Dottorato di ricerca
Dottorato di ricerca
in Diritto europeo dei contratti civili, commerciali e del lavoro Scuola Dottorale Interateneo in Scienze Giuridiche “Ca’ Foscari” Ciclo 24° (A.A. 2010 - 2011)
ELECTIO LEGIS
E CONTRATTI DEI CONSUMATORI
Settore scientifico disciplinare di afferenza IUS/01
Tesi di dottorato di Xxxxxxxx XXXXXXX (matr. 955621)
Coordinatore del Dottorato Tutore del dottorando
Xxxx. Xxxxx XXXXXXXXX Xxxx. Xxxxxxxx XXXXXXXX
Co-tutore del dottorando Xxxx. Xxxxxxxx XXXXXXXX
Alla mia amata Xxxxx
INDICE
pag.
Introduzione | VI |
Cap. I Contratti dei consumatori | |
I. Mercato unico e contratti dei consumatori | 1 |
II. I contratti dei consumatori: identificazione della fattispecie | 4 |
III. Definizione di consumatore | 6 |
IV. Tutela del consumatore e ratio mercantile | 14 |
Cap. II | |
Il regolamento Roma I | |
I. Competenze comunitarie in materia di diritto internazionale | |
privato | 21 |
II. Il regolamento Roma I e la conversione della convenzione di | |
Roma del 1980 | 26 |
III. Finalità del regolamento | 31 |
IV. Ambito di applicazione materiale del regolamento | 34 |
V. Carattere universale del regolamento: ambito di applicazione | |
ratione loci e ratione temporis | 37 |
VI. Rapporti tra il regolamento e le altre fonti comunitarie | 39 |
VII. Rapporti tra il regolamento e le convenzioni internazionali | 44 |
VIII. (segue) Rapporti tra il regolamento e la convenzione di Roma | 48 |
IX. Attuazione della “non Member-State clause”: la soluzione | |
italiana | 50 |
X. (segue) La soluzione spagnola | 54 |
XI. Rapporti tra regolamento Roma I e norme di attuazione della | |
“non Member-State clause” | 57 |
Cap. III La legge applicabile al contratto I. Libertà di scelta della legge applicabile II. Oggetto della scelta: legge in senso proprio o anche fonti non statali? III. Legge applicabile in mancanza di scelta IV. Ambito di operatività della lex contractus V. I limiti all’esercizio dell’autonomia privata: norme imperative semplici e di applicazione necessaria VI. Ordine pubblico Cap. IV La disciplina di conflitto relativa ai contratti di consumo nella convenzione di Roma e nella proposta di regolamento presentata dalla Commissione I. La convenzione di Roma e i contratti di consumo II. La legge applicabile ai contratti dei consumatori secondo la convenzione di Roma III. (segue) Portata e limiti del sistema di tutela offerto dalla convenzione di Roma IV. La disciplina di conflitto relativa ai contratti di consumo nella proposta di regolamento presentata dalla Commissione V. Gli elementi innovativi della disciplina di conflitto proposta dalla Commissione Cap. V La disciplina del regolamento Roma I I. La disciplina di conflitto relativa ai contratti di consumo secondo il regolamento Roma I | pag. 59 61 66 72 77 84 90 92 95 99 103 108 |
II. Ambito di applicazione dell’art. 6 ratione personae e ratione materiae III. La bipartizione tra consumatori meritevoli e non meritevoli di tutela: il criterio dell’attività diretta IV. La struttura dell’art. 6 e l’inversione dei criteri di collegamento V. I limiti cui soggiace la legge scelta dalle parti e i rapporti con l’art. 9 del regolamento VI. La residenza abituale come criterio di collegamento VII. Inadeguatezza del criterio della residenza abituale rispetto alle finalità di assicurare maggiore tutela al consumatore VIII. Insufficiente protezione del consumatore mobile IX. La promozione della fiducia del consumatore come ratio dell’art. 6 del regolamento Conclusioni Bibliografia | pag. 111 113 116 119 123 126 129 130 136 139 |
INTRODUZIONE
Già la convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali dettava una disciplina per così dire “speciale” per i contratti di consumo, con il dichiarato proposito di assicurare una tutela rafforzata al consumatore in quanto contraente debole.
Xxx xxxxx dall’esprimere una sorta di solidarietà paternalistica, la tutela del consumatore era, al contrario, rivolta a riequilibrare le posizioni contrattuali nello svolgimento dei rapporti di scambio transfrontalieri all’interno dell’allora mercato comune europeo, così da evitare sopraffazioni del contraente più forte (il professionista) a tutto vantaggio di un ordinato dispiegarsi dell’iniziativa economica con indubbie ricadute positive sul mercato e, più in generale, sulla società nel suo complesso con il conseguimento di un più elevato benessere sociale.
La protezione del consumatore (contraente debole) si è progressivamente affermata come valore fondante dell’azione delle Istituzioni comunitarie. Non a caso, all’art. 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è previsto espressamente che «nelle politiche dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori» e, parimenti, all’art. 169 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (già art. 153 del Trattato CE) si indica come finalità dell’azione comunitaria quella di «assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori».
Questa logica di protezione del consumatore, che è espressione – come si dirà diffusamente infra - della politica comunitaria di strutturazione e regolazione del mercato unico interno, ha ispirato un’ampia produzione normativa, nel cui ambito sono presenti anche disposizioni di diritto internazionale privato, volte ad individuare la legge applicabile nella disciplina delle fattispecie che presentino elementi di estraneità rispetto all’ordinamento nazionale. Si tratta per lo più di disposizioni che impongono l’applicazione delle norme imperative di diritto comunitario anche quando le parti abbiano scelto come applicabile la legge di uno Stato terzo, sempre che il contratto presenti uno stretto legame con il territorio di uno o più Stati membri. La svolta si è avuta con il Trattato di Amsterdam che ha attribuito alle Istituzioni comunitarie nuove e più ampie competenze nel settore del diritto internazionale
privato, che hanno portato alla c.d. “comunitarizzazione” della materia.
Nell’esercizio di dette competenze è stato adottato, inter alias, il regolamento n. 593/2008 (Roma I) sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, che ha segnato la trasformazione della convenzione di Roma in strumento normativo comunitario. Nelle pagine che seguono se ne analizzeranno le ragioni di opportunità e i diversi momenti che ne hanno caratterizzato il percorso formativo.
In occasione dell’adozione del regolamento Roma I, il legislatore comunitario non ha mancato di prendere in considerazione l’esigenza di protezione dei consumatori, tant’è che il regolamento dedica una specifica disciplina ai contratti di consumo, ricalcando essenzialmente l’impostazione della convenzione di Roma, seppur con taluni adattamenti resi necessari dalla evoluzione delle tecniche di negoziazione e di commercializzazione.
Nella proposta di regolamento del 2005, la soluzione ritenuta più congrua per la tutela del consumatore era stata quella di negare ai contraenti la facoltà di scegliere la legge applicabile, indicando come tale la legge dello Stato di residenza abituale del consumatore.
Nel testo definitivo del regolamento approvato dal Parlamento e dal Consiglio, invece, viene nuovamente riconosciuta, anche se con alcuni temperamenti, la libertà di scelta della legge applicabile in quanto principio fondante del sistema delle norme di conflitto in materia di obbligazioni contrattuali.
Considerato che di fatto la scelta della legge regolatrice del contratto non potrà che essere imposta dal professionista, il problema che ne discende e che sarà oggetto di indagine nella presente trattazione, è se la disciplina dettata dal regolamento risponda effettivamente all’esigenza di rafforzare la tutela materiale del consumatore (garantendo l’applicazione della legge che gli sia oggettivamente più favorevole) o se, invece, la ratio vada più correttamente ricercata altrove.
E’ pur vero che nei contratti di consumo l’autonomia delle parti, sul piano della scelta della legge applicabile, è soggetta a talune limitazioni che ne comprimono il libero esercizio a tutto vantaggio del consumatore, è però altrettanto vero che la disciplina nel suo complesso non pare approdare a risultati soddisfacenti sotto il profilo dell’adeguata protezione del consumatore, soprattutto nel caso di consumatore “mobile”.
Sempre in materia consumeristica, ha trovato conferma nel regolamento anche il criterio di collegamento per la individuazione della legge applicabile in mancanza di scelta delle parti. Si tratta del criterio della residenza abituale che presta il fianco a talune obiezioni, risultando non del tutto appropriato (e non solo nel caso di contratti stipulati online) a garantire adeguata protezione al consumatore sul piano della disciplina materiale del rapporto contrattuale.
Sotto altro profilo, il regolamento sembra privilegiare l’obiettivo di assicurare la certezza del diritto in termini di prevedibilità della legge applicabile e non, invece, l’esigenza di rafforzare la tutela del consumatore, con ciò confermando che la finalità dell’intervento normativo non possa restare circoscritta nell’alveo della protezione consumeristica.
Ulteriore questione meritevole di approfondimento è quella riguardante la soluzione adottata dal regolamento di precludere ai contraenti di scegliere, come diritto applicabile per la disciplina del rapporto contrattuale, norme di origine non statale, consentendone soltanto un recepimento negoziale. Tale opzione si pone evidentemente in contrasto con l’evoluzione delle fonti di regolamentazione dei contratti che ha ormai segnato il definitivo superamento del monopolio statale a favore del decentramento della produzione giuridica e del conseguente pluralismo delle fonti.
Di ciò non ha affatto tenuto conto il legislatore comunitario, facendo subire al sistema europeo di diritto internazionale privato un sostanziale arretramento, anziché promuoverne la modernizzazione, che pure doveva rappresentare il punto d’arrivo dell’opera di trasformazione della convenzione di Roma in strumento normativo comunitario.
CAPITOLO I CONTRATTI DEI CONSUMATORI
SOMMARIO: I. Mercato unico e contratti dei consumatori. – II. I contratti dei consumatori: identificazione della fattispecie. – III. Definizione di consumatore. – IV. Tutela del consumatore e ratio mercantile.
I. Mercato unico e contratti dei consumatori
Con l’adozione nel 1986 dell’Atto Unico Europeo1 che ha novellato significativamente il Trattato istitutivo, all’originario obiettivo di dar vita ad un mercato comune europeo si è sovrapposta la più ambiziosa, e per certi versi strategica, finalità di costruire un mercato unico interno coincidente con l’intero territorio dell’Unione europea.
Tale scelta di fondo, ribadita nel successivo Trattato di Maastricht del 19922 e poi ulteriormente sviluppata nel Trattato di Amsterdam del 19973, spiega il significativo mutamento, come meglio si dirà nel seguito, dei contenuti della legislazione comunitaria, maggiormente orientata allo sviluppo di discipline di rilievo privatistico e, segnatamente, di regolamentazione contrattuale.
La costruzione di un mercato unico interno ha imposto una politica del diritto orientata alla strutturazione di detto mercato attraverso l’adozione di regole comuni e la progressiva attenuazione delle differenze tra le discipline giuridiche di regolamentazione del mercato proprie dei singoli ordinamenti nazionali. In questo quadro, la legislazione comunitaria investe tendenzialmente tutti i profili giuridici del mercato: quelli oggettivi che riguardano i beni e i servizi; quelli soggettivi che
1 L’Atto Unico Europeo che ha modificato il Trattato istitutivo della Comunità economica europea (in G.U.C.E., L 169 del 29 giugno 1987), è stato aperto alla firma a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 ed è entrato in vigore il 1° luglio 1987. L’Italia lo ha ratificato con la legge 23 dicembre 1986, n. 909.
2 Il Trattato di Maastricht sull’Unione europea del 7 febbraio 1992 (in G.U.C.E., C 191 del 29 luglio 1992), ratificato dall’Italia con la legge 3 novembre 1992, n. 454, è entrato in vigore il 1° novembre 1993.
3 Il Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 che ha modificato il Trattato sull’Unione europea, i Trattati istitutivi delle Comunità europee e alcuni atti connessi (in G.U.U.E., C 340 del 10 novembre 1997), è entrato in vigore il 1° maggio 1999. L’Italia lo ha ratificato con la legge 16 giugno 1998, n. 209.
interessano gli operatori economici e i beneficiari finali e quelli per così dire funzionali, che attengono ai contratti intesi come strumenti attraverso i quali si realizza la circolazione dei beni e dei servizi e si governano le relazioni tra imprese.
La strutturazione del mercato unico, che interviene in un contesto storico in cui ciascun paese ha proprie discipline di mercato, si è attuata essenzialmente attraverso l’introduzione delle fondamentali “regole del gioco”; processo questo, guidato dalle Istituzioni comunitarie che, con il loro intervento, hanno segnato la prevalenza del momento legislativo, seppur nella versione soft di un’armonizzazione dei diritti nazionali, dando corpo alla centralizzazione delle regole che servono a garantire la corretta competizione, e ridimensionando l’ambito di operatività dell’autoregolamentazione da parte degli operatori economici che, invece, nel passato ha svolto un ruolo decisivo per la formazione e lo sviluppo della lex mercatoria. D’altra parte, è innegabile che il diritto e le regole che da esso discendono, siano una componente strutturale senza la quale il mercato non potrebbe esistere e, al tempo stesso, contribuiscono a strutturalo e farlo funzionare.
Il mercato unico, dunque, non può e non deve essere inteso semplicemente come area geografica nella quale i beni e i servizi sono destinati ad essere scambiati, ma piuttosto come sistema di relazioni collegate all’incontro tra domanda e offerta. In questa ottica, il passaggio dal mercato comune europeo al mercato unico interno segna la trasformazione della legislazione comunitaria che da disciplina del prodotto diviene disciplina delle relazioni e, quindi, dell’attività contrattuale che quelle relazioni governa; il contratto, non a caso, è la veste legale delle operazioni economiche4.
Il diritto privato si afferma, pertanto, come momento centrale nella strutturazione e regolamentazione del mercato5; un mercato che assume come modello economico di riferimento il regime concorrenziale in quanto ritenuto idoneo, nel suo ottimale dispiegarsi, ad assicurare la migliore allocazione delle risorse così da massimizzare i vantaggi nell’interesse generale.
4 Per una più compiuta trattazione dell’evoluzione della legislazione comunitaria per effetto della istituzione del mercato unico interno si rinvia a X. XXXXXXXXXX, L’attività e il contratto, in Tratt. di dir. priv. europeo, Vol. III, a cura di X. XXXXXX, Padova, 2003, 3 e ss.
5 Celebre al riguardo è l’efficace definizione di X. Xxxxxxx che descrive il diritto privato come il dito indice di quella mano invisibile che guida l’economia di mercato (cfr. X. XXXXXXX, Regulating contracts, Oxford, 1999, 59).
Ecco che allora gli interventi normativi sono destinati a preservare l’operatività di una sana e genuina concorrenza rimuovendo tutte quelle barriere e ostacoli distorsivi che porterebbero al fallimento del mercato.
L’esigenza di ridare effettività alla concorrenza e così assicurare il funzionamento del mercato, evidentemente compromesso dalla crescente asimmetria delle informazioni tra i soggetti che operano come venditori e acquirenti, ha imposto la costruzione di un circuito informativo sulla qualità di prodotti e servizi, nonché la costruzione di un analogo circuito informativo sulla qualità dei contratti e cioè sul complessivo trattamento giuridico dell’operazione quale risultante dall’insieme delle clausole contrattuali. La rimozione delle asimmetrie informative assicura la comparabilità, nella prospettiva della trasparenza, delle diverse soluzioni offerte, consentendo al contraente di operare scelte razionali e consapevoli.
Nella definizione delle nuove regole del mercato unico finalizzate a preservare il regime concorrenziale e assicurare allo stesso una sostanziale effettività, l’attenzione del legislatore comunitario si è concentrata principalmente sui c.d. mercati finali, ovverosia i mercati che vedono come protagonisti gli operatori professionali, da un lato, e i consumatori finali, dall’altro.
Ciò in quanto il sistema di relazioni che si sviluppano all’interno dell’istituzione mercato registra una assoluta preponderanza in termini quantitativi delle operazioni economiche che vedono come parte il consumatore.
E’, dunque, del tutto evidente che non si possa procedere alla costruzione e strutturazione di un mercato unico senza intervenire sulla disciplina, di rilievo squisitamente privatistico, dell’attività contrattuale che governa le relazioni che coinvolgono i consumatori.
L’attenzione del legislatore comunitario verso i mercati finali si spiega anche in considerazione del fatto che proprio nelle relazioni tra operatori professionali e consumatori, ossia nella contrattazione di massa, si registra la più significativa manifestazione degli ostacoli al corretto funzionamento del mercato concorrenziale.
I mercati finali in cui sono coinvolti i consumatori rappresentano quel segmento del più ampio sistema economico che svolge un ruolo assolutamente primario e trainante, con la conseguenza che eventuali disfunzioni, soprattutto in termini di
distorsione della concorrenza, sono destinate a ripercuotersi negativamente anche sulle relazioni tra gli operatori professionali e, quindi, sull’intero sistema economico. L’obiettivo di assicurare il funzionamento del mercato concorrenziale, dunque, non può che passare attraverso la fissazione di regole che governano le relazioni
economiche tra consumatori e operatori professionali.
In questa logica di strutturazione di un mercato concorrenziale, gli interventi normativi che riguardano i consumatori e che rappresentano una parte significativa, anche in termini quantitativi, della produzione normativa comunitaria, ben lungi dall’essere ispirati da finalità paternalistiche di protezione del consumatore inteso come contraente debole o da finalità di equità distributiva, rispondono al contrario alla logica di fondo di facilitare il funzionamento del mercato attraverso il sano dispiegamento della concorrenza.
Se al consumatore si consente di compiere scelte razionali e consapevolmente orientate attraverso un appropriato sistema di regole dell’attività contrattuale e dei contratti, la concorrenza ne risulta premiata in quanto si innesca un meccanismo selettivo che porta alla tendenziale esclusione dal mercato degli operatori meno competitivi a tutto vantaggio dell’ottimale funzionamento del mercato stesso.
II. I contratti dei consumatori: identificazione della fattispecie
Le considerazioni sopra svolte danno conto della particolare rilevanza che nell’ambito della legislazione comunitaria assumono la figura del consumatore (della cui definizione si dirà nel paragrafo seguente) e i contratti di cui il consumatore è parte contraente (consumer contracts).
Si tratta di contratti che vedono come parti un operatore professionale, da un lato, e un consumatore, dall’altro, e che con efficace formula di sintesi sono definiti contratti business to consumer (il cui acronimo, assai in uso, è B2C) per distinguerli dai contratti che coinvolgono soltanto operatori professionali (c.d. contratti business to business - B2B).
Come già osservato, il legislatore comunitario ha concentrato la propria attenzione sui contratti dei consumatori dedicando ad essi numerose direttive. Ciò non significa, tuttavia, che siano stati trascurati i rapporti verticali tra imprese. In materia
contrattuale, anche questi rapporti sono stati oggetto di diversi interventi normativi6 che, in parte, ricalcano le soluzioni già adottate per i contratti dei consumatori e, in parte, sono del tutto originali7.
Questi interventi normativi, non sempre coerenti e di portata non sistematica, hanno impedito l’affermazione di un modello di contratto unitario, dando corpo ad una settorializzazione del diritto privato europeo, nel cui ambito convivono diversi modelli contrattuali che si distinguono in ragione dello status (o qualità socio- economiche) dei contraenti, dell’oggetto del contratto o ancora in ragione delle tecniche di contrattazione.
Sulla scena del diritto privato europeo, un ruolo dominante è comunque ascrivibile al modello del contratto del consumatore che, secondo un recente orientamento interpretativo, assurgerebbe addirittura, seppur contaminato dalla disciplina dei contratti tra imprese, a nuovo paradigma contrattuale, significativamente diverso da quello tradizionale del contratto di diritto comune8.
6 Si pensi, per fare qualche esempio, alla direttiva 86/653/CEE concernente gli agenti di commercio; al regolamento 4087/88 relativo a taluni aspetti degli accordi di franchising e alla direttiva 2000/35/CE sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
7 Si è rimarcato in dottrina come, nel passato, una disciplina nata all’interno del ceto commerciale, nel suo progressivo oggettivizzarsi, abbia finito coll’invadere il campo proprio del diritto privato. In ambito comunitario, invece, si assiste ad un processo inverso: il diritto europeo dei contratti prende il via dai mercati finali per risalire ai mercati intermedi e quindi alle relazioni contrattuali che hanno come protagonisti solo operatori professionali, riproducendo anche in questo ambito soluzioni in larga parte ispirate a quelle già adottate per le relazioni contrattuali tra operatori professionali e consumatori (cfr. X. XXXXXXXXXX, L’attività e il contratto, cit., 106 e ss.).
8 Sull’argomento X. XXXXX, Il contratto del duemila, 3ª ed., Torino, 2011, 51 e ss., secondo cui la disciplina dei contratti del consumatore consente di identificare un nuovo e diverso paradigma contrattuale che, tuttavia, non resta circoscritto a tale ambito, ma si nutre anche della disciplina di contratti che prescindono dalla menzionata qualità di consumatore (subfornitura, agenzia, franchising, contratti bancari e finanziari), mostrando una forza espansiva che gli permette di proiettarsi al di là del suo ambito originario, invadendo anche il campo delle relazioni non riconducibili alla coppia consumatore/professionista.
Gli elementi caratterizzanti il nuovo paradigma contrattuale sarebbero quelli di un contratto (i) la cui forza di legge è notevolmente attenuata (per le diffuse previsioni di recesso e di invalidità discendenti dal moltiplicarsi di vincoli di forma, di contenuto e di trasparenza), (ii) la cui più diffusa impugnabilità è bilanciata dal contenimento delle conseguenze delle impugnazioni (legittimazione ristretta, nullità relative, nullità solo parziali), (iii) il cui contenuto è sempre più largamente assoggettato a controlli sull’equilibrio delle prestazioni in senso non solo normativo ma anche economico, e (iv) il cui regime subisce la crescente commistione tra regole di validità e regole di comportamento/responsabilità.
Il dato unificante dei contratti le cui discipline definiscono il nuovo paradigma contrattuale, secondo l’A., non può identificarsi riduttivamente in una rigida categorizzazione socio-economica delle parti contraenti, ma va ricercato in un elemento più generale: l’asimmetria di potere contrattuale. «Ovunque si manifesti detta asimmetria (e quindi in tutte le relazione che contrappongono una parte dotata di superiore potere contrattuale ad un’altra parte con potere contrattuale inferiore, nostro il corsivo), il
Anche nel regolamento CE n. 593 del 17 giugno 2008 (Roma I) sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (d’ora in avanti regolamento Xxxx X)0, è dato ampio risalto ai contratti dei consumatori, ai quali è dedicata una articolata disciplina che sarà oggetto di più attenta analisi nel prosieguo.
Ancora una volta il legislatore comunitario non ha trascurato la categoria dei contratti dei consumatori, ammettendo che anche in tale ambito i contraenti possano, seppur con le limitazioni che vedremo, scegliere la legge destinata a regolare il rapporto contrattuale.
III. Definizione di consumatore
Non v’è dubbio che alla nozione di consumatore debba essere riconosciuto un ruolo centrale, in quanto la sua definizione serve a delineare i confini della categoria, come pure l’ambito di applicazione della relativa disciplina di protezione.
Il regolamento Roma I all’art. 6 definisce il consumatore come la persona fisica che conclude il contratto «per un uso che possa essere considerato estraneo alla sua attività commerciale o professionale».
La definizione è sostanzialmente coincidente, seppur con qualche sfumatura terminologica di non poco momento, con quelle contenute nelle numerose direttive che si occupano di consumatori e nella corrispondente normativa nazionale di recepimento10.
legislatore introduce, a protezione della parte che la patisce, quelle regole che si sono indicate come costitutive del nuovo paradigma contrattuale».
In altri termini, il fenomeno da registrare sarebbe quello della transizione dal contratto del consumatore alla più generale figura del contratto con asimmetria di potere contrattuale, che identificherebbe appunto il nuovo paradigma contrattuale di portata generale e quindi di generale applicazione in tutti i rapporti negoziali caratterizzati dalla riferita asimmetria di potere contrattuale, prescindendo dalla caratterizzazione soggettiva e dalle qualità socio-economiche delle parti contraenti.
9 Il regolamento CE n. 593 del 17 giugno 2008 è stato pubblicato in G.U.U.E., L 177 del 4 luglio 2008.
10 La direttiva 85/577/CEE in materia di contratti negoziati fuori dai locali commerciali definisce il consumatore come persona fisica che agisce per un uso che può considerarsi estraneo alla propria attività professionale (cfr. art. 2). La direttiva 93/13/CEE in materia di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori e la direttiva 97/7/CE in materia di contratti a distanza definiscono il consumatore come la persona fisica che agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale (cfr. art. 2). All’attività professionale si aggiunge anche quella commerciale nella definizione di consumatore contenuta nell’art. 1 della direttiva 99/44/CE (in materia di vendita di beni di consumo e garanzie) e nell’art. 2 della direttiva 2002/65/CE (concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori). Nella più recente direttiva 2008/48/CE relativa ai
Il primo dato testuale che si ricava dalla riferita definizione, è che consumatore può essere soltanto una persona fisica.
Restano, dunque, esclusi gli enti personificati e non11. La ragione di tale esclusione è ravvisabile nel convincimento che l’ente non possa oltrepassare i limiti dell’agire professionale, essendo la sua attività necessariamente vincolata al raggiungimento degli scopi fissati nell’atto costitutivo e nello statuto, i quali soltanto ne giustificano l’esistenza e la capacità di agire.
In altri termini, l’inconcepibilità di una attività extraprofessionale dell’ente ne giustifica l’esclusione dalla categoria del consumatore12. Ciò vale anche per gli enti non profit, atteso che sul piano definitorio non assume alcun rilievo la natura lucrativa o meno dell’attività svolta, bensì il carattere necessariamente professionale,
contratti di credito al consumo (che abroga e sostituisce la precedente direttiva 87/102/CEE), nella definizione di consumatore l’agire per fini estranei è sostituito dalla formula agire per scopi estranei (cfr. art. 3).
Quanto alla normativa nazionale, il codice del consumo (D. Lgs. n. 206/2005) ha posto fine all’esperienza ultradecennale di una pluralità di definizioni di matrice comunitaria disseminate nel codice civile e nelle leggi speciali, unificando la nozione di consumatore (alla quale è pure ricondotto la figura dell’utente) definito come la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
11 Non è mancato in dottrina chi ha ritenuto di estendere l’accesso alla tutela consumeristica anche agli enti e persone giuridiche sulla base di una ricostruzione della disciplina in chiave di tutela della parte contrattualmente debole del rapporto, tenendo conto che anche gli enti e persone giuridiche possano di fatto trovarsi in una analoga situazione di debolezza nella contrattazione con i professionisti (cfr. X. XXXX, sub art. 1469-bis, comma 2°, Ambito soggettivo di applicazione della disciplina. Il consumatore e il professionista, in Commentario al capo XIV-bis del cod. civ.: dei contratti del consumatore, a cura di C.M. BIANCA – F.D. BUSNELLI, Padova, 1999, 153; nello stesso senso X. XXXXXXXX, Commento all’art. 1469-bis, in La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, a cura di X. XXXXXXXX, Napoli, 1996, 33 e ss.).
La questione della prospettata illegittimità, per violazione dell’art. 3 Cost., del negato accesso alla tutela consumeristica agli enti che versino nella medesima condizione di debolezza che normalmente caratterizza il consumatore nei rapporti con la controparte professionale, è approdata al vaglio della Corte costituzionale, che in due distinte occasioni si è pronunciata per la infondatezza (cfr. Corte cost., 30 giugno 1999, n. 282, in Foro it., 1999, I, 3118 e Xxxxx xxxx., 00 xxxxxxxx 0000, x. 000, xx Xxxx xx.,
2003, I, 332).
12 In tal senso X. XXXX – X. XXXXX, voce Consumatore (protezione del) nel diritto civile, Dig. disc. priv., sez. civ., XV, Appendice, Torino, 1997, 547 e ss.; X. XXXXX, Il Consumatore, in Tratt. di dir. priv. europeo, a cura di X. XXXXXX, Vol. I, Padova, 2003, 443 e ss.
La riferibilità della nozione di consumatore alle sole persone fisiche non ha impedito alla giurisprudenza di riconoscere la qualità di consumatore in situazioni in cui il contratto, pur formalmente riferibile ad un ente, sia di fatto riconducibile ad una pluralità di persone fisiche. E’ il caso dei contratti stipulati dall’amministratore di condominio, aventi ad oggetto prestazioni di servizi a vantaggio della collettività condominiale. L’assenza in capo al condominio come ente di gestione di una soggettività giuridica distinta da quella dei singoli condomini e la qualifica di mandatario con rappresentanza dell’amministratore di condominio hanno consentito di ricondurre i contratti in questione alla disciplina propria dei contratti dei consumatori, trattandosi pur sempre di contratti riferibili alle persone fisiche che compongono la collettività condominiale (cfr. Cass., 24 luglio 2001, n. 10086, in Corr. giur., 2001, 1436).
e cioè organizzato e non occasionale, dell’attività medesima.
Rispetto alle precedenti formule definitorie che fanno riferimento all’agire contrattuale per scopi estranei (all’attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta), la nozione di consumatore di cui all’art. 6 del regolamento Roma I reintroduce il concetto della conclusione del contratto per un “uso” estraneo all’attività commerciale o professionale. L’originaria formula “agire per scopi estranei” non è risultata di facile lettura; non è chiaro se lo scopo possa coincidere con i motivi soggettivi dell’agente o con la finalità oggettiva del contratto o ancora con la funzione economico-sociale che identifica la causa del contratto.
La soppressione, nella definizione di consumatore fatta propria dal regolamento Roma I, di ogni riferimento allo scopo dell’agire contrattuale ha consentito di archiviare le difficoltà interpretative sopra evidenziate. La nuova formula della conclusione del contratto per un uso estraneo all’attività commerciale o professionale, però, lungi dall’introdurre un dato chiarificatore omogeneo, si presta anch’essa a letture diverse. Non è chiaro se l’uso debba essere inteso come utilizzazione del contratto o se, invece, vada riferito all’ulteriore fase della destinazione d’uso del bene o servizio oggetto del contratto. Anche l’aggettivo “estraneo” che si accompagna al termine uso rimane ambiguo: è dubbio, infatti, se abbia valenza meramente negativa (uso non professionale) o invece valenza positiva (uso con finalità di consumo).
E’ bene da subito rimarcare che nella ricostruzione della nozione di consumatore e nella definizione dei confini della categoria gioca un ruolo determinante l’individuazione della ratio della disciplina di tutela del consumatore.
Secondo parte della dottrina, come si dirà più diffusamente nel paragrafo seguente, la normativa consumeristica sarebbe essenzialmente finalizzata ad assicurare adeguata tutela ad un soggetto (il consumatore), in quanto contraente che si trova in una situazione di debolezza socio-economica nella contrattazione con un operatore professionale13. La condizione soggettiva di debolezza consentirebbe la
13 Cfr. X. XXXX-ZENCOVICH, Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione tra contratti commerciali e contratti dei consumatori), in Giur. it., 1993, IV, 72; A. ORESTANO, I contratti con i consumatori e le clausole abusive nella direttiva comunitaria: prime note, in Riv. crit. dir. priv., 1992, 468 e ss., che pur ravvisando la ratio della normativa in esame nella reazione ad una situazione di disparità sostanziale, ha messo in luce le incongruenze dell’impostazione comunitaria che, in quanto
identificazione dello status di consumatore riferito all’individuo, con la conseguente affermazione di una “categoria” di portata generale, il cui dato aggregante sarebbe per l’appunto la situazione di debolezza socio-economica14.
