Tribunale Ordinario di Cremona
Sentenza n. 585/2018 pubbl. il 22/10/2018
RG n. 2570/2015
R.G. N. 2570/2015
Tribunale Ordinario di Cremona
Prima Sezione Civile
Verbale della causa R.G. n. 2570/2015
promossa da
CREMONESI X.XXX S.R.L. IN FALLIMENTO
con l’avv. XXXXXXXXX XXXXXXX - attore -
contro
BANCA CREMASCA CREDITO COOPERATIVO SOC. COOP.
con l’avv. XXXXXXX XXXXX - convenuta -
Oggi 22 ottobre 2018 ad ore 9,30 innanzi al G.O.P. avv. Xxxxxx Xxxxxx sono presenti per l'attore l'avv. Xxxxxxxxx e per la convenuta l'avv. Vezzoli.
I procuratori delle parti precisano le conclusioni come da fogli di P.C. depositati telematicamente e discutono la causa, illustrando le rispettive ragioni di diritto dedotte in atti.
Il G.O.P.
Visto l'art. 281 sexies c.p.c., lette le conclusioni e uditi i motivi addotti dalle parti a sostegno delle rispettive domande, si ritira in Camera di Consiglio per la decisione.
Alle ore 10,46, in assenza delle parti, il giudice pronuncia la seguente sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., che costituisce parte integrante del presente verbale e di cui viene data lettura pubblica della motivazione contestuale.
Cremona, 22 ottobre 2018.
Il G.O.P.
Avv. Xxxxxx Xxxxxx
Firmato Da: XXXXXXX XXXXXXXXX Emesso Da: POSTE ITALIANE EU QUALIFIED CERTIFICATES CA Serial#: 1e0969d1407fb1d6 - Firmato Da: XXXXXX XXXXXX Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: 602cc64342c6d0a9608655eb580409ba
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RG n. 2570/2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CREMONA PRIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del G.O.P. avv. Xxxxxx Xxxxxx ha pronunciato la seguente
SENTENZA EX ART. 281 SEXIES C.P.C.
nella causa civile di I Grado iscritta al n. 2570/2015 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2015 promossa da:
CREMONESI X.XXX S.R.L. ora IN FALLIMENTO (C.F. 00093340198)
con l’avv. XXXXXXXXX XXXXXXX - attore -
contro
BANCA CREMASCA CREDITO COOPERATIVO SOC. COOP. (C.F. 01230590190)
con l’avv. XXXXXXX XXXXX - convenuta -
CONCLUSIONI
Per l’attore
“Voglia l’On. Tribunale di Cremona, disattesa ogni contraria istanza, eccezione, deduzione e ragione, così decidere:
Nel merito ed in via principale:
1. Previa ogni statuizione sulla nullità e/o invalidità e/o inesistenza delle clausole contrattuali di cui ai contratti di apertura di conto corrente e di apertura di credito riferiti al rapporto di conto corrente n. 81208, accertare e dichiarare:
a) l’illegittima applicazione, da parte della Banca Cremasca Credito Cooperativo società
cooperativa, di interessi usurari in danno della società attrice nel corso del rapporto di conto corrente n. 81208;
b) l’illegittima applicazione, da parte della Banca Cremasca Credito Cooperativo società cooperativa, della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e dei tassi passivi e delle condizioni contrattuali nel corso del rapporto di conto corrente n. 81208, in danno della società attrice;
c) l’illegittima applicazione, da parte della Banca Cremasca Credito Cooperativo società
Firmato Da: XXXXXXX XXXXXXXXX Emesso Da: POSTE ITALIANE EU QUALIFIED CERTIFICATES CA Serial#: 1e0969d1407fb1d6 - Firmato Da: XXXXXX XXXXXX Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: 602cc64342c6d0a9608655eb580409ba
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cooperativa, nel corso del rapporto di conto corrente n. 81208, in danno della società attrice, della commissione di massimo scoperto/commissione messa a disposizione fondi perché non concordata e comunque nulla, ex artt. 1325 e 1418 c.c. per la mancanza di causa;
d) la nullità delle variazioni non concordate avvenute in costanza del rapporto di conto corrente n. 81208;
e) l’illegittima applicazione, da parte della Banca Cremasca Credito Cooperativo società cooperativa, di tassi ultralegali non concordati in costanza del rapporto di conto corrente n. 81208, in danno della società attrice;
f) la nullità e/o l’invalidità e/o inesistenza del contratto di corrispondenza a regolamentare le linee di credito appoggiate al rapporto di conto corrente n. 81208 e, conseguentemente, ordinare il ricalcolo sull’intero rapporto secondo legge, senza anatocismo (in subordine su base annuale), con esclusione del conteggio trimestrale degli interessi e del tasso ultralegale e usurario, della commissione di massimo scoperto/commissione messa a disposizione fondi, della valuta, delle condizioni e come in narrativa.
2. Condannare, per i motivi di cui in narrativa, la Banca Cremasca Credito Cooperativo società cooperativa alla restituzione di tutto quanto indebitamente sottratto alla società attrice correntista a titolo di interessi debitori e spese applicate sul conto corrente contestato nonché a titolo di interessi anatocistici, ultralegali, usurari e commissione di massimo scoperto, così come determinato nella perizia 28.01.2015 (doc. 1) pari alla somma di € 113.968,10, ovvero a quella maggiore o minore somma che risulterà in corso di causa.
3. Condannare, in ogni caso, la Banca Cremasca Credito Cooperativo società cooperativa, in via risarcitoria, per le motivazioni di cui in narrativa, al pagamento delle somme indicate nella perizia (doc. 1) (danno emergente) ovvero a quella maggiore o minore somma che risulterà in corso di causa, oltre al risarcimento del danno da lucro cessante da determinarsi in corso di causa e/o ritenuto di giustizia anche in via equitativa.
4. In ogni caso, accertare e dichiarare se la Banca Cremasca Credito Cooperativo società cooperativa abbia agito, nel rapporto di conto corrente per cui è causa, in spregio della Legge 108/96 perpetrando il reato di usura trasmettendo, se del caso, gli atti del presente giudizio alla Procura della Repubblica competente.
5. Accertare e dichiarare che il contratto di mutuo di cui nelle premesse [atto a rogito del Notaio
Xxxxxx Xxxxxx in Pandino (CR) n. 151510 Repertorio – n. 15955 Raccolta (doc. 8)], stipulato dalle parti in data 24.10.2000, sia usurario per i motivi di cui in narrativa, con declaratoria di nullità delle relative clausole ex art. 644 c.p. ed art 1815 c.c. s.c., in quanto stipulato fin dalla pattuizione con xxxxx, oneri, spese e remunerazioni eccedenti le soglie usura.
6. Dichiarare, altresì, che il contratto di mutuo de quo sia usurario in ragione del fatto che, al momento della pattuizione, è stato convenuto un tasso di mora che unitamente a tutti gli altri componenti remunerativi (spese e oneri indicati in contratto, polizza assicurativa, commissione per anticipata estinzione, ecc.), determina il travalicamento del tasso soglia, indicato in narrativa, del periodo di riferimento di sottoscrizione del medesimo contratto (24.10.2000).
7. Delibare, anche alla luce dell'art. 1, capoverso 5, del contratto di mutuo de quo, che la Banca convenuta ha pattuito che il tasso di mora non si sostituisce a quello corrispettivo, ma decorre su un montante che porta il capitale, gli interessi corrispettivi e le spese.
