L'APPRENDISTA NEL MERCATO DEL LAVORO
L'APPRENDISTA NEL MERCATO DEL LAVORO
INDICE
Introduzione
CAPITOLO I
LE ORIGINI DELL'ISTITUTO E LA SUA NATURA GIURIDICA
1. La bottega artigiana
2. Un lavoratore subordinato
3. La causa del contratto
4. L'evoluzione legislativa e il percorso della giurisprudenza fino alla
c.d. riforma Biagi
1. La genesi
CAPITOLO II
IL TESTO UNICO DEL 2011
2. Gli obiettivi da conseguire
3. La definizione e la disciplina generale del contratto
4. Gli altri profili del contratto
CAPITOLO III
L'ANALISI DEI TRE SOTTOTIPI CONTRATTUALI
1. L'apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale
2. L'apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere
3. L'apprendistato di alta formazione e ricerca
4. Esistono altre tipologie di apprendistato?
CAPITOLO IV L'IMPATTO OCCUPAZIONALE
1. Gli incentivi economici e normativi
2. L'incidenza nel mercato del lavoro
CAPITOLO V
DALLA PROSPETTIVA LOCALE A QUELLA EUROPEA
1. L'apprendistato in Europa
2. L'apprendistato a Carrara: la crisi dell'occupazionale giovanile
Conclusioni
Fonti principali della disciplina giuridica sull'apprendistato Bibliografia
Introduzione
Il contratto di apprendistato, da sempre collegato al mondo giovanile, è un istituto giuridico che affonda le radici nell'antichità ed ha attraversato diversi periodi storici fino ai nostri giorni, trasformandosi radicalmente.
Dal semplice e familiare rapporto all'interno della bottega artigiana, la sorte dell'apprendista si è legata sempre più alle fabbriche ed agli “esperti” lavoratori qualificati. Uno spostamento del luogo di lavoro che, in realtà, cela una modifica radicale della causa del contratto.
Interrogarsi sul futuro delle nuove generazioni è oggi improcrastinabile, vista la profonda crisi economico finanziaria che ne offusca l'avvenire.
Dietro ad un semplice numero, come può essere quello dell'ISTAT sulla disoccupazione giovanile nel mese di agosto 2013 (40,1 per cento), si nasconde la responsabilità di tutti coloro che interagendo con il mondo del lavoro, ne hanno riscritto le regole in maniera erronea oppure non le hanno adattate per i tempi a venire.
Nel nostro Paese si è persa di vista una disposizione intangibile del sistema giuridico: l'art. 4 della Costituzione, il diritto al lavoro.
Nella definizione del Testo Unico del 2011 (“l'apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e occupazione dei giovani”) sono contenuti i due principali obiettivi, occupazione e formazione, che devono ogni giorno trovare riscontro nella realtà.
Il contratto di apprendistato può diventare per i giovani il principale canale di accesso al mondo del lavoro, inoltre un uso corretto dello stesso negozio permetterebbe anche l'elevazione professionale dell'apprendista, migliorandone la competitività nel mercato del lavoro.
Il presente elaborato ripercorre, per sommi capi, l'evoluzione dell'istituto dal periodo medioevale sino al Testo Unico del 2011, mettendo in evidenza gli
interventi che, ad avviso di chi scrive, hanno modificato profondamente il contratto.
La questione della causa del contratto è analizzata ponendo a confronto le varie tesi dottrinali e considerando i diversi filoni giurisprudenziali.
La riforma del 2011 è dettagliatamente riportata e commentata, con particolare attenzione alla disamina delle tre principali tipologie di apprendistato. Molte questioni marginali sono trattate en passant.
La disciplina italiana, inoltre, sull'apprendistato è confrontata con quella di altri Paesi europei al fine di mutuarne i pregi.
La parte finale dell'elaborato è dedicata alla crisi occupazionale giovanile nella Provincia di Massa Carrara: come il contratto di apprendistato interagisce negativamente con il mercato del lavoro.
CAPITOLO I
LE ORIGINI DELL'ISTITUTO
1. La bottega artigiana
La ricerca di uno studioso del diritto, alla scoperta delle prime fonti storiche sull'istituto dell'apprendistato, inizia dal periodo greco egiziano1. Di questa età non è indispensabile occuparsi, così come non è necessario analizzare i frammenti che sono riconducibili al periodo romano, essendo la distanza con l'odierno istituto non percorribile nelle pagine di tale elaborato.
Di tale arcaica regolamentazione si sottolineano soltanto alcuni passaggi: il corrispettivo economico si aggiungeva, in alcuni casi, alla prestazione di lavoro e all'insegnamento del maestro; il rapporto assumeva una peculiare connotazione famigliare.
Si tratta di un semplice negozio giuridico o di un contratto? Questo è il dubbio che si affaccia nella mente di un giurista del ventesimo secolo2. A tale interrogativo, probabilmente ancor oggi, è difficile dare una risposta. Qualsiasi manuale di diritto del lavoro3 dedica, nelle prime pagine, qualche riga sulle origini della disciplina, richiamando proprio l'economia curtense e la realtà della bottega artigiana come fase prodromica alla nascita della società capitalistica.
I laborantes iniziavano ad affollare le botteghe artigiane nel periodo pre-
1) Sulle origini vedi tra gli altri: X. XXXXXXXX, Il lavoro dei giovani, Milano, 1981; D. NAPOLETANO, Il lavoro subordinato, Milano, 1955, p. 253 ss.
2) X. XXXXX, Il contratto di tirocinio nel nuovo codice civile, Roma, 1941;
X. XXXXX, Profili del tirocinio industriale. Diritto romano, papiri greco-egizi, Napoli, 1922.
3) vedi per tutti X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, X xx., Xxxxxx, 0000.
industriale cercando di apprendere rudimenti del mestiere e segreti dell'arte. Attorno alla figura dell'artigiano si radunavano molti apprendisti desiderosi di far proprio il bagaglio di conoscenze del proprio maestro.
Il laboratorio dell'artigiano diveniva il luogo in cui si svolgeva, per tutto il “periodo oscuro”, il rapporto d'insegnamento (e non di lavoro): l'allievo pagava la formazione erogata dal maestro il quale aveva anche una sorta di potestà famigliare sul giovane (il rapporto di comunione di vita fra maestro e giovane portava il primo ad avere sull'apprendista poteri parentali).
Il contratto si perfezionava in forma scritta e alla presenza di un notaio, nel rispetto dei limiti imposti dalle corporazioni e ordinanze.
Negli statuti delle corporazioni medioevali si rinveniva la disciplina:
- la durata del periodo di apprendistato, differente a seconda delle difficoltà dell'attività professionale da svolgere;
- gli obblighi del maestro e dell'allievo;
- le associazioni di apprendisti (le quali si potevano costituire solo in alcuni casi)4.
Gli obblighi delle due parti si delineavano e arricchivano con il passare del tempo.
Da un lato l'apprendista si obbligava a pagare l'insegnamento del maestro, a vivere e lavorare alle complete dipendenze di quest'ultimo, a non deporvi contro in giudizio.
Dall'altro lato il maestro si obbligava all'insegnamento, ad alloggiare, nutrire ed educare l'allievo, a rispettare l'età minima e massima dettata dagli statuti ed infine a valutare l'attività prestata dal giovane.
Alcune disposizioni degli statuti delle corporazioni obbligavano il maestro a corrispondere un salario all'apprendista.
4) X. XXXXXXXXXX, Disegno storico del tirocinio in Italia, in Dir. lav. 1957, I, p. 251 ss.
Visto che tale obbligo sorgeva nell'ipotesi in cui l'apprendista avesse contratto matrimonio ed avesse esonerato, così, il maestro dall'obbligo di vitto, la dottrina5, non reputava tale corresponsione di denaro alla stregua di una prestazione retributiva ma come una sorta di conversione in corrispettivo dell'obbligo di nutrimento.
La retta veniva pagata dai famigliari dell'apprendista quale corrispettivo per l'insegnamento impartito, il vitto e alloggio, gli strumenti di lavoro, le materie prime (fornite per l'apprendistato stesso).
Nell'ipotesi in cui non fosse stato possibile corrispondere l'intera retta, il pagamento poteva configurarsi come prestazione di servizi, anche domestici, a favore del maestro (prestazione in natura).
La titolarità di una bottega poteva essere conseguita solo dopo un lungo apprendistato ed il superamento delle prove di abilità: il cosiddetto capolavoro.
I test finali si svolgevano di fronte ai membri delle corporazioni, pratica del tutto scomparsa ai giorni nostri visto che nessuna legge (o contratto collettivo) prevede il superamento positivo della prova.
L'artigiano, in quanto iscritto alla corporazione, era titolare del diritto di esercitare il mestiere mentre l'apprendista grazie allo studio teorico e all'esercizio pratico nell'arte o professione, aspirava a diventare il nuovo maestro.
In conclusione le nuove leve, forgiate dopo anni di apprendimento, maturano il legittimo desiderio a subentrare agli artigiani permettendo così un ricambio generazionale senza danni per l'integrità del mestiere o arte.
Preso atto di tali caratteristiche del rapporto, si può escludere la presenza della normale soggezione dell'apprendista ai poteri direttivi del datore di
5) X. XXXXX, ult. op. cit.
lavoro.
Ad un primo confronto con la disciplina del moderno rapporto di lavoro emerge come la funzione precipua del contratto sia di far acquisire all'apprendista, mediante l'addestramento sul posto di lavoro, un mestiere e fargli conseguire una qualifica professionale spendibile di fronte alla corporazione.
Nella sostanza delle cose l'apprendistato dell'epoca è un periodo di preparazione all'esercizio di un'arte o professione che oggi rimane in vita nella figura del praticantato: quest'ultima relazione non è configurabile come rapporto di lavoro subordinato ma può essere etichettato come un rapporto di mera cortesia, gratuito.
Le modalità di svolgimento lo configurano come una sorta di contratto di lavoro autonomo. Il rapporto è fortemente sbilanciato in conseguenza della eccessiva rilevanza dell'insegnamento impartito dal maestro rispetto all'attività di lavoro prestata dall'allievo.
Il contratto di apprendistato del periodo medioevale si riconduce alla locatio operis: il lavoro è l'oggetto della locazione quindi le energie dell'uomo devono conseguire un risultato tangibile che concretizzi in un'opera.
Conclusa l'esperienza delle corporazioni, che hanno caratterizzato l'Europa fino alla prima metà dell'Ottocento, la vita del contratto di
6) X. XXX, Apprendistato (Voce), in Digesto, disc. priv., - sez. comm., vol. I, Torino, 1987.
apprendistato avrebbe dovuto ineluttabilmente cessare con queste ultime. In realtà di apprendisti si continua a parlare ancor oggi, ed il loro orizzonte si è esteso oltre la piccola bottega artigiana. Il contratto di apprendistato, che si modifica profondamente con il passare degli anni, diviene parte integrante del sistema industriale nascente.
2. Un lavoratore subordinato
Il contratto di apprendistato con il trascorrere del tempo assume la fisionomia di un contratto di lavoro subordinato, la c.d. locatio operarum: il lavoratore si obbliga temporaneamente a prestare un'attività lavorativa, che non deve necessariamente concretizzarsi in un'opera, dietro il corrispettivo di una mercede.
La rivoluzione industriale, causa di tale mutamento dell'istituto, trasforma in tal guisa l'apprendista in un lavatore subordinato che, attraverso la prestazione lavorativa contro il corrispettivo, consegue anche la formazione professionale.
La formula “formarsi lavorando” sintetizza in maniera esauriente il percorso del lavoratore apprendista: l'attività prestata permette anche una crescita in termini formativi.
Si stravolge in questo senso il rapporto: non si configura più la prestazione dell'insegnamento da parte del maestro in ragione della prestazione retributiva dell'apprendista, in danaro o in natura, ma diventa essenziale la prestazione lavorativa dell'apprendista verso la prestazione retributiva del maestro, il quale è obbligato ad impartire anche l'insegnamento.
In tal modo l'apprendista diventa un lavoratore subordinato e il maestro un datore di lavoro. Il contenuto prevalente del rapporto è rappresentato
7) L. R. XXXXXXXXXXX, Apprendistato (voce), in Noviss. dig. it., vol. I, Torino, 1957, p. 783 ss.
dalla prestazione dell'allievo, mentre l'insegnamento diviene un accessorio8.
All'inizio del secolo, la dottrina9 ha imputato a cause economiche, morali e sociali, l'emarginazione del contratto di apprendistato e la scomparsa dell'insegnamento come elemento principale dell'istituto.
È nato un rapporto di lavoro subordinato sotto-categoria della locatio operarum.
Agli albori del periodo fascista, invece, altra dottrina10 ha descritto l'apprendistato come una forma spuria, un incrocio fra due rapporti facenti capo agli stessi soggetti: l'uno avente ad oggetto l'istruzione professionale dell'allievo da parte del maestro e l'altro la prestazione delle energie lavorative dell'apprendista.
Altra Autrice12 ha individuato le cause della nascita del nuovo lavoratore subordinato:
- da un lato la progressiva meccanizzazione del lavoro e la conseguente divisione dello stesso (c.d. Taylorismo), hanno condotto alla minor importanza dell'insegnamento;
8) X. XXXXXXX, E tu xxxxxxxxx come apprendista: l'apprendistato da contratto “speciale” a “quasi unico”, Padova, 2012.
9) X. XXXXXXXXXX, Gli apprendisti nella legge degli infortuni, in Riv. dir. comm., 1906, I, p. 310.
10) X. XXXXXX, Apprendista (voce), in Nuov. Dig. it., vol. I, Torino, 1937.
11) X. XXXXXX, op. cit., p. 602.
12) L. R. XXXXXXXXXXX, ult. op. cit.
- dall'altro l'aumento del costo della vita ha portato l'apprendista a scontare difficoltà economiche causa della ridotta possibilità di retribuire l'istruzione ricevuta, e nel contempo si è fatta sempre più pressante l'esigenza di sfruttamento delle forze lavorative dei giovani.
La conseguenza pratica di ciò, è stata l'applicazione anche all'apprendista della normativa di diritto del lavoro conosciuta all'epoca e nata per tutelare i lavoratori subordinati.
Il '900 è il secolo in cui l'apprendista diviene destinatario di una serie di disposizioni previdenziali e assistenziali, dapprima in modo indiretto e successivamente in modo diretto. Progressivamente si costruisce intorno a lui una corazza normativa di tutela che lo equipara, anche sotto questo profilo, al lavoratore subordinato.
Gli interventi si dirigono verso una limitazione dell'autonomia privata per tutelare la figura dell'apprendista (la minore età garantisce una tutela ancor maggiore).
Il codice civile del 1865 all'art. 1153, co. 5, statuiva la responsabilità degli artigiani e precettori nei confronti degli apprendesti e allievi per i danni cagionati da questi ultimi nel tempo in cui erano sotto la loro vigilanza salvo che avessero provato l'impossibilità di impedire il fatto.
Il codice civile dell'ottocento non dedica disposizioni all'apprendistato, infatti l'unico articolo di tutela è proprio quello citato che esonera l'apprendista dalla responsabilità per danni.
Il tema della responsabilità può essere approfondito, soprattutto paragonando la vecchia disciplina con quella attuale.
Il codice civile del 1942 all'art. 2048, co. 2, prevede la responsabilità dei precettori e di coloro che insegnano un mestiere o un'arte per il danno cagionato da un fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel periodo in cui sono sotto la loro vigilanza. Tali soggetti sono liberati solo nell'ipotesi
in cui dimostrino di non aver potuto impedire il fatto.
In realtà la dottrina13 ha sottolineato come, in caso di danni causati ai terzi dall'apprendista si applichi l'art. 2049 codice civile sulla responsabilità oggettiva dei padroni e committenti nei confronti dei domestici e commessi. La responsabilità per fatto altrui di cui all'art. 2049 codice civile è oggettiva: il fondamento della stessa si trova nel rischio professionale assunto dal datore di lavoro che non può provare la mancanza di colpa, e non può liberarsi dalla responsabilità.
Terminata questa breve parentesi, è bene tornare al periodo pre-fascista dell'ottocento per constatare come la legge 15 giugno 1893, n. 295, contemplasse, fra le funzioni svolte dai Collegi dei probiviri, anche quelle conciliative in relazione a controversie sorte tra imprenditori e apprendisti o tra operai in dipendenza dei rapporti di operaio o apprendista.
Il nuovo secolo non inverte la tendenza del legislatore ad intervenire sporadicamente, infatti il r.d. 31 gennaio 1904, n. 51, contenente il Testo Unico in materia di infortuni sul lavoro degli operai estendeva l'applicazione della legge anche all'apprendista con o senza salario che partecipasse all'esecuzione del lavoro.
