SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Cass. civ., sez. un., 13 novembre 2012, n. 19702
Il diritto del compratore all’eliminazione dei vizi della cosa venduta, sorto in conseguenza dell’impegno assunto dal venditore e accettato dalla controparte, è soggetto alla prescrizione decennale, mentre gli originari diritti alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto restano assoggettati alla prescrizione annuale.
In tema di compravendita, la disciplina della garanzia per vizi si esaurisce negli art. 1490 seg. c.c., che pongono il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, della actio quanti minoris o della actio redhibitoria; ne consegue che il compratore non dispone - neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica - di un’azione «di esatto adempimento» per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 13 aprile 2005 il Tribunale di Bari - adito dalla s.p.a. Sargiani nei confronti della s.r.l. Gamma, rispettivamente alienante e acquirente di un macchinario - condannò la convenuta a pagare all'attrice il corrispettivo residuo della vendita; respinse le riconvenzionali di riduzione dei prezzo, di risarcimento di danni e di condanna dell'altra parte a riparare il bene, formulate nel presupposto che in esso fossero presenti vizi di funzionamento.
Impugnata dalla soccombente, la decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di Bari, che con sentenza dei 31 maggio 2010 ha rigettato il gravame, ritenendo prescritto ai sensi dell'art. 1495 c.c. il diritto di garanzia fatto valere dalla compratrice ed escludendo la ravvisabilità nella specie di una ipotesi di aliud pro alio.
La s.r.l. Gamma ha proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi. La s.p.a. Sargiani si è costituita con controricorso. Sono state presentate memorie dall'una parte e dall'altra.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la s.r.l. Gamma lamenta che la Corte d'appello ha erroneamente e ingiustificatamente disconosciute che il macchinario consegnatole era totalmente diverso da quello previsto nel contratto di vendita, poiché operava in maniera manuale anziché automatica e
comportava quindi uno snaturamento del processo produttivo nella catena di montaggio nel quale era inserito.
La doglianza va disattesa.
Il giudice a quo non ha affatto negato, in diritto, l'esattezza dei principi giurisprudenziali richiamati dalla ricorrente, tratti dalle norme di cui viene denunciata la violazione, ma ha escluso, in fatto, la loro pertinenza alla vicenda oggetto della causa. Si verte dunque nel campo di apprezzamenti eminentemente di merito, insindacabili in questa sede so non setto il profilo dell'omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Da questi vizi, la sentenza impugnata, risulta immune, poiché il giudice a quo ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle ragioni della decisione sul punto, osservando sia che già stragiudizialmente la compratrice aveva segnalato difetti incidenti semmai sulla qualità del macchinario, sia che queste comunque era funzionante e la relativa modalità incideva in ipotesi soltanto sulla resa quantitativa, sicché non si era rivelato del tutto inidoneo ad assolvere la funzione economico-sociale della res promessa e quindi a fornire l'utilità richiesta. I contrari assunti della s.r.l. Gamma - oltre ad essere incoerenti con la natura dell'azione quanti minoris da essa esercitata in via riconvenzionale, che presuppone la presenza di semplici vizi redibitori - si risolvono nei demandare a questa Corte una valutazione delle risultanze istruttorie diversa da quella motivatamente compiuta dal giudice del merito: il che non può costituire idonea ragione di cassazione della sentenza impugnata, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità.
Con il secondo motivo di ricorso la s.r.l. Gamma deduce di non essersi limitata - contrariamente a quanto ha ritenuto la Corte d'appello - a opporre solo fatti impeditivi del preteso diritto dell'attrice, ma di aver anche contestato la sussistenza di quelli costitutivi, i quali a suo dire erano venuti meno in seguito all'impegno di eliminare i vizi del bene, che la s.p.a. Xxxxxxxx aveva assunto.
