LA CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI COME MODELLO DI AUTOREGOLAZIONE E STRUMENTO DI CONTROLLO DELL’ATTIVITÀ D’IMPRESA AI SENSI DELL’ART. 41, COMMA 3 DELLA COSTITUZIONE
LA CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI COME MODELLO DI AUTOREGOLAZIONE E STRUMENTO DI CONTROLLO DELL’ATTIVITÀ D’IMPRESA AI SENSI DELL’ART. 41, COMMA 3 DELLA COSTITUZIONE
Xxxxxx Xxxxxxxx - Xxxxxx Xxxxxxx,
Ricercatori Adapt - Membri della Commissione di Certificazione nell’Università di Modena e Reggio Xxxxxx
L’istituto della certificazione dei contratti (artt. 75 ss. d.lgs. 276/2003) viene analizzato partendo da un approccio di teoria della regolazione. La certificazione è rappresentabile come modello di autoregolazione rafforzata (“enforced self-regulation”), e viene descritta nel suo funzionamento presentandola come concreta modalità di attuazione normativa della funzione di controllo sui fini sociali della libera iniziativa economica (art. 41, comma 3, Cost.), di cui si propone una interpretazione evolutiva che richiama il principio di sussidiarietà orizzontale.
The paper analyses, through a perspective of indirect regulation on the labour market, the Italian legal procedure called ‘Certification of contracts’ (art. 75 ss. D.lgs. 276/2003). Certification is regarded as a model of “enforced self-regulation”. Certification’s functions and effects are analysed in the paper, so that it is addressed as a voluntary tool aimed at being part of the Constitutional system of controls founded on the rule of “social purpose” delimiting and defining the Constitutional principle of economic freedom (art. 41.3 Const.), in an evolutionary perspective based on the principle of horizontal subsidiarity.
Sommario Introduzione
1. La certificazione dei contratti come strumento di regolazione
1.1 La regolazione tra funzione di diritto pubblico e strumento di diritto privato
1.2. Il contesto organizzativo e produttivo di riferimento
1.3. La certificazione quale strumento di regolazione dei rapporti tra soggetti individuali: nel contratto di lavoro e nei contratti di servizi tra imprese
2. La certificazione come strumento di regolazione (enforced self regulation) del mercato del lavoro
3. La regolamentazione della certificazione
4. Gli effetti della certificazione
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5. La certificazione dei contratti commerciali in generale e dell’appalto in particolare
6. La certificazione come strumento di controllo dell’organizzazione aziendale: controllo esterno e controllo interno
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Introduzione
Il principio di libertà di iniziativa economica contenuto nell’art.41 Cost. incide anche sul mercato del lavoro e ne condiziona la regolazione: l’incontro tra l’offerta di lavoro dei prestatori e la domanda di lavoro di chi esercita un’attività economica presenta infatti un forte legame funzionale con l’impresa che necessita di organizzare e gestire il fattore produttivo lavoro, e dunque con il principio di libertà di iniziativa economica. Non esiste, in altre parole, un mercato del lavoro, così come oggi lo conosciamo in Italia, senza l’impresa. In presenza dunque di un legame funzionale tra mercato del lavoro ed impresa, la regolazione del primo incide sensibilmente sul libero esercizio della seconda.
Il lungo processo di liberalizzazione del mercato del lavoro, che ha attraversato gli anni ‘90 del secolo scorso e ha portato alla riforma del 2003 (la c.d. riforma Biagi, costituita dalla l. n. 30 e dal d.lgs. n. 276), vedendo infine l’emanazione della l. n. 183 del 2010 (il c.d. “collegato lavoro”)1, rappresenta un esempio di regolazione – o, se si vuole, di de-regolazione – ai fini della attuazione del principio costituzionale di libertà di iniziativa economica.
Una delle più nuove ed originali idee di regolazione del mercato del lavoro scaturite dalla riforma del 2003 è stata l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto della certificazione dei contratti (artt. 75 e xx. xxx x.xxx. x. 000 del 2003), quale procedura volontaria attivabile dalle parti del contratto individuale di lavoro o del contratto di appalto2. Lo strumento, estraneo alla tradizione giuslavoristica italiana fino a quel momento, ha lo scopo di valorizzare il contratto come strumento di autoregolazione del rapporto, attraverso una
1 Uno dei primi commenti alle novità apportate dal c.d. Collegato lavoro è di ZOPPOLI, Certificazione dei contratti di lavoro e arbitrato: le liaisons dangereuses, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT – 102/2010.
2 Generale è l’illustrazione di GHERA, La certificazione dei contratti di lavoro, in
xxx.xxxx.xx; GRANDI, La certificazione dei rapporti di lavoro tra le categorie generali del diritto, in DRI, 2008, n. 2, 339; TIRABOSCHI, Nuove tutele sul mercato: le procedure di certificazione, in TIRABOSCHI (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro: prime interpretazioni e proposte di lettura del d.lgs. n. 276/2003. Il diritto transitorio e i tempi della riforma, Milano, 2004, 237.
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procedura, appunto, di certificazione, eseguita da commissioni di certificazione individuate dalla legge, che hanno il compito di verificare la correttezza della qualificazione e della regolazione del rapporto negoziale scelta dalle parti stesse3.
In considerazione di ciò, si intende presentare la certificazione dei contratti, come strumento di regolazione del mercato del lavoro, che si può collocare nell’ordinamento giuridico come espressione normativa della funzione di controllo sui «fini sociali», a cui la libera iniziativa economica deve uniformarsi, ai sensi dell’art.41, comma 3, Cost.
1. La certificazione dei contratti come strumento di regolazione
1.1 La regolazione tra funzione di diritto pubblico e strumento di diritto privato
Come noto, l’art.41 Cost. sancisce che il principio di libertà di iniziativa economica incontra – o comunque può incontrare – una serie di limitazioni, espressione di etero-regolazione di fonte legale.
In effetti, da un lato si stabilisce un principio di libertà, e dall’altro si esprime un limite alla libera espressione dello stesso, che di per sé rappresenta la necessità di una regolazione. La fonte di questo limite è la legge.
Senza entrare nel merito della interpretazione evolutiva del principio di libertà di iniziativa economica e di libertà d’impresa, da un lato, e del principio di «utilità sociale» e di
«programmazione», dall’altro, posto che certamente essi hanno assunto nuovi significati nel corso della storia giuridica ed economica dell’Italia repubblicana4, qui interessa concentrare
3 L’introduzione nell’ordinamento giuridico italiano dell’istituto della certificazione dei contratti è stata preceduta da un intenso dibattito dottrinale (dove appare basilare il contributo di VALLEBONA, Norme inderogabili e certezza del diritto: prospettive per la volontà assistita, in XX, 0000, n. 1, 480), culminato nel 1997 (con l’apporto di BIAGI - TIRABOSCHI, Ipotesi per la predisposizione di uno tftatuto dei lavori, consultabile in QDLRI, 1998, n. 21, 347, divenuto l’anno successivo Progetto per la predisposizione di uno tftatuto dei lavori, in DRI, 1999, n. 2, 275).
4 Per una profonda analisi dell’evoluzione della “costituzione economica”, intesa
come rapporto tra libertà economiche e intervento dello Stato, si rimanda al
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l’analisi sul concetto di regolazione del mercato, ed in particolare del mercato del lavoro5. Ciò, al fine di dimostrare che la certificazione dei contratti può rientrare in una nuova tipologia di controllo ai sensi dell’art.41, comma 3, Cost., nell’ambito della autoregolazione, o meglio di quel modello regolatorio che nel mondo anglosassone è conosciuto come enforced self-regulation.
La stretta connessione tra art.41 Cost. e il tema della regolazione dei mercati è certamente riconoscibile dal fatto che il dettato costituzionale contiene alcuni importanti principi di regolazione: in primo luogo la primazia della libertà d’iniziativa economica, poi il duplice limite della utilità sociale e del divieto di recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, quindi la sottoposizione ai controlli diretti a indirizzare e a coordinare l’attività economica a fini sociali.
Nell’ambito di tali principi, ai fini della presente trattazione rilevano maggiormente la libertà di iniziativa economica, di cui l’autonomia contrattuale è naturale espressione6, e la
fondamentale saggio di CASSESE, La nuova costituzione economica, Roma, 2004, in particolare il cap. II: La “vecchia” costituzione economica: i rapporti tra Stato ed economia dall’Unità ad oggi; e il cap. III: Oltre lo Stato: il mercato unico. Sulla prospettiva delle funzioni pubbliche dello Stato regolatore e sulla funzione di controllo indiretto sul mercato, si veda in particolare il cap. XI: La nuova costituzione economica.
5 Sebbene il sistema giuridico si riveli spesso come caratterizzato da considerevole autoreferenzialità, secondo il pensiero di XXXXXXX, Essays on self-reference, Columbia University Press, 1990, tuttavia esistono livelli di “comunicazione” tra sub-sistemi sociali differenti, come il diritto ed il mercato, che consentono la co-evoluzione di entrambi. Questo è il tentativo della regolazione. La teoria della autoreferenzialità del sub-sistema del diritto, però, suggerisce approcci di regolazione del mercato che si limitino allo stretto necessario.
6 Il principio dell’autonomia contrattuale come espressione del principio di
libera iniziativa economica è espressamente definito in Corte Costituzionale n. 159 del 1988, nonché confermato e richiamato in Corte Costituzionale n. 241 del 3-15 maggio 1990. Quest’ultima sentenza, poi, sebbene non si riferisca alle tutele del diritto del lavoro ma piuttosto alla tutela dei consumatori, tuttavia esprime anche il fondamentale principio secondo cui il contratto, in quanto espressione del principio di libera iniziativa economica, può essere sottoposto ai controlli di cui all’art. 41, comma 3, Cost., che garantiscono il perseguimento dei “fini sociali”, tra i quali rientrano la protezione dei “contraenti più deboli, che di quei fini sono parte essenziale”. Naturalmente, non sfugge il fatto che questi principi definiti dalla Corte Costituzionale ben possono riferirsi alla posizione di debolezza dei lavoratori nel mercato del lavoro, ed in modo speciale a quella dei lavoratori parasubordinati.
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sottoposizione dell’iniziativa economica ai controlli stabiliti dalla legge.