La riferita impostazione, peraltro in contrasto con l’orientamento della Corte di giustizia europea15, è fatta oggetto di notazioni critiche da quella parte della dottrina che ritiene che la ratio della disciplina consumeristica non sia da ricercare nella esigenza di offrire tutela ad un soggetto debole, quanto piuttosto nella finalità di strutturare i mercati finali secondo il modello concorrenziale, attraverso la disciplina dell’atto di consumo che rappresenta il momento più qualificante del sistema di relazioni che si sviluppano nell’istituzione mercato16.
Da questo punto di vista, nella definizione di consumatore non assume rilievo
costruita intorno alla rigida partizione tra consumatori (soggetti deboli) e professionisti (soggetti forti), appare inidonea a dar conto della disparità di forza contrattuale realmente esistente tra le parti e peraltro insensibile ad analoghe situazioni di disparità esistenti tra professionisti.
14 E’ difficile parlare dei consumatori come categoria composta da soggetti ugualmente deboli, atteso che «la definizione di consumatore fatta propria dalla legislazione (comunitaria e, sulla sua scia, da quella) interna….. è di estensione tale da determinare l’applicazione della disciplina a soggetti (purché persone fisiche) caratterizzati dalle più diverse competenze ed esperienze professionali. A ciò si aggiunga che esistono altre categorie di soggetti (si pensi ai subfornitori specializzati) che, pur non rientrando nella definizione di consumatore e, quindi, non trovando protezione nella disciplina, sono caratterizzate da una situazione di debolezza.… eguale se non maggiore rispetto a quella in cui si trovano i consumatori nei confronti dei professionisti» (in questi termini X. XXXXXXXXX, Sulla nozione di consumatore, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 1157). Si veda anche X. XXXXXXXXX, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, 21 e ss., il quale rileva che
«la diversità di ruoli, egemoni e subalterni, che si cumulano simultaneamente in ciascun soggetto, rende impossibile che esso si schieri, una volta per tutte, da una parte. Chi produce in un settore è consumatore in un altro».
15 Nella sentenza 3 luglio 1997, causa C-269/95 (in Giust. civ., 1998, I, 12) la Corte ha sottolineato la necessità di adottare una nozione restrittiva di consumatore, da ritenersi limitata al «consumatore finale privato non impegnato in attività commerciali o professionali». Nella stessa sentenza, la Corte ha inoltre sottolineato che ai fini del riconoscimento della qualifica di consumatore, occorre riferirsi al “ruolo” del soggetto nel contesto di un determinato contratto, rispetto alla «natura e finalità» di quest’ultimo e non invece alla natura soggettiva della persona, posto che «un solo e medesimo soggetto può essere considerato un consumatore nell’ambito di determinate operazioni e un operatore economico nell’ambito di altre». Secondo la Corte, dunque, soltanto i contratti conclusi al fine di soddisfare le esigenze di “consumo privato” di un individuo potranno beneficiare della particolare tutela riservata al consumatore.
16 Cfr. X. XXXXXXXXXX, L’attività e il contratto, cit., 13 e ss.; X. XXXXXXXXX, Sulla nozione di consumatore, cit., 2003, 1156 e ss.; X. XXXXXXX, Tecniche di controllo dell’autonomia contrattuale nella prospettiva del diritto europeo, in Europa e dir. priv., 2008, 847 e ss.; Id., Integrazione giuridica europea e regolazione del mercato. La disciplina dei contratti di consumo nel sistema del diritto della concorrenza, in Europa e dir. priv., 2001, 718 e ss.; M. BARCELLONA, Sulla giustizia sociale nel diritto europeo dei contratti, in Europa e dir. priv., 2005, 651 e ss.; X. XXXXXXXXX, Note minime in tema di autonomia privata alla luce della Costituzione europea, in Europa e dir. priv., 2005, 55 e ss.;G. CHINÈ, Disposizioni generali e finalità, in Codice del consumo, a cura di X. XXXXXXX, Xxxxxx, 0000, 17 e ss.
alcuno la situazione di debolezza socio-economica, né l’attività svolta dal soggetto. Al contrario, tratto qualificante, in aggiunta alla qualità di persona fisica, è la finalità del contratto che deve rispondere ad uno scopo che sia estraneo all’attività imprenditoriale o professionale del soggetto contraente della cui qualifica di consumatore si discute17. Resta, pertanto, irrilevante la condizione soggettiva della persona, essendo necessario soltanto riferirsi al ruolo di detta persona in un dato contratto rispetto alla natura e alla finalità di quest’ultimo. Con la conseguenza che uno stesso soggetto può porsi come consumatore nell’ambito di determinati rapporti contrattuali e come professionista nell’ambito di altri.
Se, dunque, la ratio della normativa consumeristica è quella di strutturare i mercati finali in senso concorrenziale attraverso la rimozione di quelle asimmetrie informative che, intervenendo quali fattori distorsivi del corretto funzionamento del mercato, ostacolano l’effettiva operatività delle regole della concorrenza, la figura del consumatore non può che identificarsi con il soggetto (persona fisica) che conclude il contratto per soddisfare proprie esigenze personali, familiari o domestiche, restando escluso ogni collegamento funzionale tra il contratto e l’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta18.
La sussistenza di un siffatto collegamento funzionale impedisce di per sé che il soggetto agente possa qualificarsi come consumatore; di talché, non rientra nell’ambito di applicazione della disciplina consumeristica il consumo strumentale o professionale, assumendo rilievo soltanto il consumo finale privato19.
17 E’ opinione sostanzialmente pacifica in dottrina, e condivisa anche dalla giurisprudenza, che l’indagine circa la finalità del contratto nel senso della sua estraneità all’attività imprenditoriale o professionale del contraente debba essere condotta esclusivamente sulla base di parametri oggettivi, prescindendo da ogni considerazione dell’intenzione e dei motivi soggettivi che abbiano indotto la persona a stipulare il contratto, giacché non sussiste alcun elemento (neanche indiziario) che autorizzi a ritenere che il legislatore abbia inteso derogare al principio della irrilevanza dei motivi in materia contrattuale (cfr. X. XXXXXXXXX, Tutela del consumatore e clausole vessatorie, Napoli, 1999, 40; X. XXXX – X. XXXXX, voce Consumatore (protezione del) nel diritto civile, cit., 545; X. XXXX, sub art. 1469-bis, comma 2°, Ambito soggettivo di applicazione della disciplina. Il consumatore e il professionista, cit., 153; X. XXXX, Il nuovo Capo XIV-bis (Titolo II, Libro IV) del Codice civile sulla disciplina dei contratti dei consumatori, in Studium iuris, 1996, 414).
18 Cfr. X. XX XXXXXX, Ancora sulla nozione di “consumatore” nei contratti, in Giust. civ., 2002, I, 685; X. XXXX – X. XXXXX, voce Consumatore (protezione del) nel diritto civile, cit., 543 e X. XXXXXXX, Ambito soggettivo di applicazione degli artt. 1469-bis e ss. c.c., in Contratti, 2000, 442.
19 E’ utile richiamare al riguardo la definizione offerta da X. Xxxxxxxxx, secondo cui consumatore è
«l’individuo … che usa e consuma una cosa senza derivarne mezzi di sostentamento o perseguire, per suo tramite, scopi che si collocano al di là della sua esistenza o attività privata» (X. XXXXXXXXX, sub art. 11, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, a cura di X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXXXX, in
Tale approdo ermeneutico è contestato da altra parte della dottrina che sostiene una interpretazione estensiva della nozione di consumatore fondata sulla distinzione tra atti della professione e atti relativi alla professione20. I primi sarebbero gli atti mediante i quali il soggetto esplica la sua professione, gli atti cioè che rientrano nel genere di quelli compiuti dal soggetto nell’esercizio della professione, e questi certamente non sarebbero classificabili come contratti di consumo (si pensi all’acquisto di autoveicoli da parte di un soggetto che esercita l’attività di rivendita al pubblico).
Gli atti relativi alla professione, invece, sono quegli atti che pur realizzati nel contesto dell’esercizio della professione, non ne sono espressione diretta ma sono collegati ad essa da un rapporto di strumentalità occasionale (si pensi al rivenditore di automobili che ne affida una ad un vettore per il trasporto nel luogo in cui si tiene la fiera dell’auto).
Per effetto di tale distinzione, rientrerebbero nell’ambito di applicazione della disciplina consumeristica non solo gli atti di consumo privato, ma anche quelli di consumo strumentale o professionale, sempre che l’atto non sia collegato alla professione da un rapporto di strumentalità non occasionale.
La nozione estensiva di consumatore che ne deriva, risponderebbe appieno alla ratio della disciplina consumeristica che – come già detto - è quella di rimuovere le asimmetrie informative in quanto fattori distorsivi del mercato. Questo essendo l’obiettivo del legislatore, deve considerarsi consumatore, secondo la dottrina in esame, anche il professionista quando stipula un contratto che non sia espressione diretta della professione, in tal caso versando in una condizione di deficit informativo e cioè in una condizione di diseguaglianza nella disponibilità di informazioni che gli
Nuove leggi civ. comm., 1989, 633). Nella stessa prospettiva X. XXXXXXXXX, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, cit., 21, il quale osserva che «l’attributo di consumatore vale …. ad individuare in termini soggettivi l’atto di consumo, ovvero il negozio posto in essere per finalità prevalentemente personali, e cioè non imprenditoriali o, più in genere, non professionali».
20 Il richiamato orientamento dottrinale si fonda sul noto indirizzo della giurisprudenza francese che distingue gli actes de la profession da quelli relatifs à la profession (sull’argomento si rinvia a X. XXXXX, Le “clausole abusive” nell’esperienza tedesca, francese, italiana e nella prospettiva comunitaria, Napoli, 1994, 374 e ss.). In dottrina, X. XXXX, sub art. 1469-bis, comma 2°, Ambito soggettivo di applicazione della disciplina. Il consumatore e il professionista, cit., 153 e ss.; X. XXXXXXXXX, Sulla nozione di consumatore, cit., 1166 e ss.; X. XXXXX, Ancora in tema di nozione di “consumatore” e contratti a scopi professionali: un intervento chiarificatore, in Giust. civ., 2000, I, 2119 e ss.; X. XXXX, “Consumatore”, “professionista” e criteri di vessatorietà nei contratti del consumatore, in Corr. giur., 2002, 1627.
impedisce di compiere scelte razionali e consapevoli. E perciò merita di accedere alla speciale protezione riservata al consumatore21.
Quando, invece, si tratta di atti tipici della professione o comunque di atti ad essa strumentalmente collegati in via non occasionale, il professionista è in grado, o si può presumere che lo sia, di valutare compiutamente gli effetti e i rischi che il contratto produrrà sul piano giuridico ed economico. Ciò in ragione della specifica competenza che il professionista ha, o dovrebbe avere, quando opera nell’ambito proprio della sua professione; competenza che è di per sé fattore impeditivo di quel deficit informativo, con la conseguenza che l’atto non può ricomprendersi nella categoria dei contratti di consumo. Lo stesso varrebbe per gli enti e le persone giuridiche, la cui esclusione dalla categoria dei consumatori si spiega non tanto in funzione del loro agire che deve essere necessariamente professionale, quanto piuttosto in ragione della loro organizzazione per il perseguimento di uno scopo che interviene come fattore parimenti impeditivo (o quantomeno fortemente riduttivo) di quella asimmetria informativa la cui rimozione costituisce l’obiettivo fondante della disciplina consumeristica22.
La tesi che ricostruisce la nozione di consumatore secondo il criterio degli atti della professione, prescinde dall’indagine sulla destinazione d’uso del bene o servizio oggetto del contratto, concentrando l’attenzione sulla utilizzazione del contratto stesso al fine di verificare se rientri o meno nel quadro dell’attività imprenditoriale o professionale del soggetto che acquista.
Sotto questo profilo, la tesi in esame troverebbe positivo conforto nella definizione di consumatore fatta propria dal regolamento Roma I che, per l’appunto, fa riferimento alla conclusione del contratto per un uso estraneo all’attività commerciale o professionale, a condizione però che il termine uso lo si intenda come riferito alla utilizzazione del contratto e non, invece, all’ulteriore fase della destinazione d’uso del bene o servizio che di quel contratto forma oggetto23.
21 In questi termini X. XXXXXXXXX, Sulla nozione di consumatore, cit., 1180.
22 Cfr. X. XXXXXXXXX, Xxxxx nozione di consumatore, cit., 1181.
23 La nozione di consumatore fondata sull’indagine circa l’utilizzazione del contratto per verificarne se sia o meno atto della professione, ha trovato riconoscimento anche in giurisprudenza (cfr. Tribunale Roma, 20 ottobre 1999, in Giust. civ., 2000, 2117).
La tesi in discussione avrebbe, inoltre, l’innegabile pregio di risolvere il problema del c.d. uso promiscuo, rispondente cioè sia a finalità personali che professionali (tipico è il caso dell’acquisto del computer da parte di un professionista per impiegarlo non solo nell’esercizio della professione ma anche nel privato). Il soggetto che acquista sarebbe da considerare consumatore, a prescindere dalla destinazione d’uso del bene o del servizio, se la conclusione del contratto si colloca al di fuori dell’ambito proprio dell’attività professionale o imprenditoriale, trattandosi di atto che non rientra nel genere di quelli compiuti dal soggetto nell’esercizio della sua attività24.
Sempre in tema di uso promiscuo, altra impostazione valorizza, ai fini della qualificazione, il criterio dell’uso prevalente; di talché la normativa consumeristica sarebbe applicabile ogni qualvolta l’uso extraprofessionale abbia preminenza25. In tal senso sembra orientata anche la Corte di giustizia europea che, nella sentenza del 20 gennaio 2005, C-464/0126, ha precisato che per ravvisare un contratto del consumatore non è sufficiente che sia riconosciuta l’equivalenza o addirittura la prevalenza degli scopi extra-professionali nel contesto dell’operazione, essendo necessario che le finalità non professionali (obiettive e non soggettive) rivestano un ruolo all’evidenza “egemone” rispetto a quelle professionali27.
Il criterio della prevalenza trova conferma anche nella proposta di direttiva sui diritti dei consumatori presentata dalla Commissione l’8.10.2008 e approvata con
24 Al contrario, secondo la tesi dello scopo dell’atto, sussistendo comunque un collegamento funzionale tra il contratto e l’attività professionale o imprenditoriale, il soggetto mai potrebbe qualificarsi come consumatore.
25 Cfr. E. XXXXXXXXX, Tutela del consumatore e clausole vessatorie, cit., 42.
26 Cfr. Corte di giustizia, 20 gennaio 2005, C-464/01, in Dir. e giust., 2005, 8, 102.
27 Ciò, tuttavia, imporrebbe un’indagine sulle intenzioni dell’acquirente, trasformando il parametro di valutazione che dovrebbe essere oggettivo, in parametro necessariamente anche soggettivo, lasciando di conseguenza spazio ad incertezze ed ambiguità, come avviene in tutti i casi in cui si pretenda di dar rilievo a fattori valutavi attinenti alla sfera soggettiva della persona.
Perplessità verso la pronuncia della Corte sono espresse anche da X. XXXXX, La tutela consumeristica e l’acquisto per fini promiscui, in Europa e dir. priv., 2007, 177 e ss., secondo cui per un corretto inquadramento sistematico degli acquisti per fini promiscui sarebbe necessario abbandonare la prospettiva meramente strutturale, di rilievo quantitativo o proporzionale dei differenti usi che compongono la promiscuità (prospettiva che finirebbe coll’introdurre arbitrari criteri di consistenza e di graduazione degli scopi, dando ingresso a profili volontaristici e soggettivistici di dubbio fondamento e legittimità), e far ricorso all’elemento causale. In sostanza, dovrebbe essere la causa, intesa come l’interesse fondamentale alla cui realizzazione il programma negoziale è preordinato, a qualificare il contraente in senso consumeristico o meno. Vi sarebbe parallelismo – osserva l’A. – tra funzione consumeristica dell’atto, riconoscibile dall’interesse fondamentale perseguito e dal dispiegarsi dei suoi effetti economico-sociali e giuridici, e la qualità dell’agente.
significative modifiche dal Parlamento europeo il 23.06.2011 (manca ancora l’approvazione del Consiglio per completare l’iter normativo e giungere all’adozione definitiva)28. Nel considerando n. 17, infatti, si dice che quando il contratto è concluso per fini che parzialmente rientrano nel quadro delle attività commerciali della persona e parzialmente ne restano al di fuori, e lo scopo commerciale è talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale della fornitura, la persona in questione dovrebbe essere considerata consumatore.
Quale che sia l’opzione ermeneutica preferibile, un dato è comunque certo: quella di consumatore è una qualità contingente del soggetto (persona fisica) da accertarsi con riguardo ad un determinato contratto, e non è esclusa a priori dal fatto di essere il soggetto un imprenditore o professionista, purché nel caso specifico il contratto non sia esplicazione di tale sua eventuale attività.
IV. Tutela del consumatore e ratio mercantile
Nella ricostruzione della ratio della normativa consumeristica si registrano in dottrina, come già accennato, due contrapposti orientamenti.
28 Si tratta della proposta di direttiva COM (2008) 0614 def. e del successivo testo approvato con risoluzione del Parlamento europeo (P7_TA-PROV(2011) 0293), consultabili entrambi in versione integrale sul sito xxxx://xx.xxxxxx.xx. Il testo approvato dal Parlamento segna, salvo eventuali futuri ripensamenti, una evidente battuta d’arresto nella politica legislativa di armonizzazione completa che la Commissione aveva mostrato di voler perseguire, seguendo l’esempio della recente direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori. Nella proposta di direttiva dell’8.10.2008 sui diritti dei consumatori la Commissione, con l’obiettivo di ridurre la frammentazione del quadro normativo, aveva abbandonato l’approccio tradizionale della armonizzazione minima, suggerendo l’adozione di un complesso uniforme di disposizioni finalizzate ad assicurare al consumatore un livello elevato di protezione, con contestuale negazione al legislatore nazionale della facoltà di mantenere o introdurre norme interne divergenti rispetto a quelle contenute nella direttiva. In sede di approvazione, il Parlamento ha ridimensionato l’opzione della armonizzazione completa che resta circoscritta ai profili normativi di maggiore rilevanza, ammettendo che gli Stati membri possano mantenere o adottare disposizioni divergenti, seppur limitatamente a quegli aspetti per i quali sia espressamente consentito dalla direttiva.
Anche l’ambito di incidenza della disciplina normativa è decisamente più ridotto: la Commissione proponeva di integrare e modificare quattro direttive (la direttiva 85/577/CEE sulla tutela dei consumatori nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali, la direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, la direttiva 97/7/CE riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza e la direttiva 99/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo). Il Parlamento ha, invece, scelto di riesaminare soltanto le direttive 85/577/CEE e 97/7/CE, abbandonando il progetto di procedere con un unico atto normativo alla semplificazione e aggiornamento della complessiva disciplina consumeristica, che certo non brilla per esaustività e coerenza sistematica, anche a causa della sua adozione in tempi e in contesti socio-economici diversi.
Alcuni autori ritengono che la normativa in questione risponda all’esigenza di garantire adeguata tutela ad un soggetto che si trova in una situazione di debolezza, in senso socio-economico, nella contrattazione con un operatore professionale29.
In questa prospettiva, verrebbe superato il principio di uguaglianza formale dei contraenti su cui fonda il nostro codice civile, giacché la categoria dei contratti dei consumatori presupporrebbe una diseguaglianza sostanziale tra le parti30.
La condizione soggettiva di debolezza quale dato aggregante condurrebbe all’affermazione di una categoria di portata generale, composta da soggetti “deboli”31 che, in quanto tali, sarebbero destinatari di una speciale normativa di protezione, ispirata da esigenze di equità e di giustizia distributiva.
Tale impostazione è criticata da altra parte della dottrina che ravvisa, più propriamente, la ratio della normativa consumeristica nella regolazione del mercato e nella sua strutturazione secondo il modello concorrenziale attraverso la disciplina dell’atto di consumo che rappresenta il momento più qualificante del sistema di relazioni che si sviluppano nell’istituzione mercato32; disciplina che deve condurre alla rimozione delle asimmetrie informative e degli ostacoli che, intervenendo quali fattori distorsivi della concorrenza, pregiudicano l’efficiente funzionamento del mercato.
E’ questa la c.d. ratio mercantile che, anche a parere di scrive, rappresenta il motivo fondante delle scelte normative operate dal legislatore comunitario.
Non v’è dubbio che nella disciplina dei rapporti contrattuali un ruolo di primo piano compete all’autonomia privata che assolve alla funzione di consentire alle parti
29 In questo senso si vedano gli Autori citati a pag. 8, nota 13.
00 Xxx. X. XXXX-XXXXXXXXX, Xx diritto europeo dei contratti, cit., 72.
31 Per i rilievi critici sulla categoria dei consumatori in quanto soggetti ugualmente deboli si rinvia alle osservazioni svolte a pag. 9, nota 14.
32 In questo senso si vedano gli Autori citati a pag. 9, nota 16. Incisive al riguardo le osservazioni di
X. XXXXXXXXX, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, cit., 22 e ss., secondo cui obiettivo essenziale delle disposizioni contenute nelle varie direttive è quello di regolare il mercato disciplinando il contratto, come strumento tipico dello scambio, senza introdurre un diritto di classe, né lo statuto di un nuovo soggetto. Nella stessa prospettiva M.A. LIVI – X. XXXXXXX, I soggetti - Profili generali, in Trattato di dir. priv. europeo, Vol. II, a cura di X. XXXXXX, cit., 139, i quali sottolineano puntualmente che «l’obiettivo di tutela del soggetto (ad esempio, il consumatore) coincide con l’obiettivo della stessa regolamentazione del mercato nella prospettiva della libertà di accesso e della parità di condizioni; la tutela minima del consumatore predisposta dalle diverse direttive costituisce in fondo un mezzo giuridico per imporre all’impresa un comune standard di comportamento nell’esercizio di una determinata attività economica».
di modellare il contenuto contrattuale in funzione dell’assetto di interessi che intendono darsi.
E’ ben vero, tuttavia, che l’autonomia privata in tanto può esplicare gli effetti positivi sopra evidenziati in quanto sia espressione dell’agire negoziale di soggetti in posizione formalmente paritaria. L’esercizio dell’autonomia privata non può, invece, ricevere positivo apprezzamento allorquando sia impiegata unilateralmente dal soggetto dotato di maggiore forza negoziale come strumento di sopraffazione per conseguire vantaggi indebiti ed ulteriori rispetto a quelli conseguibili in una situazione di svolgimento formalmente paritario delle contrattazioni private e di efficiente funzionamento del mercato.
La disparità delle forze contrattuali in campo impone, sostanzialmente, la tutela del contraente debole. E’ questo il caso del consumatore che nei rapporti contrattuali con il professionista vive senz’altro una condizione di inferiorità, non potendo concorrere paritariamente alla definizione del regolamento contrattuale; tanto più nel caso di contratti di adesione, laddove il consumatore non è in condizione di negoziare modifiche delle clausole predisposte unilateralmente dalla controparte, trovandosi di fronte alla secca alternativa di aderire o rinunciare al contratto.
In assenza di interventi a tutela del consumatore, le imprese finirebbero coll’abusare della loro maggiore forza contrattuale con conseguenti effetti distorsivi della concorrenza in danno del corretto funzionamento del mercato interno e del generale sistema degli scambi transfrontalieri.
L’attenzione del legislatore comunitario è allora rivolta al consumatore e, più in particolare, alla tutela della sua posizione e dei suoi interessi economici attraverso la creazione di un apparato normativo fatto di diritti, rimedi, trasparenza e informazione.
Pur tuttavia, la tutela del consumatore non è il fine ultimo del legislatore comunitario, né può dirsi espressione di un protezionismo paternalistico del soggetto debole dettato da esigenze di solidarietà e di ridistribuzione della ricchezza.
Al contrario, la tutela del consumatore è lo strumento impiegato per il raggiungimento di un obiettivo ben più ambizioso: la strutturazione del mercato
interno e il suo effettivo funzionamento secondo il modello concorrenziale33.
La normativa consumeristica si inquadra coerentemente nel contesto più generale di una politica comunitaria che vede nei consumatori fiduciosi, informati ed in grado di agire attivamente gli attori di quel mercato interno, il cui corretto funzionamento dipende dalle scelte consapevoli dei consumatori medesimi che, così operando, ne incentivano l’innovazione e l’efficienza”34.
Il riconoscimento al consumatore, nella veste di contraente, di sempre maggiori diritti e rimedi risponde evidentemente alla logica di riequilibrare le posizioni contrattuali in modo da consentire un ordinato dispiegarsi dell’iniziativa economica e l’effettivo funzionamento concorrenziale del mercato35 che, così strutturato, dovrebbe essere in grado di assicurare beni e servizi più efficienti e a prezzi competitivi, con indubbi effetti positivi per la società nel suo complesso in termini di migliore allocazione della ricchezza e di un più elevato benessere sociale.
33 Sull’argomento X. XXXXXXXXX, Note minime in tema di autonomia privata alla luce della Costituzione europea, cit., 55 e ss., il quale critica la logica che eleva il consumatore a beneficiario esclusivo degli interventi di protezione, rilevando che «il consumatore, rispetto al complesso ordito dal legislatore comunitario, sia più un mezzo che un fine esso stesso», opportunamente utilizzato in una logica di governo del mercato e di strutturazione dello stesso secondo un certo assetto. L’A. osserva altresì che «...la vaghezza della formula di nuovo conio nella Carta europea “è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori” lungi dal rappresentare l’acme di un giacobinismo consumeristico si potrebbe leggere come un consapevole rinvio alla costituzione materiale forgiata
dal diritto di derivazione comunitaria che per l’appunto si va spostando lentamente dal puro protezionismo del consumatore quale soggetto debole ad un più sofisticato utilizzo della sua figura a fini di governo del mercato». Nello stesso senso X. XXXXXXX, Tecniche di controllo dell’autonomia contrattuale nella prospettiva del diritto europeo, cit., 847, che rimarca efficacemente come «la disciplina di protezione del contraente debole nulla abbia a che fare con la giustizia sociale (redistributiva) propriamente intesa, e forse nemmeno con una protezione fine a se stessa del contraente debole come ‘persona’. Il controllo del contratto (…) non vuole ridistribuire ricchezza ai fini di una allocazione ‘alternativa’ a quella prodotta dal mercato: vuole soltanto far sì che tale allocazione sia governata da meccanismi genuinamente concorrenziali ed efficienti». Osserva ancora l’A. che una volta compiuta la scelta politica dell’economia di mercato, «la conservazione di quest’ultima diventa anche principio ermeneutico generale alla stregua del quale sistematicamente riorganizzare le discipline dell’autonomia privata, delle sue condizioni di esercizio e dei suoi limiti».
35 Osserva M. BARCELLONA (Sulla giustizia sociale nel diritto europeo dei contratti, cit., 651) che
«anche quando la tutela legale si spinga alla correzione dell’equilibrio contrattuale e fin anche quando dovesse coinvolgere, direttamente o indirettamente, lo stesso rapporto di scambio, resta il fatto, decisivo, che il diritto non sovrappone affatto una ratio politica alla ratio mercantile, ma si limita a far propri gli equilibri normativi e distributivi che il libero mercato avrebbe determinato e che solo il suo inefficiente funzionamento ha precluso». Più in particolare, secondo l’A., la disciplina comunitaria di protezione del consumatore e i principi, che ne sono espressione, della trasparenza contrattuale e del consenso informato sono rivolti ad assicurare l’efficienza ed il corretto funzionamento del mercato e, per questa via, garantire la corrispondenza del “mercato reale” al “mercato ideale” senza giustapporre alla logica economica una logica propriamente politica.
La descritta ratio mercantile informa di sé anche la speciale disciplina di conflitto dettata dall’art. 6 del regolamento Roma I in materia di contratti di consumo.
Malgrado il considerando n. 23 del regolamento giustifichi, in ragione di una generale finalità di tutela del contraente debole, l’adozione di regole di conflitto più favorevoli ai suoi interessi di quanto non lo siano le regole generali (il riferimento è evidentemente riconducibile all’art. 169 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea36 e alla “elevata” protezione degli interessi del consumatore ivi prevista), la disciplina che ne risulta non è strutturata in modo da rafforzare la protezione del consumatore garantendo l’applicazione della legge a lui oggettivamente più favorevole, ma risponde, come si dirà diffusamente infra, ad una logica diversa, che è quella di favorire l’effettiva realizzazione del mercato interno e il suo corretto funzionamento secondo il modello concorrenziale.
E’ questa, in effetti, la finalità che ispira il regolamento Roma I nel suo complesso, avendo il legislatore comunitario ben presente che condizioni imprescindibili per l’effettivo funzionamento del mercato interno sono la certezza del diritto nello spazio giudiziario europeo e la prevedibilità degli esiti delle controversie, da garantire non solo attraverso l’armonizzazione della normativa materiale, ma anche mediante la definizione di regole di conflitto uniformi.
La ratio mercantile e, più in generale, la politica legislativa di regolazione del mercato trovano ulteriore espressione nella proposta di direttiva sui diritti dei consumatori approvata dal Parlamento europeo il 23.06.2011, ma non ancora dal Consiglio, di cui già si è detto. La direttiva si propone di rafforzare la tutela del consumatore e di ridurre la frammentazione del quadro normativo attraverso un maggior grado di armonizzazione. L’obiettivo è quello di assicurare maggiore certezza giuridica sia per i consumatori che per i professionisti, così da incoraggiarne le transazioni transfrontaliere in funzione del perseguimento della finalità prioritaria, che è quella di contribuire all’effettiva realizzazione e al corretto funzionamento del mercato interno secondo un modello genuinamente concorrenziale.
36 Il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (in G.U.U.E., C 306 del 17 dicembre 2007) ha modificato il Trattato sull’Unione europea e il Trattato istitutivo della Comunità europea, ridenominato Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. E’ stato ratificato dall’Italia con la legge 2 agosto 2008, n. 130 ed è entrato in vigore il 1° dicembre 2009.
Ciò si ricava non solo dal tenore dei consideranda che precedono il testo della direttiva (si vedano, in particolare, i consideranda n. 4, 5, 6 e 737), ma anche dal richiamo, come base giuridica dell’intervento normativo, dell’art. 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (che regola gli interventi comunitari che concorrono alla realizzazione degli obiettivi di protezione dei consumatori per il tramite di misure di armonizzazione da adottare in funzione dell’instaurazione e funzionamento del mercato interno), e ancor più esplicitamente dal contenuto dell’art. 1 della direttiva, che nel testo approvato dal Parlamento dispone: «La presente direttiva, tramite il conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori, intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno mediante l’armonizzazione di taluni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di contratti tra consumatori e professionisti».
E’ ancora una volta il governo del mercato interno a guidare le scelte del legislatore comunitario.
La protezione del consumatore non risponde ad una logica di solidarietà sociale né di giustizia ridistributiva, ma è solo lo strumento per la realizzazione di una politica di regolazione del mercato in funzione dell’allocazione della ricchezza secondo efficienti meccanismi concorrenziali.
Analoghe considerazioni valgono anche per la direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori (recepita nell’ordinamento nazionale con il D. Lgs. n. 141 del 13 agosto 2010), che ha abrogato e sostituito la precedente direttiva 87/102/CEE del 22 dicembre 1986, introducendo una disciplina connotata da evidente rigidità secondo l’approccio dell’armonizzazione completa38.
