Trasferimento del lavoratore per comprovate ragioni organizzative - Modifica sostanziale unilaterale di elemento essenziale del rapporto
CASSAZIONE, Sez. Lav., Ord. 20
luglio 2020, n. 15401 - Pres. BER- RINO - Rel. PATTI - C.P.G. (Avv. X. XXXXXXXX), c. GRUPPO
ARGENTA spa (Avv.ti X. XXX- XXXX, F. M. SCAGLIA).
Trasferimento del lavoratore per comprovate ragioni organizzative
- Modifica sostanziale unilaterale di elemento essenziale del rapporto
- Mancata accettazione da parte del lavoratore e risoluzione consensuale del contratto di lavoro - Qualifica- zione della fattispecie estintiva come “licenziamento” ai sensi dell’art. 1, par. 1, primo comma, lettera a) della Direttiva 98/59/CE.
Alla luce di una corretta interpre- tazione dell’articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a) della Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 (concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di li- cenziamenti collettivi), rientra nella nozione di “licenziamento” il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostan-
ziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegue la cessazio- ne del contratto di lavoro, anche su richiesta del lavoratore medesimo (Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015, in causa C-422/14, p.ti da 50 a 54).
Una tale interpretazione, conforme alla citata giurisprudenza della Corte di Giustizia, comporta il su- peramento della precedente dell’art. 24 L. 223/1991, anche alla luce del D.Lgs. 151/97 di attuazione della Direttiva Comunitaria 26 giugno 1992, n. 56, nel senso che nel nume- ro minimo di cinque licenziamenti, ivi considerato come suficiente ad integrare l’ipotesi del licenziamento collettivo, non potessero includersi altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorché riferi- bili all’iniziativa del datore di lavoro (Xxxx. 6 novembre 2001, n. 13714;
Cass. 22 gennaio 2007, n. 1334): dovendosi intendere il termine li- cenziamento in senso tecnico, senza potere ad esso parificare qualunque altro tipo di cessazione del rapporto determinata (anche o soltanto) da
(1) Il commento di Xxxxx Xxxxxxxx,
I confini tra risoluzione consensuale e
recesso divengono incerti, segue il testo della sentenza in epigrafe.
una scelta del lavoratore, come nel- le ipotesi di dimissioni, risoluzioni concordate, o prepensionamenti, anche ove tali forme di cessazione del rapporto fossero riconducibili alla medesima operazione di ridu- zione delle eccedenze della forza lavoro giustificante il ricorso ai licenziamenti (Xxxx. 22 febbraio 2006, n. 3866; Cass. 29 marzo 2010,
n. 7519) (1).
Svolgimento del processo
superiore a cinque nell’arco di cen- toventi giorni;
2. avverso tale sentenza il lavo- ratore ricorreva per cassazione con sei motivi, cui la società resisteva con controricorso;
3. il P.G. rassegnava le conclu- sioni a norma dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;
4. parte ricorrente comunicava memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.
1. Con sentenza 7 aprile 2017, la Corte d’appello di Milano riget- tava il reclamo proposto da C.P.G. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della sua opposizione all’ordinanza dello stesso Tribunale, che aveva dichiarato legittimo il li- cenziamento intimatogli dalla datrice Gruppo Argenta spa il 19 maggio 2014, esclusane la natura verbale, così come quella ritorsiva per sus- sistenza di un giustificato motivo oggettivo (per la soppressione del suo posto di lavoro in conseguenza di esternalizzazione dell’attività di gestione e manutenzione del parco automezzi) e così pure la violazione della L. n. 223 del 1991, inapplica- bile in assenza di prova del licenzia- mento di un numero di dipendenti
Motivi della decisione
1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 2, 3, 5, art. 1362 c.c., per la ravvisata sussistenza da parte della Corte territoriale del giustifi- cato motivo oggettivo sulla base di ragioni diverse (acquisto di proprietà dei veicoli della flotta aziendale, mu- tamento delle condizioni di esterna- lizzazione dei servizi ad essa relativi rispetto al precedente affidamento a Car Server spa, redistribuzione ad altri dipendenti di attività prima svolte dal lavoratore) da quelle della lettera di licenziamento (sop- pressione della posizione lavorativa per esternalizzazione dell’attività), con inammissibile integrazione dei motivi di licenziamento e senza
alcun accertamento dell’incidenza causale delle predette ragioni sulla soppressione del posto di lavoro (primo motivo);
1.1. esso è infondato;
1.2. la Corte territoriale ha esatta- mente applicato i principi di diritto in materia di giustificato motivo ogget- tivo per soppressione della posizione lavorativa per esternalizzazione dell’attività (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201; Cass. 3 maggio 2017,