Secondo una lettura ortodossa e tradizionale dell’art.41 Cost., i limiti alla libertà di iniziativa economica sono esterni alle scelte dell’impresa, e dunque sono espressione di modelli di etero-regolazione e non di autoregolazione, tanto che è stato osservato che il diritto al libero esercizio dell’attività economica e d’impresa è costituzionalmente garantito anche nel caso in cui in concreto non persegua fini di utilità sociale, essendo sufficiente che non contrasti con tali finalità pubbliche7. Tuttavia, tale impostazione tradizionale, che escluderebbe a priori l’autoregolazione dei mercati come strumento di controllo nell’ambito della regolazione degli stessi, appare oggi in qualche misura obsoleta, in quanto non tiene adeguatamente conto dell’evoluzione degli studi sulla regolazione dei mercati, e soprattutto non può più essere ritenuta univoca sul piano giuridico, in particolare a seguito dell’inserimento nella Carta costituzionale del principio di sussidiarietà orizzontale8. Si osserva infatti che, sebbene i limiti al libero esercizio dell’attività economica debbano certamente essere di natura esterna, in quanto espressione di interessi pubblici di utilità sociale e non di interessi interni ai soggetti economici privati interessati, tuttavia i controlli ai sensi dell’art.41, comma 3, Cost. non necessariamente devono essere esterni (etero direzione dei controlli), ma possono anche essere espressione di sistemi di autoregolazione (rispetto ai quali lo Stato si pone come regolatore esterno), purché finalizzati al perseguimento di
7 PACE, L’iniziativa economica privata come diritto di libertà: implicazioni teoriche e pratiche, in Studi in memoria di Xxxxxx Xxxx 1992, 1622-1623.
8 Il principio è contenuto nell’art. 118, comma 4 della Costituzione, transitato nel nostro ordinamento attraverso la contaminazione comunitaria, è già da lungo presente nelle Carte Costituzionali dei Paesi occidentali (X Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti). In effetti, il principio di sussidiarietà, come è stato osservato da XXXXXXX, Le fonti del diritto e il principio di sussidiarietà nel quadro dei più recenti interventi legislativi per la “semplificazione”, in Dir. Amm. 2001, 2-3, 273, rende “particolarmente attuale quella ricostruzione teorica che, nel sostenere l'identificazione fra istituzione e organizzazione sociale, concepisce l'ordinamento giuridico come unitario e allo stesso tempo complesso, in quanto ricomprende i singoli e molteplici corpi sociali esistenti di per sé” (X. XXXXXX, L’ordinamento giuridico, 1918).
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interessi pubblici di utilità sociale a cui i controlli stessi sono diretti.
Ciò significa che, in una logica evolutiva del dettato costituzionale9, ai tradizionali sistemi di controllo stabiliti dalla legge e ispirati a modelli di etero-controllo diretto da parte dello Stato, si possono affiancare anche modelli di controllo indiretto, meno invasivi, anche di natura volontaria e basati su modelli di autoregolazione10, come nel caso appunto della certificazione dei contratti. In particolare, alla luce dell’inserimento del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art.118, comma 4, Cost.11, non appare oggi troppo azzardato ritenere che il legislatore, in base all’art.41, comma 3, Cost., possa prevedere anche sistemi di autoregolazione, provvedendo a garantirne l’affidabilità attraverso la previsione di sistemi di rafforzamento del modello autoregolatorio da attuare mediante sistemi di validazione del
9 E’ già stato autorevolmente notato che complessivamente l’art.41 Cost. consente una interpretazione evolutiva compatibile col ruolo dello Stato regolatore. Sul punto, con particolare riferimento alla contaminazione comunitaria sull’interpretazione del principio di libera iniziativa economica, si veda XXXXXXX, Pubblico e privato nella economia. La sovranità tra Costituzione ed istituzioni comunitarie, in Quad. cost., 1992,1, 21 ss..
10 La possibilità che i controlli possano avere natura volontaria e che siano espressione del principio di autoregolazione tra le parti desta perplessità tra alcuni giuristi, normalmente sulla base dell’argomentazione che normalmente i sistemi autoregolatori finiscono per essere espressione di neocorporativismo da parte dei soggetti che dovrebbero essere regolati da una fonte esterna (la legge) e che invece tentano di imporre modelli di controllo sostanzialmente elusivi dei principi normativi. Sul punto, con riferimento alle positive esperienze nell’applicazione di modelli di autoregolazione dei mercati in Gran Bretagna, si veda OGUS, Rethinking tfelf-Regulation, in a Reader On Regulation, Xxxxxxx – Xxxxx - Xxxx (eds.), Oxford University Press, 1998, 375.
11 Sul principio di sussidiarietà come principio trasversale all’intera Costituzione, in quanto afferisce al rapporto tra cittadino e Stato, si veda XXXXXXX, Il Consiglio di tftato, il principio di sussidiarietà orizzontale e le imprese, in Giur. It., 2004, 4, 718. Inoltre, il principio di sussidiarietà va oltre il suo significato “istituzionale” e si estende ad una dimensione “sociale” e perfino individuale, che riguarda “i cittadini, singoli e associati”. Una lettura dell’art.41 alla luce dell’art. 118, comma 4, Cost. è anche proposta da BUONOMO (a cura di), La libertà d’impresa tra l’articolo 41 e l’articolo 118 della Costituzione, Servizio Studi del Senato, ottobre 2010, 244, disponibile sul web: xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxxxxxx/xxxxxxx/ studi/2010/Dossier%20_244(internet).pdf .
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modello stesso12. In questa ottica, lo Stato non rinuncia al proprio ruolo super partes a beneficio degli operatori del mercato, ma piuttosto svolge un ruolo di garanzia e di rafforzamento dell’autoregolazione degli operatori del mercato in vista di un fine di utilità generale, che nel caso della certificazione dei contratti è definito dalla legge nello scopo di ridurre il contenzioso in materia di lavoro (art.75 d.lgs. n. 276 del 2003).
Per chiarire il significato di queste affermazioni, occorre fare alcune riflessioni che riguardano la moderna teoria della regolazione, il cui oggetto è appunto la regolazione dei principi di libera iniziativa economica e di libera concorrenza13.
Poiché i modelli di regolazione sono diversificati a seconda del soggetto che materialmente introduce la regolazione, la regolazione può configurarsi come etero-regolazione, e dunque provenire dai poteri pubblici (tftate regulation), o come autoregolazione. Nell’ambito della tftate-regulation, la forma più tradizionale di regolazione è la regolazione diretta, o direct regulation, in cui lo Stato interviene attraverso il sistema normativo. E’ anche possibile però che la regolazione pubblica operi come regolazione indiretta (c.d. indirect regulation), che non si realizza attraverso l’esercizio diretto da parte del potere legislativo o esecutivo dello Stato, ma piuttosto attraverso l’ausilio di Agenzie specializzate, che operano «con poteri discrezionali di integrazione normativa nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme stabilite dal legislatore»14.
12 Nel caso della certificazione dei contratti, l’autoregolazione avviene attraverso il contratto tra le parti, la cui certificazione è effettuata dalla Commissione di Certificazione, organo terzo rispetto alle parti. Sul funzionamento dell’istituto si rimanda al successivo paragrafo 3.
13 Sul rapporto tra i principi di libera iniziativa economica e di libera concorrenza, si veda AMATO, Il mercato nella Costituzione, 1991, in Quad. cost., 1992, 1, 7 ss., e XXXXXXX, op. cit.. Inoltre, la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 241 del 3-15 maggio 1990, esplicitamente definisce la libertà di concorrenza come “valore basilare della libertà di iniziativa economica”.
14 La dottrina australiana ha affrontato in maniera particolarmente efficace il
tema della regolazione nell’ambito del diritto del lavoro. Per una trattazione approfondita, e per i relativi riferimenti dottrinali, si veda in particolare il saggio di XXXXX - XXXXXXX, The repertoires of Labour Market Regulation, in Labour Law and Labour Market Regulation, The Federation Press, 2006, 129. La citazione è tratta da questo saggio, la traduzione è degli autori del presente lavoro.
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Tuttavia, è bene chiarire che in una visione regolatoria del mercato del lavoro, anche la regolazione dello Stato non parte da una impostazione di esercizio del potere pubblico di intervento nel mercato in sostituzione del mercato stesso. La questione regolatoria non si pone insomma come una alternativa definitiva tra Stato e mercato, ma piuttosto come un sistema integrato in cui lo Stato interviene sul mercato, pur preservandone le fondamentali caratteristiche di libertà e di autoregolazione. L’intervento regolatorio dello Stato si realizza poi non solo nella fase di definizione delle regole/norme, ma anche in quella di empowerment, cioè di esecuzione e di sanzione. Secondo questa impostazione, tradizionale nel rapporto tra Stato e privato, l’esercizio del potere pubblico avviene con lo scopo del perseguimento del fine pubblico. Lo schema di regolazione di diritto pubblico tradizionale risulta quindi il seguente: la legge individua i fini pubblici da perseguire e indica l’attività pubblica e le modalità di esercizio dei poteri pubblici atti allo scopo. Secondo tale schema, l’attore principale è la pubblica amministrazione, che persegue le pubbliche funzioni indicate dalla legge, mentre i privati, che operano nel mercato, svolgono una funzione passiva di oggetto della regolazione.
La teoria neo-regolatoria del mercato del lavoro parte invece da una impostazione di matrice liberale di provenienza anglosassone, secondo la quale il mercato deve essere lasciato all’esercizio economico degli operatori economici privati. Tuttavia, dato questo presupposto generale di preferenza per l’autoregolazione dei mercati, i poteri pubblici intervengono con propri interventi regolativi nel caso in cui il mercato produca esternalità negative per la collettività. Anche in questo caso, però, l’intervento dello Stato non è immediatamente repressivo/interdittivo, ma piuttosto si realizza in primo luogo nella auto-responsabilizzazione dei privati rispetto alle conseguenze negative del proprio operato rispetto ai terzi ed alla collettività15, e solo in via residuale interviene direttamente con precetti e sanzioni. In tal senso, quindi, oltre ai tradizionali strumenti regolatori tipici della etero-regolazione diretta o indiretta da parte dello Stato, sono possibili anche interventi di auto-regolazione da parte degli stessi soggetti che operano nel
15 XXXXXXX, Regulating Contracts, op. cit., 46 ss.
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mercato16. Lo Stato, a sua volta, può favorire questi strumenti di autoregolazione17 rafforzandone l’efficacia, come nel caso della certificazione dei contratti.
1.2. Il contesto organizzativo e produttivo di riferimento
Per l’impresa, il dover fare riferimento al mercato del lavoro può comportare il rischio di una sostanziale incertezza sui reali costi di produzione che sarà chiamata a sostenere. La via maestra è certamente quella dell’adozione di una organizzazione produttiva tradizionale, che implichi il ricorso a contratti di lavoro subordinato. Tuttavia, la terziarizzazione ha anche imposto modelli organizzativi e produttivi alternativi a quello tradizionalmente industriale, che non necessariamente implicano il ricorso al “porto sicuro”, o almeno relativamente sicuro18, indicato dall’art.2094 c.c. Ci si riferisce, in particolare, ai modelli organizzativi che sempre più richiedono ed utilizzano le forme contrattuali della parasubordinazione, ed in particolare ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa (art. 409 c.p.c.) – anche nella modalità a progetto (artt.61 e ss. d.lgs.
16 Per un approccio generale alla self-regulation, si xxxx XXXXXXX, tfelf- Regulation, in Xxxxxxx – Xxxx (eds.), Understanding Regulation, cit.; XXXX, Rethinking tfelf-Regulation, op. cit.., 374-388; BLACK, Constitutionalising tfelf- Regulation, in MLR, n. 59/1996, 24.