Proseguendo nella disamina delle fonti, il regolamento di esecuzione r.d.
13 marzo 1904, n. 141, statuiva come la denunzia da presentarsi al Prefetto di ogni provincia nella quale avevano sede gli stabilimenti industriali o le imprese, ad opera di capi o esercenti di questi ultimi, dovesse contenere “il numero delle persone occupate... indicando distintamente il numero degli apprendisti...”.
Anche l'art. 22 stabiliva che la denuncia del contratto di assicurazione, obbligatorio per tutti gli opifici, le officine e gli stabilimenti industriali,
13) X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Nozioni di diritto del lavoro, XXXV ed., Napoli, 1995.
dovesse contenere “il numero degli operai assicurati... con indicazione distinta del numero degli apprendisti”.
Questi ultimi due frammenti di legislazione permettono di rilevare come l'apprendista stesse assumendo, in misura sempre maggiore, una dimensione individuale nell'opificio.
Ex art. 25 del Testo Unico citato, nel libro paga veniva indicato il salario effettivo corrisposto agli apprendisti e anche il salario più basso percepito dagli operai della stessa categoria.
La prestazione retributiva, benché inferiore al lavoratore qualificato, diviene un elemento positivo contemplato dalla legge.
Diversi interventi legislativi riguardano il profilo della tutela assicurativa dell'apprendista nelle ipotesi di malattia od altri eventi pregiudizievoli.
Nel r.d. 30 dicembre 1923, n. 3184, sull'assicurazione obbligatoria contro l'invalidità e la vecchiaia per le persone di ambo i sessi l'art. 1 richiamava espressamente gli apprendisti tra le persone da assicurare.
Il r.d. 27 ottobre 1927, n. 2055, all'art. 1 estendeva l'assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi a tutti coloro che fossero obbligatoriamente assicurati contro l'invalidità e vecchiaia, facendo quindi, riferimento indirettamente agli apprendisti.
Il r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, in tema di assicurazione obbligatoria per le malattie professionali e gli infortuni sul lavoro inseriva tra gli assicurati “gli apprendisti con o senza salario, che partecipassero all'esecuzione del lavoro” puntualizzando come fossero considerati minori, agli effetti del decreto, coloro che non avessero compiuto gli anni diciotto.
L'apprendista con o senza salario aveva diritto ove infortunato alle cure mediche e chirurgiche e all'indennità per inabilità temporanea o assoluta e alla rendita d'inabilità corrisposta ai superstiti.
Per completare il quadro generale del periodo, occorre far riferimento alla contrattazione collettiva ed alla carta del lavoro.
Il 21 aprile 1927 il Gran consiglio del fascismo approvava la carta del lavoro, che alla XXX dichiarazione richiamava il dovere delle associazioni professionali di educare ed istruire, specie professionalmente, i rappresentati, soci o non soci.
Questa dichiarazione, come la maggior parte della carta, era rimasta sostanzialmente una disposizione programmatica.
Invece i contratti collettivi di lavoro fascisti disciplinavano in maniera esauriente il rapporto. Il punto fermo intangibile era considerato il diritto dell'apprendista alla retribuzione, la quale poteva essere anche inferiore rispetto a quella del lavoratore subordinato.
Ovviamente nel caso di abuso dell'istituto, come nell'ipotesi di adibizione dell'apprendista all'espletamento di mansioni che fossero le medesime del lavoratore qualificato, la retribuzione avrebbe dovuto essere la medesima di un lavoratore subordinato.
Emerge ictu oculi, dal quadro delineato, come il legislatore e le parti sociali considerassero gli apprendisti alla stregua di lavoratori subordinati; questa è un'ulteriore conferma del capovolgimento di prospettiva già evidenziato dalla dottrina.
Le due linee maestre dell'evoluzione normativa successiva a tale periodo
14) X. XXXXXX, op. cit.
sono chiare:
- da un lato la previsione di corsi di formazione professionale;
- dall'altro forme di controllo sul rapporto che possono giungere sino all'irrogazione di sanzioni15.
Lo sfruttamento dell'istituto per fini non consentiti dal legislatore, con il passare del tempo, assume costantemente rilievo agli occhi degli operatori del diritto nonché degli estensori delle leggi.
Il legislatore si è reso conto del problema delle c.d. mezzeforze, ovvero della necessità di porre un freno alla possibilità di assumere minori e adibirli a prestazioni di lavoro che incidano negativa sul loro sviluppo16. La progressiva estensione del diritto del lavoro anche all'apprendista, non è connessa alla minore età ma bensì alla stipulazione di tale particolare rapporto di lavoro.
Due le differenze fondamentali: nel garzonato la finalità formativa è del tutto assente, e lo stesso non può essere considerato un primo livello verso la qualificazione superiore.
La figura dell'apprendista può essere tenuta distinta anche dal c.d. praticante o volontario: un soggetto inserito in un'azienda o studio professionale col fine di acquisire le conoscenze pratiche strettamente connesse alla teoria già consolidata.
Tali rapporti, della cui giuridicità si dubita, sono gratuiti. Inoltre la formazione impartita dal maestro all'apprendista è differente rispetto a
15) X. XXX, ult. op. cit.
16) X. XXXX, Diritto del lavoro, 1980, Padova, p. 432 ss.
17) X. XXXX, ult. op. cit.
Infine i rapporti di praticantato e volontariato non si instaurano tra un'azienda e un giovane, né è possibile parlarsi in tal senso di subordinazione per come configurata dalla dottrina giuslavoristica.
18) X. XXXXX, ult. op. cit.
3. La causa del contratto
L'interrogativo centrale attiene alla prevalenza, nel rapporto di apprendistato, dell'insegnamento professionale rispetto alla prestazione lavorativa.
Quale delle due anime del contratto lo identifica maggiormente? Ergo quale delle due prestazioni è in grado di orientare causalmente il rapporto?
Sulla questione della funzione economico-sociale del contratto la dottrina si è divisa in diversi filoni.
Per rendere l'analisi sulle diverse posizioni dottrinali più chiara, è d'uopo partire dal dato normativo concreto: “l'apprendistato è uno speciale rapporto di lavoro, in forza del quale l'imprenditore è obbligato ad impartire o far impartire, nella sua impresa, all'apprendista assunto alle sue dipendenze, l'insegnamento necessario perché possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato, utilizzandone l'opera nell'impresa medesima” (art. 2 della legge 19 gennaio 1955, n. 55).
Facendo leva su tale definizione legislativa la dottrina maggioritaria si è orientata verso la causa mista: convivono nel rapporto sia lo scambio lavoro verso retribuzione che lo scambio lavoro verso istruzione formativa.
In un rapporto di lavoro subordinato ordinario la causa consiste nello
19) per un'analisi sulla specialità del contratto vedi X. XXXXXXXX, L'apprendistato, in X. XXXXXXXXX (a cura di), I contratti di lavoro, II, Torino, 2009, p. 1505 ss.
scambio tra lavoro contro retribuzione, mentre in questo speciale rapporto di lavoro la funzione economico-sociale è data dallo scambio fra prestazione di un'attività lavorativa verso la retribuzione, cui si aggiunge l'istruzione professionale.
La prestazione lavorativa è finalizzata al raggiungimento di una qualifica professionale ed è anche vantaggiosa per il datore di lavoro: in tal modo si legittima la previsione di un trattamento retributivo per l'apprendista20. Considerando la causa “pura”, il contratto di apprendistato sarebbe un ordinario contratto di lavoro subordinato con un obbligo accessorio a carico del datore circa la formazione professionale (la formazione non avrebbe alcun rilievo causale).
Tale tesi della causa mista è stata seguita in larghissima parte anche dalla giurisprudenza21.
Le parole di L.R. Sanseverino22 possono sintetizzare bene questo orientamento: “la causa del contratto è la prestazione del lavoro in vista del conseguimento della formazione professionale richiesta affinché si ottenga una determinata qualifica... tale insegnamento e la formazione professionale a cui esso conduce, devono avere un corrispettivo... che consiste nella prestazione di un lavoro subordinato, da parte dell'apprendista, a favore del datore di lavoro presso il quale egli compie il suo addestramento professionale... La prestazione di lavoro, la quale costituisce la controprestazione obbligatoria dell'apprendista in funzione dell'addestramento professionale ricevuto, richiede altresì un compenso in denaro” nonostante non si subordini tassativamente ed integralmente alla prestazione del lavoro la retribuzione.
20) X. XXXX, ult. op. cit.
21) Cass. 2 luglio 1987, n. 5777, in Lav. '80, 1987, p. 1057; Pret. Torino, 3 agosto 1994,
in Lav. giur., 1994, p. 1175.
22) L. R. XXXXXXXXXXX, ult. op. cit.
Secondo alcuni24 la ridotta retribuzione sarebbe proprio un effetto del contratto: “il datore di lavoro deve non solo addestrare l'apprendista, ma anche corrispondergli una, seppur ridotta, retribuzione”.
Altri ancora25 hanno definito la causa come composita o complessa26. Quest'ultima prospettiva dottrinale ha individuato la funzione economico- sociale del contratto nel lavoro e nell'apprendimento per un periodo necessario all'acquisizione di conoscenze tecnico-professionali. Tali Autori hanno escluso la tesi della causa mista perché hanno considerato il contratto di apprendistato tipico o nominato.
In accordo con tale impostazione27, in dottrina, sono state sottolineate alcune conseguenze pratiche negative di primario rilievo: nel caso di stipulazione di un contratto caratterizzato dallo scopo di scambiare prestazione lavorativa e addestramento professionale si configurerebbe un contratto innominato (non apprendistato) al quale non sarebbero applicabili le norme sull'obbligo del datore di retribuire l'apprendista.
La conclusione cui è giunge l'Autore non sembra comunque penalizzare il lavoratore: al contratto si applicherebbe la specifica disciplina del lavoratore subordinato e la clausola esclusiva della retribuzione sarebbe colpita dalla nullità per contrarietà alla legge (la retribuzione sarebbe
23) X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, op. cit., p. 226.
24) X. XXXXXXX, (voce) Apprendista, in Enc. dir., vol. II, Milano, 1958, p. 814 ss.
25) X. XXXXX, Il contratto di tirocinio, Milano, 1966.
26) vedi in giurisprudenza: Xxxx. 29 giugno 1981, n. 4231, in Rep. Xxxx x., 0000, xxxx Xxxxxx (xxxxxxxx), n. 643; Xxxx. 22 novembre 1978, n. 5479, in Giust. Civ., 1979, I, p. 226.
27) X. XXXXXXX, op. cit., p. 824.
determinata dal giudice ex. art. 2099, co. 2, c.c., rispettando i criteri dell'art. 36 Cost).
Infine occorre tenere a mente che i due obblighi del datore, secondo la teoria della causa mista, non sono prevalenti l'uno sull'altro: le due cause di insegnamento e prestazione di lavoro, trovano un'unione mantenendo una propria autonomia.
Il requisito dell'onerosità è giustificato da un lato nella configurazione di un obbligo retributivo e dall'altro nella possibilità di pesare in termini economici l'addestramento professionale.
Nonostante il contratto sia finalizzato anche all'occupazione dei giovani non si ritiene superata la causa mista (vedi art. 1 Testo Unico del 2011). L'effetto principale dell'inserimento della formazione nella causa si
28) X. XXXXX, Manuale di diritto del lavoro, Milano, 1972, p. 837 ss.
29) L. R. XXXXXXXXXXX, Lavoro. Disciplina delle attività professionali, lavoro nell'impresa, sub. artt. 2060- 2134, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXX (a cura di), Commentario del codice civile, Bologna-Roma, 1986, p. 851; X. XXXXX, Diritto del lavoro, Bari, 2011 (appendice di aggiornamento 2013); X. XXXXXXX, Manuale di diritto del lavoro, I, VI ed., Milano, 1987.
Resta infine da osservare come con il Testo Unico del 2011 il legislatore, secondo la dottrina31, abbia superato la causa mista e la specialità del rapporto vista l'incompatibilità fra quest'ultima e il contratto a tempo indeterminato. Un “mistero più inspiegabile di quello trinitario” che un apprendistato con una causa mista che si esaurisce entro una durata massima, possa fin dalla sua nascita essere considerato a tempo indeterminato, come statuito all'art. 1 del Testo Unico, con una causa che non si esaurisca entro una durata massima.
Tale Autore (X. Xxxxxxx, 2012) parla di conversione a “U” della causa: non più prestazione lavorativa verso prestazione retributiva e insegnamento. Si parla di due funzioni pari ordinate cioè concedere professionalità e stimolare l'occupazione. Il contratto di apprendistato diventa un patto inerente ad un contratto a tempo indeterminato, con ad oggetto un periodo di formazione il cui fine è la prosecuzione del rapporto con il datore di lavoro.
Due sarebbero i dati a sostegno di tale tesi: da un lato la sempre progressiva estensione della disciplina del lavoro subordinato anche all'apprendistato e dall'altro la prevalenza per una formazione aziendale che sottintende una prosecuzione del rapporto.
È stata sostenuta anche una tesi contraria a questa32: non si ritiene
30) M. X. XXXXXXXXXXX, X. XX XXXXXX, Xxxxxxx xxx xxxxxx, Xxxxxx, 0000.
31) X. XXXX XXXXX, Il tirocinio, in Xxxxxxxxxxx (a cura di), Commentario del codice civile, Milano, 2012; X. XXXXXXX, op. cit., p. 110.
32) M. D'ONGHIA, Il testo unico sull'apprendistato, in Riv. giur. Lav., 2012, I, 211 ss.
superata la causa mista visto che la formazione modifica ancora il normale sinallagma contrattuale (prestazione lavorativa verso prestazione retributiva).
Ad avviso di chi scrive, l'ineliminabile profilo formativo che grava sul datore di lavoro depone a favore della tesi sulla causa mista che registra una convivenza duplice di scambi: la prestazione lavorativa dell'apprendista mira alla qualifica professionale ma allo stesso tempo produce un'utilità diretta in favore del datore il quale è perciò obbligato alla prestazione retributiva.
4. L'evoluzione legislativa e il percorso della giurisprudenza fino alla c.d. riforma Biagi.
Il percorso fra leggi e sentenze dei giudici, non ha come obiettivo l'analisi nel dettaglio delle singole modifiche intervenute nel tempo, ma il fine di mettere in risalto i momenti di rottura che hanno trasformato il contratto di apprendistato.
Le leggi che hanno rimodellato la disciplina dell'apprendistato sono molte (soprattutto quelle che lo hanno modificato indirettamente) per cui l'attenzione si sposta solamente su quelle più emblematiche e fondamentali.
A) Il Regio decreto legge 21 settembre 1938, n. 1906
Il r.d.l. 21 settembre 1938, n. 1906 ha dettato la prima definizione legislativa sulla figura dell'apprendista: “chiunque è occupato in una azienda industriale o commerciale con lo scopo di acquistare la capacità necessaria per divenire lavoratore qualificato mediante un addestramento pratico e la frequenza , ove siano istituiti, dei corsi per la formazione professionale”.
Si può notare, rispetto alle precedenti regolamentazioni, un cambio terminologico: la parola apprendistato sostituisce il vocabolo tirocinio.
Tale definizione sarà ripresa da alcuni contratti collettivi del 1955 per l'industria cartotecnica “è apprendista chi è occupato con lo scopo di acquistare, mediante addestramento e pratico tirocinio in un determinato mestiere, la capacità necessaria per diventare operaio qualificato”.
I corsi venivano istituiti con il r.d.l. 21 giugno 1938, n. 1380, convertito
con la legge 1939, n. 290, con “lo scopo di formare e di accrescere la capacità tecnica e produttiva dei lavoratori stessi in relazione ai bisogni dell'economia nazionale”.
La disciplina dettata ha il pregio di riordinare la materia, introducendo tra l'obbligo d'iscrizione ad elenchi presso l'ufficio di collocamento e limiti di età (quindici anni).
La contrattazione collettiva fissava, generalmente, come limite massimo i diciotto anni.
La retribuzione acquisisce centralità nel rapporto (non era sempre prevista dalla contrattazione collettiva) che registra una sostanziale parificazione fra istruzione e prestazione lavorativa33. Lo stesso Autore (Sala Ghiri, 2012) sottolinea il carattere fortemente pubblicistico del rapporto, finalizzato alla preparazione dei giovani e loro qualificazione, che deriva dal potere del Ministero sui limiti all'assunzione nonché dall'importanza del sistema di collocamento.
B) Gli articoli 2130 - 2134 del codice civile.
Il codice civile del 1942 disciplina il tirocinio agli articoli 2130 - 2134. Tra le novità, si può sottolineare l'utilizzo da parte del legislatore del termine tirocinio invece della parola, di origine francese, apprendistato.