37 Nel considerando n. 4 è detto con chiarezza che «l’armonizzazione di taluni aspetti dei contratti a distanza conclusi dai consumatori e dei contratti da essi negoziati fuori dei locali commerciali è necessaria per promuovere un effettivo mercato interno…». Il considerando n. 7 aggiunge, altresì, che
«l’armonizzazione completa di alcuni aspetti normativi chiave aumenterà considerevolmente la certezza giuridica… Grazie ad una tale armonizzazione sarà possibile eliminare gli ostacoli derivanti dalla frammentazione delle norme e completare il mercato interno in questo settore».
38 Per un’analisi approfondita della direttiva e della normativa nazionale di recepimento si rinvia a
X. XX XXXXXXXXXX, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione «completa» delle disposizioni nazionali concernenti «taluni aspetti» dei «contratti di credito ai consumatori», in Riv. dir. civ., 2008, II, 255 e ss.; Id, La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del T.U. bancario, in Contratti, 2010, 1041 e ss.
Anche in tal caso, l’obiettivo del legislatore comunitario è la creazione di un mercato creditizio più trasparente ed efficiente per promuovere lo sviluppo delle transazioni transfrontaliere (cfr. considerando n. 6) e rimuovere, attraverso l’adozione di regole uniformi, le significative differenziazioni tra i diversi ordinamenti nazionali, che generano effetti distorsivi della concorrenza e ostacolano l’effettivo funzionamento del mercato interno.
Non v’è dubbio che la nuova disciplina dettata dalla direttiva assicuri una tutela rafforzata al consumatore in quanto contraente debole; la ratio, però, non è quella di una protezione fine a se stessa o per ragioni solidaristiche, ma è quella di favorire la compiuta realizzazione del mercato interno secondo il modello concorrenziale, così da consentire l’accesso al credito a condizioni più vantaggiose e a tassi più competitivi39.
39 Non a caso, lo stesso legislatore comunitario ha indicato come base giuridica della direttiva sul credito al consumo l’art. 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che regola – come già detto nel testo - gli interventi comunitari che concorrono alla realizzazione degli obiettivi di protezione dei consumatori per il tramite di misure di armonizzazione da adottare in funzione dell’instaurazione e funzionamento del mercato interno. Tale impostazione era stata contestata dal Comitato economico e sociale europeo che nel parere del 17 luglio 2003 (in G.U.U.E., C 234 del 30 settembre 2003), rilevato che la proposta di direttiva non fosse esclusivamente connessa con la realizzazione del mercato interno, aveva indicato come base giuridica l’allora art. 153 del Trattato CE (corrispondente all’attuale art. 169 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), che include misure nel quadro della realizzazione del mercato interno, ma ha un campo d’applicazione più propriamente dedicato alla protezione degli interessi economici dei consumatori. Il suggerimento del Comitato non è stato fatto proprio dal Parlamento e dal Consiglio che, in sede di adozione del testo definitivo della direttiva, hanno confermato come base giuridica l’art. 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, a dimostrazione che la normativa risponde essenzialmente a politiche di regolazione del mercato, ancorché perseguite attraverso lo strumento della tutela dei consumatori.
CAPITOLO II
IL REGOLAMENTO ROMA I
SOMMARIO: I. Competenze comunitarie in materia di diritto internazionale privato. – II. Il regolamento Roma I e la conversione della convenzione di Roma del 1980. – III. Finalità del regolamento. – IV. Ambito di applicazione materiale del regolamento. – X. Xxxxxxxxx universale del regolamento: ambito di applicazione ratione loci e ratione temporis. – VI. Rapporti tra il regolamento e le altre fonti comunitarie. – VII. Rapporti tra il regolamento e le convenzioni internazionali. – VIII (segue) Rapporti tra il regolamento e la convenzione di Roma. – IX. Attuazione della “non Member-State clause”: la soluzione italiana. – X. (segue) La soluzione spagnola. – XI. Rapporti tra regolamento Roma I e norme di attuazione della “non Member-State clause”.
I. Competenze comunitarie in materia di diritto internazionale privato
Com’è noto, il diritto internazionale privato identifica, nella sua accezione più ristretta, l’insieme delle regole atte ad individuare il diritto materiale applicabile alle fattispecie che presentano elementi di estraneità rispetto all’ordinamento giuridico nazionale per avere significative connessioni con altri ordinamenti.
Sono queste le cosiddette “norme di conflitto”, disposizioni strumentali che non dettano la disciplina materiale del rapporto giuridico in questione, ma rispondono alla diversa funzione di consentire, attraverso la definizione di criteri di collegamento oggettivi o soggettivi, la identificazione della normativa applicabile.
In una accezione più ampia, il diritto internazionale privato, talvolta accompagnato dall’aggettivazione processuale, comprende anche le norme volte a definire la competenza giurisdizionale, a consentire cioè l’individuazione del giudice competente a pronunciare su una data controversia avente ad oggetto fattispecie che presentino elementi di estraneità. Nelle pagine che seguono, l’espressione diritto internazionale privato sarà impiegata nella sua accezione più ampia, così da ricomprendere la complessiva disciplina dei conflitti tanto di legge quanto di giurisdizione.
Ciò premesso, giova dar conto che il Trattato non attribuiva originariamente alle Istituzioni comunitarie alcuna competenza in materia di diritto internazionale privato. Si trattava quindi di materia rientrante, a pieno titolo, nella competenza normativa
degli Stati membri. Tradizionalmente, ciascuno Stato disponeva del proprio apparato normativo per la soluzione dei conflitti di legge e di giurisdizione. Tale situazione comportava evidentemente l’inconveniente di determinare una condizione di incertezza circa la disciplina materiale e anche processuale applicabile nel caso concreto, con in più il rischio che ciascuno dei contraenti tendesse a sfuggire alla legge normalmente applicabile, approfittando dei collegamenti della fattispecie con diversi ordinamenti giuridici.
In un primo periodo dell’integrazione europea, nella prospettiva di armonizzare le norme di conflitto così da garantire la certezza del diritto attraverso la prevedibilità della disciplina materiale applicabile alle fattispecie contrattuali “transfrontaliere” (e, di riflesso, favorire gli scambi all’interno dell’Unione), le Istituzioni comunitarie si sono positivamente attivate nel promuovere negoziati fra gli Stati membri intesi alla conclusione di convenzioni internazionali. Tra esse meritano menzione, per quanto qui interessa, la convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 concernente la competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e la convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (d’ora in avanti convenzione di Roma)40.
Nel corso degli anni, si è assistito al sempre più frequente inserimento in atti comunitari di norme sulla giurisdizione e sulla legge applicabile; disposizioni volute dal legislatore comunitario in quanto complemento necessario del processo di armonizzazione del diritto materiale che ha interessato vari settori di competenza comunitaria, quali in principalità la protezione dei consumatori, la circolazione dei lavoratori, le assicurazioni e la proprietà intellettuale.
Con il Trattato di Amsterdam firmato il 2 ottobre 19997 ed entrato in vigore il 1° maggio 199941 si è approdati, infine, ad una vera e propria svolta di politica legislativa, tradottasi nell’attribuzione alle Istituzioni comunitarie di una specifica competenza nel settore del diritto internazionale privato, che ha portato alla
40 La convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 (in G.U.U.E., C 27 del 26 gennaio 1998, in versione consolidata con le modifiche ed integrazioni conseguenti all’adesione di altri Stati membri) è stata ratificata dall’Italia con la legge 21 giugno 1971, n. 804 ed è entrata in vigore per l’Italia il 1° febbraio 1973.
La convenzione di Roma del 19 giugno 1980 (in G.U.C.E., L 266 del 09 ottobre 1980) è stata ratificata dall’Italia con la legge 18 dicembre 1984, n. 975 ed è entrata in vigore il 1° aprile 1991.
41 Pubblicato in G.U.U.E., C 340 del 10 novembre 1997.
cosiddetta “comunitarizzazione” della materia42.
Il Trattato di Amsterdam, infatti, ha ampliato la competenza comunitaria in siffatto ambito, svincolandola dalla esistenza di una specifica competenza settoriale e ponendo le premesse per una legislazione comunitaria di portata più generale nel contesto del diritto internazionale privato europeo.
Il fondamento giuridico di tali nuove competenze è dato dall’art. 61 lett. c), introdotto dal Trattato di Amsterdam, a mente del quale allo scopo di istituire progressivamente uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, il Consiglio adotta, tra l’altro, «misure nel settore delle cooperazione giudiziaria in materia civile come previsto dall’art. 65».
Tale ultima disposizione, a sua volta, qualifica le misure nel settore delle cooperazione giudiziaria in materia civile in modo assai ampio includendovi: a) il miglioramento e la semplificazione del sistema per la notificazione transazionale degli atti giudiziari ed extragiudiziali, della cooperazione nell’assunzione dei mezzi di prova, e del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, comprese le decisioni extragiudiziali; b) la promozione della compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di legge e di competenza giurisdizionale; c) l’eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri43.
42 In argomento, fra gli altri, X. XXXXX, La comunitarizzazione del diritto internazione privato: una european conflict of laws revolution”?, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2000, 873 e ss.; X. XXXXXXX, The Communitarization of the Conflict of Laws under the Treaty of Amsterdam, in Common law market rev., 2000, 687 e ss.; P.A. DE XXXXXX XXXXXXXX, La evolución del Derecho Internacional Privado Comunitario en el Tratado de Amsterdam, in Rev. esp. de der. int., 1998, 373 e ss.
43 A seguito del Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione europea del 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009 (in G.U.U.E., C 306 del 17 dicembre 2007), gli artt. 61 e 65 sono stati trasfusi, con alcuni adattamenti, rispettivamente negli artt. 67 e 81 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Si trascrivono di seguito i testi degli articoli attualmente in vigore.
Articolo 67 (ex articolo 61 del TCE ed ex articolo 29 del TUE)
1. L’Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri.
2. Essa garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne e sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi. Ai fini del presente titolo gli apolidi sono equiparati ai cittadini dei paesi terzi.
3. L’Unione si adopera per garantire un livello elevato di sicurezza attraverso misure di prevenzione e di lotta contro la criminalità, il razzismo e la xenofobia, attraverso misure di coordinamento e cooperazione tra forze di polizia e autorità giudiziarie e altre autorità competenti, nonché tramite il
L’indicazione delle misure adottabili comporta, ovviamente, un corrispondente conferimento di competenze, la cui ampia portata è solo in parte temperata dalle condizioni che lo stesso Trattato pone per il loro esercizio; e cioè che la cooperazione giudiziaria in materia civile presenti implicazioni transfrontaliere e che le misure siano adottate per quanto necessario al corretto funzionamento del mercato interno44. Trattasi di condizioni tanto generiche quanto suscettibili di interpretazione estensiva, così da indurre fondatamente a ritenere che le nuove competenze
comunitarie siano riferibili a qualsiasi aspetto della cooperazione in materia civile.
Il carattere transfrontaliero della cooperazione può ritenersi implicito nella dimensione comunitaria degli interventi volti alla progressiva istituzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Anche la condizione che le misure adottabili debbano essere funzionali al corretto funzionamento del mercato interno è di portata
riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie penali e, se necessario, il ravvicinamento delle legislazioni penali.
4. L’Unione facilita l’accesso alla giustizia, in particolare attraverso il principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali in materia civile.
Articolo 81 (ex articolo 65 del TCE)
1. L’Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione può includere l’adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.
2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano, in particolare se necessario al buon funzionamento del mercato interno, misure volte a garantire:
a) il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali e la loro esecuzione;
b) la notificazione e la comunicazione transnazionali degli atti giudiziari ed extragiudiziali;
c) la compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di giurisdizione;
d) la cooperazione nell’assunzione dei mezzi di prova;
e) un accesso effettivo alla giustizia;
f) l’eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri;
g) lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie;
h) un sostegno alla formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari.
3. In deroga al paragrafo 2, le misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali sono stabilite dal Consiglio, che delibera secondo una procedura legislativa speciale. Il Consiglio delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. Il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che determina gli aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali e che potrebbero formare oggetto di atti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria. Il Consiglio delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. I Parlamenti nazionali sono informati della proposta di cui al secondo comma. Se un Parlamento nazionale comunica la sua opposizione entro sei mesi dalla data di tale informazione, la decisione non è adottata. In mancanza di opposizione, il Consiglio può adottare la decisione.
44 Sui limiti all’esercizio della competenza comunitaria in materia di diritto internazionale privato si rinvia a X. XXXXXXXXX, Il regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, Milano, 2008, 4 e ss. e all’ampia bibliografia ivi citata.
assai generale, xxx potendo ricomprendere non solo gli aspetti economici del mercato, ma in astratto ogni situazione che abbia qualche incidenza sulla libera circolazione delle merci, delle perone e dei capitali.
A dispetto dello scetticismo con cui era stata inizialmente accolta, la competenza comunitaria nel settore del diritto internazionale privato, lungi dal restare confinata in un ambito esclusivamente teorico, ha già dato prova della sua effettività e dell’ampia dimensione assunta.
A poco più di dieci anni dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, sono già stati adottati numerosi regolamenti, tra cui il regolamento n. 593/2008 (Roma I) del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali45.
Le nuove competenze comunitarie e il loro effettivo esercizio hanno comportato una sensibile modificazione del contesto normativo di riferimento, dando avvio ad un processo inesorabile di trasformazione del diritto internazionale privato degli Stati membri da diritto di matrice nazionale o comunque di derivazione convenzionale in diritto di fonte comunitaria.
Questa trasformazione non può che salutarsi con favore, atteso che l’uniformità delle regole per la soluzione dei conflitti di legge e di giurisdizione è indispensabile complemento per il reciproco riconoscimento delle decisioni in materia civile e commerciale e, al contempo, elemento essenziale per la creazione di uno spazio comune di giustizia, a sua volta necessario per l’effettiva istituzione e corretto funzionamento di un autentico mercato interno, fondato sulla libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali.
45 In aggiunta a quello citato nel testo, si segnalano il regolamento n. 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza; il regolamento n. 1347/2000, poi abrogato e sostituito dal regolamento n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale; il regolamento n. 1348/2000, abrogato e sostituito dal regolamento n. 1393/2007 relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale; il regolamento n. 44/2001 sulla competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Bruxelles I); il regolamento n. 1206/2001 relativo alla cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile e commerciale; il regolamento n. 805/2004 che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati; il regolamento n. 1896/2006 che istituisce una procedura europea di ingiunzione di pagamento; il regolamento n. 861/2007 che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità; il regolamento n. 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II); il regolamento n. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari.
Quanto poi allo sviluppo dell’integrazione giuridica europea, il ricorso ad atti comunitari rispetto all’adozione di convenzioni internazionali presenta indubbi vantaggi.
Innanzitutto, è certamente più rapida e snella la procedura per l’adozione degli atti normativi comunitari; al contrario, la conclusione di convenzioni internazionali si è rivelata anche in ambito comunitario lunga e complessa, sia con riferimento alla fase del negoziato sia anche sul piano dell’entrata in vigore. E’ vero che è stata introdotta, in esito al progressivo allargamento dell’Unione europea, la previsione di entrata in vigore a seguito della ratifica di un numero di Stati inferiore a quello degli Stati membri con progressiva integrazione degli altri Stati per effetto della ratifica; è però altrettanto vero che ciò comporta inevitabilmente un’armonizzazione solo parziale in ambito comunitario, favorendo una sorta di doppia velocità anche in materia di cooperazione giudiziaria. Peraltro, la modifica e l’integrazione di una convenzione internazionale richiedono anch’esse tempi lunghi tali da non consentire un rapido adeguamento della normativa alle mutevoli esigenze via via poste dalla progressiva creazione di uno spazio comune di giustizia.
A ciò aggiungasi che il ricorso ad atti normativi comunitari consente, sempre che il legislatore comunitario eserciti in modo razionale le competenze assegnategli, l’elaborazione di un corpus normativo coerente e sistematico, che dovrebbe evitare profili di contraddittorietà e, altresì, scongiurare l’inserimento sporadico di singole disposizioni sui conflitti di legge e di giurisdizione in separati atti comunitari non sempre riconducibili a coerenza sistematica.
II. Il regolamento Roma I e la conversione della convenzione di Roma del 1980
L’adozione del regolamento Roma I è stata preceduta dalla presentazione, nel gennaio del 2003, del Libro Verde sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma del 1980 e sul rinnovamento della medesima46.
Con tale iniziativa la Commissione ha inteso avviare un’ampia consultazione degli ambienti interessati e un conseguente pubblico dibattito sull’opportunità di
46 Il Libro Verde è consultabile nella sua versione integrale sul sito xxxx://xxx-xxx.xxxxxx.xx.
adottare uno strumento normativo comunitario in sostituzione della convenzione di Roma e di procedere alla sua modernizzazione nel merito.
Il Libro Verde, redatto in forma di questionario, presentava una serie di quesiti (venti complessivamente) su diverse questioni di ordine giuridico, illustrando altresì il contesto generale del dibattito e prospettando varie soluzioni ipotizzabili.
Più in particolare, sulla questione della opportunità di trasformare la convenzione di Roma in strumento comunitario, le risposte pervenute dagli ambienti interessati sono state in grande maggioranza favorevoli alla prospettata trasformazione e modernizzazione47, avallando la scelta del regolamento come strumento normativo, in linea con quanto già era avvenuto per la conversione della convenzione di Bruxelles del 1968.
Del pari favorevoli sono state le valutazioni espresse dalle Istituzioni comunitarie e, tra esse, il Parlamento e il Comitato economico e sociale europeo48.
Molteplici sono le ragioni sottese alla trasformazione della convenzione di Roma in strumento normativo comunitario.
47 Non sono mancate, tuttavia, posizioni critiche in merito alla conversione della convenzione in regolamento comunitario. Alcuni studiosi francesi, con una lettera aperta al Presidente della Repubblica, hanno contestato che l’art. 65 potesse costituire una base giuridica sufficiente per consentire la conversione: ciò in quanto detto art. attribuirebbe alle Istituzioni comunitarie soltanto la competenza ad adottare misure finalizzate alla “promozione della compatibilità” delle regole di conflitto ma non anche regolamenti che le uniformino. E’ stato inoltre sottolineato che richiede che l’intervento comunitario sia necessario per garantire il buon funzionamento del mercato interno, mentre il regolamento, avendo carattere universale e quindi un ambito di operatività erga omnes, risulterebbe applicabile anche a fattispecie localizzate al di fuori dell’Unione europea e sottoposte a leggi di Stati non membri (cfr. AA.VV., L’Union européenne, la dèmocratie et l’E’tat de droit, in La semaine juridique edition gènèrale, 2006, 586 e ss.).
Alla lettera aperta è seguita una presa di posizione contraria di altri studiosi francesi e non solo, che hanno sostenuto che l’art. 65 del Trattato legittimi le Istituzioni comunitarie a procedere alla conversione della convenzione di Roma, trattandosi certamente di intervento funzionale ad armonizzare le norme di conflitto e che lo strumento più consono sia senz’altro il regolamento in quanto assicura l’introduzione di una disciplina uniforme; obiettivo non raggiungibile con le direttive che lasciando agli Stati membri una libertà di trasposizione possono portare a soluzione diverse e anche disomogenee. Anche l’applicabilità del regolamento a fattispecie localizzate al di fuori dell’Unione europea non può essere di ostacolo all’adozione di detto strumento normativo, essendo evidente che anche tali fattispecie possono interessare il mercato interno e il suo funzionamento (AA.VV., Observations sur la lettre ouverte au Prèsident de la Rèpublique intitulèe “L’Union européenne, la dèmocratie et l’E’tat de droit”, in La semaine juridique edition gènèrale, 2007, 18 e ss.).
Giudizio favorevole è stato espresso anche dal Comitato economico e sociale europeo nel parere del 29 gennaio 2004 (in G.U.U.E., C 108 del 30 aprile 2004).
L’idea di fondo è che l’istituzione di un autentico mercato interno ed il suo corretto funzionamento postulino l’esistenza di uno spazio comune di giustizia, all’interno del quale privati e imprese possano far valere i propri diritti e accedere indifferentemente al sistema giudiziario di uno Stato membro senza penalizzazioni rispetto allo Stato di residenza. Il che presuppone evidentemente una semplificazione del contesto giuridico e normativo all’interno dell’Unione.
Per la creazione di uno spazio comune di giustizia il Consiglio europeo di Tampere, riunito il 15-16 ottobre 1999, ha definito tre direttrici d’azione prioritarie, tra le quali figura il rafforzamento del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie; obiettivo il cui conseguimento non può evidentemente prescindere dall’uniformazione delle norme sui conflitti di legge e di giurisdizione49.
In questo contesto, a seguito del Trattato di Amsterdam che ha dato nuovo slancio al diritto internazionale privato di fonte comunitaria, è stato adottato il regolamento
n. 44/2001 (Bruxelles I) concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale50, che ha sostituito, nelle relazioni tra gli Stati membri, la convenzione di Bruxelles del 1968, e successivamente è stato adottato il regolamento n. 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II)51.
La convenzione di Roma restava l’unico strumento in materia di diritto internazionale privato a livello comunitario a rivestire ancora la forma del trattato internazionale.
Peraltro, l’esistenza di norme che disciplinano la competenza giurisdizionale non consente di per sé sola di evitare i rischi connessi alla soluzione degli aspetti sostanziali della controversia. La convenzione di Bruxelles, come pure il regolamento che l’ha sostituita, consentono all’attore di optare per questo o quell’altro tribunale davanti al quale radicare la controversia. Il rischio è che una
49 Il piano d’azione di Vienna (in G.U.U.E., C 19 del 23 gennaio 1999, pag. 1, punto 40, lett. c) ha sottolineato l’importanza della promozione della compatibilità delle norme di conflitto per conseguire l’obiettivo del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie. Anche il programma del 2000 per il riconoscimento reciproco (in G.U.U.E., C 12 del 15 gennaio 2001, pag. 8) ha messo in evidenza che i provvedimenti relativi all’armonizzazione delle norme di conflitto sono misure d’accompagnamento che facilitano l’attuazione del principio del riconoscimento reciproco.
50 Pubblicato in G.U.U.E., L 12 del 16 gennaio 2001.
51 Pubblicato in G.U.U.E., L 199 del 31 luglio 2007.
parte scelga il tribunale di un dato Stato piuttosto che di un altro esclusivamente in ragione del fatto che la legge ivi applicabile risulti più favorevole (c.d. forum shopping).
La convenzione di Roma, unificando le norme per la soluzione dei conflitti di legge e per la conseguente determinazione della legge applicabile, garantisce che la controversia sia definita nel merito in applicazione della medesima legge, quale che sia il giudice nazionale adito.
Ne risulta, dunque, uno stretto nesso di complementarietà tra gli strumenti normativi aventi ad oggetto l’individuazione del giudice competente e la determinazione della legge applicabile in materia di obbligazioni contrattuali o extracontrattuali, di natura civile e commerciale.
Detta complementarietà ha determinato la necessità di integrare i tre strumenti normativi e, quindi, di procedere alla trasformazione della convenzione di Roma mediante l’adozione di un apposito regolamento, in modo che il corpus normativo di diritto internazionale privato risultasse coerente sul piano sistematico ed omogeneo sotto il profilo della fonte di produzione.
Si è anche tenuto conto del progressivo allargamento dell’Unione europea e della conseguente necessità di favorire una rapida entrata in vigore della normativa uniforme sul conflitto di leggi; necessità certamente salvaguardata attraverso la trasformazione in strumento normativo comunitario della convenzione di Roma, che altrimenti avrebbe impattato con i ritardi propri delle ordinarie procedure di ratifica da parte dei nuovi Stati candidati a diventare membri dell’Unione europea.
Anche l’esigenza di procedere alla modernizzazione della disciplina convenzionale, avuto riguardo alle esigenze poste dalla progressiva creazione di uno spazio comune di giustizia, ha giocato un ruolo decisivo a favore della trasformazione in strumento normativo comunitario, tenuto conto che la revisione della convenzione avrebbe imposto tempi lunghi per le complesse procedure di modifica degli accordi internazionali.
Tra gli strumenti normativi comunitari astrattamente impiegabili e cioè direttiva e regolamento, la scelta è caduta su quest’ultimo in quanto, trattandosi di procedere all’uniformazione nel suo complesso del diritto internazionale privato, il regolamento avrebbe garantito l’applicazione immediata della disciplina in esso contenuta in tutti
gli Stati membri, evitando le incertezze derivanti dal recepimento di una direttiva. Il regolamento, infatti, si compone di norme dettagliate immediatamente applicabili, senza che sia necessaria l’adozione di misure di recepimento nei singoli ordinamenti nazionali. La direttiva, al contrario, fissa gli obiettivi da raggiungere lasciando agli Stati membri ampi margini di manovra e di discrezionalità in merito alla scelta delle misure necessarie per il raggiungimento degli obiettivi fissati. Tale strumento normativo, pertanto, di indubbia utilità sotto il profilo dell’armonizzazione degli ordinamenti giuridici, porta con sé l’inevitabile conseguenza della possibile differenziazione della normativa nazionale adottata in sede di recepimento. E tale situazione sarebbe stata ovviamente incompatibile con l’obiettivo da perseguire, quello cioè di garantire la certezza del diritto in uno con la prevedibilità della legge applicabile.
Quando è stata concepita la trasformazione della convenzione di Roma in regolamento, si è anche pensato al conseguimento di un obiettivo ulteriore, quello di consentire l’intervento interpretativo della Corte di giustizia, su richiesta dei giudici di ultima istanza ex art. 68 del Trattato CE, così da assicurare l’applicazione uniforme delle norme di conflitto superando quelle divergenze interpretative che pure erano emerse negli orientamenti dei giudici dei diversi ordinamenti nazionali che si sono pronunciati sulle norme della convenzione di Roma.
L’intervento interpretativo sulle disposizioni della convenzione non era in allora consentito alla Corte di giustizia, giacché non erano ancora entrati in vigore i due protocolli di Bruxelles del 19 dicembre 198852, che hanno conferito a qualunque giudice degli Stati contraenti la facoltà di sottoporre alla Corte di giustizia quesiti pregiudiziali. I protocolli sono entrati in vigore nel 2004, ma sono ormai superati dalla trasformazione della convenzione in regolamento. Prima, però, dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (avutasi, come già detto, 1° dicembre 2009), si sarebbe verificata la paradossale situazione per cui, trattandosi di regolamento, l’intervento interpretativo della Corte di giustizia sarebbe stato possibile solo su richiesta dei giudici di ultima istanza ai sensi dell’art. 68 del Trattato CE, mentre le norme della
52 Pubblicati in G.U.C.E., L 48 del 20 febbraio 1989. Il primo protocollo con le modifiche risultanti dall’adesione alla convenzione di Roma di altri Stati membri è stato pubblicato in G.U.U.E., C 15 del 15 gennaio 1997.
convenzione restavano assoggettate, per effetto dei protocolli di Bruxelles, all’intervento interpretativo della Corte di giustizia su istanza di qualunque giudice nazionale anche di merito e non necessariamente di ultima istanza. In altri termini, la conversione della convenzione in regolamento avrebbe ridotto la possibilità di intervento interpretativo della Corte di giustizia, derivandone in tal guisa la trasformazione di quello che doveva essere un vantaggio in un argomento contrario alla conversione.
Il problema è stato ormai superato: il Trattato di Lisbona ha disposto l’abrogazione dell’art. 68 del Trattato CE, attribuendo ad ogni organismo giurisdizionale la facoltà di sottoporre alla Corte questioni pregiudiziali sull’interpretazione del diritto comunitario, ivi compresi anche degli atti normativi in materia di diritto internazionale privato.
III. Finalità del regolamento
Ferma restando la rilevata opportunità di procedere alla trasformazione della convenzione di Roma in strumento normativo comunitario e la connessa esigenza di modernizzarne la disciplina, il regolamento si propone come obiettivo prioritario di uniformare le norme di conflitto degli Stati membri in materia contrattuale. Non si tratta di un intervento normativo teso a promuovere semplicemente l’armonizzazione dei sistemi nazionali di diritto internazionale privato.
La finalità perseguita è di più ampia portata e cioè l’introduzione, come già era accaduto con la disciplina convenzionale, di un apparato normativo uniforme ed omogeneo per la soluzione dei conflitti di legge che interessano le fattispecie in materia contrattuale non localizzabili all’interno di un unico ordinamento nazionale.
La linea d’azione del legislatore comunitario muove, in buona sostanza, dalla constatazione che il corretto funzionamento del mercato unico esige che le regole di conflitto in vigore negli Stati membri designino come applicabile ad una data fattispecie la medesima legge nazionale quale che sia il paese del giudice adito,
«onde favorire la prevedibilità dell’esito delle controversie giudiziarie, la certezza circa la legge applicabile e la libera circolazione delle sentenze» (cfr. considerando
n. 6 del regolamento).
L’obiettivo generale del regolamento è, dunque, quello di garantire la certezza del diritto nello spazio giudiziario europeo e il conseguimento di tale obiettivo non può che passare attraverso la definizione di regole di conflitto uniformi che assicurino la prevedibilità della legge applicabile ai rapporti contrattuali. L’ottenimento di un elevato grado di prevedibilità impone l’adozione di regole di conflitto che non attribuiscano margini di discrezionalità al giudice, che non gli consentano cioè soluzioni flessibili con riferimento ai singoli casi concreti. Per tale ragione le norme del regolamento sono formulate in modo piuttosto rigido, così da preservare la certezza del diritto e, nel contempo, rendere prevedibile l’esito delle eventuali controversie.
Sotto questo profilo, però, il regolamento è espressione di una scelta per così dire “contro corrente”, giacché si pone in contrasto con la più recente tendenza internazionale all’abbandono delle norme di conflitto eccessivamente rigide a favore di una maggiore flessibilità53, ritenuta più adatta a consentire l’applicazione di una disciplina sostanziale maggiormente rispondente alle esigenze del caso concreto e agli interessi delle parti.
Il regolamento, peraltro, in nome della tutela dei valori comunitari, favorisce in alcuni casi l’applicazione del diritto comunitario rispetto a quello di paesi terzi. Da ciò emerge un sostanziale favor per la normativa comunitaria, senz’altro apprezzabile sul piano della volontà di affermare la tutela dei valori comunitari.
Secondo parte della dottrina, però, il favor per la normativa comunitaria finirebbe col far perdere al regolamento il carattere di neutralità, rendendo il sistema di diritto internazionale privato ancora “immaturo”54.
Tale conclusione non risulta affatto condivisibile.
53 Cfr. X. XXXXXXX, Remarques sur la proposition de règlement de la Commission européenne sur la loi applicable aux obligations contractuelles (Rome I), in Revue critique de droit intern. privé, 2006, 339, secondo il quale la formulazione rigida delle norme di conflitto come proposte dalla Commissione costituirebbe un “retour aux années soixante”, non tenendo conto della c.d. “conflict of law revolution”, nata negli Stati Uniti, che propone una maggiore flessibilità nella costruzione delle norme di conflitto; per ulteriori riferimenti si veda X. XXXXXXXXX, Il regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, cit., 15.
54 L’espressione è tratta da X. XXXXXXXXX, Il regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, cit., 15 che ripropone le osservazioni critiche di X. XXXXXXX, Remarques sur la proposition de règlement de la Commission europèenne sur la loi applicable aux obligations contractuelles (Rome I), cit., 338.