17 Questi principi, che tendono a circoscrivere l’intervento regolatorio pubblico allo stretto necessario, secondo principi di proporzionalità e trasparenza dell’intervento, sono alla base della legislazione italiana in materia di qualità della regolazione, che introduce i procedimenti di drafting normativo dell’Analisi dell’impatto della regolazione (AIR) e della Valutazione dell’impatto della regolazione (VIR), e precisamente la legge n. 50 del 1999, la legge n. 246 del 2005, art. 14, e il DPCM n. 170 del 2008, di organizzazione delle funzioni dell’AIR. Sul punto si veda DE XXXXXXXXX, L’organizzazione della funzione di regolazione, in tftudi parlamentari di politica costituzionale, 149/150, 2005, pagg. 75-96; XXXXX, Xxxx ricerca della “regulation” economicamente perfetta: dalla teoria all’analisi dell’impatto di regolazione, in Mercato, concorrenza e regole, 1, 2003, 49 ss.; DELL’ACQUA, L’analisi di impatto della regolazione fra politica e amministrazione, in Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxxx, III, Torino, 2005, 207 ss..
18 Si pensi al riguardo al dibattito sulla flessibilità in uscita dal mercato del lavoro, ed in particolare alla polemica discussione sulla tutela reale garantita dall’art. 18 della l. n. 300 del 1970.
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276/2003) – e alla associazione in partecipazione (artt.2549 e ss. c.c.).
Da un lato, il ricorso a queste forme di contrattazione individuale per la regolazione dei rapporti di lavoro all’interno delle imprese è manifestazione del principio della libertà d’impresa e d’iniziativa economica di cui all’art.41 Cost., quale espressione del fondamentale diritto dell’imprenditore di scegliere il modello organizzativo e produttivo mediante il quale fare impresa19, ma, dall’altro lato, il sistema giuslavoristico che regola il ricorso a tali forme contrattuali impone all’impresa l’assunzione di un rischio la cui portata reale non è facilmente predeterminabile dall’operatore economico.
Infatti, le parti del rapporto individuale di lavoro sono libere di scegliere lo strumento contrattuale, ma nel rispetto di vincoli normativi inderogabili. Questo tipo di inderogabilità del modello contrattuale costringe gli operatori economici e del diritto a continue astrazioni, cioè ad operazioni di verifica della propria situazione contrattuale ed organizzativa di riferimento rispetto ad un modello normativo inderogabile dalle parti20, con forte aggravio in termini di costi e di insicurezza dei rapporti giuridici per le imprese.
Il rischio dell’errore nella qualificazione del contratto individuale rispetto al modello legale si sostanzia nel rischio di una lite giudiziaria con conseguente riqualificazione del contratto da parte del giudice del lavoro.
19 Già da lungo tempo la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha interpretato il principio di libera iniziativa economica nel senso di ricomprendervi anche la libertà dell’imprenditore di organizzazione e gestione dell’impresa. Sul punto si richiama Xxxxx Xxxx. 00 dicembre 1958, n. 78, dove si legge che per “iniziativa economica privata, devono comprendersi le attività di operatori non solo dirette a creare e costituire una azienda, ma anche inerenti alla vita e allo svolgimento di essa”. Sulla questione dell’interpretazione della giurisprudenza della Corte Costituzionale sull’estensione della libertà di iniziativa economica alle scelte imprenditoriali connesse alla gestione dell’impresa, si rimanda a CAPUNZO, Argomenti di diritto pubblico dell’economia, Milano, 2010, 21 ss., nota n. 2.
20 Sulla inderogabilità della norma e sulla indisponibilità dei diritti dei lavoratori, si veda XXXXXXX, La norma inderogabile: fondamento e problema del diritto del lavoro; TULLINI, Indisponibilità dei diritti dei lavoratori: dalla tecnica al principio e ritorno, in Inderogabilità delle norme e disponibilità dei diritti. Atti delle Giornate di studio di diritto del lavoro (Modena, 18-19 aprile 2008), Milano, 2009.
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Tale sistema, è evidente, porta a situazioni di incertezza dei rapporti giuridici che costituiscono un vero rischio di esternalità negativa (o meglio di costi occulti o hidden costs) per l’impresa21. Il tutto è poi aggravato da una rilevante asimmetria informativa tra gli attori del mercato del lavoro22. Da un lato, infatti, in fase di contrattazione con il lavoratore, l’impresa ha un evidente vantaggio nel potere imporre modelli contrattuali oggettivamente per sé meno onerosi, sia sul piano economico sia su quello del rispetto degli standards di tutela normativa, in quanto il lavoratore può essere propenso ad accettare condizioni contrattuali anche palesemente inique, pur di ottenere il posto di lavoro a cui ambisce. Una volta costituito il rapporto di lavoro, il lavoratore si trova tuttavia in una posizione di vantaggio rispetto all’azienda, potendo richiedere al giudice la definitiva qualificazione del rapporto di lavoro, secondo uno schema contrattuale a sé più favorevole, normalmente nelle tradizionali forme del contratto di lavoro subordinato a tempo pieno ed
indeterminato.
Tali due fasi in realtà costituiscono una vera e propria trappola per le parti del contratto individuale di lavoro: prima per il lavoratore, poi per il datore di lavoro. In particolare, le esternalità negative rispetto al mercato del lavoro si manifestano sia in fase di ingresso (posto che spesso vengono offerti contratti di lavoro a condizioni decisamente inique), sia in fase di esecuzione o anche di avvenuta estinzione del rapporto di lavoro (in cui l’impresa rischia di vedersi accollare costi aggiuntivi non previsti, i c.d. hidden costs23, indipendentemente dal fatto che abbia approfittato o meno, esercitando il c.d. moral hazard, della propria iniziale situazione di vantaggio). In definitiva, tale sistema finisce per penalizzare sia i lavoratori (che spesso
21 Per i profili di “incertezza” che caratterizzano il diritto del lavoro e che hanno “ispirato” il legislatore si veda TREMOLADA, La certificazione dei contratti di lavoro tra autonomia privata, attività amministrativa e giurisdizione, in RIDL, 2007, n. 3, 307.
22 Sulla certificazione come strumento di superamento delle asimmetrie informative si vedano, ex multis, D’ORONZO, La certificazione nella riforma del mercato del lavoro: finalità, natura ed effetti, in LG, 2005, n. 4, 312, e RAUSEI, La certificazione dei contratti presso le Dpl, in DPL, 2005, n. 12, 649.
23 TIRABOSCHI, Nuove tutele del mercato sul lavoro: le procedure di certificazione, in Tiraboschi (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro, Milano, 2004, 239 ss.
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trovano occupazioni sottopagate e rapporti di lavoro non genuini, perlopiù fatti rientrare nelle tipologie della parasubordinazione o dell’autonomia), sia, come anticipato, le imprese.
1.3. La certificazione quale strumento di regolazione dei rapporti tra soggetti individuali: nel contratto di lavoro e nei contratti di servizi tra imprese
Per affrontare efficacemente le situazioni di rilevante incertezza sui costi di transazione occulti (hidden costs) che il ricorso a strumenti organizzativi flessibili può comportare per l’impresa, l’ordinamento giuridico italiano ha prodotto, a presidio della certezza della corretta qualificazione ed utilizzo dei contratti di lavoro, un nuovo strumento di regolazione: la certificazione dei contratti. Il vantaggio di tale strumento è che esso può operare già in fase di progettazione delle soluzioni organizzative, o in fase di stipulazione del contratto, e non intervenire unicamente ex post, dopo l’estinzione del rapporto contrattuale24. Inoltre, la certificazione finisce comunque per orientare significativamente l’eventuale sentenza del giudice, qualora - nonostante la avvenuta certificazione - sorga comunque una controversia.
In effetti, il ricorso a contratti di lavoro flessibili e a processi di disintegrazione verticale della produzione di beni e servizi necessiterebbe, per essere consapevolmente approcciato, di un adeguato livello di conoscenza, da parte dell’impresa, dei costi di transazione necessari per effettuare le proprie scelte organizzative e produttive, le quali, oltre a rivestire una notevole
24 L’idea di far intervenire pubblica amministrazione e parti sociali nel controllo
ex ante dei rapporti di lavoro privati era già stata sperimentata, prima del d.lgs.
n. 276/2003, in altri casi (relativi al contratto di formazione e lavoro, al part- time, ai regolamenti adottati dalle cooperative ed alla libera professione nelle case di cura private). A questo proposito si veda GHERA, Nuove tipologie contrattuali e certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 527. Riferiscono di ulteriori forme di “sperimentazione” della certificazione TIRABOSCHI, Le procedure di certificazione, in GLav, 2003, n. 4, 123; RUSSO, Certificazione dei lavori atipici: prime forme di sperimentazione?, in GLav, 2002, n. 4, 78. Fondamentale appare poi il contributo alla riflessione apportato da ZOLI, Contratto e rapporto tra potere e autonomia nelle recenti riforme del diritto del lavoro, in GDLRI, 2004, n. 3, 359.
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importanza sul piano della correttezza giuridica, hanno rilievo anche in termini di gestione del personale, e più in generale in termini di organizzazione aziendale.
L’auspicato livello di ragionevole certezza dei rapporti giuridici e contrattuali può essere raggiunto, secondo quanto ha ritenuto il legislatore del 2003, attraverso la certificazione dei contratti di lavoro, che è un vero e proprio strumento di regolazione del mercato del lavoro, perché verifica ed attesta la correttezza del contratto di lavoro con riferimento alla specifica organizzazione del lavoro dell’impresa singolarmente considerata. Lo stesso avviene per quanto riguarda la certificazione del contratto di appalto, che si pone come strumento di regolazione del mercato nell’ambito delle esternalizzazioni produttive, garantendo il rispetto dei diritti dei lavoratori che operano in esecuzione del medesimo.
Il vantaggio della certificazione come strumento di regolazione del mercato rispetto alle diverse istituzioni che possono agire come regolatori, in fase di enforcement delle regole pubbliche, vale a dire rispetto all’intervento pubblico operato dal giudice in sede di contenzioso, ovvero dall’ispettore del lavoro in sede di verifica ispettiva, riguarda il fatto che con la certificazione del contratto di lavoro o di appalto l’impresa può, già in un momento che precede l’esecuzione dei relativi contratti, e dunque in fase di pianificazione organizzativa, essere ragionevolmente certa dei costi di transazione relativi alle tipologie contrattuali flessibili utilizzate e all’esternalizzazione effettuata. Il correlativo vantaggio del lavoratore, che ad esempio certifica il proprio rapporto di lavoro flessibile, si sostanzia invece nella ragionevole sicurezza che la commissione incaricata della certificazione, che è un soggetto terzo ed imparziale rispetto alle parti del contratto, garantisca che in quest’ultimo siano inserite anche tutte le clausole previste dalla legge in favore del lavoratore25. Si pensi al riguardo ai contratti di collaborazione
25 Sul tema dell’informazione legale come strumento di regolazione, si veda ARUP - XXXXXXXXXX, The Recovery of Wages: Legal tfervices and Access to Justice, in Xxxxxx Law Review, n. 35/2009, 96-117. In questo saggio, gli autori analizzano l’importanza dell’informazione sui propri diritti (in particolare sui diritti retributivi, sia minimi legali sia contrattuali) per i lavoratori con rapporti di lavoro “non standard”. Gli autori declinano l’informazione dei lavoratori in
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coordinata e continuativa, laddove vengano esplicitate modalità organizzative compatibili col principio di autodeterminazione della prestazione lavorativa da parte del lavoratore, nel rispetto dell’autonomia dello stesso. Per quanto riguarda i rapporti commerciali tra imprese, poi, si pensi anche al contratto di appalto, nell’ambito del quale si dia conto nel dettaglio26, con assoluta chiarezza e certezza, delle caratteristiche organizzative della regolazione dei rapporti tra committente ed appaltatore, tali da garantire la riconoscibilità dell’assunzione in concreto dell’organizzazione dei mezzi produttivi e del rischio d’impresa da parte di quest’ultimo27.