n. 10699; Cass. 3 dicembre 2018, n. 31158; Cass. 18 luglio 2019, n. 19302), in base ad un accertamento in fatto, sostenuto da una congrua argomentazione a giustificazione del rigetto del motivo di doglianza del lavoratore appellante (esposto sub 1 di pg. 20 della sentenza), incentrata proprio sulla diversa gestione del parco auto a fondamento della rior- ganizzazione (dall’ultimo capoverso di pg. 23 all’ultimo di pg. 25 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità, senza operare alcuna modificazione, nè integrazione dei motivi di licenziamento;
2. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3, 5, artt. 1175, 2103 e 2697 c.c., per mancato accertamento della possibilità di collocazione in altre mansioni, anche inferiori, del
lavoratore nel contesto aziendale, in violazione dell’onere di allegazione e prova datoriale (secondo motivo);
2.1. esso è inammissibile;
2.2. anche qui la Corte mila- nese ha fatto esatta applicazione dei principi in tema di repêchage, integrante elemento costitutivo del licenziamento per giustificato mo- tivo oggettivo nell’onere probatorio datoriale (Cass. 20 ottobre 2017, n. 24882; Cass. 2 maggio 2018, n. 10435), avendo poi escluso la possi- bilità di un reimpiego del lavoratore in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale (Cass. 8 marzo 2016, n. 4509; Cass. 6 dicembre 2018, n. 31653; Cass. 24 settembre 2019, n. 23789), per avere ciò verificato anche mediante la rav- visata insussistenza (agli ultimi due capoversi di pg. 28 della sentenza) delle posizioni lavorative indicate dal lavoratore reclamante come disponibili (verifica ben utilizzabile dal giudice al fine di escludere la possibilità del repêchage, sebbene non sussista un onere del lavoratore di indicare quali siano al momento del recesso i posti esistenti in azienda a tali fini: Cass. 22 novembre 2018,
n. 30259), con accertamento in fatto (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 27 al terzo di pg.
29 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità;
3. il ricorrente deduce poi viola- zione dell’art. 132 c.p.c., xxxxx 2,
n. 4, art. 156 c.p.c., per illogicità e contraddittorietà della motivazione a fondamento della sussistenza del giustificato motivo oggettivo, in ordine all’esternalizzazione dell’atti- vità del lavoratore presso Ombra srl, nonostante il precedente affidamento di analogo incarico a Car Server spa, nonché a fondamento dell’assol- vimento dell’obbligo di repêchage (terzo motivo);
3.1. anch’esso è inammissibile;
3.2. la censura non prospetta in realtà un’ipotesi di nullità della sen- tenza, ma piuttosto una sostanziale contestazione della valutazione pro- batoria e dell’accertamento in fatto della Corte territoriale, in assenza di alcun contrasto irriducibile tra affermazioni motive inconciliabili tali da determinare nullità della sen- tenza, non ricorrendo i presupposti di configurabilità del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che circoscrive il sindacato di legit- timità sulla motivazione alla sola ve- rifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dell’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi (che si convertono in viola-
zione dell’art. 132 c.p.c., xxxxx 2,
n. 4 e danno luogo a nullità della “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del giurisdizio- nale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od in- comprensibile”, sentenza) di prov- vedimento ed irriducibile al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che ab- bia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940); un tale obbligo risulta poi violato qua- lora la motivazione risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affer- mazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incom- prensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 25 settembre 2018, n. 22598);
4. il ricorrente deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in tema di giustificato motivo og-
gettivo quali l’inquadramento della posizione del lavoratore nell’am- bito aziendale, l’epoca e l’oggetto effettivi di esternalizzazione delle attività inerenti la flotta aziendale, il contenuto delle attività inerenti gli immobili di competenza del Facility Service Manager in rapporto alle altre funzioni aziendali e l’attività dello stesso lavoratore (quarto mo- tivo); omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in tema di repêchage in ordine ad assunzioni della datrice tra febbraio e maggio 2014 (quinto motivo);
4.1. essi, congiuntamente esami- nabili per ragioni di stretta connes- sione, sono inammissibili;
4.2. nel caso di specie ricorre l’ipotesi di cd. “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., com- ma 5, applicabile ratione temporis, in difetto di indicazione ad opera della parte ricorrente, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamen- te, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 17