8. Ponderare, dunque, alla luce della giurisprudenza richiamata in narrativa, che l’interesse moratorio sia da computarsi ai fini del calcolo del Teg al momento della pattuizione.
9. Ritenere, quindi, che, per effetto dell’art. 644 I° comma c.p. e dell’art. 1815 II° comma c.c, il contratto di mutuo 24.10.2000 sia usurario e non sono dovuti interessi.
10. Accertare che parte attrice, in dipendenza del contratto di mutuo 24.10.2000, abbia restituito la somma di € 438.988,36 a titolo di capitale e pagato l’importo di € 125.887,72 a titolo di interessi non dovuti, ovvero le maggiori o minori somme che risulteranno in corso di causa.
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11. Condannare, pertanto, la Banca Cremasca Credito Cooperativo società cooperativa a restituire tutte le somme illegittimamente percepite e a tale titolo indebitamente versate (interessi, spese, commissioni, oneri, ecc.) dall’attrice in dipendenza del contratto di mutuo 24.10.2000, come indicato dalla perizia tecnica 21.01.2015 (doc. 14), pari alla somma di Euro 125.887,72 ovvero a quella maggiore o minore somma che risulterà in corso di causa.
In via gradatamente subordinata:
1) Dichiarare nulla la clausola di determinazione degli interessi del mutuo 24.10.2000 perché posta in violazione degli artt. 1346 – 1418 – 1419 c.c. nonché incompatibile con i principi di
inderogabilità in tema di indeterminabilità dell’oggetto nei contratti formali e/o per violazione degli artt. 1283 e 1284 c.c. e/o per violazione dell’art. 1322 x.x. x/x xxx xxxxxxxxxx xxxx’xxx. 0, xxxxx comma, Legge 192/1998, individuando il saggio di interesse applicabile in sua sostituzione sulle rate scadute e per l’effetto condannare la convenuta a restituire alla società attrice la somma che verrà accertata in corso di causa e ciò a titolo di maggiori somme non dovute corrisposte per rate di preammortamento e di ammortamento scadute determinando per l’effetto un piano di ammortamento a tasso legale ovvero al tasso indicato all’art. 117 comma 7 t.u.b., con quote capitali costanti.
2) Accertare la presenza di anatocismo nel piano di ammortamento (violazione del principio dell’equivalenza dei tassi) collegato al contratto di mutuo 24.10.2000 e dichiarare, comunque, che la convenuta, con la previsione di un piano di ammortamento alla francese ha applicato tassi di interesse difformi da quelli pattuiti e per l’effetto, individuato il saggio di interesse applicabile in sua sostituzione, condannare la convenuta a restituire alla società attrice la somma che verrà accertata in corso di causa e ciò a titolo di maggiori somme non dovute corrisposte per rate di preammortamento e di ammortamento scadute determinando per l’effetto un piano di ammortamento a tasso legale ovvero al tasso indicato all’art. 117 comma 7 t.u.b., con quote capitali costanti.
Spese e competenze professionali di causa rifuse per le quali il procuratore di parte attrice si dichiara antistatario”.
Per la convenuta
“IN VIA PRINCIPALE: respingersi ogni richiesta e/o istanza formulata dal Fallimento C REMONESI F.lli srl, in quanto infondate in fatto ed in diritto per tutto quanto in narrativa argomentato.
Spese ed onorari rifusi.
IN VIA ISTRUTTORIA: come da memoria ex art.183 VI comma n.2 cpc del 21.04.2016”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Cremonesi F.lli s.r.l. conveniva in giudizio Banca Cremasca Credito Cooperativo soc. coop., già Banca di Credito Cooperativo di Crema s.c. a r.l., con la quale aveva avuto in essere un rapporto di conto corrente con affidamento, estinto il 26.8.2015, e stipulato un contratto di mutuo ipotecario, estinto il 13.12.2006. L’attrice lamentava: 1) quanto al conto corrente, l’applicazione illegittima di interessi ultralegali, commissioni di massimo scoperto e spese non pattuiti, nonché interessi anatocistici ed usurari; 2) quanto al contratto di xxxxx, la pattuizione di interessi superiori al tasso soglia di usura (usura originaria), con riferimento sia agli interessi corrispettivi, sia a quelli di mora, nonché l’indeterminatezza della clausola relativa al tasso di interesse, nonché l’abuso di dipendenza economica. Chiedeva quindi il ricalcolo del saldo del conto corrente, con ripetizione di quanto indebitamente corrisposto alla banca, e la restituzione degli interessi pagati a fronte del mutuo, in
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quanto usurari, o in subordine poiché difformi (per effetto dell’ammortamento alla francese) da quelli pattuiti, o comunque nulli per violazione dell’art. 9 della legge n. 192/1998.
La convenuta si costituiva contestando innanzi tutto la valenza delle perizie di parte prodotte dall’attrice; inoltre, affermava l’esistenza di un’apertura di credito, pur sostenendo che all’epoca non vi era l’obbligo per la banca di sottoscrivere uno specifico contratto, essendo sufficiente l’annotazione dell’affidamento sul registro delle delibere di Consiglio, mentre le condizioni economiche sarebbero ritualmente state rese note all’attrice con “lettera di comunicazione di affidamento” datata 31.1.2007. Eccepiva quindi la prescrizione delle rimesse solutorie (precisando peraltro che dovevasi avere riguardo al solo “fido di cassa” e non al c.d. “castelletto s.b.f.”) che avevano “pagato” le competenze liquidate fino al II trimestre del 2005, considerando che l’atto di citazione era stato notificato il 2.9.2015. In comparsa indicava la somma complessiva per trimestre (dal III del 2002 a parte del III del 2005) delle somme aventi carattere solutorio versate dalla correntista. Affermava inoltre, giusta le delibera CICR 9.2.2000, la legittimità dell’anatocismo praticato, poiché il rapporto era stato aperto in data 19.9.2000. Quanto al mutuo, contestava che fossero stati pattuiti interessi usurari e che l’ammortamento alla francese non comportasse anatocismo, posto che gli interessi corrispettivi sono calcolati di volta in volta sulla quota capitale residua. Chiedeva pertanto il rigetto delle domande avversarie.
Depositate le memorie ex art. 183, comma VI. c.p.c. e disposta consulenza tecnica d’ufficio, all’udienza fissata per il conferimento dell’incarico ed il giuramento veniva dichiarata l’interruzione del processo a seguito della dichiarazione di fallimento dell’attrice.
Il giudizio veniva ritualmente riassunto dalla Curatela fallimentare e fatto oggetto di alcuni rinvii stante le trattative in corso tra le parti per la definizione bonaria, che però avevano esito negativo, sicché il nominato C.T.U. veniva riconvocato per gli incombenti di rito.
Depositata la perizia, su richiesta delle parti era fissata udienza per la precisazione delle conclusioni e la discussione orale della causa ex art. 281 sexies c.p.c. all’8.10.2018, poi differita al 22.10.2018, con concessione di termine anteriore per note difensive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Il ricalcolo del saldo del c/c n. 81208
a) L’eccezione di prescrizione e il periodo oggetto di indagine
Preliminarmente occorre esaminare la tematica della prescrizione con riguardo all’azione di ripetizione di addebiti illegittimi effettuati su conto corrente affidato e alla soluzione adottata dalla giurisprudenza.