La censura è in conferente, poiché il giudice di secondo grado non ha mancato di prendere in considerazione la tesi di cui si tratta, che era stata posta a base della domanda riconvenzionale della convenuta, della quale sia confermata la decisione di rigetto già adottata dal Tribunale, ritenendo prescritto il diritto alla garanzia fatto valere dalla s.r.l. Gamma.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole dell'affermazione della Corre d'appello, secondo cui era incontroverso tra le parti, che non vi fosse sesta una novazione dell'obbligazione di garanzia e la sua sostituzione con quella ai riparazione del bene, soggetta a prescrizione decennale anziché annuale.
Neppure questa censura può essere accolta.
Anch'essa, come quella formulata con il primo motivo di ricorso, difetta di pertinenza rispetto al petitum delle domande riconvenzionali, ribadite in appello, con le quali era stato chiesta non soltanto la condanna della s.p.a. Sergiani all'eliminazione dei vizi, ma anche la riduzione del prezzo della vendita, in adempimento quindi dell'obbligazione di garanzia, che invece sarebbe rimasta estinta, ove vi fosse stata novazione. D'altra parte, La stessa s.r.l. Xxxxx ha escluso di aver aderito all'offerta di riparazione, in quanto era stata condizionata all'invio del macchinario allo stabilimento della società venditrice. Né l'avvenuta sostituzione dell'originaria obbligazione con l'altra può desumersi dalla frase dell'atto introduttivo del giudizio riportata nel ricorso, nella quale si menziona soltanto una proposta transattiva rimasta senza esito, perché non accentata.
Con il quarto motivo di ricorso si sostiene che il riconoscimento dei vizi e l'impegno a eliminarli, da parte della s.p.a. Xxxxxxxx, seppure non avesse comportato una novazione, avrebbe avuto comunque l'effetto di assoggettare alla prescrizione ordinaria decennale, anziché a quella annuale, il diritto di garanzia fatto valere dalla s.r.l. Gamma mediante l'azione quanti minoris.
Per la soluzione di tale questione di massima, reputata di particolare importanza, la seconda sezione di questa Corte con ordinanza del 26 marzo 2012, ha prospettato l'opportunità dell'assegnazione del ricorso alle sezioni unite, che in effetti è stata poi discosta dal Primo Presidente.
La giurisprudenza di legittimità è univocamente orientata nel senso che l'impegno del venditore a riparare il bene implica il riconoscimento del vizio da cui esso è affetto e impedisce quindi la decadenza comminata al compratore dall'art. 1495 c.c. per il caso di mancata tempestiva denuncia; l'obbligazione assunta è autonoma e distinta della garanzia che legittima l'esercizio delle azioni di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto, soggette alla prescrizione di un anno dalla consegna, stabilita dalle stesso art. 1495 c.c.; il consenso del compratore (che può essere dato eventualmente per facta concludentia, ma è comunque necessario, trattandosi di operare su un bene ormai di sua proprietà) fa sorgere quindi un nuovo e differente diritto, la cui prescrizione, appunto in ragione di tale diversità, non e disciplinata dalla norma sopra citata e si compie pertanto nel termine ordinario di dieci anni (v., per tutte, Xxxx. 2, sez. 12 maggio 2000 n. 6089).
E' stato altresì precisare, da Xxxx. sez. un. 21 giugno 2005 n. 132 94, che l'impegno a eliminare i vizi non determina ai per sé la sostituzione della nuova obbligazione alla precedente e l'estinzione di questa, poiché un tale effetto novativo, per il disposto dell'art. 1230 c.c., conseguire soltanto a una espressa volontà manifestata in tal senso dalle parti, sicché di regola le due obbligazioni coesistono. Con riferimento a questa ipotesi, con la stessa sentenza, si è
altresì affermato - ma il tema era estraneo alla materia del contenderò devoluta in quella sede "che il termine di prescrizione decennale si applica anche alle azioni di riduzione del prezzo e di risoluzione del contratto, poiché "si tratta di assegnare un significato, ai fini dell'esercizio delle azioni edilizie e del relativo termine prescrizionale, alla circostanza che fra le parti è in corso, un tentativo di far ottenere dal compratore il risultato che egli aveva il diritto di conseguire fin dalla conclusione del contratto di compravendita. E altro significato non può essere che quello di svincolare il compratore dai termini e condizioni per l'esercizio delle azioni edilizie, atteso che queste non vengono da lui esercitate in pendenza degli interventi del venditore finalizzati all'eliminazione dei vizi redibitori, al fine di evitare di frapporre ostacoli, secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.), alla realizzazione della prestazione cui il venditore è tenuto".