gennaio 2019, n. 1197);
4.3. inoltre, la pluralità di fatti dei quali sia dedotto l’omesso esame denuncia ex se la mancanza del ca- rattere di decisività di ognuno (Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625);
4.4. infine, neppure sussistono fatti storici di cui sia stato omesso l’esame, secondo il nuovo paradig- ma normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto piuttosto una contestazione della valutazione pro- batoria e dell’accertamento di fatto della Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità, qualora sorretti da adeguata argomentazione (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1197), come appun- to nel caso di specie, per le ragioni suindicate;
5. il ricorrente deduce violazio- ne e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 24, per mancanza di prova del licenziamento di un numero di dipendenti superiore a cinque nell’arco di centoventi giorni, in riferimento all’erronea valutazio- ne della cessazione del rapporto nel periodo anche di G.F. (risolto il 31 gennaio 2014 per il suo rifiuto di accettazione del trasferimento per comprovate ragioni organizzative),
da intendere integrare licenziamen- to secondo la Direttiva 98/59 CE, come interpretata in particolare dalla sentenza della Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015 in causa C422/14 (sesto motivo);
5.1. esso è fondato;
5.2. alla luce di una corretta in- terpretazione dell’art. 1, paragrafo 1, comma 1, lettera a) della Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 (concernente il riavvicina- mento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi), rientra nella nozione di “licenziamento” il fatto che un dato- re di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta dal lavoratore medesimo (Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015 in causa C-422/14, p.ti da 50 a 54);
5.3. una tale interpretazione, conforme alla citata giurisprudenza della Corte di Giustizia, comporta il superamento della precedente della
L. n. 223 del 1991, art. 24, anche alla luce del D.Lgs. n. 151 del 1997, di attuazione alla Direttiva comunitaria
26 giugno 1992, n. 56, nel senso che nel numero minimo di cinque licenziamenti, ivi considerato come sufficiente ad integrare l’ipotesi del licenziamento collettivo, non potessero includersi altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorché riferibili all’ini- ziativa del datore di lavoro (Cass. 6 novembre 2001, n. 13714; Cass. 22
gennaio 2007, n. 1334): dovendosi intendere il termine licenziamento in senso tecnico, senza potere ad esso parificare qualunque altro tipo di cessazione del rapporto determinata (anche o soltanto) da una scelta del lavoratore, come nelle ipotesi di dimissioni, risoluzioni concordate, o prepensionamenti, anche ove tali forme di cessazione del rapporto fossero riconducibili alla medesima operazione di riduzione delle ecce- denze della forza lavoro giustificante il ricorso ai licenziamenti (Cass. 22 febbraio 2006, n. 3866; Cass. 29
marzo 2010, n. 7519);
5.4. la Corte territoriale ha vio- lato il superiore principio di diritto nell’escludere la rilevanza, ai fini del computo dei lavoratori determi- nanti la configurabilità di un licen- ziamento collettivo, di “alcune... risoluzioni consensuali” derivanti “dalla mancata accettazione di un
trasferimento” (così al penultimo capoverso di pg. 30 della sentenza);
6. pertanto il sesto motivo deve essere accolto, con rigetto del primo e inammissibilità degli altri, con la cassazione della sentenza, in rela- zione al motivo accolto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di legittimità alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo, rigettato il primo e inammissibili gli altri; cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in diversa com- posizione.
Così deciso in Roma, nella Adu- nanza camerale, il 6 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020.
I CONFINI TRA RISOLUZIONE CONSENSUALE E RECESSO DIVENGONO INCERTI
Xxxxx Xxxxxxxx
1. Premessa
La pronunzia in esame presenta indiscutibile interesse (1) (e pone dubbi e criticità) nella parte dedicata al sesto motivo di ricorso, rite- nuto fondato.
Al fine di accertare se vi fosse o meno il presupposto numerico di applicazione della disciplina dei licenziamenti collettivi, era contro- verso se la stipulazione di una risoluzione consensuale fosse, invece, da considerare come un licenziamento. La Corte d’Appello di Milano, aderendo alla distinzione a tutti nota tra le due fattispecie estintive del rapporto di lavoro, aveva deciso in senso negativo.
La soluzione adottata dalla Corte di Cassazione, invece, è positiva. Vi fu il trasferimento, disposto dal datore, di un certo dipendente: trasferimento fondato su reali ragioni organizzative, non pretestuoso; il dipendente si rifiutò di accettarlo e le parti raggiunsero un’intesa risolutoria.
