DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Cattedra di Diritto Penale II
L’ESTORSIONE CONTRATTUALE
RELATORE CANDIDATO
Xxxxx.xx Prof.ssa Xxxxx Xxxxxx
Xxxxx Xxxxxxxx Matr.105413
CORRELATORE
Xxxxx.xx Prof.ssa
Xxxxxxxxx Xxxxxxx
Anno Accademico 2017-2018
Indice
Capitolo I
Il delitto di estorsione: profili generali.
1. Considerazioni introduttive 1
1.1. Cenni storici e attuale configurazione del delitto di estorsione (art. 629 c.p.) 6
2. La distinzione adottata dal codice penale e la diversa classificazione dei reati contro il patrimonio adottata dalla dottrina. Cenni alla distinzione tra reati-contratto e reati in contratto, nonché alla problematica della sorte civilistica del contratto connesso ad un reato 15
3. Analisi della fattispecie: il soggetto attivo e il soggetto passivo del reato di estorsione 20
4. La condotta incriminata 21
4.1. La violenza 23
4.2. La nozione di minaccia 26
4.3. La coazione psicologica della vittima 31
5. L’atto di disposizione patrimoniale 34
6. L’ingiusto profitto e l’altrui danno 36
7. L’elemento psicologico 39
8. Consumazione e tentativo 41
9. Le circostanze aggravanti 44
10. Raffronto con altre affini fattispecie di reato (cenni) 48
11. Le ipotesi di estorsione aggravate dall’art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. l. 12 luglio 1991 n. 203 53
Capitolo II L’estorsione contrattuale
1. L’estorsione contrattuale 57
1.1. L’estorsione e il contratto di locazione 67
1.2. L’estorsione e il contratto di lavoro… 70
2. Il reato di truffa 72
2.1. La truffa contrattuale 82
3. Danno e profitto. Il danno nell’estorsione e nella truffa 84
4. La rapina 92
5. L’estorsione e la violenza privata 94
6. L’estorsione e l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni 97
7. Le figure speciali di estorsione 101
7.1. Il c.d. cavallo di ritorno 106
Conclusioni 114
Bibliografia
Capitolo I
IL DELITTO DI ESTORSIONE: PROFILI GENERALI.
1. Considerazioni introduttive
Sussiste una connessione operativa tra i reati di estorsione e il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso.
È prassi diffusa e consolidata quella che si sostanzia nell’imposizione, da parte degli autori del secondo, mediante violenza o minacce, della corresponsione di denaro od altre utilità, a danno degli imprenditori e, più in generale, degli operatori economici, affinché questi ultimi possano proseguire nell’esercizio della propria attività economica.
Il fenomeno dell’estorsione è, invero, strettamente connesso anche alla criminalità comune. Si pensi, esemplificativamente, al caso della vittima di un furto o di una rapina che subisca la richiesta di denaro ai fini della restituzione delle cose sottratte (c.d. cavallo di ritorno)2.
1 X. XXXXXXXXX, Diritto Penale. Parte Speciale, Vol. II, Delitti contro il patrimonio, 2016, 190.
2 La rilevanza penale dell’estorsione dell’operazione denominata come cavallo di ritorno è affermata dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha anche enunciato i termini e i limiti per la responsabilità concorsuale dell’eventuale intermediario. Ex pluribus Cass. 18 gennaio 2017, n. 6824, xxx.xxxx.xx, 2017, 11, che ha riaffermato il seguente principio: “ai fini dell’integrazione del concorso di persone nel reato di estorsione è sufficiente la coscienza e volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita; ne consegue che anche l’intermediario, nelle trattative per la determinazione della somma estorta, risponde del reato di concorso in estorsione, salvo che il suo intervento abbia avuto la sola finalità di perseguire l’interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarietà umana. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione alla stregua di concorso in estorsione della condotta dell’imputato, il quale, su sollecitazione della vittima di un furto, aveva prontamente individuato gli autori del fatto, mettendoli in contatto con la stessa, ed aveva poi provveduto alla fissazione e comunicazione a quest’ultima del prezzo del riscatto, nonché alla predisposizione di studiate modalità di rinvenimento del bene in modo che apparisse casuale)”. La natura implicita della minaccia della perdita definitiva del bene in caso di mancato versamento della somma richiesta, cfr. ex multis Cass. pen.12 febbraio 2013,
n. 6818: “integra il delitto di estorsione la condotta di xxxxx che chiede ed ottiene dal derubato il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo per l’attività di intermediazione posta in essere
Il quadro sommariamente delineato è da ritenere anche più allarmante se si considera l’irruento impatto delle nuove tecnologie sul fenomeno criminale in rassegna.
Si registrano numerosi episodi in cui gli hackers, avvalendosi dello strumento di internet, diffondono software maligni (c.d. malware), installandoli nei sistemi operativi altrui, senza evidenza alcuna e, dunque, all’insaputa del legittimo titolare del dispositivo intaccato, avanzando, poi, attraverso un consistente numero di messaggi di posta elettronica, pretese in denaro in cambio del ripristino dei dati o delle funzioni danneggiate o, ancora, per impedire gravi violazioni della privacy (ad esempio, la diffusione di dati sensibili illegittimamente acquisiti)3.
Il fenomeno estorsivo ha poi trovato terreno fertile di diffusione nel consistente incremento dell’utilizzo di social network e di online chat private (l’utenza è al 90% composta da giovani under 35)4. In taluni
per la restituzione del bene sottratto, in quanto la vittima subisce gli effetti della minaccia implicita della mancata restituzione del bene come conseguenza del mancato versamento di tale compenso”.
3 Operazione Cryptolocker, Polizia arresta 7 persone tra Napoli e Catania, 21 giugno 2017, su xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xx. Oppure l’analogo articolo L’estorsione corre sul web, una denuncia ogni tre giorni. Ospedali nel mirino, di X. XXXXXXX, 3 gennaio 2017, su xxx.xxxxxxxx.xx.
4E. XXXXXXXX, I dati demografici dei social media nel 2017, 27.01.2017, xxx.xxxxxx.xx; Coercizione ed Estorsione Online contro i minori, datato 18.10.2017, pubblicato dalla Polizia Postale sul sito Commissariato di P.S. on line, all’indirizzo xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx. Il fenomeno è descritto sul sito ufficiale della polizia elvetica cantonale in questi termini: << L’intento dell’autore è quello di instaurare un rapporto di fiducia e attaccamento sentimentale, così da generare delle situazioni a lui favorevoli per indurre la vittima ad esporsi mostrandosi alla webcam in atteggiamenti sessuali o equivoci. A insaputa della vittima le immagini o il video vengono registrate e quindi utilizzate per estorcerle denaro. Alla persona presa di mira viene infatti chiesto di versare una determinata somma di denaro (400 - 500 $) tramite specifici corrieri (es. Western Union), minacciando di pubblicare il video e/o le immagini in internet (es. Youtube) come pure di inviarli ai contatti Facebook della vittima, presumibilmente ottenuti violando l’accesso al social network. Per rendere la minaccia verosimile e creare nella vittima la certezza di un pericolo imminente alla sua immagine, l’autore invia l’elenco delle amicizie (Facebook o altro social network) del malcapitato oppure invia il link al sito su cui è stato momentaneamente pubblicata la registrazione compromettente. A volte, per incutere maggior timore, l’estorsore sottolinea il fatto che la ragazza o il ragazzo che interagiscono dall’altro capo della webcam, sono minorenni, asserendo che in caso di mancato pagamento verranno avvisate le autorità giudiziarie o in alternativa si dichiara proprio un funzionario incaricato di incassare una contravvenzione. Per il ritiro del denaro, poi, l’autore adotta degli stratagemmi per evitare di fornire le proprie generalità. Ne consegue, per la Polizia, un’accresciuta difficoltà che, aggiunta al fatto che gli autori operano generalmente dall’estero, rende la loro identificazione estremamente difficoltosa>> su xxx.0.xx.xx.
casi vittime di vessazioni quali quelle appena rappresentate sono state rinomate multinazionali5.
L’estorsione assume, dunque, un’estensione crescente sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo. Altre forme di manifestazione dei fatti di estorsione sono state oggetto di raffronto critico in relazione ai diritti della personalità6. Si pensi, ad esempio, all’abuso del diritto di cronaca in quei casi nei quali il giornalista, minacciando un danno all’immagine di personaggi pubblici attraverso la pubblicazione di immagini o notizie che li riguardino, costringa “i medesimi ad acquistare fotografie compromettenti la loro pubblica reputazione”7, violando gravemente i diritti della personalità e di riservatezza dei dati personali.
A conferma della pregnante rilevanza del fenomeno, si segnala che anche il delitto di concussione (art. 317 c.p.) è stato da taluno8 definito in termini di “una sorta di estorsione qualificata”, laddove la connotazione è dovuta alla natura di pubblico ufficiale del soggetto agente.
I fatti di estorsione non sono estranei nemmeno ai contesti familiari9. Si esemplifica il caso del figlio tossicodipendente che estorce reiteratamente denaro ai genitori, anche attraverso maltrattamenti10.
In questi casi, a seguito della denuncia da parte dei familiari, spesso il congiunto maltrattante è generalmente destinatario di misure cautelari
5 Un certo clamore mediatico ha suscitato la vicenda che ha visto la celebre piattaforma Netflix cadere vittima di un ricatto hacker. Il ricatto dell’hacker a Netflix: finisce online stagione inedita di “Orange is the new black”, di XXXXX XXXXXXXXX, pubblicato il 29 aprile 2017, in xxx.xxxxxxxx.xx.
6 X. XXXXXXXX, Condotte estorsive, Milano, 2013, 89.
7 X. XXXXXXXXX, Estorsione e diritti della personalità, in X. XXXXXXXX, Condotte estorsive, cit., 49.
8 X. XXXXXXXX, La nuova disciplina dei reati contro la P.A., p. 3, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 15 gennaio 2013; X. XXXXXXX, La nuova disciplina dei delitti degli agenti pubblici contro la P.A.: dalle prospettive di riforma alla legge 86/90, Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 917.
9 E. P. XXXXXXX, Le condotte estorsive nei rapporti familiari, in X. XXXXXXXX, Condotte estorsive, cit., 73.
10 Quanto al possibile concorso tra reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) ed estorsione, la Xxxxx xx Xxxxxxxxxx 00 dicembre 2012, n. 15571, Xx Xxxxx ha avuto modo di precisare qual è il rapporto tra i diversi reati in cui può tipicamente estrinsecarsi la violenza intrafamiliare: “il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce anche gravi, ma non quelli di lesioni, danneggiamento ed estorsione (che, dunque, concorrono con esso), attesa la diversa obiettività giuridica dei reati”.
restrittive della libertà personale. Nondimeno, accade sovente che i congiunti ritrattino in sede processuale le precedenti accuse, ma ciò non può tradursi in un’estinzione del relativo procedimento penale, in quanto i maltrattamenti e l’estorsione sono reati procedibili d’ufficio11. Nell’ambito dei rapporti di lavoro12 si perpetrano reati di estorsione particolarmente nella forma c.d. di estorsione ambientale13. Il datore di lavoro può essere, oltre che autore di fatti di estorsione14, anche vittima. Nel prosieguo del presente lavoro si intende approfondire segnatamente quest’ultimo ordine di ipotesi. È realtà fattuale ampiamente diffusa che gli imprenditori talvolta subiscano minacce dirette a costringerli ad assumere alle loro dipendenze determinate persone15. Si tratta della c.d. estorsione contrattuale o patrimoniale, spesso collegata all’attività di soggetti affiliati ad associazioni di stampo mafioso.
11 La ritrattazione in sede processuale può dar luogo ad una situazione paradossale ed ingiusta: al congiunto che ritratta, infatti, è possibile contestare ex art. 500 c.p.p., nel corso del suo esame testimoniale, le dichiarazioni accusatorie rese in denuncia o, comunque, nel corso delle indagini preliminari; ma le contestazioni possono essere utilizzate solo ai fini della valutazione circa la credibilità del teste, ma non anche ai fini di prova a carico dell’imputato, per cui l’assurdo è che quest’ultimo viene assolto, essendo venute meno le accuse nei suoi riguardi, ma i suoi congiunti vedono gli atti trasmessi alla Procura della Repubblica per il reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) avendo ritrattato le originarie accuse. Sarebbe forse auspicabile una revisione dell’istituto della procedibilità d’ufficio per i reati che riguardano l’ambito familiare, commessi ai danni di soggetti maggiorenni.
12 X. XXXXXX XXXXXXX, Le condotte estorsive nei rapporti di lavoro, in X. XXXXXXXX, 141.
13 X. XXXXXXXXX, Diritto Penale, Parte Speciale II: Delitti contro il Patrimonio, 2016, 191.
14 Cass. 14 febbraio 2017, n. 11107, Foro. it., 2017, 11, secondo cui “integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare consentendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate”. Tale principio è pacifico in giurisprudenza (ex pluribus Cass. pen. 21 settembre 2007, n. 36642, Foro it., 2007, 87) ed è un possibile caso di estorsione ai danni dei lavoratori dipendenti. Molto importante, però, ai fini della corretta interpretazione di tale principio, per evitare indebite espansioni dell’art. 629 c.p., è quanto asserito da Cass. pen. 1° febbraio 2012, n. 4290, Foro it., 2012, 45, secondo cui “la pattuizione di un salario inferiore a quello stabilito dai contratti collettivi di lavoro non costituisce, in sé e per sé, estorsione; ciò che rileva penalmente, è costituito dalle modalità, stabilite già al momento dell’ assunzione, con le quali la pretesa “libera” pattuizione venga poi attuata (nella fattispecie, la Corte ha ritenuto integrata l’estorsione, in considerazione del fatto che all’atto del pagamento, il lavoratore, da una parte era costretto a firmare una quietanza corrispondente all’importo della busta paga e, dall’altra, doveva poi restituire in contanti la differenza, pena l’immediato licenziamento ed il concreto pericolo di non potere più trovare lavoro presso altri imprenditori a seguito delle pressioni che l’indagato avrebbe fatto presso i suoi colleghi)”. xxx.xxxxxxxxxx.xx.
15 Cass. pen. 20 gennaio 2016, n. 8639, in Foro it., 2016 92.
Mentre è pacifico che la distinzione tra estorsione e violenza privata16 sia ravvisabile nell’ingiusto profitto con altrui danno economico che caratterizza la prima figura e manca nella seconda17, si dibatte se il danno necessario ai fini della configurazione dell’estorsione contrattuale debba ravvisarsi soltanto in presenza di uno squilibrio del sinallagma contrattuale, come vorrebbe la dottrina maggioritaria, ovvero debba ritenersi in re ipsa per il sol fatto della costrizione a concludere il contratto, anche a fronte, in ipotesi, di prestazioni tra loro economicamente equivalenti, ossia anche quando il contratto non sia economicamente svantaggioso per il coartato, secondo l’opinione espressa dalla costante giurisprudenza di legittimità18. È evidente che, accedendo a questa seconda ipotesi ricostruttiva, si delinea una nozione di danno patrimoniale ben più ampia di quella solitamente proposta in dottrina come lesione del patrimonio, a sua volta inteso secondo diverse concezioni (economica, giuridica, mista o personalistica), nessuna
16G. X. XXXXX, La minaccia, in «I Libri» di Archivio Penale, 20, 2013, 21, <<Quando la minaccia è condizionata a una determinata condotta (attiva o omissiva) del soggetto passivo, viene invece in rilievo la minaccia–mezzo (“Ti ammazzerò se non fai, ometti di fare o subisci questo o quello”): una minaccia, anche in questo caso sanzionata penalmente e civilmente, finalizzata a produrre un effetto di coazione sulla vittima. Se la minaccia del primo tipo — quella pura e semplice — rileva a prescindere da una coartazione della vittima, cui l’agente normalmente non mira, la minaccia del secondo tipo — quella ‘condizionata’— persegue proprio quello scopo: è il mezzo del quale l’agente si serve per coartare la volontà della vittima onde raggiungere un certo risultato, una qualche utilità che vuole conseguire. È in questa seconda variante che la minaccia riceve maggiore e più articolata considerazione da parte del diritto: ad essa sono riconducibili tanto la ‘minaccia’ quale tipica modalità della condotta penalmente rilevante, comune a diverse figure di reato (ad es., violenza privata, estorsione, violenza sessuale, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale), quanto, nel diritto civile, la ‘minaccia’ rilevante quale vizio del consenso e causa di annullamento del contratto e dei negozi giuridici in genere, ovvero quale mezzo di aggressione all’altrui possesso, contro il quale si indirizza l’azione di reintegrazione>>.
17 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, Diritto penale, Parte speciale, II, 2. I delitti contro il patrimonio, 2015, p. 163; X. XXXXX, Estorsione, in Enc. dir., XV, Milano, 1966, 1003. Per la giurisprudenza, cf. ex pluribus Cass., sez. II, 18 dicembre 2012, n. 3371, Maiolo.
18 Cass., sez. VI, 4 dicembre 2013, n. 48461: «Costituisce […] ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale nell’estorsione patrimoniale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti, l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, impedendogli di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute più confacenti ed opportune (così Sez. 6, n. 46058 del 14/11/2008, Xxxxx, Xx. 000000; conf. Sez. 6, n. 9185 del 25/01/2012, Xxxxxx e altri, Xx. 000000; Sez. 2, n. 12444 del 25/10/1999, P.M. in proc. Santonicola, Rv. 214407). Ed allora, è di palmare evidenza come anche la richiesta di ottenere l’assunzione di un dipendente, attuata con modalità violente e minacciose di tipo mafiose, ben poteva integrare gli estremi del delitto di tentata estorsione, in quanto pretesa diretta ad ottenere un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, consistente nel fatto stesso che il contraente-vittima sarebbe stato costretto alla definizione di quel rapporto di lavoro, in violazione della propria autonomia e libertà negoziale»,
della quali, però, idonea a dilatare la predetta nozione di danno patrimoniale19.
1.1. Cenni storici e attuale configurazione del delitto di estorsione (art. 629 c.p.).
Il reato di estorsione era già contemplato dall’art. 601 del codice penale del Regno di Sardegna e dall’art. 393 del codice criminale del Granducato di Toscana, ispirati al codice penale napoleonico del 1810. Con la creazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1871, fu introdotto il Codice Zanardelli del 1889, il quale prevedeva due distinte fattispecie
19 In tal senso, X. XXXXXXX, Estremi del danno e del profitto e limiti di configurabilità della c.d. estorsione contrattuale, Dir. pen. e proc., 2003, 1538 s.
20 La prospettiva induttiva accolta nel testo, sulla scia della giurisprudenza, è opposta a quella seguita da X. XXXXXXX,, op. cit., 1538, secondo il quale, per «stabilire se, ad integrare gli estremi dell’altrui danno e del profitto dell’agente o di un terzo, richiesti dall’art. 629 c.p., sia effettivamente superfluo uno squilibrio, in pregiudizio della vittima, del sinallagma contrattuale, e se l’oggetto giuridico dell’estorsione possa realmente essere ricondotto alla sola libertà di disporre, anziché al patrimonio», sarebbe «necessario fare riferimento, in primis, alle nozioni di danno e di profitto, da accogliersi, in linea generale, in materia di delitti contro il patrimonio». Ma questa visione dà vita ad aprioristici pregiudizi che non colgono le specificità delle figure particolari. Nel caso specifico, la definizione astratta di patrimonio da cui far derivare la connessa nozione di danno patrimoniale non ha consentito all’A., come a molti altri in dottrina, di comprendere che la libertà di disporre, non è estranea al patrimonio del soggetto ma è l’aspetto più significativo, se non la reale essenza.
del reato di estorsione: una prima prevista dall’art. 407 c.p.21 ed un’altra prevista dall’art. 409. c.p.22.
Successivamente, il codice Xxxxx, alla stregua della previsione contenuta all’art. 253 del codice penale tedesco del 1871, ha previsto all’interno di un’unica disposizione le fattispecie estorsive, precedentemente incriminate da distinte norme, assimilandola nella struttura alla fattispecie di violenza privata.
Il legislatore aveva avvertito la necessità di tutelare un complesso di beni giuridici che nell’ipotesi del delitto di estorsione è costituito, non soltanto dal patrimonio, ma anche dalla libertà individuale del soggetto passivo del reato, da particolari forme di aggressione, segnatamente quelle perpetrate mediante violenza alle cose o alle persone.
Tali premesse conducono alla conclusione che il delitto di estorsione si configura come delitto plurioffensivo.
Il delitto di estorsione è collocato nell’ambito dei delitti contro il patrimonio (Titolo XIII del Libro II del codice penale) all’art. 629 c.p., il quale stabilisce che esso si configura allorquando chiunque, mediante violenza o minaccia, costringa taluno ad un fare od omettere, procurando per sé o per altri un ingiusto profitto, con l’altrui danno.
La comminatoria edittale prevista è la reclusione da cinque a dieci anni e la multa da 1.000 a 4.000 euro.
La pena comminata è della reclusione da sette a venti anni e della multa da 5.000 a 15.000 euro qualora concorra taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente.
21 L’art. 407 prevedeva il fatto di chi con violenza o con minaccia di gravi danni alla persona o agli averi costringesse taluno a consegnare sottoscrivere o distruggere in pregiudizio di sé o di altri un atto che importasse qualsiasi effetto giuridico.
22 L’art. 409 puniva chi incutendo in qualsiasi modo di timore di gravi danni alla persona, all’onore o agli averi o simulando l’ordine di una autorità costringeva alcuno a mandare, depositare o mettere a disposizione del colpevole denaro, cose o atti che importassero qualsiasi effetto giuridico.
23A. SALVINI, Estorsione e sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, Novissimo Digesto, it., VI, 1960, 1000.
Il delitto in parola è un reato comune, dunque chiunque può rendersi soggetto attivo del medesimo.
Se perpetrato da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, assume la forma tipica del delitto di concussione (art. 317 c.p.), che, come si è in precedenza avuto modo di segnalare24, è considerata una sorta di estorsione qualificata25.
La vittima può essere una persona fisica od una persona giuridica, ovvero, ancora, altro ente non dotato di personalità giuridica.
Il soggetto destinatario della condotta offensiva ed il titolare del patrimonio colpito dal fatto estorsivo possono - e non devono necessariamente - coincidere.
Il delitto in rassegna, come si è detto, è un reato plurioffensivo poiché lede, da un lato, il bene/interesse patrimonio, dall’altro, la libertà di autodeterminazione della vittima.
Dunque, oggetto di tutela della previsione codicistica di cui all’art. 629
c.p. è, non solo il patrimonio ma anche la sua libertà personale.
Nei codici italiani preunitari la tutela del patrimonio si delineava attraverso l’incriminazione dei fatti che ledessero o mettessero in pericolo il diritto di proprietà. Successivamente, con l’introduzione del codice Xxxxx, tale tutela viene ad emanciparsi dal concetto di “proprietà”.
In particolare, sul significato che il concetto di “patrimonio” debba assumere nell’ambito dell’ordinamento giuridico penale nazionale la dottrina sembrerebbe assumere posizioni divergenti: taluni autori26 hanno elaborato una concezione c.d. tecnico-giuridica, considerando il patrimonio come il complesso dei diritti soggettivi patrimoniali che fanno capo ad una persona.
24 Cfr. supra par. 1.
25 X. XXXXXXX, La nuova disciplina dei delitti degli agenti pubblici contro la P.A.: dalle prospettive di riforma alla legge 86/90, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 917.
26 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, I, C. F. Grosso (a cura di), Milano, 2016, 280, il quale ritiene, invece, che le aspettative facciano parte del patrimonio. [citare ultime edizioni di tutti i manuali]
Detta costruzione è di derivazione civilistica ed afferma che ogni situazione che riguardi un diritto soggettivo ha necessariamente rilevanza penale.
Non sono, al contrario, oggetto di tutela da parte dell’ordinamento penale né le situazioni di fatto né le posizioni giuridiche non qualificabili in termini di diritto soggettivo (esemplificativamente, la situazione giuridica soggettiva di aspettativa).
Altro significato è stato assegnato al termine “patrimonio” dalla concezione c.d. economica, secondo la quale esso è il “complesso dei beni economicamente valutabili appartenenti in forza di un diritto o per un rapporto di fatto ad una persona”, costituito esclusivamente dai beni suscettibili di valutazione economica ed appartenenti ad un soggetto, in forza di una situazione di diritto, ma rilevando anche le posizioni giuridiche di fatto.
Ancorché innovativa, anche la teoria economica non sembra del tutto condivisibile, conducendo essa all’inaccettabile conclusione per la quale l’unica aggressione penalmente rilevante sarebbe quella che comporti una riduzione patrimoniale a danno della vittima, concedendosi così al reo di compensare detta riduzione con altro bene avente il medesimo valore, sottraendosi, dunque, alla punibilità, a ciò non ostando l’aver agito a danno della vittima. In altri termini, non realizzandosi una deminutio del patrimonio, il bene giuridico protetto non risulterebbe leso29.
27 X. XXXXXXX, Tutela penale del patrimonio individuale e collettivo, Bologna, 1996, 64.
28 X. XXXXXXXXX, op. cit., 18.
29 X. XXXXXXX, op. cit., 65.
Alla teoria di matrice economica si affianca una tesi analoga in ordine alla quale il patrimonio sarebbe “il complesso dei rapporti economicamente valutabili che fanno capo ad una persona”30, non rilevando, dunque, esclusivamente i beni, bensì, più in generale, i rapporti giuridici. Tuttavia, nemmeno tale definizione appare soddisfacente, venendo in rilievo esclusivamente i rapporti economici e non anche quelli di natura affettiva31.
In conclusione, l’interpretazione che sembrerebbe più aderente alla realtà sociale, ma anche giuridica, è quella c.d. costituzionalmente orientata32, informata ai principi enunciati dagli artt. 2, 3, 41, e 42 Cost., posti a tutela della persona e della sua dignità, escludendo una definizione di patrimonio che si limiti esclusivamente alla valutazione economica del medesimo.
Dette previsioni costituzionali rinviano ad una concezione secondo la quale il patrimonio è costituito dal “complesso dei rapporti giuridici facenti capo ad una persona aventi per oggetto cose dotate di funzione strumentale a soddisfare bisogni materiali o spirituali”33, non facendosi riferimento né ai diritti soggettivi né ai rapporti di fatto, rilevando bensì esclusivamente l’interesse del soggetto.