Il conto corrente è stato aperto in data 19.9.2000 (v. doc. n. 4 dell’attore, n. 3 della convenuta) e chiuso in data 26.8.2015 mediante versamento di euro 888,11 in contanti (v. doc. n. 21 dell’attore). La banca non vanta quindi ragioni creditorie nei confronti della Cremonesi X.xxx s.r.l., ora fallita.
Secondo l'insegnamento della Suprema Corte, la particolare natura del rapporto di conto corrente bancario incide sul dies a quo del termine prescrizionale, che comincia a decorrere soltanto dalla chiusura del rapporto, perché solo il saldo finale – quale frutto di tutte le movimentazioni in dare e avere – ha il carattere della definitività: invero il rapporto, pur articolandosi in una pluralità di atti esecutivi, si atteggia come unico ed unitario, per cui è soltanto con quella chiusura che i crediti e i debiti diventano definitivi.
È noto peraltro che la questione va scrutinata alla luce di Cass. n. 24418/2010, così massimata:
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“L'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell'anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens”.
Nella specie è pacifico, poiché allegato nell’atto introduttivo ed espressamente confermato dalla convenuta in comparsa, che il rapporto instaurato tra le parti fosse caratterizzato da un affidamento.
Secondo la giurisprudenza (cfr. Cass. n. 4518/2014), i versamenti eseguiti in corso di rapporto su conto corrente affidato hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all'accipiens; tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto. Una diversa finalizzazione dei singoli versamenti (o di alcuni di essi) deve essere in concreto provata da parte di chi intende far decorrere la prescrizione dalle singole annotazioni delle competenze.
Non può infatti pretendersi che sia il correntista a fornire la prova di avere diritto a considerare nel ricalcolo anche dette poste, perché quella di prescrizione è un’eccezione in senso proprio, per cui alla parte che la solleva spetta l’obbligo di specificare i fatti che ne costituiscono il fondamento (cfr. Cass. n. 3578/2004 e Cass. n. 4468/2004). Del resto, l'impostazione che impone alla banca di comprovare lo sconfinamento e i pagamenti asseritamente prescritti è coerente con il principio di vicinanza della prova (indicante un particolare rapporto di facilità di accesso e recupero tra un soggetto e la prova), che la Suprema Corte a S.U. n. 13533/2001 ha elevato a criterio principe nella ripartizione dell’onere stesso. Con riguardo specifico alla materia bancaria, autorevole dottrina ha evidenziato che quando la fattispecie attiene ai contratti di impresa e in particolare a quello di conto corrente bancario è del tutto fisiologico che la banca risulti più vicina alla prova, anche perché è la stessa che provvede alla tenuta del conto e alle relative annotazioni.
Nella specie, la convenuta – sebbene l’abbia dedotto – non ha provato tale diversa destinazione dei versamenti, in deroga all'ordinaria utilizzazione dello strumento contrattuale.
Invero, la banca ha prodotto un prospetto relativo alle competenze e alle rimesse (asseritamente solutorie) dal III trimestre 2002 al III trimestre 2005 (v. doc. n. 2), ossia precedenti ai dieci anni anteriori alla chiusura del rapporto di conto corrente. Per indicare le rimesse che hanno costituito pagamenti e quindi sono prescritte, la convenuta effettua una distinzione tra gli importi che inserisce nella colonna “fido cassa” e quelli che sono conteggiati come “extra fido” (inseriti nella relativa colonna. Di conseguenza, stante la rilevanza numerica dell’extra fido, considera solutorie tutte le rimesse del periodo preso in considerazione.
Tale conteggio non è tuttavia utilizzabile, poiché si fonda su dati relativi al limite dell’affidamento che non sono comprovati da pattuizione con la correntista, né la convenuta ha spiegato in quale modo siano stati ricavati gli importi della colonna “extra fido”. Di conseguenza non è possibile risalire all’entità del fido concesso e quindi calcolare la parte esorbitante dallo stesso. Del resto, non è vincolante, poiché non supportato da accordo, il valore del “fido di conto” unilateralmente indicato dall’istituto negli scalari. Si tratta comunque di un importo inattendibile, poiché – stando ai prospetti redatti dalla convenuta – estremamente elevato rispetto a quello che compare nella
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xxxxxxx “fido cassa”, sì da far ritenere inverosimile che la banca abbia sistematicamente consentito uno sconfino attestato su una media di circa euro 200.000,00 nel periodo dal III trimestre 2002 al III trimestre 2005.
Ritiene questo giudice che la durata, la stabilità e l’importanza dell’utilizzo da parte della correntista di somme della banca consentano di escludere che si sia trattato di meri atti di tolleranza, ma del riconoscimento dell’esistenza di un fido di fatto, avente come limite estremo lo stesso massimo scoperto di fatto consentito dalla banca (della stessa opinione, numerosa giurisprudenza di merito, tra cui quella citata in conclusionale dall’attore). Pertanto, le rimesse indicate dalla convenuta nei prospetti prodotti sub doc. n. 2 devono considerarsi tutte ripristinatorie.
Ne consegue che l’ordinario termine di prescrizione decennale per far valere il diritto alla ripetizione decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, salvo interruzione.
Peraltro, l'ipotetico diritto nascente dalle nullità dedotte è imprescrittibile, sicché - una volta esclusa la prescrizione dell'azione di ripetizione - l'indagine volta a ricostruire il corretto dare-avere tra le parti può in linea teorica risalire fino all'instaurazione del rapporto o comunque, nella specie, fino alla data del primo documento contabile disponibile (e/c dal 30.11.2000 – x. xxx. x. 0 di parte attrice).
Il dies a quo del periodo prescrizionale coincide quindi con la data di chiusura del conto corrente, ossia il 26.8.2015. Poiché l’atto di citazione è stato ricevuto dalla convenuta in data 8.9.2015, è chiaro che non è maturata alcuna prescrizione e pertanto la relativa eccezione è infondata e va respinta.
b) Il tasso di interesse da applicare
Nel “prospetto delle condizioni economiche in vigore al 19.9.2000” sottoscritto dalla correntista e allegato alla lettera di apertura del rapporto prodotta dalla convenuta (v. doc. n. 3) sono indicati: il tasso creditore (nominale ed effettivo); il tasso per apertura di credito (nominale ed effettivo); il tasso per scoperto di conto (nominale ed effettivo); la percentuale della commissione trimestrale su massimo scoperto; le valute per operazioni di versamento e prelievo; nonché le commissioni e spese.
Quanto al “Tasso primario SBF” e al “Tasso primario FIDO FATT.” è precisato: “da concordare in sede di richiesta”.
Il tasso per scoperto di conto non viene in considerazione, dal momento che – in assenza di documentazione inerente l’entità del fido concesso – l’utilizzo dei fondi della banca è tutto da considerare entro la soglia massima del fido “di fatto” (v. quanto argomentato al punto “a”) e dunque improduttivo di interessi extra fido.
Quanto al tasso per apertura di credito, secondo il C.T.U., non essendo documentata un’apertura di credito in senso tecnico, la pattuizione del relativo tasso è invalida.
