UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA "TOR VERGATA"
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA "TOR VERGATA"
FACOLTA' di GIURISPRUDENZA DOTTORATO di RICERCA in
DIRITTO TRIBUTARIO e dell’IMPRESA
XXIII CICLO
“La TASSAZIONE degli IMPIEGHI di CAPITALE
tra INVESTIMENTI DIRETTI ed INTERMEDIAZIONE”
Xxxxxxxx Xxxxxxxx
A.A. 2009/2010
Docente Guida/Tutor: Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxx Coordinatore: Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxx
A Xxxxx, Xxxxxx ed Xxxxx che mi hanno perdonato per il tempo loro sottratto,
rendendomi più lieve l’impegno.
INDICE
1. Come è impiegata la ricchezza degli italiani ? 15
2. La geografia degli impieghi in attività finanziarie 17
3. IL GETTITO ERARIALE DERIVANTE DALLA IMPOSIZIONE SUI REDDITI FINANZIARI 20
4. I redditi finanziari in uno schema di reddito-prodotto in senso ampio 23
4.1 Gli interessi nell’ottica della tassazione aziendale e della teorica economica 25
5. Redditi di capitale: Frutto civile o frutto economico? 27
6. Le scelte di determinazione della ricchezza finanziaria nella tassazione reddituale italiana 31
6.1 La confusione anteriore al riordino del 1998 31
6.2 Il riordino attuato nel 1998 34
6.3 Le linee guida della inattuata “Riforma Tremonti” 37
7. Le aliquote d’imposta sui redditi finanziari 41
8.1 Esiste una definizione di reddito di capitale? 45
8.2 Le singole fattispecie di proventi derivanti impiego di capitale 48
8.2.2 Interessi non soggetti ad imposizione: interessi compensativi ed interessi moratori 49
8.2.3 Gli interessi ed altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti 50
8.2.4 Gli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari, degli altri titoli diversi dalle azioni e titoli similari nonché dai certificati di massa 53
8.2.5 L’imposta sostitutiva del D. Lgs. n. 239/1996 55
8.2.6 La ritenuta derivanti da titoli obbligazionari non assoggettati all’imposta sostitutiva 57
8.2.7 I proventi derivanti da “titoli atipici” 58
8.2.8 Altre tipologie di redditi di capitale 59
8.2.9 Gli utili da partecipazione in società ed enti IRES ed utili equiparati 60
8.2.10 Gli utili derivanti da contratti di associazione in partecipazione 63
8.2.11 Gli utili derivanti da gestioni patrimoniali collettive 63
8.2.12 Gli utili derivanti da operazioni di pronti contro termine su titoli e valute 66
8.2.13 Redditi derivanti da contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione e dai rendimenti delle rendite di previdenza complementare 67
8.2.14 I redditi imputati al beneficiario del trust 69
8.2.15 Gli altri redditi derivanti dall’impiego di capitale: la fattispecie residuale 70
9. I REDDITI DIVERSI DI NATURA FINANZIARIA 72
9.1 Riflessioni sulla rilevanza impositiva delle plusvalenze 73
9.2 Le plusvalenze sono tutte uguali? 75
9.3 Aspetti problematici del prelievo fiscale sui capital gains: previsione di meccanismi di indicizzazione 76
9.4 Aspetti problematici del prelievo fiscale sui capital gains: tassazione al momento del realizzo ovvero al momento della maturazione 78
9.5 Aspetti problematici del prelievo fiscale sui capital gains: imposizione ordinaria o imposizione sostitutiva? 82
9.6 Aspetti problematici del prelievo fiscale sui capital gains: la deducibilità delle minusvalenze 83
9.7 Aspetti problematici del prelievo fiscale sui capital gains: la fissazione di minimi in esenzione 84
9.8 Aspetti problematici del prelievo fiscale sui capital gains: la rilevanza della durata del possesso degli assets mobiliari 84
9.9 L’elusione fiscale e la rilevanza impositiva delle plusvalenze 85
10. Le varie fattispecie di redditi diversi di natura finanziaria 88
10.1 Le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni et similia 88
10.1.1 Il regime di esenzione delle plusvalenze realizzate da imprese in start up 92
10.2 I redditi derivanti da cessione di valute 93
10.3 I redditi derivanti da “contratti derivati” per differenziale 94
11.1 Il regime di tassazione “dichiarativo” 99
11.2 Il regime del risparmio amministrato 102
11.3 Il regime del risparmio gestito 112
12. Le più recenti prospettive di riforma 121
12.1 In cosa è migliorabile l’attuale sistema impositivo dei redditi finanziari? 122
12.2 Prima disomogeneità: le due aliquote d’imposta 123
12.3 Seconda disomogeneità: la disparità di trattamento tra OICR italiani ed OICR comunitari armonizzati 124
12.4 Terza disomogeneità: le diversità tra i tre regimi di tassazione del risparmio 125
12.5 Quarta disomogeneità: il differimento d’imposta nel caso di titoli a cedola nulla 126