Alla stessa conclusione è poi pervenuta anche Xxxx. sez. 3, 14 gennaio 2011 n. 747 - ugualmente in via di obiter dictum - ma per ragioni diverse: sulla scorta di una concezione procedimentale della garanzia dei vizi, caratterizzata "da un suo momento genetico (la stipula della convenzione negoziale di compravendita), da un suo (eventuale) momento attuativo/correttivo (l'offerta/richiesta sostitutivo/riparatoria), da un suo momento "processuale attuativo/risarcitorio/caduca torio (richiesta di esatto adempimento/riduzione del prezzo/risoluzione speciale)", si è ritenuto "evidente come il riconoscimento operoso del venditore sia idoneo ad esaurire definitivamente, sul piano funzionale, una fase del rapporto inter partes, ivi comprese le limitazioni temporali, affatto eccezionali, connesse con le esigenze di stabilità negoziale..., onde la sostituzione, a quegli originari termini iugulatori, dell'ordinanza regula iuris della prescrizione ordinaria, una volta emersa, in via definitiva e con l'accordo delle parti, la nuova e reale giustapposizione di diritti e obblighi (alla riparazione/sostituzione) del compratore e del venditore", con conseguente esclusione della "perdurante operatività dei limiti (decadenziali e) prescrizionali stabiliti, in via eccezionalmente derogativa, dall'art. 1495 c.c. per tutte le azioni "di garanzia", e dunque tanto per le azioni edilizie che per quella di esatto adempimento".
Da questi precedenti "invocati l'uno nel ricorso, l'altro nella memoria dalla s.r.l. Xxxxx, a sostegno della sua tesi" ritiene il collegio di doversi discostare. Il contenuto dell'obbligazione "di garantire il compratore ... da vizi di cosa", che nell'art. 1476 n. 3 c.c. è inserita tra quelle "principali del venditore", è precisato dagli artt. 1492, 1493 e 1494, i quali attribuiscono al compratore (salve le esclusioni stabilite dagli artt. 1490 e 1491) sia la facoltà di "domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione", sia le restituzioni e i rimborsi conseguenti alla
risoluzione, sia il "risarcimento del danno", se il venditore "non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa", e comunque per i "danni derivati dai vizi" stessi.
In queste disposizioni si esaurisce la regolamentazione dell'istituto, che pone quindi il venditore in una situazione non tanto di "obbligazione", quanto piuttosto di "soggezione", esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto di vendita, o alla sua caducazione, mediante l'esperimento rispettivamente dell'actio quanti minoris o dell'actio redibitoria. Il venditore deve subire tali effetti, che si verificato nella sua sfera giuridica ope iudicis, senza essere tenuto ad eseguire alcuna prestazione, a parte il dare il solvere derivanti dai doveri di restituzione e di risarcimento. La diversa obbligazione di facere, che egli assume impegnandosi a eliminare i vizi della cosa, se non dà luogo all'estinzione per novazione della garanzia apprestata dagli artt. 1490 ss. c.c., sicché non vi è spazio per ritenere che possa influire sulla sua disciplina, in particolare trasformando da annuale in decennale il termine di prescrizione previsto dall'art. 1495 c.c., che è insuscettibile di modificazioni per volontà delle parti, stante il divieto sancito dall'art. 2936 c.c.. Dunque l'ulteriore diritto, che il compratore acquisisce, è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, in quanto è estraneo alla previsione degli artt. 1490 s. c.c., ma proprio per questa stessa ragione resta applicabile alle azioni edilizie, che al compratore stesso già competevano, la prescrizione annuale che per esse specificamente è stabilita.