Tornando alla disamina della struttura della condotta tipica del delitto di estorsione deve ancora osservarsi che essa consiste nel costringimento della volontà altrui, mediante violenza o minaccia, allo scopo di ottenere il compimento o l’omissione di taluni atti da parte della vittima, al fine ulteriore di conseguire un ingiusto vantaggio, ciò che si traduce, nel contempo, in un danno per la vittima.
30 X. XXXXXXXXX, Delitti contro il patrimonio, in Trattato di diritto penale, a cura di X. XXXXXXX, XI, Milano, 1936, 60.
31 X. XXXXXXXXX, Patrimonio (delitti contro il), Dig. disc. pen., Torino, 1995, 283.
32 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, Diritto Penale. Parte generale, Bologna, Ed. VI, 2009.
33 X. XXXXXX, Tutela penale del patrimonio e principi costituzionali, Padova, 1988, 62; X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 20; X. XXXXXXX, Tutela penale del patrimonio individuale e collettivo, cit., 66; X. XXXXX (a cura di), I reati contro il patrimonio, Torino, 2010, 11.
La condotta estorsiva è connotata, dunque, dall’uso della violenza o della minaccia34 per annichilire la volontà, l’autodeterminazione della vittima.
La violenza è intesa in una duplice accezione: come violenza fisica (c.d. propria), ossia energia materiale utilizzata dall’agente verso la vittima al fine di raggiungere il suo scopo35, ovvero come violenza morale, intesa come ogni altro mezzo utilizzato per forzare la libertà morale, psichica, del soggetto passivo (si pensi, ad esempio, nell’uso di tecniche che possono indurre una condizione di incoscienza psichica, quali l’ipnosi o la somministrazione di sostanze stupefacenti)36.
La violenza può riguardare direttamente sia la vittima che un terzo, potendosi rilevare che, in pratica, la violenza diretta su di un terzo si traduce in una minaccia verso la vittima da cui si pretende il compimento di un certo atto.
In effetti, la modalità più comune di attuazione del delitto in esame è la minaccia37.
Essa consiste nella prospettazione di un male futuro, la cui verificazione dipende dalla volontà dell’autore. Rilevano tutte le forme nelle quali questa si concretizza, palese o larvata, diretta o indiretta, figurata o
34 Si veda, sul tema, G. L. GATTA, op. cit., 11, il quale evidenzia che «assieme alla violenza, all’inganno e all’abuso, la minaccia costituisce infatti una delle più classiche modalità della condotta, ricorrente in figure delittuose dislocate quasi in ogni titolo del Libro secondo del codice penale, e, in particolare, tra i delitti contro la pubblica amministrazione (ad es., concussione, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, resistenza a pubblico ufficiale), contro la persona (ad es., violenza privata, violenza sessuale, minaccia) e contro il patrimonio (ad es., rapina ed estorsione)».
35 X. XXXXXXX, Violenza minaccia e inganno nel diritto penale, Napoli, 1940, p. 32, il quale ha affermato che per integrare la violenza, è necessaria la manifestazione di una forza fisica “sovrastante e preponderante, tale cioè da vincere l’altrui resistenza e limitare, in tal modo, l’altrui libertà”. Ex multis Cass. 14 novembre 1961, Rep. Foro it, 1962, voce Violenza privata, n.1, Temi romana, 1962, voce Violenza privata, n.3.
36 X. XXXXX, Violenza e minaccia, Novissimo Digesto italiano, XX, Torino, 1975, 969; Cass. pen. 13 giugno 1960, Cass. pen., Massimario, 1960, p. 92. Si veda G. L. GATTA, op. cit., 20, il quale parla di “violenza–fine”, che si connota per essere <<improduttiva di un effetto di coazione sulla vittima (si pensi alle percosse o alle lesioni personali), offende l’integrità fisica>>.
37 G. L. XXXXX, op. cit., 17, definisce la minaccia come <<il fatto di chi prospetta ad altri un male futuro, diretto contro un bene del soggetto passivo o di persona a lui vicina, ed il cui avverarsi dipende dalla sua volontà>>. L’autore definisce, poi, il “timore” come <<l’effetto prodotto dalla minaccia — cioè dal mezzo minatorio>>. La relazione tra le due nozioni è individuata dall’autore testualmente:<< il requisito minimo per la rilevanza giuridica di una minaccia è infatti la capacità di intimidazione, ossia l’idoneità a turbare l’animo altrui ingenerando, per l’appunto, timore>>.
scritta, determinata o indeterminata38, purché comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore ed a coartare la volontà della vittima39.
La minaccia può riguardare qualsiasi bene, patrimoniale o non patrimoniale, della vittima.
L’art. 629 c.p. non chiarisce il significato del termine “minaccia”. La dottrina40 si è accuratamente soffermata sul dubbio interpretativo se, sotto un profilo ermeneutico, essa sia assimilabile alla nozione di cui all’art. 612 c.p.
Si è osservato42, infatti, che nella fattispecie estorsiva (629 c.p.) l’aggettivo “ingiusto” non riguarda il danno (come, invece, richiesto dall’art. 612 c.p.), bensì il profitto. Il male prospettato dall’autore dell’estorsione non si richiede sia, dunque, ingiusto43.
È opportuno, in conclusione, osservare che l’ingiustizia del profitto, seppure accertata, non rende sempre ingiusta la minaccia espressa44, ma, ai fini della configurazione dell’estorsione, ciò che è necessario e, in questa prospettiva, anche sufficiente, è la sussistenza di un nesso tra il male minacciato – eventualmente in sé non ingiusto – e il
38 F. G. XXXXXXX, Xxxxxxxxxx (voce), Enc. del dir., XV, 1966, 954.
00 X. XXXXXX, Xx delitto di estorsione, art. 629 c.p., De Iure Criminalibus, 24 maggio 2016.
40 X. XXXXX, Estorsione (voce), Enc. Dir., XV, 1966, 955, il quale definisce la minaccia come “promessa di un male futuro e ingiusto” che può derivare direttamente dall’ingiustizia del profitto.
41 G. L. XXXXX, op. cit., 20, quanto alla definizione contenuta nell’art. 612 c.p., ritiene che si tratti della
<< c.d. minaccia–fine è la ‘minaccia pura e semplice’ (“Ti ammazzerò”), che rileva indipendentemente da un eventuale effetto di coartazione della vittima. Incarnata nella fattispecie penale descritta dall’art. 612 c.p., e riconducibile al corrispondente illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., è una minaccia sanzionata penalmente e civilmente (con il risarcimento del danno, a seconda della gravità del caso, morale, biologico o esistenziale) perché offende non già la tranquillità e/o la libertà morale (o psichica), secondo le opinioni più diffuse, bensì l’integrità psichica dell’individuo>>.
42 X. XXXXXX, Estorsione, in Dig. Pen., IV, 1990, 381.
43 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, Diritto penale. I delitti contro il patrimonio, VII ed., Bologna, 2015, 157.
44 Contra X. XXXXXXX, Trattato di diritto penale italiano, Vol. XI, Milano, 1984, 448 secondo il quale
<<la violenza e la minaccia è sempre ingiusta quando è usata per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto>>; si veda anche G. MAGGIORE, Diritto penale. Parte Speciale, II, Bologna, 1948, 991, il quale testualmente afferma che <<l’antigiuridicità della coartazione è in re ipsa, dimostrata che sia l’antigiuridicità del profitto>>.
comportamento che si pretende dalla vittima, da cui l’agente si propone di xxxxxxxx l’ingiusto profitto. Nell’estorsione, in altri termini, vi sarebbe la prospettazione alla vittima di due alternative entrambe svantaggiose, l’una consistente nel male minacciato, che potrebbe anche non essere ingiusto, l’altro consistente nel compimento dell’atto per sé svantaggioso, voluto dal coartante per realizzare il proprio ingiusto profitto.
Per quanto concerne, invece, la nozione di profitto, essa è idonea a ricomprendere una qualsivoglia utilità, vantaggiosa per il soggetto attivo, potendo essa avere anche natura non patrimoniale, mediata od immediata, temporanea o transitoria, giuridicamente rilevante. Il profitto è da ritenersi ingiusto quando l’utilità non è oggettivamente dovuta all’agente, è conseguito con mezzi leciti o illeciti, ma per uno scopo diverso da quello tipico e legale o, infine, quando sia contrario al buon xxxxxxx00.
Il reato si consuma quando l’agente consegue l’ingiusto profitto con l’altrui danno. Se il profitto o il danno non si realizzano, ma vi sia stata violenza o minaccia diretta a realizzare l’ingiusto profitto con altrui danno, il reato di estorsione si configura nella forma del tentativo.
La differenza tra il delitto in esame e il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni mediante minaccia alla persona può essere colta nel fatto che la prima figura è caratterizzata, sotto l’aspetto psicologico, dalla consapevolezza, da parte dell’agente, dell’ingiustizia del profitto, nel senso che è consapevole che tale profitto, in realtà, non gli spetta. Al contrario, il reato ex art. 393 c.p. si realizza quando il soggetto attivo agisce al fine di esercitare un preteso diritto, con la convinzione, non importa se fondata o meno, che tale diritto gli competa46.
45 X. XXXXXXX, op. cit., 1003.
46 Cass. 28 giugno 2016, n. 46288, Xxxx e altro: «Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono in relazione all'elemento psicologico del reato in quanto nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia. (In motivazione la Corte ha
Va anche ricordato che il soggetto che contribuisca alla riscossione della somma da parte della vittima, così assicurando all’agente il conseguimento dell’ingiusto profitto, non risponde di favoreggiamento personale ex art. 378 c.p., ma di concorso in estorsione47.
Infine, passando alle possibili aggravanti del reato di estorsione, giova richiamare il secondo comma dell’art. 629 c.p., che, rimandando testualmente al terzo comma dell’art. 628 c.p., prevede l’applicabilità delle medesime circostanze aggravanti contemplate per il reato di rapina, così confermando la contiguità tra le due figure.
Il reato di estorsione è aggravato: se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite (osservando che tale ultima ipotesi postula la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e al momento della realizzazione della violenza o della minaccia, come affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza 5 giugno 2012, n. 21837); se la violenza consiste nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire; se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di stampo mafioso ex art. 416-bis c.p.
precisato che l'elevata intensità o gravità della violenza o della minaccia di per sé non legittima la qualificazione del fatto ex art. 629 cod. pen. – potendo l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni essere aggravato, come l'estorsione, dall'uso di armi - ma può costituire indice sintomatico del dolo di estorsione)».
47 Cass. Pen.14 marzo 2002, n. 10778, Foro it., 2002, p.113; Cass. Pen., 27.06.2017, n.36115, Rep. Foro it., voce Xxxxxxxxxx, n.3 secondo cui “l’agente che sia stato incaricato soltanto della riscossione delle somme dalla vittima, giacché tale condotta non costituisce un "post factum" rispetto alla commissione del reato ma influisce sull’evento costitutivo dello stesso, contribuendo a conseguimento della coartazione perpetrata nei confronti della vittima e a portare così a temine la condotta delittuosa, è tenuto a rispondere al concorso nel reato di estorsione e non di favoreggiamento personale”.
48 Cass. sez. II 10 febbraio 2016, n. 10467, Xxxxxxx e altri: «In tema di estorsione, integra la circostanza aggravante del c.d. metodo mafioso, prevista dall’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. nella L. n. 203 del 1991, la condotta di chi, senza spendere la propria appartenenza ad una “famiglia” mafiosa, ma avvalendosi della propria fama criminale, costringa l’aggiudicatario di una gara d’appalto a rinunciarvi». Ed ancora, Cass. sez. VI 29 ottobre 2014, n. 1783: «Ai fini della configurabilità dell’aggravante prevista dall’art. 7 del D.L. 13 maggio n. 152, conv. in legge 12 luglio 1991, n. 203, l’avvalersi delle condizioni previste dall’art. 416 bis cod. pen. è nozione che si determina avendo riguardo ai profili costitutivi dell’azione propria dell’associazione di tipo mafioso, consistenti nell’impiego della forza di intimidazione del vincolo associativo e nella condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, con la conseguenza che gli ulteriori aspetti presi in considerazione dall’art. 416 bis cod. pen. non assumono valore qualificante. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso
Ulteriori aggravanti speciali sono state, poi, previste da più recenti interventi legislativi che hanno integrato il comma terzo dell’art. 628 c.p.: se il fatto è commesso nei luoghi di privata dimora ai sensi dell’articolo 624-bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa; se il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto; se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro; se il fatto è commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne.
È appena opportuno chiarire che il reato di estorsione (come quello di rapina) può abbinarsi anche a taluna delle circostanze aggravanti comuni di cui all’art. 61 c.p., nella quale ipotesi è prevista un ulteriore aumento di pena (art. 628, co. 4, c.p.).
2. La distinzione adottata dal codice penale e la diversa classificazione dei reati contro il patrimonio adottata dalla dottrina. Cenni alla distinzione tra reati-contratto e reati in contratto, nonché alla problematica della sorte civilistica del contratto connesso ad un reato.
Il vigente codice penale, nella strutturazione del Titolo XIII, in materia di delitti contro il patrimonio, e nell’individuazione delle relative sottocategorie, accoglie lo schema tipico del diritto romano. In particolare, l’elemento cardine di distinzione sistematica di tali reati risulta essere la diversa modalità di realizzazione della condotta criminosa. Sotto questo profilo, si distinguono i reati contro il patrimonio commessi con violenza a persone o cose, ossia perpetrati con la forza (aut vi), disciplinati al Capo I, ed i reati commessi con frode (aut fraude), disciplinati al Capo II. Questa impostazione, tuttavia, ancorché fatta propria dal codice, è stata sottoposta a vive critiche da
che l’aggravante in questione potesse essere riferita ai componenti di un’associazione dedita al narco- traffico avendo riguardo al modulo di funzionamento interno del sodalizio o alla presenza nello stesso di soggetti partecipi anche ad una organizzazione di tipo mafioso)». Si veda amplius infra par. 15.
parte della dottrina, osservandosi che, in realtà, talune fattispecie ricomprese nel Capo I difettano dell’elemento della violenza (si pensi al furto) di cui all’art. 624 c.p., mentre altre ipotesi di cui al Capo II non presentano alcun aspetto fraudolento (ad esempio, l’appropriazione indebita)49. La dottrina, invece, preferisce in genere adottare un diverso criterio sistematico affatto diverso, distinguendo, da una parte, i delitti di aggressione o di usurpazione unilaterale, caratterizzati da un ruolo meramente passivo della persona offesa, e, dall’altra, i delitti a cooperazione artificiosa della vittima, nei quali il soggetto passivo, pur restando vittima, non si limita a subire l’offesa, ma contribuisce a produrre il risultato patrimoniale voluto dal soggetto agente50. In tale ultima categoria rientrano i cd. reati in contratto.
A tale riguardo, occorre evidenziare che, in dottrina, sono state individuate le due distinte categorie di cd. reati-contratto e reati in contratto. Entrambe costituiscono particolari figure di reati plurisoggettivi, e più precisamente di reati c.d. “a concorso necessario”, ossia reati configurabili solo con la partecipazione di due o più soggetti51. Per il resto, i reati-contratto si definiscono come quei reati nei quali risulta incriminata la stipulazione contrattuale in sé; ciò avviene in tutti quei casi in cui è l’accordo stesso a costituire il fatto penalmente sanzionato.
Si tratta necessariamente di reati plurisoggettivi c.d. propri in quanto tutti i soggetti sono punibili in forza della fattispecie incriminatrice; tuttavia, secondo una diversa impostazione, vi sarebbero anche ipotesi di reato-contratto qualificabili in termini di reati plurisoggettivi c.d. impropri, connotati dalla cennata “cooperazione artificiosa della vittima”, nei quali il soggetto passivo “concorrente” ovviamente non è
49 G. N. XXXXXXXX, Brevi osservazioni a margine della sentenza del Tribunale di Salerno n.2513 del 27 giugno 2016, in xxxxxxxxxxxxxx.xx
50G. FIANDACA - X. XXXXX, Diritto penale. Parte speciale. I delitti contro il patrimonio, II, Bologna, 2007, p.147; X. XXXXXXXXX, op. cit., 167.
51 SS UU n 26654/08
punibile. Sarebbe il caso del reato di usura ex art 644 c.p.52. Altri chiari esempi di reati-contratto sono certamente i reati associativi sanzionati ex artt. 416 e 416-bis, il reato di scambio elettorale politico-mafioso di cui all’art. 416-ter c.p., nonché tutti quegli altri reati che si configurano in base ad un semplice accordo, volto alla realizzazione di un fatto illecito, come ad esempio il reato ex art. 304 c.p. di cospirazione politica mediante accordo.
È chiaro, dalle norme richiamate, che i reati di tal genere si caratterizzano, per lo più (salvo il caso dell’usura) per essere plurisoggettivi propri e per avere come oggetto del divieto la stipulazione del contratto, a prescindere dalla condotta attuativa della prestazione dedotta all’interno dello stesso53. Invero la legge punirebbe direttamente il contratto stipulato, a nulla rilevando la sua eventuale
52 Propende per la qualificazione dell’usura in termini di reato in contratto, I. XXXXXXXX, Reato e contratto nei loro reciproci rapporti, Milano, 2006, p. 91 ss.: «A seguito delle profonde modifiche operate dalla L. 7.3.96 n. 108 sulla disciplina dell’usura, si pone il problema di chiarire l’appartenenza della fattispecie base e di quella sulla mediazione usuraria (di cui, rispettivamente, all’art. 644 co. 1 e 2, combinati con la prima parte del comma 3) alla categoria dei reati-contratto oppure dei reati–in contratto. Più precisamente, si tratta di stabilire se il delitto, nell’attuale configurazione normativa, consista nell’abuso dell’autonomia negoziale, mediante il quale l’usuraio ottiene la disposizione patrimoniale del contraente più debole, o, piuttosto, almeno in certi casi, nella stipulazione del contratto usurario in sé, in ragione del suo oggetto, a prescindere da qualunque considerazione in ordine alla disparità di forza contrattuale delle parti. In realtà, contrasti e incertezze sul punto caratterizzano da sempre lo studio della materia. Le due distinte ricostruzioni delineate, infatti, ricalcano il perenne scontro tra diverse scelte politico-criminali, ispirate da discordanti concezioni politico-economiche, ripropostosi in sede di lavori preparatori alla novella del 1996. La prima, in una prospettiva tendenzialmente liberista, ma, oggi, pur sempre coniugata con le esigenze di solidarietà sociale, vuole circoscritto al minimo l’intervento statale sulla libertà di iniziativa economica privata, sicché concepisce l’usura come delitto, solo in quanto la conclusione del negozio usurario si sostanzi nello sfruttamento di una condizione di inferiorità economica della controparte, risultando concretamente lesiva del patrimonio individuale e della libertà da condizionamenti nella genesi della volontà contrattuale della vittima. La seconda, invece, in una prospettiva più marcatamente dirigista, vuole demandare al superiore intervento dello stato il compito di disciplinare rigorosamente, nell’interesse generale, i limiti entro i quali l’iniziativa economica dei privati possa esplicarsi, sicché concepisce la conclusione del contratto usurario in sé come delitto in quanto potenzialmente lesiva del bene astratto e sovraindividuale, dell’economia pubblica, sotto il profilo dell’ordinamento del credito. Peraltro, con riferimento alla disciplina previgente, salvo qualche voce isolata favorevole ad una ricostruzione in termini pubblicistici dell’oggetto giuridico e l’equivoca etichetta di “reato-contratto” diffusamente attribuita all’usura, la prevalente dottrina sostanzialmente riconosceva (esplicitamente o implicitamente) al delitto la natura di “reato in contratto”, diretto in via primaria a tutelare il patrimonio del contraente economicamente più debole, in conformità alla chiara scelta legislativa emergente dal vecchio testo dell’art. 644…si è lungamente reiterato un fraintendimento,…secondo cui l’usura, come prevista dal vecchio art. 644, avrebbe rappresentato un’ipotesi “plurisoggettiva impropria” di reato-contratto, rientrando nel più ampio genus dei c.d. reati-accordo».
53 Sul punto, X. XXXXXXXX, Manuale di diritto penale, in G. ALPA – X. XXXXXXXX (diretto da), I manuali superiori, Molfetta, 2010, p. 1187.
esecuzione parziale o totale. Secondo una risalente impostazione, i reati-contratto apparterrebbero al più generale ambito dei c.d. reati- accordo, il cui fatto tipico consiste nel semplice incontro delle dichiarazioni di volontà delle parti.
Pari interesse suscitano anche i reati in contratto54, che, viceversa, si atteggiano tutti come reati plurisoggettivi c.d. impropri o, anche detti, “a cooperazione artificiosa della vittima”.
Nei reati in contratto, non è sanzionato l’accordo in sé, ma il comportamento tenuto, da taluno dei contraenti, durante la preliminare fase della formazione della volontà contrattuale55, ossia “il comportamento illecito” (violento, fraudolento, di sfruttamento dell’altrui posizione di inferiorità), tenuto da uno dei contraenti in danno dell’altro nella fase delle trattative precontrattuali o della stipulazione, e mediante il quale l’agente induce la controparte alla conclusione di un contratto che altrimenti questi non avrebbe stipulato o avrebbe stipulato a condizioni diverse”56.
Posta la distinzione tra reati-contratto e reati in contratti nei termini testé descritti, altra questione assai delicata – questa connotata da riflessi pratici di immediata rilevanza –è rappresentata dalla sorte civilistica del contratto connesso ad un reato (sia esso reato-contratto o reato in contratto).
54 I. XXXXXXXX, Reato e contratto nei loro reciproci rapporti, Xxxxxxx, Milano, 2006, p. 89 “Il nucleo centrale della categoria dei reati in contratto è costituito dai delitti contro il patrimonio, oggi concordemente qualificati “con la cooperazione artificiosa della vittima”
55 XXXXXXX A., Xxxxx e struttura negoziale, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), Temi di diritto penale, Milano, 2006, 621 ss., testualmente, “I reati in contratto fanno parte dei reati plurisoggettivi impropri con i quali si è voluta incriminare non già la stipulazione di un contratto, bensì la condotta tenuta dal soggetto attivo nella fase delle trattative antecedente la manifestazione di volontà dei due contraenti. Sono questi i reati
c.d. con la cooperazione artificiosa della vittima, in quanto per il loro perfezionamento pretendono una disposizione patrimoniale da parte del soggetto passivo del reato. Esempi ne sono la truffa, l’estorsione, la circonvenzione di incapace”,
56 I. XXXXXXXX, Xxxxx e contratto nei loro reciproci rapporti, Xxxxxxx, Milano 2006,89.
57 Vedi X. XXXXXX, Patrimonio, in Enc. dir. XXVII, Milano, 1982, 330ss
Secondo una prima tesi, partendo dall’assunto generale, in base al quale, ai sensi dell’art. 1418, co, 1, c.c., il contratto stipulato in violazione di norme imperative è sempre nullo, dovrebbe ritenersi che il contratto comunque connesso ad un reato non potrebbe che essere nullo in quanto le norme penali sono certamente norme imperative. Quindi, la connessione contratto-reato si tradurrebbe sempre in contrarietà del contratto stesso a norma imperativa, con conseguente xxxxxxx xx xxx. 0000, xx. 0, x.x.
Xx ricordi che la nullità per contrasto con norma imperativa è definita, dalla dottrina civilistica, come nullità virtuale, contrapposta a quei casi di nullità derivanti da anomalie strutturali dell’atto contrattuale (art. 1325 c.c.).
Seconda altra impostazione, al contrario, l’eventuale nullità o invalidità in genere del contratto connesso a reato andrebbe ricercata sul piano delle eventuali anomalie strutturali della stessa fattispecie contrattuale, valutata secondo gli autonomi criteri propri del diritto civile e, precisamente, del diritto dei contratti. Ne consegue una decisa autonomia tra l’ambito penale da una parte, e l’ambito civilistico dall’altra, lì dove, secondo la precedente tesi, quest’ultimo ambito finiva di fatto per risolversi nel primo.
La prospettiva autonomistica è stata fatta propria, in parte, dalla più recente giurisprudenza di legittimità, che ha espresso una tesi che, in qualche modo, può definirsi intermedia. Infatti, il S.C. ha avuto modo di affermare, in un recente arresto del 201658, che non ogni norma penale può definirsi alla stregua di norma imperativa, giacché non tutte sono poste a presidio di interesse generali di ordine pubblico. Così, in particolare, l’art. 640 c.p., che punisce il reato di truffa, è posto a tutela unicamente dell’interesse privatistico del truffato all’integrità del proprio patrimonio, sicché il relativo contratto non può considerarsi nullo, mancando il presupposto della contrarietà a norma imperativa. Perciò, la sorte del contratto va apprezzata unicamente sul piano delle
58 Cass. civ. 20 aprile 2016, n. 7785.
regole civilistiche, e precisamente del vizio della volontà ex art. 1427 c.c., in quanto l’atteggiamento dell’autore del reato di truffa si traduce, sul piano civilistico, nel dolo contemplato da tale norma59. Viceversa, l’art. 643 c.p., in tema di circonvenzione di incapace, è posta a tutela dell’interesse generale alla tutela dei soggetti deboli, per cui il contratto stipulato dal circuito è nullo per contrarietà a norma imperativa.
3. Analisi della fattispecie: il soggetto attivo e il soggetto passivo del reato di estorsione.
Il soggetto passivo del delitto di estorsione è il titolare del potere giuridico di disporre dei beni o dei diritti dalla cui cessione o rinuncia il soggetto attivo si propone di trarre un ingiusto profitto per sé o per altri. Nella posizione di soggetto attivo del reato può trovarsi, secondo quanto prevede l’art. 629 c.p., “chiunque”, sicché, dal punto di vista dogmatico, il reato in parola si configura come reato comune,
Da altro punto di vista, l’estorsione è un reato a concorso c.d. necessario improprio, in quanto la deminutio patrimonii ai danni della persona estorta si realizza soltanto attraverso una condotta (attiva od omissiva) posta in essere dallo stesso soggetto passivo, come conseguenza dell’azione violenta o minacciosa dell’agente.60Quanto alla connessione causale tra l’azione del soggetto attivo e condotta della vittima, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che “in tema di estorsione, occorre la prova rigorosa e certa che la minaccia usata, in qualsiasi forma, dal soggetto attivo sia effettivamente idonea a coartare la volontà del soggetto passivo, perché si concretizzi il dolo specifico richiesto per il delitto di cui all’art. 629 c.p.”61.