Alla luce del disposto dell’art. 1, par. 1, primo comma, lettera a) della
(1) Numerosi commenti sono già usciti; v. ad es. POSO, Le risoluzioni con- sensuali del rapporto di lavoro che derivano da modifiche unilaterali sostanziali di condizioni essenziali del contratto di lavoro? Tu chiamale se vuoi … Licenzia- menti, in Labor, 3 agosto 2020; MINIATI, Risoluzioni consensuali e licenziamenti collettivi: la posizione della Cassazione fra coerenza e contraddizione, in HR On Line n. 17/2020; XXXXXXXX, Conteggiate le risoluzioni consensuali “obbliga- te” nella soglia massima per i licenziamenti collettivi, in Il Quotidiano Giuridi- co, lunedì 28 settembre 2020; XXXXXXXXX MUSTI, La recente interpretazione della Cassazione sulla nozione di “licenziamento” ai fini dell’applicabilità della procedura ex L.223/1991, in Xxxxxxx.xx.
Direttiva 98/59/CE (2), secondo una certa lettura di tale norma data dalla CGE nel 2015 (3), la Corte, nell’ordinanza che brevemente si commenta, ritiene che il trasferimento (pur se motivato) sarebbe una modifica unilaterale datoriale del rapporto a svantaggio del lavoratore. Ecco, quindi, che viene ritenuta dalla Corte stessa equiparabile, ricon- ducibile alla nozione comunitaria di licenziamento, anche la risoluzio- ne consensuale stipulata tra le parti del rapporto, successivamente alla mancata accettazione del trasferimento stesso da parte del lavoratore.
2. Il contesto, comunitario e interno
La norma comunitaria menzionata (e riportata in nota 2) si limita, di per sé, a prevedere che esuli dalla nozione di licenziamento collettivo quello disposto dal datore per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore.
La menzionata sentenza CGE 11 novembre 2015 ha già “riscritto”, non poco, tale norma, pronunziandosi su una fattispecie di questo tipo: riduzione della retribuzione unilateralmente imposta dal datore per ragioni di ordine economico e produttivo / mancata accettazione da parte della lavoratrice / risoluzione consensuale accompagnata da pattuizione di un’indennità.
(2) “Articolo 1
1. Ai fini dell’applicazione della presente direttiva:
a) per licenziamento collettivo si intende ogni licenziamento effettuato da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavora- tore (…)”.
(3) CGE sentenza 11 novembre 2015 in causa C-422/14, in Il Lavoro nella Giurisprudenza n. 3/2016, p. 247 segg.; in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro 2016, II, 699, con nota di XXXXXXX, I presupposti di applicabilità della disciplina sui licenziamenti collettivi al vaglio della Corte di giustizia; in Mass. Giur. Lav., 2016, 368, con nota di FRATINI.
Se scopo della Direttiva, ha affermato la CGE in quell’occasione, era ed è rafforzare la tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, sarebbe contraria a tale scopo una normativa nazionale (o interpretazione della stessa) che non consenta di riconoscere detta tu- tela anche nei casi in cui si giunga, sì, ad una risoluzione consensuale, ma “imputabile”, per così dire, alla modifica unilaterale di elemento sostanziale del rapporto disposta dal datore per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore medesimo (4).
(4) Si riportano i paragrafi centrali della motivazione.
“50 Per quanto attiene al procedimento principale, essendo stata la lavoratrice a chiedere la cessazione del contratto di lavoro sulla base dell’articolo 50 dell’ET, si potrebbe ritenere, prima facie, che essa vi abbia acconsentito. Tuttavia, re- sta il fatto che, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 54 e 55 delle conclusioni, la cessazione di detto rapporto di lavoro è imputabile alla modifica unilaterale apportata dal datore di lavoro a un elemento sostanziale del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona della lavoratrice stessa.
51 Infatti, da un lato, alla luce della finalità della direttiva 98/59, volta, come emerge dal suo considerando 2, in particolare al rafforzamento della tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, le nozioni che definiscono la sfera di applicazione della direttiva stessa, ivi compresa la nozione di "licenziamento" di cui all’articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a), di quest’ultima, non possono essere interpretate restrittivamente (v., in tal senso, sentenza Xxxxxxx, C-229/14, EU:C:2015:455, punto 44).
52 Orbene, come risulta dalla decisione di rinvio, la riduzione della retribuzione fissa della lavoratrice di cui trattasi è stata imposta unilateralmente dal datore di lavoro per ragioni di ordine economico e produttivo e ha condotto, a fronte della sua mancata accettazione da parte della persona interessata, alla risoluzione del contratto di lavoro accompagnata dal versamento di un’indennità, calcolata sulla stessa base di quelle dovute in caso di licenziamento illegittimo.