Il motivo della regolamentazione minima è la presenza di leggi speciali che disegnano la fisionomia dell'istituto, nonché la volontà legislativa di ampliare l'ambito di intervento della contrattazione collettiva.
Il rinvio alla disciplina dell'ordinario rapporto di lavoro subordinato, per la parte non regolata dalle fonti speciali o dalle norme corporative, si
33) M. SALA GHIRI, op. cit., p. 66.
inserisce nella descritta ratio dell'intervento34.
Tale rinvio è mitigato dalla clausola di compatibilità: la disciplina in tema di lavoro subordinato deve essere idonea ad integrare quella sul contratto di tirocinio. La compatibilità si misura con il carattere speciale del rapporto e le disposizioni derogatorie di leggi speciali.
L'articolo di apertura della sezione (art. 2130) regolamenta sul tema della durata del tirocinio: “il periodo di tirocinio non può superare i limiti stabiliti (dalle norme corporative o) dagli usi”.
Il legislatore fascista attraverso il codice civile vieta la retribuzione a cottimo: il tirocinante non deve essere compensato in base alla produzione effettuata, i risultati del lavoro non possono costituire la base per il trattamento retributivo.
I corsi per la formazione fanno parte della istruzione dell'apprendista e per questo si impone all'imprenditore di permettere al giovane lavoratore di parteciparvi effettivamente.
Inoltre grava sul datore di lavoro anche il dovere di destinare l'apprendista a lavori attinenti alla specialità professionale a cui si riferisce il tirocinio.
Terminato il periodo di tirocinio, il legislatore si preoccupa di garantire il diritto all'attestato: l'apprendista in tal modo, può provare all'esterno dell'impresa l'avvenuta formazione.
C) L'art. 35, co. 2, della Costituzione Repubblicana
Alla disciplina codicistica del 1942 fa seguito la Costituzione Repubblicana, la quale interviene in modo indiretto nella materia
34) X. XXXXXX, I contratti di lavoro con finalità formative, Milano, 2001.
dell'apprendistato con l'art. 35, co. 2.
La disposizione così recita: “la Repubblica cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori”.
In questo modo viene positivizzato un obbligo di intervento pubblico in materia di formazione professionale35. Il secondo comma dell'articolo, come commentato dalla dottrina36, attuerebbe il principio espresso nel primo comma (“la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”).
Come sottolineato da alcuni38 è possibile distinguere fra la formazione e l'istruzione: la prima è più generale rispetto alla seconda poiché consiste sia nella formazione mentale che tecnica del lavoratore.
L'articolo 35, co. 2, deve essere letto in combinato disposto con gli artt. 1-4 della Costituzione i quali prevedono il diritto al lavoro (la cui effettività è proprio da ricondursi alla disposizione in commento).
Infatti attraverso la formazione del lavoratore, che deve essere garantita da un intervento pubblico, si cerca di attuare l'art. 4 Costituzione: più un
35) per un approfondimento sull'intervento pubblico vedi X. XXXXXXXXXXX,
Apprendimento e tutela del lavoro, Torino, 2012.
36) X. XXXXXXXXXXXX, Lavoro - Disciplina costituzionale (voce), in Enc. giur., vol. XVIII, Roma, 1990.
37) M. NAPOLI, Sub art. 35, co. 2° Cost., in Branca G. (a cura di), Commentario della costituzione. Rapporti economici. Tomo I. Art. 35- 40, Xxxxxxx-Xxxx, 0000.
38) X. XXXXXXXX, X. XX XXXX XXXXXX, Commentario breve alle leggi sul lavoro, V ed,, Padova, 2013.
lavoratore sarà qualificato e meno difficoltà incontrerà nell'inserimento nel mercato del lavoro.
La Costituzione offre anche un'altra disposizione molto importante in tema di formazione: l'articolo 117. La potestà legislativa in materia di formazione e istruzione è demandata esclusivamente alle Regioni le quali devono rispettare i vincoli della legislazione nazionale.
Tale articolo è stato chiamato in causa più volte soprattutto a partire dalla
c.d. riforma Biagi, per la concorrenza fra diverse fonti regolamentative. Sul punto la Corte Costituzionale, con la sentenza 2005, n. 50, ha ribadito la necessità di una “leale collaborazione” fra i vari livelli istituzionali, attuabile attraverso lo strumento dell'intesa39. La stessa Autrice (I. Pellizzone, 2005) sottolinea come la Corte abbia sancito la competenza legislativa statale per la disciplina dei contratti di apprendistato, partendo dall'affermazione secondo cui l'oggetto della competenza residuale delle Regioni sarebbe limitata solamente all'istruzione e formazione professionale pubblica, esprimendo quindi un giudizio di valore.
D) La legge 19 gennaio 1955, n. 25
La legge 19 gennaio del 1955, n. 25, interveniva all'indomani della Costituzione Repubblicana introducendo nel panorama giuridico la definizione fondamentale del rapporto.
La penna del legislatore scriveva la prima disciplina organica e puntuale del contratto: il testo statuiva su tutte le fasi del rapporto, dalla stipulazione fino alla cessazione.
39) I. PELLIZZONE, La “concorrenza di competenze” ovvero la formazione professionale tra ordinamento civile e competenze regionali, in Giur. cost., 2005, 4, pag. 3375 ss.
L'art. 2 (che ad avviso del Pera40 costituiva una tautologia) descriveva il contratto di apprendistato: uno speciale rapporto di lavoro, in forza del quale l'imprenditore era obbligato a impartire o a far impartire, nella sua impresa, all'apprendista assunto alle sue dipendenze, l'insegnamento necessario perché potesse conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato, utilizzandone l'opera nell'impresa medesima.
La formazione professionale poteva essere assicurata da un insegnamento complementare, oppure attraverso una formazione pratica accanto a un lavoratore qualificato.
La frequenza ai corsi complementi era gratuita e non permetteva al datore di lavoro di incidere sulla retribuzione dell'apprendista mediante trattenute. Xxxx le ore che i giovani apprendisti spendevano ai corsi formativi erano da considerare come ore di lavoro (indi per cui retribuite).
Per poter sottoscrivere un contratto di apprendistato si imponeva come condizione necessaria l'autorizzazione dell'Ispettorato provinciale del lavoro (modifica introdotta dalla legge 2 aprile 1968, n. 424).
La legge abrogava espressamente il r.d.l. del 1938, n. 1906, mentre non chiariva sulla validità degli articoli del codice civile.
Secondo alcuni41 la legge avrebbe abrogato anche le disposizioni del 1942.
Restavano sicuramente in vigore gli articoli del codice civile sul rinvio alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato, sul divieto di retribuzione a cottimo, sull'obbligo del datore di erogare la formazione professionale.
Per quanto riguarda l'attività formativa, il legislatore parlava di
40) X. XXXX, ult. op. cit.
41) X. XXXXXXXXX, Osservazioni in tema di apprendistato, in Riv. dir. lav., 1963, p. 382 ss.
alternanza tra addestramento pratico e corsi complementari esterni all'azienda. In attesa dell'istituzione dei corsi, le ore destinate all'insegnamento complementare potevano essere utilizzate per l'addestramento pratico (art. 43 d.P.R. 30 dicembre 1956, n. 1668).
La legge del 1955 stabiliva come età minima d'accesso i quindici anni. Una deroga era ammessa per i quattordicenni se avessero adempiuto obbligo scolastico; erano fatti salvi i limiti della legge sui fanciulli e adolescenti.
Appare opportuno sottolineare la disposizione della legge del 1955 sulla conclusione del rapporto: “qualora al termine del periodo di apprendistato non sia stata disdetta a norma dell'art. 2118 del codice civile, l'apprendista è mantenuto in servizio con la qualifica conseguita mediante le prove di idoneità ed il periodo di apprendistato è considerato utile ai fini dell'anzianità di servizio del lavoratore”.
42) X. XXXX, ult. op. cit.
43) X. XXXX, ult. op. cit.
44) X. XXXXXXXXXX, Il tirocinio, in Trattato di diritto privato, dir. da X. XXXXXXXX, vol. 15,
Si è posta all'attenzione della dottrina la questione relativa apprendistato impiegatizio: è possibile parlare di tale tipologia contrattuale nel settore impiegatizio?
L'art. 1 del d.P. R. 30 dicembre 1956, n. 1668, statuiva che ogni datore indipendentemente dal suo carattere imprenditoriale potesse assumere apprendisti anche per attività impiegatizie.
In realtà come è stato ricordato in dottrina46, visto che per l'assunzione è indispensabile il preventivo possesso di determinate qualifiche ed altresì visto che il datore deve impartire l'insegnamento, parlare di un rapporto di apprendistato nel settore impiegatizio è quantomeno forzato.
I, Torino, 2004, 421 ss.
45) X. XXXXXXX, Apprendistato (voce), in Enc. giur., agg. XV, Roma, 2007.
46) X. XXXX, ult. op. cit.
47) Cass. 20 marzo 1985, n. 2053, in Giust. civ., 1985, I, p. 1935; Cass. 16 dicembre 1983, n. 7445, in Giust. civ., 1984, I, p. 2546 ss. contra vedi Xxxx. 29 aprile 1968, in Foro it., 1969, 2, 309.
E) La legge 2 aprile 1968, n. 424
La legge 2 aprile 1968, n. 424, secondo alcuni48, avrebbe dovuto scongiurare l'utilizzo distorto dell'istituto (contrastante con la sua ratio intrinseca) da parte dei datori di lavoro: lo sfruttamento di manodopera a basso costo senza alcuna attenzione per la formazione professionale del giovane.
La novella normativa in realtà ha inciso su tale pratica abusiva attraverso:
- la previsione di limiti massimi all'assunzione di apprendisti (il numero di apprendisti che l’imprenditore ha facoltà di occupare nella propria azienda non può superare il 100 per cento delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso l’azienda stessa (modifica all'art. 2, co. 3 della legge 19 gennaio 1955, n. 25)).
- il coordinamento con legge sulla tutela dei bambini e degli adolescenti del 17 ottobre 1967, n. 977: “i giovani di età non inferiore a quindici anni e non superiore a venti, salvi i divieti e le limitazioni stabilite dalla legge sulla tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti” possono essere assunti con il contratto di apprendistato (art. 3 legge 2 aprile 1968, n. 424).
- la previsione di un controllo preventivo dell'Ispettorato del lavoro rispetto all'assunzione.
Il datore di lavoro non avrebbe potuto concludere il contratto in mancanza di un'autorizzazione preventiva dell'Ispettorato del lavoro.
Questa autorizzazione all'assunzione prevista dall'art. 1 della legge 2 aprile 1968, n. 424, era richiesta una tantum oppure per ogni singolo
48) X. XXXXXXXX, op. cit., p. 850.
rapporto? La lettera della legge non era esaustiva sulla questione49.
La Suprema Corte50 ha chiarito come, nell'ipotesi di mancata autorizzazione, non fosse possibile una conversione del rapporto di apprendistato in un ordinario contratto di lavoro subordinato, se vi fosse stato un effettivo svolgimento del rapporto (di apprendistato).
F) L'art. 21 della legge 28 febbraio 1987, n. 56.
Il legislatore, sul finire degli anni '80, con tale intervento tentava di scongiurare gli abusi connessi alla durata del contratto: rinviava ai contratti collettivi per l'individuazione di quella massima, con riferimento all'esclusivo al periodo necessario all'apprendimento; inoltre vietava la possibilità di prevedere una durata differente in relazione all'età del lavoratore.
Il limite legale massimo, già stabilito dalla legge 19 gennaio 1955, n. 25, rimaneva quello dei cinque anni.
49) G. D'XXXXXXX, Costituzione del rapporto, in L.R. XXXXXXXXXXX E X. XXXXXXX (a cura di), Nuovo trattato di diritto del lavoro, Padova, 1971.
50) Cass. 28 ottobre 1978, n. 4947, in Rep. giur. it., 1978, voce “lavoro” (Rapporto), n. 382.
51) X. XXXXXXX, Apprendistato, in XXXX XXXXXXXX (a cura di), La revisione della normativa sul rapporto di lavoro, Napoli, 1987.
Si innovava anche in termini di incentivi normativi: le micro imprese, sia che avessero in attività tre o più dipendenti, potevano assumere fino a tre apprendisti; inoltre per le attività stagionali i contratti collettivi potevano prevedere modalità di svolgimento peculiari.
Si tentava, infine, di rendere più competitivo il contratto di apprendistato rispetto ai contratti di formazione e lavoro prevedendo:
- la possibilità di assunzione mediante richiesta nominativa;
- la non computabilità degli apprendisti ai fini dell'applicazione di particolari normative, salvo quanto previsto per gli artigiani all'art. 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443.
L'art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, prevedeva la possibilità di apporre un termine ulteriore e diverso rispetto a quelle della legge del 1962.
Degno di nota era l'art. 21, co. 5: nel settore artigiano i contratti collettivi nazionali di categoria potevano elevare fino a ventinove anni l'età massima di cui all'art. 6 della legge 19 gennaio 1955, n. 25, per qualifiche ad alto contenuto professionale.
G) L'art. 16 della legge 24 giugno 1997, n. 196
Una profonda modifica dell'apprendistato è stata operata dall'art. 16 della
52) M. L. DE CRISTOFARO, Apprendistato (voce), in Enc. giur., vol. I, Xxxx, 0000.
legge 24 giugno 1997, n. 196, il c.d. “pacchetto Treu” (Norme in materia di promozione dell'occupazione).
La legge modificava i termini temporali del contratto di apprendistato:
- diciotto mesi come durata minima;
- quattro anni come limite massimo (invece dei cinque anni previsti dall'art. 7 della legge 19 gennaio 1955, n. 25).
Questa era la cornice legislativa inderogabile all'interno della quale può comunque regolamentare la contrattazione collettiva in maniera autonoma.
La ratio della durata minima del contratto è stata ben evidenziata dalla Suprema Corte53: “il legislatore ha così mostrato di voler collegare strettamente l'addestramento e la sua durata alle specifiche mansioni da svolgere ed alle obiettive difficoltà di apprendimento da esse richieste”.
Il compimento del sedicesimo anno di età permetteva la stipula del contratto mentre il raggiungimento del ventiquattresimo anno ne impediva la sottoscrizione.
Le deroghe alla regola generale erano tre:
- possibilità di sottoscrivere il contratto anche per ventiseienni “nelle aree di cui agli obiettivi n. 1 e 2 del regolamento (CEE) n. 2081/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 e successive modifiche”;
- nel caso in cui l'apprendista fosse portatore di handicap i limiti di età erano innalzati di due anni.
Il possesso di titoli di studio post obbligo o di attestato di qualifica
53) Cass., 24 agosto 1995, n. 8988, in Riv. it. dir. lav., 1996, II, p. 736.
54) X. XXXXXXXXXXX, Apprendistato, in Ghera (a cura di), Occupazione e flessibilità, Napoli, 1998, p. 179 ss.
professionale non era più un limite all'assunzione con contratto di apprendistato55.
Il c.d. “pacchetto Treu” ha inciso in maniera rilevante sul profilo formativo del contratto: gli apprendesti dovevano partecipare ad iniziative formative esterne all'azienda, previste dai contratti collettivi nazionali. Questa formazione esterna non poteva scendere sotto le centoventi ore annue, e l'apprendista doveva essere seguito da un tutor.
H) Il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276
Il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, ha compiuto la prima svolta radicale degli anni duemila innovando profondamente la disciplina dell'apprendistato.
- aumento del limite massimo di età entro cui stipulare il contratto (ventinove anni):
- obblighi formativi da espletarsi anche in azienda;
- aumento della durata del contratto fino ad un massimo di sei anni;
- suddivisione del contratto in tre tipologie differenti (contratto di apprendistato per il diritto dovere di istruzione e formazione, contratto di apprendistato professionalizzante, contratto di apprendistato per l'acquisizione di un diploma universitario o percorsi di alta formazione). L'art. 47, co. 2, del d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276, poneva dei limiti al
55) Cass. 28 dicembre 1991, n. 13970, in Foro it., 1993, I , p. 206.
56) X. XXXXXXX, ult. op. cit.
numero di apprendisti assumibili da parte di un datore di lavoro. Il legislatore collegava l'assunzione di nuovi apprendisti al numero di lavoratori qualificati: il numero complessivo di apprendisti... non poteva superare il 100 per cento delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il datore stesso.
Tale regola generale poteva però essere derogata in due ipotesi:
- se il datore non avesse alle proprie dipendenze lavoratori specializzati o qualificati, oppure ne avesse in numero inferiore a tre, poteva assumere apprendisti per un numero non superiore a tre;
- per le imprese artigiane trovava applicazione la disciplina speciale dettata dall'art. 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443.