Si ricordi che, in tema di reati contro il patrimonio, assume potenziale rilevanza, ai fini penali, l’eventuale rapporto di parentela tra il soggetto
59 Afferma la mera annullabilità del contratto connesso al reato di truffa, con esclusione della nullità virtuale, Cass. civ. 31 marzo 2011, n. 7468.
60 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, Diritto penale. Parte speciale. I delitti contro il patrimonio, II, Bologna, 2007; X. XXXXXXXXX, op. cit.,.
61 Cass. pen., 11.06.1991, n.6524, in Cass. pen., 1991, 1102.
passivo e il reo, previsto dall’art. 649 c.p. 62 come ipotesi di non punibilità. Tuttavia, tale disposizione esclude testualmente i delitti di cui agli artt. 628, 629 e 630 c.p. nonché tutti glia altri delitti contro il patrimonio commessi “con violenza alle persone”. Valorizzando la previsione testuale dell’art. 629 c.p. e la clausola di esclusione generale riguardante unicamente le ipotesi di “violenza, la giurisprudenza di legittimità è arrivata a ritenere applicabile la causa di non punibilità ex art. 649 c.p. ai casi di tentata estorsione mediante minaccia63.
4. La condotta incriminata.
Il delitto di estorsione si configura come reato a condotta vincolata64, come è proprio di tutti i reati contro il patrimonio, dove, come è stato giustamente osservato, la “rilevanza essenziale delle modalità di condotta ha una valenza totale”65. In effetti, con i reati contro il patrimonio, il legislatore non ha inteso incriminare qualunque deminutio patrimonii provocata ad altri, ma soltanto quelle causate con le particolari modalità descritte da una norma incriminatrice66. È il caso, ad esempio, degli artifizi e raggiri nel reato di truffa. Per l’estorsione, invece, il dato caratterizzante è costituito dalla volenza o minaccia tesa a carpire, dal soggetto passivo, il compimento dell’atto patrimoniale pregiudizievole67.
62 Art. 649 c.p.: Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti da questo titolo in danno:
1) del coniuge non legalmente separato;
2)di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell’adottante o dell’adottato;
3) di un fratello o di una sorella che con lui convivano.
I fatti preveduti da questo titolo sono punibili a querela della persona offesa, se commessi a danno del coniuge legalmente separato, ovvero del fratello o della sorella che non convivano coll’autore del fatto, ovvero dello zio o del nipote o dell’affine in secondo grado con lui conviventi. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli articoli 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone.
63 Cass. 21 marzo 2012, n. 24643, Errini.
64 X. XXXXXXXXX, Estorsione, in Enc. giur., 1989, 1.
65 X. XXXXXX, Delitti contro il patrimonio, cit., 25.
66 Diversamente, per i diritti personali, la tutela penale, in genere, non è limitata a particolari modalità di aggressione, ma si estende ad ogni forma di offesa, per cui i delitti contro la vita e la persona in genere sono costruiti come reati a forma libera. Sulla nozione di reati a condotta o forma vincolata e reati a forma libera, x. XXXXX, Diritto penale, Parte Generale, IV ed., Utet, Torino, 2013, 91.
67 X. XXXXXXXXX, Estorsione, in Enc. giur., 1989, 1.
Passando ad una più dettagliata analisi degli elementi oggettivi del reato estorsione, si evidenzia, innanzitutto, che la condotta tipica incriminata consiste nell’atto di violenza e/o di minaccia, mentre il costringimento è un effetto di tale condotta. L’opera di costringimento è mirata ad ottenere dalla vittima il compimento, da parte della stessa, di comportamenti, attivi od omissivi68. In tale ultimo caso è necessario che l’atto, la cui omissione è forzosamente richiesta alla vittima, sia idoneo, se non compiuto, a cagionare un danno a quest’ultima ed a produrre un vantaggio all’estorsore. In dottrina, si è chiarito che l’atto imposto alla vittima, sia esso attivo od omissivo, deve comunque consistere in un atto di disposizione patrimoniale, relativo ad un qualunque bene o diritto69.
Ancora, è stato chiarito71 che la condotta del reato “va identificata nel ricorso alla violenza ed alla minaccia motivanti, non certo, come pur potrebbe ritenersi, nella costrizione, da ricondursi invece, in parallelo a quanto dimostrabile per la induzione nella truffa e per la costrizione o induzione nella concussione, al momento causale”. In altri termini, la dottrina avverte che la condotta incriminata si identifica nella violenza o minaccia, qualificando la costrizione in termini di primo effetto delle medesime. Più dettagliatamente, si possono apprezzare72 due effetti o eventi iniziali della condotta estorsiva (costrizione del soggetto passivo
68 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 190.
69 X. XXXXX, op. cit., 999.
70 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 156.
71 X. XXXXXX, Xxxxxxxxxx, Dig. pen., IV, Torino, 1990, 2.
72 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 161.
4.1. La violenza
Entro tale nozione, che viene definita in termini di violenza personale propria, rientrano tutte le azioni consistenti nel ferire, percuotere, privare della libertà di movimento, ecc. (vis corporis corpori data) 76. In altri casi, la violenza può bensì esprimersi sul piano comunque materiale, ossia della realtà sensibile, con ciò rimanendo comunque distinta dalla minaccia, senza tuttavia tradursi in violenza fisica propriamente detta.
Tali forme di violenza materiale vengono definite, in dottrina, come
violenza personale impropria, che comprende tutti quei casi in cui la
73 X. XXXXXXXXX, op. cit., 192. «L’evento è quadruplice in quanto la condotta violenta deve essere causa di quattro effetti: dell’altrui stato di coazione psichica; del fare od omettere qualcosa da parte del soggetto passivo, che può consistere in un atto positivo di dare o fare, o in un atto negativo di non fare; del danno altrui che deve essere procurato dall’atto dispositivo patrimoniale provocato dalla costrizione violenta, infatti non vi è estorsione quando il pregiudizio patrimoniale derivi come mera conseguenza di un comportamento che non si concretizza in un atto patrimonialmente dispositivo; del profitto ingiusto, proprio o altrui, che deve derivare dall’atto dispositivo estorto».
74 X. XXXXXX, Estorsione, Enciclopedia giuridica on line, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx
75 X. XXXXXXX, Estorsione, in Noviss. Dig. it., VI; Torino, 1975, 1001.
76 X. XXXXXXXXX, Estorsione, in Enc. giur., 1989, 1; parla di “violenza carnale” X. XXXXXXXX, Xxxxxxx ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1955, 45 s.
coartazione avviene mediante ipnotizzazione, somministrazione di alcol o di sostanze stupefacenti o narcotiche, o altre condotte materiali comunque coartanti 77. In altri casi ancora, l’azione violenza dell’agente può indirizzarsi non sulla persona del soggetto passivo ma su cose (cd. violenza reale).
A prescindere dalla posizione negativa espressa da parte della dottrina più risalente78, oggi non si pone in dubbio che anche tale forma di violenza possa assumere rilevanza ai fini della commissione del reato di estorsione79, anzi, nello scenario criminale odierno, risulta persino imporsi come modalità particolarmente diffusa. Si pensi alle aggressioni al patrimonio aziendale (tramite bombe o colpi d’arma da fuoco) per costringere l’imprenditore a pagare il cd. pizzo.
In realtà, osservando che la violenza contemplata dall’art. 629 c.p. non è fine a se stessa ma finalizzata ad ottenere dal paziente un certo comportamento, parte della dottrina si è spinta sino a sostenere che la violenza in esame non avrebbe una valenza concettuale autonoma rispetto alla minaccia, di cui, invero, rappresenterebbe nient’altro se non una peculiare modalità particolarmente pregnante, contenendo, per l’appunto, l’implicita minaccia di prosecuzione o ripetizione per il futuro dell’aggressione fisica qualora la volontà del soggetto passivo non si lasci piegare80.
77 X. XXXXXXXXX, Estorsione, in Enc. giur., 1989, 1. Coglie la necessità di ampliare la nozione di
violenza anche ad un ambito non strettamente fisico, X. XXXXX, Il delitto di estorsione, Milano, 1966,
p. 20, il quale opportunamente preferisce parlare di energia naturale, comprensiva tanto dell’energia fisica (violenza propria) quanto delle altre forme di violenza “non riconducibili ai tradizionali concetti di violenza fisica e di minaccia” (X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 1). Si rimanda all’opera di RAGNO, ibidem, 20, anche per una più ampia e assai dettagliata trattazione tesa alla ricostruzione della nozione dommatica di violenza.
78 Si tratta dell’opinione espressa da XXXXXXX, cit. in X. XXXXXX, Estorsione, in Dig. pen., IV, Torino, 1990, nota 22, 384.
79 Xxx. X. XXXXXX, Xxxxxxxxxx, xx Xxx. xxx., XX, Xxxxxx, 0000, p. 383; X. XXXXXXXXX, Estorsione, in
Enc. giur., 1989, p. 2; X. XXXXXXX, Estorsione, in Noviss. Dig. it., VI; Torino, 1975, 1001.
80 Xxx. X. XXXXXX, Xxxxxxxxxx, xx Xxx. xxx., XX, Xxxxxx, 0000, p. 382-383. In senso analogo,
FIANDACA - MUSCO, Diritto penale, Parte speciale, II, 2. I delitti contro il patrimonio, 2015, 157: « […] va verificata la reale autonomia dello stesso concetto di violenza alla persona, rispetto a quello di minaccia. A ben vedere, infatti, se la violenza deve produrre l’effetto di ottenere dalla vittima il comportamento imposto, senza annullare completamente la libertà di autodeterminazione, essa finisce per risolversi necessariamente in una minaccia e precisamente in una ipotesi particolarmente efficace di minaccia».
Altra questione molto delicata riguarda la compatibilità del reato di estorsione con la cd. violenza assoluta, contrapposta a quella relativa, dove nel primo, e non anche nel secondo caso, non residua alcun tipo di autonomia decisionale in capo al soggetto passivo. Tale distinzione, si osserva, non coincide con la differenziazione tra vis physica e vis compulsiva, giacché, mentre non è detto che ogni violenza fisica sia irresistibile, all’opposto anche una minaccia può non lasciare al destinatario ragionevoli margini di autodeterminazione81. Dunque, ciò che rileva è il grado di coercizione, assoluto o relativo, indipendentemente dal fatto se l’azione coartante consistita in violenza fisica o meramente psichica. La rilevanza deriva dal doveroso raffronto sistematico tra la figura dell’estorsione e quella contigua della rapina, dovendosi attentamente delineare il criterio di reciproca distinzione allorché il bene preso di mira dall’agente sia un bene mobile. Tale distinzione viene per lo più posta dalla dottrina sul piano del diverso grado di coercizione, asserendo che, ai fini della configurabilità dell’estorsione, sarebbe necessaria la conservazione, in capo al coartato, di «un minimum di possibilità di volere»(82), potendosi prospettare altrimenti (sempre che l’agente abbia di mira un bene mobile) soltanto la rapina. Di diverso avviso si è mostrata una risalente, autorevole dottrina che, con argomentazione che appaiono francamente convincenti, ha dimostrato che il distinguo fra le due figure delittuose consiste piuttosto nell’imprescindibilità della cooperazione della vittima, propria dell’estorsione – dove l’agente non può realizzare il proprio scopo se non passando attraverso il compimento dell’atto dispositivo da parte del paziente – ed assente nel caso della rapina, dove, al contrario, qualora il soggetto passivo non consegni il bene, la relativa adprehensio può essere compiuta autonomamente dal soggetto agente 83.
81 Cfr. X. XXXXXX, Estorsione, in Dig. pen., IV, Torino, 1990, p. 381.
82 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, Diritto penale, Parte speciale, II, 2. I delitti contro il patrimonio, 2015, p. 156.
83 La tesi proposta nel testo è di XXXXX, Elementi differenziali tra rapina ed estorsione, in Giur. it., 1948, II, p. 145; X. XXXXX, Ancora sulla differenza tra rapina ed estorsione, in Riv. it. dir. pen., 1949,
Ultimo aspetto che appare utile trattare ai fini della definizione del concetto di violenza rilevante per la commissione del reato di estorsione concerne la problematica della compatibilità, con tale figura, dell’aggravante del porre il soggetto passivo in stato di incapacità di intendere e di volere ex art. 628, co. 3, n. 2). La difficoltà origina dall’apparente incompatibilità della cennata esigenza di collaborazione della vittima del reato di estorsione con il predetto stato di incapacità, che, dunque, potrebbe dar luogo soltanto ad una rapina. Ma si è osservato giustamente che gli strumenti solitamente utilizzati per ridurre taluno in condizione di incapacità di intendere e di volere – tradizionalmente ricompresi nel concetto, sopra richiamato, di cd. violenza impropria, quali ipnosi, narcotizzazione, ecc. – possono ben limitarsi a determinare una condizione, non già di incoscienza assoluta (ad es. uno svenimento o, comunque, una perdita di sensi), ma di più limitata incapacità di avere una esatta percezione del significato e del valore dei propri atti mediante l’ottundimento delle normali capacità razionali84.
4.2. La nozione di minaccia.
La minaccia, come già anticipato in precedenza, è il “mezzo più comune di realizzazione dell’estorsione”85. Essa deve essere idonea a determinare nel soggetto passivo uno stato di coartazione psicologica tale da indurlo, a fare o ad omettere qualcosa, per evitare il male minacciato86. In dottrina87 è stato chiarito che la dichiarazione di un male che il soggetto passivo deve ovviamente attendersi non è, essa
p. 604. La tesi è citata da XXXXX, Xxxxxxxxxx, in Enc. dir., XV, Milano, 1966, p. 1002; che vi aderisce, al quale si rimanda anche per la menzione degli altri criteri proposti in dottrina in ordine all’actio finium regundorum tra le due figure in esame. Per una critica alla teoria di X. XXXXX, ibidem, e ad altri criteri proposti in dottrina, cfr. X. XXXXXXXXX, Estorsione, in Enc. giur., 1989, p. 3.
84 Xxx. X. XXXXXX, Xxxxxxxxxx, xx Xxx. xxx., XX, Xxxxxx, 0000, p. 382.
85 X. XXXXXX, op. cit., 156.
86 C. BECCARDA BOY - X. XXXXXXX, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, in X. XXXXXXXXX,
X. XXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto penale. Parte speciale, Padova, 2010, 519.
87 X. XXXXX, Il delitto di estorsione, Milano, 1966, 42.
stessa, minaccia. Altra parte della dottrina88 definisce la minaccia come “promessa di un male apprezzabile futuro e ingiusto” e “l’accertata ingiustizia del profitto rende ingiusta la violenza o la minaccia anche se di per sé il male minacciato non lo sia”. L’ingiustizia del male minacciato è condizione di illegalità della minaccia che si realizza quando, con un dato comportamento, l’agente prospetti di commettere un’azione illecita (delitto, contravvenzione o infrazione amministrativa), oppure un’azione vietata dal codice civile. Quando l’avvertimento ha ad oggetto l’esercizio di un diritto, non si tratta di prospettazione di un male ingiusto (così, ad esempio, quando l’agente minacci di agire in giudizio allo scopo di ottenere l’adempimento di un credito esigibile). Al contrario, la minaccia di un’azione giudiziaria non fondata su un diritto è sempre illegale. Trattasi questo di un orientamento minoritario89, il quale “circoscrive il significato semantico della minaccia per evitare una tale dilatazione della fattispecie che arrivi a ricomprendere anche il danno economico”. L’orientamento prevalente definisce la minaccia senza alcun riferimento al carattere ingiusto del male minacciato90.
Nell’estorsione non rileva l’ingiustizia o la legittimità del male minacciato, assumendo rilevanza solo l’impiego della minaccia di un male alla vittima allo scopo di ottenere un profitto ingiusto e causare un danno91. Pertanto qualsivoglia male può caratterizzare la minaccia come intesa dall’art. 629 c.p., non rilevando il carattere favorevole o sfavorevole nell’ordinamento penale o extra-penale. Non è sufficiente che si prospetti un male futuro, richiedendosi che esso si possa
88 X. XXXXX, Estorsione, in Enc. dir., XV, Milano, 1966, 997.
89 X. XXXXX, op. cit., p.40.
90F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, I, cit., 140; X. XXXXXXXX - X. XXXXX, Diritto penale. Parte speciale. II. I delitti contro il patrimonio, Bologna, 2008, 151 e s.; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxxxx (voce), Enc. giur., XIII, Roma, 1989, 2; ID., Diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, cit., 54 ss.; X. XXXXXX, Estorsione, voce in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1990, 381.
91 Cass. pen., 02.02.2017, n.4936, Rep. Foro it., 2017, voce Estorsione, n.15, secondo cui: “ integra la condotta del delitto di estorsione la richiesta, rivolta da uno dei partecipanti ad un’asta giudiziaria ad un altro concorrente, di una somma di denaro come compenso per l’astensione dalla partecipazione, in quanto la prospettazione dell’esercizio del diritto di prendere parte alla gara, siccome finalizzato al conseguimento di un ingiusto profitto, assume connotazioni minacciose”.
verificare per volontà del soggetto agente92. Secondo la giurisprudenza le minacce hanno una forma libera “purché comunque rivestano i caratteri della serietà e della idoneità rispetto all’evento intermedio della coartazione della volontà del soggetto passivo, che deve venire perciò a trovarsi in una tale condizione di soggezione e di timore, che non gli consenta ragionevolmente di potere adottare iniziative alternative, relativamente al proprio patrimonio, meno drastiche e dannose rispetto a quella prospettata”93. Le circostanze obiettive del caso concreto, come, ad esempio, la personalità sopraffattrice dell’agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso opera, l’ingiustizia della pretesa, le particolari condizioni soggettive della vittima, la quale ha percepito il male come effettivamente possibile, anche se in realtà non potrebbe effettivamente concretizzarsi, incidono sulla valutazione in tal senso94.
La giurisprudenza96 ha stabilito che anche la minaccia di interrompere un legame affettivo o l’affiliazione della vittima ad un gruppo di amici possa integrare una minaccia volta ad ottenere un ingiusto profitto qualora la vittima versi in condizioni di vulnerabilità psico-fisica.
92 X. XXXXXX, op. cit., 381.
93G. FIANDACA - X. XXXXX, op. cit., 152; Cass. pen., sez. II, 20.5.2010, n. 19724, Rep. Foro it., 2010,
voce Estorsione, n.18; Cass. pen., sez. V, 22.9.2009, n. 41507, Rep. Foro it., 2010, voce Estorsione, n.10; Cass. Pen. 14.3.2013, n.11922 secondo cui “la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere implicita, palese e determinata, può essere manifestata anche in maniera indiretta, o implicita ed indeterminata, purchè sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui opera”.
94 X. XXXXX, op. cit., 998; Cass. pen., 20.4.1982, Giust. pen., 1983, II, 289.
95 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., p.153.
96 Cass. pen., 12.7.2007, Foro. it., 2008, II, p.168.
Anche il comportamento omissivo può realizzare e concretizzare una minaccia qualora l’omissione prospettata sia idonea a ledere gli interessi del minacciato97. Come nel caso del sindacalista che, avendo promosso uno sciopero in una condizione nella quale l’astensione dei dipendenti provocherebbe il fallimento dell’impresa in dissesto economico-finanziario, xxxxxx all’imprenditore la corresponsione di un’ingente somma di denaro per revocare lo sciopero stesso98. Autorevole dottrina99, tuttavia, ritiene che il delitto di estorsione sia configurabile esclusivamente in presenza di una condotta commissiva, e non anche omissiva, da parte dell’agente, consistendo la minaccia nel mantenimento di una situazione dannosa, che l’estorsore aveva cagionato o contribuito a cagionare.
Ipotesi di minaccia mediante omissione è, ad esempio, la condotta del locatore che esige dal futuro conduttore un canone di importo maggiore di quello prestabilito per legge, minacciando, in caso di rifiuto, di non stipulare il contratto. Un’importante decisione della Corte di Cassazione100 ha condannato il proprietario di un alloggio che richiedeva un canone di locazione notevolmente più elevato del massimo importo consentito dalla l. 27.7.1978, n. 392, in materia di c.d. equo canone, approfittando dello stato di bisogno grave ed impellente in cui versava il conduttore. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha, successivamente, mutato orientamento101, precisando che, in forza del principio di autonomia contrattuale, non vi è estorsione quando il locatore chieda un canone illegittimo sotto la minaccia di non
97 . FIANDACA - X. XXXXX, op. cit., p.152; BACCAREDDA BOY - X. XXXXXXX, S., I delitti contro il patrimonio mediante violenza, Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX, vol. VIII, Padova, 2010, p.534; X. XXXXX, op. cit., 998; X. XXXXXXXXX, op. cit., 169; X. XXXXXX, op. cit., 228.
98 Trib. Bari, 2.12.1981, Riv. it. dir. proc. pen., 1982, p.797, con nota di X. XXXXXXXXX, Un’ipotesi di estorsione al passo con i tempi: il sindacalista che minaccia un comportamento omissivo.
99G. XXXXXXXXX, op. cit., 797; X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 153; X. XXXXXXXXX, op. cit., 169,
secondo il quale “non vi sarebbe affatto il delitto di estorsione, non potendosi configurare alcun obbligo giuridico in capo al sindacalista di salvare l’impresa in crisi”.
100 X. XXXXXXXX, Xxxxxxxxxx mediante minaccia di comportamento omissivo?, nota a sentenza Xxxx. pen., 24.4.1980, in Riv. it. dir. proc. pen., 1980, 1445; XXXXXXXX G., Osservazioni in tema di estorsione del locatore per la pretesa di un canone superiore a quello legale, in Cass pen., Vol. 21, 0, 1981, 753.
101M. XXXXX, I delitti contro il patrimonio mediante violenza alle persone, Torino, 2009, 168.
concludere il contratto, in quanto “questa condotta è priva di reale effetto costrittivo sul soggetto passivo, visto che la pretesa di stipulare la locazione ad un canone più elevato rispetto a quello legale darebbe luogo in ogni caso ad una clausola illecita e perciò nulla ex lege102, almeno che non si compiano atti specifici e concreti diretti a coartare la volontà della controparte e a realizzare un ingiusto profitto”.
Altra dottrina103 ritiene che non sia sufficiente che la potenziale vittima abbia agito per timore di ritorsioni, ad esempio, se esse siano state rivolte a terzi, ma richiede sempre che sia possibile provare una coartazione specifica dell’agente.
La forma della minaccia può essere diretta e indiretta, scritta o orale, simbolica o reale, esplicita o allusiva, firmata o anonima. Anche espressioni dal contenuto generico possono integrare una minaccia, purché possa individuarsi la natura e l’entità del male prospettato.
102Cass. pen., 6.3.1989, Riv. pen., 1990, p.324; Cass. pen., 16.3.1989, Riv. pen., 1990, 560.
103F. XXXXXXXXX, op. cit., p.169. Xxxx. xxx., 14.02.2017, n.11107, Rep. Foro it., 2017, voce Estorsione, n.12, secondo cui: “integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare consentendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate”.
104 X. XXXXX, op. cit., 70. Cass. pen., 16.02.2017, n.18508, Rep. Foro it., 2017, voce Estorsione, n.11, secondo cui: “integra il delitto di estorsione la minaccia o la violenza diretta a costringere la vittima a rinunciare ad una propria legittima aspettativa ed in tal caso il danno patrimoniale va inteso come danno futuro consistente nella perdita della possibilità di conseguire un vantaggio economico. (Fattispecie in tema di intimidazione finalizzata a far recedere la vittima dalla richiesta di concessione di un’area demaniale per svolgere la propria attività economica)”.
4.3. La coazione psicologica della vittima.
Secondo la giurisprudenza prevalente la minaccia che rileva ai fini del reato di estorsione ex art. 629 c.p. è anche quella in cui il reo prospetti alla vittima un male “giusto” ovvero, più precisamente, l’esercizio di un diritto. In tema si considerino due diverse tesi: la prima secondo la quale la condotta minacciosa consiste nella coazione psicologica che essa determina e non nel male minacciato; la seconda riguarda lo scopo per cui è riconosciuto un diritto, configurandosi, dunque, il delitto di estorsione, qualora si riscontri un’ipotesi di abuso del diritto, o di perseguimento di un fine illecito. Sulla prima tesi si afferma che vi è estorsione quando alla vittima non “venga lasciata alcuna ragionevole alternativa tra il soggiacere alle altrui pretese o il subire, altrimenti, un pregiudizio diretto ed immediato”105, ma che vi sia un nesso causale tra la condotta e l’evento verificatosi. La giurisprudenza di legittimità si è pronunciata nel senso che “la nota giuridicamente pregnante del delitto in esame consiste nel mettere la persona violentata o minacciata in condizioni di tale dipendenza e soggezione da non consentirle, senza un apprezzabile sacrificio della sua autonomia decisionale, alternative meno drastiche di quelle alle quali la stessa si considera costretta”106. Data la struttura bilaterale del reato, la norma considera sia la condotta dell’agente, il quale coarta moralmente la vittima, sia le caratteristiche di quest’ultima, al fine di valutare l’effettiva idoneità dell’attività coercitiva a produrre l’effetto limitativo della libertà personale del soggetto che la subisce, sulla base delle circostanze del caso
105 Cass. pen., 7 ottobre 2010, n. 39336, Rep. Foro it., 2010, voce Estinzione, n.15. In senso conforme, Cass. pen., 19 dicembre 2008, n. 12749, Rep. Foro it., 2010, voce Estinzione, n.32 e Cass. pen., 1 novembre 2000, n. 13043, in C.E.D. Cass., n. 217508, con nota di I. XXXXXXX, Xxxxx note a margine di una sentenza in tema di tentata estorsione del locatore, 1906: “quello che è assolutamente fondamentale e imprescindibile è che il soggetto in relazione all’intimidazione subita, non abbia spazi di apprezzabile scelta: trovandosi nella necessità di adempiere a quanto richiesto se non vuole subire un pregiudizio diretto ed immediato”.