Date le competenze, le funzioni e gli obiettivi dell’azione comunitaria, non può negarsi che «l’operare delle norme di conflitto di stampo comunitario sia strumentale al perseguimento di obiettivi materiali, coincidenti con le finalità poste dal trattato»55.
Ciò significa che nel sistema comunitario le norme di conflitto presentano un connotato di non neutralità: non sono meramente strumentali alla individuazione della legge regolatrice della fattispecie, ma sono orientate al conseguimento di risultati ulteriori56.
Quanto alle tecniche di disciplina impiegate dal regolamento, è opportuno ricordare, seppur sinteticamente, che alcune norme adottano il metodo di conflitto bilaterale neutro, in forza del quale la legge applicabile viene individuata attraverso un criterio di collegamento neutro fondato sulla localizzazione spaziale della fattispecie in esame. Queste disposizioni «si propongono di realizzare almeno tendenzialmente la c.d. armonia internazionale delle decisioni (il risultato cioè per cui quale che sia lo Stato in cui il processo si svolga, una determinata questione venga sottoposta dovunque alla applicazione della medesima legge, o di leggi almeno materialmente equivalenti)»57.
Altre norme utilizzano, invece, il metodo di conflitto unilaterale in quanto si limitano a prevedere l’ambito di applicazione delle norme di un dato ordinamento giuridico. Vi sono, infine, ulteriori disposizioni che adottano il metodo di conflitto materiale che stabilisce «un collegamento in partenza alternativo o solo sussidiario di più leggi» e impone poi di applicare, per la regolamentazione della fattispecie, «la legge più favorevole alla produzione di uno specifico effetto di carattere materiale dato…. dalla valida costituzione della situazione giuridica in causa…. o dalla particolare protezione e tutela, sul piano materiale, di una delle parti del rapporto»58.
00 Xxx. X. XXXXXX, Xx ricostruzione dei principi internazionalprivatistici impliciti nel sistema comunitario, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2006, 919.
56 Per approfondimenti dottrinali sulla non neutralità del diritto internazionale privato comunitario si vedano S.M. CARBONE, Obiettivi di diritto materiale e tendenze nel diritto internazionale privato comunitario, in AA.VV., Il nuovo diritto europeo dei contratti: dalla convenzione di Roma al regolamento, Milano, 2007, 12; X. XXXXXX, La ricostruzione dei principi internazionalprivatistici impliciti nel sistema comunitario, cit., 919 e ss.
57 Così X. XXXXXX, Diritto internazionale private e diritto comunitario, Padova, 2004, 489.
58 Cfr. X. XXXXXX, op. cit., 489.
IV. Ambito di applicazione materiale del regolamento
L’art. 1 del regolamento ne definisce il campo di applicazione ratione materiae, stabilendo che esso si applica, in circostanze che comportino un conflitto di leggi, alle obbligazioni contrattuali in materia civile e commerciale.
Stando al disposto del citato art. 1, il regolamento dovrebbe trovare applicazione soltanto con riguardo a fattispecie contrattuali che implichino un conflitto di leggi; fattispecie cioè che non siano meramente interne ad uno Stato membro, ma che presentino elementi di estraneità, assumendo perciò carattere internazionale.
Tale conclusione sembra, però, smentita dal par. 3 dell’art. 3 dello stesso regolamento che, ricalcando la formulazione della corrispondente disposizione della convenzione di Roma, parrebbe autorizzare le parti a scegliere come legge applicabile una legge straniera, conferendo così al contratto il carattere della internazionalità, anche quando «tutti gli altri elementi pertinenti alla situazione siano ubicati, nel momento in cui si opera la scelta, in un paese diverso da quello la cui legge è stata scelta».
Avuto riguardo al dibattito dottrinale sviluppatosi sull’argomento già sotto la vigenza della convenzione di Roma59, sarebbe stata senz’altro opportuna un’esplicita presa di posizione del legislatore comunitario che, anziché riproporre la questione in termini contraddittori, avrebbe dovuto chiarire se, in presenza di un contratto privo di elementi di estraneità, le parti possano ugualmente scegliere come applicabile una legge straniera e se tale scelta sia idonea a far assumere al contratto carattere di internazionalità, con conseguente sua assoggettabilità alle norme di diritto internazionale privato.
59 L’art. 3, par. 3, della convenzione di Roma rappresenta il dato testuale invocato da una parte della dottrina a fondamento della facoltà delle parti di scegliere una legge straniera anche quando il contratto non presenti elementi di collegamento con altri ordinamenti. La citata disposizione, infatti, riconosce implicitamente siffatta facoltà di scelta giacché, nel sancire il limite delle norme imperative, fa espresso riferimento al caso in cui le parti abbiano scelto una legge straniera pur quando tutti i dati di fatto si riferiscono ad un unico paese. In questo senso, cfr. X. XXXXXX, Il diritto internazionale privato dei contratti: la convenzione di Roma del 19 giugno 1980 è entrata in vigore, in Banca, borsa e tit. cred., 1992, 45 e ss.; X. XXXXXX, Norme imperative di applicazione necessaria nella convenzione di Roma del 19 giugno 1980, in Verso una disciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti, a cura di X. XXXXXX, Padova, 1983, 27 e ss.; X. XXXXX, Le categorie ordinanti del sistema delle obbligazioni e dei contratti nel nuovo diritto internazionale privato italiano, in Contratto e impresa, 1997, 51 e ss. Contra X. XXXXXXX, L’azione comunitaria in materia di diritto internazionale privato, in Riv. dir. eur., 1981, 396, il quale ritiene che l’art. 3 della convenzione non consentirebbe alla parti di un contratto interno la scelta di una legge straniera, ma semplicemente una sua recezione negoziale.
Il regolamento, peraltro, non definisce la categoria di “obbligazioni contrattuali” e sotto questo profilo è certamente criticabile in quanto lascia aperti problemi interpretativi di non poco momento, alla cui soluzione consegue un allargamento o restringimento del campo di applicazione del regolamento a seconda della qualificazione operata da questo o quell’altro giudice nazionale.
Vero è che il par. 2 dello stesso art. 1 esclude dall’ambito di applicazione del regolamento alcune fattispecie la cui natura contrattuale poteva risultare problematica, resta però il fatto che vi sono altri istituti la cui qualificazione come contratti non è affatto pacifica. Si pensi, a titolo di esempio, alla donazione e, più in generale, ai negozi a titolo gratuito. Secondo gli ordinamenti di common law, non possono qualificarsi come contratti mancando la consideration; nei Paesi di civil law, al contrario, è indubbia la loro natura contrattuale.
La mancata definizione della categoria delle “obbligazioni contrattuali”, come pure della “materia civile e commerciale”, obbliga a procedere alla loro qualificazione in modo autonomo con le problematiche interpretative già dette, risultandone conseguentemente il rischio di vanificare quella finalità di certezza del diritto che il legislatore comunitario ha inteso perseguire.
Quanto alle materie che rimangono al di fuori dell’ambito applicativo del regolamento, la prima esclusione concerne le materie fiscali, doganali e amministrative (art. 1, par. 1, secondo periodo). Si tratta di una novità introdotta dal legislatore comunitario, prima non prevista dalla convenzione di Roma60.
Sono, altresì, escluse dal campo di applicazione del regolamento le questione di stato e di capacità delle persone fisiche, le obbligazioni contrattuali nel settore delle relazioni familiari e delle successioni, le obbligazioni relative a titoli di credito, i compromessi, le clausole compromissorie e le convenzioni sul foro competente, le questioni societarie, le obbligazioni associate ad attività di rappresentanza e di
60 Il regolamento, tuttavia, non chiarisce se la materia amministrativa includa nel proprio alveo anche i contratti di lavoro con la pubblica amministrazione: occorre, pertanto, rifarsi alla giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di obbligo di non discriminazione e di qualificazione di “materia civile e commerciale” e seguendone il relativo orientamento ritenere che rientrano nel campo di applicazione del regolamento i contratti di lavoro in cui il dipendente svolga una normale attività di diritto privato e non, invece, quelli in cui partecipi all’esercizio di funzioni pubblicistiche (sull’argomento cfr. X. XXXXXXXXX, Il regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, cit., 40 e ss. e i riferimenti bibliografici ivi citati).
intermediazione, le obbligazioni derivanti da trattative precontrattuali e, infine, le questioni relative ai trust e ai contratti assicurativi che coprono rischi localizzati nel territorio comunitario61.
Tali esclusioni dipendono, essenzialmente, dall’esistenza di altri strumenti normativi comunitari o internazionali che già regolano quelle materie, e dalla
61 L’art. 1, par. 2, del regolamento dispone testualmente «sono esclusi dal campo di applicazione del presente regolamento:
a) le questioni di stato e di capacità delle persone fisiche, fatto salvo l’art. 13 (che prevede che in un contratto concluso tra due persone che si trovano in uno stesso paese, una persona fisica, capace secondo la legge di tale paese, può invocare l’incapacità risultante da un’altra legge soltanto se, al momento della conclusione del contratto, l’altra parte ne era a conoscenza o l’ha colpevolmente ignorata);
b) le obbligazioni derivanti da rapporti di famiglia o dai rapporti che secondo la legge applicabile a tali rapporti hanno effetti comparabili, comprese le obbligazioni alimentari;
c) le obbligazioni derivanti da regimi patrimoniali tra coniugi, da regimi patrimoniali relativi a rapporti che secondo la legge applicabile a questi ultimi hanno effetti comparabili al matrimonio, nonché dalle successioni (le esclusioni di cui alla lett. b) e c) riproducono in parte quelle già contemplate nella convenzione di Roma e per altra parte ne segnano la modernizzazione estendendo l’esclusione anche ai rapporti produttivi di effetti simili a quelli di famiglia e di matrimonio; sulla ricomprensione o meno nel campo applicativo del regolamento dei PACS francesi e delle altre forme di convivenza c.d. “deboli” si veda X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., 42 e ss.);
d) le obbligazioni derivanti da cambiali, assegni, vaglia cambiari e da altri strumenti negoziabili, nella misura in cui le obbligazioni derivanti da tali altri strumenti risultano dal loro carattere negoziabile (della materia già si occupano le Convenzioni di Ginevra del 7 giugno 1930 e del 19 marzo 1931);
e) i compromessi, le clausole compromissorie e le convenzioni sul foro competente (che sono oggetto della convenzione di New York del 10 giugno 1958, del regolamento comunitario n. 44/2001 e della convenzione dell’Aja del 30 giugno 2005);
f) le questioni inerenti al diritto delle società, associazioni e persone giuridiche, su aspetti quali la costituzione, tramite registrazione o altrimenti, la capacità giuridica, l’organizzazione interna e lo scioglimento delle società, associazioni e persone giuridiche e la responsabilità personale dei soci e degli organi per le obbligazioni della società, associazione o persona giuridica (si tratta di materie disciplinate da numerosi atti normativi comunitari);
g) la questione di stabilire se l’atto compiuto da un intermediario valga ad obbligare di fronte ai terzi il mandante, o se l’atto compiuto da un organo di una società, altra associazione o persona giuridica valga ad obbligare di fronte ai terzi la società, altra associazione o persona giuridica (per approfondimenti cfr. X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., 49 e ss.);
h) la costituzione di «trust» e i rapporti che ne derivano tra i costituenti, i «trustee» e i beneficiari (la materia è disciplinata dalla convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985);
i) le obbligazioni derivanti da trattative precontrattuali (l’esclusione, non prevista dalla convenzione di Roma, è conseguenza della qualificazione degli obbligazioni concernenti la fase delle trattative come obbligazioni extracontrattuali con conseguente assoggettamento al regolamento n. 864/2007 (Roma II) sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali;
j) i contratti di assicurazione che derivano da operazioni effettuate da soggetti diversi dalle imprese di cui all’articolo 2 della direttiva 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 novembre 2002, relativa all’assicurazione sulla vita, aventi lo scopo di erogare ai lavoratori, dipendenti o non, riuniti nell’ambito di un’impresa o di un gruppo di imprese o di un settore professionale o interprofessionale, prestazioni in caso di decesso, in caso di vita o in caso di cessazione o riduzione d’attività, o in caso di malattia professionale o di infortunio sul lavoro» (l’esclusione riguarda solo i contratti di assicurazione come sopra identificati, ma non quelli di tipo diverso che rientrano a pieno titolo nel campo di applicazione del regolamento che ad essi dedica peraltro una disciplina specifica – cfr. art. 7).
correlativa esigenza di far salva la disciplina in vigore, evitando indebite sovrapposizioni.
Il par. 3 dell’art. 1, infine, prevede che il regolamento non si applichi alla prova e alla procedura, fatto salvo quanto previsto all’art. 18. Ne risulta un assetto normativo in forza del quale la legge che disciplina il rapporto contrattuale trova applicazione anche nella parte in cui stabilisca presunzioni legali e ripartisca l’onere della prova. L’ammissibilità dei mezzi di prova è, invece, sottoposta alla lex fori.
V. Carattere universale del regolamento: ambito di applicazione ratione loci e
ratione temporis
L’art. 2 della convenzione di Roma, rubricato “Carattere universale”, prevede che la legge individuata sulla base delle norme di conflitto ivi contenute trovi applicazione anche quando sia la legge di uno Stato non contraente.
All’esito delle consultazioni avviate con la presentazione, nel gennaio del 2003, del Libro Verde sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma e sul rinnovamento della medesima, si è registrata una sostanziale convergenza circa l’opportunità di mantenere l’opzione a favore del carattere universale del regolamento, ammettendone l’applicabilità anche laddove venga designata la legge di uno Stato che non sia membro dell’Unione europea.
Nel parere del 29 gennaio 200462 anche il Comitato economico e sociale europeo si è detto favorevole al mantenimento del carattere universale del regolamento, rimarcando che gli obiettivi di politica legislativa sottesi alla conversione della convenzione in strumento comunitario non sarebbero pienamente realizzabili se si ritenesse di applicare le norme di conflitto unificate solo quando designino come applicabile la legge di uno Stato membro.
Nella proposta di regolamento presentata dalla Commissione il 15 dicembre 200563, è accolta nella sostanza la soluzione già presente nella convenzione di Roma e, tuttavia, dal punto di vista formale, nella rubrica dell’art. 2 l’espressione “carattere
62 Pubblicato in G.U.U.E., C 108 del 30 aprile 2004 e consultabile per esteso sul sito xxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx.
63 Il testo integrale della proposta di regolamento presentata dalla Commissione il 15 dicembre 2005 (COM/2005/650 def.) è consultabile sul sito xxxx://xxx-xxx.xxxxxx.xx.
universale” è sostituita dalla formula più neutra “applicazione della legge di un paese terzo”.
Tale diversa formulazione linguistica è stata introdotta per ragioni di chiarezza, ritenendo che il titolo “carattere universale” fosse “fonte di confusione” (così si legge nella relazione di accompagnamento della proposta della Commissione).
La preoccupazione era evidentemente quella di evitare che si potesse intendere una pretesa competenza del legislatore comunitario ad emanare norme aventi efficacia anche nei confronti di Stati terzi.
Nelle fase successive del procedimento che ha portato alla definitiva adozione del regolamento, ci si è resi conto che la temuta confusione non aveva alcuna ragion d’essere in considerazione dell’inequivoco contenuto dispositivo dell’articolo in questione.
Il legislatore comunitario, pertanto, ha reintrodotto nella rubrica la formula “carattere universale”, ribadendo poi sul piano dispositivo l’applicabilità delle norme di conflitto contenute nel regolamento anche nel caso in cui ne risulti la designazione della legge di uno Stato terzo.
Tenuto conto della portata universale e della natura aperta del regolamento, nel senso che la sua operatività prescinde dalla localizzazione delle parti del rapporto contrattuale in uno Stato membro, l’unico requisito per l’applicabilità del regolamento ratione loci è il radicamento del processo davanti al giudice di uno Stato membro, restando del tutto irrilevanti altri possibili collegamenti con il territorio comunitario, quali ad esempio la nazionalità e residenza delle parti oppure il luogo di stipulazione o di esecuzione del contratto.
In tal modo, il regolamento può godere di ampia applicazione nello spazio giuridico europeo, essendone assicurata l’operatività a prescindere che si tratti di fattispecie localizzabili nel territorio comunitario.
L’ambito di applicazione ratione temporis è disciplinato dall’art. 28, a mente del quale il regolamento si applica ai contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009, data questa che ne segna (salvo che per l’art. 26 che si applica a decorrere dal 17 giugno 2009) la concreta operatività, collocata in un segmento temporale successivo rispetto all’entrata in vigore che, invece, si è avuta il 24 luglio 2008, e cioè il ventesimo
giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea (cfr. art. 29) avvenuta il 4 luglio 200864.
Il regolamento chiude, poi, con la consueta formula che ne ribadisce l’obbligatorietà in tutti i suoi elementi e la diretta applicabilità negli Stati membri.
Quanto a tale ultimo profilo, occorre sottolineare che Danimarca, Regno Unito e Irlanda, pur essendo Stati membri, in virtù del regime di opting out e di opting in convenuto in sede di conclusione del Trattato di Amsterdam e disciplinato nei Protocolli sulle rispettive posizioni65, possono astenersi dalla partecipazione all’adozione dei regolamenti in materia di diritto internazionale privato e non sono, pertanto, soggetti alla loro immediata applicazione.
Attualmente, l’Irlanda e il Regno Unito hanno esercitato l’opting in, esprimendo la propria volontà di dare applicazione al regolamento, cosicché rientrano a pieno titolo tra gli Stati membri che ne sono vincolati. La Danimarca, al contrario, non avendo ancora esercitato l’opting in, non è soggetta all’applicazione del regolamento che non ha, pertanto, alcuna efficacia nei suoi confronti. In considerazione di ciò, opportunamente l’art. 1, par. 4, del regolamento definisce la nozione di Stato membro precisando che per tali s’intendono solo gli Stati membri ai quali si applica il regolamento e non, invece, tutti gli Sati che partecipano all’Unione europea.
VI. Rapporti tra il regolamento e le altre fonti comunitarie
Il tema dei rapporti tra il diritto comunitario e il diritto internazionale di derivazione convenzionale, che investe la più generale questione della gerarchia delle
64 Diversa era la disciplina dell’efficacia temporale nella proposta di regolamento della Commissione: in essa era previsto che, ferma l’entrata in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, il regolamento si applicasse, a decorrere dall’anno seguente alla entrata in vigore, alle obbligazioni contrattuali sorte dopo la data di applicazione del regolamento medesimo; per le obbligazioni sorte in epoca anteriore, il regolamento avrebbe trovato applicazione solo qualora la legge designata in forza delle norme di conflitto in esso contenute fosse stata la medesima legge applicabile ai sensi della convenzione di Roma. Tale disposizione risultava, invero, piuttosto “singolare” sancendo una sorta di retroattività del regolamento di difficile giustificazione, con in più il rischio di eccessive complicazioni in fase applicativa. Peraltro, non è dato intendere l’utilità di distinguere tra applicazione della convenzione e rispettivamente del regolamento quando il risultato era comunque il medesimo. Preso atto di ciò, la soluzione proposta è stata abbandonata e sostituita da quella, già esposta nel testo, di rendere applicabile il regolamento alle sole obbligazioni contrattuali sorte dopo la data di decorrenza della operatività del regolamento medesimo, che resta perciò irretroattivo.
65 Pubblicati in G.U.U.E., C 340 del 10 novembre 1997.
fonti, non è sfuggito all’attenzione dei redattori della convenzione di Roma.
Per quanto all’epoca dell’adozione della convenzione la produzione normativa comunitaria in materia contrattuale fosse ancora ad uno stato per così dire embrionale, i redattori della convenzione si sono comunque preoccupati di disciplinare i rapporti tra le due fonti, evidentemente consapevoli che negli anni a seguire il diritto comunitario avrebbe assunto dimensioni niente affatto trascurabili, anche nel settore della disciplina dei conflitti di legge.
La disciplina dettata dalla convenzione di Roma fonda essenzialmente sul riconoscimento del primato del diritto comunitario. L’art. 20 dispone, infatti, che la convenzione «non pregiudica l’applicazione delle disposizioni che, in materie particolari, regolano i conflitti di legge nel campo delle obbligazioni contrattuali e che sono contenute in atti emanati o da emanarsi dalle Istituzioni delle Comunità europee o nelle legislazioni nazionali armonizzate in esecuzione di tali atti».
Nel sistema della gerarchia delle fonti, il diritto comunitario è sovraordinato e perciò prevale rispetto alla disciplina posta dalla convenzione; e si badi che detta prevalenza è assegnata non solo agli atti normativi comunitari già emanati all’epoca dell’adozione della convenzione, ma anche a quelli di successiva emanazione, come pure alla normativa nazionale adottata dagli Stati membri in attuazione delle direttive comunitarie.
A far tempo dalla metà degli anni ottanta, numerose sono state le direttive in materia contrattuale e consumeristica, assai spesso accompagnate da una specifica disciplina di diritto internazione privato66 o comunque dalla c.d. “non Member-State clause”, ovverosia la clausola di protezione che impone l’applicazione delle norme imperative di diritto comunitario anche quando le parti abbiano scelto come applicabile la legge di uno Stato terzo, sempre che il contratto presenti uno stretto legame con il territorio di uno o più Stati membri67.
66 Si pensi alla direttiva 88/357/CEE del 22 giugno 1988 (concernente l’assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita, oggi abrogata dalla direttiva 2009/138/CE del 25 novembre 2009) che all’art. 7 dettava le disposizioni per l’individuazione della legge applicabile ai contratti di assicurazione. Specifiche norme di conflitto erano anche previste all’art. 4 della direttiva 90/619/CEE dell’8 novembre 1990 relativa all’assicurazione diretta sulla vita, modificata dalla direttiva 92/96/CEE del 10 novembre 1992 e poi abrogata dalla direttiva 2002/83/CE del 5 novembre 2002.
67 Una clausola di questo tipo è stata introdotta per la prima volta dall’art. 6 della direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, che impone agli Stati membri di adottare «le misure necessarie affinché il consumatore non sia privato
Il moltiplicarsi di siffatte disposizioni aventi indubbio carattere internazionalprivatistico in quanto incidenti sulla determinazione della legge applicabile ai rapporti contrattuali, ha fatto sì che si imponesse, nella soluzione dei conflitti di legge, l’applicazione del diritto comunitario in forza del primato ad esso riconosciuto dalla convenzione di Roma, derivandone un sostanziale indebolimento della disciplina dettata dalla medesima convenzione, destinata appunto a soccombere di fronte alla normativa di fonte comunitaria.
Per evitare un analogo indebolimento del regolamento e perseguire più efficacemente l’obiettivo di garantire una maggiore certezza del diritto attraverso la prevedibilità della legge applicabile, la Commissione nella proposta di regolamento del dicembre 2005 ha modificato radicalmente l’impostazione seguita dalla convenzione nella disciplina dei rapporti con gli altri atti comunitari68; mutamento di prospettiva, peraltro, reso possibile dall’essere anche il regolamento fonte normativa di origine comunitaria. Non è più in gioco il confronto tra una disciplina di derivazione convenzionale e il diritto propriamente comunitario, ma il rapporto tra normative aventi una medesima fonte di produzione.
In questo quadro, l’art. 22 della proposta di regolamento, con la chiara finalità di rafforzare sul piano applicativo la disciplina dettata dal regolamento medesimo,
della protezione assicurata dalla presente direttiva a motivo della scelta della legislazione di un Paese terzo come legislazione applicabile al contratto, laddove il contratto presenti un legame stretto con il territorio di uno Stato membro». Xxxxxxx xxxxxxxx si rinviene nell’art. 12 della direttiva 97/7/CE del 20 maggio 1997 sulla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza; nell’art. 7 della direttiva 1999/44/CE del 25 maggio 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo; nell’art. 12 della direttiva 2002/65/CE del 23 settembre 2002 sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori; nonché nell’art. 22 della direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008 (che ha abrogato la direttiva 87/102/CEE) relativa ai contratti di credito ai consumatori. Di tenore diverso, anche se orientata al perseguimento del medesimo obiettivo, la disposizione di cu all’art. 12 della direttiva 2008/122/CE del 14 gennaio 2009 in materia di multiproprietà (che ha abrogato la direttiva 94/47/CE del 26 ottobre 1994), che dispone «Ove la legge applicabile sia quella di un paese terzo, i consumatori non possono essere privati della tutela garantita dalla presente direttiva come applicata nello Stato membro del foro se: uno qualsiasi dei beni immobili interessati è situato sul territorio di uno Stato membro; o nel caso di un contratto non direttamente collegato a beni immobili, l’operatore svolge attività commerciali o professionali in uno Stato membro o dirige tali attività, con qualsiasi mezzo, verso uno Stato membro e il contratto rientra nell’ambito di dette attività».
68 Per una più approfondita trattazione delle tematiche concernenti i rapporti tra le diverse fonti normative si veda X. XXXXXXX, Rapporti della proposta di regolamento “Roma I” con le altre disposizioni rilevanti di diritto comunitario e con le convenzioni internazionali, in AA.VV., Il nuovo diritto europeo dei contratti: dalla convenzione di Roma al regolamento “Roma I”. Atti del convegno (Bari, 23-24 marzo 2007), Milano, 2007, 199 e ss.
specifica che gli unici atti emanati69 dalle Istituzioni comunitarie destinati ad avere prevalenza sulle norme del regolamento sono: (i) gli atti che in materie particolari disciplinano i conflitti di leggi nel campo delle obbligazioni contrattuali come elencati nell’allegato I alla proposta di regolamento70; (ii) gli atti che disciplinano le obbligazioni contrattuali e che, in forza della volontà delle parti, si applicano nelle situazioni che comportano un conflitto di leggi (il riferimento è alle norme di diritto sostanziale di origine non statale comunque riconosciute a livello comunitario e, tra esse, il futuro codice europeo dei contratti, progetto di codificazione che però ha patito una inesorabile battuta d’arresto che ne ha segnato il tramonto); (iii) le disposizioni comunitarie destinate a favorire il buon funzionamento del mercato interno nella misura in cui non possano applicarsi congiuntamente alla legge designata dal diritto internazionale privato71.
Malgrado l’intrinseca ragionevolezza della disciplina proposta dalla Commissione, nella stesura definitiva del regolamento il legislatore comunitario torna a far propria l’impostazione già seguita nella convenzione di Roma.
L’art. 23 (rubricato “Relazioni con alte disposizioni del diritto comunitario”) precisa che, fatto salvo l’art. 7 concernente i contratti di assicurazione, il regolamento
69 Ci si è chiesti se l’art. 22 della proposta di regolamento si riferisca soltanto agli atti già emanati o anche a quelli di successiva emanazione: le perplessità discendono dal fatto che nella versione italiana si fa riferimento soltanto agli atti comunitari emanati, quella francese, invece, richiama anche gli atti di futura adozione. Quest’ultima sembra essere l’impostazione più logica non potendosi ammettere che l’adozione del regolamento si imponga come ragione ostativa alla futura emanazione da parte delle Istituzioni comunitarie di norme di conflitto in materie specifiche che abbiano prevalenza rispetto alla disciplina del regolamento, anche se (come si dirà più diffusamente nel testo) sarebbe opportuno che il legislatore comunitario concentrasse le norme di conflitto in materia contrattuale all’interno del regolamento, intervenendo ove necessario ad integrarlo o modificarlo, senza procedere all’inserimento di singole disposizioni sui conflitti di legge in separati atti comunitari non sempre coerenti sul piano sistematico.
70 Nell’allegato I figurano (i) la direttiva n. 93/7/CEE del 15 marzo 1993 sulla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro; (ii) la direttiva n. 96/71/CE del 16 dicembre 1996 sul distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi; (iii) la seconda direttiva n. 88/357/CEE del 22 giugno 1988 concernente l’assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita, come completata e modificata dalle direttive n. 92/49/CEE del 18 giugno 1992 e n. 2009/138/CE del 25 novembre 2009; (iv) la seconda direttiva n. 90/619/CEE dell’8 novembre 1990 relativa all’assicurazione diretta sulla vita, come completata e modificata dalla direttiva n. 92/96/CEE del 10 novembre 1992 e dalla direttiva n. 2002/83/CE del 5 novembre 2002.
71 Non è stato chiarito se l’elencazione di cui all’art. 22 e del richiamato allegato fosse da intendersi tassativa o meno: l’opinione prevalente era nel senso della tassatività, anche se non sono mancate voci contrarie che hanno ritenuto l’elencazione meramente esemplificativa e, pertanto, suscettibile di comprendere anche altri atti comunitari contenenti norme di conflitto (in questo senso A. CANNONE, Rapporti della proposta di regolamento “Roma I” con le altre disposizioni rilevanti di diritto comunitario e con le convenzioni internazionali, cit., 201).
«non pregiudica l’applicazione delle disposizioni dell’ordinamento comunitario che, con riferimento a settori specifici, disciplinino i conflitti di legge in materia di obbligazioni contrattuali». Ne consegue che le norme di conflitto contenute nelle diverse direttive che si occupano della materia contrattuale, sono destinate a prevalere sulla disciplina dettata dal regolamento. Così facendo, il legislatore comunitario, forse inconsapevolmente, ha compromesso sin dalla nascita la piena operatività del regolamento, smentendone la portata di corpus normativo in cui condensare l’intera disciplina di diritto internazionale privato e frustrando, al tempo stesso, quella esigenza di maggiore certezza del diritto che si era inteso perseguire.
Va da sé che facendo salva, in materia di obbligazioni contrattuali, l’applicazione della normativa comunitaria che, con riferimento a settori specifici, disciplina i conflitti di legge, si determina un significativo indebolimento del regolamento, le cui norme sono destinate a soccombere nel rapporto con le prime, con inevitabili ricadute negative sul grado di prevedibilità della legge applicabile. Soluzione più coerente sarebbe stata quella di sancire il primato del regolamento nella disciplina dei conflitti di legge, collocando al suo interno, con gli adattamenti imposti dalla necessaria coerenza sistematica, anche le disposizioni di diritto internazionale privato dettate da specifiche direttive già emanate (o comunque riconoscere solo ad esse prevalenza sulla disciplina del regolamento elencandole in via tassativa in un apposito allegato). In tal guisa, il regolamento avrebbe avuto una più ampia ed incisiva applicazione e avrebbe assunto, nel contesto giuridico europeo, la dignità di unico strumento normativo per la disciplina dei conflitti di legge, così evitando, a tutto vantaggio della certezza del diritto (tanto sbandierata ma di fatto pregiudicata), il disperdersi delle norme di conflitto in molteplici e non sempre coerenti atti normativi.
Per salvaguardare la funzione del regolamento come sede naturale delle norme di diritto internazionale privato e preservarne altresì la coerenza sistematica, il legislatore comunitario dovrebbe, in futuro, astenersi dall’adottare norme di conflitto nella disciplina di specifiche fattispecie contrattuali, intervenendo piuttosto a riformare o integrare le disposizioni del regolamento laddove le mutevoli esigenze della realtà giuridica rendessero necessari interventi di modernizzazione o di adeguamento.
VII. Rapporti tra il regolamento e le convenzioni internazionali
Nel trattare dei rapporti tra il regolamento e le convenzioni internazionali è utile, al fine di inquadrare compiutamente i termini della questione, mostrare preliminarmente, secondo lo schema espositivo già sopra seguito, la soluzione adottata dalla convenzione di Roma e quella suggerita nella proposta di regolamento della Commissione ed esaminare, infine, l’impostazione fatta propria dal legislatore comunitario nel testo definitivo.