Quanto al tasso “s.b.f.” non è provato che sia mai stato concordato dopo l’apertura del conto, ed è chiaro che l’onere gravava sulla convenuta, considerato che dagli scalari la banca risulta avere applicato specifici tassi per operazioni di sconto salvo buon fine, la cui mancata pattuizione è stata contestata da parte attrice.
In sostanza, come anche si evince dagli estratti conto e scalari prodotti, la correntista ha sempre operato sul conto non con provvista propria, ma prendendo a prestito dalla banca mediante utilizzo del fido o sconto di carta commerciale.
Per nessuna di dette forme di utilizzo del credito risulta convenuto il relativo tasso di interesse.
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Tale mancanza, contraria all’art. 117, comma 4, T.U.B., comporta l’applicazione del tasso sostitutivo di cui al successivo comma 7. Il C.T.U. ha pertanto ricalcolato gli interessi passivi, effettuando separatamente il conteggio “… nei due casi, ordinario e sbf (in considerazione del fatto che negli scalari depositati agli atti sono presenti numeri debitori SBF si è proceduto a distinguere le liquidazioni di competenze):
1 - somma in eccesso conto ordinario euro 31.802 (questa rielaborazione considera come non pattuito il tasso convenzionale dalla data di apertura del conto alla data del 31/1/2007)
2 - somma in eccesso conto sbf euro 34.960 (questa rielaborazione considera come non pattuito il tasso SBF dalla data di apertura del conto alla data del 31/1/2007)”.
Gli importi ricalcolati dal C.T.U. non sono stati contestati sotto il profilo strettamente matematico.
La C.T.P. della banca ha tuttavia contestato che vi fossero gli elementi per l’applicazione del tasso sostitutivo, e ciò sul presupposto che il C.T.U. ha ritenuto non validamente pattuito il tasso intra fido. In realtà, come si rileva dall’esame del testo contrattuale, non è stato pattuito un tasso per l’utilizzo del fido, ma il tasso da utilizzare in caso di apertura di credito. Il tecnico d’ufficio ha correttamente (e quindi condivisibilmente) replicato:
“L’indicazione avanzata dal consulente di parte muove dalla considerazione che il prospetto delle condizioni economiche allegato al contratto di conto corrente (parte integrante del contratto) è da considerarsi valido anche per le condizioni economiche che dovrebbero regolare l’apertura di credito.
Non appare condivisibile, da parte dello scrivente, quanto osservato dal CTP per un principio di trasparenza bancaria; normativamente è infatti imposto agli istituti di Credito di non assimilare due figure contrattuali ontologicamente differenti. In pratica il contratto di conto corrente è atto a svolgere un servizio di cassa in favore del cliente: condizione per l'esecuzione degli ordini di pagamento impartiti dal cliente è infatti la presenza della necessaria provvista.
Tutt'altra causa sottende invece al contratto, seppur collegato al conto corrente, di affidamento bancario, contratto con cui la Banca concede al cliente in varie forme credito, tra cui appunto l'apertura di credito in conto corrente. In tale seconda figura contrattuale, quella dell'affidamento mediante apertura di credito, il correntista non opera con denaro proprio ma con danaro messo a disposizione dell'Istituto di Credito a patti e condizioni che devono essere necessariamente convenute per iscritto come previsto sia dalle norme generali sia dalle norme speciali del TUB”.
Poiché non è stato prodotto il contratto di apertura di credito, il C.T.U. ha effettuato la riliquidazione delle competenze ai tassi sostitutivi B.O.T..
c) Le commissioni di massimo scoperto
Nel “prospetto delle condizioni economiche in vigore al 19.9.2000” sottoscritto dalla correntista e allegato alla lettera di apertura del rapporto prodotta dalla convenuta (v. doc. n. 3) è prevista nella sezione “tassi di interesse” una “Commissione trimestrale su massimo scoperto” pari allo 0,25%.
Nella “lettera di comunicazione di concessione affidamento” del 31.1.2017 (v. doc. n. 5 dell’attore) è pattuita una “commissione di massimo scoperto” dello 0,375% e una “commissione di massimo scoperto per utilizzi oltre i limiti di fido” dell’1%.
Benché pattuita, la commissione di massimo scoperto è comunque illegittima.
Mentre è pacifico che la c.m.s. è valida per il prosieguo di rapporti già incardinati, ove non in contrasto con il comma 1, dell'art. 0 xxx xxx X.X. x. 000/0000 (xxx degli artt. 27, comma 2, e 27 bis del D.L. n. 1/2012, e in seguito dell'art. 5, comma 4, del D.M. n. 644/2012), nessuna di queste disposizioni (riguardanti non contratti nuovi, bensì in corso) ha tuttavia mai statuito che l'eventuale adeguamento avrebbe reso valida la c.m.s. già applicata nel passato; perciò non è affatto implicito
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Sentenza n. 585/2018 pubbl. il 22/10/2018
RG n. 2570/2015
che la commissione precedentemente pattuita sia da ritenere valida. D'altra parte, prima del 2008, tale commissione non è mai stata disciplinata legislativamente, per cui non se ne può dedurre in modo automatico la legittimità, che va scrutinata caso per caso.
Di fatto, i contratti in essere nei quali era pattuita la c.m.s. nulla precisavano in merito ai criteri di calcolo di tale onere e in definitiva circa la sua ragione giustificativa. E non va dimenticato che le
N.U.B. (sulle quali venivano redatti i modelli dei contratti) si limitavano, all'art. 7, comma 3, a stabilire: “le operazioni di accredito e di addebito vengono regolate secondo i criteri concordati con il correntista o usualmente pubblicate dalle banche sulla piazza con le valute indicate nei documenti contabili o comunque negli estratti conto. Secondo gli stessi criteri sono applicate e rese note le commissioni sul massimo scoperto e le spese di tenuta conto”. In seguito, l'impostazione delle N.U.B. con riguardo alle condizioni economiche del contratto è mutata per effetto della circolare 3.2.1995 dell'A.B.I., che - tra l'altro - nell'intestazione della proposta per il cliente ha previsto uno spazio per l'indicazione della c.m.s.; tuttavia è sempre stata omessa ogni indicazione idonea a precisare in qualche modo il significato da attribuire al termine, dando per scontata l'esistenza di tale onere come dato pregiuridico e la sua conoscenza da parte della clientela. In questo contesto si è sviluppata la giurisprudenza che, con varie argomentazioni, si è pronunciare sulla validità o meno della c.m.s.
La Suprema Corte ha evidenziato la potenziale ambivalenza della commissione di massimo scoperto in quanto, per un verso, essa si atteggia ad accessorio che si aggiunge agli interessi passivi (come potrebbe inferirsi dal fatto che nella prassi bancaria viene conteggiata in misura percentuale sull’esposizione debitoria massima raggiunta e quindi sulle somme effettivamente utilizzate nel periodo considerato) e, per altro verso, a commissione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo (cfr. Cass. n. 11772/2002). In sintesi, la c.m.s. può avere una natura assimilabile a quella degli interessi passivi, oppure costituire un corrispettivo autonomo rispetto ad essi.