106 Cass. pen., 7 novembre 0000, x. 00000, Xxxxx. Xxx., 0000, XX, 000; Cass. pen., 19 dicembre 2008, n.
00000, Xxx. dir. proc., 2009, 7, 47;
concreto107. Tuttavia, si evidenzia che tale orientamento, focalizzando l’attenzione sulla coazione psicologica della vittima, priva di significato “l’evento […] con conseguente svuotamento della funzione selettiva delle modalità di condotta indicate dal legislatore”108. Esso, non condivisibilmente, appiattisce l’indagine sulla condotta coercitiva, essendo, al contrario, di pregnante importanza analizzare i modi nei quali essa si manifesta, risultando, in caso contrario, le modalità della condotta tipica inutiliter data da parte della disposizione109.
Altro orientamento giurisprudenziale110, che ha trovato accoglimento in molteplici pronunce di legittimità, ha definito l’abuso di diritto in termini di strumento di sopraffazione dell’altrui libertà di autodeterminazione, potendo, in tale fattispecie, la minaccia costituire elemento necessario e sufficiente per costringere altri ad una prestazione pregiudizievole e permettendo all’autore di conseguire un profitto indebito ed ingiusto.
Il concetto di abuso presuppone le nozioni di “limite” e di “scopo”, in quanto l’estorsore abusa del diritto quando oltrepassa i confini delineati dalla norma, ovvero quando intenda raggiungere uno scopo diverso da quello previsto e, dunque, consentito dalla legge111. Tuttavia, è stato osservato che l’incongruenza tra lo scopo perseguito da colui che si avvalga di un istituto giuridico e la funzione tipica che lo stesso ha in base alla legge non rende automaticamente illecita l’attività compiuta per conseguirlo, essendo, piuttosto, l’illiceità del fine perseguito a qualificare l’attività come contraria a legge. Non occorre, inoltre, che il male minacciato sia ingiusto, in quanto è, piuttosto, l’ingiustizia del
107 X. XXXXXXXXX, op. cit., 55: “circa l’idoneità, la minaccia, quali ne siano le modalità, deve avere una effettiva potenzialità coattiva, deve cioè apparire capace, secondo un giudizio ex ante, tanto più rigoroso nei casi di minaccia larvata o implicita- di creare uno stato di costringimento, da valutarsi caso per caso con riferimento alle circostanze del caso concreto...ed alle particolari condizioni psicologiche del soggetto passivo...ed alla conoscenza di esse da parte del soggetto attivo”.
108 X. XXXXXX, La tutela penale della libertà individuale. I. L’offesa mediante violenza, Milano, 2002, 16.
109 X. XXXXXXXXX, La strumentalizzazione del diritto di cronaca per finalità contra ius: estorsione?,
Dir. pen. contemporaneo, 2017, 10
110 Cass. pen., 4 novembre 2009, n. 119, Giur. it.,2010, p.2635; Cass. pen., 10 marzo 2011, n. 24437,
Guida al dir., 2011, 31, p.83.
111 X. X’XXXXXX, Abuso del diritto, in Noviss. dig. it., I, Torino, 1957, 95.
profitto che delegittima il mezzo adoperato112. La legge 6 novembre 2012, n. 190113, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, è intervenuta sui delitti di corruzione, frammentandolo in molteplici fattispecie autonome, e sul delitto di concussione (art. 317 c.p.) e ha introdotto il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.). Detto ultimo reato si realizza solo quando la concussione sia attuata tramite una minaccia capace di costringere la vittima ad un’attività o un’omissione.
Agli effetti della fattispecie incriminata all’art. 319-quater c.p., invece, l’abuso del pubblico ufficiale si sostanzia nell’impiego dei propri poteri o della propria qualifica per perseguire scopi diversi da quelli consentiti dall’ordinamento.
La coazione psicologica si interpone tra l’atto di cooperazione della vittima e la condotta violenta o minacciosa dell’agente, con la quale il medesimo consegue un ingiusto profitto con l’altrui danno. La costrizione è l’effetto della condotta dell’agente, lesiva della libertà di autodeterminazione della vittima, inserito nel novero dei diritti c.d. personalissimi. La coazione dovrà essere eziologicamente connessa alla
112L. XXXXX, Xxxxxxxxxx, cit., 1000 secondo il quale “L’accertata ingiustizia del profitto rende ingiusta la violenza o la minaccia anche se di per sé il male minacciato non lo sia”; X. XXXXXX, Estorsione, cit., 381; X. XXXXXXX, Estorsione e sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, (voce), Noviss. dig. it., VI, Torino, 1964, 1002:“l’ingiustizia del profitto rende, necessariamente, xxxxxxxx la minaccia di danno rivolta alla vittima; il male minacciato, giusto obiettivamente, diventa ingiusto per il fine cui è diretto”. Contra X. XXXXXX, X. XXXXX, Delitti contro il patrimonio, in AA. VV., Diritto penale. Lineamenti di Parte speciale, Bologna, 2009, p. 638, per i quali “è forse più corretto ritenere che nell’estorsione .… occorra sia l’ingiustizia del mezzo che l’ingiustizia del profitto, e che il mezzo sia ingiusto quando non sussistano cause di giustificazione”; X. XXXXXX, Ricorso pretestuoso alle vie legali: estorsione?, Ind. Pen., 1999, 207.
113 Per un commento all’atto normativo, si rinvia a XXXXXXX XXXXXXXX, La nuova disciplina dei reati contro la P.A., in Dir. pen. cont.
114 Cass. Pen., SS. UU., 24 ottobre 2013, n. 12228, con nota di G. L. GATTA, Dalle Sezioni Unite il criterio per distinguere concussione e “induzione indebita”: minaccia di un danno ingiusto vs. prospettazione di un vantaggio indebito, Dir. pen. contemporaneo, 17 marzo 2014.
5. L’atto di disposizione patrimoniale
Il reato di estorsione è un reato di evento. La consumazione richiede che sia cagionato un danno alla vittima attraverso un atto di disposizione patrimoniale, (con il consenso della vittima) ottenuto mediante minaccia o violenza. Allo scopo di comprendere cosa si intenda per “atto di disposizione patrimoniale”, è necessario richiamare la nozione di patrimonio, definita in modo diverso da tre teorie, denominate rispettivamente giuridica, economica e mista. La prima116 definisce il patrimonio di una persona come la somma di tutti i suoi diritti e doveri patrimoniali, indifferentemente se essi hanno, o no, valore in denaro. Il patrimonio non è, pertanto, una massa unitaria di diritti e valori, non potendo, dunque, mai essere aggredito nella sua totalità, essendo ciascun bene aggredibile individualmente e non cumulativamente ad altri. Il patrimonio non avrebbe, in base alla teoria in esame, valore meramente economico, comprendendo esso anche beni con valore affettivo.
La tesi c.d. economica, come si è osservato in precedenza, descrive il patrimonio come un complesso di beni aventi un valore monetario. La giurisprudenza include nel patrimonio anche vantaggi economici che non costituiscono diritti ma che, comunque, si riferiscono ad una persona fisica, come, per esempio, il possesso, la rinomanza di una ditta, la clientela di un commerciante o imprenditore, i lavoratori dipendenti di un’azienda. L’elemento costitutivo del patrimonio e il
115 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 156.
116 F. P. XXXXXXX, Oggetto della tutela penale nei delitti contro il patrimonio, in Riv. it. Dir. Pen., 1935, 657; X. XXXXXXX, La tutela penale del patrimonio, in Studi economico.giuridici dell’Università di Cagliari, 1953, 129.
suo oggetto non coincidono: una cosa del tutto priva di valore è giuridicamente inclusa nell’assetto patrimoniale di un soggetto, ma non fa parte del patrimonio come inteso dal diritto penale, il quale, dunque, non la tutela. Tale teoria presenta dei limiti e non sembra condivisibile. Infatti, il danno al patrimonio si verifica solo allorquando il comportamento illecito del reo compromette il valore e l’integrità del patrimonio della vittima e, perciò, andrebbero considerate le qualità, la professione, la posizione sociale, il tenore di vita del titolare del patrimonio e, alla luce di detti fattori, i fini patrimoniali da lui perseguiti.
Perciò il patrimonio di una persona fisica o giuridica consiste nel complesso dei diritti e delle obbligazioni patrimoniali nella sua titolarità, che abbiano o meno valore economico. La tesi c.d. giuridico-funzionale-personalistica è un’evoluzione della tesi giuridico-economica e ricomprende anche i beni privi di valore di scambio, che abbiano, piuttosto, un valore affettivo per chi li possegga, ritenuto rilevante dai consociati. Del patrimonio così inteso fanno parte i diritti reali, i crediti, e, più in generale tutte le situazioni soggettive tutelate dall’ordinamento118. Si può, dunque, concludere che il patrimonio è il “complesso dei rapporti giuridici facenti capo ad una persona aventi per oggetto cose dotate di funzione strumentale a soddisfare bisogni materiali o spirituali”119.
117 X. XXXXX, op. cit., 100.
118 X. XXXXXXX, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Milano, 2015, 1024.
119 X. XXXXXX, Tutela penale del patrimonio e principi costituzionali, Padova, 1988, 62, X. XXXXXXXXX, op. cit., 20; X. XXXXXXX, Tutela penale del patrimonio individuale e collettivo, cit., 66; X. XXXXX, I reati contro il patrimonio, Torino, 2010, 11.
6. L’ingiusto profitto e l’altrui danno.
Il delitto in rassegna si consuma quando si verifica il duplice evento richiesto dalla previsione normativa: il pregiudizio per la vittima e il profitto ingiusto per il reo o per un terzo soggetto. Tali eventi sono autonomi, ancorché possano essere collegati inter se ovvero disgiunti, e possono verificarsi l’uno indipendentemente dall’altro120. Il giudice di legittimità in una recente pronuncia121 ha affermato che “l’elemento dell’ingiusto profitto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico che l’autore intenda conseguire e che non si collega ad un diritto o è perseguito con uno strumento antigiuridico o ancora con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso”. Il danno provocato si richiede che sia di natura patrimoniale e, dunque, tale da rendere il patrimonio insufficiente per il soddisfacimento dei bisogni materiali o spirituali del titolare. Deve trattarsi di un danno reale, concreto e non potenziale, da accertare in concreto caso per caso e potrà essere considerato in re ipsa nello stesso atto di disposizione patrimoniale. In altri termini, non si configura il delitto di estorsione allorquando il pregiudizio patrimoniale non derivi da un atto patrimoniale dispositivo122. La vittima deve subire una reale ed effettiva deminutio patrimonii, sia sotto il profilo del danno emergente che in termini di lucro cessante, con la conseguenza che non potranno rilevare quelle ipotesi nelle quali la vittima sia costretta a compiere degli atti, i quali, pur limitando la sua libertà morale, non producano una perdita o svantaggio patrimoniale, ad esempio nel caso in cui essa sia costretta a ritrattare in giudizio le accuse formulate.
La compromissione dell’integrità patrimoniale può consistere nella perdita definitiva di un bene o del suo godimento, ma anche nella rinuncia ad un diritto di credito, o nell’assunzione di
120 F. ANTOLISEI, op. cit., 333.
121 Cass. Pen. Sez. II, 17 febbraio 2017 n.11979, Giur. Pen., 2017, 78.
122 X. XXXXXXXXX, Enc. Giur. Treccani, Roma, 1989, 5.
un’obbligazione123. È difficile individuare un danno patrimoniale nel caso del delitto di estorsione c.d. contrattuale. Infatti il soggetto passivo conclude un contratto con l’agente o con soggetto diverso dall’agente: la giurisprudenza ritiene che l’elemento dell’ingiusto profitto con l’altrui danno sia in re ipsa, in quanto la violenza condizionerebbe il diritto del soggetto passivo di disporre liberamente del proprio patrimonio124. In questi casi bisogna valutare caso per caso il danno in concreto subito dalla vittima, che, nel caso di controprestazioni proporzionate tra loro, potrebbe anche non identificarsi, potendosi concretizzarsi persino un vantaggio125. Sia il danno che il profitto possono riferirsi a persone diverse dal soggetto attivo o dalla vittima. Il profitto è inteso quale vantaggio economico, incremento della strumentalità patrimoniale, ogni utilità materiale o morale e qualunque soddisfacimento o piacere che l’agente si procuri con la sua azione criminosa.
Il profitto può essere permanente o transitorio ed avvantaggiare il reo od altri126.
L’ingiustizia del profitto, elemento caratterizzante del reato di estorsione, si sostanzia in pretese non tutelate giuridicamente. Infatti, è controverso stabilire se si sia in presenza di un fatto di estorsione o di violenza privata nel caso di minaccia o di violenza dichiarata da parte di colui il quale intenda ottenere l’adempimento delle obbligazioni naturali. Secondo la giurisprudenza prevalente127, la violenza o la minaccia usate per ottenere l’adempimento di un’obbligazione naturale realizzano un profitto ingiusto, poiché l’adempimento coattivo di essa
123 Cass. pen., sez. I, 29.1.1973, Cass. pen., Mass., 1974, 286.
124L. BARILLÀ, Estremi del danno e del profitto e limiti di configurabilità della c.d. “estorsione contrattuale”, Dir. pen. e proc., 2003, p.1537.
125 X. XXXXXXX, op. cit., 1537 .
126 X. XXXXXXXXX, op. cit., 5.
127Cass. pen., sez. II, 23.9.2003, El Khattabi e altri, Cass. pen., 2005, 58, che ha sostenuto l’estorsione per la pretesa avanzata con violenza e minaccia di adempiere ad un credito derivante dal gioco d’azzardo; contra Cass. pen., 16.10.1990, Riv. pen., 1991, p.481.
Perché si configuri il delitto di estorsione occorre che non operino scriminanti.
Se l’agente persegue un profitto giusto, perché titolare del diritto ad esso sotteso, ma con modalità violente, integra gli estremi di altro reato. Il profitto si ritiene giusto quando si fonda su una pretesa riconosciuta dal diritto, sia in modo diretto che indiretto.
Xxxxxxxx è il profitto conseguito da colui il quale, minacciando il sequestro di persona o la sottrazione di una cosa, estorce denaro. Si pensi esemplificativamente al caso di chi sottragga la cosa con intento estorsivo e si faccia pagare il prezzo del riscatto, ovvero ancora di chi, in seguito ad un furto, xxxxxxx di distruggere la cosa per ottenere il pagamento di una somma di denaro a fronte della restituzione130 ovvero, al contrario, sia derubato ed offra una somma di denaro per riavere la cosa che gli è stata sottratta131.
Il profitto è ingiusto, inoltre, nel caso in cui l’agente si avvalga di un istituto coattivo legittimo, o comunque non antigiuridico, ma per un uso diverso da quello consentito dalla legge132, ossia minacciando
128Art. 2034 c.c. Obbligazioni naturali: “non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace. I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti”.
129 F. ANTOLISEI, op. cit., 325.
130 Cass. Pen., 21 dicembre 1965, Cass. pen., Mass., 1966, 1008.
131 Cass. Pen. 5 marzo 1982, Cass. pen., 1984, 290.
132 Cass. pen 9 maggio 1962, Cass. pen., Mass., 1963, 138: minaccia di azione giudiziaria per farsi corrispondere una somma superiore al dovuto; Cass. pen 27 maggio 1980, Cass. pen., 1982, p.249: uso della giustizia come mezzo per conseguire uno scopo diverso da quello dell’azione giudiziaria intrapresa; Cass. pen., 23 marzo 1982, Cass. pen., 1984, p.288; minaccia di presentare una denuncia di reato o istanza di fallimento per farsi pagare un prezzo per il suo silenzio; Cass. pen., 18 giugno 1951, Giust. Pen., 1951, p.236: chi porta a conoscenza del fisco dati di bilancio di una azienda per ottenere utilità non dovute, di licenziare un lavoratore per ottenere la quietanza di spettanze non dovute;
l’esercizio di un diritto del quale non sia titolare. Invero, l’ingiustizia del profitto consiste nella relazione tra lo scopo ed il mezzo con cui si attua la minaccia133. Tuttavia, come chiarito dall’art. 1438 c.c., “la minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullamento del contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusto”. In tal caso si è in presenza di un’ipotesi di abuso di diritto, che si realizza quando si fa valere un diritto soggettivo, tuttavia non iure (id est, posto in essere in maniera diversa da come stabilito dalla legge). Pertanto tale comportamento deve ritenersi contra ius alla luce di criteri non formali di valutazione della fattispecie134.
7. L’elemento psicologico.
L’elemento soggettivo del reato in rassegna è il dolo intenzionale. È tuttavia compatibile anche con la forma di dolo indiretto (od eventuale)136. Secondo la dottrina tradizionale e parte della giurisprudenza, il dato letterale della norma è prioritario, ragion per cui l’estorsione sarebbe un delitto a dolo specifico, poiché la fattispecie richiede, oltre alla coscienza e volontà di coartare un terzo a fare od
Cass. pen., 7 luglio 1954, Giust. Pen., 1955, p.49: cronista che minaccia di fare oggetto del proprio diritto di cronaca fatti scandalosi per chiedere denaro o per ottenere la rinuncia ad un giudizio civile. 133G. X. XXXXX, La minaccia contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, in Archivio penale, 20, Roma, 2013, 194.
134 X. XXXXX, Abuso del diritto diritto civile, in Enc. giur., I, Roma, 1988, 1.
135 Cass. pen, 4 novembre 2009, n.119, richiamata da Cass. pen., 10 marzo 2011, n.24437, Giust. Pen., 2011, 45.
136 Si pensi all’ipotesi nella quale, accettando il rischio che il profitto preteso e successivamente conseguito sia xxxxxxxx, si ponga in essere comunque la condotta, cagionando un danno alla vittima.
Tuttavia, la dottrina prevalente ritiene, al contrario, che occorra il solo dolo generico dell’agente, cioè la volontà cosciente e libera del medesimo di agire in modo illecito, usando la violenza o la minaccia per costringere il soggetto passivo a porre in essere o ad omettere un comportamento, così da procurare un ingiusto profitto all’agente medesimo o ad altri138. Infatti, il dolo dell’estorsore dovrà riguardare anche l’ingiustizia del profitto: se l’errore su tale carattere del profitto stesso è un errore di fatto, esso potrà escludere il dolo139. Secondo la dottrina tradizionale l’estorsione configurerebbe un delitto a dolo specifico “poiché la fattispecie incriminatrice sembra richiedere, oltre alla coscienza e volontà di coartare un terzo a fare od omettere qualcosa, anche lo scopo specifico di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno”140. Opinione, quest’ultima, confermata anche dalla giurisprudenza di legittimità141, tuttavia, non condivisa all’unanimità. Infatti, è stato sostenuto da autorevole dottrina142 che, al contrario, “l’ingiusto profitto con altrui danno, costituisce elemento costitutivo autonomo della fattispecie oggettiva, ed in particolare rappresenta l’evento finale richiesto per la consumazione del reato”. Ne consegue, pertanto, che il dolo nel delitto di estorsione è generico e consiste nella coscienza e volontà di usare la violenza o la minaccia per costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che procurerà un ingiusto profitto al reo o ad altri143. Il dolo dell’estorsore dovrà determinare,
000 X. XXXXXXX, op. cit., 1984, 466, A. DE XXXXXXX, Delitti contro il patrimonio, Napoli, 1951, 85. Cass. pen., 4.5.1984, Giust. pen., 1985, II, 506, Cass. pen., II, 26.1.2006, n. 4925, Giust. Pen., 2007, 302.
000X. XXXXXXXXX, op. cit., 390; X. XXXXXXXX - X. XXXXX op. cit., secondo i quali il conseguimento del profitto <<non sta fuori dal fatto di reato, ma ne costituisce addirittura l’evento>>.
139 Cass. pen., 17.3.2004, n.3345, Cass. pen., 2005, p.3361; XXXXX, L., op. cit., 1001.
140 X. XX XXXXXXX, Delitti contro il patrimonio, Napoli, 1951, 85; X. XXXXXXX, Xxxxxxxx xx xxxxxxx xxxxxx xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 466.
141 Cass. pen., 4.5.1984, Giust. pen., 1985, II, p. 506; Cass. pen., 26.1.2006, n. 4925, Giust. Pen., 2006,
415.
142 X. XXXXXXXXX, op. cit., 6.
143F. XXXXXX, Xxxxxxxxxx, “Elemento soggettivo”, AA.VV., Enciclopedia Giur. Treccani online, 2014.
8. Consumazione e tentativo.
L’attività criminosa culmina nella consumazione del reato, il perfezionamento di esso, invece, indica il momento in cui il medesimo è venuto ad esistenza e determina il passaggio dall'estorsione tentata all'estorsione perfetta. Nel periodo intercorrente tra la consumazione ed il perfezionamento si può verificare la circostanza dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, c.p.
Dottrina e giurisprudenza ritengono che l'estorsione in atti si perfezioni con la sottoscrizione e l'acquisizione materiale del documento con il quale la vittima contrae un'obbligazione patrimoniale o rinuncia ad un diritto146. Il delitto è consumato quando la consegna della cosa estorta entri in possesso dell’estorsore.
Il delitto si consuma anche se l’estorsore ne entri in possesso per un breve lasso di tempo, se le autorità riescono ad intervenire
144 Cass. pen., 17.3.2004, Cass. pen., 2005, 3361.
145 X. XXXXXXXXX, op. cit., 6.
146R. XXXXXXXX, In tema di momento consumativo del reato di estorsione, Giur. it., 1950, II, 273.
tempestivamente e ad intimargli la restituzione del bene al proprietario di esso147.
Altri casi nei quali il reato è consumato sono quelli nei quali sia appena stato rilasciato l'assegno, ancorché l'emittente abbia, nell’immediato, ritirato i fondi allo scopo di impedirne l'incasso148, ovvero qualora una cambiale sia firmata poiché il suo possesso è credito attuale e quindi profitto effettivo149, ma non sia poi pagata150, ovvero venga strappata dall'agente151, o, ancora, allorquando la cosa estorta entri a far parte del patrimonio dell'agente che ne abbia disposto per un tempo limitato152. L'estorsione è reato di evento, per cui il tentativo può essere ritenuto: incompiuto, qualora il delitto venga interrotto per cause indipendenti dalla volontà dell'agente (lettera minatoria non pervenuta al destinatario perché intercettata dalla polizia); compiuto, allorché, terminata l'azione, non si verifichino il danno e il profitto (il soggetto agente viene arrestato dalla polizia prima o nel momento della consegna, o subito dopo la consegna della somma estorta)153. Parte della dottrina154 contesta detto orientamento giurisprudenziale, ritenendo che sia consumato il delitto anche quando il reo disponga, ancorché momentaneamente, del bene. Invece, quando non vi sia stata una diminuzione del patrimonio l'estorsione è da ritenersi solo tentata155.
Il tentativo è configurabile anche nelle ipotesi nelle quali l'azione si sia interrotta per cause indipendenti dalla volontà dell'agente, ovvero si sia completata l'azione e non si sia prodotto il danno156. Affinché si realizzi
147 Cass. pen., 19 giugno 2009, n.27601, Cass. pen., 2010, 2778. In dottrina, MAGGIORE-MANZINI- XXXXXXXX-ALIMENA, Atti idonei nel delitto di estorsione, in Riv. pen., 1938, 1400; DE XXXXX, Sul tentativo di estorsione, in Riv. it. dir. pen., 1936, 700.
148 Cass. Pen., 10 luglio 1973, Cass. pen., Mass., 1974, 767, Cass. Pen. 16 novembre, 1964, Cass. pen.,
Mass., 1965, 463.
149 Cass. Pen. 20 marzo 1939, Ann. Dir. Proc. Pen., 1940, 885.
150 Cass. pen., 19 febbraio 1971, Rep. Foro it., voce Estorsione, n.9.
151 Cass. pen. 23 maggio 1981, Cass. pen. 1983, 287.
152 Cass. pen., 11 ottobre 1950, Riv. it. dir. pen., 1951, 209.
153 Cass. pen. 23 ottobre 1954, Giur. compl. Cass. pen., 1954, 2825.
154 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit. 156.
155 X. XXXXXX, op. cit., 10.
156Cass. pen., 12.01.2017, n.3934, Rep. Foro it., 2017, voce Estorsione, n.17 secondo cui <<La condotta di costrizione, che deve seguire alla violenza o minaccia, attiene all’evento del reato di estorsione, mentre l’ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento, sicché si configura il solo
Si discute se le esimenti indicate dall’art. 649, comma 3, c. p.158 debbano applicarsi anche al tentativo di estorsione verso un congiunto. Taluno159 esclude l’esimente per i delitti contro il patrimonio compiuti a danno di congiunti ai delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione, nelle sole ipotesi consumate e non anche tentate.
La norma non menziona il tentativo, risultando preclusa qualsivoglia forma di interpretazione in senso estensivo.
Un orientamento diverso esclude l’operatività della causa di non punibilità prevista dall’art. 649 c.p., con riferimento alle fattispecie dei reati di rapina, estorsione e del sequestro di persona a scopo di estorsione e si estende anche alle corrispondenti fattispecie di tentativo. Queste ultime richiedono che venga impiegata violenza nei confronti della vittima anche se solo preordinata e non realizzata, in quanto tale
tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungano il risultato di costringere la vittima a ciò che è stata costretta a fare>>.
157Per l’azione punibile è sufficiente che la lettera sia stata spedita e non la necessaria conoscenza del destinatario. Secondo MAGGIORE – XXXXXXX – XXXXXXXX - ALIMENA, op. cit., p.978, il tentativo sussiste anche se il destinatario sia deceduto dopo la spedizione e prima del recapito.
158Art. 649 c.p.: Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti. Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti da questo titolo in danno:
1)del coniuge non legalmente separato;
2) di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell’adottante o dell’adottato;
3) di un fratello o di una sorella che con lui convivano.
I fatti preveduti da questo titolo sono punibili a querela della persona offesa, se commessi a danno del coniuge legalmente separato, ovvero del fratello o della sorella che non convivano coll’autore del fatto, ovvero dello zio o del nipote o dell’affine in secondo grado con lui conviventi. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli articoli 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone.