Nell’ottica proposta, dunque, la certificazione dei contratti di lavoro si presenta tipicamente come strumento di diritto del lavoro inteso in un senso più ampio rispetto a quello tradizionale: si può sostenere che, attraverso questo istituto, il diritto del lavoro mostri la propria funzione di diritto della produzione28.
A questo punto sembra potersi comprendere meglio il fatto che la certificazione dei contratti si presenta come uno strumento di regolazione indiretta (indirect regulation), vale a dire come strumento regolatorio alternativo al tradizionale potere
azioni di rilievo progressivo, definite di “legal consciousness”, “legal information”, “legal advice”, “legal assistance/action”.
26 Uno degli effetti studiati in letteratura dell’introduzione di modelli regolatori di enforced self-regulation è l’aumento del livello di esplicitazione dell’autoregolazione (trasparenza) negli strumenti contrattuali tra le parti. E più in particolare l’aumento dell’introduzione di clausole contrattuali che definiscono l’assetto concreto e reale degli interessi in gioco tra le parti. Al contrario, un livello elevato di etero-regolazione (statale) può indurre le parti del contratto ad aumentare l’introduzione di clausole di stile, che meramente dichiarano la sola intenzione delle parti di adempiere alle regole etero-imposte. Su questo punto si veda XXXXX – XXXXXXXXXXX, Responsive regulation, Oxford University Press, 1992, 115.
27 Il riferimento è all’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003.
28 Sul punto si xxxx XXXXXXXX - ARUP, Labour Law and Labour Market Regulation, op. cit., 3-20. Nella dottrina italiana, ex multis, BIAGI - RUSSO, Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale: appunti per una ricerca, Collana Adapt, n. 1/2001, xxx.xxxxx.xx/xxx-xx- line/home/documento1977.html. Per una trattazione lucida ed ampia dell’evoluzione del diritto del lavoro in Italia, nell’ottica di far coniugare i tradizionali obiettivi di giustizia sociale con le esigenze della produzione dell’impresa, si veda TIRABOSCHI, Le riforme del mercato del lavoro dell’ultimo decennio: un processo di liberalizzazione, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, n. 1/2006, 477-511.
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normativo che lo Stato esercita attraverso la norma (precetto- sanzione). Si ritiene infatti che la certificazione dei contratti sia uno strumento di regolazione indiretta in quanto non opera secondo lo schema precetto-sanzione, ma piuttosto agisce come “incentivo”29 a vantaggio delle parti del contratto, tanto che si tratti in concreto di un contratto individuale di lavoro ovvero di un contratto commerciale tra imprese, “in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro”30. Infatti, essa produce effetti positivi per le parti del contratto, opponibili anche nei confronti dei terzi, secondo quanto espressamente previsto dalla legge31. In questo senso la certificazione dei contratti, realizzando in concreto l’obiettivo del legislatore di contribuire efficacemente alla correttezza e alla trasparenza dei rapporti contrattuali (ad esempio fornendo una adeguata “informazione legale” alle parti in merito alla natura e agli effetti del contratto che si intende stipulare, nonché garantendo la corretta qualificazione del contratto scelto dalle parti), realizza l’obiettivo di ridurre il contenzioso in materia di lavoro32, attraverso la regola della piena volontarietà delle parti di sottoporsi o meno alla procedura di certificazione, e dunque mediante un sistema che, proprio perché volontario, è estraneo al tradizionale modello di regolazione diretta dello Stato basato sullo schema precetto-sanzione.
In particolare, la certificazione dei contratti integra un sistema di regolazione indiretta che tende a valorizzare l’autoregolazione dei privati contraenti. Rispetto a questo
29 Si veda il precedente paragrafo 1.1, in particolare la nota n. 14, XXXXX- XXXXXXX, op. cit., 133, in cui l’autore analizza la tecnica di regolazione indiretta del mercato del lavoro, suggerendo il fatto che la regolazione può avvenire «attraverso meccanismi alternativi rispetto al tradizionale potere normativo», vale a dire rispetto al tradizionale meccanismo normativo diretto di precetto-sanzione. Secondo l’autore, infatti «la regolazione non solo riguarda l’utilizzo di norme che stabiliscono ciò che è consentito o ciò che è vietato, oltre alle sanzioni che conseguono al mancato rispetto dei precetti, ma anche di meccanismi di incentivo (positive incentives) che avvantaggiano coloro che attuano il comportamento desiderato».
30 Secondo la lettera dell’art.70 d.lgs. n. 276 del 2003, come modificato dalla l. n. 183 del 2010.
31 Si veda l’art.79 d.lg. n. 276 del 2003, per la cui trattazione si veda infra par. 4.
32 L’obiettivo del legislatore è chiaramente esplicitato dall’art.70 d.lgs. n. 276
del 2003, come modificato dalla l. n. 183 del 2010.
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contesto regolatorio, il ruolo della legge non è quello tradizionale basato sul meccanismo precetto-sanzione, del divieto e della sanzione (command and control), ma piuttosto quello di facilitare il raggiungimento degli obiettivi di regolazione del mercato del lavoro che essa stessa dichiara33, garantendo l’affidabilità (accountability) del sistema di autoregolazione tra privati.
2. La certificazione come strumento di regolazione (enforced self regulation) del mercato del lavoro
Una diversa forma di regolazione, rispetto al tradizionale intervento diretto dello Stato attraverso la legge, è dunque quella che viene autodeterminata dalle parti. A livello “micro”, il primo ed il più importante esempio di autoregolazione è il contratto34. Ogni contratto è infatti espressione della libertà delle parti di autoregolare i propri rapporti giuridici patrimoniali. Nel diritto civile italiano, è la stessa legge a definire questo principio, all’art.1322, comma 0, x.x., xxxxxxx xx stabilisce che la libertà contrattuale vada oltre i contratti tipici, estendendosi alla libera determinazione delle parti anche nell’immaginare nuovi strumenti contrattuali non direttamente disciplinati dalla legge, pur nel rispetto del principio del perseguimento di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Più specificamente, nel diritto del lavoro, strumenti di autoregolazione sono sia la contrattazione collettiva, sia il contratto individuale di lavoro.
Anche la certificazione dei contratti di lavoro e dei contratti di appalto rappresenta uno strumento di autoregolazione del contratto (individuale). Infatti, oggetto della certificazione è il
33 Sul ruolo della legge nella regolazione, si xxxx XXXX, Regulating for job creation, The Federation Press, 2008, 49, dove si afferma che in un moderno sistema di regolazione del mercato del lavoro, a fianco della tradizionale funzione di regolazione diretta (precetto-sanzione), la legge assume un fondamentale ruolo di garanzia della accountability del sistema stesso di regolazione. Si tratta in particolare di facilitare la responsabilizzazione, ovvero la verifica della affidabilità (accountability) degli attori del mercato rispetto agli obiettivi che la legge (o meglio il sistema di regolazione) si pone.
34 E’ il fondamento del saggio di XXXXXXX, Regulating contracts, Oxford
University Press, 1999.
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contratto, che è espressione della autoregolamentazione delle parti.
Le parti del contratto individuale di lavoro perlopiù ricorrono alla certificazione tutte le volte in cui la corretta qualificazione del contratto, ovvero la legittimità di alcune clausole contrattuali, siano in qualche misura controverse o potenzialmente soggette a fraintendimenti. Sotto questo profilo, la certificazione del contratto può essere anche uno strumento di verifica della reale volontà delle parti nell’interpretazione del contratto.
L’operazione dei certifier di verifica della reale volontà delle parti e, tra l’altro, della corretta qualificazione del contratto, è certamente un’operazione di verifica della legalità del contratto nel suo complesso, ma è anche una verifica sulla correttezza delle singole clausole contrattuali, nonché un test di compatibilità del modello contrattuale prescelto rispetto all’organizzazione concreta dell’azienda. Questo avviene in modo particolare nel caso dei contratti rientranti nella parasubordinazione, come i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nelle modalità a progetto/programma, e nel caso del contratto di appalto/subappalto. In questi casi, infatti, è necessario che la verifica venga fatta non solo e non tanto rispetto ad un modello teorico disciplinato dalla legge, quanto concretamente rispetto alla reale organizzazione aziendale in cui il contratto si inserisce. In particolare, nel caso della parasubordinazione, devono essere verificate le concrete modalità di esecuzione del rapporto del lavoro, che devono differire sostanzialmente dall’oggettivo inserimento del collaboratore nell’altrui organizzazione e sotto l’altrui potere direttivo, pur configurandosi nel necessario coordinamento rispetto all’organizzazione del committente. Allo stesso modo, anche nel caso della certificazione dell’appalto e del subappalto, i requisiti di legittimità dell’esternalizzazione devono essere verificati in concreto rispetto all’organizzazione della produzione del committente e dell’appaltatore, oltre che all’autonomia imprenditoriale di quest’ultimo.
Come anticipato, la certificazione è effettuata da un soggetto terzo rispetto alle parti del contratto (la commissione di certificazione), ed è per questo che l’istituto richiamato può essere considerato uno strumento di enforced self-regulation, ed in particolare:
1.- di self regulation, in quanto valorizza il contratto individuale come strumento di autoregolazione dei rapporti tra le
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parti, asseconda la scelta datoriale di flessibilità, ma rispetta anche l’utilità del lavoratore di non essere sottoposto in concreto a modalità organizzative del rapporto di lavoro incompatibili con il modello contrattuale prescelto dalle parti35;
2.- enforced, in quanto la volontà delle parti che stipulano il contratto è supportata da una assistenza tecnica necessaria per qualificare correttamente in concreto il contratto che le parti intendono stipulare. L’intervento di enforcement della certificazione valorizza nel contratto la concreta applicazione dei principi di legalità, di correttezza, di buona fede, che valgono a responsabilizzare entrambe le parti nella corretta esecuzione del contratto. Questa caratteristica della certificazione è garanzia di responsabilizzazione delle parti nella corretta esecuzione del contratto correttamente formulato36.