La Corte di Cassazione in un altro intervento sulla questione, ha ritenuto che la c.m.s. ha la funzione di “remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma” e, quindi, sembra averne definitivamente avallato la validità sotto il profilo causale (cfr. Cass. n. 870/2006 parte motiva), purché sia accertato che detta commissione (non meglio precisata in contratto) abbia in concreto, nel criterio adottato dalla banca per il suo calcolo, funzione di provvigione sull’accordato o sull’accordato al netto dell’utilizzato (secondo l'accezione data dalla Banca D'Italia, la c.m.s. costituirebbe il corrispettivo per una prestazione effettuata dalla banca erogatrice del credito, consistente nel tenere a disposizione del cliente una certa giacenza liquida per potergli permettere in qualsiasi momento l'intero utilizzo del fido; questo impegno si tradurrebbe in maggiori costi della gestione di tesoreria). Diversamente – qualora invece avesse natura di commissione determinata sull’ammontare massimo dell’utilizzato o sulla misura massima dello sconfinamento – non sarebbe giustificata sotto l'aspetto causale.
Nella specie si è verificata quest'ultima evenienza, come accertato dal C.T.U. (v. pag. 35), il quale ha evidenziato che “Prima dell'entrata in vigore del Dl 185/08, all'interno del nostro ordinamento giuridico non esisteva alcuna norma atta a fornire a banche e clienti una regolamentazione della Cms, che veniva applicata facendo riferimento agli usi” e che l’unica definizione giuridica si deve a Cass. n. 870/2006, sopra citata.
Non si ignora che in materia si è recentemente pronunciata la Suprema Corte con le sentenze n. 12965/2016 e n. 22270/2016, che apparentemente hanno avallato la c.m.s. pattuita anteriormente alla legge n. 2/2009. In realtà nella prima pronuncia, a prescindere dall’ampio excursus sulle varie
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Sentenza n. 585/2018 pubbl. il 22/10/2018
RG n. 2570/2015
opinioni che nel corso del tempo sono state sviluppate sulla commissione di massimo scoperto, non viene presa una diretta posizione sulla validità o invalidità di tale onere a seconda del suo atteggiarsi concreto nel singolo caso e infatti si precisa che “La questione, rilevante nella fattispecie e da esaminare … è quindi se la “storica CMS”, per come visto applicata dagli istituti di credito prima dell’entrata in vigore della legge n. 2 del 2009, debba essere presa in esame quale base di calcolo del tasso usurario per i rapporti in corso fino al termine del periodo transitorio, fissato - per effetto delle Istruzioni diramate dalla Banca d’Italia – al 31 dicembre 2009”. Entrambe le Cassazioni citate (la seconda delle quali si è soffermata altresì sulla questione della disomogeneità dei dati raffrontati, ove si includesse la c.m.s. nel calcolo del teg per il periodo anteriore al 2010), hanno esaminato la problematica onde stabilire se la legge n. 2/2009 sia o non sia norma di interpretazione autentica e ciò al solo fine di prendere posizione (una posizione peraltro diversa da quella sostenuta dalla sezione penale) sulla dibattuta questione del coordinamento tra la definizione contenuta nella norma penale, cioè l’art. 644 c.p., e le disomogeneità (vere o presunte tali) create dalle Istruzioni della Banca d’Italia ante 2009. Le argomentazioni contenute in dette sentenze non convincono dunque questo giudice circa la validità causale della commissione di massimo scoperto così come convenuta tra Cremonesi X.xxx s.r.l. e la banca. D’altra parte, anche le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 16303/2018, hanno preso posizione soltanto in merito all’inclusione o meno delle c.m.s. nel T.E.G. al fine della verifica circa il superamento della soglia di usura, senza pronunciarsi circa la natura e la validità di tale commissione anteriormente al D.L. n. 185/2008.
Di conseguenza, nel ricalcolo del dare-avere dovranno essere espunti gli importi delle commissioni di massimo scoperto.
Peraltro i conteggi del C.T.U. si arrestano al 31.12.2006, sebbene la natura della c.m.s. come indicata nella “lettera di comunicazione di concessione affidamento” del 31.1.2017 non sia diversa da quella di cui al contratto originario, tanto più che non si comprende quale differenza sussista in concreto tra la “commissione di massimo scoperto” e la “commissione di massimo scoperto per utilizzi oltre i limiti di fido”, visto che lo scoperto per definizione è l’utilizzo oltre il limite del fido. Inoltre il C.T.U. ha omesso di accertare l’eventuale adeguamento della banca alle disposizioni del
D.L. n. 185/2008 (e successive norme), o – meglio – ha omesso di considerare che la convenuta non ha prodotto documentazione a riprova dell’adeguamento mediante comunicazione ex art. 118 T.U.B.
Di fatto il C.T.U. avrebbe dovuto conteggiare l’ammontare delle c.m.s. per tutta la durata del rapporto, anziché limitarsi al periodo fino al 31.12.2006.
Parte attrice, peraltro, non ha formulato contestazioni sull’operato del C.T.U., implicitamente condividendo l’espunzione delle c.m.s. per il solo periodo anteriore alla comunicazione di concessione dell’affidamento, ragion per cui dette commissioni sono da ritenere non dovute nella misura di complessivi euro 10.650,05.
d) Le spese
Nel quesito era stato chiesto al C.T.U. di espungere anche le commissioni e spese non disciplinate nella lettera di apertura del conto corrente.
Nella tabella che inizia a pagina 9 della perizia, il C.T.U. ha indicato tutti gli oneri addebitati dalla convenuta ed evidenziato nelle celle gialle quelli effettivamente pattuiti, segnalando comunque “che nel periodo esaminato alcuni scalari non sono completi delle informazioni necessarie al fine di un completo esame e pertanto non sono state considerate le riliquidazioni del periodo”.
Il C.T.U. ha calcolato che la banca ha applicato oneri (ossia commissioni e spese) non pattuiti per complessivi euro 5.332,56.
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La C.T.P. della convenuta ha obiettato che tutte le spese fossero da considerare pattuite, considerato che “nel Prospetto delle condizioni economiche che costituisce parte integrante al contratto esiste una categoria residuale ben identificata nominata “tutte le altre Spese” e il Cliente ha espressamente attribuito alla Banca la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni economiche”, da cui la conclusione che “il costo di tutte le spese connesse all’utilizzo del conto è stato validamente pattuito così come la possibilità di variarlo, conformemente a quanto previsto dall’art. 118 T.U.B.”.
Tale argomento è infondato, posto che l’espressione “tutte le altre Spese” è talmente generica da essere indeterminata, il che si ripercuote anche sull’esercizio dello jus variandi: infatti non può essere oggetto di modifica contrattuale una spesa che non sia stata predeterminata, dunque non sia individuabile; in tal caso – essendo preclusa la verifica che si tratti del medesimo onere – non potrebbe dirsi che si tratti di variazione di quanto già pattuito, piuttosto che di inserimento (senza accordo) di una nuova posta.
Ciò a prescindere dal fatto che la convenuta non ha prodotto alcuna comunicazione ex art. 118 T.U.B., sicché l’accertamento è concretamente impossibile.
e) L’usura
Il C.T.U. ha accertato se nel corso del rapporto di conto corrente la banca abbia applicato interessi usurari, mediante utilizzo di due formule diverse: quella della Banca d’Italia e quella c.d. del “costo del credito”.
Nel primo caso ha riscontrato che non vi è mai stato superamento della soglia di usura; nel secondo caso il superamento si è verificato in quattro trimestri (in realtà tre, poiché il tasso indicato per il trimestre 31.3.2006 è inferiore alla soglia – v. pag. 46).