Non appaiono idonei a inficiare questa conclusione gli argomenti esposti nelle citate Cass. 13294/2005 e 747/2011. il pericolo che le azioni di riduzione del prezzo e di risoluzione si prescrivano nel periodo in cui il compratore si astiene dall'esercitarle, essendo in corso gli interventi del venditore per l'eliminazione dei vizi, è agevolmente evitabile ponendo in essere atti interruttivi. Non ha riscontro nella disciplina della garanzia per vizi, la quale non prevede l'obbligo di eliminarli, l'assunto secondo cui il momento attuativo/correttivo, originato dall'accordo per la riparazione del bene, possa avere effetto su quello risarcitorio/caduca torio, rappresentato dalle azioni edilizie, tanto da far assimilare il termine di prescrizione previsto per il secondo a quello operante per il primo.
Un analogo effetto espansivo di una "obbligazione" verso l'altra, era stato ritenuto operante, ma in senso inverso, da Cass. sez. 2, 29 dicembre 1994 n. 11281, secondo cui "il riconoscimento dei vizi della cosa venduta ed il contestuale impegno del venditore ad eliminarli in sede di esecuzione del contratto non è che uno dei modi con cui il venditore, che ha l'obbligo di consegnare una cosa immune da vizi di cui all'art. 1490 c.c., assicura ed attua, l'esatto adempimento della sua prestazione, e, di per sé, non dà luogo, pertanto, ad un accordo novativo se non sia in concreto provata la volontà delle parti di sostituire al rapporto originario un nuovo rapporto con diverso
oggetto o titolo, così come richiesto per la novazione dell'art. 1230 c.c. e dell'art. 1231 c.c., che estesamente chiarisce come non si abbia novazione nel caso di mera modifica degli elementi accessori della obbligazione; conseguentemente, in mancanza della predetta prova, il riconoscimento dei vizi della cosa venduta e l'impegno a ripararla determina solo l'interruzione del termine di prescrizione annuale di cui all'art. 1495 c.c., e non la sostituzione di questo termine con il nuovo e diverso termine di prescrizione ordinaria".
Neppure questa tesi "adombrata anche nell'ordinanza di rimessione degli atti al Primo Presidente" appare condivisibile.
Il suo presupposto è che il compratore disponga di una azione "di esatto adempimento" per ottenere dal venditore l'eliminazione dei vizi della cosa: azione compresa tra quelle edilizie e quindi soggetta anch'essa al termine di prescrizione annuale stabilito dall'art. 1495 c.c..
Invece un tale rimedio, come già si è detto, non è apprestato dalla disciplina della garanzia per vizi, che attribuisce al compratore la scelta soltanto tra la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto. Il diritto di ottenere, in alternativa, la riparazione del bene, infatti, è riconosciuto soltanto in particolari ipotesi: limitatamente ai beni mobili, quando "il venditore ha garantito per un tempo determinato il buon funzionamento della cosa venduta", oppure "gli usi ... stabiliscono che la garanzia di buon funzionamento è dovuta anche in mancanza di patto espresso" (art. 1512 c.c., che fissa in sei mesi dalla scoperta il termine di prescrizione); sempre limitatamente ai mobili, "per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene", se il venditore è un "professionista" e il compratore un "consumatore" (artt.
128 ss. del codice del consumo, adottato con il D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, che fissano in ventisei mesi dalla consegna il termine di prescrizione).
Che il compratore possa chiedere, indipendentemente da un impegno in tal senso del venditore, la condanna di costui all'eliminazione dei vizi, è stato talora ipotizzato in dottrina anche sotto il profilo del risarcimento del danno in forma specifica: si tratterebbe quindi di un'azione insita nel diritto di garanzia e in quanto tale soggetta anch'essa alla prescrizione annuale. L'assunto appare incompatibile con il disposto dell'art. 1494 c.c., che configura come risarcimento "per equivalente" quello che compete al compratore, poiché lo collega alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto, che presuppongono la mancata riparazione del bene.
Si deve quindi concludere nel senso che l'impegno del venditore all'eliminazione dei vizi, accettato dal compratore, fa sorgere il corrispondente diritto, che è soggetto alla prescrizione decennale, mentre i diritti alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto restano soggetti alla prescrizione annuale.