159 M. C. XXXXXXX, Xxxxx punibilità del tentativo nei delitti contro il patrimonio commesso a danno di congiunti, in Foro it., 2, 2000, 155.
xxxxxxxxx intende ricomprendere anche la minaccia nell’ambito della violenza contro le persone160.
Recente giurisprudenza161 ha ritenuto che l’ultima parte del comma 3 dell’art. 649 c.p. escluda la punibilità del tentativo di estorsione commesso con minaccia. A quest’ultima fattispecie si riferisce l’espressione “ogni altro delitto contro il patrimonio commesso con violenza alle persone”. Detto inciso va interpretato restrittivamente e, dunque, il sintagma “violenza alle persone” comprende la sola violenza fisica, e non anche la minaccia o la violenza psichica.
9. Le circostanze aggravanti.
L’art. 629, comma 2, c.p. prevede per il reato di estorsione la comminatoria edittale da sette a venti anni di reclusione e da 5.000 a
Il reato di estorsione è aggravato: quando la violenza o minaccia siano esercitate a mano armata, o da persona travisata o da più persone riunite. L’estorsore deve usare le armi così da lasciare alla vittima una
160 Cass. pen., 18.12.2007, Foro it., 2000, II, p.135, nella quale si è precisato che nell’espressione utilizzata dall’art. 649, comma 3, c. p., rientra anche la violenza morale, e ciò perché tutte le fattispecie criminose a cui si riferisce la causa di non punibilità si connotano per l’equiparazione della violenza alla minaccia
161 Così, da ultimo, Cass. pen., sez. II, 15.6.2010, n. 28210, Foro it., 2010, 134.
162O. VANNINI, Manuale di diritto penale italiano. Parte speciale i singoli delitti e le singole contravvenzioni, Milano, 1954, 348.
163 X. XXXXX, op. cit., 1004.
ragionevole scelta tra l’accogliere o respingere le richieste estorsive. La circostanza aggravante opera sia quando l’arma impiegata sia tale o fatta apparire tale, oppure sia impugnata o brandita contro la vittima. L’arma dovrà essere mostrata così da far comprendere l’intenzione di usarla, mentre non vi sarà aggravante del reato qualora l’agente si limiti a detenere l’arma, senza esibirla. La minaccia tramite un’arma che non sia concretamente tale determina il reato di estorsione, ma non lo aggrava164. Secondo una recente dottrina165 quest’aggravante è compatibile solo con quelle ipotesi di violenza o minaccia finalizzate alla consegna di beni immobili, o che riguardino un facere stricto sensu o un omittere, poiché, se, invece, lo scopo del reo sia la consegna immediata di cose mobili altrui, si realizzerebbe il delitto di rapina. Inoltre l’estorsore deve impiegare le armi non per esercitare una coercizione assoluta, bensì deve lasciare alla vittima un ragionevole margine di scelta tra aderire alla richiesta estorsiva subita o resistervi. La stessa capacità di scelta è richiesta allo scopo di integrare l’ipotesi di estorsione aggravata dal comportamento del reo quando il medesimo abbia determinato l’incapacità di volere e di agire della vittima. Se così non fosse detta ipotesi sarebbe incompatibile con quella che richiede la necessaria cooperazione della vittima, la quale differenzia l’estorsione rispetto alla rapina, salvo il caso nel quale il reo determini un totale stato di incapacità del terzo tale da indurre il soggetto passivo a cedere all’estorsione166. Lo stato di incapacità di volere o di agire della vittima può essere procurato dal reo con qualsiasi mezzo inteso a limitare in modo più o meno rilevante la libertà di agire della vittima (imbavagliamento, legatura, ipnosi, somministrazione di sostanze alcoliche, narcotici e stupefacenti, immobilizzazione e imbavagliamento, o legare e chiudere il soggetto in un locale ecc.); è sufficiente che detta coartazione perduri per il tempo necessario a consumare il reato e, se essa persista per un periodo significativo, si
164 Cass. pen., 2 marzo 1966, Rep. Foro it., 1966, voce Estorsione, n.16.
165 X. XXXXXXXXX, op. cit., 174, X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 157.
166 X. XXXXXX, Estorsione, xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx
Il sintagma “più persone riunite” richiede che si tratti di almeno due persone che, presenti sul luogo del delitto, operino insieme, anche se uno di essi non sia imputabile o non punibile, ritenendosi sufficiente che l’atto violento o la minaccia sia stato attuato da una sola delle persone riunite168. Tale aspetto viene valutato alla luce di due orientamenti giurisprudenziali. Un primo orientamento169, oggettivo e materiale, richiede l’effettiva presenza contestuale di almeno due persone nel luogo e nel momento della consumazione del reato, essendo in questi casi la pressione esercitata sulla vittima così forte da ridurne in modo significativo la capacità di reagire e, di conseguenza, essendo giustificato un aumento della pena. L’aggravante non si configura se la minaccia provenga da più persone, ma sia concretamente rivolta da una soltanto170. Secondo altro orientamento che è stato introdotto nella giurisprudenza degli ultimi anni171, la circostanza aggravante speciale che il reato sia commesso da più soggetti insieme, ipotesi prevista dall’art. 629, comma 2, c.p., non richiede che essi siano presenti simultaneamente. Detta aggravante è configurabile anche se la
167 X. XXXXXXXX, Principi di diritto penale, Parte speciale, Milano, 2008, 354.
168 Cass. 30 giugno 1960, in cui si sottolinea che non è necessario che la vittima avverta la presenza di più persone coalizzate contro di lei.
169 Cass. pen. 11 giugno 2010 n.24367, Foro it., 2010, 56, Cass. pen., 22 aprile 2009, n. 25614, Giust.
Pen., 2009, 89.
170 X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXX, op. cit., 57.; X. XXXXX, X. XXXXX, xx. xxx., 00.; X. XXXXXXXXX, op.cit.,
71.
171 Cass., Sez. V, 19 giugno 2009, n. 35054, Giust. Pen., 2009, p.133.
minaccia o la violenza siano state esercitate da un solo soggetto, purché la vittima percepisca che tale condotta provenga da una pluralità di individui, “avendo tale fatto, per sé stesso, maggiore effetto intimidatorio”. La Corte di Cassazione 172 in un’altra pronuncia ha affermato che la circostanza costituita dal dato che il reato sia commesso da più persone riunite sia riscontrabile anche quando la persona offesa dal reato ricevi le minacce per mezzo di una comunicazione telefonica percependo che l’autore di essa manifesti intenzioni minacciose riferibili anche a più persone delle quali egli è portavoce.
La violenza o la minaccia possono essere realizzate anche da un’unica persona, ma per conto di uno o più mandanti appartenenti ad un’organizzazione criminale che opera stabilmente nel luogo dove si consuma il reato. In tal caso si può applicare l’altra aggravante prevista nell’art. 628, comma 3, c.p. al quale l’art. 629, comma 2 c.p. rinvia, ossia alla violenza o alla minaccia esercitate da un componente di un’associazione di tipo mafioso di cui all’articolo 416 bis c.p.173. La condotta minacciosa deve, anzitutto, essere idonea a coartare la volontà della vittima, poi deve avere capacità persuasiva in ragione del vincolo mafioso e sarà, pertanto, idonea ad assoggettare il destinatario ed imporgli un atteggiamento di omertà174. L’interpretazione prevalente richiede per l’applicazione dell’aggravante un elemento ulteriore, che è costituito dalla simultanea presenza delle persone nel momento e nel
172 Cass., Sez. II, 21 marzo 2008, n. 16657, Giust. Pen., 2008, 77.
173 Cass. pen. 21.11.2017, n.32, Rep. Foro it., 2017, voce Misure cautelari personali, n.261, secondo cui: “in tema di estorsione, integra la circostanza aggravante del c. d. metodo mafioso, prevista dall’art. 7 d. l. n. 152 del 1991, convertito nella l. la condotta di chi usa implicita ma inequivoca minaccia per pretendere dalla persona offesa il pagamento di non meglio precisate somme di denaro a motivo dell’ubicazione dell’attività commerciale della medesima in un territorio sottoposto al controllo di una cosca criminale. (Fattispecie in cui la Corte ha censurato l’ordinanza del riesame di annullamento parziale del provvedimento applicativo di misura custodiale per estorsione limitatamente alle circostanze aggravanti di cui agli artt. 628, comma terzo, numero 3, cod. pen. e 7 d.l. n. 152 del 1997, per aver svalutato l’indicazione logistica contenuta nella frase: "Vedi che ti trovi in una zona dove devi pagare qualcosa", indirizzata dall’indagato alla persona offesa, titolare di un esercizio sito in un quartiere dominato da una nota ‘ndrina)”.
174 Cass. pen. 17 aprile 2009; Cass. pen., 21 settembre 2007, Giust. pen., 2008, 676.
luogo della commissione del delitto175. Tale presenza non è quella soggettiva percepita dalla vittima ma quella oggettiva, in termini di effettiva presenza simultanea dei responsabili nel luogo e al momento in cui il reato è commesso. Ciò ha indotto il legislatore a ritenere maggiormente riprovevole detta fattispecie rispetto all’ipotesi in cui la vittima subisca una rilevante vis compulsiva176. Orientamento confermato anche dalla Corte di Cassazione177.
10. Raffronto con altre affini fattispecie di reato (cenni).
Si vuole in questa sede rappresentare, anche se per rapidi cenni, rinviando per una più ampia trattazione del tema al capitolo successivo (Cap. II, par. 2) il rapporto che sussiste tra la fattispecie delittuosa di cui all’art. 629 c.p., in rassegna nel presente lavoro, e quella di cui all’art. 640 c.p., il quale incrimina il fatto reato di truffa. La Suprema Corte con sentenza n. 5 del 2 gennaio 2017 ha ribadito il principio secondo cui il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione è costituito “dalla concreta efficacia coercitiva, e non meramente manipolativa, della condotta minacciosa rispetto alla volontà della vittima, da valutarsi con verifica ex ante, che prescinde dalla effettiva realizzabilità del male prospettato”178.
Il caso sottoposto alla Suprema Corte concerneva l’attività intimidatoria di alcuni imputati, i quali avevano minacciato di danneggiare gli esercizi commerciali del territorio, dopo aver fatto intendere che si stesse svolgendo un’attività criminale controllata dagli imputati.
175 Cass. pen., 19.01.2017, n.6272, Rep. Foro it., 2017, voce Estorsione, n.14, secondo cui: “la presenza contemporanea di non meno di due persone, idonea a configurare la circostanza aggravante delle più persone riunite, in relazione al reato estorsione commesso nell’interesse di un’associazione di tipo mafioso, deve essere individuata per i diversi momenti in cui viene effettuata la richiesta estorsiva ed alla pluralità dei soggetti che contattino la persona offesa”.
176G. AMARELLI, L’aggravante speciale delle più persone riunite nel delitto di estorsione al vaglio delle Sezioni Unite, xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 7 giugno 2012.
177 Cass. pen., 18 giugno 2009, n.25614, Cass. pen., 2010, 3112, Cass. pen., SS.UU., 29 marzo 2012,
n.21837, Cass. pen., 2012, 2113.
178 Cass. pen., Sez. II, 15 gennaio 2016 (dep. 2 gennaio 2017), n. 5.
Danneggiamento che avrebbe potuto essere evitato solo consegnando all’estorsore il denaro richiesto da lui.
Il Supremo Collegio, conformemente ad un proprio precedente179, sottolinea che, nel caso in cui vi sia minaccia di un male verso la vittima, il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione riguarda il diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua influenza sulla vittima. Si configurerà, infatti, il reato di truffa180 qualora il male venga prospettato alla vittima come possibile ed eventuale e, comunque, non proveniente, direttamente o indirettamente, dall’agente. Così che la volontà della persona offesa non sia coartata, ma decida di eseguire la prestazione perché il reo gli prospetti un pericolo inesistente. Si configura, invece, l’estorsione quando il male viene indicato come certo e realizzabile dal reo o da altri, poiché in tal caso la persona offesa ha l’alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto ovvero di subire il male minacciato181. La vittima di una truffa, non potrà considerarsi coartata nelle intenzioni, e sarà, piuttosto, indotta in errore, in quanto gli sia rivolta la minaccia di un pericolo inesistente e creato mediante artifizi o raggiri. Invece vi sarà reato di estorsione qualora il male minacciato venga prospettato come certo e realizzabile dal reo o
179 Cass. pen., sez. II, 21 ottobre 2015, n. 46084, Giust. Pen., 2015, 213.
180 Art. 640 c.p.: Xxxxxx: chiunque, con artifizi o raggiri , inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro:
1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare (c.p.m.p. 162, 32quater);
2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità;
2 bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante.
181Cass. pen., 18.04.2017, n.21974, Rep. Foro it., voce Xxxxxxxxxx, n.8 secondo cui: “integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l’effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell’agente, quanto che questa rappresentazione sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa, ancorché in contrasto con la realtà, a lei ignota”. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la configurazione del delitto di tentata estorsione aggravata da parte della Corte territoriale nella condotta dell’imputato che aveva prospettato ai familiari del defunto la mancata restituzione della salma trafugata dal cimitero, qualora non fosse stato pagato un riscatto, nonostante non avesse in realtà la disponibilità della bara).
da altri e la persona offesa sarà posta davanti all’alternativa tra il versamento del denaro richiesto o il subire il male minacciato.
Dunque, nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che si fosse verificato un reato di estorsione in quanto gli imputati, mediante le loro condotte, non avevano evocato un pericolo inesistente, ma seri atti di danneggiamento che sarebbero stati certamente commessi qualora il denaro richiesto non fosse stato loro corrisposto.
La truffa è il tipico delitto fraudolento contro il patrimonio, è la frode per eccellenza. La peculiarità di detto delitto consiste nell’inganno da parte del truffatore con cui il medesimo consegue un profitto xxxxxxxx ed illecito inducendo la vittima a compiere od omettere uno o più atti, che compromettano e riducano in modo rilevante il patrimonio della stessa
Un’altra distinzione rilevante è quella tra il reato di xxxxxx000 e quello di estorsione: il confine tra i due delitti contro il patrimonio è molto sottile perché entrambi i reati presuppongono l'utilizzo della violenza e della minaccia, ma il Supremo Consesso183 ha individuato la distinzione tra i delitti in parola ritenendo che "per la sussistenza del delitto di
182Art.628 c.p. Rapina: chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia o si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e con la multa da 927 euro a 2.500 euro. Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità. La pena è della reclusione da cinque anni a venti anni e della multa da 1.290 euro a 3.098 euro:
1) se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite;
2) se la violenza consiste nel porre taluno in stato d’incapacità di volere o di agire;
3-bis) se il fatto è commesso nei luoghi di cui all’articolo 624-bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;
3-ter) se il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto;
3-quater) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro;
3-quinquies) se il fatto è commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne. Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’articolo 98, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti. Se concorrono due o più delle circostanze di cui al terzo comma del presente articolo, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell’art. 61, la pena è della reclusione da 6 a 20 anni, e della multa da euro 1.538 a ero 3.098
183 Cass. pen., 14 marzo 2013, n. 11909.
estorsione non si richiede che la volontà del soggetto passivo, per effetto della minaccia, sia completamente esclusa, ma che residuando la possibilità di scelta tra accettare le richieste dell'agente o subire il male minacciato, la possibilità di autodeterminazione sia condizionata dal timore di subire il pregiudizio; se la minaccia, viceversa, si risolvesse in un costringimento psichico assoluto, cioè in un annullamento di una qualsiasi possibilità di scelta, ed il risultato dell’agente fosse il conseguimento di un bene mobile, si configurerebbe un vero e proprio impossessamento e il diverso reato di rapina". Ciò significa che nell'ipotesi in cui al soggetto passivo potrà scegliere tra la sua volontà e subire la minaccia, l'agente risponderà del reato di estorsione, mentre quando il minacciato non abbia alcuna possibilità di autodeterminarsi e la condotta del reo fosse incentrata sul bene mobile, quest'ultimo risponderà del reato di rapina, il quale si differenzia dall’estorsione laddove il rapinatore sottrae la cosa al proprietario esercitando sulla vittima una violenza o una minaccia diretta ed ineludibile, allorquando l’estorsione è caratterizzata dalla coartazione della volontà della vittima, ma non dall’annullamento totale della capacità del soggetto passivo di autodeterminarsi, ossia nell'estorsione il soggetto passivo, benché coartato, partecipa alla condotta criminosa ponendo in essere l'atto di disposizione patrimoniale che rappresenta l'ingiusto profitto184. Invece, nella rapina, la vittima subisce, passiva ed impotente, la violenza esercitata su di lui dal rapinatore su e, quindi, il reato si consuma a prescindere dalla cooperazione della persona offesa. Inoltre l'ingiusto profitto costituisce oggetto del dolo specifico della rapina, mentre esso è parte dell'elemento materiale nel reato di estorsione185. “Quando la violenza e/o la minaccia, anche se particolarmente intense o gravi, siano effettuate al solo fine di esercitare un preteso diritto, pur potendo l’agente ricorrere al giudice, non è configurabile l’estorsione bensì l’esercizio arbitrario delle
184 Cass. pen., 19 aprile 2012, n. 14880.
185 X. XXXXXXXXX, Estorsione, Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 7.
proprie ragioni ex art. 393 c.p. […] se la violenza e/o la minaccia, anche se particolarmente intense o gravi, siano effettuate al solo fine di esercitare un preteso diritto, pur potendo l’agente ricorrere al giudice, non è mai configurabile il diverso delitto di estorsione che ha presupposti giuridici completamente diversi”186. La sentenza citata abbandona l’orientamento giurisprudenziale secondo cui si configura il più grave delitto di estorsione quando la violenza o la minaccia siano talmente gravi da esorbitare dal livello ragionevolmente compatibile con l'esercizio, seppur arbitrario, delle proprie ragioni, presentandosi come del tutto sproporzionate rispetto al fine del conseguimento del preteso diritto187. La Suprema Corte richiama un orientamento più risalente secondo il quale l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni attuato con violenza verso le persone e l'estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identico, ma per l'elemento intenzionale, non essendo in alcun modo rilevante, l'intensità e/o la gravità della violenza o della minaccia. Nell'estorsione il soggetto passivo è costretto, con violenza o minaccia, a fare o ad omettere quanto imposto dall'agente, il quale consegue un ingiusto profitto.
La fattispecie dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone ha in comune con il reato di estorsione le modalità alternative della condotta, violenza o minaccia188. Sono diversi gli elementi costitutivi della fattispecie: il fine di far valere un preteso diritto; la possibilità di ricorrere al giudice; l'esercizio
186 Cass. pen., 19.12.2013, n. 00000, Xxx. nel diritto, 2014, 314.
187 X. XXXXXXXXXX BOY-X. XXXXXXX, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, in (diretto da)
X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXX, Trattato di diritto penale. Parte speciale, Milano, 2010, 633.
188 Cass. pen., 12.05.2017, n. 26235, Rep. Foro it., 2017, voce Xxxxxxxxxx, n.4 secondo cui:“è configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, nei confronti del creditore che, a fronte di un’iniziale pattuizione usuraria, contraddistinta da prestiti successivi gravati da interessi parimenti illeciti, si rivolga al debitore con violenza o minaccia per ottenerne la restituzione, a meno che risulti inequivocabilmente accertato l’intervento, prima dell’esercizio della violenza o della minaccia, di una totale novazione del rapporto tra le parti, con sostituzione, rispetto al credito originario, della pretesa della sola somma capitale ovvero di altra somma gravata da interessi legittimi”.
11. Le ipotesi di estorsione aggravate dall’art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. l. 12 luglio 1991 n. 203.
Introdotto allo scopo di offrire una più efficace risposta all’ esigenza di contenere il dilagante fenomeno del crimine organizzato nelle sue variegate forme di estrinsecazione, l’art. 7, d.l. n. 152 del 13 maggio 1991, prevede una circostanza aggravante ad effetto speciale e, in particolare, stabilisce che “per i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà”.
Dal 1991 ad oggi, l’operatività della circostanza in parola ha assistito ad un notevole incremento operativo.
Essa prevede un aggravamento della pena per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis c.p., che incrimina le associazioni di tipo mafioso anche straniere per fatti commessi al fine di agevolare l’attività delle medesime associazioni.
La norma contempla due ipotesi distinte ma logicamente connesse tra loro: la prima, a carattere oggettivo, ricorre quando uno o più persone delinquono con metodo mafioso, ponendo in essere una condotta che esercita coartazione psicologica nei confronti della vittima, anche su un numero indeterminato di persone, con i caratteri propri dell’intimidazione delle organizzazioni criminali di tipo mafioso; la seconda ipotesi, di tipo soggettivo, attiene alla volontà di favorire e di facilitare, con il delitto posto in essere, l’attività del gruppo, ammettendo, quindi, che il reato sia commesso con il fine di agevolare
189 M. C. UBIALI, Sui rapporti tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone: un revirement giurisprudenziale, xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 13 febbraio 2014.
l’attività di un’associazione di tipo mafioso, la cui esistenza è reale e non supposta190.
Con la sentenza del 2001194, le Sezioni Unite della Cassazione hanno risolto il contrasto interpretativo sorto fra le sezioni semplici affermando che l’aggravante “è applicabile a tutti coloro che ne realizzino gli estremi, siano essi partecipi al sodalizio mafioso, siano essi estranei, in particolare per i soggetti qualificanti l’aggravante è operante anche per i reati fine”.
Ma qualora il soggetto non è inserito in tali organizzazioni, “è necessario che il ricorso al metodo mafioso sia accertato con maggiore
190Cass. pen., 18 marzo 1994, n. 1327; Cass. pen., S.U., 28 marzo 2001, n. 10; Cass. pen., 14 ottobre
2015, n. 45321.
191Cass. pen., 13 marzo 2014, n. 17879 secondo cui “non richiede necessariamente la sussistenza di una compagine mafiosa o camorristica di riferimento non solo quando è contestato l’utilizzo del metodo mafioso, ma neppure quando è addebitata la finalità agevolativa, anche se, in questa seconda evenienza, occorre che lo scopo sia quello di contribuire all’attività di un’associazione operante in un contesto di matrice mafiosa, in una logica di contrapposizione tra gruppi ispirati da finalità di controllo del territorio con le modalità tipiche previste dall’art. 416bis c.p.”.
192 X. XXXXXXXX, Condotte estorsive, Milano, 2013, 194.
193Cass. pen., 5 marzo 2004, n. 22629; Cass. pen., 30 aprile 2015, n.47588, secondo cui “la configurabilità della circostanza aggravante prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, conv. in legge 12 luglio 1991 n. 203, nella forma del «metodo mafioso», è subordinata alla sussistenza nel caso concreto di condotte specificamente evocative della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo, non potendo essere desunta unicamente dalla peculiare carica di intimidazione connessa allo strumento prescelto dal reo (nel caso di specie, la condotta degli agenti si era sostanziata nell’attentato ai danni dei mezzi operativi presenti nel cantiere della persona offesa)”
194 Cass. pen., SS.UU., 28 marzo 2001, Foro it., n.5, 2002, 197 ss.
Il metodo mafioso si caratterizza da una parte per la carica intimidatrice usata dall’agente tipica del vincolo associativo e della temibilità dei suoi membri, di incutere timore nel contesto in cui opera con ritorsioni, rappresaglie o atti di coercizione fisica e dall’altra, per la condizione di assoggettamento, ossia la convinzione di essere esposti ad un concreto pericolo e per l’omertàà, cioè la reticenza, la tacita connivenza o la solidarietàà che l’organizzazione mafiosa determina nell’ambiente sociale nel quale si sviluppa197. L’omertàà genera il rifiuto di collaborare con lo Stato non solo per la paura di eventuali ritorsioni ma anche perché si ritiene che queste siano impedite dalla forza e dalla ramificazione del gruppo che garantisce protezione.
L'aggravante si applica anche a prescindere dall’appartenenza mafiosa ai sensi del 416 bis che prevede l’applicazione dell’aggravante di cui all’art.628 c.p., comma 3198 perché quello che occorre è l’effettivo utilizzo del metodo mafioso. È compatibile anche con l’aggravante di cui all’art. 628 c.p., comma 2, la quale rinvia all’art.628 c.p. nella violenza o minaccia posta in essere da soggetto appartenente ad
195 Cass. pen., 14 ottobre 2015, n.45321.
196 Cass. Pen., 17 maggio 2002, n.30246, Cass. Pen., 2004, 93.
197 Cass. pen., 31 gennaio 1996, n. 7627; Cass. pen., 11 gennaio 2000, n. 1612.
198 Cass. pen., 7 dicembre 2011, n.510 in CED Cass., n. 251769.
organizzazione mafiosa, perché anche in questo caso è necessario accertare in concreto le modalità di esercizio della violenza o minaccia secondo modalità di tipo mafioso199. Infatti in altre pronunce la Cassazione ha affermato che l’applicazione dell’aggravante è subordinata alla sussistenza, nel caso concreto, di condotte specificatamente evocative di forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo e non dalle mere caratteristiche soggettive di chi agisce, anche in concorso, idonee a determinare una condizione di assoggettamento e di omertà200.
La Suprema Corte ha esteso l’operatività dell’aggravante a tutti i reati fine commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso e comunque rispetto ad ogni altro tipo di delitto, punibile con pena diversa dall’ergastolo, commesso avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso201.
199 Cass. Pen., 18 ottobre 2007, n.43663, Cass. pen., 2008, 4180. 200 Cass. pen., 23 settembre 2010, n.37030, CED Cass., n.248657. 201 Cass. pen., 10 aprile 2008, n.15497, Cass. Pen., 2008, 4133.
CAPITOLO II L’ESTORSIONE CONTRATTUALE
1. L’estorsione contrattuale
L’estorsione nella sua forma contrattuale è l’argomento centrale della trattazione in rassegna. Si vuole, dunque, in questa sede, compiere una più dettagliata analisi del fenomeno in parola, che vede il diritto penale intersecarsi e, per certi aspetti, sovrapporsi, alla disciplina civilistica, intesa a regolare l’autonomia privata contrattuale (artt. 1322 ss. c.c.). Il reato di estorsione è sovente perpetrato attraverso lo strumento contrattuale, segnatamente tramite i contratti a prestazioni corrispettive, in relazione ai quali la manifestazione del consenso delle parti alla stipula dell’accordo è fortemente correlata, potendo le rispettive volontà condizionarsi a vicenda.