53 Dall’altro lato, secondo la giurisprudenza della Corte, armonizzando le norme applicabili ai licenziamenti collettivi, il legislatore dell’Unione ha al tempo stesso inteso garantire una protezione di analoga natura dei diritti dei lavoratori nei vari Stati membri e promuovere il ravvicinamento degli oneri che dette norme di tutela comportano per le imprese dell’Unione (sentenze Commissione/Regno Unito, C-383/92, EU:C:1994:234, punto 16, e Commissione/Portogallo, C-55/02,
È certo che le nozioni, comunitaria ed interna, di licenziamento col- lettivo, abbiano condotto e conducano a frizioni (5).
Ben prima della pronunzia del 2015 si era già affermato che la no- zione di licenziamento “non può essere definita mediante un rinvio alle legislazioni degli Stati membri, bensì possiede una dimensione comunitaria. Tale nozione deve essere interpretata nel senso che comprende qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore e, quindi, senza il suo consenso. Essa non esige che le
EU:C:2004:605, punto 48).
54 Xxxxxx, la nozione di «licenziamento», che figura all’articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a), della direttiva 98/59, condiziona direttamente, come emerge dai punti da 43 a 45 supra, l’applicazione della tutela e dei diritti predi- sposti dalla direttiva medesima a favore dei lavoratori. Tale nozione incide, quin- di, direttamente sugli oneri che tale tutela comporta. Di conseguenza, qualsiasi normativa nazionale o interpretazione di detta nozione che conduca a ritenere che, in una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale, la riso- luzione del contratto di lavoro non costituisca un «licenziamento», ai sensi della direttiva 98/59, altererebbe l’ambito di applicazione di detta direttiva, privandola così della sua piena eficacia (v., in tal senso, sentenza Confédération générale du travail e a., C-385/05, EU:C:2007:37, punto 47).
55 Alla luce di tutti i rilievi suesposti, si deve rispondere alla terza questione pregiudiziale dichiarando che la direttiva 98/59 dev’essere interpretata nel senso che il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso rientra nella no- zione di "licenziamento" di cui all’articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a), della medesima direttiva”.
(5) V. per ampie ricognizioni DE XXXX, I licenziamenti collettivi nel diritto dell’Unione europea e l’ordinamento italiano: da una remota sentenza storica della Corte di giustizia di condanna dell’Italia alla doppia pregiudizialità per il nostro regime sanzionatorio nazionale (note minime), parte prima e parte seconda, rispettivamente in Labor, n. 2, 2020, 149 e n. 3, 2020, 267. ID., Il lavoro nel diritto comunitario (ora eurounitario) e l’ordinamento italiano: (più di) trent’anni dopo, in Lavoro e Diritti Europa, n. 2, 2020.
cause sottese alla cessazione del rapporto lavorativo corrispondano alla volontà del rapporto di lavoro” (6).
La Corte di Cassazione, con il provvedimento depositato a luglio 2020 che si commenta, si pone dunque in posizione di esplicito “su- peramento” dell’interpretazione interna precedente, finendo tra l’altro col creare una sorta di presunzione, quella per cui un trasferimento sia, di per sé, una modificazione del contenuto del rapporto di lavoro sfavorevole al dipendente.
L’INPS, per certi versi, aveva anticipato la soluzione odierna della Corte: vi è una successione di atti dell’Ente (da ultimo la Circolare 19 marzo 2020, n. 40, che rinvia al messaggio n. 369/2018 ed alla Circo- lare n. 108/2006 (7)) nel senso, appunto, che la risoluzione consensuale stipulata a seguito di rifiuto a trasferirsi “non muti il titolo” della cessazione del rapporto di lavoro, che resterebbe il licenziamento.
(6) CGE, sentenza 12 ottobre 2004, C-55/02, in Foro It. n 12/2004, 606 segg.
con nota XXXXX. Si sono riportati nel testo i paragrafi 49 e 50 della motivazione.
(7) La Circolare 40/2020 (in xxx.xxxx.xx/XxxxxxxxxXXX/Xxxxxxxxx%00xxxx- ro%2040%20del%0000-00-0000.pdf) ha ad oggetto l’Articolo 2, commi 31-35, della legge 28 giugno 2012, n. 92. Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita. Recita il suo sommario: la circolare forni- sce un quadro riepilogativo delle tipologie di cessazione del rapporto di lavoro per cui si configura l’obbligo di versamento del c.d. ticket di licenziamento, introdotto con l’articolo 2, commi 31-35, della legge n. 92/2012. Sono inoltre trattate le fatti- specie di sussistenza del suddetto obbligo contributivo nelle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro cui consegua una prestazione pensionistica.