Di fatto, la discussione in merito a quale delle due formule sia più rispondente alla prescrizione dell’art. 644 c.p., si è affievolita alla luce della sentenza n. 16303/2018, con la quale la Cassazione a Sezioni Unite – sebbene con riferimento alla rilevanza delle c.m.s. ai fini del calcolo del T.E.G. – ha sottolineato che la “esigenza di omogeneità, o simmetria, è indubbiamente avvertita dalla legge”.
La formula che privilegia il “costo del credito” – sebbene sia la sola ad avere una fondatezza matematica (come spiega il C.T.U.) e sia quella che individua la grandezza che per legge (l’art. 644 c.p.) va confrontata con la soglia di usura – dovrebbe quindi soccombere di fronte alla necessità che nella rilevazione dei tassi usurari siano utilizzati dati tra loro effettivamente comparabili. Ciò sul presupposto che dovrebbe attendersi simmetria tra la metodologia di calcolo dello specifico TEG contrattuale (calcolato dalle banche secondo le Istruzioni della B.D.I.) e quella di calcolo del TEGM (trimestralmente fissato dal Ministero dell'Economia sulla base delle rilevazioni della B.D.I., a loro volta effettuate sulla scorta delle metodologie indicate nelle menzionate Istruzioni seguite dalle banche).
In sostanza, il C.T.U. ha evidenziato che, se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo, il dato che se ne ricava non può che essere viziato.
Peraltro, è da considerare che secondo la sentenza testé citata, ai fini del rispetto dell’art. 644 c.p., vanno considerati tutti gli oneri menzionati sia dal comma 4 di detta norma (determinazione del tasso praticato in concreto) sia dall’art. 2, comma 1, legge n. 108/1996 (determinazione del TEGM), ragion per cui la questione in oggetto parrebbe non doversi considerare superata tout court.
In realtà, al di là della problematica della comparabilità, che non sembra dover prevalere al fine del rispetto del dato normativo (in effetti, la sentenza delle S.U. è motivata in modo tale da raggiungere il risultato di evidenziare la necessità del rispetto della norma primaria, ma al tempo stesso di far salva la legittimità dei D.M., che hanno recepito una formula basata su Istruzioni non aderenti alla
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norma primaria), il C.T.U. ha anche osservato che “in ipotesi di trimestre totalmente a credito, senza la generazione di alcun numero debitore, la formula presentata dalla BDI permette di ottenere un risultato che non è indeterminato (situazione che si realizzerebbe nell’ipotesi della formula finanziaria pura)”.
Nella specie, tuttavia, non vi sono mai stati trimestri a credito, come si desume dagli e/c e scalari prodotti, sicché il problema dell’eventuale indeterminatezza del risultato non sussiste.
In ogni caso, la questione riguarda la tematica dell’usura sopravvenuta, posto che – quale delle due formule si utilizzi – vengono presi in considerazione, oltre agli interessi, anche “oneri” (commissioni, spese, etc.) e “numeri debitori”. Ciò significa che l’accertamento si sposta in avanti nel tempo, in un momento successivo alla pattuizione, poiché non vi è calcolo di oneri e conteggio di numeri debitori se non trimestralmente, quando il rapporto è ormai in essere.
Allo stato, però, la questione deve ritenersi superata alla luce dell’orientamento assunto dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con riguardo all’usura sopravvenuta.
Infatti, nella recente sentenza n. 24675/2017, la Cassazione a S.U. (che si è pronunciata su un caso di mutuo, ma il cui ragionamento potrebbe essere esteso al conto corrente), dopo avere preso in considerazione i due diversi orientamenti seguiti dalle sezioni semplici, ha espresso il principio di diritto secondo cui: “Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.
La Suprema Corte ha ritenuto priva di fondamento la tesi dell’illiceità della pretesa del pagamento di interessi a un tasso che superi la soglia di usura al momento della maturazione o del pagamento degli interessi, poiché il divieto di usura è contenuto nell’art. 644 c.p.; per cui sarebbe “impossibile operare la qualificazione di un tasso come usurario senza fare applicazione dell’art. 644 cod. pen.;
«ai fini dell’applicazione» del quale, però, non può farsi a meno – perché così impone la norma di interpretazione autentica – di considerare il «momento in cui gli interessi sono convenuti, indipendentemente dal loro pagamento»”.
Anche volendo applicare la formula del “costo del credito”, quindi, dovrebbe concludersi, in ossequio a quanto deciso con la sentenza sopra citata, che l’applicazione di interessi usurari nel corso del rapporto da parte della banca non è illegittima e quindi non dà luogo a conseguenze restitutorie.
Peraltro il C.T.U. non si è espresso in merito all’usura originaria, ossia al superamento o meno della soglia da parte del T.A.N.
Il Xxxxx Xxxxx Nominale indica il tasso d'interesse passivo (ossia il prezzo), in percentuale e su base annua pattuito a fronte dell’utilizzo da parte del cliente di somme messe a disposizione dalla banca (o su conto corrente o mediante finanziamento) e corrisponde al tasso di interesse semplice. Il
T.A.N. non esprime il tasso effettivo laddove, come nella specie (e in generale), la liquidazione degli interessi avvenga più di una volta l’anno in virtù della capitalizzazione. Il Xxxxx Xxxxx Xxxxxxxxx è il tasso di interesse annuo, equivalente al “Tasso Periodale” di periodo “n”, capitalizzato “n” volte all’anno. Il T.A.E. è normalmente maggiore del Tasso Annuo, poiché risente dell’effetto
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di capitalizzazione degli interessi; coincide invece con il T.A.N. soltanto nel caso in cui “n” sia uguale a zero o a uno, cioè nell’ipotesi in cui la capitalizzazione non intervenga nel corso dell’anno (assenza di capitalizzazione o capitalizzazione annuale). Nella specie le parti hanno invece convenuto la capitalizzazione trimestrale degli interessi, per cui su base annua il tasso di interesse applicato concretamente al rapporto durante la sua esecuzione è superiore al T.A.N. e corrisponde al T.A.E.
Di fatto, il tasso pattuito è il T.A.N. ed è questo che viene applicato al momento delle liquidazioni trimestrali; mentre il T.A.E. ingloba il costo derivante dalle capitalizzazioni periodiche, che si produce in corso di rapporto per effetto delle liquidazioni trimestrali. Ne consegue che soltanto il
T.A.N. rileva ai fini della verifica dell’usura originaria, mentre il T.A.E. (al pari delle c.m.s.) impatta a livello di usura sopravvenuta.
Nella specie, sono stati pattuiti:
- il tasso per apertura di credito (nominale 9,25%; effettivo 9,57583%);
- il tasso per scoperto di conto (nominale 11,75%; effettivo 12,27795%).
Secondo le Istruzioni della Banca d’Italia, entrambi rientrano nella “Cat. 1. Aperture di credito in conto corrente - Rientrano in tale categoria di rilevazione le operazioni regolate in conto corrente in base alle quali l’intermediario, ai sensi dell’art. 1842 e ss. del c.c., si obbliga a tenere a disposizione del cliente una somma di denaro per un dato periodo di tempo ovvero a tempo indeterminato e il cliente ha facoltà di ripristinare le disponibilità. Xxxxx inseriti in tale categoria anche i passaggi a debito di conti non affidati nonché gli sconfinamenti sui conti correnti affidati rispetto al fido accordato ...”.