Infatti, elemento costitutivo di tale tipo contrattuale è il sinallagma, il nesso di reciprocità202.
La condotta dell’estorsore è qualificabile come antigiuridica in quanto il medesimo, tramite minacce o violenza, costringe il soggetto passivo a concludere un contratto, per sé sfavorevole, che non avrebbe concluso se fosse stato libero da condizionamenti.
202 A. TORRENTE - X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, Milano, 2015, 521.
203 X. XXXXX, Il delitto di estorsione, Milano,1966, 125 ss.
204 V. Cap. II, par. 6.
Trattasi, invero, di un punto controverso. Non è, infatti, individuabile un indirizzo giurisprudenziale omogeneo sul tema dei requisiti e dei presupposti dell’estorsione contrattuale. Le pronunce del giudice con funzione nomofilattica sul punto sono difformi; nel configurare la struttura e nell’individuare i requisiti costitutivi del reato di estorsione contrattuale, infatti, la Cassazione adotta criteri diversi.
Un primo orientamento del giudice di legittimità208 ritiene che il reato in parola sia integrato solo allorquando la prestazione dovuta dal reo non venga eseguita, ovvero ove essa sia divenuta inutile per la vittima.
205 Cass. 30 aprile 1984, in Cass. pen., 1982, 62; Cass. 7 marzo 1979, in Cass. Pen., 1980, 1277 e Cass. 22 novembre 1976, in Giust. pen., 1977, II, 712 osservano che il reato di violenza privata ha carattere generico e sussidiario per cui esso va escluso e vi è invece estorsione se la violenza è usata per procurarsi un profitto ingiusto.
206 Cass. pen., 11 maggio 2007, n.27257; Cass. pen., 11 luglio 1986, n.7390.
207 X. XXXXXX - X. XXXXXXXXXXX, Trattato di diritto penale, Reati contro la persona e il patrimonio, VII, Torino, 2015, 502.
208 Cass. pen. 11 luglio 1990, in Foro it., 1991, II, 151.
Secondo altro - meno rigoroso – orientamento209, il reato sussisterebbe anche in assenza dello squilibrio del sinallagma; esso, pertanto, si verificherebbe per il solo fatto che l’estorsore attraverso la sua condotta, violenta o minacciosa, costringa la vittima ad un comportamento che la stessa, altrimenti, non avrebbe tenuto, essendo, dunque, violata e distorta la sua autonomia negoziale.
Si contrappongono, ancora, due distinti orientamenti, quanto all’evento che debba derivare dalla condotta tipica: uno di carattere soggettivo e personalistico e l’altro di carattere oggettivo ed economico.
Il primo210, attribuisce massima rilevanza all’entità della lesione – e, dunque, della limitazione - dell’autonomia privata subita dalla vittima e della sua stessa libertà di autodeterminazione nell’ambito della gestione dei propri interessi e del proprio patrimonio nel modo della medesima ritenuto più opportuno e conveniente in relazione alla situazione contingente in cui egli si trova, senza che rilevi anche l’effettivo danno patrimoniale, cioè quello economicamente valutabile, solitamente derivante da un negozio giuridico svantaggioso.
Tale ultimo orientamento, secondo taluno in dottrina211, porterebbe a ritenere che persino il caso – si potrebbe ritenere, di scuola - in cui la vittima, non solo non subisca danno, ma consegua addirittura un vantaggio dalla stipula del contratto (in quanto, per esempio, la prestazione offerta alla vittima abbia un valore superiore a quello di
209 Cass. pen. 14 marzo 2001, in Riv. pen., 2001, 554.
210Cass. pen., 5 febbraio 2001, n.10463, in Riv. Pen., 2001, 554; Cass. pen., 28 novembre 2013, n.
48461; Cass. pen., 14 novembre 2008, n.46058. Secondo Xxxx. pen., 10 luglio 1998, n.8309 colui che sia stato privato illecitamente di un bene conserva il diritto alla restituzione di esso e l’aspettativa morale per cui, la richiesta di denaro in cambio dell’adempimento dell’obbligo di restituire incombente sull’agente condiziona la libertà di determinazione del soggetto passivo e, quindi, costituisce una forma di minaccia che realizza il reato dio estorsione contrattuale. Si vedano anche Cass. pen., sez. I, 30 aprile 1982, Cass. pen., 1984, 62 secondo la quale “l’estorsione contrattuale o negoziale può consistere anche nella sola assunzione dell’obbligazione di effettuare una prestazione economica, a nulla rilevando l’entità della controprestazione o la circostanza che il soggetto passivo sia, o sia stato, vincolato con altri soggetti in un rapporto contrattuale di analogo contenuto oggettivo”. Xxxx. xxx., 18 gennaio 2007, n.12874.
211L. BARILLÀ, Estremi del danno e del profitto e limiti di configurabilità della c.d. estorsione contrattuale, Dir. pen. e proc., 2003, 1537 ss.
mercato) integrerebbe gli estremi del reato in rassegna, essendo il danno da considerarsi in re ipsa212.
Lo squilibrio sinallagmatico, pertanto, sarà identificabile in tutti i casi nei quali il comportamento minaccioso e/o violento dell’estorsore comprima o, quantomeno, condizioni gravemente, la libertà negoziale, l’autonomia privata e di autodeterminazione della vittima, la quale ultima è costretta a concludere un contratto che non avrebbe stipulato se non vi fosse stata costretta.
212Cass. 30 aprile 1982, Cass. pen., 1984, 62; X. XXXXXXX, op. cit., 1537. Cass. pen. 28 novembre 2013, in CED, 2013/48461; Cass. pen., 25 gennaio 2012, in CED, 2012/9185; Cass., 31 marzo 2010, in CED 2010/18722; Cass. Pen., 14 novembre 2008, in CED 2008/46058. Cass. pen., sez. VI, 14 marzo 2001, in Riv. pen., 2001, 554. È questo il caso in cui un ristoratore è stato costretto a recedere da un precedente contratto di locazione di videogiochi e a stipulare un nuovo contratto, in cui addirittura è stata esclusa la necessità di accertare il costo della prestazione alla quale il soggetto è stato costretto ad accettare con la forza dall’agente, il quale è un membro appartenente ad un’associazione camorristica. Cass. pen. 14 marzo 2001, Riv. Pen., 2001, 554 ss; Cass. 5 febbraio 2001, Cass. Pen., 2002, 235; Cass. Pen. 14 novembre 2008, n.46048, Riv. Pen., 2009, 1809. In dottrina, X. XXXXXXX, op. cit., 1537, X. XXXXXXXXXX - X. XXXXXXX, Trattato di diritto penale, parte Speciale, I delitti contro il patrimonio. VIII, a cura di X. XXXXXXXXX - X. XXXXXXX, Padova, 2010, 580.
213Cass. pen., 28 novembre 2013, in CED n.48461 del 2013; Cass. pen., 25 gennaio 2012 in CED n. 9185, 2012; cass. pen., 14 novembre 2008, in CED n.46058, 2008; xxxx. xxx., 5 febbraio 2001, Riv. Pen., 2001, 554; cass. pen., 30 aprile 1982, in CED n.10703 del 1982. Per il caso in cui l’estorsione contrattuale si realizzi tramite cambio di assegni vedi Cass. pen., 31 marzo 2010,in CED n.18722, 2010. 214G. LA CUTE, Truffa (diritto vigente), in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, 262 ss.
L’estorsione nell’accezione in rassegna ha rappresentato un fenomeno di forte risonanza sociale.
L’integrità del patrimonio, così ampiamente intesa e tutelata215, parrebbe implicare che un qualsiasi danno ad essa arrecato vada sanzionato216 e debba essere inteso non solo nella sua consistenza economica, ma anche come diritto di decidere liberamente di instaurare rapporti commerciali con terzi, facendo affidamento sulla veridicità delle dichiarazioni da loro espresse.
Conformemente a questo indirizzo, la Suprema Corte217 ha rilevato che integra estorsione qualsivoglia comportamento che costringa la vittima ad eseguire un qualunque tipo – ancorché non patrimoniale - di prestazione utile alla controparte od a terzi. L’ingiustizia del danno e del profitto non è necessariamente fondata su una valutazione esclusivamente economica dell’interesse leso218.
L’accoglimento di tale ultima impostazione porta a ritenere significativo anche il valore ideale, e non economico, di un bene: vi potrà essere estorsione, dunque, anche allorquando chi agisca sia consapevole del fatto che danneggerà la controparte, esemplificativamente, anche privandola della propria amicizia, ovvero abbandonandola, ovvero ancora, tradendola; in sintesi, danneggiandola. In tale ultima ipotesi, il reato dovrà ritenersi configurato in quanto l’agente abbia strumentalizzato la situazione di debolezza e vulnerabilità della vittima allo scopo di ottenere vantaggi indebiti e che non avrebbe, invece, conseguito se non avesse assunto detto atteggiamento, a ciò non ostando l’irrilevanza giuridica del sentimento affettivo219. Xxxxxx, a tale ultimo proposito, lo stato psicologico e socio- economico della vittima.
215 X. XXXXXXXXXX, Manuale di diritto penale, Parte Speciale, Roma, 2003, 47; X. XXXXX, I delitti contro il patrimonio, Torino, 2009, 193.
216 X. XXXXX, op. cit., 194; Cass. 4 maggio 1982, n.2765, in Giust. Civ., 1982, 1745 ss.
217 Cass. pen., 14 aprile 1983, n. 3110, in Rep. Xxxx xx., x. Xxxxxx, x.00.
218 Cass. pen., 14 novembre 2008, n. 46058.
219 Cass. pen., 24 ottobre 2007, n. 35484, in Cass. pen., 2007, 78.
Talune pronunce di legittimità220 hanno ritenuto che il delitto di estorsione contrattuale possa configurarsi a prescindere dall’entità e dall’effettiva convenienza dell’obbligazione che la vittima sia stata indotta ad assumere, ancorché la prestazione eseguita sia di valore congruo rispetto alla controprestazione, ovvero se quest’ultima sia per la vittima oggettivamente inutile221, ed anche nel caso in cui la vittima si fosse già vincolata con terzi in virtù di un distinto ma analogo contratto.
In linea con l’impostazione sin qui delineata, si deve ritenere che l’estorsore che abbia costretto altri a concludere un contratto debba essere sanzionato, non solo per il danno patrimoniale (o di altra natura) cagionato, ma anche ove egli abbia meramente determinato il pericolo che detto danno si potesse verificare; rileva, cioè, anche il danno meramente potenziale. Pertanto, si può concludere che l’estorsione contrattuale costituisce un reato di pericolo.
Non vi sarà, al contrario, estorsione contrattuale e, dunque, l’autonomia privata del soggetto passivo non si riterrà violata, allorquando il medesimo, allo scopo di conseguire il bene derivante dalla conclusione di un contratto, si determini liberamente (id est: senza subire alcuna costrizione) ad aderire alle condizioni contrattuali stabilite dalla controparte. Ciò anche ove esse siano vessatorie, inique e molto onerose per sé. Parimenti, non saranno integrati gli estremi dell’estorsione contrattuale ove la parte possa rifiutarsi di concludere l’accordo senza patire alcun danno222. Per quanto svantaggiosa, la debenza della prestazione è stata accettata e voluta dal contraente: la
220 Cass. 30 aprile 1982, in Cass. pen., 1984, 62. In senso conforme Cass. 24 giugno 1966, in Cass. pen. 1967, 1240, nella quale pronuncia si precisa che l’azione od omissione del soggetto passivo possono riguardare anche solo un atto giuridico.
221 X. XXXXXXXXX, Diritto penale, Parte Speciale, 2015, 37; X. XXXXXXX, op. cit., 1544; Cass. pen., sez. V, 11 luglio 1990, in P. PISA, Giurisprudenza commentata di diritto penale, I, Delitti contro la persona, il patrimonio e in materia di stupefacenti, Padova, 1999, 449. È questo il caso in cui un imprenditore ha assunto un dipendente secondo un’equa retribuzione, ma la prestazione non viene fornita o è ritenuta inutile per il soggetto passivo.
222 Cass. pen., 26 settembre 1996, in Cass. pen., 1997, 3014.
Ove, rispetto alla fattispecie delineata dall’art. 629 c.p., non ricorra l’elemento della lesione del patrimonio, non si riterrà integrato il delitto in rassegna, bensì il diverso reato di violenza privata (art. 610 c.p.)224. È opportuno evidenziare che taluni hanno osservato che l’estorsione contrattuale integrerebbe una forma di “depatrimonializzazione” dell’estorsione allo scopo di rafforzare la tutela della vittima quando la volontà della stessa sia coartata225. Tale fenomeno determinerebbe una sovrapposizione del reato di estorsione con quello di violenza privata. Ancora, in linea con il predetto più ampio indirizzo, si deve ritenere si sia in presenza di un fatto di estorsione anche ove l’agente eserciti un proprio diritto ovvero si avvalga di un istituto sostanziale o processuale per scopi diversi da quelli tipici, cagionando un danno alla controparte, e conseguendo, tramite violenza o minaccia 226, un profitto ingiusto227, provocando un consistente decremento del valore del patrimonio della vittima228.
223 Cass. pen., 24 giugno 2010, n. 32145.
224 X. XXXXXXX, cit., 1537; MEZZETTI, Reati contro il patrimonio, in Trattato di diritto penale, (a cura di) C.F. GROSSO - X. XXXXXXXX - X. XXXXXXXX, Milano, 2013, 91.
225 A. CADOPPI - X. XXXXXXXXXX - A. MANNA - X. XXXXX, Trattato di dir. pen., Parte Speciale, X, I delitti contro il patrimonio, Torino, 2011, 255 ss.
226 X. XXXXXXX, cit., 1544; Cass. pen., 13 marzo 2002, n.36942, Riv. Pen., 2005, 86; Cass. Pen., 11
febbraio 2002, n.5426; Cass. Pen., 31 marzo 2008, n.16658.
227 Sul rapporto di lavoro a costo irrisorio vedi X. XXXXXXX, nota a sentenza Xxxx. pen., 5 novembre 2007 n. 36642, in Riv. it. Dir. lav., 2008, 359; in Mass. Xxxx. lav., 2007, 854; Cass. pen., 24 gennaio 2003,
n.3779; Cass. pen., 11 febbraio 2002, n.5426; Cass. pen., 21 dicembre 2009, Cass. pen., 2010, 34.
228Cass. pen., sezione II, 29 febbraio 2016 n. 8096.
229 Cass. pen., 2 novembre 1999, n.12444.
Si pensi, esemplificativamente, al caso in cui un avvocato xxxxxxx l’esercizio di un’azione legittima in quanto intesa a far valere un diritto giusto, spettante al suo cliente: essa viene a qualificarsi, tuttavia, illecita allorquando il medesimo abusi della tutela giurisdizionale per scopi diversi da quelli per i quali detta tutela è garantita; o ancora, quando il professionista paventi consapevolmente iniziative giudiziarie, sebbene in apparenza legittime, allo scopo di ottenere somme di denaro non dovute o di importo ictu oculi sproporzionato rispetto a quello spettante. Difatti, in tale ultimo caso il carattere pretestuoso della richiesta determinerebbe un danno ingiusto231.
I casi sin qui esemplificati si classificano nell’ambito della fattispecie del c.d. negozio o procedimento indiretto, di cui il negozio in frode alla legge è l’applicazione più nota.
Come pure si realizzerà la fattispecie del reato di estorsione e vi sarà squilibrio tra le prestazioni del contratto concluso e violazione dell’autonomia privata e della libertà negoziale della vittima, allorquando l’agente minacci di astenersi dallo svolgere un’attività dovuta, non impedendo un danno che egli avrebbe l’obbligo giuridico di evitare232; oppure al compimento della quale si sia impegnato contrattualmente, così danneggiando la controparte.
230 Cass. pen., 6 febbraio 2008, n.12082. Si veda Cass. pen., 12 aprile 1984, n. 8731, secondo la quale vi è estorsione contrattuale quando l’agente paventi la presentazione di una denuncia, una querela, o di un atto di citazione, allo scopo di conseguire un profitto ingiusto piuttosto che conseguire il riconoscimento di un diritto che gli spetti.
231 Cass. pen., 29 novembre 2012, n.48733; Cass. pen., 7 maggio 2013, n.36365.
232L. XXXXX, op. cit., 998, X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 161; X. XXXXXXXXX, op. cit., 195; X. XXXXXX, op. cit., 228, X. XXXXXXXX, op. cit., 202.
Altro orientamento235., contrapposto a quello sinora esposto, appare più restrittivo, precisando in modo più puntuale i requisiti costitutivi della fattispecie criminosa oggetto del presente lavoro, con l’effetto di comprimere l’ambito applicativo del reato. Tale orientamento presuppone una concezione economica del patrimonio, in base alla quale esso consisterebbe nel complesso dei rapporti giuridici valutabili economicamente riferibili ad un soggetto.
L’estorsione contrattuale si realizzerebbe, dunque, solo allorquando la costrizione patita dalla vittima, tramite violenza o minaccia, affinché la stessa concluda un contratto o, più in generale, ponga in essere un negozio giuridico, si traduca nella perdita di un diritto o nell’assunzione di un’obbligazione, verificandosi, così, un concreto danno di natura patrimoniale - suscettibile di valutazione economica – per la vittima stessa.
Ciò avviene quando la prestazione imposta alla vittima sia eccessiva, palesemente sproporzionata rispetto a quella eseguita dall’estorsore oppure non dovuta al medesimo. Trattasi, in altre parole, di casi in cui vi è grave ed evidente asimmetria sinallagmatica.
Invero, costituisce minaccia, poiché produttiva di “metus”236, anche la pretesa da parte del titolare di un diritto di credito di una somma di molto superiore rispetto a quella che costituisce l’ammontare del
233 Cass. pen., 3 dicembre 1893, n.10398.
234 Cass. pen., 23 aprile 2008, n.19711.
235 F. ANTOLISEI, op. cit., 272; X. XXXXXXX, In tema di condotta e danno nel reato di truffa, Indice Pen., 1977, 117; T. XXXXXX, Il momento consumato della truffa, in Giur. Compl. Cass. pen., 1944, 68.
236 G. L. GATTA, op. cit., 17.
credito originario. Il legittimo diritto di credito viene strumentalizzato per uno scopo contra ius237.
Elemento costitutivo della fattispecie è, dunque, l’evento dannoso di natura patrimoniale.
Danno e profitto ingiusti vanno rispettivamente intesi come riduzione ed incremento della capacità del patrimonio medesimo di realizzare o soddisfare necessità materiali del titolare.
237 Cass. pen., 16 settembre 2010, n.33741, Massimario, 35/2010.
238 Cass. 14 marzo 2001, n.10463, in Giurisprudenza it., 2001, 554.
239 F. ANTOLISEI, op. cit., 281; X. XXXXXXX, op. cit., 117; X. XXXXXXXX, op. cit., 23; X. XXXXXXX, op. cit.,
1544.
240 X. XXXXXX, op. cit., 23.
241 X. XXXXXXXX, op. cit., 1445.
1.1. L'estorsione e il contratto di locazione
Si vuole, a questo punto, esaminare una fattispecie estorsiva di natura contrattuale molto diffusa nella prassi. Trattasi, segnatamente, dell’estorsione attuata mediante un contratto di locazione.
Un’importante pronuncia di legittimità243, che ha rappresentato un precedente nella materia in esame, considerò colpevole di estorsione il proprietario di un immobile che aveva imposto un canone di importo decisamente più elevato di quello consentito dalla legge 27 luglio 1978
n. 392, legge c.d. sull’equo canone, approfittando della circostanza che il conduttore avesse urgente bisogno di un’abitazione.
Tuttavia, l’esito al quale detta pronuncia è approdata sembrerebbe sollevare talune perplessità, potendosi obiettare che il rifiuto di concludere il contratto non si possa ritenere in modo assoluto un diritto spettante al proprietario, rappresentandone una manifestazione della propria autonomia privata244. In particolare, come è stato, peraltro osservato anche in sporadica giurisprudenza245, si potrebbe certamente ritenere configurata la fattispecie estorsiva, ove il proprietario medesimo non adempia alle obbligazioni derivanti da un contratto già concluso, ma altresì qualora il proprietario minacciasse di abbandonare le trattative già in corso, sfruttando, allo scopo di conseguire un fine ingiusto, la posizione di aspettativa già maturata dal locatore.
242 Tra le tante Xxxx. pen., 25 luglio 1991, Riv. pen., 1992, 34.
243 Cass. pen., 26 settembre 1983, Cass. pen., 1985, 639; Cass. pen., 16 novembre 1983, CED n.161556,
1983. Cass. pen., 28 marzo 1984, Giust. Pen., 1985, II, 165; cass. 8 marzo 1986, Cass. pen., 1988, 597.
244 Cass. pen., 6 dicembre 1983, Cass. pen., 1985, 340.
245 Cass. pen., 24 aprile 1980, Riv. Dir. proc. pen., 1980, 10445 ss, con nota di X. XXXXXXXX, Estorsione mediante minaccia di comportamenti omissivi?; Cass. pen., 6 marzo 1989, in Riv. pen., 1990, 324; Cass. pen., 26 settembre 1983, Riv. pen., 1984, 808; X. XXXXXXXXXXX Xxxx. pen., 21 aprile 1997, Arch. loc., 1997, 779; X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 153.
La giurisprudenza246 ha, in effetti, in alcune pronunce, evidenziato la rilevanza dell’autonomia privata nei rapporti contrattuali tra privati in quanto riconosciuta e tutelata dagli artt. 24 e 41 della Costituzione ed essendo un principio fondamentale dell’ordinamento.
Tale orientamento giurisprudenziale ha, poi, subito modifiche, laddove è stato in talune occasioni ritenuto247 che, in virtù del principio di autonomia contrattuale, non vi è estorsione allorquando il locatore pretenda un canone illegittimo nel suo ammontare, minacciando di rifiutarsi di stipulare il contratto. Detta condotta, difatti, non costituirebbe una costrizione avverso il soggetto passivo ove il proprietario non compia atti specifici e concreti che coartino la volontà del conduttore, allo scopo di conseguire un profitto ingiusto come conseguenza della minaccia usata dall’agente per costringere il conduttore a versare una somma indebita248.
La giurisprudenza249 rimarca che per realizzare un fatto di estorsione contrattuale non basta che il proprietario eserciti una pressione generica o faccia proposte esose od ingiustificate, ma è altresì necessario che l’agente agisca in modo tale da indurre la controparte a tenere un determinato comportamento, non essendo, in tal senso, la stessa libera di non accogliere la proposta e sia, piuttosto, costretta ad accettarla, non essendole prospettata alcuna alternativa se non l’assecondare le pretese del locatore ovvero subire un danno diretto ed immediato.
246 Cass. pen., 6 dicembre 1983, in Cass. pen., 1985, 340; Cass. pen., 8 marzo 1986, in Cass. pen., 1988,
597. Sull’esigenza di rispetto dell’autonomia privata e l’estorsione vedi anche Cass. pen., 16 ottobre 1990, in Riv. pen., 1993, 52.
247 Xxxx. xxx., 6 marzo 1989, in Cass. pen., 1990, 1728; Cass. pen., 16 marzo 1989, in Riv. Pen., 1990,
560.
248 Cass. pen., 7 settembre 1989, n. 11641; Cass. pen., 6 marzo 1989, in Cass. pen., 1990, 1728; X. XXXXX, I delitti contro il patrimonio mediante violenza alle persone, Torino, 2009, 168.
249 Cass. pen., 7 novembre 2002, n. 13043, in Cass. pen., 2003, 1905; Cass. pen., 11 ottobre 1997, n.
9210
250 Cass. pen. 13 maggio 1980 n. 5972.
Questa pronuncia si colloca nel quadro di una matrice giurisprudenziale che ritiene le richieste del proprietario di conseguire somme superiori o ulteriori rispetto a quelle indicate dagli accordi contrattuali o convenzioni edilizie non integrino necessariamente il reato di estorsione contrattuale, ove non vi sia un quid pluris idoneo a qualificare la condotta in termini di minaccia251.
Si può ritenere elemento integrativo qualificante la prospettazione della mancata conclusione del contratto, all’esito di avanzate e concrete trattative, qualora il conduttore non versi le predette somme eccedenti l’importo ordinario, o, comunque, già concordato con il proprietario252. Più precisamente, il Supremo Collegio253 ha, in risalenti pronunce, osservato che il reato di estorsione si configura altresì in quei casi nei quali una dietro un’apparentemente legittima prospettazione si celi una vera e propria intimidazione, essendo la stessa finalizzata non all’esercizio di un diritto, bensì alla coartazione della volontà altrui allo scopo di conseguire un profitto indebito, nell’an o nel quantum.
Nell’ambito del contratto di locazione, il delitto si configurerà ove il locatore imponga al conduttore la corresponsione di un canone di locazione per un importo eccedente i limiti imposti ex lege con la minaccia di eseguire, altrimenti, lo sfratto255, ovvero di non procedere alla consegna delle chiavi dell’appartamento, impedendo di fatto l’accesso all’immobile256.
251 X. XXXXX, op. cit., 168.
252 Cass. pen., 23 aprile 2008, n.19711, Foro it., 2009, II, 282.
253 Cass. pen., 23 marzo 1982, in Cass. pen., 1984, 288.
254 Cass. pen., 7 novembre 2000, Cass. pen., 2003, 1905.
255 Cass. pen., 25 luglio 1991, n.6524.
256 Cass. pen., 29 agosto, 1986, n.8751.
1.2. L’Estorsione e il contratto di lavoro.
Il fenomeno del precariato, in crescente aumento negli ultimi anni, rappresenta, in re ipsa, una minaccia per gli occupati, che vedono la propria posizione lavorativa fortemente e costantemente a rischio.
Tale dato sociale si rivela, invero, premessa essenziale dell’analisi di un fenomeno estorsivo che negli anni ha assunto dimensioni sempre più significative: quello che trova terreno fertile nei rapporti di lavoro.
Volendosi ragguagliare il fenomeno nelle sue principali modalità di estrinsecazione, è opportuno individuare, innanzitutto, le forme che le asimmetrie contrattuali possono assumere nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato.