35 La struttura contrattuale (con particolare riferimento ai contratti di lavoro) e la tipologia dei soggetti (datore di lavoro/committente e lavoratore) evidenzia un modello di “self-regulation” che non si riferisce ai modelli tradizionali che riguardano soggetti tra loro omogenei (ad esempio la regolazione nell’ambito degli “ordini professionali”), ma piuttosto interessa soggetti strutturalmente portatori di interessi differenti, e spesso su posizioni di diversa forza contrattuale. D’altra parte, la letteratura sul punto ha già rilevato che l’ambito dell’autoregolazione è assai più ampio rispetto a quello della difesa di interessi comuni da parte di un gruppo strutturato di soggetti tra loro omogenei. Sul punto si veda OGUS, Regulation. Legal Form and Economic Theory, Clarendon Law Series, 1994, 107-110, il quale puntualizza anche il fatto che l’autoregolazione può essere il risultato di un processo di negoziazione tra soggetti beneficiari della stessa autoregolazione, quindi all’interno di uno strumento di natura contrattuale. Secondo l’Autore, un esempio di ciò sono i sistemi di autoregolazione aziendale in materia prevenzionistica in Gran Bretagna. Questi costituiscono per l’autore un esempio di autoregolazione negoziata, la cui adeguatezza dipende dal fatto che le parti, azienda e lavoratori (o loro rappresentanti), siano entrambe in possesso delle necessarie informazioni per poter procedere ad un accettabile risultato di autoregolazione. Sulla autoregolazione come modello negoziato tra parti portatrici di interessi differenti si veda anche OGUS, Rethinking tfelf-Regulation, op.cit., 374-388. In questo saggio si presentano in maniera articolata differenti sistemi di autoregolazione, tra cui anche un modello di autoregolazione basato sulla negoziazione tra portatori di interessi differenti.
36 L’autoregolazione può essere classificata come “enforced” quando è soggetta ad un rafforzamento e ad un controllo da parte di un soggetto esterno. Così XXXXXXX - XXXX, Understanding Regulation, Oxford University Press, 1999, 39. La situazione di “enforcement” è tipica dello Stato regolatore, che può agire direttamente ovvero attraverso agenzie specializzate. Sul punto si veda XXXXX - XXXXXXXXXXX, op. cit.,1992, 110 ss., che analizza il modello di “enforced
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Si osserva che, poiché il ricorso alla certificazione è pienamente volontario, la correttezza e la credibilità dell’attività di certificazione sono totalmente affidate alla credibilità delle commissioni di certificazione e dei loro membri. Infatti, gli effetti della certificazione non comportano l’insindacabilità del provvedimento da parte del giudice del lavoro, che anzi può annullarne gli effetti, se la certificazione non è conforme ai criteri di legalità di cui all’art.80 del d.lgs. n. 276 del 2003. Quindi, in termini di efficacia dell’istituto, tanto maggiori sono i casi di annullamento della certificazione in sede giudiziaria, quanto minore finisce per diventare l’effettività e la credibilità dell’istituto, e non solo della singola commissione. Al contrario, maggiore è la tenuta, anche in sede giudiziale, del contratto certificato, maggiore è anche l’effettività ed il prestigio dell’istituto.
Il patrimonio delle commissioni di certificazione è insomma il proprio know how, nonché l’equità, la serietà e l’approfondimento dei giudizi che esprimono.
Si rileva d’altra parte che la volontarietà del ricorso alla certificazione e la sindacabilità giudiziale dei giudizi della commissione configurano l’istituto come uno strumento di soft- law, estraneo al tradizionale strumentario di regolazione normativa del diritto del lavoro nel nostro Paese. A ciò si deve anche aggiungere un certo sfavore manifestato dai molti detrattori dell’istituto37, e da quella parte del sindacato che vede la certificazione dei contratti come uno strumento che scalfisce la sacralità del principio dell’inderogabilità delle norme di diritto del lavoro, anche derivanti dalla contrattazione collettiva.
selfregulation”, individuandone vantaggi e criticità. Sempre sul punto, più recente, si veda anche XXXXXX - XXXXX, An introduction to Law and Regulation, Cambridge University Press, 2009, 106-109.
37 Cfr., tra tutti, SPEZIALE, Certificazione, in BELLOCCHI, LUNARDON, SPEZIALE (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro. Xxxxxx XXX, VIII e IX, Artt. 61-86, in CARINCI (coordinato da), Commentario al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Milano, IV, 140, e anche La certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro, in RGL, 2003, n. 2, 271.
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3. La regolamentazione della certificazione
La certificazione dei contratti termina con la emissione di un provvedimento avente natura amministrativa, a seguito della attivazione di una procedura volontaria a cui le parti possono ricorrere. Lo scopo della certificazione è individuato dalla legge nella riduzione del contenzioso in materia di lavoro38.
Gli organi che possono effettuare la certificazione sono individuati dalla legge (art.76 d.lgs. 276 del 2003)39. In primo luogo sono istituite le commissioni di certificazione presso le Direzioni provinciali del lavoro, che sono attualmente operative. Anche presso le Province possono essere istituite commissioni di certificazione, così come presso il Ministero del lavoro, nell’ambito della Direzione Generale della tutela delle condizioni di lavoro. Quest’ultima commissione di certificazione viene istituita per i casi in cui il datore di lavoro abbia sedi di lavoro in più province. Possono poi essere istituite commissioni di certificazione presso i consigli provinciali dei consulenti del lavoro, presso gli enti bilaterali, presso le Università e le Fondazioni universitarie, qualora vi operino anche docenti di diritto del lavoro.
La competenza territoriale della commissione di certificazione corrisponde alla competenza territoriale dell’organo presso cui sono istituite le commissioni di certificazione. Quest’ultima coincide in molti i casi con il territorio provinciale (in verità, le uniche ad avere competenza nazionale, senza limitazioni di diverso tipo, quali quelle settoriali tipiche degli enti bilaterali, sono le commissioni universitarie). Il criterio di determinazione della circoscrizione provinciale di
38 Prima della riformulazione dell’art. 75 d.lgs. n. 276 del 2003 ad opera della l.
n. 183 del 2010, la legge prevedeva che lo scopo della certificazione consistesse nella più limitata finalità della riduzione del “contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro”. Per un approfondimento sulle questioni teoriche e pratiche che riguardano la certificazione che tenga conto delle novità apportate dalla legge di riforma del 2010, si veda PASQUINI – TIRABOSCHI, La certificazione dopo il collegato lavoro (L. 183/2010). Manuale di teoria e pratica, Il Sole 24 Ore, 2011.
39 Sulle diverse commissioni di certificazione si richiama l’analisi effettuata da TURSI, La certificazione dei contratti di lavoro, in Magnani – Varesi (a cura di), Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali. Commentario ai decreti legislativi n. 276/2003 e n. 251/2004, Torino, 2005, 669 ss.
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riferimento per la relativa commissione di certificazione è determinato dalla sede di lavoro del lavoratore il cui contratto si richiede di certificare.
Ogni commissione di certificazione approva un regolamento interno che ne determina le modalità di funzionamento e di operatività. L’autonomia regolamentare non è però illimitata, ma piuttosto deve essere esercitata nel rispetto dei criteri previsti dalla legge come necessari, che sono costituiti da alcuni principi fondamentali stabiliti dall’art.78, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 200340. Il principale criterio legale è quello della volontarietà del ricorso alle procedure di certificazione, la cui istanza deve essere sottoscritta da entrambe le parti. Inoltre, è previsto l’obbligo di informazione agli Enti pubblici che sono interessati istituzionalmente alla procedura, per gli effetti che il provvedimento di certificazione produce. Questi sono in particolare gli Istituti previdenziali, principalmente Inps ed Inail, ma anche Enpals, ovvero altri Istituti competenti per la tipologia del contratto da certificare. Infine, è ravvisabile un interesse istituzionale in capo all’Agenzia delle entrate territorialmente competente. Tale livello di informazione capillare avviene per il tramite della Direzione provinciale del lavoro competente per territorio, che provvede ad informare le altre Istituzioni pubbliche interessate. Al riguardo si osserva che, attraverso l’informazione relativa all’inizio del procedimento, la legge intende consentire alle istituzioni pubbliche competenti un vero e proprio diritto d’intervento nell’ambito del procedimento di certificazione, che si può realizzare o con la partecipazione alle sessioni della commissione di certificazione, ovvero con la presentazione di memorie scritte che la commissione di certificazione ha l’obbligo di valutare nell’ambito dei propri lavori, senza però potersi evincere dalla legge, in capo alla commissione di certificazione, alcun obbligo di conformarsi al parere e alle valutazioni espresse dagli organi pubblici intervenuti. In ogni caso, si precisa che l’interesse dell’organo pubblico all’intervento non sussiste a priori, ma dipende dal
40 Sul procedimento di certificazione in generale si vedano X. XX XXXXXXX, Le certificazioni all’interno della riforma del mercato del lavoro, cit., 235; RAUSEI, La certificazione del contratto di lavoro, in DPL, 2003, n. 10, inserto, e TIRABOSCHI, Le procedure di certificazione, in GLav, 2003, n. 4, 123.
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tenore dell’istanza presentata dalle parti, ed in particolare dagli effetti in relazione ai quali viene richiesta la certificazione, siano essi effetti civili, amministrativi, fiscali o previdenziali, ovvero combinazioni di una o più tipologie di effetti legali.
Si ritiene che, in conformità ai principi generali di diritto amministrativo (art.2, l. n.241 del 1990), all’istanza delle parti debba conseguire necessariamente un provvedimento espresso da parte della Commissione di certificazione41. Inoltre, l’atto che conclude la procedura di certificazione, così come in generale tutti i provvedimenti amministrativi, deve essere motivato (art.78, comma 2, lettera c), d.lgs. n. 276 del 2003) e può essere almeno di due tipologie: di certificazione, ovvero di rigetto dell’istanza. Tutte le commissioni di certificazione istituite sul territorio nazionale hanno poi un obbligo di conservazione
41 Questo obbligo della commissione si ricava anche dalla dottrina sugli atti amministrativi, che configura la certificazione nell’ambito degli atti dichiarativi, ed in particolare degli atti di certazione. Secondo la migliore dottrina amministrativa, poi, gli atti di certazione si distinguono in propri ed impropri, a seconda che vi sia un obbligo di rispondere all’istanza da parte dell’organo competente. La sussistenza o meno di detto obbligo è quindi ritenuta dalla dottrina come riconducibile alla produzione di effetti legali dell’atto di certazione: se l’atto produce effetti legali, allora si tratta di una certazione propria, che comporta un obbligo di conclusione del procedimento con un provvedimento esplicito; in caso contrario tale obbligo non sarebbe configurabile. Pertanto, dato che la certificazione, come meglio si dirà nel paragrafo seguente, produce importanti effetti legali rispetto al contratto, si deve concludere che essa sia inquadrabile come atto di certazione propria, con obbligo di conclusione del procedimento con un provvedimento espresso da parte della commissione di certificazione adita dalle parti. In generale, sulla natura amministrativa dell’atto di certificazione si vedano BATTISTUTTA, La certificazione del contratto di lavoro, in LG, 2005, n. 1, 14; XXXXXXXX, Nature ed effetti del negozio certificato, cit., 321; MESSINEO, La certificazione dei contratti di lavoro nel d.lgs. n. 276/2003 Aspetti procedimentali e modalità applicative, in WP Adapt, 2008, n. 5, in xxx.xxxxx.xx; NOGLER, La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 203; RAUSEI, La certificazione del contratto di lavoro, in DPL, 2003, n. 10, inserto, e SPEZIALE, Certificazione, cit., 140. Nega la natura amministrativa, attribuendo all’atto certificazione la natura di negozio giuridico di accertamento PALADINO, Certificazione dei contratti di lavoro e teoria del negozio giuridico, in GLav, 2005, n. 9, 24. Puntuale è la critica di SALERNO, Certificazione dei contratti di lavoro e profili di diritto amministrativo, in GLav, 2005, n. 9, 35, che ritiene quello di certificazione un vero e proprio procedimento amministrativo, sfociante in un atto di certazione. Sul punto si veda anche GHERA, La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 277.