Non ne consegue tuttavia, che il ricorso vada rigettato in toto.
Essendo stata comunque investita della questione relativa all'avvenuta estinzione "o non" per prescrizione delle azioni di riduzione del presso e di risarcimento del danno esercitate in via riconvenzionale dalla s.r.l. Gamma, questa Corte può e deve risolverla secondo diritto, indipendentemente dalle argomentazioni svolte in proposito dalle parti. Va allora rilevato che la causa è stata promossa dalla s.p.a. Xxxxxxxx con domanda di condanna della convenuta al pagamento del prezzo residuo del macchinario vendutole.
Si verte dunque nell'ipotesi prevista dall'art. 1495 c.c., nella parte in cui dispone che il compratore convenuto per l'esecuzione del contratto, anche dopo il decorso del termine annuale di prescrizione "può sempre far valere la garanzia".
Né la norma può intendersi limitata al caso delle eccezioni; riguarda invece proprio le azioni (riconvenzionali) poiché la garanzia che il compratore può "far valere" implica una pronuncia costitutiva del giudice di riduzione del prezzo o di risoluzione, comportante la modificazione o la caducazione del contratto di vendita.
In questi limiti il ricorso viene pertanto accolto.
Non sussistono le condizioni perché la causa possa essere decisa nel merito, come la s.r.l. Gamma ha richiesto.
La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d'appello di Bari, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'appello di Bari, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2012. Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2012
Cass. civ., sez. un., 26 marzo 2007, n. 7246
La pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto, soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall’art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 27 luglio 1992, P.I. e D.G., D.A., D.S. e T.R., questi ultimi quali eredi di D.F., convenivano in giudizio C.A. ed esponevano:
- che, in base a contratto stipulato il 1 giugno 1990, i coniugi D.F. e P.I. avevano promesso di vendere ad C.A., che aveva promesso di acquistare, l'appartamento sito in Bracciano, xxx (XXXXXXX), xxxxx xxxxxx, xx prezzo di Lire 121.974.651;
- che detto prezzo avrebbe dovuto essere, per una parte, corrisposto dalla C. mediante accollo di due mutui fondiari gravanti rispettivamente sull'immobile oggetto del contratto (per Lire 28.902.836) e su altro immobile di proprietà dei promittenti venditori (per Lire 80.757.918);
- che, stipulato il 27 giugno 1990 il contratto di vendita, la compratrice si era accollato il solo mutuo gravante sull'immobile oggetto del contratto, ed aveva corrisposto le rate di entrambi i mutui fino al giugno 1991, omettendo però di pagare le successive rate semestrali del mutuo gravante sull'altro immobile;
- che, richiesta dell'adempimento dagli eredi di D.F., nel frattempo deceduto, C.A. aveva rifiutato il pagamento;
- che la compratrice era decaduta dal beneficio del termine ai sensi dell'art. 1186 c.c. e, pertanto, essi attori avevano diritto alla corresponsione della parte residua del prezzo effettivamente convenuto, pari a Lire 69.894,225;
- che, su ricorso di essi attori, il Presidente del Tribunale, xx aveva, con ordinanza del 17 giugno 1992, autorizzati ad eseguire sequestro conservativo sui beni di C.A. fino alla concorrenza di Lire 70.000.000, imponendo cauzione di Lire 20.000.000;
- che il sequestro era stato eseguito mediante trascrizione, eseguita il 17 luglio 1992, del provvedimento sui registri immobiliari.