Si pensi, esemplificativamente al caso dell’imprenditore che minacci - in modo diretto od indiretto - i propri dipendenti di licenziamento se essi non accettino un trattamento economico e/o previdenziale per loro molto sfavorevole, sebbene non sia ravvisabile un’oggettiva necessità di dette modifiche contrattuali ai fini della sopravvivenza dell’azienda. La Suprema Corte di Cassazione258 ha avuto occasione di precisare che l’atteggiamento estorsivo non può essere presunto, e debba, piuttosto, essere concreto ed attuale. In forza di tale principio, ha, pertanto, ritenuto che vi l’estorsione contrattuale sia configurabile laddove il datore di lavoro induca i dipendenti - minacciando loro con la prospettazione della cessazione del rapporto di lavoro - ad accettare compensi di importo molto inferiore ai minimi sindacali, essendo, poi,
257R.X. XXXXX, Minaccia di licenziamento e delitto di estorsione, Riv. crit. Dir. lav., 2010, I, 236. Cass. Pen., 20 dicembre 2012, n.3426 in P. PISA, cit., 623; Cass. pen., 20 dicembre 2011, n.4290, Foro it., 2012, 201.
258 Cass. pen., 21 dicembre 2009, n.48868, Riv. crit. Dir. lav., 2010, ,I, 233 ss.
i contraenti c.d. “deboli” costretti a sottoscrivere per quietanza buste paga con importi diversi e maggiori da quelli effettivamente percepiti. Difatti, nel caso concreto, i giudici di merito avevano ritenuto che, sebbene non fosse stata ravvisabile un’espressa minaccia, risultava evidente ictu oculi che i dipendenti fossero stati intimiditi dalla prospettazione di una sfavorevole alternativa (sottoscrivere le buste paga oppure subire il licenziamento). Se ne ravvidero, dunque, gli estremi di una vera e propria estorsione contrattuale259.
È stato da taluno260 precisato, relativamente al caso in esame, che anche un negozio giuridico legittimo può perseguire un profitto ingiusto.
Tuttavia, è stato osservato da autorevole dottrina262 che il lavoratore subordinato accetta condizioni di impiego a lui sfavorevoli, generalmente, non in quanto costretto dalla minaccia dal datore, quanto piuttosto perché intimorito da un’oggettiva crisi del mercato del lavoro, determinata da circostante non strettamente connesse alla figura del datore, il quale, eventualmente, si potrebbe ritenere essersi avvantaggiato ed aver profittato di uno stato di timore della controparte che non è stata, tuttavia, da lui determinata. In conclusione, non vi sarebbero gli estremi del reato di estorsione.
259Cass. pen., 12 dicembre 2013, n.50074 in P. PISA, in Giur. comm. dir. pen., Padova, 1, 2014, 606 ss. Sul rapporto di lavoro a costo irrisorio vedi X. XXXXXXX, nota a Cass. pen., 5 novembre 2007 n. 36642, in Riv. it. Dir. lav., 2008, 359; in Mass. Xxxx. lav., 2007, 854; Cass. pen., 24 gennaio 2003, n.3779;
Xxxx. xxx., 11 febbraio 2002, n.5426; Cass. pen., 21 dicembre 2009, in Cass. pen., 2010, 34. 260R.X. XXXXX, Minaccia di licenziamento e delitto di estorsione, in Riv. crit. Dir. lav., 2010, I, 235. 261 Cass. pen., 11 dicembre 2013, in CED, 2014/6119.
262A. VALLEBONA, Lavoro nero ed estorsione: un’equazione sconvolgente, in Riv. giur. lav., 2007, 858;
A. PIOVESANA, L’estorsione nel lavoro non è esclusa da un accordo, in Lav. e giur., 2008, 137.
In senso conforme si è espresso il giudice di legittimità263, il quale, preso atto del fatto che la crisi nel mercato del lavoro è determinata, a monte, anche da una situazione di difficoltà dal lato dei datori, ha negato la configurabilità del delitto di estorsione quando il contratto tra di lavoro subordinato sia stato stipulato liberamente tra le parti e la sottoscrizione delle quietanze dei compensi ricevuti, seppure di importo più modesto rispetto a quello ordinariamente praticato, si riveli essere condizione del regolamento contrattuale relativamente al quale entrambe le parti abbiano manifestato il proprio consenso. Si pensi all’ipotesi del datore di lavoro che, per motivi strettamente congiunturali e di carenza della domanda, si trovi costretto a ridurre i costi di produzione, tra i quali rientrano i salari corrisposti ai dipendenti. La Costituzione prevede che datori e dipendenti debbano cooperare in funzione dello sviluppo sociale ed economico del paese, più precisamente che debbano collaborare tra loro “ai fini dell’elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione” (art.46 Cost.).
Il giudice, è stato osservato264, deve verificare caso per caso, se ed in che misura sia stata coartata la volontà del dipendente, dovendo, così, accertare, se il male minacciato sia riconducibile o meno alla volontà del datore.
A ben riflettere, il caso prospettato è più assimilabile all’usura che all’estorsione: nel reato di cui all’art. 644 c.p., infatti, l’agente consegue un profitto indebito avvantaggiandosi dello stato di bisogno della vittima, la quale non è costretta dall’usuraio, ma dalla oggettiva situazione di difficoltà economica in cui versa.
2. Il reato di truffa
Proseguendo nella disamina delle fattispecie di reato affini a quella che costituisce oggetto del presente elaborato, è opportuno dedicare dei
263 Cass. pen., 28 marzo 2003, n. 20082, DG, 2003, f.21, 28.
264C. SELLA, Xxxxx disagio occupazionale: imprenditore che ne trae vantaggio pone in essere un’estorsione?, in Dir. pen. e processo, 2008, 1027 ss.
cenni al reato di truffa, del quale si considereranno esclusivamente gli elementi funzionali alla trattazione che ci occupa.
L’art. 640 c.p. punisce chiunque, tramite artifizi o raggiri che inducano altri in errore, procuri a sé o ad altri un profitto ingiusto con correlativo danno.
Gli artifici265 ed i raggiri266 inducono la vittima a compiere un atto di disposizione patrimoniale che altrimenti non avrebbe eseguito.
Non è necessario che il soggetto ingannato coincida con quello danneggiato: il reo potrà arricchirsi ingiustamente anche rivolgendo l’inganno ad un terzo, ma danneggiando, tuttavia, il patrimonio di persona diversa (x.xx. un mandatario o un procuratore).
Dal punto di vista strutturale, è classificato tra i delitti c.d. a cooperazione artificiosa della vittima, la quale è indotta – mediante artifici e/o raggiri - a concludere un affare all’esito del quale ne subisce le conseguenze dannose.
Si tratta di un reato comune, potendo essere commesso da chiunque, e definito “plurioffensivo”, posto a presidio dei beni/interessi libertà di autodeterminazione e patrimonio.
La ratio sottesa all’incriminazione del fatto di truffa è tutelare, non solo l’integrità patrimoniale del singolo, che trova presidio anche negli strumenti civilistici, specie nell’ambito della disciplina contrattuale, quanto, più specificamente, l’interesse pubblico di impedire che sia intaccata l’autonomia privata dei contraenti (art. 1322 c.c.) e la libertà dell’attività e dell’iniziativa economica (art. 41 Cost.).
Il delitto di truffa si concretizza quando l’agente condizioni le scelte della vittima, prospettandogli un pericolo immaginario ed inducendola,
265 V. G. FIANDACA - X. XXXXX, op. cit., 181, <<l’artificio è solitamente definito come una manipolazione della realtà esterna, provocata mediante la simulazione di circostanze inesistenti o – per contro – la dissimulazione di circostanze esistenti>>.
266 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 181, <<il raggiro è fatto consistere […] in un’attività simulatrice sostenuta da parole o argomentazioni atte a far scambiare il falso per vero. A differenza degli artifici, che necessitano di una proiezione nel mondo esterno, i raggiri possono dunque esaurirsi in una semplice attività di persuasione che influenza la psiche altrui, a prescindere da qualsiasi mise en scène>>. In giurisprudenza, Cass. pen., 3 dicembre 1988, in Riv. pen., 1990, 895; Cass. pen. 14 novembre 1989, in
Arch. Circolaz., 1990, 578; Cass. pen., 9 febbraio 1988, in Riv. pen., 1990, 556.
dunque, in errore, di talché la scelta della stessa risulti solo apparentemente libera, essendo, xxxxxx, essa viziata dall’errore nel quale è stata indotta mediante artifizi e raggiri.
La condotta dell’agente si traduce, essenzialmente, in un’azione manipolativa. La giurisprudenza ha ritenuto267 che tale connotazione debba essere valutata ex ante, prescindendo dalla concretizzazione del danno.
Quanto al bene giuridico oggetto di tutela da parte della norma incriminatrice di cui all’art. 640 c.p., si segnala che in passato si riteneva268 che la truffa, non fosse offensiva del patrimonio del singolo, quanto piuttosto fosse idonea a ledere il più generale interesse della collettività ad intrattenere rapporti giuridici privati informati al principio della buona fede contrattuale e della correttezza, nel pieno esercizio della libertà negoziale.
La più recente dottrina269 ha, tuttavia, preso le distanze dal più risalente indirizzo dottrinario, assestandosi sulla diversa linea di pensiero secondo la quale la truffa è incriminata allo scopo di offrire una tutela precipuamente al patrimonio della vittima, e dunque, ad un interesse di carattere meramente privato riguardante i diritti soggettivi dei singoli. Detto orientamento sarebbe confermato dalle modifiche apportate all’ordinamento penale dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, in materia di c.d. depenalizzazione, la quale ha introdotto la perseguibilità a querela di parte della truffa. Tale regime di procedibilità avrebbe confermato il carattere privato dell’interesse protetto270.
Prevale, in sintesi, una concezione individualistica dell’interesse tutelato.
267 Cass. pen. 17 febbraio 2016, n. 11453
268 Cass. pen. 21 aprile 1978, in Cass. pen., 1980, 1330.
269 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 177; G. LA CUTE, La truffa, Enc. Dir., Milano, 246 e in Giuri. Cass. pen. 14 novembre 1989, Cass. pen., 1991, 779 Cass. pen. 28 febbraio 1995, Giust. Pen., 1995, II,
661.
270 Come osservato da X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 178.
Altra dottrina271 ritiene che il reato abbia natura plurioffensiva, essendo lo stesso punito dal codice penale, non allo scopo di tutelare l’integrità del patrimonio individuale, ma anche la libertà negoziale del truffato. In linea con il detto indirizzo, è stato da taluno272 rilevato che la truffa è un reato che colpisce sia la persona che il patrimonio.
In questo senso, tale delitto sarebbe stato inserito nell’ambito dei reati contro il patrimonio solo per ragioni di classificazione sistematica poiché, invero, la disciplina del reato intende tutelare innanzitutto la libertà di autodeterminazione dell’offeso.
Quanto all’elemento oggettivo del reato di truffa, è opportuno premettere che esso tradizionalmente si classifica tra i reati c.d. a forma vincolata, talli essendo quei fatti illeciti relativamente ai quali la legge indica in modo preciso le modalità esecutive (mentre nei reati c.d. a forma libera, come, ad esempio, l’omicidio, il legislatore non tipizza le modalità attraverso le quali la condotta si estrinseca, che possono essere i più svariati, qualificandosi, ad ogni modo, come illeciti penalmente rilevanti).
Affinché il reato si perfezioni è sufficiente che si realizzi anche solo una delle modalità (artifici o raggiri) tipizzate. Ad ogni modo, esse possono anche coesistere.
Gli artifici o raggiri sono attuati dall’agente per tacere o nascondere circostanze che, se fossero state note alla vittima, le avrebbero fatto
271 Si veda G. LA CUTE, op. cit., 249. X. XXXXXXXX, op. cit., 324, parla di “duplice oggettività giuridica del delitto di truffa>>, per il quale i beni giuridici tutelati dalla fattispecie incriminatrice sono sia il patrimonio che la buona fede della vittima e la sua libertà di scegliere la propria condotta in base a motivi razionali personali.
272 G. LA CUTE, op. cit., 251; contra X. XXXXXXXX, La truffa contrattuale, Milano, 1998, 48, il quale sostiene che ritenere che qualificare il reato come “plurioffensivo” significa confondere il mezzo, cioè la malafede, e la violazione dell’autonomia privata, con il bene giuridico patrimonio, inteso in senso oggettivo.
273 G. LA CUTE, op. cit., 250
assumere una diversa posizione relativamente alla conclusione del contratto274.
Secondo la dottrina prevalente277 gli artifici ed i raggiri debbono essere interpretati in senso estensivo.
Posto che a livello normativo non risulta, allo stato, tipizzato un numerus clausus di condotte truffaldine, si deve ritenere che qualsivoglia comportamento decettivo possa costituire un artificio od un raggiro penalmente rilevante ove risulti che essi abbiano indotto in errore la vittima. In altri termini, il giudice non dovrà accertare se gli artifizi fossero astrattamente idonei ad ingannare la vittima, quanto, piuttosto, deve valutare se la vittima sia stata concretamente indotta in errore dalla frode attuata dal reo279.
274 Cass. pen., 13 febbraio 1987, Cass. pen., 1988, 1449; Cass. pen., 15 marzo 1985, Riv. pen., 1996,
174.
275 X. XXXXXXXX, op. cit.,79.
276 X.XXXXXXXX, op. cit., 80 ss
277 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit.,167 ss.
278 X. XXXXXXXX, in AA.VV., Codice penale, Milano, 2000, 2877.
279 F. ANTOLISEI, op. cit., 297. In giurisprudenza, Cass. pen. 14 novembre 1989, Cass. pen.,1991, 779;
Cass. pen. 29 ottobre 1985, Giust. pen., 1986, II, 712.
Difatti, la giurisprudenza prevalente280 ha ritenuto irrilevante ai fini della responsabilità penale dell’autore dell’inganno il fatto stesso, puro e semplice, della frode, quanto, piuttosto, è considerato elemento costitutivo della fattispecie di reato in parola che il comportamento ingannevole abbia effettivamente tratto in errore il suo destinatario. Alcuni autori281, allo scopo di contenere un’interpretazione eccessivamente estensiva della fattispecie – con il rischio di porsi in violazione dei principi di tassatività e tipicità che fondano il diritto penale – aderiscono alla tradizionale distinzione tra frode civile e frode penale: sarebbero, dunque, punibili, non tutti i raggiri, bensì solo quelli particolarmente insidiosi.
Altri autori282 hanno, piuttosto, valorizzato il ruolo della vittima allo scopo di distinguere la frode penalmente rilevante da quella non punibile. La vittima, infatti, sarebbe gravata da un particolare onere di diligenza, essendo le parti poste su un piano di parità. Ragion per cui, quest’ultima, vigendo nell’ordinamento civile la regola del legittimo affidamento – tale per cui ogni parte può affidarsi al significato oggettivo e ragionevole delle proprie dichiarazioni secondo le comuni, ordinarie, sensibilità e coscienza sociali -, l’“ingenuità” della vittima, evitabile con l’ordinaria diligenza, escluderebbe sia l’annullabilità del contratto concluso che la configurazione di una truffa283.
280 Per tutte, Cass. pen. 17 marzo 1993, Cass. pen., 1994, 2093; Cass. pen. 21 maggio 1992, Xxxx.xx.,
1993, II, 757; Cass. pen. 27 marzo 1999, Cass. pen., 2000, 2341.
281 X. XXXXXXX, La truffa, op. cit.,19 ss.; X. XXXXXXXXX, La truffa contrattuale, in Giur. merito, 2, 1996, 981.
282 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 171 ss.
283 X. XXXXXXX, op. cit., 21 ss.
284 Cass. pen. 30 giugno 1982, Giust.pen.,1983, II, 51.
Inoltre si è rilevato che gli artifici ed i raggiri possono anche non consistere in una “messa in scena”285, potendo sostanziarsi in un qualsivoglia insidioso espediente attuato dal reo per ingannare la vittima286.
Nell’ambito del contratto di compravendita287, ad esempio, è stato ravvisato l’artificio, rilevante ai fini della configurazione del reato di truffa contrattuale, nel caso in cui l’acquirente, titolare di un’impresa commerciale, abbia creato al venditore la parvenza di un’attività solida ed affidabile, persuadendo il medesimo a consegnare la merce verso l’emissione di cambiali o assegni con il preordinato scopo di non pagare il prezzo288.
Altra rinomata ipotesi di truffa è quella realizzata tramite la pubblicità ingannevole di un bene o di un servizio quando l’autore ne presenti qualità o pregi inesistenti, ovvero ne esageri l’entità, allo scopo di incrementarne la vendita presso il pubblico.
Secondo la dottrina prevalente290, la condotta decettiva può essere rivolta anche ad incertam personam, ossia, ad un soggetto indeterminato, come avviene nella promessa o nell’ offerta al pubblico. Il reato può essere commesso anche con altre modalità: la menzogna e l’omissione.
285 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 181.
286 Cass. pen. 9 febbraio 1977, in Cass.pen., 1979, 359; Cass. pen.17 marzo 1993, in Cass. pen., 1994,2093.
287 X. XXXXXXXX, op. cit.,149, il quale rileva che il contratto in parola sia il terreno più fertile per la perpetrazione di illeciti.
288 Cass. pen., 23 novembre 1983, in Cass. pen., 1986, 87.
289 Cass. pen., 25 marzo 1983, in Cass.pen.,1984,1446.
290 F. ANTOLISEI, op. cit., 298; G. LA CUTE, op. cit., 254
Come si è detto, la giurisprudenza291 ha interpretato l’artificio ed il raggiro in modo estensivo, rendendo le due nozioni idonee a ricomprendere anche la menzogna.
Tale orientamento giurisprudenziale non ha trovato concorde la dottrina292, la quale ha prospettato il rischio che un’interpretazione così estensiva sconfinerebbe il contenuto e lo scopo della norma ex art. 640
c.p. e porterebbe all’indesiderabile conseguenza di una repressione penale generalizzata, di ogni menzogna od astuzia, sebbene in concreto qualificabile in termini di c.d. dolus bonus293.
Ne deriverebbe invero, com’è stato da taluno294 osservato, un’inammissibile analogia in malam partem.
Una consistente – seppur risalente - giurisprudenza295 aveva, invero, promosso il menzionato orientamento, in base al quale, ai fini della configurazione del reato di truffa, occorre che l’agente operi, non solo con la menzogna, ma avvalendosi anche di artifici e/o di raggiri e che essi siano architettati e presentati in modo da trarre in errore la vittima. La giurisprudenza di legittimità296 si è, inoltre, espressa in merito alla rilevanza del mendacio, fraudolentemente commesso in relazione ad elementi essenziali del contratto o del rapporto del quale il contratto rappresenti momento genetico che si abbia l’obbligo giuridico di comunicare alla controparte, determinando tale condotta omissiva il reato di truffa contrattuale. Xxxxxxxx, infatti, di un raggiro che viola la buona fede e la correttezza contrattuali ed è idoneo ad “estorcere” un consenso che, altrimenti – se correttamente informata -, la parte non
291 Cass. pen.,14 maggio 1982, in Giust. pen., 1983, II, 508; Cass. pen., 1° marzo 1986, in Cass. pen.,
1987, 2137; Cass. pen. 21 maggio 1979, in Giust. pen, 1980, II, 232.
292 X. XXXXXXXX, op. cit., 184 ss.; G. LA CUTE, cit., 260.
293 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, cit.,171
294 I. XXXXXXXX, La truffa in assunzione di un pubblico impiego, in Cass. pen., 1999, 2484 ss.
295 Cass. pen. 9 febbraio 1977, in Cass. pen., 1979, 359; Cass. pen. 17 gennaio 1978, in Cass. pen., 1979, 866; Cass. pen. 23 gennaio 1984, in Giust. pen., 1985, II, 228; Cass. 30 aprile 1997, in Guida al diritto, 1997, f. 4, 88; Cass. pen. 3 giugno 1997, in Cass. pen.,1998,1377.
296 Detta asimmetria informativa integra il reato secondo Cass. pen., 7 dicembre 2001, in Guida al diritto, 2002, fasc.8, 110. Sulla rilevanza del silenzio serbato maliziosamente su fatti che vanno riferiti alla controparte allo scopo di farle assumere una decisione consapevole, vedi Cass. pen., 4 dicembre 2013, n.511136, in Dir. pen e processo, 2014, II, 154, con nota di X. XXXXXXXX; Cass. pen., 19 marzo 2013, CED Cass. n.256348; Cass. pen., 19 giugno 2012, n.253660; CED Cass., n.253660; cass. pen., 14 ottobre 2009, CED Cass., 244952.
avrebbe prestato. È, questa, un’ipotesi di reato c.d. omissivo improprio (art. 40, cpv. c.p.), in forza del quale colui che non impedisca un evento che ha il dovere giuridico di impedire è punito come se lo avesse cagionato.
Il silenzio nella truffa contrattuale assume rilevanza nella fase delle trattative, nella quale le parti sono su di un piano speculare l’una all’altra e ciascuna può affidarsi (principio del legittimo affidamento297) alla diligenza dell’altra nel procurarsi i dati necessari per concludere l’affare in modo che esso sia conveniente per entrambe. Si tratta dei
c.d. obblighi di informazione298.
Venendo al tema relativo all’induzione in errore della vittima, attraverso gli artifici e/o i raggiri da parte del reo, essa costituirebbe il turning point della condotta truffaldina.
297 Corte Cost. 349/1985; Corte Cost. 397/1994; Corte Cost. n. 416/1999; Corte Cost. n. 525/2000; Corte Cost. n. 446/2002; Corte Cost. n. 364/2007.
298 X. XXXXXXXXXXX, Polizza fideiussoria, reticenza e obblighi di informazione, Foro it., 1995, I, 1905 ss., nata a Cass. civ. 11 ottobre 1994, 8295. L’autore si chiede se la reticenza determini dolo contrattuale per cui sia configurabile il c.d. dolo omissivo e a questo scopo distingue l’informazione produttiva da quella redistributiva e distruttiva. La prima categoria comprende le informazioni che incrementano le ricchezze, la seconda le informazioni che avvantaggiano la parte informata su quella ignara ma non creano nuova ricchezza, la terza le informazioni che danneggiano una parte se non comunicate alla stessa. Così l’Autore conclude che solo l’omissione di informazioni distruttive e in alcuni casi redistributive rende annullabile il contratto per dolo. Se applichiamo questa distinzione alla truffa contrattuale comprendiamo che il silenzio sarà rilevante solo quando la reticenza riguardi informazioni distruttive perché se non siano rivelate le informazioni redistributive cioè se la parte non comunichi elementi capaci di favorire la controparte detto comportamento non è così negativo da costituire un illecito penale.
299 X. XXXXXXXX, op. cit., 199.
Come si è evidenziato in precedenza, infatti, i raggiri e gli artifici in sé considerati non sarebbero sufficienti per ritenere il reato perfezionato, ove gli stessi non avessero concretamente ingannato la parte offesa300. Oltretutto, l’induzione in errore della vittima esprime il nesso causale tra gli artifici/raggiri e l’erronea rappresentazione della realtà301 da parte della vittima, dalla quale deriverà l’atto di disposizione patrimoniale che, a sua volta, determinerà un pregiudizio a danno della vittima ed un ingiusto profitto a vantaggio del truffatore302.
Secondo un autorevole orientamento la truffa sarebbe un reato a tre eventi: l’induzione in errore della vittima, il danno ed il profitto ingiusti e l’atto di disposizione patrimoniale303. Tale ultimo elemento costitutivo distinguerebbe la truffa, nella quale la vittima coopera artificiosamente con il reo, dal furto.
Nella truffa contrattuale il pregiudizio può tradursi tanto nel danno emergente, quanto nel lucro cessante a svantaggio della vittima: è sufficiente che essa non riesca a conseguire un’utilità in relazione alla quale aveva maturato un’aspettativa per effetto delle false informazioni decettive trasmessele dall’agente. Ovvero, anche, qualora la stessa
300 G. LA CUTE, op. cit.,255 ss.
301 X. XXXXXX, op. cit., 376; G. LA CUTE, op. cit., 256; X. XXXXXXXX - E. MUSCO, op. cit.,174; X. XXXXXXXX, op. cit, 2880.
302 X. XXXXXX, Xxxxxx, op. cit., 372 ss.
303 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 176 ss.
304 G. LA CUTE, op. cit., 261.
305 Cass. pen., 13 dicembre 1982, in Giust. Pen., 1984, II, 114.Cass. pen., 23 settembre 1997, n. 12027,
24 Ore Avvocato, f.12, Milano, 2005, 100.
abbia assunto obbligazioni che non avrebbe contratto se non fosse stata tratta in ingannato306.
2.1. La truffa contrattuale
Entrando nel merito della fattispecie poc’anzi esaminata, ed, in particolare, volendone considerare una particolare modalità esecutiva, che appare più strettamente connessa alla tematica che forma principale oggetto del presente lavoro, viene, ora in analisi la figura di reato della
x.x. xxxxxx contrattuale.
Tale forma di reato trova attuazione, generalmente, nei contratti a prestazioni corrispettive, e costituisce una species del reato di truffa previsto dall’art. 640 c.p.
La truffa contrattuale si attua mediante la conclusione o esecuzione di un contratto, ma si intende perfezionato allorquando si verifichi l’evento dannoso a discapito del patrimonio della vittima.
La Corte di Cassazione307 ha superato il tradizionale indirizzo secondo il quale, affinché il reato in parola potesse ritenersi configurato, era sufficiente la conclusione del contratto. Tale orientamento, infatti, non può ritenersi condivisibile: esso muta la truffa in un reato che lede la libertà negoziale ed altera l’integrità del patrimonio della vittima, producendo un’eccessiva estensione della portata applicativa della fattispecie incriminatrice.
Invero, l’art. 640 c.p. richiede che sia ravvisabile un determinato e concreto danno di natura patrimoniale, tale essendo un’effettiva riduzione del patrimonio del truffato nella forma del danno emergente e del lucro cessante.
La truffa contrattuale si consumerebbe, a differenza dell’ipotesi “base” di truffa, con la mera conclusione del contratto da parte della vittima, e non con la concretizzazione del danno patrimoniale alla stessa,
306 Cass pen., 1 marzo 1986, in Cass. pen., 1987, 2137.
307 Cass. pen., 4 febbraio 2014 n.5501, in Cass. pen., 2014, 231.
correlativamente al conseguimento del profitto a vantaggio dell’agente308.