L’art. 21 della convenzione di Roma prevede che essa non pregiudichi l’applicazione delle convenzioni internazionali di cui uno Stato è o sarà parte. Gli articoli seguenti stabiliscono, poi, a quali condizioni gli Stati firmatari possono adottare nuove norme di conflitto ovvero concludere altre convenzioni che abbiano ad oggetto norme di conflitto in materia contrattuale.
La soluzione voluta dai redattori della convenzione di Roma esprime, in buona sostanza, la subordinazione di essa agli altri accordi internazionali. Per quanto possa apparire radicale, la scelta di subordinazione in effetti ha avuto una scarsa incidenza pratica. Il numero delle altre convenzioni che vengono in rilievo e che, peraltro, vedono come parti soltanto pochi Stati che sono anche parti della convenzione di Roma, è assai limitato: si tratta della convenzione dell’Aja del 15 giugno 1955 sulla legge applicabile alla vendita internazionale di beni mobili corporali72 e della convenzione dell’Aja del 14 marzo 1978 sulla legge regolatrice dei contratti di intermediazione e di rappresentanza (di cui l’Italia non è firmataria). In ogni caso, per quanto l’incidenza sia piuttosto limitata, la prevalenza delle convenzioni dell’Aja sulla convenzione di Roma non va esente da critiche in quanto sottopone i contratti a leggi diverse a seconda dello Stato in cui è radicato il processo, generando una potenziale difformità delle decisioni nel territorio comunitario in spregio all’obiettivo della convenzione di Roma di uniformare le norme di conflitto.
L’art. 23 della proposta di regolamento della Commissione ripropone la soluzione della convenzione di Roma, pur introducendo un importante correttivo. Sancisce cioè la prevalenza sul regolamento delle convenzioni internazionali multilaterali in vigore che disciplinano i conflitti di legge in materia contrattuale (prevedendone
72 Ratificata dall’Italia con la legge 4 febbraio 1958, n. 50 ed entrata in vigore il 1° settembre 1964.
l’inserimento in un elenco oggetto di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea) e tuttavia stabilisce, in via d’eccezione, che sia il regolamento a prevalere sulle convenzione dell’Aja del 1955 e del 1978 nel caso di fattispecie contrattuale intracomunitaria e cioè quando «tutti gli elementi pertinenti della situazione sono localizzati, al momento della conclusione del contratto, in uno o più Stati membri». Infine, il terzo par. del citato art. 23 riconosce la prevalenza del regolamento, nelle materie da esso disciplinate, sulle convenzioni internazionali bilaterali concluse tra Stati membri (anch’esse elencate in un apposito allegato).
Il pregio della descritta soluzione è evidentemente quello di richiamare specificamente le convenzioni multilaterali aventi prevalenza sul regolamento e di garantire nel contempo, nel caso di fattispecie intracomunitarie, l’uniformità delle decisioni nelle materie regolate dalle due convenzioni dell’Aja sancendo la prevalenza su di esse del regolamento, così da raggiungere nel complesso un sufficiente grado di certezza del diritto.
La preoccupazione che l’art. 23 violasse, come sostenuto da una parte della dottrina73, l’art. 307 del Trattato CE (corrispondente all’attuale art. 351 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, secondo cui prevalgono su di esso le convenzioni concluse dagli Stati membri prima del loro ingresso nella Comunità) con conseguenti problemi di invalidità, essendo il regolamento fonte normativa subordinata al Trattato e come tale incapace di derogare alle disposizioni di quest’ultimo74, ha indotto il legislatore comunitario ad adottare una soluzione più rispettosa delle convenzioni internazionali in vigore.
L’art. 25, par. 1, prevede la prevalenza sul regolamento delle convenzioni (di cui è previsto l’inserimento in un elenco oggetto di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea in base alle comunicazioni effettuate dagli Stati membri) che regolano i conflitti di legge in materia di obbligazioni contrattuali, sempre che si
00 Xxx. X. XXXXXXX, Xx proposta di regolamento “Roma I”: spunti critici su collegamento obiettivo e rapporti con le convenzioni di diritto internazionale privato uniforme, in AA. VV., La legge applicabile ai contratti nella proposta di regolamento “Roma I”, a cura di X. XXXXXXXX, Atti della giornata di studi (Rovigo, 31 marzo 2006), Xxxxxx, 0000, 44 e ss.; A. CANNONE, Rapporti della proposta di regolamento “Roma I” con le altre disposizioni rilevanti di diritto comunitario e con le convenzioni internazionali, cit., 196-197.
74 Per l’esame dei rapporti tra l’art. 23 della proposta di regolamento e l’allora art. 307 del Trattato CE e delle connesse problematiche di compatibilità tra le due richiamate disposizioni si rinvia a X. XXXXXXXXX, Il regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, cit., 29 e ss.
tratti di convenzioni di cui uno o più Stati membri siano già contraenti al momento dell’adozione del regolamento. Il secondo par. del citato art. 25 riconosce, invece, la prevalenza del regolamento, nelle materie da esso disciplinate, sulle convenzioni internazionali concluse esclusivamente tra due o più Stati membri75.
In definitiva, la disciplina di cui all’art. 25 garantisce la compatibilità del regolamento con le convenzioni internazionali già in vigore, consentendo agli Stati membri di continuare ad adempiere agli obblighi precedentemente assunti nei confronti di Stati extracomunitari.
Il prezzo da pagare, però, è quello di una frammentazione, a livello europeo, delle regole di conflitto in materia di obbligazioni contrattuali che, di fatto, potrebbe pregiudicare, ove le disposizioni contenute nei diversi strumenti normativi non siano omogenee, la creazione di un autentico spazio comune di giustizia.
Nulla è detto per le convenzioni internazionali che siano eventualmente concluse dagli Stati membri successivamente all’adozione del regolamento.
Tale mancata previsione, che peraltro difettava anche nella proposta di regolamento della Commissione, indurrebbe a ritenere che le Istituzioni comunitarie, a seguito dell’emanazione del regolamento, avrebbero competenza esterna esclusiva a concludere accordi internazionali contenenti norme di conflitto in materia contrattuale, con la conseguenza che gli Stati membri non avrebbero più il potere, né individualmente né collettivamente, di contrarre con Stati terzi, attraverso la stipulazione di accordi internazionali, obbligazioni che incidano sulle norme di conflitto dettate dal regolamento76.
75 Il disposto dell’art. 25, par. 1, si traduce in una clausola di compatibilità, in quanto prevede che il regolamento non pregiudichi l’applicazione delle convenzioni internazionali che soddisfano i requisiti indicati; il secondo par., invece, opera come clausola di incompatibilità, sancendo la prevalenza del regolamento sulle convenzioni internazionali concluse esclusivamente tra Stati membri. Sulla distinzione concettuale tra clausole di compatibilità e clausole di incompatibilità e sul loro concreto operare si veda E. SCISO, Gli accordi internazionali configgenti, Bari, 1986, 127 e ss.; più in generale, sulle clausole di coordinamento X. XXXXXX, Diritto internazionale. Problemi fondamentali, Milano, 2005, 375 e ss.
76 In questo senso si era pronunciata la Commissione nel Libro verde, sostenendo che «la facoltà per gli Stati membri di aderire in via individuale ad altre convenzioni cesserà non appena lo strumento comunitario proposto verrà adottato. In applicazione della giurisprudenza “AETS” (si tratta della sentenza del 31 marzo 1971, causa 22/70), infatti, l’adozione di uno strumento comunitario che uniformizzi i conflitti di legge in materia contrattuale, di tipo civile e commerciale, attribuirebbe alla Comunità una competenza esclusiva per negoziare e adottare strumenti internazionali in questo settore».
La soluzione interpretativa in esame sembra, tuttavia, smentita dal considerando
n. 42 del regolamento, che prevede espressamente che la Commissione presenti al Parlamento e al Consiglio «una proposta riguardante le procedure e condizioni secondo le quali gli Stati membri sarebbero autorizzati a negoziare e concludere a proprio nome, in singoli casi eccezionali riguardanti materie settoriali, accordi con paesi terzi contenenti disposizioni sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali».
Il citato considerando lascerebbe immaginare un regime di competenza esterna delle Istituzioni comunitarie non esclusiva ma concorrente, nel senso che anche gli Stati membri potrebbero, ma solo in casi eccezionali e per materie settoriali, concludere accordi internazionali con Stati terzi sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, seppur nel rispetto delle procedure e delle condizioni fissate dal Parlamento e dal Consiglio su proposta della Commissione.
In effetti, la previsione di un regime di competenze esterna concorrente se, da un lato, soddisfa le spinte nazionalistiche di quegli Stati membri poco propensi a rinunciare tout court alla potestà di negoziare accordi internazionali con Paesi extracomunitari, dall’altro potrebbe compromettere, nel caso di adozione da parte dei
Sulla competenza delle Istituzioni comunitarie a concludere accordi internazionali si è già più volte pronunciata la Corte di giustizia, da ultimo con il parere del 7 febbraio 2006, n. 1/03 nel quale, richiamato preliminarmente l’orientamento espresso in precedenti pareri e pronunce (tra queste si segnala la sentenza del 31 marzo 1971, causa 22/70, sopra citata), ha ribadito che la competenza esterna dell’Unione a concludere accordi internazionali possa non soltanto essere attribuita espressamente dal Trattato, ma altresì derivare implicitamente da altre disposizioni del Trattato e da atti adottati, nell’ambito di tali disposizioni, dalle Istituzioni comunitarie, aggiungendo che ogniqualvolta il diritto comunitario abbia attribuito a tali Istituzioni determinati poteri sul piano interno, onde realizzare un certo obiettivo, l’Unione è competente ad assumere gli impegni internazionali necessari per raggiungere tale obiettivo, anche in mancanza di espresse disposizioni al riguardo (è questo il c.d. principio del parallelismo delle competenze). Ha altresì precisato che la competenza esterna può essere esclusiva o concorrente con quella degli Stati membri: più in particolare, la Corte ha riconosciuto una competenza esclusiva laddove la conclusione di un accordo da parte degli Stati membri sia incompatibile con l’unicità del mercato comune ovvero sia tale da incidere sulle disposizioni comunitarie esistenti pregiudicando l’applicazione uniforme e coerente di dette disposizioni e il corretto funzionamento del sistema che esse istituiscono.
Il testo integrale del parere 1/03 del 7 febbraio 2006 è consultabile sul sito xxxx://xx.xxxxxx.xx.
In dottrina, sulla competenza esterna dell’Unione conseguente all’attribuzione della competenza ad emanare atti interni di diritto internazionale privato cfr. X. XXXXXX, Il diritto internazionale privato dell’Unione europea: considerazioni generali, in Diritto internazionale privato e cooperazione giudiziaria in materia civile, a cura di X. XXXXXX, Trattato di dir. priv. dell’Unione europea, diretto da X. XXXXX – G.A. BENACCHIO, Vol. XIV, Torino, 18 e ss.; X. XXXXX, The “Communitarization” of private International law and its impact on the external relations of European Union, in X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXX, The external dimension of EC private international law in family and succession matters, Padova, 2008, 3-15.
singoli Stati membri, seppur in materie settoriali, di norme di conflitto non omogenee con quelle dettate dal regolamento, l’uniformità del sistema europeo di diritto internazionale privato e la stessa certezza del diritto che ne è postulato essenziale.
E’, dunque, auspicabile per evitare i rischi di cui si è detto che venga riconosciuta all’Unione competenza esterna esclusiva, così da preservare il corretto funzionamento del sistema normativo delineato dal regolamento Roma I.
VIII. (segue) Rapporti tra il regolamento e la convenzione di Roma
Quanto ai rapporti con la convenzione di Roma, diversamente dalla proposta della Commissione che nulla disponeva al riguardo, il regolamento all’art. 24 stabilisce che esso sostituisce la convenzione e che ogni riferimento a quest’ultima deve intendersi fatto al regolamento, salvo che per i territori degli Stati membri esclusi dall’ambito di applicazione del regolamento a norma dell’art. 299 del Trattato CE (ora artt. 349 e 355 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea)77.
Dal punto di vista temporale, però, la convenzione di Roma continua a trovare applicazione anche successivamente al 17 dicembre 2009, data di operatività del regolamento, restando assoggettate alla disciplina convenzionale le obbligazioni contrattuali sorte anteriormente a quella data.
Tenuto conto, inoltre, che la Danimarca – come già detto - non è soggetta all’applicazione del regolamento, la convenzione di Roma continuerà a trovare applicazione in questo Stato. I giudici danesi che siano investiti di una controversia in materia contrattuale, per la cui decisone occorra determinare la legge applicabile, continueranno a ricorrere alle norme di conflitto dettate dalla convenzione di Roma.
Resta da verificare, tuttavia, se l’esclusione della Danimarca dall’ambito applicativo del regolamento si traduca altresì nella perdurante operatività della convenzione di Roma anche nei rapporti tra la Danimarca e gli altri Stati membri. I giudici danesi, dal canto loro, applicheranno senz’altro la convenzione di Roma. La questione problematica è se anche i giudici degli altri Stati membri siano chiamati ad
77 Sull’argomento cfr. X. XXXXXXXX, Le relazioni intercorrenti tra il regolamento Roma I e le convenzioni internazionali (in vigore e non), in AA.VV., La nuova disciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti (Roma I), a cura di X. XXXXXXXXX, Torino, 2009, 383 e ss.
applicare la convenzione nel caso di fattispecie che presentino un qualche collegamento, oggettivo o soggettivo, con la Danimarca.
A parere di chi scrive, la risposta non può che essere negativa.
Già si è detto che l’unico requisito necessario per l’applicabilità del regolamento è il radicamento del processo davanti al giudice di uno Stato membro, restando irrilevante, ai fini della sua operatività, la localizzazione della residenza delle parti in uno Stato extracomunitario o la riconduzione ad esso di qualunque altro elemento di estraneità. Ne deriva che un collegamento, oggettivo o soggettivo, della fattispecie con la Danimarca non può precludere l’applicazione del regolamento, sempre che il processo sia radicato davanti ai giudici di uno Stato membro78.
La soluzione in esame garantisce una più ampia applicazione del regolamento nello spazio giuridico europeo, in quanto ne assicura l’operatività a prescindere dalla localizzazione spaziale della fattispecie. Il difetto, però, è che non risulta preservata l’uniforme determinazione della legge applicabile alle fattispecie contrattuali che siano a vario titolo collegate con la Danimarca. Nel caso in cui sia adito il giudice danese, la legge applicabile continua ad essere individuata sulla base delle norme di conflitto della convenzione di Roma; laddove, invece, il processo sia radicato davanti al giudice di un altro Stato membro, la legge applicabile è determinata secondo le disposizioni del regolamento. E non è detto che il risultato sia il medesimo, avendo il regolamento modificato, sotto più profili, l’asseto normativo dettato dalla convenzione.
Quanto, infine, agli effetti sul sistema italiano di diritto internazionale privato della trasformazione della convenzione di Roma in regolamento, occorre osservare che, ai sensi dell’art. 57 della legge 31 maggio 1995 n. 218, le obbligazioni contrattuali sono regolate “in ogni caso” dalla convenzione di Roma. Poiché il regolamento prevede di sostituirsi alla convenzione nella determinazione della legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, è giocoforza ritenere che il rinvio operato dal citato art. 57, anche in assenza di un’apposita modifica legislativa, non possa che estendersi in via analogica alle disposizioni recate dal regolamento79. Tal conclusione
78 In senso conforme X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 386-388.
79 Cfr., in dottrina, X. XXXXXXXX XXXXXXXX, Conseguenze della trasformazione della convenzione di Roma in regolamento comunitario per il sistema italiano di diritto internazionale privato, in AA.
trova conferma nell’art. 24, par. 2, del regolamento, laddove è previsto che debba intendersi rivolto a quest’ultimo ogni riferimento alla convenzione di Roma.
Ammesso che il rinvio alla convenzione sia da intendersi riferito al regolamento, l’effetto che ne deriva è l’estensione, nell’ordinamento giuridico italiano, dell’ambito di applicazione del regolamento a quelle fattispecie che, pur non ricadendo nel suo perimetro applicativo come delineato dall’art. 1, siano comunque idonee ad essere ricomprese nella categoria di “obbligazioni contrattuali” di cui all’art. 57 della legge 31 maggio 1995 n. 218.
IX. Attuazione della “non Member-State clause”: la soluzione italiana
Già si è detto che in numerose direttive in materia consumeristica è presente la
c.d. “non Member-State clause”80, ovverosia la clausola di protezione che assegna alle norme comunitarie una imperatività rafforzata, imponendo agli Stati membri di adottare le misure necessarie per garantire che il consumatore non sia privato della protezione assicuratagli dalle direttive per effetto della scelta della legge di uno Stato terzo come legge regolatrice del contratto, sempre che quest’ultimo presenti uno stretto collegamento con il territorio di uno o più Stati membri.
In attuazione delle prescrizioni della suddetta clausola, il legislatore italiano ha adottato soluzioni non sempre omogenee e per certi versi non conformi alle finalità perseguite dal legislatore comunitario.
Più in particolare, in tema di clausole abusive nei contratti con i consumatori, l’art. 36, comma 5, codice del consumo (D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206) sancisce la nullità di ogni clausola contrattuale che, prevedendo l’applicabilità al contratto di una legislazione di un paese extracomunitario, abbia l’effetto di privare il consumatore della protezione assicuratagli dalle disposizioni del codice del consumo, laddove il contratto presenti un collegamento più stretto con il territorio di uno Stato membro dell’Unione xxxxxxx00.
VV., La legge applicabile ai contratti nella proposta di regolamento “Roma I”, a cura di X. XXXXXXXX, Atti della giornata di studi (Rovigo, 31 marzo 2006), Padova, 2006, 141 e ss.
80 Per l’elencazione dettagliata delle direttive si rimanda a pag. 40, nota 67.
81 L’art. 36, comma 5, codice del consumo riproduce il disposto (salvo sancire la nullità in luogo dell’inefficacia originariamente prevista) dell’art. 1469-quinquies, ultimo comma, cod. civ., che era
Analoga previsione, con la sola sostituzione dell’espressione “un collegamento più stretto” con quella “uno stretto collegamento”, è contenuta nell’art. 134, comma 3, codice del consumo, in materia di vendita di beni di consumo82.
La soluzione della nullità della clausola di scelta della legge applicabile non sempre consente di raggiungere l’obiettivo di evitare che il consumatore sia privato della protezione assicuratagli dalla normativa comunitaria recepita nell’ordinamento interno. L’invalidità della electio legis83 ha come effetto quello di rendere applicabile l’art. 6 del regolamento Roma I (e prima della sua entrata in vigore, l’art. 5 della convenzione di Roma, di cui si dirà diffusamente infra), che individua come legge regolatrice del contratto quella del paese di residenza abituale del consumatore, ove ricorrano le condizioni previste dal medesimo art. 6. In difetto, trova applicazione la disciplina generale di cui all’art. 4 del regolamento, che indica come lex contractus la legge del paese di residenza del professionista.
La conseguenza è che non sempre sarà garantita l’applicazione della normativa di derivazione comunitaria. Secondo le richiamate regole di conflitto, infatti, se il consumatore o il professionista risiedono in un paese extracomunitario, dovrà applicarsi la legge di detto paese anche se meno protettiva per il consumatore, salvo che le norme di protezione siano qualificate come norme di applicazione necessaria.
Peraltro, il riferimento nell’art. 36, comma 5, codice del consumo, alla circostanza che il contratto presenti “un collegamento più stretto con il territorio di uno Stato membro dell’Unione europea”, rende inoperante la norma tutte le volte che il collegamento del contratto con un paese extracomunitario sia più intenso di ogni altro possibile collegamento del medesimo contratto con un paese comunitario84.
stato introdotto con la legge 6 febbraio 1996, n. 52, di recepimento della direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993 (sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori), in cui la “non Member-State clause” ha fatto la sua prima apparizione (cfr. art. 6 della direttiva) per essere poi riprodotta, pressoché costantemente, nelle successive direttive in materia consumeristica.
82 La norma originaria era l’art. 1519-octies, cod. civ. (introdotto con il D. Lgs. 2 febbraio 2002, n. 24 di recepimento della direttiva 1999/44/CE del 25 maggio 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo), poi trasfuso nell’art. 134, comma 3, codice del consumo.
83 L’electio legis in favore del diritto di uno Stato comunitario non ricade nell’ambito di applicazione della norma in esame e, di conseguenza, conserva la sua validità sul presupposto che la normativa di un qualsiasi Stato comunitario sia parimenti protettiva del consumatore, essendo anch’essa di derivazione comunitaria e quindi rispettosa degli standard minimi di protezione imposti dal legislatore comunitario con le direttive in materia consumeristica.
84 Per ulteriori approfondimenti si rinvia a X. XXXXXXXXXX, Dei contratti del consumatore in generale, in Codice del consumo, a cura di X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXXXXX, Napoli, 2009, 207 e ss.
Di tenore decisamente diverso è l’art. 67-octies decies, comma 2, codice del consumo, in materia di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori85, che prevede che ove le parti abbiano scelto di applicare al contratto una legislazione diversa da quella italiana, al consumatore devono comunque essere riconosciute le condizioni di tutela previste dalla legge italiana. La previsione in esame si discosta sensibilmente da quella comunitaria (art. 12 direttiva 2002/65/CE). Quest’ultima fa riferimento alle sole situazioni in cui la legge di un paese terzo, scelta dalle parti, non assicuri al consumatore il livello di protezione previsto dalla normativa comunitaria. La disposizione nazionale, invece, prende in considerazione tutti i casi in cui le parti abbiano convenuto di applicare al contratto una legge “diversa da quella italiana” e, quindi, anche quella di uno Stato membro, imponendo comunque l’applicazione della legge italiana, a prescindere da ogni valutazione circa la natura ugualmente o più protettiva della legge scelta dalle parti86.
Il contrasto con la norma comunitaria impone, in forza del primato del diritto comunitario, la disapplicazione della norma nazionale in tutti i casi in cui esclude che il contratto sia regolato dalla legge di un altro Stato membro ovvero dalla legge di uno Stato extracomunitario, sempre che in quest’ultima eventualità detta legge risulti più favorevole per il consumatore. Ciò in quanto la finalità perseguita dal legislatore comunitario non è quella di imporre, sempre e comunque, l’applicazione della normativa di derivazione comunitaria, ma è quella di garantire al consumatore un
con ampi riferimenti dottrinali; X. XXXXXXXX, Commento all’art. 1469-quinquies, in Clausole vessatorie nei contratti del consumatore, a cura di X. XXXX – X. XXXXX, Commentario al cod. civ., diretto da F.D. BUSNELLI, Milano, 2003, 1128 e ss. e X. XXXXXXXXX, Art. 1469-quinquies, comma 5, in Nuove leggi civ. comm., 1997, 1254 e ss.
85 L’art. 67-octies decies codice del consumo è stato aggiunto dall’art. 9 del D. Lgs. 23 ottobre 2007,
n. 221, che ha inserito nel corpus del codice del consumo la sezione IV-bis del capo I, titolo III (composta dagli artt. 67-bis e ss., riguardanti la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori) e ha abrogato il D. Lgs. 19 agosto 2005, n. 190 di attuazione della direttiva 2002/65/CE del 23 settembre 2002. Nell’art. 17, comma 2, del decreto abrogato era contenuta la previsione poi riprodotta nel vigente art. 67-octies decies, comma 2, codice del consumo.
Quanto alla direttiva 97/7/CE del 20 maggio 1997 sulla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, le prescrizioni della “non Member-State clause” contenuta nell’art. 12 erano state attuate con l’art. 11, comma 2 (di tenore analogo al suddetto art. 67-octies decies codice del consumo), del D. Lgs. 22 maggio 1999, n. 185 di recepimento della citata direttiva, che è stato abrogato in sede di approvazione del codice del consumo, senza però riprodurre le disposizioni di attuazione della “non Member-State clause”.
86 Sull’argomento X. XXXXXXXX, Commento all’art. 67-octies decies, in Codice ipertestuale del consumo, diretto da X. XXXXXXXX, Torino, 2008, 320 e ss. e X. XX XXXXXXXXXX, Contratti aventi ad oggetto servizi finanziari stipulati a distanza e tutela dei consumatori; il d. lgs. 19 agosto 2005, n. 190, di recepimento della direttiva 2002/65/CE, in Studium iuris, 2006, 395 e ss.
livello standard di tutela minimale, senza però negare l’applicabilità di altre legislazioni di paesi terzi che prevedano una protezione equivalente o addirittura maggiore.
In materia di multiproprietà, a norma dell’art. 78 codice del consumo, qualora la legge applicabile sia quella di un paese extracomunitario, i consumatori non possono essere privati della tutela garantita dalle disposizioni del codice del consumo laddove
a) uno qualsiasi dei beni immobili interessati è situato sul territorio nazionale o di uno Stato dell’Unione europea; b) nel caso di un contratto non direttamente collegato a beni immobili, l’operatore svolga attività commerciali o professionali in Italia o in uno Stato dell’Unione europea o diriga tali attività, con qualsiasi mezzo, verso l’Italia o uno Stato dell’Unione europea e il contratto rientri nell’ambito di dette attività87.
La richiamata disposizione, riproducendo testualmente il contenuto dell’art. 12, comma 2, della direttiva 2008/122/CE, non dà luogo a problemi di compatibilità con la normativa comunitaria, né pone particolari questioni interpretative.
Di indubbia rilevanza è l’introduzione, ai fini della determinazione dello stretto collegamento con il territorio comunitario, del concetto di “attività diretta” (già impiegato, peraltro, nell’art. 15 del regolamento Bruxelles I e nell’art. 6 del regolamento Roma I), che ben può assurgere a principio ermeneutico di portata generale, alla stregua del quale individuare lo stretto collegamento alla cui ricorrenza è ancorata l’applicabilità delle norme di protezione consumeristiche, anche quando le parti abbiano scelto la legge di un paese terzo.
In questa prospettiva, il contratto deve considerarsi strettamente collegato al territorio comunitario quando il professionista svolga o diriga la sua attività verso
87 L’art. 78 codice del consumo, nel testo oggi vigente, è stato introdotto dal D. Lgs. 23 maggio 2011, n. 79 di attuazione della direttiva 2008/122/CE del 14 gennaio 2009 (che ha abrogato la direttiva 94/47/CE del 26 ottobre 1994), che ha significativamente novellato l’originario art. 80 codice del consumo, che riproducendo il disposto dell’art. 11 D. Lgs. 9 novembre 1998, n. 427 di attuazione della direttiva 94/47/CE del 26 ottobre 1994, così disponeva: «Ove le parti abbiano scelto di applicare al contratto una legislazione diversa da quella italiana, all’acquirente devono comunque essere riconosciute le condizioni di tutela previste dal presente capo, allorquando l’immobile oggetto del contratto sia situato nel territorio di uno Stato membro dell’Unione europea». Così strutturata, la norma non assicurava alcuna protezione al consumatore nel caso di ubicazione dell’immobile in territorio extracomunitario. Il problema è stato superato con l’attuale formulazione dell’art. 78 codice del consumo, che rende operativa la clausola di protezione a prescindere dall’ubicazione dell’immobile, sempre che il contratto sia concluso dal professionista nell’ambito di un’attività svolta o diretta verso uno Stato dell’Unione europea.
uno Stato membro e il contratto sia concluso nel quadro di detta attività, restando irrilevante che il consumatore o il professionista abbia o meno la sua residenza in uno Stato membro e che il luogo di conclusione o esecuzione del contratto sia localizzato nel territorio comunitario.
La ragionevolezza del proposto criterio interpretativo risiede nella sua intrinseca coerenza con la ratio della normativa consumeristica.
Se l’obiettivo prioritario del legislatore comunitario è quello di favorire l’effettivo funzionamento del mercato interno secondo il modello della libera concorrenza tra le imprese che in detto mercato operano, è certo che debba considerarsi collegato con il territorio comunitario (che rappresenta la dimensione fisica del mercato interno) ogni contratto di consumo che sia concluso da un operatore professionale nel quadro di un’attività svolta o diretta verso il territorio comunitario.
Il sistema normativo delineato dal codice del consumo con riferimento alla imperatività rafforzata della legislazione di derivazione comunitaria si chiude con l’art. 143 (compreso nelle disposizioni finali), che al secondo comma dispone che ove le parti abbiano scelto di applicare al contratto una legislazione diversa da quella italiana, al consumatore devono comunque essere riconosciute le condizioni minime di tutela previste dal codice del consumo.
Anche in tal caso il legislatore italiano va oltre le prescrizioni comunitarie della “non Member-State clause”, giacché impiegando la formula “legislazione diversa da quella italiana” ha incluso nell’ambito di operatività della norma anche il caso in cui la scelta delle parti abbia ad oggetto la legge di uno Stato membro. Così intesa, la norma non potrà evidentemente trovare applicazione per contrasto con la normativa comunitaria. Conserva, invece, la sua operatività laddove le parti abbiano scelto la legge di uno Stato extracomunitario, con la conseguenza di precludere l’applicazione di detta legge, sempre che non preveda a favore del consumatore una protezione equivalente o addirittura maggiore di quella assicurata dalla legge italiana.
X. (segue) La soluzione spagnola
Anche il legislatore spagnolo non ha fatto buon governo della tecnica di trasposizione nell’ordinamento interno delle prescrizioni della “non Member-State
clause”88, andando ben al di là di quanto richiesto dalla normativa comunitaria.
In attuazione dell’art. 6 della direttiva 93/13/CEE sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori, dell’art. 12 della direttiva 97/7/CE sulla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza e dell’art. 7 della direttiva 99/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, l’art. 67 del “texto refundido de la ley general para la defensa de los consumidores y usuarios” (approvato con il Real Decreto Legislativo del 16 novembre 2007, n. 1) prevede che le norme nazionali di protezione del consumatore, contenute nel medesimo “texto refundido”, siano comunque applicabili quale che sia la legge scelta dalle parti, sempre che il contratto abbia uno stretto collegamento con il territorio comunitario89. Quanto alla identificazione dello “stretto collegamento”, con riguardo alle clausole abusive il legislatore spagnolo ha precisato che sussiste quando l’operatore professionale svolge o dirige con qualsiasi mezzo la sua attività nel territorio comunitario e il contratto sia stipulato nell’ambito di detta attività. Precisa altresì che per i contratti relativi a beni immobili lo stretto collegamento sussiste quando siano ubicati nel territorio di uno Stato membro. In tema di contratti a distanza e di vendita di beni di consumo, ha invece previsto che lo stretto collegamento sussiste quando (i) il bene debba utilizzarsi, il diritto sia da esercitarsi o la prestazione da eseguirsi in uno degli Stati membri, (ii) il contratto sia stato stipulato in uno di detti Stati, (iii)
88 Secondo la dottrina spagnola, l’introduzione della “non Member-State clause” nelle direttive consumeristiche si spiegherebbe in ragione della consapevolezza, da parte del legislatore spagnolo, della inidoneità della convenzione di Roma ad assicurare adeguata protezione ai consumatori soprattutto mobili; da qui l’esigenza di accompagnare la normativa comunitaria da opportune misure di rafforzamento della imperatività onde garantirne l’applicazione anche nei casi in cui ciò non sia consentito secondo le ordinarie norme di conflitto (cfr. J.C. XXXXXXXXX XXXXX, Alternativa conflictual o material en la búsqueda de un derecho contractual europeo más coherente, in La Ley (Unión europea), 2005, n. 6199, 3 e ss.; nello stesso senso M.D. XXXX XXXXX e J.I. XXXXXXX XXXXX, Comentario al art. 67. Análisis xx xx xxxxxxxxxxxxx xx xxx xxxxxx xx xxxxxxxxxxxxx xx xxx Xxxxxxxxxx sobre consumidores en el Derecho español, in Comentario sistemático del Texto Refundido por el Real Decreto Legislativo 1/2007, Madrid, 2011, 1190 e ss.).