L'art 48 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, disciplinava il contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto dovere di istruzione e formazione la cui finalità precipua era quella di permettere al giovane, già quindicenne, di raggiungere una qualifica professionale.
La durata del contratto di apprendistato era variabile a seconda della qualifica da conseguire, del titolo di studio, dei crediti professionali e formativi acquisiti, del bilancio delle competenze.
- forma scritta del contratto che doveva contenere la prestazione di lavoro, il piano formativo individuale e la qualifica che poteva essere acquisita al termine del periodo formativo;
- divieto di retribuzione a cottimo;
- recesso datoriale, al termine del periodo di apprendistato, secondo
57) X. XXXXXXXX, X. XXXXXX, ult. op. cit.
quanto disposto dall'art. 2118 codice civile. Di conseguenza vigeva il divieto di recesso, per il datore, in assenza di giusta causa o giustificato motivo.
Al successivo art. 49 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, il legislatore regolava l'apprendistato professionalizzante il cui fine era il raggiungimento di una qualificazione attraverso la formazione sul lavoro che mirava a far conseguire al giovane una serie di competenze indispensabili sia di carattere tecnico-professionali che di base o trasversali.
Potevano stipulare il contratto i soggetti di età compresa fra diciotto e ventinove anni.
Il contratto di apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione era disciplinato all'art. 50 del decreto citato: poteva essere stipulato da soggetti di età compresa fra i diciotto e ventinove anni, la durata variava da un minimo di due anni ad un massimo di sei anni e lo scopo principale del contratto era far conseguire un titolo di studio di livello secondario, un titolo di studio universitario e della alta formazione, inclusi i dottorati di ricerca, nonché per la specializzazione tecnica superiore.
Si poteva parlare da un lato di formazione on the job58, acquisita mediante lo svolgimento del lavoro da parte dell'apprendista e dall'altro di alternanza fra studio e lavoro quindi formazione teorica e prestazione lavorativa.
Due erano le caratteristiche della formazione:
- formale, nel senso che l'ambiente formativo doveva essere in grado di realizzare la formazione;
- aziendale, poteva essere anche erogata da parte dell'azienda purché si
58) Cass., 24 ottobre 1986, n. 6236, in Dir. e prat. lav., 1987, p. 894.
rispettassero le leggi nazionali e regionali59.
La figura in grado di agevolare la trasmissione delle competenze era (ed è ancora) il tutor aziendale ovvero il soggetto che istruiva in via diretta l'apprendista oppure lo sosteneva nell'azienda e nella formazione esterna. Le Regioni svolgevano un ruolo molto importante in tema di formazione, ovviamente nel rispetto del principio di leale collaborazione con le diverse istituzioni60.
La distinzione nelle tre tipologie si ripercuoteva in un diverso apporto delle Regioni in tema di formazione.
L'erogazione della formazione era un elemento peculiare e imprescindibile del contratto di apprendistato tanto che all'art. 53 del decreto in discussione, il legislatore si preoccupava di comminare una pesante sanzione nel caso in cui l'inadempimento formativo fosse dovuto esclusivamente ad un comportamento datoriale che impedisse il conseguimento delle finalità previste dall'istituto.
Il datore inadempiente era tenuto a versare la differenza fra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello d'inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto, dal lavoratore, al termine del periodo di apprendistato.
Ovviamente nell'ipotesi in cui l'inadempimento fosse riconducibile alle istituzioni esterne all'azienda, che avrebbero dovuto completare l'istruzione, la sanzione di cui sopra non poteva essere irrogata nei confronti del datore.
59) X. XXXXXXX, ult. op. cit.
60) Corte cost. 28 gennaio 2005, n. 50, in Giur. Cost., 2005, n. 1, p. 395. Fra le altre sentenze in tema di “leale collaborazione” vedi: Corte cost. 7 dicembre 2006, n. 406, in Foro Amm. CSD, 2006, n. 12, p. 3265 ss; Corte cost. 6 febbraio 2007, n. 24, in Dir. prat. lav., 2007, p. 746.
Oltre a tale sanzione se ne affiancava un'altra ricavabile dal diritto civile61: ex art. 1418 codice civile il contratto nel caso di mancanza di un elemento essenziale era nullo a meno che, ex art. 1424 codice civile, avesse i requisiti di sostanza e forma di un contratto diverso: in tal caso si sarebbero prodotti gli effetti di quest'ultimo accordo (il contratto di apprendistato poteva essere anche convertito, ad opera del giudice, in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato).
Anche il legislatore del 2003 si rendeva conto della necessità di rendere maggiormente vantaggiosa l'assunzione di apprendisti per il datore di lavoro. I mezzi a disposizione erano di due tipi differenti: incentivi normativi ed economici.
L'art. 53 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, trattava delle agevolazioni:
- l'apprendista poteva essere inquadrato fino ad un massimo di due livelli al di sotto rispetto alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedevano qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali era finalizzato il contratto;
- la contrattazione collettiva poteva stabilire la retribuzione dell'apprendista in misura percentuale della retribuzione spettante ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedevano qualificazioni corrispondenti a quelle per il conseguimento delle quali era finalizzato il contratto.
- i lavoratori assunti con contratto di apprendistato erano inoltre esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti. Potevano essere previste deroghe a tale articolo ad opera della contrattazione collettiva o leggi.
- infine rimanevano fermi, in attesa della riforma degli incentivi alla
61) X. XXXXXXX, ult. op. cit.
occupazione, i sistemi di incentivazione economica.
Il dibattito sul rapporto fra percentualizzazione delle retribuzione e sottoinquadramento è stato affrontato in diverse circolari ed interpelli: la tesi dell'alternatività in alcuni casi ha lasciato lo spazio alla tesi del cumulo dei due sistemi.
L'analisi della c.d. riforma Biagi sarà completata nel capitolo seguente, mettendo a confronto gli aspetti dell'abrogata disciplina con il nuovo Testo Unico del 2011.
CAPITOLO II
IL TESTO UNICO DEL 2011
1. La genesi
La legge 24 dicembre 2007, n. 247, ha delegato il Governo (Prodi II) ad adottare, nei dodici mesi successivi all'entrata in vigore della stessa (entro il 31 dicembre 2008), uno o più decreti legislativi al fine di riordinare la normativa sull'apprendistato, dando così attuazione al Protocollo sul Welfare del 23 luglio 2007.
A causa della conclusione anticipata della XV legislatura, la delega non ha trovato un riscontro normativo.
La successiva legge 4 novembre 2010, n. 183, c.d. collegato lavoro, ha stabilito un nuovo termine di ventiquattro mesi dall'entrata in vigore della legge stessa, per esercitare la delega.
Raggiunta l'Intesa fra Governo, Regioni e parti sociali l'11 luglio 2011, visto che la legge delega ha previsto, quale condizione per l'emanazione del decreto legislativo, una concertazione forte62, il Consiglio dei ministri ha emanato il decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167 (denominato Testo Unico dell'apprendistato).
I principali problemi sorti in seguito alla emanazione del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, hanno portato il legislatore ad un ripensamento della materia.
Le criticità, di natura e grado diverso, possono essere sintetizzate come
62) M. D'ONGHIA, ult. op. cit.
63) X. XXXXXXXX, X. XXXXXX, ult. op. cit.
segue:
- coacervo di fonti statali, regionali, e contrattazione collettiva;
- mancanza di chiarezza circa l'abrogazione della disciplina precedente;
- difficoltà di coordinamento con la c.d. xxxxx Xxxxxxx 28 marzo 2003, n. 53.
Tali difficoltà hanno condotto a conseguenze pratiche di rilievo: il ritardo nell'applicazione dell'istituto e in alcuni casi persino la completa inutilizzazione dell'apprendistato.
Nemmeno l'intervento della Corte costituzionale, più volte chiamata in causa dalle Regioni per risolvere i contrasti con l'art. 117 Cost. sul riparto di competenze, ha permesso il raggiungimento di una soluzione accettabile.
Ciò che emerge dalle sentenze della Corte è una ripartizione delle competenze che vede lo Stato, in virtù dell'art. 117 co. 2, lett. l), detenere l'esclusiva legislativa sul contratto ivi compresa la “formazione interna” o aziendale (sono materie di ordinamento civile).
L'”istruzione” e la “tutela e sicurezza sul lavoro”, sono materie di competenza concorrente Stato - Regioni.
Infine la “formazione esterna” o extra-aziendale rientra fra le competenze residuali delle Regioni, in particolare nella materia “istruzione e formazione professionale”.
Le prime modifiche legislative hanno interessato diversi aspetti del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
L'art. 19 del d.lgs. 6 ottobre 2004, n. 251, ha eliminato il divieto di
64) X. XXXXXXX, op. cit., p. 45
adibire l'apprendista a lavoro di manovalanza e di serie.
L'art. 11 dello stesso d.lgs. è intervenuto sul tema della mancata erogazione della formazione: la sanzione è costituita dalla differenza fra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento.
Una tale maggiorazione esclude qualsiasi altra sanzione nel caso di omessa contribuzione.
L'apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione e l'apprendistato professionalizzante non hanno potuto misurarsi nel mercato del lavoro a causa della riforma c.d. Moratti: per il primo tipo contrattuale lo stato di stand-by della legge ha costituito un limite all'applicazione, così come per il secondo tipo l'astensionismo delle Regioni non ha permesso la completa realizzazione.
La circolare del Ministero del lavoro 14 ottobre 2004, n. 40, ha inibito alla contrattazione collettiva di intervenire sui profili formativi anticipatamente rispetto alla regolazione regionale. La stessa, inoltre, ha permesso alle Regioni di sfruttare forme alternative alla legge per disciplinare l'istituto (es. delibere e convenzioni).
Non devono essere dimenticati anche gli interventi straordinari:
- l'art. 13, co. 13 bis, del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni nella legge 14 maggio 2005, n. 80, ha inserito un co. 5 bis all'art. 49 della c.d. riforma Biagi precisando come in assenza di una legge regionale, la disciplina dell'apprendistato professionalizzante fosse rimessa ai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
- legge 6 agosto 2008, n. 133, ha eliminato la durata minima di due anni per l'apprendistato professionalizzante, dando vita al c.d. xxxx apprendistato, ed inserito i dottorati di ricerca fra i titoli di alta formazione.
- l'art. 49 è stato ampliato con il co. 5 bis: in caso di formazione esclusivamente aziendale l'operatività del co. 5 è stata esclusa, in questa ipotesi i profili formativi dell'apprendistato professionalizzante sono stati rimessi integralmente ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale ovvero agli enti bilaterali.
La Corte costituzionale è intervenuta su tale articolo con la sentenza 14 maggio 2010, n. 17665, dichiarandolo non conforme ai principi della Carta nella parte in cui escludeva totalmente l'attore regionale dalla disciplina dei profili formativi.
L’art. 2, co. 155, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, ha inserito nel dettato legislativo il co. 1 bis all'art. 53: i contratti collettivi di lavoro nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale potevano stabilire la retribuzione dell'apprendista in misura percentuale della retribuzione spettante ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle per il conseguimento delle quali è finalizzato il contratto, e graduarla in rapporto anche all'anzianità di servizio.
Da ultimo l'art. 48, co. 8, della legge 4 novembre 2010, n. 183, ha dato attuazione all'apprendistato di cui all'art. 48 c.d. riforma Biagi: fermo restando quanto stabilito dall'art. 48 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 … l'obbligo di istruzione di cui all’articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 …, si assolveva anche nei percorsi
65) Corte cost. 14 maggio 2010, n. 176, in Mass. giur. lav., 2010, p. 506.
di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione66.
Questi sono gli interventi che hanno tentato di migliorare l'impianto del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, apportando piccole varianti rispetto alla disciplina originaria.
Il Testo Unico del 2011 è stato introdotto dal legislatore proprio per dare un risposta alle problematiche sollevate, ma non risolte, dal d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
Il dettato normativo si compone di soli sette articoli, realizzando una sintesi di fondo, e si può suddividere in diverse sezioni:
- una parte generale che comprende la definizione del contratto e la disciplina comune a tutte le tipologie di contratto (art. 1 e 2);
- una parte specifica che comprende la disciplina puntuale di ogni singola declinazione contrattuale (art. 3, 4, 5);
- una parte finale che comprende le sanzioni, gli incentivi, le abrogazioni e il regime transitorio (art. 6, 7).
È d'uopo proseguire tratteggiando un quadro generale del contratto di apprendistato (comprensivo della sua ratio di fondo) ed affrontando successivamente la specifica disciplina delle varie tipologie contrattuali mettendone a confronto i profili principali.
66) X.XXXXXXXX , Il riordino della disciplina dell’apprendistato al secondo appello, in
X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX (a cura di), Il collegato lavoro 2010: commentario alla Legge n. 183/2010, Milano, 2011.
2. Gli obiettivi da conseguire
La legge 24 dicembre 2007, n. 247, all'art. 1, co. 33, ha individuato tali principi e criteri direttivi:
a) rafforzamento del ruolo della contrattazione collettiva nel quadro del perfezionamento della disciplina legale della materia;
b) individuazione di standard nazionali di qualità di formazione in materia di profili professionali e percorsi formativi, certificazione delle competenze, validazione dei progetti formativi individuali e riconoscimento delle capacità formative delle imprese, anche al fine di agevolare la mobilità territoriale degli apprendisti mediante l'individuazione di requisiti minimi per l'erogazione della formazione formale;
c) con riferimento all'apprendistato professionalizzante, individuazione dei meccanismi in grado di garantire la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e l'attuazione uniforme e immediata su tutto il territorio nazionale della relativa disciplina;
d) adozione di misure volte ad assicurare il corretto utilizzo dei contratti di apprendistato.
L'inquadramento dell'opera del legislatore, come Testo Unico ci permette
67) per un'analisi sulla ratio della riforma vedi: X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxx e apprendistato: impianto e ragioni della riforma, in Dir. rel. ind., n. 4, 2011, p. 947 ss.
68) M. D'Onghia, ult. op. cit.
di cogliere una prima finalità naturale di tale elaborato giuridico: il riordino della disciplina.
Il Testo Unico del 2011 infatti non può che avere come finalità intrinseca la sistemazione di norme giuridiche contenute in diverse leggi ed il cui coordinamento non sempre conduce a risultati ottimali.
Un'altra e ben più importante finalità si può cogliere leggendo l'art. 1 che così statuisce: “l'apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani”.
La legge 28 giugno 2012, n. 92, elimina dal panorama giuridico i contratti d'inserimento: un particolare modello contrattuale introdotto dal d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, il cui obiettivo principale è l'inserimento dei giovani nel circuito lavorativo o il reinserimento di soggetti disoccupati da lungo tempo o di soggetti “anziani” (ultracinquantenni).
Il profilo formativo in tali contratti non può dirsi preponderante: nella riforma Biagi all'art. 55, co. 4, si parlava di eventualità della formazione ed inoltre la configurazione di un progetto individuale d'inserimento era sufficiente per considerare l'impegno formativo soddisfatto.
69) M. D'ONGHIA, ult. op. cit.
70) M. D'ONGHIA, ult. op. cit.
Marginalizzata anche l'utilizzazione dei contratti di formazione e lavoro (ex. art. 86, co. 9, d.lgs. 276/2003 possono essere stipulati solo nell'ambito dei rapporti alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni) il contratto d'apprendistato rimane, oggi, l'unico mezzo idoneo per porre un freno alla crescente disoccupazione giovanile.
Quindi il legislatore individua nel contratto di apprendistato il mezzo per la “realizzazione di un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione”.
Accanto ad una finalità occupazionale coesiste anche la finalità formativa (così nell'art. 1, co. 1, Testo Unico “finalizzato alla formazione...” ) che lo contraddistingue dagli altri rapporti di lavoro.
71) X. XXXXXXXXXXX, Il nuovo apprendistato dopo la legge di riforma del mercato del lavoro del 2012, in Riv. it. dir. lav., 2012, 04, p. 695 ss.
72) per un recente commento sulla riforma vedi: X. XXXXXXXXXX, L'apprendistato come ipotesi di contratto di lavoro prevalente, in X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXXX (a cura di), La nuova riforma del lavoro. Commentario alla legge 28 giugno 2012, n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, Milano, 2012.
73) X. Xxxxx, Il nuovo apprendistato e l'obiettivo del rilancio dell'occupazione giovanile, dal sito xxx.xxxxxxxxx.xx.
3. La definizione e la disciplina generale del contratto
Nei soli sette articoli del Testo Unico, che testimoniano la volontà del Legislatore di riorganizzare e sintetizzare la disciplina, è contenuto tutto lo sforzo riformatore degli ultimi anni.