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quinquennale degli atti, il cui dies a quo coincide con quello di scadenza del contratto certificato. L’obbligo di conservazione riguarda in realtà non soltanto il contratto certificato, ma l’intera documentazione istruttoria, comprese le dichiarazioni rese in sede istruttoria dalle parti del contratto. Questo obbligo, naturalmente, è preordinato a facilitare la decisione del giudice presso il quale, in una fase successiva, venga eventualmente presentato ricorso avverso l’atto di certificazione.
Infine, si osserva che finora non ha avuto seguito la previsione di cui all’art.78, comma 5, del d.lgs. n. 276 del 2003, che prevede l’emanazione da parte del Ministro del lavoro di un decreto contenente un codice di buone pratiche per l’individuazione delle clausole indisponibili, con riferimento specifico ai diritti e ai trattamenti economici e normativi dei lavoratori. Tale decreto, qualora venisse emanato, potrebbe avere certamente un rilievo decisivo, sia quale importante riferimento per creare uniformità nelle determinazioni e nella prassi operativa delle diverse commissioni di certificazione, ma ancor più per individuare una serie di clausole contrattuali utili per la contestuale tutela dei diritti dei lavoratori e degli interessi di certezza dei rapporti contrattuali dell’impresa42.
42 La funzionalità di codici di buone pratiche e di moduli e formulari può essere vista non solo nel contributo all’attività delle Commissioni, ma anche nell’introduzione di parametri oggettivi di riferimento che uniformino l’azione delle Commissioni di certificazione (ROTONDI, Certificazione dei contratti di lavoro: profili applicativi, in DPL, 2004, n. 4, 2564; SPEZIALE, Certificazione, cit., 140, TIRABOSCHI, Le procedure di certificazione, in GLav, 2003, n. 4, 123) ed orientino le determinazioni delle parti contraenti. Molti Autori hanno si sono interrogati sulla previsione riguardante i codici di buone pratiche. In particolare, si sono chiesti in essa se potesse essere ravvisata una traccia del concetto di derogabilità assistita, che pur sembrava “seppellito” dal legislatore delegato (MESSINEO, La certificazione dei contratti di lavoro nel d.lgs. n. 276/2003 Aspetti procedimentali e modalità applicative, in WP Adapt, 2008, n. 5, in xxx.xxxxx.xx), salvo poi giungere a diverse conclusioni. Prevale l’opinione secondo cui i codici di buone pratiche non vincolano l’attività certificatoria delle Commissioni né dispongono di alcuna funzione creativa, ma costituiscono una sorta di vademecum sulle previsioni della contrattazione collettiva, in grado di orientare le determinazioni delle parti in una logica di assistenza e consulenza (art. 81) alle stesse. Così ANGIOLINI - FASSINA, tfulle procedure di certificazione, in GHEZZI (a cura di), Il lavoro tra progresso e mercificazione, Commento critico al decreto legislativo n. 276 del 1.9.2003, Roma, 2004; DE ANGELIS, Le certificazioni all’interno della riforma del mercato del lavoro, cit., 235, e MESSINEO, La certificazione dei contratti di lavoro nel d.lgs. n. 276/2003
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4. Gli effetti della certificazione
L’art.79 del d.lgs. n. 276 del 2003 prevede che gli effetti della certificazione, o meglio gli effetti del contratto certificato, permangano tra le parti e nei confronti dei terzi fino al momento in cui sia pronunciata una sentenza di merito, anche di primo grado43, che accolga un eventuale ricorso avverso l’atto di certificazione44. Il giudice può però, ove ne ricorrano i presupposti, emanare un provvedimento cautelare che sospende temporaneamente l’efficacia della certificazione fino alla sentenza di merito. Certamente, quindi, si deve ritenere che avverso la certificazione sia proponibile un ricorso ex art.700 c.p.c., che, se accolto, può legittimamente sospendere l’efficacia del provvedimento di certificazione anche prima della sentenza.
Un interessante effetto della certificazione, che rafforza lo strumento autoregolatorio contrattuale, è la previsione di una efficacia verso i terzi, ossia anche nei confronti di coloro che non hanno preso parte al procedimento di certificazione45.
Aspetti procedimentali e modalità applicative, in WP Adapt, 2008, n. 5, in
43 Per approfondire quali provvedimenti possano ritenersi “sentenza di merito” di cui parla l’art.79 d.lgs. n. 276 del 2003, si vedano DE ANGELIS, Certificazione dei rapporti di lavoro e poteri del giudice: quale deflazione del contenzioso?, cit., 295; DE ANGELIS, Le certificazioni all’interno della riforma del mercato del lavoro, cit., 235; DONDI, tfull’istituto della certificazione nel D.lgs, n. 276/2003, in tfcritti in memoria di tfalvatore Xxxxxxxxx, in DL, 2004, 1067, e NOGLER, Il nuovo istituto della “certificazione” dei contratti di lavoro, in MGL, 2003, n. 3, 110.
44 Si veda SPEZIALE, L’efficacia giuridica della certificazione, in Carinci (a cura
di), Commentario al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Milano, 2004. Inoltre, GANDI, La certificazione dei contratti di lavoro tra utilità e ambiguità, in MGL, 2004, n. 7, 485 ss.
45 La dottrina precisa che non si tratta di efficacia verso i terzi nel senso di cui all’art.1372, comma 2, c.c., nel senso che la norma non conferisce al contratto certificato effetti diretti verso i terzi, ma piuttosto “rende imperativi verso i terzi quelli che restano pur sempre effetti riflessi del contratto certificato”, GHERA, La certificazione dei contratti di lavoro, 22, scaricabile su xxx.xxxx.xx. La questione è molto rilevante ad esempio rispetto alla certificazione dei contratti di appalto, dove tra i terzi non si contano solo gli Enti pubblici interessati alla tutela dei rapporti di lavoro, ma anche i lavoratori dipendenti dell’appaltatore, nei confronti dei quali il contratto di appalto certificato non produce effetti diretti, ma indiretti e superabili attraverso il ricorso giudiziale ai sensi dell’art.29, comma 3-bis, d.lgs. n. 276 del 2003. Sostengono che il proprium
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Il contratto di lavoro “semplice”, rispetto al contratto di lavoro certificato, si differenzia massimamente proprio per il fatto che solo il secondo produce effetti anche verso i terzi. In effetti, la certificazione conferisce al contratto una “stabilità relativa ai fatti certificati”, cosicchè, fino alla pronuncia del giudice in primo grado, «le parti e i terzi sono vincolati alle risultanze dell’atto di certificazione, ne subiscono gli effetti e non possono opporvisi»46.
Nell’ambito di questa previsione si colloca il principio di resistenza della certificazione del contratto anche nei confronti dell’organo di vigilanza che intende verificare la corretta qualificazione del contratto certificato. A seguito della direttiva indirizzata al personale ispettivo del 18 settembre 2008, emanata dal Ministro del lavoro, si deve osservare che, sebbene la legge non precluda la possibilità di accertamento da parte dell’organo ispettivo nei riguardi del contratto certificato, al fine di razionalizzare l’utilizzo delle risorse pubbliche gli ispettori del lavoro sono invitati a programmare, qualora non sussista una specifica denuncia da parte del lavoratore interessato, attività di vigilanza nei riguardi dei rapporti di lavoro che si basano su contratti non certificati. Questo pare allo stato attuale l’effetto principale e l’interesse certamente maggiore da parte dei datori di lavoro nel ricorrere alla certificazione. Infatti, come noto, a fronte di un ordinario potere di accertamento della qualificazione
della certificazione vada ricercato negli effetti che essa produce nei confronti dei terzi M.T. CARINCI, Le funzioni della certificazione, in DPL, 2009, n. 22, 1269; D’ORONZO, La certificazione nella riforma del mercato del lavoro: finalità, natura ed effetti, in LG, 2005, n. 4, 312; GHERA, La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 277; RIVERSO, La certificazione dopo la sperimentazione. Un istituto ancora da decodificare, in LG, 2006, n. 1, 5; MESSINEO, La certificazione dei contratti di lavoro nel d.lgs. n. 276/2003 Aspetti procedimentali e modalità applicative, WP Adapt, 2008, n. 5, xxx.xxxxx.xx. Quanto agli effetti della certificazione nei confronti dei terzi si veda XXXXXXX, Commissioni di certificazione: gli indirizzi operativi dell’Inps, in DRI, 2005, n. 3, 847, che illustra la circolare Inps n. 71/2005, nonché le approfondite analisi di XXXXXX, Certificazione dei contratti, indagine ispettiva e sistema sanzionatorio, in DPL, 2006, n. 42, 2369 e TREMOLADA, La certificazione dei contratti di lavoro tra autonomia privata, attività amministrativa e giurisdizione, cit., 307.
46 PERINA, La certificazione nell’impianto della riforma Biagi del mercato del lavoro: finalità, natura ed effetti, in Xxxxxx - Xxxxxxxxxx (a cura di), Compendio critico per la certificazione dei contratti di lavoro, Milano, 2005, 12-13.
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del contratto di lavoro e del contratto di appalto da parte degli ispettori, nel caso della certificazione, in ogni caso gli effetti perdurano anche nei confronti dei terzi, e dunque anche degli ispettori del lavoro, i quali, anche qualora intendessero superare lo schermo legale della certificazione, avrebbero comunque, indipendentemente dalla direttiva del Ministro, l’onere di promuovere un tentativo obbligatorio di conciliazione presso la stessa commissione che ha certificato il contratto, per poi poter procedere, in caso di mancata conciliazione, a proporre un ricorso giurisdizionale47. In effetti, sul piano pratico, qualora l’ispettore del lavoro intendesse comunque compiere l’intera procedura, la Direzione provinciale del lavoro si troverebbe nell’obbligo di dovere richiedere il patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura delle Stato, non essendo dotata di un ufficio legale abilitato per legge a presentare ricorsi giurisdizionali per suo conto. Certamente, in questo caso, più praticabile sarebbe la proposizione del ricorso giurisdizionale da parte dell’avvocatura dell’Inps, o dell’Inail, competenti per il recupero di differenziali contributivi rispetto al contratto eventualmente certificato in violazione di legge. Tuttavia, l’emanazione della citata direttiva del 18 settembre 2008 da parte del Ministro del lavoro ha reso ancora più remota questa pur già improbabile ipotesi di ricorso. In effetti, si deve osservare però che, in mancanza di ricorso delle parti interessate, l’interesse pubblico all’annullamento della certificazione appare piuttosto debole, pur in presenza di un eventuale differenziale a favore degli Istituti previdenziali, questo anche per l’effetto del progressivo avvicinamento delle aliquote contributive applicabili ai lavoratori iscritti alla gestione separata dell’Inps, come nel caso certamente più ricorrente del ricorso alla certificazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nella modalità a progetto, e di associazione in partecipazione con apporto di lavoro, o apporto misto capitale e lavoro, da parte dell’associato.