Riportiamo: “Con il messaggio n. 369/2018 è stato ribadito che su tale ultima ipotesi di risoluzione consensuale in esito al rifiuto al trasferimento, come pre- cisato nella circolare INPS n. 108 del 2006, la volontà del lavoratore può essere stata indotta dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro conseguenti al trasferimento ad altra sede dell’azienda distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore e/o raggiungibile in 80 minuti con i mezzi pubblici. Con il medesimo
interpello è stato precisato che la risoluzione consensuale in questione non muta
La giurisprudenza precedente, anche in anni non lontani, aveva inve- ce affermato come il termine licenziamento andasse inteso in senso tecnico, “non potendo ad esso parificarsi qualunque altro tipo di ces- sazione del rapporto determinata (anche o soltanto) da una scelta del lavoratore, come nelle ipotesi di dimissioni, risoluzioni concordate, o prepensionamenti, anche ove tali forme di cessazione del rapporto siano riconducibili alla medesima operazione di riduzione delle ecce- denze della forza lavoro che giustifica il ricorso ai licenziamenti” (8). Si era giunti allo stesso esito anche a valle dell’esplicito riconosci- mento, merita sottolineare, di una “iniziativa” del datore di lavoro alla base delle ipotesi risolutorie (9) (10).
il titolo della cessazione del rapporto di lavoro, che resta il licenziamento, e per- tanto tale fattispecie è da intendersi quale ipotesi di disoccupazione involontaria conseguente ad atto unilaterale di licenziamento del datore di lavoro ...”.
(8) Così Xxxx. Civ. 29 marzo 2010 n. 7519, in Giust. Civ. Mass. 2010, 3451.
(9) Nel numero minimo di cinque licenziamenti, ivi considerato come suffi- ciente ad integrare l’ipotesi del licenziamento collettivo, non possono includersi altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorché riferibili all’i- niziativa del datore di lavoro: Xxxx., 22 gennaio 2007, n. 1334 in Giur. It., 2007, 2718, con nota di FALERI, Licenziamenti collettivi e determinazione della soglia numerica: un’ipotesi di erosione delle garanzie procedimentali.
(10) Cfr. anche Cass., 1° marzo 2003, n. 3068, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, II, 877, con nota di BELLUMAT, Licenziamenti collettivi e dimissioni incentivate: un caso particolare di “esternalizzazione” dei servizi; Cass., 17 ottobre 2002, n. 14736, in Riv. It. Dir. Lav. 2003, II, 133, con nota di XXXXXX, Due questioni in materia d’estensione del campo di applicazione della disciplina dei licenziamenti collettivi.
3. Brevi considerazioni
Non pare, minimamente, condivisibile in termini generali l’affer- mazione per cui un trasferimento integri, sempre e comunque, una modifica peggiorativa del contenuto del rapporto di lavoro.
Il trasferimento può, in determinati contesti, essere un modo per evitare la stessa estinzione del rapporto di lavoro (chiusura di un esercizio commerciale, trasferimento del lavoratore disposto verso un altro che invece rimane aperto): si può seriamente parlare di modifica in sé sfavorevole?
Ancora, vi può essere il trasferimento presso una certa sede operativa ove sia possibile e sia anzi perseguito un accrescimento professionale del lavoratore, che lì potrà svolgere mansioni altrove non presenti, e così via.
Per completezza è utile ricordare come, secondo la stessa Corte, ove il trasferimento derivi dal mutamento della sede aziendale nell’ambito di un processo di riorganizzazione, il rifiuto del lavoratore al trasferi- mento presso la nuova sede di lavoro renda legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (11).
Ciò che colpisce soprattutto, però, è la volontà di cancellare (per ora, ai fini dell’interpretazione dell’art. 24 L. 223/1991) il confine tra il negozio unilaterale “recesso” (12) e quel contratto che è la “risolu- zione consensuale” (13): nel secondo è presente, ovviamente, anche
(11) Cass. Civ., Sez. Lavoro, 14 novembre 2013, n.25615, in D&G, 15 novem- bre 2013.
(12) Artt. 1373, 2118, 2119 c.c. ed ovviamente le norme speciali.