Per tale categoria il tasso soglia del trimestre anteriore alla stipula del contratto (19.9.2000) era pari al 14,295%.
Non vi è dunque usura originaria.
f) Il saldo ricalcolato
In data 26.8.2015 il saldo passivo del conto corrente è stato azzerato mediante versamento della somma di euro 888,11 in contanti (v. doc. n. 21 dell’attore).
Il rapporto è quindi stato chiuso a saldo “zero”, mentre dalle rielaborazioni eseguite dal C.T.U. risulta che il saldo avrebbe dovuto essere in attivo di euro 82.744,61, stante l’addebito da parte della banca di competenze non dovute, come risulta dal pedissequo conteggio riepilogativo:
- interessi in eccesso su operazioni di conto ordinario al 31.1.2007 euro 31.802,00
- interessi in eccesso su operazioni di conto s.b.f. al 31.1.2007 euro 34.960,00
- commissioni di massimo scoperto euro 10.650,05
- commissioni e spese euro 5.332,56
e così in totale euro 82.744,61
Il Fallimento Cremonesi F.lli s.r.l. ha pertanto diritto alla ripetizione ex art. 2033 x.x. xxxxx xxxxx xxxxxxxx xx xxxx 00.000,00, xxxxxxxxxxx quale effettivo saldo al 26.8.2015 del rapporto di conto corrente n. 81208.
g) Gli interessi
Quanto agli interessi, l'art. 2033 c.c. prevede che, oltre al capitale, il soggetto che ha eseguito un pagamento non dovuto, ha diritto anche ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda.
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Per giurisprudenza pacifica, in tema di indebito oggettivo, la buona fede della parte che ha ricevuto il pagamento non dovuto è presunta per principio generale, sicché grava sul soggetto che ha effettuato il pagamento non dovuto l'onere di dimostrare la malafede dell’accipiens all'atto della ricezione della somma non dovuta (cfr. Cass. n. 10815/2013), posto che ai sensi dell'art. 2033 c.c. rileva la nozione in senso soggettivo di buona fede, datane dall'art. 1147 comma 1, c.c. (cfr. Cass. n. 9865/1995, Cass. n. 8587/2004, Cass. n. 12211/2007, Cass. n. 5419/1996).
Sul punto parte attrice non ha fornito elementi di prova, sicché non è possibile qualificare di mala fede il comportamento della convenuta.
Gli interessi sulle somme che la banca dovrà restituire al Fallimento dovranno quindi essere computati a decorrere dalla data della domanda giudiziale, ossia dall’8.9.2015.
2- Il contratto di mutuo fondiario
a) Il rapporto contrattuale per cui è causa
Il mutuo è stato stipulato in data 24.10.2000 per una somma capitale di Lit. 850.000.000 da restituirsi in n. 156 rate mensili posticipate, al tasso che, al momento del contratto, era pari al 7,55% in ragione d’anno.
È stato pattuito un tasso di mora nella misura del tasso contrattuale corrente maggiorato di tre punti percentuali, pari quindi al 10,55%.
Per il caso di estinzione anticipata da parte della mutuataria (condizionata al decorso di 18 mesi) è stata convenuta una commissione dell’1%, calcolata sul capitale residuo.
Nella specie le rate in ammortamento sono state regolarmente pagate (v. doc. n. 16 attoreo), sicché non si è verificata l’applicazione di interessi di mora.
Il mutuo è stato estinto anticipatamente in data 13.12.2006, con riscossione da parte della banca di un “compenso per estinzione anticipata” di euro 2.725,89 (v. doc. n. 9 attoreo).
b) L’usura – interessi corrispettivi e compenso per l’estinzione anticipata
Parte attrice ha sostenuto che il contratto di mutuo è usurario ab origine in quanto il tasso di mora è superiore alla soglia di usura e comunque la commissione il compenso per l’estinzione anticipata ha impattato sul tasso corrispettivo, aumentandolo oltre la soglia di usura.
Al fine del superamento del tasso soglia, la tesi degli attori comporta quindi la valutazione dell’incidenza dell’interesse di mora e della commissione/compenso per l’estinzione anticipata, posto che il C.T.U. ha chiaramente accertato che il T.E.G. (ipotizzando che le somme a rimborso siano rimaste costanti, con indicizzazione fissa al tempo zero) risultante dall’applicazione della formula del T.I.R. (tasso di rendimento interno), espressa nel DM 8.7.1992 e recepita nelle Istruzioni della Banca d'Italia, è pari al 7,8455% e dunque è inferiore al tasso soglia, pari al 9,945%.
Occorre perciò previamente risolvere la questione se la normativa speciale in tema di usura riguarda soltanto gli interessi corrispettivi o anche quelli moratori.
Al riguardo si sono formati tre orientamenti: quello che nega la rilevanza della mora; quello secondo cui gli interessi moratori non sono soggetti al rispetto delle soglie di usura in quanto hanno natura di clausola penale e possono essere ridotti dal giudice ex art 1384 c.c. ove sproporzionati al danno; quello che è favorevole a considerare entrambi i tipi di interesse.
Nella specie, non rileva soffermarsi né sul primo orientamento (che sta progressivamente riducendosi, alla luce della presa di posizione della giurisprudenza di legittimità), né sul secondo (stante la mancata applicazione di interessi di mora).
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Il C.T.U., cui era stato chiesto di accertare la presenza di usura nel caso “patologico”, si è limitato a segnalare che il tasso di mora è stato pattuito fin dall’origine in misura usuraria.
La questione che si pone è quella di decidere se un contratto debba soggiacere alle conseguenze previste in caso di interessi usurari, anche nel caso in cui la clausola – recante fin dalla stipula un tasso superiore alla soglia – non si sia attivata, stante il mancato verificarsi della situazione che avrebbe fatto scattare l’applicazione in concreto della pattuizione usuraria.
È pacifico che, se il debitore ritarda nell’adempimento, il creditore può risolvere il contratto, impedendo che ulteriori rate vengano a scadere, amplino la base di calcolo della mora e facciano aumentare il T.I.R..
La scelta di eseguire tempestivamente al tasso corrispettivo o di ritardare l’esecuzione onerandosi della mora, esiste per ciascuna delle rate di rimborso, di tal che si apre una serie ragguardevole di scenari diversi, ciascuno con un distinto tasso di rendimento dell’operazione, in funzione del mutevole svolgimento del rapporto.
Di fronte alle potenzialità aperte dalla rilevanza usuraria dell’interesse moratorio, e in genere degli oneri eventuali, come – nella specie – la penale di estinzione anticipata, occorre quindi prendere posizione su quali siano le condizioni di rilevanza di questi oneri eventuali.
Secondo l’orientamento che riconosce valore alla verifica “potenziale” dell’usura, l’apparato sanzionatorio penale si attiva anche di fronte a scenari di superamento del tasso soglia semplicemente possibili, perché subordinati al realizzarsi di “condizioni” ancora non verificatesi né certe.
Tuttavia, l’incontestata sufficienza della “promessa” ai fini del perfezionamento del reato di usura non offre argomenti decisivi, per affermare che l’interesse moratorio e ogni altro onere eventuale siano rilevanti ancorché meramente potenziali.