89 Le prescrizioni dell’art. 12 della direttiva 2002/65/CE in materia di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, hanno trovato attuazione, al di fuori del “texto refundido”, nell’art. 3 della legge 11 luglio 2007, n. 22, che più propriamente limita il suo campo di applicazione alle sole ipotesi in cui le parti abbiano scelto come legge applicabile quello di un paese extracomunitario. Sotto questo profilo, non vi sono problemi di compatibilità con le prescrizioni dell’art. 12; problemi che riaffiorano, però, quando si pone mente al fatto che la citata disposizione impone comunque l’applicazione della legge spagnola anche laddove la normativa extracomunitaria assicuri al consumatore una protezione maggiore o comunque equivalente.
uno dei contraenti sia cittadino di uno Stato membro o ancora (iv) il contratto presenti qualsiasi altro collegamento stretto con il territorio comunitario.
Parimenti all’omologa norma italiana, la norma spagnola si discosta sensibilmente dalle prescrizioni comunitarie che – giova ribadirlo – mirano a garantire al consumatore un livello standard di tutela minimale, ammettendo anche l’applicazione della legge di un paese extracomunitario ove preveda una protezione equivalente o addirittura superiore.
Al contrario, la norma spagnola non si limita a contemplare i soli casi di scelta della legge di un paese terzo, ma estende la sua portata operativa anche ai casi in cui l’electio legis riguardi la legge di un altro Stato membro, imponendo comunque l’applicazione della normativa di protezione spagnola.
Il contrasto con la normativa comunitaria risulta ulteriormente evidente se si considera che l’applicazione della normativa spagnola è imposta a prescindere da ogni valutazione comparativa del grado di protezione assicurata dalla diversa legge scelta dalle parti che, di conseguenza, resta inapplicabile anche ove fosse in ipotesi più protettiva.
Per evitare che il contrasto con la norma comunitaria comporti la disapplicazione della norma nazionale, la dottrina spagnola ne propone una interpretazione correttiva e restrittiva in conformità alla ratio delle prescrizioni della “non Member-State clause”.
In questa prospettiva, l’unilateralismo domestico del legislatore spagnolo viene superato limitando l’ambito operativo dell’art. 67 del “texto refundido” ai soli casi in cui le parti abbiano scelto la legge di uno Stato extracomunitario, e ammettendo che detta legge resti applicabile se assicura al consumatore una uguale o maggiore protezione90.
Quanto alla identificazione dello “stretto collegamento” cui fanno riferimento le direttive in questione senza però darne specifica definizione, si ritiene che debba
90 Cfr. M.D. XXXX XXXXX e J.I. XXXXXXX XXXXX, op. cit., 1210, secondo cui l’art. 67 del “texto refundido” nella parte in cui non risulta conforme alle prescrizioni delle direttive, non può avere dignità di norma di derivazione comunitaria, ma resta semplicemente norma di rango nazionale. Di talché, laddove le parti abbiano scelto come legge regolatrice del contratto quella di uno Stato membro o quella di uno Stato terzo che sia più protettiva per il consumatore, l’art. 67 in quanto norma nazionale, deve cedere il passo alle norme di conflitto del regolamento Roma I che sono gerarchicamente sovraordinate.
prescindersi dal ricorso ai criteri di collegamento impiegati dalla convenzione di Roma e dal regolamento Roma I per individuare la legge applicabile al contratto in mancanza di scelta delle parti. Lo stretto collegamento è nozione compresa nel contenuto della direttiva; la sua interpretazione, pertanto, deve condursi facendo ricorso non a dati esterni, ma ad elementi propri della direttiva medesima, primo fra tutti la ratio91.
Ecco che allora, identificata detta ratio con l’esigenza di armonizzare le normative nazionali così da eliminare gli effetti distorsivi che il frammentato quadro normativo provoca sulla concorrenza tra le imprese che competono nel mercato interno, lo stretto collegamento è ritenuto esistente quando il contratto sia stipulato da un’impresa nel quadro dell’attività svolta o diretta nel territorio comunitario92.
Alla stregua di tale criterio ermeneutico viene interpretato l’art. 67 del “texto refundido”, negando rilevanza agli elementi di connessione ivi indicati, diversi dal concetto di “attività diretta”.
XI. Rapporti tra regolamento Roma I e norme di attuazione della “non Member- State clause”
Le disposizioni sopra esaminate, tanto italiane quanto spagnole, riguardano fattispecie contrattuali che presentano elementi di estraneità rispetto all’ordinamento giuridico nazionale. Dovrebbero, pertanto, ricadere nell’ambito di applicazione del regolamento Roma I. Ma così non è.
L’art. 23 del regolamento, come già evidenziato, nel disciplinare i rapporti con altre disposizioni del diritto comunitario, ribadisce il principio di specialità stabilendo che il regolamento «non pregiudica l’applicazione delle disposizioni dell’ordinamento comunitario che, con riferimento a settori specifici, disciplinino i conflitti di legge in materia di obbligazioni contrattuali». Poiché le norme sopra esaminate di derivazione comunitaria hanno natura internazionalprivatistica
91 In questo senso M.D. XXXX XXXXX e J.I. XXXXXXX XXXXX, op. cit., 1196-1197; contra, B. AÑOVEROS TERRADAS, Los contratos de consumo intracomunitarios (cuestiones de derecho aplicable), Madrid-Barcellona, 2003, 164, secondo cui le direttive e la convenzione di Roma formano parte di un sistema giuridico integrato e, pertanto, può farsi ricorso agli elementi ricavabili dalla convenzione per interpretare i concetti di rilievo internazionalprivatistico che figurano nelle direttive.
92 Cfr. M.D. XXXX XXXXX e J.I. XXXXXXX XXXXX, op. cit., 1197.
incidendo sulla determinazione della legge applicabile, e hanno anche carattere di specialità in quanto riferite a materie specifiche, non v’è dubbio che debbano prevalere sulle norme del regolamento. Inevitabile conseguenza è una sostanziale restrizione dell’ambito di operatività del regolamento, destinato a cedere il passo alle norme nazionali adottate in attuazione della “non Member-State clause”.
Il quadro normativo è però destinato a mutare sensibilmente all’esito dell’approvazione della nuova direttiva sui diritti dei consumatori (già supra citata). La proposta di direttiva presentata dalla Commissione l’8.10.2008 e approvata con significative modifiche dal Parlamento europeo il 23.06.2011, ma non ancora dal Consiglio, abbandona la tecnica di rafforzare l’imperatività delle norme attraverso l’inserimento di una “non Member-State clause”, prevedendo che quando le parti abbiano scelto come legge regolatrice del contratto quella di un paese terzo, si debba applicare il regolamento Roma I al fine di determinare se il consumatore mantiene la protezione accordata dalla direttiva (cfr. considerando n. 58 del testo approvato dal Parlamento europeo). Se detta soluzione sarà confermata in sede di approvazione definitiva della direttiva, le norme nazionali di attuazione della “non Member-State clause” saranno definitivamente superate e, per l’effetto, il regolamento assumerà la dignità di unico strumento normativo per la disciplina dei conflitti di legge, a tutto vantaggio della certezza del diritto, evitando la simultanea presenza di norme di conflitto in molteplici e non sempre coerenti atti normativi.
CAPITOLO III
LA LEGGE APPLICABILE AL CONTRATTO
SOMMARIO: I. Libertà di scelta della legge applicabile. – II. Oggetto della scelta: legge in senso proprio o anche fonti non statali? – III. Legge applicabile in mancanza di scelta. – IV. Ambito di operatività della lex contractus. – V. I limiti all’esercizio dell’autonomia privata: norme imperative semplici e di applicazione necessaria. – VI. Ordine pubblico.
I. Libertà di scelta della legge applicabile
Non v’è dubbio che la facoltà riconosciuta ai contraenti di scegliere la legge applicabile al contratto, come materiale espressione dell’autonomia privata, costituisca utile strumento per garantire certezza, sul piano della disciplina normativa, ai rapporti contrattuali a carattere internazionale93.
Tale facoltà gode di positivo riconoscimento non solo sul piano dottrinale94, ma anche sul piano normativo. I sistemi contemporanei di diritto internazionale privato, infatti, riconoscono un ruolo preminente, quanto alla determinazione della legge applicabile, alla volontà delle parti95. La preminenza del criterio di collegamento soggettivo (fondato, appunto, sulla volontà delle parti) rispetto agli altri criteri di collegamento oggettivo si spiega in quanto la scelta della legge applicabile operata dalle parti elimina in radice il conflitto di leggi e la eterogeneità delle soluzioni
93 Per un’accurata indagine sull’autonomia privata in funzione internazionalprivatistica si rinvia a X. XXXXXXXX, Funzione ed oggetto dell’autonomia della volontà nell’era della globalizzazione del contratto, in AA.VV., La nuova disciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti (Roma I), a cura di X. XXXXXXXXX, Xxxxxx, 0000, 15 e ss.
94 Cfr. X. XXXXX XXXXXXXX, Il valore della volontà delle parti nel diritto internazionale privato italiano, Milano, 1964, 421 e ss.; X. XXXXXXXX, La volontà delle parti come criterio di collegamento, in Scuola di notariato, La convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, Milano, 1983, 147 e ss. In argomento si veda anche X. XXXXXXXX, Funzione ed oggetto dell’autonomia della volontà nell’era della globalizzazione del contratto, cit., 22 e ss., che ricostruisce, con ampi riferimenti bibliografici, il dibattito dottrinale attorno alla lex voluntatis tra coloro che riconoscono il valore positivo dell’autonomia contrattuale conflittualistica e coloro che l’hanno criticata considerandola alla stregua di una minaccia alla “autorité de la loi”.
95 Oltre al regolamento Roma I, riconosce centralità all’autonomia delle parti intesa come libertà di scelta della legge applicabile al contratto la legge federale svizzera del 18.12.1987 (cfr. art. 116), salvo però negarla per i contratti con i consumatori (cfr. art. 120). Pari centralità è riconosciuta anche nel sistema italiano di diritto internazionale privato (legge 31 maggio 1995, n. 218) che rinvia alla disciplina di conflitto della convenzione di Roma del 1980 che assegna, anch’essa, un ruolo preminente alla volontà delle parti.
proposte dai diversi ordinamenti giuridici, riducendo sensibilmente i margini di controversia e quindi i costi delle transazioni96. Peraltro, il criterio di collegamento soggettivo consente di superare l’inevitabile rigidità ed astrattezza dei tradizionali criteri di collegamento oggettivo che prescindono da ogni considerazione dell’interesse comune dei contraenti.
L’autonomia privata, intesa come determinazione convenzionale della legge applicabile al contratto, risponde evidentemente non solo alla funzione di “localizzare” il rapporto contrattuale nell’ambito di un determinato ordinamento giuridico (è questo il ruolo conflittuale dell’autonomia privata), ma anche alla più apprezzabile e significativa funzione di consentire alle parti, che abbiano un pari potere contrattuale, di creare una disciplina appropriata del rapporto negoziale, che risponda cioè agli intersessi comuni dei contraenti medesimi (è questa la dimensione materiale dell’autonomia privata)97.
In continuità con la convenzione di Roma, anche il regolamento Roma I riconosce la supremazia dell’autonomia privata, a tal punto da consentire ai contraenti di indicare come legge applicabile un qualunque sistema normativo statale che sia ritenuto adeguato ai caratteri del rapporto contrattuale, anche se privo quest’ultimo di collegamenti sostanziali con l’ordinamento giuridico designato98. La valorizzazione dell’autonomia privata è resa ancor più evidente dal riconoscimento della libertà di scegliere la legge applicabile anche in un momento successivo alla conclusione del
96 Per questa ragione, dal punto di vista dell’analisi economica del diritto, l’autonomia internazionalprivatistica viene qualificata come un «efficient approach to the choice-of-law problem» (cfr. F.J. GARCIMARTÍN XXXXXXX, Regulatory competition: a private international law approach, in Eur. J.L. & Econ., 1999, 251 e ss.; X. XXXXXXXXX, I limiti al principio d’autonomia posti dalle norme generali del regolamento Roma I; considerazioni sulla “conflict involution” europea in materia contrattuale, in AA.VV., La nuova disciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti (Roma I), cit., 68; contra X. XXXXXXX, Il diritto applicabile ai contratti: norme di conflitto e norme materiali, in I rapporti economici internazionali e l’evoluzione del loro regime giuridico. Soggetti, valori e strumenti, a cura di X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXX, Napoli, 2008, 173).
97 Sulla duplice dimensione dell’autonomia privata nella scelta della legge applicabile cfr. X. XXXXXXXXX, I limiti al principio d’autonomia posti dalle norme generali del regolamento Roma I; considerazioni sulla “conflict involution” europea in materia contrattuale, cit., 67 e ss.
98 In argomento, cfr. X. XXXXXXXX, Funzione ed oggetto dell’autonomia della volontà nell’era della globalizzazione del contratto, cit., 26, il quale rimarca che «la volontà delle parti costituisce un criterio di collegamento unico e del tutto autosufficiente non essendo minimamente necessario che il contratto presenti altre circostanze di collegamento rispetto all’ordinamento statale designato o anche rispetto a ordinamenti terzi»; Id., Prime note circa la scelta del diritto applicabile alle obbligazioni contrattuali nella proposta di regolamento “Roma I”, in AA.VV., La legge applicabile ai contratti nella proposta di Regolamento “Roma I”, a cura di X. XXXXXXXX, Xxxxxx, 0000, 31.
contratto; di modificare la scelta in precedenza operata e di ricavare da diversi ordinamenti giuridici le norme che sono chiamate a regolare questo o quell’altro aspetto del rapporto contrattuale, così da rendere la disciplina materiale più aderente alle finalità perseguite dalle parti con il loro agire negoziale.
E’ certo, però, che l’autonomia privata, come già accennato, può esplicare gli effetti positivi sopra evidenziati solo in quanto sia espressione dell’agire negoziale di soggetti dotati di pari potere contrattuale. L’esercizio dell’autonomia privata non può, invece, ricevere positivo apprezzamento allorquando sia impiegato unilateralmente dal soggetto dotato di maggiore forza negoziale come strumento di sopraffazione per conseguire, attraverso l’imposizione della scelta della legge applicabile, vantaggi ulteriori rispetto a quelli conseguibili in una situazione di ideale equilibrio del mercato e di sostanziale parità di potere contrattuale delle parti99.
Lo squilibrio delle forze contrattuali in campo impone, sostanzialmente, una tutela differenziata del contraente ritenuto debole, altrimenti esposto al rischio di veder ulteriormente penalizzata la propria posizione. E’ questo il caso del consumatore nei rapporti contrattuali con il professionista ribadendo, tuttavia, che la protezione del consumatore se, nel caso concreto, può dirsi rivolta a garantire il riequilibrio delle posizioni contrattuali, in termini più generali risponde all’esigenza di assicurare, nell’ambito del mercato unico interno, un ordinato dispiegarsi dell’iniziativa economica e la compiuta affermazione del regime concorrenziale.
II. Oggetto della scelta: legge in senso proprio o anche fonti non statali?
Già si è detto che l’adozione del regolamento Roma I è stata preceduta dalla presentazione, nel gennaio del 2003, del Libro Verde sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma del 1980 e sul rinnovamento della medesima.
Tra i quesiti formulati nel Libro Verde, di particolare rilievo, per quanto qui interessa, è il quesito n. 8 riguardante l’autonomia delle parti nella scelta della legge
99 In questi termini X. XXXXXXXXX, I limiti al principio d’autonomia posti dalle norme generali del regolamento Roma I; considerazioni sulla “conflict involution” europea in materia contrattuale, cit., 69 e ss., cui si rinvia per ulteriori approfondimenti teorici e riferimenti dottrinali sull’argomento.
applicabile alle obbligazioni contrattuali100. Più in particolare, si chiedeva se oggetto della scelta potesse essere anche una convenzione internazionale (il riferimento è evidentemente alle convenzioni internazionali di diritto materiale uniforme che dettano la disciplina direttamente applicabile ad un dato contratto) o principi generali del diritto e quindi, più genericamente, norme di derivazione non statale.
Il quesito attiene alla problematica connessa alla formulazione dell’art. 3 della convenzione di Roma (rubricato “Libertà di scelta”) che dispone «il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti».
Il riferimento testuale alla legge ha indotto a ritenere che la convenzione avesse sì riconosciuto ai contraenti la libertà di scelta, ma con la sostanziale limitazione che la scelta potesse avere ad oggetto soltanto una legge statale, restando conseguentemente escluso che potesse ricadere direttamente a favore di una convenzione internazionale oppure di norme di origine non statale (si pensi alla lex mercatoria, ai Principi Unidroit o anche ai Principles of European Contract Law elaborati dalla Commissione Lando101).
In esito alle risposte pervenute (numerose ma di diverso tenore e assai discordanti), si è giunti alla proposta di regolamento del 2005 che, in tema di libertà di scelta, presentava una soluzione nel senso dell’espansione dell’autonomia contrattuale in linea con l’evoluzione delle fonti di regolamentazione dei contratti. La Commissione aveva, infatti, proposto di introdurre un nuovo paragrafo che consentisse alle parti contraenti di scegliere fonti di regolamentazione del contratto ulteriori e diverse rispetto alle norme di origine statale102.
Malgrado il dichiarato proposito di modernizzazione che animava la proposta della Commissione, nel testo definitivo del regolamento Roma I scompare ogni
100 Il quesito n. 8 era così formulato: «Should the parties be allowed to directly choose an international convention or even general principles of law? What are the arguments for or against this solution?».
101 Per una ampia trattazione delle tematiche relative alla lex mercatoria e ai principi Unidroit si veda X. XXXXXXXX, La nuova lex mercatoria: principi Unidroit ed usi del commercio internazionale, in Tratt. dir. comm., diretto da X. XXXXXXX, Padova, 2003.
102 Nella proposta di regolamento del 2005 il nuovo par. disponeva testualmente: «the parties may also choose as the applicable law the principles and rules of the substantive law of contract recognized internationally or in the Community. However, questions relating to matters governed by such principles or rules which are not expressly settled by them shall be governed by the general principles underlying them or, failing such principles, in accordance with the law applicable in the absence of a choice under this Regulation».
riferimento alla possibilità che la scelta dei contraenti ricada su norme di derivazione non statale. Soltanto nel considerando n. 13 si dice «il regolamento non impedisce che le parti includano nel loro contratto, mediante riferimento, un diritto non statale ovvero una convenzione internazionale».
Per valutare compiutamente la portata della soluzione fatta propria dal regolamento Roma I, è utile procedere ad una breve analisi dell’evoluzione delle fonti di regolamentazione dei contratti e della correlativa espansione dell’autonomia privata.
La libertà delle parti di scegliere la legge applicabile è chiaramente espressione dell’autonomia privata, e si affianca, pur mantenendo la sua netta distinzione, all’altra, più significativa, manifestazione dell’autonomia privata che si sostanzia nella libertà di definire il contenuto del regolamento contrattuale.
Il problema della scelta della legge applicabile investe i contratti c.d. internazionali, ossia quei contratti che presentano elementi di estraneità giuridicamente significativi rispetto ad un dato ordinamento giuridico e, di converso, elementi di collegamento con altri ordinamenti103.
La definizione di contratto internazionale è destinata inevitabilmente a variare a seconda di quali siano gli elementi di estraneità ritenuti giuridicamente rilevanti.
La questione dell’esatta identificazione della categoria dei contratti internazionali ha, però, più di recente perso, almeno in parte, importanza per effetto dell’affermarsi della tesi secondo cui, pur in presenza di un contratto privo di elementi di estraneità, le parti ben potrebbero scegliere come legge applicabile una legge straniera104, così conferendo al contratto il connotato della internazionalità.
Resterebbe, dunque, superata la distinzione tra contratto interno e contratto internazionale sotto il profilo della libertà di scelta della legge applicabile, dovendosi tale libertà riconoscere anche alle parti di un contratto interno.
103 Numerose e per nulla convergenti sono le definizioni di contratto internazionale proposte dalla dottrina, tanto da rendere sostanzialmente impraticabile l’identificazione di un minimo comun denominatore (sull’argomento cfr. X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto del commercio internazionale, Padova, 3ª ed., 2011, 305 e ss.).
104 In tal senso è stata interpretata dalla dottrina maggioritaria la convenzione di Roma. L’art. 3, par. 3, rappresenta il dato testuale invocato a fondamento della facoltà delle parti di scegliere una legge straniera anche quando il contratto non presenti elementi di collegamento con altri ordinamenti. Sul punto si rimanda alle considerazioni svolte a pag. 34, nota 59.
Fermo il primato della volontà dei contraenti nella determinazione della legge applicabile, la questione su cui occorre soffermarsi è se per legge applicabile possa intendersi anche un complesso di principi e regole di derivazione non statale.
Sotto la vigenza della convenzione di Roma, si è ritenuto, seppur con qualche voce dissenziente105, che fosse consentito alle parti di scegliere come applicabile soltanto la legge di un determinato ordinamento statale. Tale approdo interpretativo è evidentemente espressione dell’idea tradizionale di monopolio statale delle fonti che ha portato all’affermarsi di un diritto di formazione politica e quindi ai processi di codificazione, con conseguente arretramento delle fonti non statali.
Negli ultimi decenni, tuttavia, nello scenario internazionale il monopolio statale delle fonti ha mostrato ampi segni di cedimento che ne stanno determinando il definitivo superamento. Ciò è dovuto principalmente all’incapacità degli Stati di
«esprimere un quadro normativo adeguato» alla fisionomia dei mercati106, risultandone per l’effetto facilitato il decentramento della produzione giuridica. Il commercio internazionale, sempre più sviluppato anche a seguito dell’affermarsi ormai irrefrenabile della globalizzazione, registra un significativo decentramento della produzione giuridica per essere i processi di formazione delle regole riconducibili ad ambiti diversi da quello statale. Il monopolio statale cede, dunque, il passo al pluralismo delle fonti di regolamentazione; pluralismo che peraltro ha trovato positivo riconoscimento anche negli ordinamenti giuridici statali e nelle convenzioni internazionali.
Esempio significativo di questa tendenza in atto è dato dalla convenzione interamericana del 17 marzo 1994 sulla legge applicabile ai contratti internazionali107. L’art. 7 della convenzione riconosce alle parti la libertà di scegliere
000 Xxx. X.X. XXXXXXX, Xx contratto senza legge e la convenzione di Roma, in Riv. dir. int. priv. proc., 1983, 279 e ss. e X. XXXXX XXXXXX, The Unidroit Principles of International Commercial Contracts and the Principles of European Contract Law: how to apply them to international contracts, in Uniform Law Review, 1996, 652 e ss., i quali sostengono una interpretazione estensiva dell’art. 3 della convenzione, così da ritenere praticabile una scelta che ricada su complessi di norme ulteriori e diverse rispetto alle leggi statali.
106 In questi termini P. VINCI, La “modernizzazione” della convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali: la scelta del diritto applicabile, in Contratto e impresa, 2006, 1262.
107 La convenzione interamericana sulla legge applicabile ai contratti internazionali è stata adottata il
17 marzo 1994 dall’Organizzazione degli Stati americani nell’ambito della quinta conferenza interamericana di diritto internazionale privato tenutasi a Città del Messico. Per un’analisi delle sue
il diritto (e - si badi - non la legge) applicabile al contratto108; e per diritto applicabile deve intendersi, anche alla luce degli ulteriori elementi testuali presenti nella convenzione, un corpus di regole non limitato alle leggi statali, ma comprensivo anche di fonti di regolamentazione di derivazione non statale (come, appunto, la lex mercatoria e i Principi Unidroit), nonché delle convenzioni internazionali di diritto materiale uniforme.
Anche in materia di arbitrato internazionale è dato registrare, nella individuazione delle fonti applicabili nel decidere il merito della controversia, una considerevole apertura a favore di regole di origine non statale. In tema di arbitrato secondo diritto, gli ordinamenti nazionali, sempre più spesso, prevedono che gli arbitri siano tenuti a decidere in conformità alle regole di diritto scelte dalle parti109. L’impiego della formula “regole di diritto”, anziché della parola più restrittiva “legge”, esprime per l’appunto il riconoscimento della libertà delle parti di scegliere, per la regolamentazione del contratto, complessi normativi di derivazione non statale.
A fronte del pluralismo delle fonti di regolamentazione, la parola legge si mostra quanto mai inadeguata ad indicare i diversi fenomeni normativi. Più coerente risulta la parola diritto in quanto, nella sua ampia accezione, comprende non solo il diritto nazionale di matrice statale, ma anche il diritto sovranazionale, frutto dell’azione congiunta di più Stati, come pure il diritto transnazionale e cioè il diritto che nasce senza la mediazione politica degli Stati e ha ad oggetto la regolamentazione dei rapporti internazionali110.
disposizioni, in stretto raffronto con quelle della convenzione di Roma, si rinvia a J.P. XXXXXXXX, An Argument for Ratification: Some Basic Principles of the 1994 Inter-American Convention on the Law Applicable to International Contracts, in Georgia Journ. of Int. & Comp. Law, 1999, 477 e ss. Cfr. anche X. XXXXXXX, The Inter-American Convention on the Law Applicable to International Contracts: Some Highlights and Comparisons, in American Journ. of Comp. Law., 1994, 381 e ss.
108 L’art. 7 della convenzione così dispone: «el contrato se rige por el derecho elegido por las partes. El acuerdo de las partes sobre esta elección debe ser expreso o, en caso de ausencia de acuerdo expreso, debe desprenderse en forma evidente de la conducta de las partes y de las cláusulas contratuales, consideradas en su conjunto. Dicha elección podrá referirse a la totalidad del contrato o a una parte del mismo. La selección de un determinado foro por las partes no entraña necesariamente la elección del derecho aplicable».
109 In questo senso dispongono, per fare solo qualche esempio, il § 1051 del codice di proc. civ. tedesco; l’art. 187 della legge federale svizzera sul diritto intern. priv. del 1987, come pure l’art. 46 dello UK Arbitration Act del 1996.
110 Per una più attenta analisi del fenomeno del pluralismo delle fonti cfr. P. VINCI, La “modernizzazione” della convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali: la scelta del diritto applicabile, cit., 1259 e ss.
Di tale evoluzione nel senso del superamento del monopolio statale delle fonti a tutto vantaggio del decentramento della produzione giuridica e del conseguente pluralismo delle fonti, avrebbe dovuto tener conto il legislatore comunitario in occasione della conversione della convenzione di Roma in regolamento.
Ma così non è stato.
Come già detto, nel regolamento Roma I non vi è alcun riferimento alla possibilità che la scelta dei contraenti ricada su norme di origine non statale. L’art. 3, infatti, riproponendo il corrispondente testo della convenzione di Roma, torna a stabilire che
«il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti».
Il legislatore comunitario ha, dunque, perso un’importante occasione per modernizzare, in linea con l’evoluzione delle fonti di regolamentazione dei contratti, il diritto internazionale privato europeo.
E’ comunque auspicabile che, in una prospettiva de jure condendo, il legislatore comunitario valorizzi appieno i principi menzionati nel considerando n. 13 (che recita «il regolamento non impedisce che le parti includano nel loro contratto, mediante riferimento, un diritto non statale ovvero una convenzione internazionale»), e giunga ad una integrazione estensiva dell’autonomia privata, consentendo che la scelta delle parti possa ricadere anche su complessi normativi di derivazione non statale, così da porre il regolamento in linea con la più recente evoluzione delle fonti di disciplina dei rapporti contrattuali, che ha decretato il definitivo superamento del monopolio statale e l’affermazione della pluralità delle fonti di regolamentazione, tra cui guadagnano sempre più spazio quelle di origine non statale.
III. Legge applicabile in mancanza di scelta
Nel caso in cui i contraenti non abbiano designato la legge applicabile, il contratto è regolato dalla legge risultante dall’applicazione delle norme di conflitto.
Le soluzioni adottate al riguardo dalla convenzione di Roma e dal successivo regolamento Roma I si presentano piuttosto diversificate.
L’art. 4 della convenzione prevede, come regola generale, che in mancanza di scelta da parte dei contraenti, il contratto sia regolato dalla legge del paese con il quale presenta il collegamento più stretto. E’ questo il cosiddetto principio di
prossimità in virtù del quale l’interprete, e quindi il giudice, è chiamato a determinare quale sia lo Stato con il quale il contratto presenti i contatti più significativi e applicare la legge di tale Stato.
L’individuazione degli elementi di collegamento della fattispecie contrattuale a questo o quell’altro Stato non è operata una volta per tutte dal legislatore in termini generali e astratti attraverso la predisposizione di criteri di collegamento rigidi, ma è rimessa al giudice, chiamato a valutare le differenti circostanze che consentono di collegare il contratto a diversi ordinamenti e, quindi, individuare quello con il quale vi sia il contatto più significativo.
L’art. 4 della convenzione prevede ulteriormente che ove una parte del contratto sia separabile dal resto e presenti un collegamento più stretto con un altro paese (diverso da quello con il quale il contratto unitariamente considerato sia più strettamente collegato), a tale parte potrà applicarsi, in via eccezionale, la legge di quest’altro paese. Si ammette in tal modo, seppur soltanto in via di eccezione, il frazionamento del contratto in diverse parti assoggettabili a differenti leggi regolatrici, risultandone premiata l’adattabilità alle caratteristiche specifiche della fattispecie concreta.
La regola di conflitto così strutturata presenta un indubbio carattere di elasticità e flessibilità in quanto consente di modulare l’individuazione della legge applicabile, tenendo conto delle peculiarità del singolo contratto.
Se ciò comporta un vantaggioso adattamento alle specificità del caso concreto e, di riflesso, l’individuazione della legge più appropriata, per altro verso pregiudica la certezza del diritto in uno con la sicurezza e stabilità dei rapporti giuridici.
La nozione di collegamento più stretto si presta, infatti, ad una interpretazione soggettiva, essendo rimessa all’interprete una delicata opera di apprezzamento e ponderazione comparativa della rilevanza dei diversi elementi della fattispecie contrattuale che ne mostrano il collegamento a differenti Stati. E in siffatta attività interviene inevitabilmente il potere discrezionale del giudice chiamato a ricercare, in assenza di una rigida predeterminazione, la connessione più significativa tra il contratto e un dato paese.
Tali profili di discrezionalità che si accompagnano alla flessibilità della norma di conflitto compromettono la prevedibilità della legge applicabile determinando il
rischio che il contratto, concepito e strutturato in conformità alle previsioni della legge dello Stato con il quale i contraenti ritengono che sia più strettamente collegato, venga poi assoggettato dal giudice, in caso di contenzioso, alla legge di un altro Stato con possibili ripercussioni sul piano della validità delle singole clausole contrattuali o del regolamento negoziale nel suo complesso.
Al fine di temperare l’ampia flessibilità del criterio del collegamento più stretto e per l’effetto favorire una maggiore prevedibilità della legge applicabile, l’art. 4 della convenzione pone una serie di presunzioni volte ad individuare il paese con il quale il contratto sia più strettamente collegato.