(13) Con la risoluzione consensuale disciplinata dall’art. 1372 c.c., entrambe le parti dichiarano, d’intesa tra loro, di voler recedere dall’accordo stipulato a suo tempo, mediante una nuova dichiarazione. Il rapporto si estingue, quindi, per mu- tuo consenso dei contraenti (con effetto immediato: a far data dalla sottoscrizione dell’accordo; o differito: le parti convengono che tra il periodo intercorrente tra la sottoscrizione dell’accordo e la data di cessazione, il dipendente lavori regolar- mente, oppure ad es. si collochi in aspettativa, o goda delle ferie).
la volontà del lavoratore, ma essa non è più ritenuta rilevante. Viene utilizzata, a tal proposito (ma non dalla Corte in motivazione), desumendola sempre dall’orientamento maturato in ambito comuni- tario (14) la dizione di “licenziamento indiretto” (15), ad assommare le varie possibili fattispecie negoziali realizzanti la “cessazione” del rapporto di lavoro.
Di licenziamento indiretto, però, al di là di una valenza descrittiva, non sembra potersi ragionare in senso tecnico, almeno alla luce della nozione comune di negozio indiretto. Una risoluzione consensuale di un rapporto di lavoro non ha di per sé uno “scopo esterno”, un “motivo” diverso ed ulteriore rispetto all’estinzione del rapporto, così che se ne possa ragionare davvero in termini di “recesso indiret- tamente perseguito”. È una fattispecie strutturalmente diversa, ma la sua funzione pare la medesima del licenziamento, per cui ci si orienta
(14) Oltre alla già menzionata sentenza CGE C-55/02 del 2004, v. anche Xxxxx xx Xxxxxxxxx, Xxxx. 00 dicembre 2009, C-323/08, in Corriere giuridico 2010, n. 4,
p. 553, di cui si riportano i paragrafi rilevanti.
“34. È vero che la Corte ha interpretato in senso lato i termini "ragioni non ine- renti alla persona del lavoratore" utilizzati all’art. 1, n. 1, della direttiva stessa (v., in tal senso, sentenze 12 ottobre 2004, causa C-55/02, Commissione/Porto- gallo, Racc. pag. I-9387, punto 49, nonché 7 settembre 2006, cause riunite da C-187/05 a C-190/05, Agorastoudis e a., Racc. pag. I-7775, punto 28). Tuttavia, dal testo della medesima discende che la nozione di "licenziamenti collettivi" ai sensi della disposizione in parola presuppone sia l’esistenza di un datore di lavo- ro, sia un atto da parte di quest’ultimo.
35 Conformemente alla definizione datane all’art. 1, n. 1, primo comma, lett. a), della direttiva 98/59, detta nozione riguarda ogni licenziamento effettuato da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore sempre che sussistano taluni requisiti di natura quantitativa e temporale”.
(15) Il medesimo sarebbe caratterizzato da tre elementi: a) deve trattarsi di cessazione del rapporto derivante da ragioni non inerenti la persona del lavorato- re; b) deve essere disposta (rectius: decisa) unilateralmente dal datore di lavoro; c) deve essere relativa alla modifica di un elemento essenziale del contratto.
con qualche fatica (16).
La motivazione dell’ordinanza non chiarisce troppo il percorso con- cettuale per cui si sia giunti al risultato: affermare che si intende su- perare l’interpretazione precedente sulla base dell’appello ad un’altra interpretazione (già creativa), data dalla CGE, non pare soddisfacente. Non conterebbe la volontà di una delle parti poiché espressa (ma senza che si discuta della validità, della genuinità, dell’efficacia di tale voli- zione) a valle di una manifestazione di volontà (nemmeno espulsiva, anzi conservativa, il trasferimento) dell’altra parte del rapporto.
Si è ipotizzata allora, ma senza esprimerla, la configurabilità di una fattispecie complessa a formazione progressiva, composta dalla ma- nifestazione del potere datoriale di trasferire, dalla non accettazione del dipendente e dalle due manifestazioni di volontà ulteriori e conco- mitanti, risolutorie di quel medesimo rapporto (che col trasferimento
(16) Il negozio indiretto vede (come pure il negozio fiduciario) la presenza di un motivo che va oltre la causa del negozio stesso. Esso però differisce dal negozio fiduciario nel mezzo tecnico attraverso il quale le parti perseguono un loro scopo ulteriore, al di là di quello tipico del negozio e cioè della causa del medesimo. Il raggiungimento dello scopo ulteriore, nel negozio indiretto, è una “conseguen- za, in senso giuridico o anche soltanto economico, dello stesso effetto tipico del negozio – o anche di più negozi a tal fine collegati”. Poiché si tratta, appunto, di un motivo che resta estraneo al negozio ed alla sua causa, il negozio indiretto non costituisce una categoria giuridica in senso proprio. Così il XXXXXXX PAS- SARELLI, Dottrine Generali del diritto civile, Napoli 1983, p. 182 segg. Dal punto di vista della struttura del medesimo, si è scritto che nel negozio indiretto le parti realizzano lo scopo diverso ed ulteriore mediante l’apposizione di “clausole speciali”. In ogni caso deve essere salva l’unità dell’atto di volontà, che non è compromessa dalla pluralità di clausole e patti, ancorché molteplici ed eterogenei. Così l’AURICCHIO, voce “Negozio indiretto” nel Novissimo Digesto Italiano, Vol. XI, Torino 1965, p. 220 segg., il quale riporta la precisazione del BETTI (Teoria generale del negozio giuridico, Torino 1950, p. 397) secondo cui, nel ne- gozio indiretto, sussiste una semplice divergenza tra scopo perseguito dalle parti e funzione tipica dell’istituto, non una incompatibilità come accade in altri istituti.