Sulla base di tali premesse, gli attori chiedevano: la convalida del sequestro conservativo concesso in loro favore con l'ordinanza del 19 giugno 1992; l'accertamento che il prezzo di vendita dell'immobile sopra indicato era pari a Lire 121.974.651; l'accertamento dell'inadempimento della convenuta alla obbligazione di pagamento della somma di Lire 69.894.225, quale parte residua del prezzo; la condanna della convenuta al pagamento della somma di Lire 69.894.225, quale parte residua del prezzo, ed al risarcimento dei danni dipendenti dall'inadempimento, "da quantificare in corso di giudizio, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi come per legge". La convenuta si costituiva deducendo:
- che in base ad accordi fra le parti del contratto preliminare del 1° giugno 1990 il prezzo della vendita dell'immobile che ne costituiva l'oggetto era stato parzialmente ridotto e che, pertanto, essa
C.A. avrebbe pagato le rate del mutuo gravante sull'immobile oggetto della vendita e si sarebbe
accollata le rate del mutuo dell'altro immobile appartenente ai venditori fino alla concorrenza di Lire 30.000.000;
- che tale accordo era stato solo in parte trasfuso nel contratto di vendita del 27 giugno 1990, in cui le parti avevano dichiarato, a fini tributari, un prezzo pari a Lire 41.000.000, da corrispondersi in parte mediante il solo accollo del mutuo gravante sull'immobile oggetto del contratto;
- che, pertanto, l'esatto contenuto dell'accordo era solo quello risultante dall'atto pubblico di vendita, essendo, ormai, inefficaci, sul punto, le pattuizioni contenute nel contratto preliminare;
- che, pertanto, il sequestro conservativo non avrebbe potuto essere concesso, attesa l'inesistenza del credito vantato dagli attori.
Con sentenza in data 11 marzo 1998 il Tribunale di Roma accoglieva le domande degli attori.
C.A. proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Roma con sentenza in data 2 0 novembre 2001.
I giudici di secondo grado ritenevano che infondatamente l'appellante si lamentava del fatto che il Tribunale di Roma avesse dato ingresso alle prove testimoniali offerte sulla differente entità del prezzo effettivamente pattuito fra le parti (rispetto a quello risultante dall'atto pubblico) sui rilievi che: in tema di simulazione relativa la prove per testi fra le parti è consentita solo per far valere l'illiceità del negozio dissimulato; e che - trattandosi di negozio che richiedeva la forma scritta per la validità - la prova testimoniale avrebbe richiesto la dimostrazione della perdita incolpevole del documento (ex art. 2725 cod. civ.); il primo giudice aveva, invece, richiamato erroneamente la disposizione dell'art. 2724 cod. civ., n. 1, attribuendo fra l'altro valore di principio di prova scritta al contratto preliminare, che era stato superato dalle pattuizioni consacrate nell'atto pubblico.
La decisione di primo grado, infatti, era conforme alla giurisprudenza di questa S.C., secondo la quale la prova, per testimoni o presunzioni, della simulazione del prezzo della vendita immobiliare non incontra, tra le parti, i limiti dettati dall'art. 1417 cod. civ., né contrasta con il divieto posto dall'art. 2722 cod. civ. La pattuizione di celare una parte del prezzo non è equiparabile, infatti, per mancanza di una propria autonomia strutturale o funzionale, all'ipotesi di dissimulazione del contratto, che conserva inalterati i suoi elementi di validità, inerenti al documento di cui si assume la falsificazione. Alla inefficacia della pattuizione apparente, concernente il prezzo, può dunque ovviarsi con una prova che ha scopo e natura semplicemente integrativa del contratto, e può risultare anche da deposizioni testimoniali o presunzioni.
Presunzioni bene ricavabili anche dal tenore del preliminare, quando non risultino, fra questo e la data del definitivo, fatti che abbiano alterato in maniera sensibile gli interessi delle parti composti nel contratto.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione C.A., con cinque motivi, illustratati da memoria.
Resistono con controricorso D.G., D.A., D.S., T.R..