Dopo aver delineato un quadro sintetico della struttura del Testo Unico del 2011 e delle sue finalità, è opportuna una lettura attento dei singoli articoli.
A) Le tre tipologie ed il dibattito sulla durata
Il primo articolo del Testo Unico del 2011 definisce in maniera esplicita la natura giuridica di tale rapporto: “l'apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani”.
Sulla questione della durata del contratto la dottrina e la giurisprudenza hanno già fatto luce da tempo74 chiarendo come sia indiscutibile la natura di contratto a tempo indeterminato.
È bene, comunque, riportare il dibattito dottrinale, sviluppatosi attorno alle due tesi principali:
- alcuni Autori, vigente la legge 19 gennaio 1955, n. 25, hanno sostenuto che l'apprendistato ancorché delimitato nel tempo da termini di durata massima, ai sensi dell'art. 7, legge 19 gennaio 1955, n. 25, si atteggiasse, entro i medesimi, come un rapporto a tempo indeterminato, suscettibile pertanto di essere estinto mediante tutte le forme di recesso previste per lo svolgimento dei contratti di lavoro sine die75;
74) X. XXXXX, ult. op. cit.
75) X. XXXXX, Disdetta al termine dell'apprendistato e licenziament dell'apprendista ante tempus per mancato superamento delle prove di idoneità, in Riv. it. dir. lav., 1987,
- altri76 hanno contestato tale tesi, considerando il rapporto di apprendistato come un contratto a termine facendo leva sull'art. 21, co. 6, legge 28 febbraio 1987, n. 56, che confermava i benefici contributivi della legge 19 gennaio 1955, n. 25, in materia di previdenza e assistenza, per un anno trascorso dalla trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.
Inoltre nessuna legge prevedeva un contratto a tempo indeterminato: infatti la legge 19 gennaio 1955, n. 25, all'art. 7 introduceva limiti massimi alla durata (senza escludere tout court l'estinzione per scadenza del termine).
Per contro, leggendo l'art. 10, co. 1, del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, che disciplina il contratto a termine, si può pacificamente escludere dalla sua sfera di applicazione il contratto di apprendistato.
La durata limitata del periodo formativo non incide sulla natura di contratto a tempo indeterminato: l'aspetto inerente l'istruzione professionale ha una durata limitata nel tempo ma non è influente.
Inoltre in dottrina77 si sottolinea come l'apposizione di termini minimi e massimi di durata sia finalizzata a “collegare strettamente l'addestramento e la sua durata alle specifiche mansioni da svolgere e alle obiettive difficoltà di apprendimento da esse richieste”.
Infine merita di essere sottolineata l'impostazione dottrinaria (Xxxxxxxxx, 198678) secondo cui “la previsione di un limite invalicabile non qualifica
II, p. 490 ss.
76) X. XXXXXXXX, Qualificazione del contratto di formazione e lavoro, in Giur. it., 1988, I, 2, p. 9.
77) X. XXXXXXXXX, Rapporti speciali e a disciplina speciale, in X. XXXXXXX (a cura di),
Diritto del lavoro, II, Torino, 1998.
78) X. XXXXXXXXX, Il tirocinio, in Trattato di diritto privato, dir. da X. XXXXXXXX, vol. 15, I, Torino, 1986, p. 291 ss.
il rapporto de quo come contratto a termine in senso proprio: il contratto di tirocinio è potenzialmente a tempo indeterminato, essendo il termine (legale o convenzionale) indicato come un limite “massimo”, superato il quale non si estingue automaticamente il rapporto, bensì questo si depura dei suoi contenuti aggiuntivi, convertendosi in un contratto di lavoro tout court, ugualmente a tempo indeterminato”.
La durata del contratto di apprendistato è differente a seconda delle diverse tipologie di rapporto. Tale argomento sarà trattato nel dettaglio durante l'analisi dei singoli sotto-tipi di apprendistato.
Il legislatore prevede anche la possibilità di stipulare contratti di apprendistato professionalizzante a tempo determinato per le attività a cicli stagionali, se previsti dalla contrattazione nazionale fra associazioni datoriali e dei prestatori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Il modello contratto di apprendistato a tempo determinato, è pacificamente disciplinato dalla legge.
Il contratto di apprendistato era già stato declinato al plurale79dal legislatore del 2003 (c.d. riforma Biagi) che aveva disciplinato tre sottotipi, differenti in termini funzionali e regolamentari:
- apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione;
- apprendistato professionalizzante;
- apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione.
Anche nel Testo Unico del 2011, la suddivisione in tre tipologie è confermata: gli obiettivi che con tali contratti si vogliono conseguire sono differenti.
L'art. 1, co. 2, del Testo Unico così statuisce, “il contratto di
79) X. XXXXXXXX, X. XX XXXX XXXXXX, ult. op. cit.
apprendistato è definito secondo le seguenti tipologie:
a) apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale;
b) apprendistato professionalizzante;
c) apprendistato di alta formazione e ricerca”.
Ciascuno di questi contratti ha caratteri in comune con gli altri ed allo stesso tempo si differenzia per alcuni aspetti del tutto peculiari.
Secondo parte della dottrina le tipologie non si esaurirebbero in quelle elencate dall'art. 1 del Testo Unico del 2011 ma si potrebbero configurare anche modelli difformi e autonomi. Il dibattito è ancora aperto visto che altri Autori contestano la presunta indipendenza di tali contratti di apprendistato dalle tipologie positivizzate.
B) Le fonti della disciplina
La prima questiona da affrontare riguarda le fonti di regolamentazione della materia.
Il legislatore così statuisce all'art. 1, co. 1, Testo Unico del 2011: “la disciplina del contratto di apprendistato è rimessa ad appositi accordi interconfederali ovvero ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Il legislatore modifica il primo abbozzo di testo normativo ponendo la contrattazione collettiva nazionale come punto cardine di tutto il sistema: le regole sul rapporto sono dettate dalle parti sociali. Come si evince chiaramente dall'art. 2, co. 1, del Testo Unico del 2011, rispetto alla precedente disciplina è valorizzato il ruolo della contrattazione collettiva
nazionale rispetto alle regolamentazione regionali80.
L'obiettivo perseguito è ovviamente quello di rendere l'apprendistato sempre più vicino alle peculiarità di ciascun settore produttivo82nonché garantirne un'applicazione omogenea su tutto il territorio nazionale.
Tutte le fonti collettive possono intervenire in materia di apprendistato? Il legislatore non prende in considerazione la strada della contrattazione collettiva aziendale o territoriale (a differenza della prima versione del testo).
È importante sottolineare la Circolare del ministero del Lavoro dell'11 novembre 2011, n. 29, che è intervenuta precisando la forza normativa dei contratti interconfederali: una regolamentazione può essere introdotta da parte di quest'ultima fonte, purché la stessa sia cedevole di fronte alla contrattazione collettiva di settore.
A rendere ancora più chiara la volontà normativa è il Ministero del Lavoro con la nota del 28 luglio 2011, “ l'applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale dell'apprendistato viene garantita attraverso una piena valorizzazione della contrattazione collettiva nazionale di settore, a cui farà seguito il graduale e completo superamento delle attuali regolamentazioni di livello regionale”.
La contrattazione di secondo livello può intervenire solo nel caso in cui
80) X. XXXXX, Diritto del lavoro, Bari, 2011 (appendice di aggiornamento 2013).
81) X. XXXXXXXXX, “L'apprendistato dopo la riforma Fornero”, IN XXX.XXXXXXXXXXXXXXX.XX
24 giugno 2013.
82) X. XXXXXXXXXX, Coniugati qualità e occasioni reali, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx del 29 luglio 2011.
sia la contrattazione di primo livello a prevederlo e se l'apporto sia migliorativo83.
Sul tema della possibile deroga alla disciplina, da parte degli accordi di prossimità ex art. 8, co. 2 bis, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148, la dottrina così si esprime: lo stesso articolo non richiama come possibile oggetto di deroga il rapporto di apprendistato (a differenza del contratto di lavoro a termine, i contratti di lavoro ridotto, modulato o flessibile, e la somministrazione84), quindi non sussisteranno problemi in tal senso.
Dopo la Conferenza permanente fra Stato, Regioni e Province autonome del 7 luglio 2011 la competenza delle Regioni in materia si è notevolmente ridotta a favore della contrattazione collettiva. Secondo parte della dottrina (Xxxxxxxxxx, 201185) l'accresciuto ruolo della contrattazione collettiva dovrebbe portare ad un superamento delle problematiche della c.d. riforma Biagi, quantomeno con rifermento all'intreccio delle fonti regolamentari.
L'intervento regionale, sotto forma di legge o risoluzione (nonché altre fonti non legislative) si modella diversamente a seconda del tipo di contratto di apprendistato: nel caso di apprendistato professionalizzante l'intervento è solo ausiliario rispetto a quello della contrattazione collettiva mentre nel caso di apprendistato di alta formazione e ricerca o apprendistato per la qualifica e il diploma professionale l'incidenza delle statuizioni regionali è maggiore.
Ex art. 7, co. 11, del Testo Unico del 2011 “restano in ogni caso ferme le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province Autonome
83) M. D'ONGHIA, ult. op. cit.
84) tra gli altri X. XXXXXXXXXX, Il testo unico dell'apprendistato e le nuove regole sul tirocinio, Milano, 2011; M. D'ONGHIA, ult. op. cit.
85) X. XXXXXXXXXX, ult. op. cit.
di Trento e di Bolzano ai sensi dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione”.
C) I principi legali
Questi principi inderogabili sono elencati nell'art. 2, co. 1, (dalla lettera
a) fino alla lettera m)) del Testo Unico in esame.
C bis) Gli aspetti formali
L'art. 2, co. 1, lett. a) così statuisce: è indispensabile la “forma scritta del contratto, del patto di prova e del relativo piano formativo”.
La dottrina sul requisito della forma si divide in diversi filoni:
- alcuni Autori87 hanno ritenuto la forma scritta del contratto ad substantiam, obbligatoriamente richiesta, e quindi in caso di violazione della prescrizione il contratto di apprendistato si trasformerà in un contratto ordinario a tempo indeterminato. Tale conclusione è supportata dalla circolare del Ministero del Lavoro del 14 ottobre 2004, n. 40, che si orienta in tal senso;
86) X. XXXXXXXX, op. cit., p. 856.
87) X. XXXXXXX – D. PAPA, Disciplina generale dell'apprendistato: trattamento economico e normativo, in X. Xxxxxxxxxx (a cura di), Il testo Unico dell'apprendistato e le nuove regole sui tirocini, Milano, 2011; X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, X xx., Xxxxxx, 0000.
-altri Autori88 invece hanno parlato di forma ad probationem: quindi il requisito formale non incide sulla validità del contratto ma solo sulla possibilità di provare tale negozio giuridico. Se il contratto non viene stipulato in forma scritta, tale patto non sarà opponibile ai terzi interessati.
-altri Autori89 ancora, hanno sostenuto la tesi della forma ad regularitatem, nel senso che tale requisito non inciderebbe sulla validità del contratto e sull'aspetto probatorio. “Si tratta di un adempimento ricognitivo, imposto dal legislatore per conseguire specifici benefici previdenziali e normativi e a garanzia dell'effettivo e consapevole disponibilità del lavoratore (responsabilizzazione del consenso) a un rapporto di lavoro non standard”90.
Se si viola il requisito formale la conseguenza sarà solamente un'irregolarità procedurale sanabile anche in corso del contratto: ex art. 7, co. 2, l'eventuale violazione porta ad una diffida del personale ispettivo con possibilità di regolarizzazione.
Con la circolare dell'11 novembre 2011, n. 29, il Ministero del lavoro ha precisato come l'obbligo di forma sia assolto solo in conseguenza della materiale consegna del contratto di lavoro al lavoratore e non mediante la mera comunicazione dell'inizio del rapporto al centro per l'impiego.
La questione dottrinale sulla forma è relativamente recente in quanto solo con la c.d. riforma Biagi è stata colmata la lacuna: la legge del 1955, n. 25, non si preoccupava del problema formale, godendo l'apprendista di alcune garanzie al momento della stipulazione.
88) X. XXXXXX, Nuovo apprendistato: forma scritta e profili sanzionatori, in Guida al lav., 2011, 43, 28; X. XXXXXXX, Apprendistato, Guida alle novità del Testo Unico, Milano, 2011.
89) M. D'ONGHIA, La forma vincolata del diritto del lavoro, Milano, 2005.
90) M. D'ONGHIA, op. cit., p. 222.
Il piano formativo individuale è il programma personalizzato che stabilisce i vari step e le modalità di svolgimento del percorso formativo dell'apprendista92; è inserito in un documento separato dal contratto a pena di nullità di quest'ultimo.
La c.d. riforma Biagi che per prima ha previsto tale programma, contemplava nel caso di apprendistato di lunga durata un piano individuale di dettaglio al fine di definire e precisare il percorso (si dimostra spesso indispensabile anche la presenza di un tutor).
Oggi a seguito della modifica intervenuta con il Testo Unico del 2011 due sono i profili di novità:
- da un lato si può “definire, anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali”;
- dall'altro si può redigere “entro trenta giorni dalla stipulazione del contratto”.
91) in giurisprudenza vedi: Cass., 17 aprile 1982, n. 2358, in Mass. giur. lav., 1982, p. 410.
92) X. XXXXXXXX, X. XX XXXX XXXXXX, op. cit., p. 2559.
93) X. XXXXXXXXX, Il contratto di apprendistato nella ricomposizione di disciplina del Testo Unico, in Lav. giur., 2011, 42, p. 2477 ss.
C ter) La retribuzione
L'art. 1, lett. b), fissa il “divieto di retribuzione a cottimo”. Di tale vincolo si parlava già nella legge del 1955 e nel più recente intervento legislativo del 2003.
Il divieto accompagna tale contratto fin dalla sua prima regolamentazione (il codice civile all'art. 2131 statuisce che la retribuzione dell'apprendista non possa assumere la forma del salario a cottimo): il corrispettivo dell'apprendista non può essere misurato in ragione del rendimento individuale da questo raggiunto.
La ratio sta nella minor capacità produttiva del giovane che lo porterebbe a subire un pregiudizio in ragione del minor apporto individuale rispetto ad un lavoratore qualificato.
Si ricorda la risposta del Ministero del lavoro ad interpello avanzato da Federmeccanica sulla compatibilità legislativa della voce “utile di cottimo”, prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro per l'industria metalmeccanica ed installazione d'impianti, con il divieto di cottimo.
Il ministero così ha risposto “non sembrano sussistere perplessità sulla compatibilità di tale emolumento con la previsione di cui all’art. 49, comma 4 lett. b), del d.lgs. n. 276/2003 qualora - come sottolineato dall’interpellante - lo stesso sia pressoché totalmente sganciato dal “risultato produttivo” del lavoratore, costituendo viceversa una voce retributiva fissa”.
L'art. 2, co. 1, lett. c), apre alla “possibilità di inquadrare il lavoratore
94) Risposta ad interpello 1 marzo 2007, n. 13 del Ministero del Lavoro.
fino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto”.
In alternativa il legislatore prevede il meccanismo di percentualizzazione della retribuzione in modo graduale alla anzianità di servizio.
Non è possibile l'utilizzo congiunto dei due meccanismi come è già stato evidenziato dalla risposta ad interpello del 1 ottobre 2007, n. 28, del Ministero del lavoro (c.d. alternatività).
C quater) Il tutor aziendale
L'art. 2, co. 1, lett. d) conferma la “presenza di un tutore o referente aziendale” da affiancare all'apprendista.
Questo soggetto più esperto che accompagna il percorso formativo dell'apprendista non è nuovo nel panorama legislativo.
Già la legge 24 giugno 196 del 1997 agli artt. 16, co. 3, nonché il d.lgs.
10 settembre 2003, n. 276, agli artt. 48, co. 4, lettera f) e 49, co. 5 lettera
e) prevedevano tale figura introducendo agevolazioni contributive per i lavoratori impegnati nelle iniziative formative.
Una definizione di tale figura e delle competenze ad essa affidate si può desumere dal d.m. 28 febbraio 2000, n. 22.
Ex. art. 1, co. 1, “il tutore aziendale per l'apprendistato ha il compito di affiancare l'apprendista durante il periodo di apprendistato, di trasmettere le competenze necessarie all'esercizio delle attività lavorative e di favorire l'integrazione tra l'attività formativa esterna all'azienda e quella sul luogo di lavoro”.
Si specifica, ancora, nel d.m. citato, che il tutore debba esprimere le “valutazioni sulla competenza acquisite dall'apprendista ai fini dell'attestazione da parte del datore di lavoro”.