Pertanto i caratteri salienti della truffa contrattuale sono311:
a) un’attività decettiva dell’agente che induca in errore la vittima;
b) nesso eziologico tra l’errore ed il consenso alla stipula del contatto;
c) lo stesso contratto preveda prestazioni eque e congrue tra loro nel valore, ma la prestazione del reo sia inutile o, quantomeno, non conveniente per la vittima;
d) l’errore in cui è incorsa la vittima deve essere essenziale e decisivo per la conclusione del contratto, di talché se ella fosse stata adeguatamente e correttamente informata, non avrebbe concluso il contratto;
e) l’effettivo impoverimento del patrimonio della vittima.
Poiché è una frode attuata quando l’individuo esercita la sua autonomia negoziale è noto che sia difficile individuare la linea di demarcazione tra una frode rilevante penalmente ed un mero inadempimento contrattuale.
Preso atto del fatto che la disposizione penale sul reato di truffa e quelle civili sul dolo (art. 1439 ss. x.x.) x xxxxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxx (xxx. 0000 xx. x.x.) xx xovrappongono, è opportuno ribadire l’importanza e
308 X. XXXXX, Xxxxxxxx profitto e danno altrui nella c.d. truffa contrattuale, in Diritto e diritti, settembre 2003; X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 191 ss.
309 Cass. pen. 25 ottobre 2016, n.44942.
310 Cass. pen. 21 ottobre 2015 n.46084; Cass. pen., 27 gennaio 2015, n.7662.
311 F. BICO - X. XXXXXXX, La truffa contrattuale, Torino, 2003, 4 ss.
l’attualità della figura della truffa contrattuale, in particolare, soffermando l’attenzione sulle ipotesi controverse, evocative di taluni dubbi interpretativi.
Si pensi, a tal riguardo, alla truffa contrattuale al c.d. “giusto prezzo”, (id est: tra prestazioni congrue tra loro). Ci si chiede se sia opportuno qualificare reato – segnatamente, truffa contrattuale – il caso della vittima che, se fosse stata adeguatamente informata, avrebbe ugualmente sottoscritto il contratto, ma ad un prezzo inferiore.
Secondo autorevole dottrina312, detta ipotesi non si inquadrerebbe nella fattispecie astratta della truffa contrattuale, la quale si riferisce, piuttosto, ai casi nei quali vi sia una condotta dolosamente decettiva dell’agente senza la quale la vittima non avrebbe mai concluso il contratto.
3. Danno e profitto. Il danno nell’estorsione e nella truffa.
È opportuno, ora, soffermare l’attenzione sule nozioni di danno e di profitto, presenti sia nella fattispecie delineata dall’art. 629 c.p. che in quella incriminata dall’art. 640 c.p.
L’analisi comparativa impone una premessa di carattere generale: il delitto di estorsione è più grave del fatto-reato di truffa.
La comminatoria edittale prevista per l’una è più afflittiva rispetto a quella contemplata per l’altra: il minimo della pena detentiva prevista per l’estorsione è oltre dodici volte il minimo della pena prevista per la truffa, mentre il massimo della pena detentiva prevista per l’una è più di tre volte il massimo di quella prevista per l’altra.
Il regime di procedibilità previsto per le due fattispecie conferma il che l’estorsione è ritenuta più riprovevole della truffa; la prima, infatti, è procedibile d’ufficio, la seconda, invece, su querela di parte, salvo che ricorrano le circostanze aggravanti speciali ex art. 640 c.p.
312 X. XXXXXXXX, In tema di truffa contrattuale a prestazioni equivalenti, nota a Cass. pen., 4 febbraio 2014, n.5501, in Giurisprudenza penale, 2014, 3.
Conseguenza di quanto detto è che la giurisprudenza ha individuato, per il delitto di estorsione, un momento consumativo diverso – ed anticipato
- rispetto a quello individuato per il reato di truffa. Mentre nella truffa contrattuale un indirizzo consolidato313 stabilisce che, affinché il reato si intenda consumato, è sufficiente l’esecuzione del contratto; nell’estorsione contrattuale il delitto si ritiene consumato già con la sottoscrizione, da parte della vittima, del contratto con il quale ella assume un obbligo o rinuncia ad un diritto, anche se non ne derivi un vantaggio per l’agente314.
Aspetto delicato – e, xxxxxx, rilevante – è quello relativo alla definizione delle nozioni rispettivamente di “danno” e di “profitto” nella fattispecie di cui all’art. 640 c.p.
Quanto al primo, possono distinguersi due concezioni: quella c.d. giuridica e quella c.d. economica.
La concezione c.d. giuridica315 (o personalistica, ovvero, ancora, soggettiva) del danno è estensiva ed amplia la portata applicativa della norma incriminatrice in quanto ritiene che si configuri una truffa contrattuale in tutti quei casi nei quali risulti compromessa per il contraente l’utilità dell’atto di disposizione. Tale utilità, secondo l’indirizzo in esame, non è necessariamente suscettibile di valutazione economica (potendosi trattare di un valore emotivo od affettivo) e può rivelarsi colpita a prescindere che il reo abbia (fraudolentemente) cagionato un effettivo, concreto ed attuale depauperamento del patrimonio della vittima.
313 Cass., Sez. Unite, 16 dicembre 1998, in Giur. it., 2000, 2145; Cass., Sez. II, 16 aprile 1997, in Giust.
pen., 1998, II, 116; Cass., Sez. V, 30 marzo 1992, in Cass. pen., 1993, 545; Cass., Sez. I, 22 febbraio 1988, in Riv. pen., 1989, 111. Questo indirizzo è approvato dalla gran parte della dottrina tra cui F. ANTOLISEI, op. cit., 364, il quale afferma espressamente di seguire la concezione giuridica del patrimonio.
314 X. XXXXX, voce Estorsione, op. cit., 1000; X. XXXXX, op. cit., 273; X. XXXXXXX, Estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione, cit., 1003 ss. Contra, X. XXXXXXXXX, op. cit., 181; X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 152. Tra le molte Cass., Sez. II, 29 maggio 1989, in Cass. pen., 1991, 232; Cass., Sez. II, 28 marzo 1985, Cass. pen., 1986, 1767; Cass., Sez. II, 8 giugno 1983, Cass. pen., 1984, 1939; Cass.,
Sez. II, 25 maggio 1981, Cass. pen., 1983, 287.
315 F. BICO - X. XXXXXXX, La truffa contrattuale, Torino, 2003, 45; X. XXXXXXX, op. cit., 67.
Questa concezione sembrerebbe evocare, sotto il profilo processuale, la necessità di una valutazione case-by-case, in quanto, a ben riflettere, se la rilevanza della lesione dipende dal soggetto, allora sarà un’analisi personalizzata della vittima del caso concreto a permettere di stabilire se sia riscontrabile o meno il danno316.
La teoria c.d. economica317 (od oggettiva), al contrario, ove non identifichi un valore economicamente rilevante, e, dunque, un depauperamento consistente e tangibile in danno della vittima, non ritiene integrati gli estremi della truffa contrattuale. Si tornerà sul punto nel prosieguo della trattazione.
In dottrina318 è stato rilevato come la giurisprudenza di legittimità si sia evoluta sul punto. Emerge, infatti, da un’analisi della giurisprudenza sul tema in disamina, che è stata progressivamente superata la concezione strettamente economica del patrimonio, in favore di una prospettiva più attenta alla persona, al soggetto. Più coerente con questa prospettiva sarebbe, dunque, ritenere che il momento consumativo del reato di truffa contrattuale coincida con l’atto della sottoscrizione del contratto, non richiedendosi, pertanto, che si verifichi il pregiudizio a danno della vittima.
Il pregiudizio si configurerebbe, secondo la concezione appena esposta, sia in termini di danno emergente, che come lucro cessante, ed anche nell’ipotesi in cui la conclusione del contratto non abbia, in realtà, alcuna reale utilità per la vittima. Più precisamente, la condizione
316 G. LA CUTE, op. cit., 262 ss.
317 Cass. Pen.,16 dicembre 1998, in Cass. pen., 1999, 1414.
318 X. XXXXXXX, Manuale di diritto penale, Parte speciale, Napoli, 2011, 690.
319 In giurisprudenza, per tutte, Cass. pen. 4 maggio 1987, in Cass. pen, 1987, 1242.
psicologica che si determina in capo alla vittima quando la stessa sia stata indotta (con xxxxx) a sottoscrivere un contratto per sé inutile, è ritenuta equiparabile a quella che deriva dalla conclusione di un contratto nel quale vi sia sproporzione sinallagmatica a danno della parte frodata.
L’orientamento in parola si fonda sulla collocazione sistematica del reato nella struttura del codice penale, nell’ambito dei delitti contro il patrimonio (Titolo XIII), segnatamente nel Capo II321. In considerazione di tale collocazione, la truffa è punibile ex art. 640 c.p. esclusivamente nell’ipotesi in cui ricorra un danno concreto al patrimonio della vittima inteso in senso economico322.
320 Cass. pen., 1° marzo 1986, in Cass. pen., 1987, 2137.
321 X. XXXXXXXX, op. cit., 45 osserva che se ritenessimo che sia truffato chi senza inganno abbia disposto del suo patrimonio in modo diverso da come avrebbe fatto se non fosse stato indotto in errore, valuta in modo unilaterale l’atto dispositivo e ritiene dannoso l’atto medesimo che la vittima non avrebbe compiuto senza l’inganno, significherebbe snaturare la costruzione logica del reato la quale, se punisse solo la violazione del dovere di buona fede nello svolgimento delle trattative, perderebbe il suo carattere di reato patrimoniale.
322Per una giurisprudenza conforme, si veda Cass. pen., Sez. Un., 16 dicembre 1998, in Cass. pen., 1999, 1414.
323 Trib. Milano,14 aprile 1969, in Giur. merito, 1969, II, 361.
Nel tentativo di dare una definizione di “danno” che conciliasse i due contrapposti orientamenti (giuridico ed economico), alcuni autori324 hanno elaborato il c.d. “criterio oggettivo ponderato (o bilanciato)”.
Quanto alla nozione di “profitto” 327 anch’essa si presta a diverse interpretazioni, potendosi intendere l’elemento in parola sia nel senso più strettamente economico-patrimoniale che nella più ampia accezione di “utilità”, venendo, così, in rilievo un qualsivoglia interesse, oltre che monetario, anche di natura affettiva, psicologico-emotiva, morale, ecc.328; valgono, dunque, le medesime considerazioni fatte relativamente al concetto di “danno”.
Nella prassi sono diffusi i casi nei quali un soggetto fraudolentemente induca altri a concludere un contratto a prestazioni corrispettive perfettamente simmetriche, non potendovisi ravvisare alcuna sproporzione tra le prestazioni. Tuttavia, in relazione a tali contratti è possibile che la persona fraudolentemente persuasa a sottoscrivere l’accordo, in concreto, non riponga alcun interesse reale negli effetti che il medesimo produce, pertanto, non l’avrebbe concluso se non fosse
324G. CAPOCCIA, Orientamenti giurisprudenziali intorno all’elemento del danno nell’art.640 cpv. n.1 c.p., in Nuovo diritto, 1989, 369.
325A. ALBAMONTE, Riflessioni in tema di danno patrimoniale nel delitto di truffa, in Giust. pen., 2, 1973, 709; X. XXXXXXXX, op. cit., 45.
326 X. XXXXX, Xxxxxxxx profitto e danno altrui nella c.d. truffa contrattuale, in Diritto e diritti, settembre 2003, 1 ss.
327 X. XXXXXXXX – X. XXXXX, op. cit., 23.
328 Cass. pen., 3 aprile 1986, in Cass. pen., 1987, 2137.
stata raggirata dalla controparte. Taluno in dottrina329 si è interrogato sul se una tale ipotesi possa qualificarsi come truffa contrattuale.
Autorevoli autori330 hanno ritenuto che la valutazione sulla funzionalità della prestazione ricevuta non possa rapportarsi alla sola persona della vittima, bensì debba tener conto della “pubblica utilità”, o rectius, degli interessi di categoria (sociale o professionale) alla quale il singolo appartiene331.
La nozione di “danno”, tuttavia, non può essere totalmente disancorata da criteri oggettivi; ne risulterebbero, altrimenti, compromesse la certezza del diritto e la ragionevolezza della valutazione.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente333 il reato di truffa contrattuale è da ritenersi configurato per il sol fatto che il consenso del soggetto passivo alla conclusione del contratto sia ottenuto con frode dalla controparte, allo scopo di realizzare per sé o per altri un vantaggio. È, tuttavia, ritenuto necessario l’elemento del vantaggio.
329 LA CUTE, Truffa, in Enc. dir., XLV, 1992, 265; F. ANTOLISEI, op. cit., 362 ss.
330 X. XXXXXXXX, op. cit., 1205; X. XXXXXXX, op. cit., 121 ss.
331 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 181.
332 X. XXXXXXXX, op. cit.,43 ss; X. XXXXXXXX, op. cit., 20 ss.
333 Ex multis Cass. 9 maggio 1969, in Giust. pen. 1970, II, 387; Cass. 15 giugno 1982, in Giust. pen.
1982, 653; Cass. pen. 23 settembre 1999, 1140.
334 Cass. pen., 25 gennaio 1963, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, 1202; Cass. pen., 1° marzo 1974, in
Cass. pen., 1975, 1136; Cass. pen. 5 ottobre 1976, in Giust. pen., 1977, II, 500; Cass., 15 giugno 1982,
in Giust. pen., 1983, II, 653; Cass., Sez. II, 23 settembre 1999, in Cass. pen., 1999, 1140.
È opportuno chiarire che danno e profitto non sono elementi tra loro correlati, ma eventi autonomi l’uno dall’altro in quanto se esista o manchi l’uno non necessariamente esisterà o mancherà l’altro.
Infatti, è stato constatato che, nella maggior parte dei casi pervenuti alla Corte di Cassazione, l’esistenza del profitto non è stata contestata neppure dagli imputati ricorrenti335. Nei casi nei quali le prestazioni dedotte in contratto hanno analogo valore, è agevole – e più efficace - incentrare la difesa sull’inesistenza di un danno patrimoniale per la vittima.
Una consistente giurisprudenza337 ha ritenuto perpetrato il delitto di truffa quando l’unica fonte di convincimento per la vittima all’acquisto di un determinato bene siano stati gli artifizi ed i raggiri subiti. Così anche nei casi nei quali la vittima, se non fosse stata tratta in inganno, avrebbe acquistato comunque un certo bene ma a diverse condizioni. In dottrina alcuni autori338 hanno sostenuto che il reato si configuri quando il contratto preveda prestazioni corrispettive di valore equivalente, ma esso cagioni alla vittima un danno in termini di mancato guadagno, di lucro cessante.
335 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 183 ss.
336 X. XXXXXX, Uno studio sulla tutela penale del patrimonio : libertà economica, difesa dei rapporti di proprietà e reati contro il patrimonio, Milano, 1979, 158 ss. e 203 ss.; X. XXXXXXXXX Patrimonio (delitti contro il), op. cit., 634 ss.; X. XXXXXXXXX, op. cit., 44. Nello stesso senso, nella dottrina meno recente, isolatamente: X. XXXXX, Per una revisione del concetto di «profitto» nel delitto di furto, in Scritti in onore di Xxxxxxx, Padova, 1954, 284.
337 Cass. 29 settembre 1980, in Foro it., 1981, II, 302; Cass. pen., 31 gennaio 1981, in Riv. pen 1982,
639; Cass. pen. 15 giugno 1982, in Giust. pen., 1983, II, 653; Cass. pen., 23 settembre 1997, in Cass. pen., 1999, 1140. In dottrina, X. XXXXXXX, La Truffa, Padova, 1988, 26 ss.; X. XXXXXXX, La truffa, Milano, 1998, 74 ss.
338 X. XXXXXX, Xxxxxx, in Dig. Disc. Pen., XIV, Torino, 1999, 381 ss.
Altri autori339 hanno ritenuto che il pregiudizio si sostanzi, non tanto nel danno patrimoniale cagionato dalla condotta del truffatore, quanto, piuttosto, nella compressione della libertà del contraente truffato di disporre dei propri interessi340.
L’errore è una falsa rappresentazione della realtà e tale definizione, applicata alla fattispecie di reato in discussione, comporta che sarà configurabile il delitto di truffa contrattuale solo nel caso in cui la vittima sia indotta, attraverso raggiri e/o artifici, a credere nella realtà falsamente rappresentatale dalla controparte contrattuale.
339Ex multis X. XXXXXXXX, La truffa, Milano, 1993, 99 ss.; X. XXXXXXXX, La truffa contrattuale,
Milano, 1988, 44 ss.; X. XXXXXX, op. cit., 111 ss.; X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 180.
340 Contra X. XXXXXX, op. cit., 357, 358; F. ANTOLISEI, op. cit., 355; X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit.,166 ss., i quali non ritengono che l’autonomia contrattuale possa considerarsi esclusivo bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 640 c.p.
341 Ex multis X. XXXXXXXX, op. cit., 35; X. XXXXXXXX, op. cit., 12 ss.
342 G. LA CUTE, op. cit.,255 ss.
343 X. XXXXXX, Xxxxxx, op. cit., 372 ss.
344 X. XXXXXX, Xxxxxx, op. cit., 376; G. LA CUTE, op. cit., 256; X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit.,174; X. XXXXXXXX, op. cit, 288.
4. La rapina.
Il delitto di rapina (art. 628 c.p.) è, come l’estorsione, un reato plurioffensivo, punito per tutelare il patrimonio della vittima, ma anche l’inviolabilità psico-fisica della medesima.
Si tratta di un reato comune: chiunque lo può perpetrare purché l’agente sia diverso dal possessore del bene. La vittima, invece, può non coincidere con chi subisca la condotta criminosa quando quest’ultimo non sia proprietario della cosa sottratta.
La condotta penalmente rilevante di detto reato consiste nella sottrazione e nell’impossessamento, tipici del furto, a cui, tuttavia, si aggiungono la violenza e/o la minaccia con cui il rapinatore aggredisce la vittima per sottrarle il bene target.
Nella rapina violenza e minaccia dell’agente coartano in modo assoluto la volontà della vittima; nell’estorsione, diversamente, è identificabile un margine, anche se ridotto, di autonomia decisionale.
Perciò la collaborazione è imprescindibile nell’estorsione, mentre nella rapina è solo eventuale346.
Alla luce degli argomenti esposti si comprende come sia sottile la linea di demarcazione tra il delitto di rapina e quello di estorsione: entrambi i reati sono commessi impiegando violenza e/o minaccia, ma nell’estorsione la costrizione esercitata sulla vittima non esclude completamente la volontà della stessa di autodeterminarsi, seppure essa sia condizionata dal timore di subire un danno.
Se, invece, la minaccia espressa dall’agente costringa la vittima in modo assoluto, annullandone completamente ogni possibilità di scelta e il risultato dell’azione dell’agente sia la sottrazione di un bene mobile,
345 X. XXXXXXXX, Principi di diritto penale, Parte speciale, III, delitti contro il patrimonio, Milano, 2008, 335.
346 X. XXXXXXXX, Il diritto penale delle fattispecie criminose, Torino, 2011, 15.
Nel diritto romano si soleva distinguere tra la vis relativa, ossia la forza che sortisce l’effetto di limitare, viziare il consenso, chi la subisce esprime un consenso sussistente, seppure invalido perché viziato (non agit sed agitur), questa forza viene attuata nell’estorsione; mentre nella rapina è esercitata una vis absoluta, la quale esclude in radice ogni margine di consenso ed ogni atto di disposizione patrimoniale ad opera della vittima349.
I due reati si distinguono anche per l’oggetto materiale delle condotte: nella rapina trattasi sempre di un bene mobile, mentre nell’estorsione può essere qualsivoglia bene od un atto che determini un profitto ingiusto per il reo con l’altrui danno.
Alcuni autori351 osservano che mentre nell’estorsione è minacciato un male sicuro ma non immediato, la cui realizzazione dipende dalla scelta della vittima (se cooperare o subire il danno), nella rapina, invece, il
347 Cass. pen., n.11909 del 2013.
348 X. XXXXXXXXX, op. cit., 117.
349 X. XXXXXXXXX, op. cit., 116; ANTOLISEI, op. cit. 404, X. XXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., 166, X. XXXXXX - X. XXXXXXXXXXX, op. cit., 524.
350 Cass. pen. 21 aprile 2004, n.18380 secondo cui nel reato di estorsione l’elemento psicologico è il dolo generico poiché procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto con danno altrui non è solo lo scopo per cui il colpevole commette il reato ma anche una fattispecie oggettiva di esso. Sul punto anche Cass. pen., 18 aprile 2012, n.14880.
351 CRESPI V., Rapina ed estorsione, in Giust. pen., 2, 1948, 538.
male prospettato si realizza nell’immediato, non richiedendosi alcuna forma di cooperazione della vittima.
Secondo un indirizzo risalente352 ciò che distingue i due delitti sarebbe il soggetto che consegna il bene oggetto materiale della condotta: se è la vittima a consegnare la cosa al reo, si sarebbe in presenza di un fatto estorsivo; se, al contrario, il reo si impossessi della cosa senza una consegna da parte della vittima, si sarebbe in presenza di una rapina (adprehensio per la rapina e traditio rei nell’estorsione).
Prima che la legge 18 febbraio 1992, n.172 elevasse la pena detentiva minima prevista per il delitto di estorsione a cinque anni, le fattispecie erano punite entrambe con un minimo edittale di tre anni di reclusione. L’ inasprimento della pena ha creato dubbi di legittimità costituzionale: è stata sollevata la questione dinanzi alla Corte Costituzionale, essendosi ritenuta irragionevole la disparità di trattamento venutasi a determinare, con l’entrata in vigore della ricordata legge del ’92, tra i due reati.
5. L’estorsione e la violenza privata.
L’art. 610 c.p. punisce ogni forma di lesione della libertà individuale realizzata tramite violenza e/o minaccia.
Perciò l’estorsione è un’ipotesi delittuosa speciale rispetto alla violenza privata354: la prima si concretizza mediante una costrizione a compiere un atto di disposizione patrimoniale che determini un profitto ingiusto
000 X. XXXXXXX, Xxxxxxxx, op. cit., 412.
353 Xxxxx Xxxx., 00 luglio 1995, n.368, in Cass. pen., 1996, 17; Xxxxx Xxxx., 00 dicembre 1997, n. 440,
in Giur. cost., 1997, 4038.
354 Cass. pen., 18 gennaio 1990, n.679.
In quanto forma particolare della violenza privata, l’estorsione si contraddistinguerebbe dalla prima per la sua consistenza patrimoniale, essendo riferibile a quelle costrizioni minacciose o violente che determinino un atto di disposizione patrimoniale.
Il reato di violenza privata si configura, più in generale, ogni volta che la vittima sia costretta dal reo a compiere qualsivoglia genere di atto356. Ove i due reati vengono perpetrati contestualmente, non può trovare applicazione la disciplina sul concorso di reati357.
I due delitti sono accomunati dall’uso della violenza e/o della minaccia inteso a costringere la vittima a fare od omettere qualcosa; si distinguono, invece, non solo per la diversità dell’elemento oggettivo, ma anche per l’elemento psicologico che li caratterizza.
La giurisprudenza nel tempo ha individuato, in relazione a fattispecie eterogenee tra loro, vari altri criteri per distinguere i due reati, per cui :
355 Cass. pen., 11 luglio 1986, n.7382; Cass. pen., 9 agosto 1997, n.7856; Cass. pen., 10 novembre 2003, n.42789.
356 A. CADOPPI - X. XXXXXXXXXX - A. MANNA - X. XXXXX, op. cit., 273.
357 Cass. pen., 26 marzo 1996, n. 3004, secondo cui l’agente che con violenza e minaccia spari colpi d’arma da fuoco in aria così da terrorizzare gli operai di un cantiere al punto da costringerli a sospendere i lavori che stanno eseguendo allo scopo di costringere il datore a versargli una somma di denaro commette due reati del tutto autonomi e riferibili a due fatti distinti a danno di vittime differenti, quello di violenza privata verso gli operai, e quello di estorsione verso il datore.
358 X. XXXXXX, Estorsione, in Enc. Treccani on line, Xxxx, 0000.
359 Cass. pen., 30 maggio 1934, n.5126; Cass. pen., 3 febbraio 1983, n.1051.
a) vi sarà violenza privata e non estorsione se la costrizione esercitata dall’agente sia intesa a conseguire un profitto ingiusto, anche non patrimoniale, ma non vi sia danno altrui360; b) vi sarà estorsione e non violenza quando l’imprenditore costringa con violenza o minaccia un suo dipendente ad assumere, come prestanome, la carica di amministratore in una società che emette fatture false361; c) il reato di violenza privata non può essere assorbito da quello di estorsione se la minaccia espressa, anche se contemporaneamente a quella estorsiva, intenda costringere la vittima a non denunciare un torto patito, cosa che comporta una limitazione ulteriore alla libertà della vittima stessa la quale è tutelata, appunto, dalla norma che punisce la violenza privata362;
d) il reato di estorsione è a dolo generico, perché lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con danno altrui è un elemento della fattispecie oggettiva. Invece l’elemento psicologico della violenza privata consiste nell’intenzione di usare violenza o minaccia per costringere qualcuno a commettere un reato363; e) vi è reato di estorsione e non quello di violenza privata quando l’agente con violenza o minaccia costringa a pagare un debito verso terzi, poiché il profitto che ne ricava è ingiusto in quanto connesso ad un’intimidazione e vi è anche un danno per la vittima la quale è costretta a pagare un estraneo al rapporto obbligatorio senza alcuna garanzia che detto pagamento la xxxxxx000; f) il delitto di estorsione si distingue da quello di violenza privata perché l’estorsore agisce allo scopo di conseguire un profitto ingiusto365.
360 Cass. pen., 7 aprile 2011, n.15716.
361 Cass. pen., 22 marzo 2010, n.15302.
362 Cass. pen., 11 luglio 2008, n.32358.
363 Cass. pen., 21 aprile 2004, n.18380.
364 Cass. pen., 5 maggio 1998, n.5193.
365 Cass. pen., 23 ottobre 1984, n. 9037.