non si voleva, di per sé, estinguere)?
Sarebbe qui, nell’esito estintivo, ma individuato ex post, il fine ulte- riore che consentirebbe di parlare di “licenziamento indiretto”?
Se con ciò si fosse voluto operare un’equiparazione tra “esercizio del potere di trasferire” e “volontà di licenziare”, purtroppo non si comprenderebbe nemmeno come possa essere irrilevante la considera- zione (pure svolta nella motivazione) per cui il trasferimento risultava, nel giudizio di merito, ragionevole e motivato: perché chi dispone correttamente e ragionevolmente un trasferimento di un dipendente, proprio, “non” dimostra di avere un motivo ulteriore, per di più di segno incompatibile rispetto a quella manifestazione di volontà.
Ritorniamo allora alle nozioni generali, per cui, come sintetizzato in nota, se lo scopo ulteriore è incompatibile, non si può parlare di negozio indiretto.
Sono dubbi che per ora, dalla lettura del provvedimento, trovano alimento e non risposta. Dipenderà dai limiti di chi scrive.
Provando ad allargare lo sguardo, si parla di “volontà assistita” per designare unitariamente le varie ipotesi in cui alla volontà del lavora- tore si ritiene debba essere affiancata, ai fini della validità ed efficacia, altra volizione o quantomeno manifestazione di “scienza”.
I riferimenti normativi codicistici sono a tutti noti (17). Si è poi ag- giunta, per altro verso, nella legislazione speciale, la certificazione dei contratti di lavoro di cui all’art. 5 della L. n. 30/2003 e dal Titolo VIII del D.Lgs. n. 276/2003 (artt. 75-84) (18); poi è intervenuta la legge 183/2010. Non solo: proprio le risoluzioni consensuali (come pure le
(17) Si considerino gli artt. 410-411 c.p.c., come pure la facoltà del lavoratore di liberare l’alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto lavorativo ai sensi dell’ art. 2112 c.c., per non dire della annullabilità speciale delle rinunzie e transa- zioni ai sensi dell’art. 2113 c.c.
(18) V. in materia ad es. XXXXX, La certificazione dei contratti di lavoro tra qualificazione del rapporto e volontà assistita, in Lavoro e diritto, 2-3/2006, pp. 383-426.
dimissioni del lavoratore) devono necessariamente essere formaliz- zate in sede protetta, ove non avvengano secondo le modalità della
c.d. procedura ministeriale “clic lavoro” (art. 26, X.Xxx. 151/2015). Ora la Corte di Cassazione oltrepassa di slancio questo atteggiamento normativo “di sostegno”, diciamo, per affermare la radicale irrilevanza della volontà (estintiva) pure espressa da parte del lavoratore.
Pare che la coerenza del sistema possa soffrirne.
Pare anche possibile la nascita di problemi, alla luce delle più recenti novità normative.
L’art. 14 comma 3 del D.L. n. 104/2020 è intervenuto nuovamente sul divieto di licenziamento per riduzione di personale nel periodo emergenziale, sia nella forma del recesso individuale che collettivo (19); interessa, qui, particolarmente, le “ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo”.
(19) “3. Le preclusioni e le sospensioni di cui ai commi 1 e 2 non si applica- no nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continua- zione, anche parziale, dell'attività, nei caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attivita' che possano configura- re un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 c.c., ovvero nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22. Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
Non sembra ardito immaginare che, sulla base della convinzione espressa dall’ordinanza 15401/2020 della Cassazione, possano pro- liferare casi in cui si proponga di includere anche tali risoluzioni nel computo dei licenziamenti rilevanti ai fini dell’applicabilità della procedura richiesta per i licenziamenti collettivi.