L'art. 2 del d.m. 28 febbraio 2000, n. 22, non indica quale soggetto debba in concreto ricoprire tale ruolo: individua genericamente un lavoratore qualificato designato dall'impresa oppure, nel caso di imprese con meno di quindici dipendenti o imprese artigiane, lo identifica con il titolare dell'impresa o un socio o un famigliare coadiuvante.
Gli interventi della contrattazione collettiva e delle Regioni non possono certamente dirsi omogenei o quantomeno caratterizzati da un'unità di fondo.
Si passa da leggi regionali che richiamano solamente la figura del tutor senza intervenire in materia, ad altre che stabiliscono requisiti minimi che dovranno possedere i futuri tutori.
Altre leggi riportano parte della disciplina del d.m. 28 febbraio 2000, n. 22, sotto vari profili95:
- livello contrattuale del tutore pari o superiore a quello che l'apprendista avrebbe dovuto conseguire al termine del periodo di formazione;
- attività svolta che sia coerente con quella dell'allievo;
- competenze adeguate;
- adeguata esperienza nel settore;
- tre anni di esperienza lavorativa.
Altre leggi ancora, identificano il tutor come garante del percorso formativo dell'apprendista.
Il decreto ministeriale fissa anche dei limiti per tale figura: può affiancare un massimo di cinque apprendisti salvo che sia chiamato a seguire
solamente la formazione non formale; in tale ultimo caso può affiancarne dieci.
L'eventuale designazione di un tutor con competenze inadeguate, non sufficienti, o la totale assenza dello stesso integrano un inadempimento nell'erogazione della formazione tale da impedire la realizzazione delle finalità del contratto di cui sarà esclusivamente responsabile il datore di lavoro.
La sanzione comminata al datore di lavoro consiste (nell'ipotesi d'inadempimento) nel pagamento della differenza fra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento.
Attualmente invece l'art. 7, co. 2, del Testo Unico del 2011 statuisce come nel caso di violazione delle disposizioni contrattuali collettive attuative dei principi di cui all'art. 2, co. 1, lettera d) il datore sia punito con una sanzione amministrativa pecuniaria e nel caso di inottemperanza alla diffida di regolarizzazione questa sanzione si riduca al minimo edittale.
L'apporto della contrattazione collettiva sulla figura del tutor, è quasi sempre sovrapponibile alla disciplina dettata dal d.m. 28 febbraio 2000,
accordo per la disciplina contrattuale dell'apprendistato professionalizzante nel settore
C quinquies) Il finanziamento
L'art. 2, co. 1, lettera e) prevede la “possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali degli apprendisti per il tramite dei fondi paritetici interprofessionali... anche attraverso accordi con Regioni”.
Questi Fondi sono stati previsti dall'art. 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e dall'art. 12 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
I Fondi (finanziati dai datori di lavoro mediante un contributo aggiuntivo previsto dall'art. 25, co. 4, legge 21 dicembre 1978, n. 845) svolgono, oggi, un ruolo anche nell'apprendistato in seguito all'intervento dell'art. 10 d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito nelle legge 14 settembre 2011,
n. 148 (ampliamento delle funzioni oltre l'originaria promozione della formazione professionale continua).
In dottrina97 si è avvertita la comunità scientifica della possibilità che tali Fondi vengano utilizzati in maniera distorta (l'impresa potrebbe sfruttarli pur non adempiendo ai propri obblighi formativi).
C sexies) Il riconoscimento e la registrazione
La disposizione legislativa sul riconoscimento, sulla base dei risultati conseguiti all'interno del percorso di formazione esterna e interna alla impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali e delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi nonché nei percorsi di istruzione degli adulti, non innova rispetto alla disciplina del
del credito cooperativo tra Federcasse Artigiane, Dircredito-FD, Fabi, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil, Sincra/Ugl Credito, Uilca del 4 maggio 2012 (art. 30, Allegato H), sesto comma.
97) M. D'ONGHIA, ult. op. cit.
d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, visto che già gli art. 48, co. 4 lett. d) e 49, co. 5, lett. c) contemplano tale possibilità.
Il Testo Unico del 2011 prevede la registrazione della formazione effettuata e della qualifica professionale ai fini contrattuali eventualmente acquisita, nel libretto formativo del cittadino previsto all'art. 2, co. 1, lettera i), del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
Secondo quanto dispone l'art. 6, co. 2, del Testo Unico del 2011 la registrazione nel libretto formativo del cittadino è di competenza del datore di lavoro a differenza della certificazione delle competenze professionali che è onere regionale.
Il libretto formativo introdotto dal d.m. del 10 ottobre 2005 non ha avuto un'applicazione pratica.
C septies) Il prolungamento
Una importante novità, introdotta dall'art. 2, co. 1, lett. h), è la possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio, o altra causa di sospensione involontaria del rapporto superiore a trenta giorni, secondo quanto previsto dai contratti collettivi.
Sarà la contrattazione collettiva, anche aziendale, a stabilire le modalità e casi di applicazione dell'allungamento del contratto.
98) Cass. 12 maggio 2000, n. 6134, in Mass. giur. lav., 2001, p. 1301 ss.
La maternità, gravidanza e puerperio in generale non sono considerarti periodi che rientrano nella categoria di sospensione involontaria descritta dalla norma.
In realtà nell'ipotesi della maternità contrastano con tale conclusione un messaggio dell'INPS n. 6827 del 2010 che ha previsto uno slittamento del termine finale del rapporto di apprendistato pari al periodo di sospensione causato dalla maternità, e l'art. 7 del d.P.R. del 1976, n. 1026, attuativo della legge 1971, n. 1204, che non ha considerato i periodi di astensione obbligatoria e facoltativa ai fini della durata del periodo di apprendistato.
Il periodo di prolungamento ovviamente dovrà essere comunicato all'apprendista.
Per le altre ipotesi trova applicazione il d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità che prevede comunque la sospensione obbligatoria del rapporto.
C octies) La conferma in servizio. Rinvio
Il tema sarà trattato nella parte relativa alle clausole di stabilizzazione e limiti all'assunzione.
99) Risposta del Ministero del Lavoro a interpello n. 17 del 2007, 34 del 2010, 69 del 2009.
C novies) Il recesso
Il regime del recesso è disciplinato all'art. 2, co. 1, lett. l) ed m) e diverge a seconda del periodo in cui il rapporto di lavoro sia interrotto.
Il legislatore impone il “divieto per le parti di recedere dal contratto durante il periodo di formazione in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo”.
È d'uopo ricordare, a tal riguardo, la sentenza della Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx 00 novembre 1973, n. 169100, che, dichiarando in contrasto con il dettato della Carta l'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, (dal momento che non include gli apprendisti fra i destinatari della tutela sui licenziamenti) ha garantito agli apprendisti lo scudo normativo della giusta causa o del giustificato motivo in caso di licenziamento.
Il rapporto può quindi concludersi se alla base del licenziamento vi sia un fatto che non consenta la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto101oppure nel caso vi sia un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (ex art. 3 prima parte legge 15 luglio 1966, n. 604) o vi siano ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (ex art. 3 seconda parte legge 15 luglio 1966, n. 604).
Il legislatore prosegue nella riscrittura della disciplina, prevedendo l'applicazione delle sanzioni, previste dalla normativa vigente in tema di licenziamenti privi di giustificazione, nel caso in cui l'apprendista venga licenziato senza giusta causa o giustificato motivo in costanza del periodo di formazione.
In dottrina102vi sono dubbi sulla lettera della legge che obbliga alla
100) Corte Cost. 28 novembre 1973, n. 169, in Foro It., 1974, I, col. 16.
101) X. XXXXXXXX, op. cit., p. 664.
102) M. D'ONGHIA, ult. op. cit.
giustificazione anche il lavoratore: nel caso di dimissioni ingiustificate non è chiaro in che cosa consista la giusta causa o giustificato motivo e le sanzioni. L'Autrice auspica inoltre che le parti sociali obblighino soltanto il datore di lavoro alla giustificazione: gravare di tale peso l'apprendista non è coerente con la specialità del rapporto di apprendistato così come la soggezione al risarcimento del danno, per avere leso l'aspettativa del datore circa la sua formazione, costituisce un'eccessiva limitazione per l'apprendista.
La Cassazione è intervenuta da ultimo per ribadire come la tutela reale od obbligatoria sia pienamente applicabile al caso del licenziamento di apprendisti senza giusta causa o giustificato motivo.
La successiva lettera m) dell'art. 2, co. 1, permette alle parti, al termine del periodo di formazione, di recedere dal contratto con preavviso ai sensi di quanto disposto dall'art. 2118 del codice civile.
Il preavviso, in virtù della novella legislativa, decorre dalla fine del rapporto, assicurando così maggiore certezza sull'inizio del suo trascorrere.
Nel periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato (così la lettera m dell'art. 2, co. 1, Testo Unico del 2011 a seguito della modifica operata dalla riforma Fornero (art. 1, co. 16, lett. b) legge 28 giugno 2012, n. 92). Grazie a tale previsione è superata l'incertezza circa la prosecuzione, dopo il periodo di apprendimento, dei benefici contributivi e retributivi. Il preavviso ha quindi una “efficacia reale”: durante il suo corso continuano a prodursi tutti gli effetti del contratto.
103) Cass. 28 settembre 2010, n. 20357, in Giuda Lav., 2010, n. 44, p. 16
Il rapporto prosegue come un ordinario contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato se nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione.
La marginalità dell'ipotesi di recesso ad nutum nonché la specialità del rapporto di apprendistato sostengono la tesi della legittimità costituzionale dello stesso.
Alcuni studiosi, invece, hanno considerato il recesso ad nutum in contrasto con l'art. 30 della Carta di Nizza sul diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato. Ad ogni modo la conseguenza pratica dell'applicazione di tale particolare recesso, consiste in un'ampia flessibilità in uscita105.
D) La previdenza e l'assistenza sociale
Terminata l'analisi dei principi che devono essere rispettati dai contratti collettivi o accordi interconfederali, per completare gli aspetti generali dell'istituto è d'uopo leggere l'art. 2, co. 2, del Testo Unico del 2011.
“Per gli apprendisti l'applicazione delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria si estende alle seguenti forme:
a) assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
b) assicurazione contro le malattie;
104) X. XXXXXXXXXXX, Il nuovo apprendistato dopo la legge di riforma del mercato del lavoro del 2012, in Riv. it. dir. lav., 2012, 04, p. 695 ss.
105) X. XXXXX, Diritto del lavoro, Bari, 2011 (appendice di aggiornamento 2013).
c) assicurazione contro invalidità e vecchiaia;
d) maternità;
e) assegno famigliare;
e bis) assicurazione sociale per l'impiego...”
Ictu oculi la c.d. riforma Fornero, amplia le tutele previdenziali e assistenziali con il nuovo sistema di ammortizzatori sociali, la c.d. ASPI assicurazione sociale per l'impiego.
Il fondamento normativo dell'obbligo assicurativo dell'apprendista, “quale previsto dalla legge”, contro gli infortuni e le malattie professionali risale all'art. 4, co. 1, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.
L'assicurazione copre tutti i casi di morte o inabilità permanente o temporanea che portino all'astensione dal lavoro per più di tre giorni come conseguenza di un infortunio sul lavoro avvenuto per causa violenta.
La legge 27 dicembre 2006, n. 296, all'art. 1, co. 773, ha introdotto per gli apprendisti l'indennità giornaliera di malattia secondo la disciplina generale per i lavoratori subordinati. Gli apprendisti sono ovviamente diventati destinatari di una serie di obblighi comunicativi sulla certificazione della malattia.
Il fondamento normativo dell'assicurazione contro l'invalidità e la vecchiaia risale all'art. 37 del r.d.l. 1935, n. 1827, poi modificato dall’art. 1, co. 1, del d.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, secondo cui sono soggetti all'assicurazione in questione del Fondo pensioni lavoratori dipendenti tutti i lavoratori di qualsiasi nazionalità, compresi i soci di società ed enti cooperativi, che prestino la loro attività alle dipendenze.
Il Testo Unico (2001) delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità contempla anche gli apprendisti fra i destinatari delle disposizioni di garanzia previste per le lavoratrici
assunte con contratto di lavoro subordinato assenti per maternità, puerperio, gravidanza.
All'art. 54 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, si stabilisce il divieto di licenziamento della lavoratrice madre dal momento d'inizio della gestazione sino al termine del periodo d'interdizione obbligatoria dal lavoro nonché fino al compimento di un anno di età del bambino.
Nel caso il datore decida di licenziare comunque la lavoratrice, la nullità andrà a colpire il recesso datoriale in violazione alla disposizione legislativa.
Inoltre va ricordato come l'art. 7 del d.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026, abbia escluso dal computo del periodo di apprendistato i giorni di astensione obbligatoria e facoltativa (la durata della formazione sarebbe più breve).
Infine ex legge 8 luglio 2006, n. 706, spetta all'apprendista capo-famiglia il diritto agli assegni famigliari.
La c.d. legge Fornero 28 giugno 2012, n. 92, introduce, per la prima volta nella storia di tale istituto, una forma di tutela contro la disoccupazione: gli apprendisti, fino al 2012, non hanno mai goduto di alcuna forma di ammortizzatori sociali.
Secondo la dottrina106la causa di ciò si rinviene nella “rilevanza formativa”: proprio in virtù di questa l'apprendista non risente di eventi causativi di interruzioni integrabili o di riduzioni di personale, tant'è che per lungo tempo si è ritenuto che lo stesso non potesse né essere sospeso né licenziato per giustificato motivo obbiettivo.
La lettera e bis) dell'art. 2, co. 2, del Testo Unico del 2011 estende agli apprendisti l'assicurazione sociale per l'impiego, con la previsione a partire dal 1 gennaio 2013 per i datori di lavoro di un obbligo
106) X. XXXXXXX, op. cit., p. 63.
contributivo per gli apprendisti artigiani e non, pari all'1,31 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.
Per tale contribuzione non operano le disposizioni di cui all'art. 22, co 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183, che prevedono uno sgravio contributivo del 100 per cento, per i contratti di apprendistato stipulati a partire dal 1°gennaio 2013 fino al 31 dicembre 2016, della contribuzione dovuta ex art. 1, co. 773, legge 27 dicembre 2006, n. 296 nei primi tre anni di contratto.
E) Le clausole di stabilizzazione ed i limiti all'assunzione
Le parti sociali possono inserire clausole di stabilizzazione107 che individuino una quota minima di contratti di apprendistato indispensabili per poter assumere nuovi apprendisti (i contratti collettivi possono stabilire “forme e modalità per conferma in servizio, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato” fermo restando i limiti numerici per l'assunzione stabiliti dall'art. 2, co. 3 del Testo Unico).
Per poter assumere nuovi apprendisti è necessario confermarne in servizio una determinata quota.
I limiti alle nuove assunzioni mirano ad evitare il turnover degli apprendisti a causa della possibilità, concessa al datore, di recedere ad nutum108.
L'ultimo comma dell'art. 2 dedicato alle disciplina generale riguarda le limitazioni numeriche.
Già la legge 1955, n. 25, aveva previsto limiti quantitativi all'assunzione
107) M. SALA GHIRI, op. cit., p. 293.
108) M. X. XXXXXXXXXXX, X. XX XXXXXX, xx. xxx., x. 000.
di nuovi apprendisti: il rapporto apprendisti lavoratori qualificati doveva essere di uno ad uno. La ratio di tale vincolo risiedeva nella necessità di garantire comunque la finalità formativa del contratto.
Se leggiamo l'art. 2, co. 3, del Testo Unico del 2011 precedente alla c.d. riforma Fornero e l'art. 47, co. 2, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, non troviamo differenze di alcun genere. Il legislatore del 2011 infatti riprende perfettamente la disciplina precedente: “il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere con contratto di apprendistato, direttamente o indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione di lavoro ai sensi dell'art. 20, comma 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, non può superare il 100 per cento delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il datore di lavoro stesso”.
A seguito dell'intervento legislativo del giugno 2012 il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere, sia direttamente che indirettamente, non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro. La disciplina dettata dalla novella legislativa trova applicazione solamente a partire dal 1° gennaio 2013, mentre per tutto il 2012 continua ad applicarsi il rapporto di cento a cento.
Nel caso in cui il datore di lavoro abbia alle sue dipendenze un numero di lavoratori inferiore a dieci unità, il rapporto fra apprendisti/maestranze specializzate e qualificate non può superare il cento per cento.
Questa disposizione può essere derogata solo nel caso in cui il datore di lavoro non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati o che ne abbia in numero inferiore a tre: gli apprendisti che possono essere assunti non possono superare le tre unità.