47 Sul punto, si veda DONDI, tfull’istituto della certificazione nel d.lgs. 276 del 2003, in AA.VV., Scritti in memoria di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, in D&L, III, 2004, 1080.
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5. La certificazione dei contratti commerciali in generale e dell’appalto in particolare
La l. n. 183 del 2010 ha considerevolmente ampliato l’ambito di operatività della certificazione che, secondo il nuovo testo, si può ottenere in tutte le ipotesi di «contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro». Questo significa che i contratti che possono essere certificati non sono solo i contratti di lavoro, come già avveniva fino ad ora, ma anche i contratti commerciali tra datori di lavoro, nei quali sia
«dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro». Potranno quindi essere sottoposti a procedura di certificazione contratti diversi come il contratto di somministrazione di lavoro, il distacco di lavoratori ai sensi dell’art.30 del d.lgs. n. 276 del 2003, e probabilmente anche il contratto di nolo a caldo, il contratto di somministrazione ai sensi dell’art.1559 c.c., il contratto di trasporto, oltre naturalmente al contratto di appalto, (con una possibile “espansione” a tutti i contratti commerciali in cui sia dedotta, anche indirettamente una prestazione di lavoro)48.
Il fine stesso della certificazione si è dunque assai ampliato rispetto al passato, in quanto, mentre nella precedente formulazione normativa, la certificazione dei contratti di lavoro era specificatamente finalizzata alla riduzione del contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro, attualmente la certificazione ha il più ampio scopo di ridurre il contenzioso in materia di lavoro49.
Oltre a ciò, la legge prevede espressamente anche alcune ipotesi speciali di certificazione. Tra queste, la principale è la certificazione del contratto di appalto, ai sensi dell’art.84 del d.lgs. n. 276 del 200350.
48 Per quanto riguarda la certificabilità dei contratti di lavoro esternalizzato si veda in particolare RAUSEI, Certificazione dei contratti, indagine ispettiva e sistema sanzionatorio, in DPL, 2006, n. 42, 2369.
49 Sul tema della deflazione del contenzioso si veda PELLACANI, Riflessioni
critiche sulla certificazione dei contratti di lavoro, in GLav, 2005, n. 9, 8.
50 Sul tema della certificazione dei contratti di appalto si veda innanzitutto RAUSEI, Certificazione dei contratti, indagine ispettiva e sistema sanzionatorio, in DPL, 2006, n. 42, 2369. Si segnalano, inoltre, BIZZARRO, Le politiche di contrasto al lavoro nero tra nuovo regime degli appalti e procedure di certificazione, in DRI, 2007, n. 2, 517; XXXXXXX – LIZZI - RUPIL, Contratto di
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In effetti, lo scopo della certificazione del contratto di appalto risiede nella necessità da parte delle imprese di avere certezza in merito ai rapporti giuridici e commerciali che pongono in essere. La certificazione del contratto di appalto, infatti, è caratterizzata dalla finalità di accertare la «distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto». Tale differenza, infatti, è enunciata dall’art.29 del d.lgs. n. 276 del 2003, e risiede nella
«organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore» e nell’assunzione da parte di quest’ultimo «del rischio d’impresa». Orbene, se in astratto la distinzione tra le fattispecie dell’appalto e della somministrazione può risultare di una certa semplicità, nondimeno in concreto assai spesso si configurano situazioni contrattuali di appalti di non intuitiva configurabilità, che necessitano di un approfondimento tecnicamente e professionalmente qualificato, come certamente è quello delle commissioni di certificazione.
L’erronea qualificazione del contratto di appalto, rispetto ai
presupposti (richiamati dal suddetto art. 29) dell’organizzazione dei mezzi necessari e dell’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore, configura un’ipotesi assimilabile alla somministrazione di lavoro illecita, in quanto effettuata con un soggetto economico che nei fatti quasi certamente non risulta titolare di una autorizzazione alla somministrazione ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 276 del 2003. Questa ipotesi è sanzionata penalmente ai sensi dell’art.18, comma 5-bis, del d.lgs. n. 276 del 2003, in via ordinaria con «l’ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione». Quindi, a fronte di un’ipotesi penale, risulta abbastanza evidente che la certificazione del contratto di appalto riveste una importanza davvero considerevole, di cui le imprese possono utilmente beneficiare nell’esercizio dei propri rapporti commerciali. Poiché l’ipotesi di reato prevista dalla legge nel caso in esame è quella
appalto, in GLav, 2005, n. 9, 83; XXXXXXXXX - RAPACCIUOLO, La certificazione dei contratti tra nuove opportunità e criticità, in xxx.xxxxxxxxx.xx/Xxxxxxxxxxxxxx%00xxx%00xxxxxxxxx%000-00.xxx; NOGLER, Il nuovo istituto della “certificazione” dei contratti di lavoro, in MGL, 2003, n. 3, 110, e SPEZIALE, Certificazione, in BELLOCCHI – LUNARDON -SPEZIALE (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro. Xxxxxx XXX, VIII e IX, Artt. 61-86, in X. XXXXXXX (coordinato da), Commentario al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Milano, IV, 140.
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della contravvenzione, la quale è configurabile, dal punto di vista dell’elemento soggettivo del reato, come colposa, anche qualora il contratto di appalto certificato dovesse essere sottoposto al vaglio del giudice penale, difficilmente a parere di chi scrive sarebbe configurabile una ipotesi di reato, per mancanza dell’elemento soggettivo della colpa. Infatti, come sarebbe possibile ascrivere un comportamento colposo, vale a dire negligente, imprudente o imperito alle parti, qualora esse si fossero rivolte per la corretta qualificazione del contratto ad una Commissione di certificazione istituita per legge51?
6. La certificazione come strumento di controllo dell’organizzazione aziendale: controllo esterno e controllo interno
Così come descritta, la certificazione dei contratti di lavoro può certamente essere considerata una modalità di controllo dell’iniziativa economica privata ai sensi dell’art.41, comma 3, Cost.. Come modello di enforced self-regulation, infatti, la funzione certificatoria rappresenta uno strumento di controllo volto a limitare in concreto l’abuso del diritto alla libera iniziativa economica da parte dell’impresa.
In quanto strumento volontario di controllo della regolarità della qualificazione e della gestione dei contratti individuali di lavoro, poi, la certificazione può essere considerata come una espressione del già richiamato principio di sussidiarietà orizzontale, introdotto dalla riforma del 2001 come principio di rilievo costituzionale all’art.118, comma 4, Cost.52.
In effetti, si tratta di uno strumento che, seppur ad adesione volontaria delle parti contrattuali, costituisce certamente un
51 Tutt’altro tema, sui cui però non ci si addentrerà in questa sede sebbene risulti di grande interesse, sarebbe poi quello che porta a ragionare sulla responsabilità professionale delle commissioni di certificazione.
52 Sul principio di sussidiarietà orizzontale come espressione evolutiva della
garanzia costituzionale di iniziativa economica privata, si veda COCOZZA, Diritto pubblico applicato all’economia, Torino, 2008, 266 ss.; Sul rilievo del principio di sussidiarietà orizzontale rispetto al principio di libertà dell’iniziativa economica, si veda anche NIRO, Art. 41, in XXXXXXX – CELOTTO - OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, UTET, 2006, Art. 41, 859, e nota n. 100.
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controllo esterno sulle scelte organizzative e gestionali dell’impresa che coinvolgono, direttamente o indirettamente, i rapporti di lavoro che essa pone in essere con lavoratori e collaboratori. La volontarietà dello strumento, poi, risulta del tutto compatibile col principio di sussidiarietà orizzontale, in quanto la certificazione dei contratti, pur essendo uno strumento di autoregolazione e dunque di autocontrollo delle parti, risponde comunque ad un interesse generale53, che è quello della riduzione del contenzioso in materia di lavoro54. In questo senso, la certificazione è uno strumento di controllo del rispetto dei limiti posti dalla legge alla libertà dell’iniziativa economica dell’impresa, e come strumento di controllo esterno si configura quale espressione del principio di sussidiarietà orizzontale, che sostanzialmente esprime con altro linguaggio, quello del diritto costituzionale, l’analogo concetto di enforced self-regulation, termine proprio della teoria della regolazione e del linguaggio dell’analisi economica del diritto55.
Infatti, il modello di enforced self-regulation esprime, al pari del principio di sussidiarietà orizzontale, una chiara preferenza per il modello autoregolatorio, nel quale sono gli stessi soggetti nella cui sfera il sistema regolatorio va ad incidere ad esprimere le regole, sotto la supervisione della legge, la quale agisce da cornice procedurale56 funzionale a garantire l’affidabilità del
53 Sul punto si fa riferimento ai presupposti essenziali per configurare il principio di sussidiarietà orizzontale, individuati dal Consiglio di Stato nel parere n. 1440 del 2003, che sono il cd. “requisito relazionale” e la “generalità dell’interesse”. Sul punto si veda XXXXXXX, La sussidiarietà orizzontale fra programma e realtà, in Sussidiarietà e Diritti, Xxxxxxx (a cura di), Napoli, 2007, 181-203.
54 Così stabilisce infatti l’articolo 75, del decreto legislativo n. 276 del 2003.
55 Proprio questo concetto del “controllo/enforcement” è un esempio di contaminazione e comunicazione tra diversi sub-sistemi sociali, quello del diritto costituzionale e quello del mercato del lavoro, suggerito da XXXXXXX, Essays on self-reference, op. cit., e ripreso da XXXXXXX, Regulating contracts, Oxford University Press, 1999, il quale ha definito queste contaminazioni “gateways” tra diversi sub-sistemi.
56 La funzione della legge quale cornice procedurale rispetto allo strumento autoregolatorio tra privati è proposta da XXXXXXX, Juridification: concepts, aspects, limits, solutions, in Xxxxxxx-Xxxxx-Xxxx (eds.) A Reader on Regulation, Oxford University Press, 1998, 421.
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sistema stesso di regolazione57. In questo senso, la certificazione dei contratti opera come strumento di autoregolazione, mediante la valorizzazione dello strumento contrattuale come modello di autoregolazione, che opera tuttavia in una cornice normativa ben definita dalla legge, la quale stabilisce le procedure ed i controlli funzionali a garantire l’affidabilità58 sia del processo di autoregolazione, sia del relativo prodotto, vale a dire del contratto certificato.