Ritiene infatti questo giudice che, per darsi equiparazione tra interesse corrispettivo e onere eventuale ai fini della verifica di usurarietà dell’operazione creditizia, occorra che il secondo partecipi delle caratteristiche del primo e quindi che sia giuridicamente dovuto, per essersi realizzate le condizioni contrattuali cui ne era subordinata l’applicabilità (ritardo nel pagamento della rata, estinzione anticipata in conseguenza di recesso, etc.), e che abbia un impatto effettivo sul costo del credito.
Sul punto, in dottrina è stato osservato che, se è vero che il D.L. n. 394/2000 “indica che gli interessi moratori contano nel calcolo usurario, esso non dice tuttavia che questi debbano essere considerati nello stesso identico modo di quelli compensativi; che cioè la rilevanza degli interessi da risarcimento prescinda dall’essersi verificato il medio logico che è pur necessario per la loro effettiva applicazione (mentre i compensativi corrono, per contro, proprio in ragione dell’avvenuta consegna del denaro ex art. 821 c.c.)”.
Le pronunce della S.C. n. 23192/2017 e n. 5598/2017 citate da parte attrice, non rilevano nella specie, poiché si limitano ad affermare la rilevanza dell’usurarietà degli interessi di mora, senza precisare che, in difetto di inadempimento (e dunque di applicazione di interessi moratori), diventano illeciti e non dovuti anche gli interessi corrispettivi.
Pertanto, l’interesse moratorio e – per limitarsi al caso di specie – il compenso per l’estinzione anticipata, entrano nel calcolo del T.E.G. solo se si sia verificato ritardo nel pagamento della rata o, effettivamente, l’anticipata estinzione del rapporto (con la conseguente applicazione dell’onere pattuito). Quindi sono irrilevanti, ai fini della verifica dell’usurarietà, le voci di costo, bensì collegate all’erogazione del credito, ma meramente potenziali, perché non dovute per effetto della
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Sentenza n. 585/2018 pubbl. il 22/10/2018
RG n. 2570/2015
mera conclusione del contratto, e subordinate al verificarsi di eventi futuri, ancora possibili ma concretamente non verificatisi (ad es. l’interesse di mora è potenzialmente usurario, ma inapplicabile perché il debitore non ha mai ritardato), oppure del tutto irreali, perché non dovute per effetto della mera conclusione del contratto, ma subordinate ad eventi che di fatto non si sono verificati, né potranno in seguito verificarsi (ad es. la penale di estinzione anticipata potrebbe comportare usura, ma il cliente non è receduto, o la penale non è stata applicata perché il contratto è stato risolto dalla banca).
Conformemente all’orientamento secondo cui rileva la “effettività”, cui il sottoscritto G.O.P. ritiene di aderire, la verifica del T.E.G. va compiuta con riferimento allo scenario corrispondente al programma negoziale fissato nel contratto, ossia alle condizioni concretamente applicate con riguardo all’effettivo svolgimento del rapporto.
Da ciò discende, quanto alla mora, che soltanto in caso di inadempimento contrattuale debbano essere tenuti in considerazione tutti gli oneri pattuiti ed applicati per il verificarsi di tale ipotesi. Nella specie, invece, non vi è stato alcun inadempimento, sicché tutte le clausole contrattuali previste per il caso di deviazione patologica non sono state applicate, posto che il rapporto si è mantenuto in condizione fisiologica.
Viceversa, quanto alla commissione per l’estinzione anticipata (definita “compenso” nel conteggio della somma dovuta dalla mutuataria – doc. n. 9 di parte attrice); tale onere, infatti, originariamente convenuto, è poi stato anche corrisposto, stante il verificarsi in data 13.12.2006 della condizione sottostante (v. doc. n. 21 attoreo).
Dall’analisi effettuata, il C.T.U. ha accertato che, nel caso di estinzione anticipata del mutuo concretamente verificatasi, il tasso effettivo ricercato, che rende l’equivalenza finanziaria, è pari al 29,68% e quindi è usurario, poiché superiore alla soglia, pari al 7,155% (v. pag. 81 della CTU).
In applicazione del secondo comma dell’art. 1815 c.c., non sono dovuti interessi, per cui la banca dovrà restituire al Fallimento Cremonesi F.lli s.r.l. gli interessi pagati dalla società in bonis, pari a complessivi euro 125.887,72, come risulta dalle quietanze di pagamento di tutte le rate (v. doc. n. 16 attoreo), oltre che dalla lettere/quietanza di estinzione anticipata (v. doc. 9 attoreo).
Per quanto riguarda gli interessi, vale quanto già argomentato al punto 1-g.
3- Le spese di lite
Stante la soccombenza e in virtù del principio di causalità, la convenuta dovrà pagare al procuratore dell’attore, dichiaratosi antistatario, le spese di lite, che – in applicazione del D.M. n. 55/2014 e tenuto conto del valore riconosciuto all’attore (rientrante nello scaglione da euro 52.000,00 ad euro 260.000,00 – vengono liquidate in complessivi euro 12.191,00, di cui euro 786,00 per spese ed euro 11.405,00 per compensi (euro 2.430,00 per la fase di studio, euro 1.550,00 per la fase introduttiva, euro 5.400,00 per la fase istruttoria ed euro 2.025,00 per la fase decisionale – con una riduzione del 50% per quest’ultima, stante la riduzione dell’attività in rapporto alla modalità della decisione), oltre al rimborso forfettario delle spese generali e agli accessori di legge.
P.Q.M.
Il Tribunale di Cremona, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e conclusione disattesa o assorbita:
1- condanna Banca Cremasca Credito Cooperativo soc. coop. a pagare al Fallimento Cremonesi F.lli s.r.l., per le causali di cui in motivazione, la complessiva somma di euro 82.744,61, quale saldo attivo al 26.8.2015 del rapporto di conto corrente n. 81208, oltre agli interessi legali su tale somma dall’8.9.2015 al saldo effettivo;
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Sentenza n. 585/2018 pubbl. il 22/10/2018
RG n. 2570/2015
Banca di Credito Cooperativo di p. n. 151510, racc. n. 15955, e per
2- dichiara nulle, in quanto usurarie, le clausole con le quali sono stati pattuiti gli interessi del contratto di mutuo fondiario stipulato tra Cremonesi X.xxx s.r.l. e
Crema s.c. a r.l. per rogito del notaio Biotti in data 24.10.2000, re
l’effetto condanna Banca Cremasca Credito Cooperativo soc. coop. a pagare al Fallimento Cremonesi X.xxx s.r.l., a titolo di restituzione ex art. 1815, comma 2, c.c. degli interessi indebitamente corrisposti, la complessiva somma di euro 125.887,72, oltre agli interessi legali su tale importo dall’8.9.2015 al saldo effettivo;
3- condanna Banca Cremasca Credito Cooperativo soc. coop. a pagare all’avv. Xxxxxxxxx Xxxxxxx, dichiaratosi antistatario, le spese legali della presente causa, liquidate in complessivi euro 12.191,00, oltre al rimborso forfettario e agli accessori di legge;
4- pone a carico di Banca Cremasca Credito Cooperativo soc. coop. le spese di C.T.U. Cremona, 22 ottobre 2018.
Il G.O.P.
Avv. Xxxxxx Xxxxx
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