Il par. 2 dell’art. 4 introduce, in via generale, la presunzione fondata sulla “prestazione caratteristica” ossia la prestazione che qualifica il tipo di contratto intervenendo a tratteggiarne la funzione economico-sociale111, e che certamente non può essere quella monetaria che, presente in una molteplicità di contratti, non assume valenza qualificante e distintiva.
Si presume, dunque, che il contratto presenti il collegamento più stretto con il paese nel quale la parte che deve fornire la prestazione caratteristica ha, al momento della conclusione del contratto, la propria residenza abituale112 o, se si tratta di una società, associazione o persona giuridica, la propria amministrazione centrale. Se poi il contratto è concluso nell’esercizio dell’attività economica o professionale della suddetta parte, il paese da considerare è quello nel quale è situata la sede principale di detta attività oppure se a norma del contratto la prestazione deve essere fornita da una sede diversa da quella principale, il paese nel quale è situata questa diversa sede.
La scelta certamente positiva dei redattori della convenzione è stata quella di localizzare la prestazione caratteristica non già nel paese in cui deve essere eseguita (non sempre di agevole individuazione), bensì nel paese in cui ha sede, al momento
111 Sulla nozione di prestazione caratteristica, tra i numerosi contributi dottrinali, si segnalano X. XXXXXXX, La prestazione caratteristica nella convenzione di Roma del 19 giugno 1980, Milano, 1989; X. XXXXXXX, Aspetti problematici della prestazione caratteristica, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1993, 513 e ss.; Id., La convenzione di Roma sulla legge applicabile ai contratti, Bari, 2000, 89 e ss.;
M. VIRGÓS SORIANO, La ley aplicable a los contratos internacionales: xx xxxxx xx xxx xxxxxxxx xxx xxxxxxxxx x xx xxxxxxxxxx xxxxxx en la prestación característica del contrato, in Estudios jurídicos en homenaje al Profesor Xxxxxxx Xxxxxxxx, Madrid, 1996, 5289 e ss.; X. XXXXXXXX, Volontà delle parti, prestazione caratteristica e collegamento più significativo, in AA. VV., Verso una disciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti, a cura di X. XXXXXX, Padova, 1983, 3 e ss.
112 Della residenza abituale si dirà ampiamente nel successivo Cap. V, par. VI.
della conclusione del contratto, il contraente tenuto ad eseguirla. Ciò allo scopo di consentire una sicura localizzazione e in tal guisa giungere a soluzioni certe e prevedibili della questione riguardante l’individuazione della legge applicabile.
I par. 3 e 4 pongono, a loro volta, presunzioni speciali concernenti rispettivamente i contratti aventi ad oggetto un diritto reale su un bene immobile o un diritto di utilizzazione di un bene immobile (per i quali si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto con il paese in cui è situato l’immobile) e i contratti di trasporto di merci (rispetto ai quali il collegamento più stretto si presume esistente con il paese nel quale il vettore ha la sua sede principale al momento della conclusione del contratto, se detto paese coincide con quello in cui si trova il luogo di carico o scarico o la sede principale del mittente).
L’impiego delle presunzioni risponde chiaramente all’esigenza di garantire la certezza del diritto rendendo «concreta e obiettiva la nozione di per sé troppo vaga di collegamento più stretto»113.
Malgrado le positive intenzioni dei redattori della convenzione, la prevedibilità della legge applicabile non sempre è assicurata, vuoi perché assai spesso non è semplice stabilire quale sia la prestazione caratteristica (soprattutto nel caso in cui entrambe le prestazioni non abbia carattere monetario, come nella permuta, o lo abbiano entrambe, come nei contratti bancari), vuoi anche perché lo stesso art. 4 all’ultimo paragrafo prevede, in ossequio a ragioni di flessibilità, che le presunzioni non operino quando dal complesso delle circostanze risulti che il contratto presenti un collegamento più stretto con un altro paese. Si tratta, pertanto, di presunzioni relative destinate a restare paralizzate laddove il contratto risulti, secondo le valutazione soggettive del giudice, più strettamente collegato con un paese diverso da quello individuato in base alle presunzioni stesse.
L’individuazione della prestazione caratteristica, come pure le valutazioni imposte dal carattere relativo delle presunzioni, introducono inevitabili margini di discrezionalità che compromettono la certezza del diritto. Situazione resa ancor più evidente dalla previsioni di cui all’art. 4, par. 5, secondo cui è esclusa l’applicazione
113 Cfr. X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX, Relazione sulla convenzione relativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, in G.U.C.E., C 282 del 31 ottobre 1980.
della presunzione fondata sulla prestazione caratteristica laddove quest’ultima non possa essere determinata.
In tale caso, torna applicabile il criterio del collegamento più stretto con i connessi problemi di scarsa prevedibilità della legge applicabile, essendo rimessa – come già detto – al prudente, ma pur sempre soggettivo, apprezzamento del giudice la ricerca della connessione più significativa tra il contratto e un dato paese, tenuto conto dei diversi elementi della fattispecie contrattuale che in vario modo la localizzano in questo o quell’altro paese.
L’ampia flessibilità della norma di conflitto con gli inconvenienti che da essa discendono, ha imposto una revisione della disciplina della legge applicabile in mancanza di scelta da parte dei contraenti.
Nella proposta di regolamento del 15 dicembre 2005, in linea con l’obiettivo generale di garantire la certezza del diritto nello spazio giudiziario europeo attraverso la definizione di regole di conflitto uniformi che assicurino la prevedibilità della legge applicabile ai rapporti contrattuali, la Commissione ha previsto di mantenere i criteri della prestazione caratteristica e del collegamento più stretto, assegnandogli però un ruolo residuale in quanto operanti solo per i contratti non ricompresi nell’elencazione di cui al par. 1. Per quelli specificamente contemplati ha, invece, fissato criteri di collegamento rigidi, così da consentire la sicura localizzazione della fattispecie e la conseguente determinazione della legge applicabile, senza lasciare spazio all’attività del giudice di individuazione degli elementi di collegamento e di ponderazione della loro rilevanza114.
114 Nella proposta della Commissione il testo dell’art. 4 così disponeva: «1. In mancanza di scelta esercitata ai sensi dell’articolo 3, la legge applicabile ai contratti è determinata come segue: a) il contratto di vendita è disciplinato dalla legge del paese nel quale il venditore ha la residenza abituale;
b) il contratto di prestazione di servizi è disciplinato dalla legge del paese nel quale il prestatore di servizi ha la residenza abituale; c) il contratto di trasporto è disciplinato dalla legge del paese nel quale il trasportatore ha la residenza abituale; d) il contratto avente per oggetto un diritto reale immobiliare o un diritto di utilizzazione di un immobile è disciplinato dalla legge del paese in cui l’immobile è situato; e) in deroga alla lettera d), la locazione di un immobile conclusa per uso personale e per un periodo di non oltre sei mesi consecutivi è disciplinata dalla legge del paese nel quale il proprietario ha la residenza abituale, purché il locatario sia una persona fisica e abbia la sua residenza abituale nello stesso paese; f) il contratto riguardante la proprietà intellettuale o industriale è disciplinato dalla legge del paese nel quale colui che trasferisce o concede i diritti ha la residenza abituale; g) il contratto di franchising è disciplinato dalla legge del paese nel quale il franchisee ha la residenza abituale; h) il contratto di distribuzione è disciplinato dalla legge del paese nel quale il distributore ha la residenza abituale. 2. I contratti non contemplati dal paragrafo 1 sono disciplinati dalla legge del paese nel quale la parte che deve fornire la prestazione caratteristica ha, al momento della conclusione del contratto, la
La scelta di fondo della Commissione verso una disciplina che garantisca certezza e prevedibilità è resa ancor più evidente, per un verso, dalla soppressione della previsione contenuta nella convenzione di Roma (art. 4, par. 5) che consente al giudice di superare gli effetti delle presunzioni poste quando dal complesso delle circostanze risulti che il contratto presenti un collegamento più stretto con un altro paese, e per altro verso dalla eliminazione della possibilità di frazionare il contratto in più parti separabili, da assoggettare ciascuna, seppur in via eccezionale, alla legge del paese con il quale presenta il collegamento più stretto.
Alla proposta della Commissione sono seguite numerose critiche fondate essenzialmente sulla considerazione che la fissazione di criteri di collegamento rigidi, oltre a contrastare con la più recente tendenza internazionale verso la flessibilità, preclude ogni valutazione delle specificità del caso concreto impedendo di pervenire all’applicazione di una disciplina diversa da quella predeterminata, anche laddove il contratto presenti in concreto un collegamento più significativo con un paese diverso da quello individuato in astratto dalla norma di conflitto.
Queste obiezioni hanno avuto eco anche nel Parlamento europeo e nel Consiglio che, in sede di approvazione del regolamento, hanno adottato un diverso testo dell’art. 4 con la dichiarata finalità di realizzare un giusto equilibrio tra l’esigenza di certezza del diritto e quella di assoggettare il contratto alla legge del paese con il quale presenta il collegamento più stretto115.
Nel testo definitivo, l’art. 4, par. 1, ribadisce l’impostazione proposta dalla Commissione, individuando in maniera rigida la legge applicabile ai contratti ivi specificamente elencati (fatti salvi i contratti di trasporto, di consumo, di assicurazione e individuali di lavoro, per i quali operano norme di conflitto speciali)116. Al par. 2 precisa che i contratti non contemplati nella suddetta
residenza abituale. Quando la prestazione caratteristica non può essere determinata, il contratto è disciplinato dalla legge del paese con il quale presenta il collegamento più stretto».
115 Per una approfondita disamina dell’art. 4 del regolamento si rinvia a X. XXXXXXX, La legge applicabile in mancanza di scelta dei contraenti, cit., 149 e ss. e all’ampia bibliografia ivi richiamata.
116 L’art. 4, par. 1, dispone: «In mancanza di scelta esercitata ai sensi dell’articolo 3 e fatti salvi gli articoli da 5 a 8, la legge che disciplina il contratto è determinata come segue: a) il contratto di vendita di beni è disciplinato dalla legge del paese nel quale il venditore ha la residenza abituale; b) il contratto di prestazione di servizi è disciplinato dalla legge del paese nel quale il prestatore di servizi ha la residenza abituale; c) il contratto avente per oggetto un diritto reale immobiliare o la locazione di un immobile è disciplinato dalla legge del paese in cui l’immobile è situato; d) in deroga alla lettera
elencazione e quelli i cui elementi sono compresi in più di uno dei tipi contrattuali specificati, sono regolati dalla legge del paese di residenza abituale del contraente tenuto ad eseguire la prestazione caratteristica. Il par. 3 reintroduce la previsione già presente nella convenzione di Roma stabilendo che se dal complesso delle circostanze risulta chiaramente che il contratto presenta collegamenti manifestamente più stretti con un paese diverso da quello indicato ai par. 1 o 2, si applica la legge di tale diverso paese. Infine, il par. 4 prevede che se la legge applicabile non può essere determinata a norma dei par. 1 o 2, il contratto è disciplinato dalla legge del paese con il quale presenta il collegamento più stretto.
La disciplina complessiva fissata dall’art. 4 del regolamento risponde senz’altro all’esigenza di garantire certezza e prevedibilità avendo fissato, seppur limitatamente ai tipi contrattuali espressamente indicati, criteri di collegamento rigidi. Al tempo stesso, introduce importanti correttivi in funzione della flessibilità, da un lato, consentendo che il contratto sia assoggettato alla legge di un paese diverso laddove presenti collegamenti manifestamente più stretti con tale diverso paese rispetto a quello individuato in applicazione delle regole di cui par. 1 e 2 e, dall’altro lato, prevedendo come regola residuale di chiusura il criterio del collegamento più stretto, destinato ad operare solo quando la legge applicabile non possa essere determinata a norma dei par. 1 e 2.
IV. Ambito di operatività della lex contractus
Quanto al perimetro applicativo della legge regolatrice del contratto, il regolamento Roma I riproduce sostanzialmente la disciplina dettata dalla convenzione di Roma, introducendo però alcune significative novità.
c), la locazione di un immobile concluso per uso privato temporaneo per un periodo di non oltre sei mesi consecutivi è disciplinata dalla legge del paese nel quale il proprietario ha la residenza abituale, purché il locatario sia una persona fisica e abbia la sua residenza abituale nello stesso paese; e) il contratto di affiliazione (franchising) è disciplinato dalla legge del paese nel quale l’affiliato ha la residenza abituale; f) il contratto di distribuzione è disciplinato dalla legge del paese nel quale il distributore ha la residenza abituale; g) il contratto di vendita di beni all’asta è disciplinato dalla legge del paese nel quale ha luogo la vendita all’asta, se si può determinare tale luogo; h) il contratto concluso in un sistema multilaterale che consente o facilita l’incontro di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, quali definiti all’articolo 4, paragrafo 1, punto 17, della direttiva 2004/39/CE, conformemente a regole non discrezionali e disciplinato da un’unica legge, è disciplinato da tale legge».
Le questioni relative all’esistenza e alla validità sostanziale del contratto sono regolate dalla legge che sarebbe applicabile in forza del regolamento se il contratto o la singola pattuizione di cui si discute fossero valide (art. 10 par. 1).
E’ tuttavia consentito al contraente dimostrare che, secondo la legge del paese in cui ha la residenza abituale, non abbia prestato il suo consenso alla conclusione del contratto, sempre che dalle circostanze risulti che non sarebbe ragionevole valutare la condotta di detto contraente secondo la lex contractus (art. 10 par. 2).
Le materie regolate dalla legge applicabile al contratto sono elencate all’art. 12 del regolamento, che riprende integralmente il contenuto dell’art. 10 della convenzione. Si tratta, in particolare, a) della interpretazione del contratto; b) dell’esecuzione delle obbligazioni che ne discendono; c) delle conseguenze dell’inadempimento totale o parziale di quelle obbligazioni, compresa la liquidazione del danno in quanto sia disciplinata da norme giuridiche, il tutto entro i limiti dei poteri attribuiti al giudice dalla sua legge processuale; d) dei diversi modi di estinzione delle obbligazioni nonché delle prescrizioni e decadenze; e) delle conseguenze della nullità del contratto117.
Nel vigore della convenzione di Roma, si era posta la questione se anche gli elementi accidentali del contratto (condizione, termine e modo) e le vicende diverse dall’inadempimento (risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta o per impossibilità sopravvenuta, rescissione e recesso), non espressamente menzionati nel testo dell’art. 10, fossero parimenti regolate dalla lex contractus.
La risposta unanime della dottrina è stata positiva e, tuttavia, il regolamento che ben avrebbe potuto prendere posizione sull’argomento, nulla dice al riguardo lasciando all’interprete il compito di risolvere la questione con possibili ripercussioni negative sul piano della uniformità delle soluzioni, almeno fino a quando non
117 L’Italia ha apposto una riserva ex art. 22 della convenzione escludendo l’applicazione dell’art. 10, par. 1, lett. e) riguardante le conseguenze della nullità del contratto; di talché, nel vigore della convenzione, dette conseguenze erano regolate, in applicazione dell’art. 61 della legge n. 218/95 di riforma del diritto internazionale privato, dalla legge dello Stato in cui si è verificato il fatto da cui deriva l’obbligazione, e a decorrere dall’11 gennaio 2009, dalla lex contractus in forza dell’art. 10 del regolamento Roma II (che riguarda la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali derivanti da un arricchimento senza causa, compresa la ripetizione dell’indebito). Con l’entrata in vigore del regolamento Roma I, non essendo consentito agli Stati membri di apporre riserve per essere il regolamento vincolante in ogni sua parte, le conseguenze della nullità del contratto, anche in Italia, restano assoggettate alla disciplina dettata dal regolamento che, come detto, individua quale legge applicabile la lex contractus.
intervenga l’interpretazione della Corte di giustizia, chiamata ad assicurare l’uniforme applicazione delle norme di conflitto dettate dal regolamento.
Quanto alle modalità di esecuzione e alle misure che il creditore dovrà prendere in caso di esecuzione difettosa, l’art. 12 del regolamento, analogamente a quanto già previsto dalla convenzione, richiama come applicabile non già la lex contractus, bensì la legge del paese in cui ha luogo l’esecuzione.
Sono escluse dall’ambito di applicazione del regolamento (e quindi anche dal perimetro applicativo della lex contractus) le questioni di stato e di capacità delle persone fisiche e le questioni relative alla capacità giuridica di società, associazioni e persone giuridiche.
Tali questione restano regolate dalla legge determinata in applicazione delle norme di conflitto dei singoli Stati membri118.
In tema di capacità viene, però, in rilievo l’art. 13 del regolamento che, ispirato dalla logica di conservazione del contratto, dispone che nel caso di contratti conclusi da persone che si trovano in uno stesso paese, la persona fisica che risulti capace secondo la legge di tale paese, può invocare la sua incapacità risultante da un’altra legge soltanto se l’altro contraente, al momento della conclusione del contratto, era a conoscenza di tale incapacità o l’ha ignorata per sua colpa.
Più articolata è la disciplina relativa ai requisiti di forma. Trattandosi di validità formale, il riferimento è alla sola forma ad substantiam.
La disciplina della convenzione come pure quella pressoché identica del regolamento esprimono un chiaro favor validitatis: in ossequio al principio della conservazione del contratto, la validità formale è soggetta alternativamente a diverse leggi.
Il contratto è valido, quanto alla forma, se soddisfa i requisiti della lex contractus o della legge del paese in cui è stato concluso (quando i contraenti o i rispettivi intermediari si trovano nello stesso paese), o ancora dalla legge di uno dei paesi in
118 Quanto all’ordinamento giuridico italiano, la capacità giuridica e di agire delle persone fisiche è regolata, ai sensi degli artt. 20 e 23 della legge n. 218/95, dalla loro legge nazionale; quando però la legge regolatrice del rapporto o dell’atto prescrive condizioni speciali di capacità (giuridica o di agire), queste sono regolate dalla stessa legge. Per le società, associazioni, fondazioni e ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, l’art. 25 della legge n. 218/95 dispone, inter alias, che la capacità e la rappresentanza dell’ente sono regolati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione.
cui si trova, al momento della conclusione, una delle parti o il loro intermediario (quando si tratta di contratti conclusi tra persone che si trovano, o i cui intermediari si trovano, in differenti paesi), o infine – e questa è la novità introdotta dal regolamento – dalla legge del paese in cui una delle parti risiedeva abitualmente al momento della conclusione del contratto.
Altra novità del regolamento riguarda la forma degli atti giuridici unilaterali relativi ad un contratto concluso o da concludere: oltre che alla lex contractus e alla legge del luogo in cui l’atto è compiuto, già previste dalla convenzione, l’art. 11, par. 3, introduce anche la legge del luogo in cui risiedeva abitualmente l’autore dell’atto al momento in cui l’ha compiuto.
Il regolamento ripropone, inoltre, l’eccezione relativa ai contratti conclusi dai consumatori, sottraendoli all’applicazione delle disposizioni di cui si è detto sopra. Il favor validitatis cede il passo all’esigenza di protezione del consumatore: il richiamo alternativo di differenti leggi è sostituito dalla indicazione di un’unica legge applicabile quanto alla forma, quella del paese nel quale il consumatore ha la residenza abituale.
Diversamente che nelle disposizioni precedenti, non è detto quale sia il momento rilevante ai fini della determinazione della residenza abituale. Sovviene però l’art. 19 del regolamento che, all’ultimo par., indica come rilevante il momento della conclusione del contratto. Ne consegue che la forma dei contratti di consumo resta disciplinata, in ogni caso, dalla legge del paese di residenza abituale del consumatore al momento della conclusione del contratto.
Tale soluzione, di sicuro favore per il consumatore che può contare sull’applicazione della legge del paese di sua residenza abituale (legge a lui certamente più familiare, anche se spesso non conosciuta nei contenuti), appare tuttavia inopportuna nella parte in cui impone al professionista di predisporre il contratto nel rispetto delle prescrizioni formali di un ordinamento giuridico che può essergli addirittura ignoto per aver il consumatore dichiarato un luogo di residenza abituale diverso da quello effettivo.
Sarebbe stato certamente utile introdurre una clausola di salvaguardia a tutela della posizione del professionista, così da escludere l’assoggettabilità della forma alla legge di residenza abituale del consumatore nei casi in cui il professionista avesse
ignorato il luogo di residenza abituale del consumatore e tale ignoranza non fosse a lui imputabile.
In assenza di una clausola di salvaguardia, si pone la questione interpretativa se la forma debba essere, sempre e comunque, regolata dalla legge di residenza abituale del consumatore o se, invece, si possa prescindere da essa e applicare le regole comuni di cui all’art. 11, par. 1, 2 e 3, qualora il professionista abbia senza sua colpa ignorato il luogo di residenza abituale del consumatore119.
A parere di chi scrive, quest’ultima soluzione è quella preferibile in quanto rispondente ai principi di buona fede e correttezza che governano i rapporti contrattuali.
Sarebbe, d’altro canto, irragionevole pervenire ad una declaratoria di nullità del contratto per difetto di forma nei casi in cui il professionista, pur orientando la propria condotta negoziale secondo i canoni dell’ordinaria diligenza, abbia ignorato il luogo di residenza abituale del consumatore a causa delle reticenze o false dichiarazioni rese da quest’ultimo.
Ai contratti avente per oggetto un diritto reale immobiliare e ai contratti di locazione immobiliare è dedicata una ulteriore e specifica disposizione, secondo la quale i requisiti di forma sono soggetti alla legge del paese in cui l’immobile è situato, sempre che, secondo tale legge, a) tali requisiti si applichino indipendentemente dal paese in cui il contratto è concluso e dalla legge che disciplina il contratto e b) a tali requisiti non è permesso derogare convenzionalmente.
Quanto, infine, alle prove, l’art. 18 del regolamento, riproponendo la disciplina di cui all’art. 14 della convenzione, richiama la lex contractus quale legge applicabile in tema di ripartizione dell’onere della prova e di presunzioni legali.
Il par. 2 aggiunge che i contratti e gli atti giuridici possono essere provati con ogni mezzo di prova ammesso tanto dalla legge del foro quanto da una delle leggi di cui
119 La clausola di salvaguardia di cui al testo è analoga a quella che la Commissione aveva proposto di introdurre nel corpo dell’art. 6 del regolamento allo scopo di escludere l’operatività della disciplina protettiva del consumatore e rendere applicabili le norme comuni di cui agli artt. 3 e 4 dello stesso regolamento. La proposta della Commissione non ha avuto seguito; la clausola di salvaguardia è stata, infatti, eliminata nel testo definitivo dell’art. 6, con la conseguenza che anche nella determinazione della legge applicabile ai contratti conclusi dai consumatori si pone – come si dirà diffusamente nel Cap. V – la medesima questione interpretativa, se cioè la legge del paese di residenza abituale del consumatore sia applicabile persino nell’ipotesi in cui sia ignota al professionista per aver il consumatore dichiarato un luogo di residenza diverso da quello effettivo.
all’art. 11, secondo la quale il contratto o l’atto è valido quanto alla forma, sempreché il mezzo di prova di cui si tratta possa essere impiegato davanti al giudice adito.
V. I limiti all’esercizio dell’autonomia privata: norme imperative semplici e di applicazione necessaria
L’esercizio dell’autonomia privata nella determinazione convenzionale della legge applicabile al contratto, pur godendo di positivo e ampio riconoscimento, non è affatto incondizionato essendo soggetto, anche nell’ambito della nuova disciplina posta dal regolamento Roma I, ai tradizionali limiti rappresentati dalle norme imperative, dalle norme di applicazione necessaria e dall’ordine pubblico del foro, che intervengono a condizionare in vario modo gli effetti dell’autonomia privata nella sua portata internazionalprivatistica, come pure gli effetti delle norme di conflitto applicabili in mancanza di scelta della legge regolatrice del contratto.
Tra i vari quesiti proposti nel Libro Verde sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma e sul suo rinnovamento, figurava anche quello relativo alla opportunità di precisare il senso del concetto di “disposizione imperativa”. La questione nasceva dalla presa d’atto che il concetto in parola è impiegato in diversi articoli della convenzione120 con significati affatto distinti, tanto da coprire «una realtà multiforme» e generare una «certa confusione circa la corretta interpretazione della convenzione»121.
In effetti, con l’espressione “disposizioni imperative” la convenzione allude a due distinte tipologie di norme: da un lato, le norme inderogabili dalla volontà contrattuale, più comunemente note come “norme imperative semplici”. Dall’altro, le “norme di applicazione necessaria”, dette anche leggi di polizia, ossia quelle norme che disciplinano imperativamente il caso concreto, quale che sia la legge regolatrice
120 La convenzione richiama il concetto di disposizioni imperative nell’art. 3, par. 3, in tema di libertà di scelta della legge regolatrice del contratto; negli artt. 5 e 6 riguardanti rispettivamente i contratti conclusi dai consumatori e i contratti individuali di lavoro; nell’art. 7 relativo alle leggi di polizia e infine nell’art. 9 avente ad oggetto i requisiti di forma.
121 In questi termini si esprime la Commissione nel Libro Verde (cfr. pagg. 35 e 36) consultabile per esteso sul sito xxxx://xxx-xxx.xxxxxx.xx.
del contratto122. Carattere comune di queste due categorie di norme è la imperatività nel senso che sono inderogabili, sottratte cioè alla disponibilità delle parti, alle quali non é consentito fissare pattiziamente una regolamentazione diversa da quella imposta dal legislatore.
Diverso, però, è il loro modo di operare. Le norme imperative semplici risultano normalmente applicabili se appartenenti alla legge regolatrice del contratto; se appartenenti ad un diverso ordinamento sono applicabili nella misura in cui ciò è imposto dalle norme di conflitto, come accade per esempio nel caso dei contratti di consumo e dei contratti individuali di lavoro. Le norme di applicazione necessaria, invece, presentano un grado di imperatività rafforzata in quanto si tratta di norme cui l’ordinamento giuridico di appartenenza riconosce un’importanza tale da esigerne comunque l’applicazione (in presenza di un dato collegamento tra la situazione giuridica e quell’ordinamento), a prescindere dalla legge regolatrice del contratto, essendo norme dirette a tutelare valori giuridici irrinunciabili per l’ordinamento cui appartengono.
La peculiarità della convenzione di Roma è rappresentata dall’aver attribuito rilevanza in certi casi anche alle norme imperative semplici appartenenti ad ordinamenti diversi da quello che regola il contratto, ma con esso a vario titolo collegati.
Più in particolare, la convenzione ha attribuito rilievo alle norme imperative semplici della legge che regolerebbe il contratto in mancanza di scelta nel caso in cui il contratto non presenti altro elemento di estraneità se non quello della designazione della legge regolatrice ad opera delle parti: ciò al fine di limitare la portata dell’autonomia privata ed impedirne un uso fraudolento (art. 3, par. 3).
Parimenti, le norme imperative semplici assumono rilevanza nel caso di contratti di consumo e individuali di lavoro con la finalità di non privare la parte debole
122 Per un’ampia analisi delle norme di applicazione necessaria si rinvia a A. BONOMI, Le norme imperative nel diritto internazionale privato, Zurigo, 1998; Id, Le norme di applicazione necessaria nel regolamento “Roma I”, cit., 175; N. BOSCHIERO, Norme inderogabili, “disposizioni imperative del diritto comunitario” e “leggi di polizia” nella proposta di regolamento Roma I, in Il nuovo diritto europeo dei contratti: dalla convenzione di Roma al regolamento Roma I, Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, 2007, 101 e ss.; X. XXXXXXXX, L’ordine pubblico e le norme di applicazione necessaria nella proposta di regolamento “Roma I”, in La legge applicabile ai contratti nella proposta di regolamento “Roma I”, a cura di X. XXXXXXXX, Xxxxxx, 0000, 96 e ss.
(consumatore e prestatore di lavoro) della protezione assicuratale dalle disposizioni imperative della legge che disciplinerebbe il contratto in mancanza di scelta (artt. 5 e 6).
La compresenza all’interno della convenzione di Roma di due gruppi di norme aventi in comune il requisito della imperatività, ma valore e portata differenti, ha finito col generare un quadro normativo non sempre di agevole comprensione e, peraltro, fonte di equivoci interpretativi.
Da qui la questione posta nel Libro Verde circa l’opportunità di un chiarimento terminologico. E le risposte pervenute, soprattutto dagli ambienti accademici e scientifici, hanno fatto registrare una posizione di indubbio favore per una più puntuale definizione delle due tipologie di norme al fine di chiarirne la portata e delimitarne il rispettivo ambito di applicazione, evitando ambigue interferenze e sovrapposizioni.
La ragione di fondo che ha ispirato la richiesta di chiarimento è stata senz’altro quella di restringere l’ambito di operatività delle norme imperative (semplici e di applicazione necessaria) e quindi i limiti all’operare delle norme di conflitto a tutto vantaggio di un più libero dispiegarsi dell’autonomia privata.
Un ruolo non secondario nell’imporre l’esigenza di chiarimento hanno avuto anche le incertezze interpretative generate dalla nozione di norme imperative a protezione della parte debole, da taluni ricomprese nel novero delle norme imperative semplici123 e da altri qualificate, invece, in termini più rigorosi, come norme di applicazione necessaria124.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza tedesche, per norme di applicazione necessaria debbono intendersi unicamente quelle norme che si prefiggono la tutela di interessi pubblicistici e la salvaguardia dell’organizzazione politica, sociale ed economica dello Stato125. Resterebbero escluse tutte quelle norme imperative che,
123 Cfr. le osservazioni al Libro Verde della Commissione di X. XXXXXX – X. XXXXXXXXX, Joint Response to the Green Paper on the Conversion of the Rome Convention of 1980 on the Law Applicable to Contractual Obligations into a Community Instrument and Its Modernisation, consultabile per esteso sul sito xxxx://xx.xxxxxx.xx.
124 Cfr. X. XXXXXXX, Le nouveau droit internacional privé des contrats après l’entrée en vigueur de la convention de Rome du 19 juin 1980, in Rev. critique, 1991, 287 e 316, nota 76.
000 Xxx. X. XXXXXXXXX, Xxx. 00 XXXXX xxxxxx § 000 XXX nicht!, in Recht int. Wirtschaft, 1996, 8 e ss.; per altri riferimenti si veda X. XXXXXX, Le norme imperative nel diritto internazionale privato,
pur perseguendo indirettamente interessi di natura pubblicistica, siano finalizzate essenzialmente a tutelare interessi privati di determinate categorie di soggetti, quali appunto i consumatori e i lavoratori.
Secondo un diverso orientamento dottrinale, anche le norme di protezione del contraente debole, per quanto volte a tutelare interessi di natura privatistica, sarebbero riconducibili nella categoria delle norme di applicazione necessaria integrando le c.d. “lois de police de protection”126.
Anche la relazione Xxxxxxxx-Xxxxxxx sulla convenzione di Roma, con riferimento alle norme di applicazione necessaria, ne menziona come esempio, unitamente alle norme in materia di intese, di concorrenza e di pratiche restrittive della concorrenza, le norme di tutela del consumatore, nonché alcune norme in materia di trasporto127, ossia disposizioni evidentemente volte alla salvaguardia di interessi di matrice privatistica.
Nella stessa prospettiva si inquadra l’orientamento della Corte di giustizia che in più occasioni ha riconosciuto che anche le norme di protezione del contraente debole, pur avendo come oggetto immediato la tutela di interessi privatistici, rispondano nel contempo ad esigenze di tutela degli interessi generali dell’ordinamento comunitario e ad esse può attribuirsi carattere di applicazione necessaria128.
cit., 172; in giurisprudenza, cfr. Corte federale tedesca, 13 dicembre 2005 – XI ZR 82/05, in IPRax, 2006, 272 e ss., con nota di X. XXXXXXXX.