Sia la c.d. riforma Biagi che il Testo Unico del 2011 permettono una
deroga alla disciplina ordinaria per il mondo delle imprese artigiane: “le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle imprese artigiane per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443”.
Tale legge, che è rimasta un punto fermo nonostante le recenti modifiche, distingue l'impresa artigiana a seconda che lavori in serie o meno:
- nella prima ipotesi i dipendenti non possono essere più di diciotto, compresi un massimo di nove apprendisti (è possibile aumentare il numero fino a ventidue dipendenti solo se le unità aggiuntive siano apprendisti);
- nella seconda ipotesi (l'impresa lavori in serie e la produzione non sia tutta automatizzata) i dipendenti non possono essere più di nove, compresi un massimo di cinque apprendisti (anche in questo caso il numero di dipendenti potrà essere aumentato sino al limite massimo di dodici purché le unità aggiuntive siano apprendisti).
Se l'impresa svolge l'attività nei settori della lavorazione artistica, tradizionale o abbigliamento su misura, il numero massimo di dipendenti è trentadue compresi un massimo di sedici apprendisti (anche in questo caso l'aumento fino a quaranta dipendenti è condizionato all'assunzione di soli nuovi apprendisti).
Infine le imprese edili possono contare un massimo di cinque apprendisti rispetto al massimo di dieci dipendenti (l'aumento fino a quattordici unità è subordinato all'assunzione di soli nuovi apprendisti).
È bene ricordare come si incentivino le imprese a mantenere il rapporto con gli apprendisti, non computando per due anni, ai fini dei limiti di cui sopra, gli apprendisti passati in qualifica che il datore abbia mantenuto in servizio.
I comma 3 bis) e 3 ter) dell'art. 2 del Testo Unico 2011 inseriti con la c.d.
legge Fornero stabiliscono i limiti per l'assunzione di nuovi apprendisti da parte dello stesso datore di lavoro: è necessario proseguire almeno il cinquanta per cento (trenta per cento nel periodo transitorio fino al trentaseiesimo mese dall'entrata in vigore della legge il 18 luglio 2012) dei rapporti di apprendistato la cui formazione sia terminata nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione.
Se il rapporto cessa per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa non sarà computato ai fini dei vincoli numerici di cui sopra.
La sanzione prevista dal legislatore nel caso di violazione della disposizione è particolarmente severa: non rispettando la percentuale legale il datore potrà assumere un'ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, oppure un solo apprendista nel caso di totale mancata di conferme degli apprendisti pregressi.
Il legislatore incide in maniera pesante sui rapporti costituiti in violazione dei limiti: gli apprendisti sono da considerare assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data d'instaurazione del rapporto. Fa seguito, quindi, l'applicazione di tutta la normativa lavoristica che prevede obblighi molto onerosi per il datore di lavoro.
Da ultimo la legge non comprende i datori di lavoro, che abbiano alle dipendenze meno di dieci lavoratori, fra i destinatari di tale disciplina limitativa delle assunzioni.
Sulle frizioni fra l'art. 2, co. 2, lett. i) del Testo Unico del 2011 che demanda alla contrattazione collettiva l'individuazione delle forme e modalità per la conferma in servizio, ed i nuovi due comma introdotti dalla c.d. riforma Fornero, è intervenuta la circolare del Ministero del Lavoro del 18 luglio 2012, n. 18.
In tale documento ministeriale si mettono a confronto le due clausole di
stabilizzazione: quella prevista dalla legge si applica solo nel caso in cui il datore abbia alle proprie dipendenze più di dieci unità mentre quella della contrattazione collettiva non risente di alcun limite.
Nella circolare, inoltre, si precisa che il principio di specialità debba risolvere l'eventuale sovrapporsi della disciplina legale con quella contrattuale: la legge 28 giugno 2012, n. 92, in virtù della specificità della disciplina, prevale sui contratti collettivi e quindi la sanzione per il datore di lavori che violi la disposizione scatterà solo se l'organico dell'impresa superi le dieci unità.
Meritano di essere sottolineate anche le ricadute indirette dell'intervento sui limiti all'assunzione: “la condizione della percentuale di conservazione in servizio, accresce la spinta a conformare la formazione all'attività dell'impresa in cui si sta come apprendista e si dovrebbe restare come lavoratore, rendendola poco spendibile al di fuori di essa. E l'elevazione del rapporto fra apprendisti e maestranze specializzate e qualificate in servizio diluisce quella tipica forma di apprendimento on the job, costituita dall’affiancamento”109.
F) I recenti interventi del Governo Letta.
È incontestabile l'intento legislativo del 2012 (c.d. riforma Fornero) di limitare il ruolo della contrattazione collettiva mediante vincoli numerici e clausole di stabilizzazione di derivazione legale110, nonché di rilanciare l'istituto, mediante incentivi di varia natura, in chiave occupazionale
109) X. XXXXXXX, op. cit., p. 60.
110) G. M. MONDA, Il contratto di apprendistato, in X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, Il nuovo mercato del lavoro, dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, Torino, 2013.
(“modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro”111). L'obiettivo si raggiunge evitando “il rischio che l’apprendistato sia incentivato solo per la sua appetibilità normativa ed economica più che per il suo valore intrinseco formativo, divenendo un modo per scaricare la domanda di flessibilità da parte del mercato connessa all’irrigidimento generale delle condizioni di entrata, e riducendo quindi ulteriormente l’investimento in formazione effettuato in apprendistato”112.
La c.d. riforma Fornero, non è stato l'ultimo intervento in materia di apprendistato, visto che anche il Governo Xxxxx ha apportato alcune marginali modifiche con il c.d. decreto lavoro (d.l. 21 giugno 2013, n.
76) poi convertito nella legge 9 agosto 2013, n. 99.
Le modifiche in tema di apprendistato sono minime e assai poco significative115, restando pressoché invariata la precedente regolamentazione.
111) Art. 1, co. 1, lett. b) legge 28 giugno 2012, n. 92.
112) X. Xxxxxxx, X. Xxxxx, Apprendistato in una prospettiva di crescita: occupazionale o formativa ?, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx
113) G. M. MONDA, op. cit., p. 340.
114) X. XXXXXX, Il Testo Unico dell'apprendistato: note sui profili formativi, in Dir. rel. ind., 2011, 04, 1013.
115) X. XXXXXXXX, Formazione continua tra qualifica e mestiere, in Guida al decreto lavoro Sole 24 ore del 22 agosto 2013.
Il legislatore introduce all'art. 3 del Testo Unico del 2011 il comma 2 bis): una volta ottenuta la qualifica o il diploma professionale è possibile trasformare il contratto in apprendistato professionalizzante o di mestiere con la precipua finalità di conseguire la qualifica professionale. La durata complessiva dei due periodi di apprendistato non può eccedere quella massima individuata dalla contrattazione collettiva.
L'obiettivo del legislatore sembra essere la continuità fra tali due tipologie di apprendistato ed il mantenimento del tasso occupazionale116. La Conferenza Stato Regioni, entro il 30 settembre 2013, dovrà adottare linee guida volte a disciplinare le assunzioni con contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere. Nell'ambito della linee guida possono essere adottate disposizioni derogatorie del d.lgs. 14 settembre 2011, n. 167:
- il piano formativo individuale di cui all'articolo 2, co. 1, lettera a) è obbligatorio esclusivamente in relazione alla formazione per l'acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche;
- la registrazione della formazione e della qualifica professionale a fini contrattuali eventualmente acquisita è effettuata in un documento avente i contenuti minimi del modello di libretto formativo del cittadino di cui al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del
10 ottobre 2005, recante “Approvazione del modello di libretto formativo del cittadino”;
- in caso di imprese multi localizzate, la formazione avviene nel rispetto della disciplina della Regione ove l'impresa ha la propria sede legale.
La disciplina derogatoria non soffre alcune limitazione temporale come previsto nella disciplina originaria (assunzioni effettuate fra l'entrata in
116) X. XXXXXXXX, op. cit., p. 7.
117) Art. 2, co. 2 e 3, d.l. 21 giugno 2013, n. 76.
4. Gli altri profili del contratto
Molti rilevanti aspetti della disciplina del contratto di apprendistato non sono affrontati in modo dettagliato nella ricostruzione del Testo Unico del 2011.
In quest'ultimo paragrafo sono evidenziati alcuni profili del contratto di apprendistato che sono stati solamente accennati nelle pagine precedenti.
A) Il Patto di prova
Fra i principi che devono essere rispettati dalle parti sociali nel disciplinare il contratto di apprendistato, il Testo Unico del 2011 prevede anche la forma scritta del patto di prova (ex art. 2, co. 1, lett. a)).
Così si esprime l'art. 2096, co. 2, del codice civile: “l'imprenditore ed il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova”.
L'applicazione di tale patto al contratto di apprendistato risale all'art. 9 della legge 19 gennaio 1955, n. 25: “può essere convenuto fra le parti un periodo di prova. Esso sarà regolato ai sensi dell'art. 2096 del Codice civile e non potrà eccedere la durata di due mesi".
La legge del 1955 è stata abrogata dall'art. 7, co. 6, del Testo Unico 2011 ed oggi la durata massima del patto di prova è rimessa alla contrattazione collettiva. Solitamente il periodo varia dal minimo di un mese fino al massimo di tre mesi.
La contrattazione collettiva parametra differentemente la durata massima del patto di prova: in alcuni contratti è quella prevista dai contratti collettivi per la categoria finale di destinazione, in altri è collegata al
livello inizialmente riconosciuto al momento dell'assunzione oppure alla durata del contratto118.
Ex art. 2096, co. 3, si evince della possibilità, per ciascuna delle parti, di recedere senza obbligo di preavviso o indennità durante il periodo di prova.
Nel caso in cui sia stabilita una durata minima del periodo di prova, il recesso non può essere esercitato prima della scadenza di tale termine.
Qual è la funzione di tale clausola di prova e quindi il ruolo dell'imprenditore e dell'apprendista?
Quest'ultima posizione dottrinale è coerente con quanto espresso dalla Suprema Corte negli anni novanta del secolo scorso. Il patto di prova può solamente testare l'idoneità ad acquisire la qualifica professionale, visto
accordo tra Federturismo Confindustria, Confindustria Aica e Filcams Cgil, Fisascat- Cisl, Uiltucs-Uil del 14 maggio 2012.
119) X. XXXXXXXX, ult. op. cit.
120) M. SALA GHIRI, op. cit., p. 265.
121) X. XXXX, X. XXXXXXXXX, Diritto del lavoro, VII ed., Padova, 2003.
che quest'ultima è del tutto assente nel giovane apprendista.
Secondo quanto previsto dall'art. 2096, co. 4, l'assunzione diviene definitiva compiuto il periodo di prova.
Inoltre il servizio prestato dopo il periodo di prova si computa nell'anzianità del prestatore di lavoro.
Infine in dottrina122 si ritiene l'apposizione del patto di prova meramente facoltativa.
B) La retribuzione dell'apprendista (approfondimento)
La retribuzione, come specificato nel capitolo primo, non ha sempre accompagnato la vita del contratto di apprendistato: la dottrina ha escluso che il rapporto, nel periodo medioevale e corporativo, potesse ricondursi alla categoria dei contratti di lavoro subordinati.
Il Testo Unico del 2011 dedica al tema della retribuzione parole molto chiare e quindi l'art. 2, co. 1, lettera b) e c), non necessita di interpretazione.
Vige il divieto di retribuzione a cottimo (previsto già all'art. 2131 del codice civile e successive leggi): non è possibile collegare la retribuzione dell'apprendista alla produttività del lavoratore.
Superando le incertezze del regime previgente, oggi, la contrattazione collettiva può alternativamente permettere al datore di lavoro di beneficiare del sottoinquadramento fino a due livelli rispetto alla categoria spettante ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni che sono l'obiettivo del contratto di apprendistato, oppure di stabilire la retribuzione in misura percentuale e
122) X. XXX, Formazione e rapporto di lavoro, Milano, 1988; X. XXXXX, op. cit., p. 65.
in modo graduale alla anzianità si servizio.
- la prestazione ha un valore minore in conseguenza della mancanza di qualificazione dell'apprendista;
- l'insegnamento professionale è un corrispettivo dell'attività prestata dall'apprendista.
L'articolo della Costituzione accanto al requisito della proporzionalità richiama anche la sufficienza della retribuzione: deve essere in grado di soddisfare i bisogni del lavoratore e della sua famiglia circa un'esistenza libera e dignitosa.
Il criterio di sufficienza si può applicare al contratto di apprendistato? Non si può escludere tale principio facendo leva sull'art. 147 del codice civile (obbligo per chi esercita la patria potestà del sostentamento) e sul fatto che gli assegni famigliari siano corrisposti al capofamiglia del minore apprendista, poiché si lederebbe l'art. 37 della Costituzione che disciplina il principio di parità retributiva (gli assegni vanno corrisposti al minore se capofamiglia).
Più correttamente la funzione del rapporto di lavoro subordinato di essere
123) Cass., 28 ottobre 1978, n. 4947, in Rep. giur. it., 1978, voce “lavoro” (Rapporto), n. 382.
124) X. XXX, op. cit., 187.
125) X. XXX, ult. op. cit.
C) Il sistema sanzionatorio
Il Testo Unico del 2011 mutua la disciplina sanzionatoria dall'abrogato art. 53 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. La fattispecie descritta dall'art. 7 del Testo Unico del 2011 prevede un comportamento inadempiente nell'erogazione della formazione di cui sia responsabile solamente il datore di lavoro.
Tale mancanza da parte del datore deve inoltre essere idonea ad impedire la realizzazione delle finalità del contratto di apprendistato.
La configurazione di questi presupposti fa scattare la sanzione: “il datore è tenuto a versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento, con esclusione di qualsiasi
126) X. XXXX, Onerosità e corrispettività nel rapporto di lavoro, Milano, 1968.
127) M. X. XXXXXXXXXXX, X. XX XXXXXX, xx. xxx., x. 000.
128) Cass. 28 gennaio 1995, n. 1052, in Dir. lav., 1995, II, p. 289; Cass., 10 giugno
altra sanzione per omessa contribuzione”.
Una definizione puntuale dell'inadempimento è stata dettata dalla circolare del Ministero del lavoro 14 ottobre 2004, n. 40: “l'inadempimento formativo imputabile al datore di lavoro sarà valutato sulla base del percorso di formazione previsto all'interno del piano formativo e di quanto regolamentato dalla disciplina regionale. Tale inadempimento potrà configurarsi in presenza di uno dei suddetti elementi: quantità di formazione, anche periodica, inferiore a quella stabilita nel piano formativo o dalla regolamentazione regionale; mancanza di un tutor aziendale avente competenze adeguate o di ogni altro elemento che provi una grave inadempienza del datore di lavoro nell'obbligo formativo”.
Nel caso di inadempimento nella erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale, il personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, adotterà un provvedimento di disposizione assegnando un congruo termine per adempiere, al datore di lavoro.
Nel caso in cui vi sia inottemperanza al provvedimento dispositivo degli
129) M. SALA GHIRI, op. cit., p. 280.
130) Circolare del Ministero del lavoro 11 novembre 2011, n. 29, in Dir. Prat. Lav., 2011, 48, p. 2862 ss.
ispettori, il datore di lavoro incorrerà nella sanzione amministrativa di importo variabile da euro 515 a euro 2.580 prevista all'art. 11, co. 1,
d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, come successivamente modificato.
Il datore di lavoro, inoltre, subisce la sanzione civile della trasformazione del contratto di apprendistato in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ex tunc, con recupero di tutte le differenze contributive e retributive, in conseguenza del mancato adempimento degli obblighi di formazione131.
L'art. 7, co. 2, del Testo Unico del 2011 prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 600 euro a carico del datore nel caso di violazione, da parte dei contratti collettivi, dei principi enunciati dall'art. 2.
Le violazioni prese in considerazione dal legislatore sono:
- mancanza della forma scritta del contratto, patto di prova, e piano formativo individuale (che deve inoltre essere definito entro trenta giorni dalla stipulazione);
- corresponsione della retribuzione a cottimo all'apprendista;
- mancato riconoscimento del corretto sottoinquadramento o della retribuzione percentualizzata;
- mancanza del tutor o referente aziendale (non individuazione dello stesso oppure carenza dei requisiti legislativi).
Nel caso di recidiva la sanzione è aumentata e varia da 300 euro fino a
1.500 euro.
Gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza sono anche competenti in tema di contestazione delle sanzioni amministrative. La diffida costituisce una condizione di procedibilità, che pone in secondo piano la sanzione: il fine è quello di
131) P. RAUSEI, Illeciti e sanzioni. Il diritto sanzionatorio del lavoro, Milano, 2011.
assicurare l'adempimento ed alleggerire il carico del contenzioso giudiziario132.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la recente circolare 2013, n. 5, ha fatto luce su alcuni profili del sistema sanzionatorio dettato dal Testo Unico del 2011. Lo stesso, “dopo aver affermato che deve ritenersi “proporzionalmente più difficile” azzerare l'inadempimento “all'approssimarsi della scadenza del periodo formativo”, allo scopo di “uniformare il comportamento ispettivo”, individua esplicitamente, con parametri numerici predeterminati, i casi in cui si può adottare il provvedimento di disposizione”133. L'intervento del Ministero, inoltre, precisa per ogni singola tipologia di apprendistato quando l'inadempimento datoriale porta all'applicazione del regime sanzionatorio.
D) L'estinzione del rapporto di apprendistato
L'estinzione del contratto di apprendistato costituisce la conclusione del rapporto e tale fenomeno si verifica come conseguenza del decorrere del tempo, dell'esercizio del recesso oppure dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione.
La scadenza del termine di durata massima della componente formativa comporta l'estinzione del rapporto che può trasformarsi in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato nell'ipotesi di mancato recesso delle parti. Se le parti esercitano il diritto di recesso il vincolo contrattuale viene meno.
132) M. D'ONGHIA, ult. op. cit.
133) P. XXXXXX, Il nuovo apprendistato fra ispezioni e sanzioni (anticipazione), in Dir. rel. ind., n. 1/ XXIII, 2013.
L'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale prevede per la componente formativa una durata massima di tre anni ovvero quattro nel caso di diploma quadriennale regionale.
L'apprendistato professionalizzante pone il limite massimo dei tre anni ovvero cinque per i profili professionali dell'artigiano, individuati dalla contrattazione collettiva.
Infine per il contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca la durata del periodo che attiene al profilo formativo è demandata alle Regioni.
Anche l'impossibilità sopravvenuta della prestazione dell'apprendista determina l'estinzione del rapporto di apprendistato.
La morte dell'apprendista o l'invalidità permanente dello stesso integrano una causa di estinzione del rapporto.
La soluzione muta nell'ipotesi di morte del datore di lavoro: tale evento, infatti, rileva ai fini della continuazione del rapporto, solamente nei rari casi in cui la prestazione dell'apprendista sia legata in maniera indissolubile alla persona del datore di lavoro.
Molto più frequenti i casi in cui la cessazione dell'attività d'impresa impedisca la prestazione lavorativa e l'addestramento.
Divenuta la prestazione impossibile, il rapporto di apprendistato si estingue di diritto.
Infine merita di essere evidenziata la disciplina del recesso delle parti dal contratto di apprendistato: dimissioni del lavoratore e licenziamento.
Il recesso assume una connotazione differente a seconda del periodo in cui è esercitato:
- prima della conclusione del periodo formativo, il recesso può portare all'estinzione del rapporto solamente se sorretto da una giusta causa o giustificato motivo soggettivo od oggettivo;
- dopo la conclusione del periodo formativo il recesso può essere esercitato nel rispetto del periodo di preavviso (che decorre dal termine del periodo stesso).
Tale regolamentazione del legislatore è funzionale, da un lato, al lavoratore che vuole garantirsi un lavoro a tempo indeterminato e, dall'altro lato, al datore di lavoro il cui interesse ad un vincolo limitato nel tempo è palese.
Dal punto di vista delle qualificazione giuridica il recesso al termine del periodo formativo costituisce un'ipotesi di recesso ad nutum.
Il licenziamento nel periodo formativo che non sia sorretto dalla giustificazione o giusta causa determina l'applicazione delle disciplina limitativa dei licenziamenti individuali.
E) Il tempo della prestazione
La prima disciplina generale sull'orario risale al r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692: l'orario xxxxxxx xxxxxxxxxxx era fissato in otto ore, mentre quello settimanale non poteva superare le quarantotto ore.
La legge 19 gennaio 1955, n. 25, all'art. 10, co. 1, in deroga alla disciplina comune fissava il limite, per l'apprendista, delle otto ore giornaliere e quarantaquattro settimanali. Le ore destinate al all'insegnamento complementare dovevano essere considerate come ore di lavoro effettivo (art. 17 regolamento attuativo contenuto nel d.P.R 30
134) X. XXXXXXXX, op. cit., p. 462.
dicembre 1956, n. 1668).
L'ultima modifica in tema di orario è stata apportata dal d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, secondo cui la disciplina generale sull'orario di lavoro, compresa quella sul lavoro notturno e straordinario, si applicherebbe anche agli apprendisti maggiorenni. In virtù di tale precisazione l'orario normale di lavoro è fissato in quaranta ore settimanali (art. 3, co 1), anche se la contrattazione collettiva può prevedere un orario inferiore.
Per gli apprendisti di età compresa fra i quindici e diciotto anni l'orario di lavoro non può superare le otto ore giornaliere e quaranta ore settimanali, in ossequio alla disciplina di maggior favore dettata dalla legge 17 ottobre 1967, n. 977.
Per quello che riguarda l'orario di lavoro straordinario, è necessario leggere l'art. 5 bis del r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692: il lavoro straordinario è vietato a meno che non sia saltuario oppure nei casi eccezionali di esigenze produttive che non possano essere fronteggiate attraverso l'assunzione di altri lavoratori. Tale peculiare ipotesi ovviamente non può applicarsi ai lavoratori apprendisti.
Il divieto di lavoro notturno, già dall'art. 10, co. 4, della legge 19 gennaio 1955, n. 25, caratterizza la disciplina dell'apprendistato: l'apprendista non può essere adibito al lavoro tra le ore ventidue e le ore sei.
Per lavoro notturno si intende quello svolto nel corso di un periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo fra la mezzanotte e le cinque del mattino.
135) Pret. Prato 20 luglio 1995, n. 677, in Rep. Foro it., 1996, voce Lavoro (rapporto).
Se l'apprendista è un adolescente il divieto di lavoro notturno discende dalla legge del 1967.
Le successive modifiche del legislatore permettono, oggi, al minore di prestare l'attività lavorativa non oltre le ventiquattro (il riposo in tal caso deve essere di almeno quattordici ore).
Se il minore ha compiuto i sedici anni può essere adibito al lavoro notturno solamente rispettando alcuni requisiti:
- caso di forza maggiore che impedisca all'azienda di funzionare;
- temporaneità dell'adibizione;
- impossibilità di adibire altri lavoratori adulti.
Il lavoratore ha comunque diritto ad un riposo compensativo per il periodo di lavoro notturno.
Il divieto di lavoro notturno per le donne e per gli apprendisti maggiorenni dipendenti da imprese artigiane di panificazione e di pasticceria e nel comparto turistico e alberghiero, sono eliminati dagli ultimi interventi normativi.
La disciplina del riposo varia anche in questo caso in relazione all'età dell'apprendista. Se l'apprendista è un minore il riposo settimanale è di due giorni (possibilmente consecutivi) compresa la domenica.
Mentre il lavoratore maggiorenne ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposto di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola coincidenti con la domenica.
Le ferie retribuite sono un diritto irrinunciabile del lavoratore che può essere declinato diversamente a seconda dell'età:
- non meno di trenta giorni se ha meno di sedici anni;
- non meno di venti giorni se ha un'età compresa fra i sedici e diciotto anni;
- non meno di quattro settimane se è maggiorenne.
La dottrina e giurisprudenza concordano sulla possibilità di stipulare un contratto di lavoro di apprendistato a tempo parziale; il part time, però, non può in nessun caso incidere sugli obblighi del datore di lavoro, che deve impartire la formazione necessaria per raggiungere le finalità del contratto136. In tal senso la compatibilità del part time con il contratto di apprendistato deve essere verificata nel caso di specie.
Il Ministero del lavoro con la risposta ad interpello del 18 gennaio 2007,
n. 4, ha chiarito come il periodo di attività formativa non possa essere riproporzionato in relazione al ridotto orario di lavoro.
La contrattazione collettiva regola esplicitamente il contratto di apprendistato a tempo parziale.
F) Gli standard professionali e standard formativi e la certificazione delle competenze
La c.d. riforma Biagi, all'art. 51, ha introdotto la disciplina degli standard professionali e formativi nonché della certificazione delle competenze (abrogato dal Testo Unico in esame).
136) Pret. Padova 12 luglio 1989, in Orient. giur. lav., 1989, p. 671.
In dottrina vedi X. XXX, La disciplina giuridica del rapporto a tempo parziale, in Riv. giur. lav., 1980, I, p. 350 e X. XXXXXX, L'orario di lavoro e i riposi, in X. XXXXXXXXXXX (a cura di), Commentario del codice civile, sub art. 2107, Milano, 1987, p. 42
137) M. SALA GHIRI, op. cit., p. 169.
Il legislatore del 2011 prevede che entro dodici mesi dall'entrata in vigore del decreto, siano definiti gli standard formativi per la verifica dei percorsi formativi in apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e in apprendistato di alta formazione da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell'istruzione, della università e della ricerca e previa intesa con Regioni e Province autonome.
Devono essere rispettate le competenze di Regioni e Province autonome così come l'intesa tra Governo, Regioni e parti sociali del 17 febbraio 2010.
Gli standard professionali di riferimento ai fini della verifica dei percorsi formativi in apprendistato professionalizzante e apprendistato di ricerca sono quelli definiti dai contratti collettivi nazionali di categoria oppure, in assenza, da intese specifiche anche in corso della vigenza contrattuale. In dottrina138si ritiene che la disposizione del Testo Unico del 2011 permetta di misurare e successivamente spendere la formazione erogata, mediante gli strumenti necessari (introdotti dalla legge), nel successivo percorso professionale.
È necessario un chiarimento sugli standard descritti dal legislatore.
Per standard professionali si intendono i requisiti minimi delle competenze necessarie per svolgere una professione; gli standard formativi invece sono i programmi degli insegnamenti diretti a una qualifica professionale con i relativi obiettivi di apprendimento, il contenuto dei curricula professionali e l'articolazione dei percorsi formativi139.
Le regole per la richiesta di un certificato o il conseguimento di un
138) X. XXXXXXXX, X. XX XXXX XXXXXX, op. cit., p. 2562.
139) M. SALA GHIRI, op. cit., p. 211.
diploma professionale con i relativi diritti acquisiti, sono gli standard di certificazione140.
Il repertorio delle professioni, già previsto dalla c.d. riforma Biagi, è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e predisposto sulla base dei sistemi di classificazione del personale previsti nei contratti collettivi di lavoro e in coerenza con quanto previsto nelle premesse dalla intesa tra Governo, Regioni e parti sociali del 17 febbraio 2010, da un apposito organismo tecnico di cui faranno parte il Ministero dell'istruzione, della università e della ricerca, le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i rappresentanti della Conferenza Stato Regioni.
Infine la certificazione delle competenze spetta alle Regioni e Province Autonome sulla base del repertorio delle professioni; tali competenze sono registrate sul libretto formativo del cittadino nel rispetto dell'accordo tra Governo, Regioni e parti sociali del 17 ottobre 2010.
Durante il periodo necessario all'attivazione del repertorio delle professioni si fa riferimento agli standard regionali esistenti.
140) X. XXXXXXXX, Certificazione delle competenze, in X. XXXXXXXXXX, Il testo unico dell'apprendistato e le nuove regole sul tirocinio, Milano, 2011.
141) X. XXXXXXXXXXX, Il nuovo apprendistato dopo la legge di riforma del mercato del lavoro del 2012, in Riv. it. dir. lav., 2012, 04, p. 695 ss.
G) Le abrogazioni ed il regime transitorio
Ex art. 7, co. 6, del Testo Unico del 2011 con l'entrata in vigore della riforma sono abrogate le principali fonti normative sull'apprendistato: la legge 19 gennaio 1955, n. 25, gli art. 21 e 22 della legge 28 febbraio
1987, n. 56, l'art. 16 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e gli articoli 47-
53 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
Nelle righe dell'articolo è possibile scorgere un duplice intento:
Il legislatore all'art. 7, co. 7, prevede che per le Regioni e i settori ove la disciplina non sia immediatamente operativa trovino applicazione le regolamentazioni vigenti, in via transitoria e per un periodo non superiore ai sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge (fino al 25 aprile 2013).
Concentrando l'attenzione sul contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere, il legislatore stabilisce che in assenza dell'offerta formativa pubblica, trovino applicazione immediata le regolamentazioni contrattuali vigenti. All'offerta formativa teorica della Regione si sostituisce l'offerta formativa pratica svolta nelle singole
142) X. XXXXXXXX, X. XX XXXX XXXXXX, ult. op. cit.
imprese144.
CAPITOLO III
L'ANALISI DEI TRE SOTTOTIPI CONTRATTUALI
1. L'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale
Prima di parlare della novella legislativa e del suo tenore innovativo rispetto alla precedente disciplina del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, è necessario fare un riepilogo sulla c.d. riforma Xxxxxxx (nonché sue successive modifiche) data l'incidenza sui cicli d'istruzione e il coordinamento con l'apprendistato di cui alla c.d. riforma Biagi.
La frequenza al primo ciclo d'istruzione, della durata di cinque anni, e della scuola secondaria di primo grado, della durata di tre anni, veniva resa obbligatoria.
Il secondo ciclo d'istruzione che attiene alla scuola secondaria di secondo grado, si articolava in un percorso di alternanza scuola-lavoro per un periodo di cinque anni oppure in alternativa si attuava mediante la tipologia di apprendistato disciplinata dall'art. 48 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
145) vedi d.lgs. 2005, n. 76 e legge delege 2005, n. 53.
Il primo riferimento normativo all'apprendistato come mezzo per assolvere l'obbligo di frequenza ad attività formative fino al diciottesimo anno di età, era contenuto nell'art. 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144. L'ottenimento di un diploma di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale dispensava dall'obbligo.
L'art. 5 del d.P.R. 12 luglio 2000, n. 257, regolamento di attuazione della legge, stabiliva il mezzo per assolvere l'obbligo formativo: la frequenza a moduli formativi aggiuntivi, di centoventi ore.
Il contratto di apprendistato doveva essere tenuto distinto dall'altro mezzo utilizzato per adempiere all'obbligazione: l'alternanza scuola- lavoro.
Gli studenti che avessero compiuto quindi anni di età potevano realizzare i corsi del secondo ciclo in alternanza scuola-lavoro, solo dopo la predisposizione di un percorso formativo ideato dall'istituzione scolastica, le imprese, i sindacati, le camere di commercio (o altri soggetti pubblici e privati). Le istituzioni scolastiche dovevano stanziare risorse per la realizzazione di tale percorsi ma non si instaurava un rapporto di lavoro con le imprese ed giovani.
Varie difficoltà non hanno permesso alla c.d. riforma Xxxxxxx una piena attuazione: in conseguenza di ciò il contratto di apprendistato come disciplinato dall'art. 48 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, è rimasto sulla carta e non si è potuto misurare nel mercato del lavoro.
La successiva legge 27 dicembre 2006, n. 296, modificava l'obbligo scolastico portandolo a dieci anni e conseguentemente innalzava l'età di accesso al lavoro da quindici a sedici anni, con l'evidente esclusione della possibilità di applicare l'istituto in esame per i minori degli anni sedici.
In realtà la Regione Abruzzo con la legge 4 dicembre 2009, n. 30, aveva autorizzato alla stipulazione del contratto di apprendistato anche ai
Il percorso giunge al termine con la legge 4 novembre 2010, n. 183: il legislatore abbassava a quindi anni il limite di età per poter stipulare i contratti di apprendistato di cui all'art. 48 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
Dopo il breve riepilogo delle ultime riforme intervenute sul sistema scolastico italiano è possibile concentrare l'attenzione sul Testo Unico del 2011 che, come ampiamente ricordato, presenta il contratto sotto una triplice veste.
Il contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale è disciplinato all'art. 3 del Testo Unico.
La finalità del contratto, far acquisire una qualifica ed un diploma professionale, porta alla nuova denominazione di “apprendistato professionalizzante”.
Il primo sottotipo di contratto disciplinato dal legislatore, può essere descritto come il superamento normativo rispetto al contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto dovere di istruzione e formazione previsto dall'art. 48 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
Ictu oculi, confrontando la tipologia prevista dalla c.d. riforma Biagi e quella descritta dal Testo Unico, emerge un'estensione soggettiva e funzionale: la platea dei destinatari del contratto è più vasta e la funzione del negozio assume contorni più ampi.
L'età di accesso al contratto rimane quindici anni mentre il limite
146) Corte Cost. 15 novembre 2010, n. 334, in Riv. it. dir. lav., 2011, p. 276 ss.