La causa è stata rimessa alle Sezioni unite in ordine al contrasto esistente in giurisprudenza in ordine alla possibilità di provare per testimoni la simulazione del prezzo della vendita.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente ribadisce la tesi secondo la quale la prova per testimoni del prezzo effettivamente pattuito non poteva essere ammessa in considerazione del disposto dell'art. 2722 cod. civ. La sentenza impugnata si è rifatta alla giurisprudenza meno recente di questa S.C. Si è, in proposito, affermato che, allorquando l'accordo simulatorio investe solo uno degli elementi del contratto (quale è il prezzo di una vendita immobiliare), per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, il contratto simulato non perde la sua connotazione peculiare, ma conserva inalterati gli altri suoi elementi - ad eccezione di quello interessato dalla simulazione - con la conseguenza che, non essendo il contratto in tali termini simulato né nullo né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti. Pertanto, la prova per testimoni del prezzo effettivo della vendita, versato o ancora da corrispondere, non incontra, tra alienante e acquirente, i limiti dettati dall'art. 1417 cod. civ. in tema di simulazione, in contrasto con il divieto posto dall'art. 2722 cod. civ., in quanto la pattuizione di celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale, all'ipotesi di dissimulazione del contratto, così che la prova relativa ha scopo e materia semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni testimoniali (sent. 24 aprile 1996 n. 3857; 23 gennaio 1988 n. 526).
In altra occasione si è più genericamente affermato che il requisito di forma è adempiuto ove sussista nel contratto simulato o in quello dissimulato, in considerazione della sostanziale unità della determinazione volitiva delle parti nel fenomeno simulatorio e della operatività della simulazione sul piano egli effetti e non sulla validità del contratto (sent. 9 luglio 1987 n. 5975).
Da tale orientamento, che non incontra il favore di una parte rilevante della dottrina, si è di recente distaccata la sentenza di questa S.C. in data 19 marzo 2004 n. 5539, la quale ha così motivato:
Per una corretta impostazione del problema è opportuno prendere le mosse dal disposto dell'art. 2722 c.c. Tale norma esclude che tra le parti si possa dare per testimoni la prova di un patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento, ove si alleghi che la stipulazione del patto sia stata anteriore o contemporanea alla redazione del documento medesimo. Al pari che in tutte le altre disposizioni sui limiti della prova testimoniale, traspare qui un certo grado di ragionevole diffidenza
del legislatore nei riguardi di un tale genere di prova, soprattutto quando essa sia volta a sormontare risultanze assai meno controvertibili quali quelle documentali, è chiaro, cioè, l'intento di impedire che rapporti giuridici tra le parti, quando documentalmente provati, possano essere alterati da prove par testi, appunto perché queste non offrono la stessa garanzia di veridicità di quella documentale e perché non è logico presumere che, una volta scelta la via della documentazione degli accordi contrattuali tra esse intercorsi, le parti ne abbiano affidato la modifica ad intese meramente verbali. Sicché ben si comprende anche la ragione del superamento del suindicato limite alla prova testimoniale quando, nei casi specificamente contemplati dal successivo art. 2724 c.c., quella negativa presunzione possa invece essere superata.
Il limite alla prova testimoniale di cui si sta discutendo, per le ragioni che vi sono sottese, è quindi destinato ad operare in qualsiasi caso si sostenga esservi una divaricazione tra il contenuto di un contratto, formalmente consacrato in un documento, ed una diversa pattuizione, ugualmente pregna di contenuto negoziale, che nel documento medesimo non sia riportata e di cui, tuttavia, si assuma esservi stata una stipulazione anteriore o contemporanea.
Il fenomeno della simulazione contrattuale, sia essa assoluta o relativa, non esaurisce l'area di possibile applicazione di detto art. 2722 c.c., ma sicuramente ne occupa una larga parte. Ed, infatti, nel disciplinare ex professo i limiti della prova testimoniale della simulazione, il legislatore non ha dettato una disposizione in se compiuta ed autosufficiente, ma si è unicamente preoccupato di chiarire, nell'art. 1417 c.c., che quella prova è ammessa senza limiti tanto nel caso di domanda proposta da creditori o da terzi quanto nell'ipotesi in cui, essendo proposta dalle parti, la domanda sia volta a far valere l'illiceità del contratto dissimulato. I limiti cui il citato art. 1417 c.c. allude - e che consente di superare solo nelle suddette particolari situazioni - sono, ovviamente, quelli dettati dagli artt. 2721 c.c., e segg., ed in particolare quelli già sopra richiamati a proposito dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento.