126 X. XXXXX, La protection de la partie fiable dans les rapports contractuels, Comparaison franco- belge, Parigi, 1996, 522; X. XXXXX, La protection de la partie fiable en droit international privé, in Recueil des Cours, t. 188, 1984, 392 e ss.; X. XXXXXXX, La Convenzione di Roma sulla legge applicabile ai contratti, cit., 175 e ss.; X. XXXXXXXXX, Verso il rinnovamento e la trasformazione della convenzione di Roma: problemi generali, in Diritto internazionale privato e diritto comunitario, a cura di X. XXXXXX, Xxxxxx, 0000, 386; X. XXXXXX, Le norme di applicazione necessaria nel regolamento “Roma I”, cit., 179 e ss.
In giurisprudenza si segnala la sentenza della Corte di cassazione francese del 23 maggio 2006, in RDt comm., 2006, 644, che ha qualificato come norma di applicazione necessaria la disposizione di diritto interno che designa il giudice competente per il credito al consumo, ritenendola pertanto applicabile a prescindere dalla legge regolatrice del contratto in ragione del semplice collegamento con l’ordinamento del foro rappresentato dalla residenza abituale in Francia del consumatore. Parimenti, sono state qualificate come norme di applicazione necessaria le disposizioni di diritto interno inglese a protezione dei lavoratori per contratti da eseguirsi sul territorio inglese (cfr. sul punto X. XXXXXXXXX, The Rome I Regulation: Communitarization and modernisation of the Rome Convention, in ERA Forum, 2009, 272.
127 Cfr. X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX, Relazione sulla convenzione relativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, in G.U.C.E., C 282 del 31 ottobre 1980.
128 Si vedano sull’argomento le sentenze Xxxxxxx (Corte di giustizia, 23 novembre 1999, cause C- 369/96 e C-376/96 in Orient. giur. lav., 1999, II, 85); Xxxxxxxxx (Xxxxx xx xxxxxxxxx, 00 marzo 2001, causa C-165/98 in Riv. dir. int. priv. e proc., 2001, 755) e Xxxxxx (Corte di giustizia, 9 novembre
Pur ammettendone detta qualificazione, le norme di protezione del contraente debole sarebbero, tuttavia, caratterizzate da un diverso modo di operare.
Lungi dall’essere immediatamente ed incondizionatamente applicabili ad ogni situazione ricompresa nel loro ambito di operatività, imporrebbero una valutazione comparativa con la legge applicabile al contratto: la loro finalità non è quella di escludere comunque l’applicazione del diritto straniero, bensì quella di assicurare un grado di tutela minimale al contraente debole. Pertanto, se la normativa straniera applicabile al contratto non garantisca un siffatto grado di tutela, troveranno applicazione le norme di tipo protettivo; al contrario resterà applicabile la normativa straniera ove preveda una tutela equivalente o addirittura più intensa.
Il legislatore comunitario non è rimasto insensibile alla rilevata esigenza di chiarimento in tema di norme imperative. Con il regolamento Roma I è, infatti, intervenuto sull’argomento, da un lato, introducendo una definizione delle norme di applicazione necessaria decisamente restrittiva e, dall’altro, chiarendo che le norme imperative di cui si fa menzione tanto nella disposizione generale sulla libertà di scelta della legge applicabile (art. 3 del regolamento) quanto nelle disposizioni speciali relative ai contratti conclusi da consumatori (art. 6) e ai contratti individuali di lavoro (art. 8) sono «norme alle quali non é permesso derogare convenzionalmente», sono cioè norme imperative semplici.
In tema di norme di applicazione necessaria, l’art. 9, par. 1, le definisce come quelle norme il cui rispetto è ritenuto cruciale da un paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua organizzazione politica, sociale ed economica, al punto da esigerne l’applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel loro campo
2000, causa C-381/98 in Contratti, 2001, 517). In quest’ultima pronuncia, la Corte di giustizia sottolinea chiaramente che le norme di protezione degli agenti di commercio (direttiva n. 86/653/CEE del 18 dicembre 1986) devono trovare applicazione allorquando il fatto presenti un legame stretto con la Comunità, quale che sia la legge cui le parti hanno inteso assoggettare il contratto, in quanto si tratta di norme che tutelano «tramite la categoria degli agenti commerciali, la libertà di stabilimento e una concorrenza non falsata nell’ambito del mercato interno. L’osservanza di dette disposizioni nel territorio della Comunità appare, pertanto, necessario per la realizzazione di tali obiettivi del Trattato». Sulle tre pronunce e sull’interpretazione data dalla Corte della nozione di norme imperative cfr. X. XXXXXX, The Role of Internationally Mandatory Rules in an European Private Law System, in Rev. de drept intern. priv. si drept priv. comp., 2006, 165; X. XXXXXXXXX, Norme inderogabili, “disposizioni imperative del diritto comunitario” e “leggi di polizia” nella proposta di regolamento Roma I, cit., 11.
d’applicazione, qualunque sia la legge applicabile al contratto129.
Il legislatore comunitario non solo ha adottato una definizione restrittiva, ma ha anche drasticamente ridotto la possibilità di dare effetto alle norme di applicazione necessaria. Mentre la convenzione di Roma ha riconosciuto al giudice il potere discrezionale di applicare, al ricorrere di determinate condizioni, le norme di applicazione necessaria di un qualsiasi paese con il quale la situazione presentasse un legame effettivo, l’art. 9 del regolamento fa salva soltanto l’applicabilità delle norme di applicazione necessaria appartenenti alla lex fori e alla lex loci solutionis, in quest’ultimo caso solo quando dette norme rendano illecita l’esecuzione del contratto e tenuto conto, comunque, della loro natura e della loro finalità, nonché delle conseguenze derivanti dal fatto che siano applicate o meno130.
Venendo alla questione più rilevante, quella della riconducibilità o meno nella categoria delle norme di applicazione necessaria delle norme di protezione di certe categorie di individui e, segnatamente, i contraenti deboli (consumatori e lavoratori), la soluzione non è di agevole individuazione. Dal nuovo assetto normativo risultante dal disposto dell’art. 9 del regolamento sembra potersi ricavare l’intenzione del legislatore comunitario di elevare al rango di norme di applicazione necessaria soltanto quelle disposizioni che mirano a tutelare interessi di natura squisitamente pubblicistica, così smentendo l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale (avallato anche dalla Corte di giustizia), secondo cui sarebbero norme di applicazione
129 L’introduzione della definizione delle norme di applicazione necessaria costituisce senza dubbio un’apprezzabile novità rispetto alla convenzione di Roma; quanto al contenuto, però, nulla vi é di innovativo avendo il legislatore comunitario ripreso pressocché testualmente la definizione data dalla Corte di giustizia nella sentenza Xxxxxxx (Corte di giustizia, 23 novembre 1999, cause C-369/96 e C- 376/96, cit.) - peraltro citata anche nel Libro Verde sulla trasformazione della convenzione di Roma in strumento comunitario - in cui si afferma che l’espressione “lois de police et de sûruté” usata nel diritto belga deve intendersi come riferita «alle norme nazionali la cui osservanza è stata reputata cruciale per la salvaguardia dell’organizzazione politica, sociale ed economica dello Stato membro, al punto da imporne il rispetto a chiunque si trovi sul territorio nazionale di tale Stato membro o a qualunque rapporto giuridico localizzato nel suo territorio».
130 Nel caso in cui il contratto preveda a carico delle parti obbligazioni diverse da eseguirsi in paesi differenti e in giudizio si discuta dell’adempimento di più obbligazioni, possono venire in rilievo le norme di applicazione necessari dei diversi Stati in cui dette obbligazioni debbono essere adempiute, giacché l’art. 9, par. 3, non fa riferimento al solo luogo di esecuzione della prestazione caratteristica, ma impiega la generica locuzione “obblighi derivanti dal contratto” (cfr. X. XXXXXXXX, Commentario del Regolamento CE n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), sub. art. 9 (Norme di applicazione necessaria), in Nuove leggi civ. comm., 2009, 911).
necessaria anche le norme imperative di protezione della parte debole, ancorché volte essenzialmente alla tutela di interessi di matrice privatistica.
Tale ricostruzione della volontà del legislatore comunitario pare confermata dal considerando n. 37, laddove si dice che solo «considerazioni di pubblico interesse giustificano, in circostanze eccezionali, che i giudici degli Stati membri possano applicare deroghe basate sull’ordine pubblico e sulle norme di applicazione necessaria», aggiungendo altresì che il concetto di norme di applicazione necessaria dovrebbe essere distinto da quello di norme imperative semplici e dovrebbe essere inteso in maniera più restrittiva. Se è certamente incontestabile che il legislatore comunitario abbia fatto proprio un orientamento restrittivo in ordine alle norme di applicazione necessaria allo scopo evidentemente di garantire una più ampia operatività delle norme di conflitto poste dal regolamento, non può dirsi ineluttabile la soluzione di escludere dal novero delle norme di applicazione necessaria le disposizioni di protezione del contraente debole. Vero è che nella definizione delle norme di applicazione necessaria il legislatore comunitario si riferisce chiaramente alla salvaguardia di interessi pubblici; è però altrettanto vero che anche le norme di protezione di determinate categorie di individui, pur tutelando in via immediata interessi di natura privatistica, rivestono un’importanza non trascurabile per l’organizzazione sociale ed economica di un Stato. Di talché, la loro esclusione dalla categoria delle norme di applicazione necessaria appare certamente criticabile131.
Non stupisce che il legislatore comunitario introduca regole di diritto privato a tutela del contraente debole con il dichiarato proposito di strutturare il mercato interno e garantirne l’effettivo funzionamento secondo i principi della libera concorrenza.
Ciò conferma che tali norme di protezione, ancorché tutelino gli interessi privati di una data categoria di individui, abbiano un indubbio impatto sull’organizzazione economica e sociale del mercato e, pertanto, riposino anch’esse su ragioni di interesse pubblico.
131 Ritiene inaccettabile l’esclusione delle norme di protezione del contraente debole dalla categoria delle lois de police X. XXXXXX, Le norme di applicazione necessaria nel regolamento “Roma I”, cit., 182; nello stesso senso X. XXXXXXXXX, Norme inderogabili, “disposizioni imperative del diritto comunitario” e “leggi di polizia” nella proposta di regolamento Roma I, cit., 111 e ss.
Peraltro, è lo stesso legislatore comunitario ad assegnare alle norme contenute nelle direttive in materia di consumo una imperatività “rafforzata” attraverso l’introduzione di una clausola di protezione (“non Member-State clause”), che impone l’applicazione delle norme imperative di diritto comunitario anche quando le parti abbiano scelto come applicabile la legge di uno Stato terzo, sempre che il contratto presenti uno stretto legame con il territorio di uno o più Stati membri132.
Natura di applicazione necessaria è stata attribuita anche alle norme protettive interne dello Stato di accoglienza del lavoratore temporaneamente distaccato dalla direttiva CE/96/71 del 24 settembre 1996, come riconosciuto dal considerando n. 34 del regolamento Roma I, ai sensi del quale «la norma sul contratto individuale di lavoro non dovrebbe pregiudicare l’applicazione delle norme di applicazione necessaria del paese di distacco» previste dalla suddetta direttiva.
Determinante sarà l’interpretazione della Corte di giustizia sulla portata della nuova definizione di norme di applicazione necessaria, anche se pare improbabile che la Corte intervenga sulla questione smentendo l’orientamento dalla stessa seguito nelle recenti decisioni sopra ricordate.
Un dato è comunque certo: la definizione restrittiva delle norme di applicazione necessaria interverrà a limitare la tendenza dei tribunali nazionali ad attribuire con troppa facilità la natura di norme di applicazione necessaria a disposizioni imperative interne e così evitare che le norme di conflitto del regolamento siano frequentemente derogate133.
VI. Ordine pubblico
Altro limite di portata generale che interviene a condizionare l’applicazione della lex contractus (scelta dai contraenti o individuata in base alle norme di conflitto) è rappresentato dall’ordine pubblico.
L’art. 21 del regolamento, ricalcando fedelmente il contenuto dell’art. 16 della
132 Sul tema della “non Member-State clause” si rimanda a quanto detto a pag. 40 e in nota 67, nonché alle pagg. 50 e ss.
133 In questi termini N. BOSCHIERO, I limiti al principio d’autonomia posti dalle norme generali del regolamento Roma I, cit., 89 e A. BONOMI, Le norme di applicazione necessaria nel regolamento “Roma I”, cit., 177.
convenzione di Roma, stabilisce che l’applicazione delle disposizioni della legge regolatrice del contratto può essere esclusa solo qualora risulti manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del foro.
Secondo l’ormai consolidata elaborazione dottrinale, per ordine pubblico deve intendersi l’insieme dei principi e valori fondamentali dell’ordinamento giuridico del foro, la cui salvaguardia impone di escludere l’applicazione delle singole disposizioni della legge regolatrice del contratto che con essi si pongano in contrasto134.
L’ordinamento giuridico del foro, attraverso le norme di diritto internazionale privato, riconosce i valori giuridici di un ordinamento esterno, tanto da ammettere l’applicazione da parte dei giudice nazionali delle norme che di detto ordinamento fanno parte. Ciò nondimeno, si munisce di strumenti che operano in direzione opposta e cioè di chiusura, laddove le norme straniere siano confliggenti con i principi fondamentali che l’ordinamento giuridico del foro esprime.
Nella sua funzione di strumento di controllo proprio del diritto internazionale privato, l’ordine pubblico è destinato ad operare in via eccezionale, come confermato dalla formulazione dell’art. 21, che limita il ricorso all’ordine pubblico ai soli casi in cui gli effetti dell’applicazione della legge regolatrice del contratto siano manifestamente incompatibili con esso.
Così inteso, l’ordine pubblico si atteggia a limite di carattere negativo essendo funzionale ad escludere l’applicazione della lex contractus e non, invece, ad ampliare la sfera di operatività delle norme appartenenti all’ordinamento giuridico del foro. Questa seconda funzione è propria delle norme di applicazione necessaria cui l’ordinamento giuridico di appartenenza riconosce – come già detto - un’importanza tale da esigerne comunque l’applicazione, a prescindere dalla legge regolatrice del contratto, essendo norme dirette a tutelare valori giuridici irrinunciabili per l’ordinamento cui appartengono.
134 Sulla natura e funzione dell’ordine pubblico la produzione dottrinale è assai ricca: si vedano, solo per citarne alcuni, i contributi di X. XXXXXXX – C. CAMPIGLIO, Diritto internazionale privato e processuale, Parte generale e contratti, Vol. I, 5ª ed., Torino, 2010, 231 e ss. Sulla nozione di ordine pubblico, con specifico riferimento al regolamento Roma I, X. XXXXXXXX, Commentario del Regolamento CE n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), sub. art. 21 (Ordine pubblico del foro), in Nuove leggi civ. comm., 2009, 911 e ss. con ampi riferimenti bibliografici.
Mentre l’eccezione di ordine pubblico assolve, dunque, ad una funzione di tipo negativo, le norme di applicazione necessaria hanno, invece, una portata positiva in quanto norme che devono comunque trovare applicazione quale che sia la legge regolatrice del contratto, ampliando in tal guisa la sfera di efficacia della lex fori.
I due limiti sono concettualmente distinti e presentano modalità di funzionamento differenti: questa differenziazione trova conferma anche nel fatto che sono disciplinati, nel regolamento come già nella convenzione, da due distinte norme.
E’ difficile, tuttavia, negare che esista una certa affinità tra ordine pubblico e norme di applicazione necessaria, in quanto entrambi i concetti esprimono principi e valori giuridici ritenuti fondamentali dall’ordinamento. Non a caso, le due nozioni, seppur distinte a livello internazionale, risultano unificate in taluni ordinamenti giuridici essendo ricomprese nella categoria generale dell’ordine pubblico interno. La dottrina francese, per esempio, fa riferimento alla sola nozione di ordine pubblico, pur distinguendo al suo interno l’ordine pubblico di protezione e l’ordine pubblico di sicurezza, al quale ultimo appartengono specificamente le leggi di polizia135.
Anche sul piano delle modalità di funzionamento, le differenze tra le due categoria vanno progressivamente attenuandosi quanto meno con riferimento alle norme di tipo protettivo (ove incluse nella categoria delle norme di applicazione necessaria). Tali norme, infatti, analogamente all’ordine pubblico, non intervengono ad escludere preventivamente l’applicazione della legge regolatrice del contratto, potendone paralizzare l’efficacia solo quando i valori giuridici che le norme di protezione intendono tutelare non trovino analogo riconoscimento nella legge applicabile al contratto.
Quanto all’estensione della nozione di ordine pubblico, è pacifico che esso esprima i valori e i principi fondamentali non solo dell’ordinamento nazionale dei singoli Stati membri, ma anche di quello comunitario.
Già la relazione sulla convenzione di Roma, nel commento dedicato all’art. 16, ha chiarito che l’espressione ordine pubblico del foro «include l’ordine pubblico
135 Sull’argomento X. XXXXX, L’éntedue du control par le juge étatique de la conformità des sentences arbitrales aux lois de police, in Liber amicorum Xxxxxx Xxxxxxxx-Xxxxxx, Parigi, 2008, 461.
comunitario divenuto parte integrante dell’ordine pubblico degli Stati membri»136.
Anche la Corte di giustizia, nella sentenza Eco Swiss, ha puntualmente precisato che l’ordinamento comunitario esprime esso stesso principi fondamentali di ordine pubblico che, come tali, si impongono all’interno degli ordinamenti degli Stati membri e devono essere applicati e rispettati dai giudici nazionali137.
Va da sé che nella nozione di ordine pubblico comunitario rientrano non solo i principi di matrice economica relativi al funzionamento del mercato interno (come espressi nelle norme del Trattato che vietano le intese restrittive della concorrenza, l’abuso di posizione dominante ecc.), ma anche i principi generali che riguardano le libertà fondamentali, come pure i diritti fondamentali della persona umana espressamente richiamati nell’art. 6 del Trattato UE e codificati nella Carta di Nizza138.
Chiariti i contenuti e le modalità di funzionamento dell’eccezione di ordine pubblico, permangono le incertezze interpretative, manifestatesi già nel vigore della convenzione di Roma, originate dalla mancata previsione di come procedere in caso di inapplicabilità della lex contractus.
In sede di revisione della convenzione di Roma, sarebbe stato quanto mai opportuno che il legislatore comunitario prendesse posizione sulla questione onde evitare il perpetuarsi della varietà di soluzioni già elaborate dalla dottrina con riguardo alla convenzione di Roma, con il rischio di possibili orientamenti contrastanti nella giurisprudenza dei diversi Stati membri e correlativo pregiudizio
136 Cfr. X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX, Relazione sulla convenzione relativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, cit., 84.
137Cfr. Corte di giustizia, 1 giugno 1999, causa C-126/97, in Giust. civ., 2000, I, 1903, nella quale si afferma, più specificamente, che nei limiti in cui un giudice nazionale debba, in base alle proprie norme di diritto processuale, accogliere un’impugnazione per nullità di un lodo arbitrale fondata sulla violazione delle norme nazionali di ordine pubblico, esso «deve ugualmente accogliere una domanda fondata sulla violazione del divieto sancito dall’art. 81, n. 1, del Trattato CE» (oggi art. 101 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea). Si tratta della norma che vieta le intese restrittive della concorrenza che la Corte non esita a qualificare come «disposizione fondamentale indispensabile per l’adempimento dei compiti affidati alla Comunità e, in particolare, per il funzionamento del mercato interno», elevando i principi in essa sanciti ad espressione dell’ordine pubblico (economico) comunitario.
138 La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata adottata a Nizza il 7 dicembre 2000 (in G.U.U.E., C 364 del 18 dicembre 2000) e in una seconda versione, riveduta e integrata, a Strasburgo il 12 dicembre 2007. Con l’entrata in vigore il 1° dicembre 2009 del Trattato di Lisbona, la Carta ha assunto il medesimo valore giuridico dei Trattati, ai sensi dell'art. 6 del Trattato sull’Unione europea, e si pone dunque come pienamente vincolante per le Istituzioni europee e gli Stati membri.
per l’uniformità delle soluzioni nello spazio giudiziario europeo.
A parere di chi scrive, la questione non può che essere risolta secondo le regole già presenti nel sistema italiano di diritto internazionale privato (il riferimento è all’art. 16, comma 2, della legge n. 218/95). Qualora la lex contractus non possa trovare applicazione perché incompatibile con l’ordine pubblico del foro, il giudice dovrà applicare la legge richiamata, in via sussidiaria o alternativa, da altri criteri di collegamento eventualmente previsti dal regolamento per la medesima ipotesi normativa. In mancanza, la legge applicabile dovrà essere individuata in base alle norme di conflitto della lex fori139.
Secondo altro orientamento, invece, dovrebbe procedersi all’applicazione immediata della norme di conflitto della lex fori140. Tale soluzione non risulta, tuttavia, condivisibile in quanto, consentendo l’applicazione delle norme di conflitto dei singoli Stati membri (assai diversificate quanto a soluzioni adottate), non sembra coerente con l’obiettivo generale del regolamento (e già prima della convenzione di Roma) di garantire l’omogeneità delle soluzioni nel territorio comunitario.
Peraltro, a norma dell’art. 16 della convenzione e dell’analogo art. 21 del
139 Secondo la soluzione suggerita nel testo, se contraria all’ordine pubblico è una disposizione della lex contractus scelta dai contraenti, il giudice dovrà determinare la legge applicabile secondo i criteri indicati nell’art. 4 del regolamento, assimilando la scelta di una legge straniera inapplicabile perché incompatibile con l’ordine pubblico del foro all’ipotesi di mancanza di scelta. Ove , invece, ad essere contraria all’ordine pubblico sia la legge già determinata in mancanza di scelta dei contraenti, il giudice dovrà verificare se vi siano ulteriore criteri di collegamento previsti dal regolamento che consentano l’individuazione di una legge diversa da applicare al caso in esame e, in difetto, dovrà applicare le norme di conflitto interne e, per questa via, giungere alla individuazione della legge applicabile. Sull’argomento, in senso conforme, X. XXXXXXXX, Commentario del Regolamento CE n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), sub. art. 21 (Ordine pubblico del foro), cit., 918; con riferimento all’omologa disposizione della convenzione di Roma, Id., Le conseguenze dell’incompatibilità della legge straniera con l’ordine pubblico nella Convenzione di Roma, in Riv. dir. int., 2003, 1089 e ss.
140 In questo senso X. XXXXX, La determinazione della legge applicabile in mancanza di scelta dei contraenti e le norme di applicazione necessaria, in La Convenzione di Roma sul diritto applicabile ai contratti internazionali, a cura di X. XXXXXXXXX – X. XXXXX, Milano, 1994, 29 e ss. Nello stesso senso, sempre con riferimento all’art. 16 della convenzione di Roma, Xxxx. 7 dicembre 2005, n. 26976, in Giust. civ. Mass., 2005, 12, che però non esplicita alcuna specifica motivazione in merito all’orientamento suggerito e Xxxx. 9 maggio 2007, n. 10549, in Riv. it. dir. lav., 2008, 335, nella quale si spiega il ricorso alle norme di conflitto della lex fori sull’erroneo presupposto che l’art. 16 della convenzione escluderebbe la disciplina convenzionale nel suo complesso e non, invece, l’applicazione della sola disposizione della lex contractus che in concreto risulti incompatibile con l’ordine pubblico. Merita, infine, menzione la più risalente pronuncia della Corte di cassazione (sentenza 11 novembre 2002, n. 15822, in Riv. dir. int., 2003, 1159), nella quale i giudici di legittimità indicano di far ricorso ai criteri dell’art. 4 della convenzione, laddove la legge scelta dalle parti fosse risultata incompatibile con l’ordine pubblico, con ciò avallando la soluzione indicata nel testo.
regolamento, ad essere esclusa non è l’applicabilità delle regole di conflitto dettate da questi strumenti normativi, ma soltanto l’applicabilità delle singole disposizioni della lex contractus (individuate in applicazione di quelle regole di conflitto), che risultino incompatibili con l’ordine pubblico del foro.
La contrarietà all’ordine pubblico della legge regolatrice del contratto non impedisce, pertanto, che nella determinazione della legge applicabile si faccia ricorso agli altri criteri di collegamento eventualmente previsti dal regolamento e, solo in difetto di essi, si dovrà fare applicazione delle norme di conflitto della lex fori.
Questa soluzione è certamente più aderente alla ratio dell’eccezione di ordine pubblico, che non è quella di limitare tout court l’operatività delle norme di conflitto, bensì quella di escludere l’applicazione delle norme sostanziali i cui effetti siano incompatibili con l’ordine pubblico, restando conseguentemente operanti le ulteriori norme di conflitto che dovessero condurre alla individuazione di altra legge applicabile al caso concreto.
Ancora una volta determinante sarà l’interpretazione della Corte di giustizia che, ove chiamata a pronunciarsi sulla questione, saprà indicare la soluzione praticabile in caso di inapplicabilità della lex contractus per contrarietà all’ordine pubblico del foro, così assicurando l’interpretazione uniforme del regolamento.
CAPITOLO IV
LA DISCIPLINA DI CONFLITTO RELATIVA AI CONTRATTI DI CONSUMO NELLA CONVENZIONE DI ROMA E NELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO PRESENTATA DALLA COMMISSIONE
SOMMARIO: I. La convenzione di Roma e i contratti di consumo. – II. La legge applicabile ai contratti dei consumatori secondo la convenzione di Roma. – III. (segue) Portata e limiti del sistema di tutela offerto dalla convenzione di Roma. – IV. La disciplina di conflitto relativa ai contratti di consumo nella proposta di regolamento presentata dalla Commissione. – V. Gli elementi innovativi della disciplina di conflitto proposta dalla Commissione.
I. La convenzione di Roma e i contratti di consumo
Una compiuta analisi della disciplina di conflitto dettata dal regolamento in materia di contratti dei consumatori impone necessariamente l’esame del precedente assetto normativo risultante dalla convenzione di Roma, così da cogliere i punti di contatto tra le due discipline e, al tempo stesso, offrire un terreno di confronto per misurare la portata innovativa delle scelte operate dal legislatore comunitario, anche alla luce delle soluzioni, in parte diverse, che erano state suggerite dalla Commissione nella sua proposta di regolamento.
L’art. 5 della convenzione di Roma detta per i contratti di consumo una disciplina di conflitto speciale 141, con il dichiarato proposito di assicurare una tutela rafforzata al consumatore in quanto contraente xxxxxx000.
141 Nel progetto preliminare della convenzione del 1972 (pubblicato per esteso in Riv. dir. int. priv. e proc., 1973, 189 e ss.) non figurava alcuna disposizione dedicata ai consumatori. Venne inserita in un momento successivo nel corso dei lavori del Comitato di esperti governativi, a seguito dell’adozione del programma comunitario per una politica di protezione e di informazione del consumatore del 1973. Sarebbe apparsa francamente contraddittoria l’adozione di una convenzione di matrice comunitaria che non si preoccupasse della tutela del consumatore che le Istituzioni comunitarie avevano in quegli stessi anni posto a base di uno specifico programma d’intervento.
142 Numerosi sono i contributi che si occupano dell’art. 5 della convenzione. Tra essi si segnalano X. XXXXX, La legge applicabile ai contratti con i consumatori, in AA.VV., Verso una disciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti, a cura di X. XXXXXX, Padova, 1983, 303 e ss.; Id., La legge applicabile ai contratti conclusi con i consumatori, in Consumatori, contratti, conflittualità. Diritti individuali, interessi diffusi, mezzi di tutela, a cura di X. XXXXX, Milano, 2000, 157 e ss.; X. XXXX, La tutela dei consumatori nella Convenzione europea sulla legge applicabile in materia di obbligazioni contrattuali, in Verso una disciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti, cit.,
L’obiettivo è quello di riequilibrare le posizioni contrattuali nei rapporti di scambio transfrontalieri all’interno dell’allora mercato comune europeo, evitando sopraffazioni del contraente più forte (il professionista) a tutto vantaggio di un ordinato dispiegarsi dell’iniziativa economica con indubbie ricadute positive sul mercato e, più in generale, sulla società nel suo complesso con il conseguimento di un più elevato benessere sociale.
Malgrado nella rubrica si faccia riferimento in generale ai contratti conclusi dai consumatori, l’art. 5 della convenzione non trova applicazione in tutti i casi di rapporti negoziali connotati dalla presenza di una parte debole (il consumatore), ma circoscrive il suo campo d’azione ai soli contratti conclusi dal consumatore per un uso estraneo alla sua attività professionale143, aventi per oggetto la fornitura di beni mobili materiali o di servizi e ai contratti di finanziamento connessi144.
La definizione, per quanto apparentemente ampia, si rivela piuttosto restrittiva, menzionando unicamente i rapporti di fornitura di beni mobili e servizi, senza nulla dire delle altre tipologie contrattuali che possono coinvolgere i consumatori (si pensi, solo per fare un esempio, alla multiproprietà)145.
317 e ss.; X. XXXX – X. XXXXXXX, La Convenzione di Roma sulla legge applicabile in materia di obbligazioni. Aspetti civilistici, in La Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, a cura di X. XXXXXXXXX, Milano, 1983, 82 e ss.; X. XXXXXXX, La convenzione di Roma sulla legge applicabile ai contratti, cit., 125 e ss.; Id., L’azione comunitaria in materia di diritto internazionale privato, in Riv. dir. eur., 1981, 407 e ss.; M.M. SALVADORI, La protezione del contraente debole (consumatori e lavoratori) nella Convenzione di Roma, in AA.VV., La Convenzione di Roma sul diritto applicabile ai contratti internazionali, a cura di G. SACERDOTE – X. XXXXX, Milano, 1994, 121 e ss.
143 Critica sul punto è la posizione di X. XXXX, La disciplina dei contratti conclusi dai consumatori nella Convenzione europea sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, in Giur. it., 1983, 12, il quale sottolinea che il testo normativo «assume come consumatore la controparte negoziale del fornitore, mentre oltre alle controparti negoziali…. l’espressione dovrebbe comprendere anche i semplici utenti di beni o servizi, che non abbiano direttamente compiuto atti giuridici per acquisirli, e ne siano tuttavia investiti (es. familiari, domestici, conviventi, dipendenti, terzi estranei ma interessati all’uso o al consumo); dovrebbe poi comprendere anche i meri contatti sociali, che si istituiscono, ad esempio, con i messaggi pubblicitari, diffusi dal produttore; l’utenza o il consumo dovrebbero poi avere riguardo non solo “all’attività biologica” del consumatore, ma anche alle altre attività del singolo con la sola eccezione dell’uso o dell’acquisto per la rivendita o in genere l’intermediazione».
144 Sono comunque esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 5 della convenzione i contratti di trasporto e i contratti di fornitura di servizi quando i servizi dovuti al consumatore devono essere forniti esclusivamente in un paese diverso da quello in cui egli risiede abitualmente. Rientra invece nello spazio applicativo dell’art. 5 il contratto che prevede per un prezzo globale prestazioni combinate di trasporto e di alloggio.
145 Muovendo dalla definizione restrittiva dei contratti di consumo, la Corte federale tedesca nella sentenza del 19 marzo 1997 (pubblicata in francese in Revue critique de droit intern. privé, 1998, 610 e ss., con nota di X. XXXXXXX) ha escluso l’applicazione dell’art. 5 della convenzione in fattispecie