La loca- zione di un bene in comproprietà, cit., p. 779 s., il quale osserva ivi che «il singolo comproprietario, anche se di maggioranza, non può considerarsi legittimato a locare l’intera cosa comune per la semplice ragione che, in tal modo, egli impedisce agli altri comproprietari di servirsi della cosa comune secondo la misura del diritto di ciascuno (come richiede l’art. 1102 c.c.). Quando venga stipulato il contratto di locazione del bene comune nella sua interezza in violazione delle regole dettate dagli artt. 1105 e 1108 c.c., la soluzione deve coincidere con quella adottata in tema di lo- cazione conclusa da soggetto non legittimato: il contratto di locazione stipulato dal singolo com- proprietario è valido e efficace fra le parti, ma è in opponibile agli altri comproprietari, i quali po- trebbero agire in rivendicazione espellendo il conduttore».
73 In questa situazione deve essere rispettato il sistema collegiale, salvo che sia stato raggiunto il consenso unanime: X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, op. loc. cit.
74 X. XXXXXXX, Locazione, cit., p. 97, nota 3.
75 Cass., 2 febbraio 2016, n. 1986, in Pluris Cedam; Cass., 27 gennaio 2005, n. 1662, in Mass. Foro it., 2005; Cass., 19 aprile 1996, n. 3725, in Riv. giur. edil., 1996, I, p. 911, secondo cui su- gli immobili oggetto di comunione concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari in virtù della presunzione che ognuno di essi operi con il con- senso degli altri. Ne consegue da un lato che il singolo condomino possa stipulare il contratto di locazione avente per oggetto l’immobile in comunione, dall’altro che ciascun condomino, il quale non abbia assunto la veste di locatore, è attivamente legittimato ad agire per il rilascio del bene stesso, nonché passivamente legittimato nei confronti delle azioni del conduttore. V. an- che Cass., 29 agosto 1995, n. 9113, in Giust. civ., 1995, p. 2618; Cass., 19 aprile 1991, n. 4261, in Pluris Cedam; Cass., 26 marzo 1983, n. 2158, 1983, in Rep. Giur. it., voce «Comunione e condominio», n. 39. Movendo da queste (criticate) premesse si è giunti a statuire che «In tema di recesso dal contratto di locazione concernente un immobile oggetto di comunione, il princi- pio della concorrenza di pari poteri gestori in tutti i comproprietari comporta che ciascuno sia legittimato a dare disdetta del contratto e ad agire conseguentemente, nei confronti del condut- tore, per il rilascio dell’immobile in recesso contro il conduttore, senza che sia configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario con gli altri comproprietari»: Xxxx., 19 settembre 2001, n. 11806, in Pluris Cedam; conf. Cass., 13 dicembre 1986, n. 7471, ibidem, la quale, premesso che
«l’eventuale pluralità di locatori integra una parte unica», così conclude: «ciascuno dei condo- mini-locatori può svolgere le azioni che derivano dal contratto, presumendosi il consenso degli altri alla proposizione dell’azione giudiziaria e salva la possibilità per costoro, ove rappresenti- no nell’àmbito della comunione una quota maggioritaria, di opporsi all’azione medesima»; Cass., 16 marzo 1984, n. 1814, in Rep. Giur. it., 1984, voce «Locazione di cose», n. 567; Cass., 27 gennaio 1982, n. 538, ivi, 1982, voce cit., n. 182; Cass., 19 gennaio 1980, n. 446, ivi, 1980, voce «Comunione e condominio, n. 63.
in qualità di parti (con l’effetto che la violazione degli artt. 1105 e 1108 c.c. rile- verebbe soltanto nei rapporti interni fra i comproprietari) 76, costruisce il pro- prio ragionamento su di un’autentica finzione, la quale porta al distorcimento della natura delle cose 77. La finzione è data dallo scorgere il mandato tacito fa- cendo leva semplicemente sul vincolo di comunione: sennonché, il medesimo vincolo nulla dice o può dire in merito a tale legittimazione implicita, la quale do- vrebbe semmai essere desunta, caso per caso, dalla condotta dei contitolari 78. È indispensabile invece ammettere che il contratto, pur validamente stipulato, non sia opponibile agli altri comunisti, i quali potranno rivendicare la cosa locata 79.
L’usufruttuario è libero di concedere in locazione la cosa se tale atto disposi- tivo del proprio diritto reale non entra in collisione con l’obbligo di rispettare la destinazione economica della cosa stessa (art. 981 c.c.) 80. Il titolo può proibire non solo la cessione dell’usufrutto (art. 980 c.c.), ma anche la legittimazione del- l’usufruttuario a stipulare contratti di locazione attribuenti per un certo periodo il godimento della cosa al terzo 81.
Nulla esclude che il diritto di godere la cosa venga assegnato al nudo pro- prietario: in una situazione del genere l’usufruttuario si avvantaggerà dei frutti civili della res sotto forma di diritto al pagamento del canone di locazione 82.
76 Il punto è efficacemente colto da X. XXXXXXXXXX, La locazione di un bene in comproprietà, cit., p. 781.
77 Cfr. X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, La locazione di immobili urbani, cit., p. 107 s.; F. PADOVI- NI, Parti e forma del contratto, cit., p. 900; G. PROVERA, Locazione, cit., p. 100, nota 11.
78 X. XXXXXXXXXX, La locazione di un bene in comproprietà, cit., loc. cit.
79 Secondo la giurisprudenza pratica, nel caso in cui un individuo, assumendo di essere com- proprietario di un bene, proponga domanda di rivendica, la necessità dell’integrazione del con- traddittorio dipende dal comportamento del convenuto. Infatti, qualora il convenuto si limiti a negare il diritto di comproprietà dell’attore, non si richiede la citazione in giudizio di altri sogget- ti, non essendo in discussione la comunione del bene. Per contro, ove il convenuto eccepisca di essere proprietario esclusivo del bene, la controversia ha come oggetto la comunione di esso, cioè l’esistenza di un rapporto unico plurisoggettivo e il contraddittorio deve svolgersi nei confronti degli altri (veri o ipotetici) comproprietari, giacché la sentenza non può conseguire un risultato utile se non venga pronunciata nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione: Xxxx., 11 aprile 2002, n. 5190, in Pluris Cedam.
80 Il rapporto traente origine dal contratto di locazione ha – come già detto – natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità, di fatto, del bene può validamente conce- derlo in locazione. Per questa ragione la relativa legittimazione è ravvisabile anche in capo al nudo proprietario, il quale disponga della res unitamente all’usufruttuario: Cass., 20 aprile 2007, n. 9493, in Pluris Cedam. Come ha chiarito Cass., 26 luglio 2005, n. 15599, in Riv. not., 2005, p. 1323, l’adesione del nudo proprietario alla locazione stipulata dall’usufruttuario per una durata eccedente i cinque anni dalla cessazione del diritto reale minore giustifica la deroga pattizia al di- vieto di cui all’art. 999, 1° co., c.c.
81 L’orientamento dominante attribuisce efficacia reale a siffatti divieti in quanto, se si opinasse diversamente, occorrerebbe riconoscere che la disposizione in esame costituisca una semplice ripeti- zione dell’art. 1379 c.c.: cfr. X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, La locazione di immobili urbani, cit., p. 116.
82 Cass., 1° giugno 1991, n. 6168, in Mass. Foro it., 1991.