D’altra parte, si può osservare che la certificazione può anche essere utilmente intesa dall’azienda come un modello di auto- controllo della propria organizzazione (controllo interno, o audit aziendale).
Infatti, se l’operazione di certificazione consiste nel processo valutativo di legittimità sostanziale fin qui descritto, ciò che davvero rileva, in concreto, è la valutazione del contratto rispetto all’organizzazione aziendale. Dalla necessità di effettuare tale valutazione in concreto discende l’accoglimento o il respingimento dell’istanza di certificazione da parte della commissione, che finisce per effettuare una valutazione non solo della legittimità del contratto rispetto alla legge, ma anche della relazione tra il contratto e la concreta organizzazione aziendale.
Alla luce di queste osservazioni, dunque, la certificazione dei contratti di lavoro e del contratto di appalto è certamente un istituto giuridico finalizzato alla prevenzione dei conflitti tra le parti contrattuali, ma ha anche l’utilità di contribuire a creare nell’azienda una ragionevole certezza sui costi da sostenere, ed infine è anche uno strumento organizzativo, in quanto, nell’esperienza concreta delle Commissioni di certificazione si evidenzia che se da un lato i contratti di lavoro da certificare sono influenzati dall’organizzazione aziendale dell’impresa, tuttavia avviene anche il contrario, perché anche l’organizzazione aziendale viene a sua volta influenzata, e subisce adattamenti anche significativi, dai contratti, o meglio dai rapporti di lavoro
57 Sul punto si veda XXXXXXX - CAVE, op.cit., 39, laddove si definisce il termine enforced come la situazione in cui l’autoregolazione «è soggetta ad una forma di cornice normativa stabilita dallo Stato ovvero ad un sistema di controllo da parte di esso».
58 Sulla verifica della affidabilità (accountability) come leva strategica dei sistemi di regolazione, si veda il capitolo Accountability, in XXXXXXX – CAVE, op. cit., 286-313, oltre a XXXX, op. cit., 49.
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che concretamente la caratterizzano. Infatti, può avvenire che le imprese organizzate secondo un modello direzionale tradizionale, fondate sul principio dell’esercizio del potere direttivo ed organizzativo da parte del vertice sulla base della piramide organizzativa, si trovino a mettere in forte discussione il proprio modello organizzativo nel momento in cui intendano attivare al proprio interno contratti di lavoro parasubordinato, come le collaborazioni coordinate e continuative a progetto, che presuppongono al contrario un raccordo tra impresa e lavoratore basato sulla coordinazione e non sull’esercizio del potere direttivo. Il coordinamento, infatti, presuppone che l’impresa sia in grado di funzionare attraverso uno strumento organizzativo certamente più soft, che lascia ampi spazi di libertà all’auto- organizzazione del lavoratore nelle modalità dell’esecuzione della prestazione lavorativa. L’organizzazione tradizionale che voglia utilizzare questo contratto deve allora essere necessariamente ritoccata e resa compatibile con le modalità esecutive tipiche di tale forma contrattuale.
In questo senso, dunque, la certificazione dei contratti di lavoro e degli appalti è anche uno strumento di organizzazione aziendale. Normalmente, infatti, si realizza il seguente schema funzionale:
1.- l’azienda sceglie strategicamente forme contrattuali che le garantiscano maggiore flessibilità nell’utilizzo della forza lavoro;
2.- l’azienda, però, non è sempre altrettanto pronta a variare la propria organizzazione aziendale, spesso basata sull’esercizio del potere direttivo attraverso la catena di comando tra la direzione e la base dell’organizzazione;
3.- l’azienda individua un lavoratore in grado di inserirsi in modo flessibile nella propria organizzazione aziendale, e che sia disposto a sottoscrivere un contratto diverso da quello tradizionale di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato;
4.- le parti richiedono la certificazione del contratto;
5.- la commissione di certificazione rileva che l’organizzazione deve operare alcune variazioni, al fine di potere utilizzare correttamente il contratto che si intende certificare.
Quest’ultima operazione avviene attraverso l’utilizzo, da parte della commissione, di alcune leve soft di persuasione all’impresa:
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1.- definendo nel provvedimento di certificazione formule che accertano un’interpretazione autentica compatibile di clausole contrattuali altrimenti dubbie o scarsamente coerenti col modello contrattuale utilizzato;
2.- provocando la concreta specificazione delle modalità del coordinamento, lasciate altrimenti volutamente indeterminate nel contratto;
3.- convincendo ad escludere clausole contrattuali che prevedono modalità di coordinamento in realtà rientranti nel concetto di esercizio del potere direttivo e/o di controllo, ove non addirittura disciplinare;
4.- nel caso di contratti di appalto, esplicitando nel contratto gli elementi chiave che evidenziano, sia tra le parti stesse del contratto sia rispetto ai terzi (eventuali verifiche ispettive), la consistenza dell’autonomia organizzativa dell’appaltatore rispetto all’organizzazione del committente.
Questa concreta interazione tra valutazione del contratto da certificare e verifica della concreta organizzazione aziendale di inserimento del lavoratore giustifica l’asserzione che la certificazione dei contratti di lavoro e degli appalti sia un vero e proprio strumento organizzativo per l’impresa, in quanto finisce per presupporre e per favorire la coerenza tra obiettivi strategici aziendali di flessibilità e concreta organizzazione aziendale. Dunque, la certificazione è strumento di gestione al servizio dell’organizzazione aziendale, con la funzione di favorire l’ampliamento della flessibilità della gestione (del personale e degli appalti) attraverso un corretto utilizzo dei modelli contrattuali, ed allo stesso tempo di rendere coerente l’organizzazione aziendale rispetto alla flessibilità gestionale che l’azienda stessa strategicamente sceglie.
Da un punto di vista regolatorio, quindi, l’azienda è libera di effettuare scelte strategiche di flessibilità, tanto nell’ambito delle esternalizzazioni attraverso il ricorso all’appalto, quanto attraverso l’utilizzo di contratti di lavoro flessibili. Al fine però di rendere rispondenti (responsive) e coerenti questi indirizzi strategici, l’azienda deve, sul piano tattico ed operativo, utilizzare gli strumenti scelti in modo legittimo e secondo correttezza e buona fede.
Qualora poi le parti del contratto agissero, nella concreta esecuzione del contratto, in maniera difforme rispetto a quanto stabilito nel testo contrattuale che viene certificato, ciò sarebbe
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non solo motivo di ricorso giudiziario avverso il contratto certificato, ai sensi dell’art.80 del d.lgs. n. 276 del 2003, ma potrebbe e dovrebbe costituire anche occasione di una attenta verifica organizzativa da parte dell’impresa, finalizzata ad individuare le ragioni della mancata attuazione delle scelte strategiche aziendali di flessibilità, dell’incoerenza tra le scelte del management strategico e l’esecuzione di queste da parte del management operativo e di verifica della reale capacità operativa dell’azienda a perseguire obiettivi di flessibilità attraverso strumenti gestionali e contrattuali adeguati. Con questa configurazione, la certificazione può costituire persino una vera e propria procedura aziendale, che il management operativo può utilizzare per fare business, al pari delle altre procedure interne all’azienda. In questo senso, il contratto certificato non è un vincolo, ma un valore per l’azienda, perché concorre a perseguire gli obiettivi che l’azienda si propone. D’altra parte, la certificazione può invece essere un vincolo, qualora l’impresa operi in malafede, e dichiarando di volere operare attraverso una organizzazione davvero flessibile, in realtà intenda mantenere inalterata la propria organizzazione rigida, anche se non compatibile con le esigenze regolatorie dei modelli legali dei contratti di lavoro flessibili, ovvero, in caso di esternalizzazione del processo produttivo mediante l’appalto, con la necessaria autonomia imprenditoriale ed organizzativa dei propri partners commerciali. Infatti, l’utilizzo di strumenti contrattuali flessibili comporta anche l’adozione di una organizzazione d’impresa altrettanto flessibile.
La certificazione dei contratti come strumento tattico di organizzazione aziendale è dunque anche uno strumento di audit aziendale, diretto a verificare in concreto la correttezza tattica ed operativa delle scelte strategiche aziendali, delle quali misura la reale capacità di tradurre in azioni concrete le idee e la vision dell’organizzazione e del business. Il contratto certificato da un organo terzo, la commissione di certificazione appunto, è infatti la conferma –si potrebbe dire il risultato di audit- che valorizza la corretta attuazione delle scelte strategiche in termini di rispetto della legge e di adeguatezza e coerenza dell’organizzazione aziendale rispetto agli obiettivi strategici di flessibilità. Al contrario, il diniego di certificazione può essere occasione proficua per l’azienda per operare una seria verifica organizzativa della concreta attuazione delle proprie scelte strategiche, che può
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servire a due scopi: rivedere la scelta del contratto di lavoro o di appalto, inteso quest’ultimo come attuazione tattico-operativa degli obiettivi generali, ovvero rivedere la propria strategia di flessibilizzazione. In questo senso, il rispetto da parte dell’impresa del modello autoregolatorio espresso nel contratto certificato corrisponde al rispetto delle stesse scelte strategiche e di governance aziendale59.
La corretta applicazione di questo strumento sta dunque da un lato nella credibilità ed affidabilità delle parti contrattuali, cioè nella reale volontà delle parti di eseguire compiutamente e secondo buona fede il contratto che si intende certificare, e dall’altro nella credibilità ed affidabilità dell’organo di certificazione, che deve essere non soltanto un competente conoscitore del diritto del lavoro, ma anche un buon analista dell’organizzazione nell’ambito della quale il rapporto di lavoro concretamente si inserisce.
Una interessante apertura normativa della certificazione dei
contratti di lavoro e di appalto come strumento dell’organizzazione aziendale è peraltro prevista dall’art.27, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008, il cosiddetto testo unico per la sicurezza, laddove si prevede l’adozione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi ai fini prevenzionistici. La norma infatti dispone che alla base del futuro sistema di qualificazione siano anche gli “standard contrattuali e organizzativi” individuati dalle commissioni di certificazione dei contratti di lavoro e di appalto nell’esercizio delle loro funzioni. Qui, infatti, è la stessa legge che identifica nell’organizzazione del lavoro dell’impresa (per i rapporti di lavoro), o delle imprese (per gli appalti), un ambito di intervento naturale per le valutazioni della commissione di certificazione dei contratti di lavoro, concretizzando ancora una volta una forma soft di “controllo” sulla libertà d’impresa, che tende a valorizzare la responsabilità degli operatori economici in processi di auto-regolazione assistita, ovverosia di enforced self-regulation.
59 Questo specifico punto, riguardante la coerenza tra scelte strategiche aziendali espresse da strumenti di enforced self-regulation, è uno dei vantaggi di tale strumento regolatorio, ed è espressamente richiamato da XXXXX – XXXXXXXXXXX, op. cit., 1992, 115.
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