Stando così le cose, quando la prova tra la parti della simulazione di un contratto documentale non riguardi l'illiceità del contratto dissimulato, è evidente che essa incontra i suaccennati limiti di prova (vedi anche, in tal senso, Cass. n. 16021 del 2002 e n. 4073 del 1992). Ma appare difficile negare che tali limiti operino anche in presenza di una simulazione soltanto parziale, ogni guai volta questa si traduca nell'allegazione di un accordo ulteriore e diverso da quello risultante dal contratto, comunque destinato a modificare l'assetto degli interessi negoziali riportato nel documento sottoscritto dalle parti. Né certo sarebbe ragionevole sostenere che la clausola di determinazione del prezzo non abbia rilevanza centrale nell'economia degli interessi regolati mediante un contratto di compravendita.
D'altronde, affermare che la pattuizione con cui le parti convengano un prezzo diverso da quello indicato nel documento contrattuale da esse sottoscritto non integrerebbe gli estremi di una vera e propria simulazione, avendo scopo meramente integrativo, non risolve in alcun modo il problema. Se anche così fosse, infatti, resterebbe comunque difficilmente eludibile il rilievo per cui una tale pattuizione si pone in contrasto con il contenuto di un documento contrattuale contestualmente stipulato e, come tale, ricade nella previsione dell'art. 2722 c.c. La differenza che l'orientamento giurisprudenziale qui non condiviso introduce - tra la prova della simulazione, soggetta agli anzidetti limiti legali, e la prova di patti meramente integrativi del contratto, che detti limiti non incontrerebbe perché quei patti difetterebbero di una propria autonomia strutturale o funzionale - non sembra perciò trovare un sufficiente appiglio: né nella lettera del citato art. 2722 c.c., che si riferisce ai "patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento", e quindi anche a quelli di carattere integrativo se essi contengano elementi nuovi o contrastanti con quelli documentati; né nella già richiamata ratio legis, che evidentemente abbraccia ogni ipotesi nella quale si pretenda di dare, per mezzo di testimoni, la prova di obblighi o diritti di portata diversa da quanto risulta da accordi consacrati in un documento e perciò dotati di un grado di certezza non superabile con quel genere di prova.
Ritiene il collegio di condividere tale più recente orientamento.
Va, in proposito, osservato che il fatto che il contratto simulato non sia nullo o annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti non giustifica la conclusione che il contratto dissimulato, il quale è destinato ad avere effetto tra le parti, non debba avere i requisiti di forma necessari per la validità dello stesso, secondo quanto espressamente stabilito dall'art. 1414 cod. civ., comma 2.
Né si potrebbe sostenere che il requisito di forma sarebbe soddisfatto dal negozio simulato (come sembra sostenere la sentenza 9 luglio 1987 n. 5975).
Una tesi analoga era stata sostenuta questa S.C. anche in tema di interposizione fittizia, ma è stata successivamente abbandonata (cfr. sent. 22 aprile 1986 n. 2816; 22 novembre 1979 n. 6074), in base alla considerazione che l'interposizione deve risultare anch'essa da un patto rivestito della forma solenne.
Né, con riferimento specifico al problema della prova del prezzo, si potrebbe sostenere che la prova per testimoni sarebbe destinata soltanto ad integrare soltanto un elemento negoziale per il quale il requisito di forma è soddisfatto dal contratto simulato.
E' facile osservare che il prezzo è un elemento essenziale della vendita, per cui anch'esso deve risultare per iscritto e per intero quando per tale contratto è prevista la forma scritta ad substantiam, non essendo sufficiente che quest'ultima sussista in relazione alla manifestazione di volontà di vendere e di acquistare.
In altri termini, la prova per testimoni del prezzo dissimulato di una vendita immobiliare non riguarda un elemento accessorio del contratto, in relazione al quale non opera il divieto di cui all'art. 2722 cod. civ., ma un elemento essenziale, con conseguente applicabilità delle limitazioni in tema di prova previste da tale disposizione.
Alla luce delle considerazioni svolte, il primo motivo del ricorso va accolto, con assorbimento degli altri motivi, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2007. Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2007