12.6 E’ possibile addivenire ad un’unica aliquota della tassazione dei redditi finanziari? 127
12.6.1 Esiste un livello appropriato di aliquota unica? 128
12.6.2 E’ necessario introdurre misure compensative a fini equitativi? 130
12.6.3 Il tema della doppia tassazione dei redditi partecipativi ..130
12.6.4 Le difficoltà del passaggio all’aliquota unica: la necessità di gestire la fase transitoria 131
13. Ipotesi di riforma dei regimi di tassazione del risparmio 133
13.1 Prima ipotesi di riforma: xxxxxx xxxxxxxxxx 134
13.2 Seconda ipotesi di riforma: generalizzata applicazione del principio della tassazione “al realizzo” 135
13.3 Terza ipotesi di riforma: generalizzata applicazione del principio della tassazione “alla maturazione” 139
13.4 Il regime dichiarativo: prelievo sostitutivo d’acconto sui redditi di capitale e “segnalazione” del percipiente 145
13.5 Aspetti critici di transizione al nuovo regime 146
13.6 E se si introducesse una Xxxxx Tax? 148
14. Il ruolo degli intermediari nella tassazione dei redditi finanziari 151
15. Il sistema di tassazione degli organismi di investimento collettivo del risparmio 155
15.1 L’imposizione sostitutiva sui fondi comuni di investimento mobiliare aperto e chiusi nazionali 156
15.2 L’imposizione sostitutiva sui fondi comuni di investimento mobiliare “lussemburghesi storici” 158
15.3 L’imposizione sostitutiva sui fondi pensione 158
16. Profili internazionali di tassazione delle attività finanziarie
...............................................................................................................159
16.1 Tassazione dei redditi di fonte italiana percepiti da non residenti in Italia (c.d. outbound income) 161
16.1.1 Gli interessi 162
16.1.2 I dividendi 164
16.1.3 I proventi di quote di fondi comuni di investimento in valori mobiliari 165
16.1.4 Le plusvalenze 165
16.2 Tassazione dei redditi di fonte estera percepiti da residenti in Italia (c.d. inbound income) 166
16.2.1 Gli interessi 167
16.2.2 Dividendi e plusvalenze 169
16.3 Adempimenti strumentali degli intermediari nei rapporti con
l’estero: il monitoraggio fiscale 170
16.3.1 Effetti impositivi del trading on line effettuato da un residente in Italia 172
16.4 Misure di contrasto all’evasione fiscale internazionale 174
17. Possibili sviluppi della ricerca 176
18. Bibliografia 179
Appendice - grafici 185
ABSTRACT
La tassazione dei redditi di natura finanziaria, tipicamente quelli derivanti dall’impiego del risparmio delle persone fisiche, riveste una fondamentale importanza nella politica tributaria dei Paesi evoluti sia in un’ottica interna (esigenze di gettito, contrasto di fenomeni elusivi, etc.) sia in un’ottica esterna (in primis, con l’attuazione di politiche difensive o aggressive sia per scongiurare il rischio di fughe sia per favorire l’attrazione di capitali).
I modelli di tassazione di tali redditi si differenziano tra quelli applicabili al “risparmio diretto” e quelli applicabili al “risparmio intermediato”: i due comparti presentano aspetti e problematiche diverse, ma senza soluzione di continuità, poiché la disciplina fiscale del “risparmio intermediato” non può prescindere in alcun caso dalla ricognizione della disciplina fiscale del “risparmio diretto”.
L’obiettivo principale del lavoro svolto è stato quindi quello di analizzare le peculiarità del nostro sistema di tassazione dei redditi finanziari, le attuali criticità, dovute principalmente alla disomogeneità del sistema stesso, e le possibili ipotesi di relativa evoluzione.
In particolare, si è provveduto preliminarmente ad una ricognizione delle diverse forme di impiego in attività finanziarie della ricchezza degli italiani analizzando altresì la composizione del gettito erariale derivante dai “redditi finanziari”, che costituiscono un ideale
“comparto reddituale” nel cui novero sono riconducibili due delle sei categorie di redditi previste dal Testo Unico: i redditi di capitale ed i redditi diversi di natura finanziaria.
Come noto, non esiste una definizione paradigmatica delle menzionate categorie reddituali; per entrambe, infatti, il Testo Unico fornisce un’elencazione casistica, che include fattispecie puntuali e tassative di proventi finanziari rilevanti ai fini impositivi; astrattamente è possibile ricondurre la categoria dei redditi di capitale al concetto di redditi-prodotto (ovvero quei redditi che costituiscono il frutto – civile, come gli interessi o economico, come i dividendi – derivante dall’impiego di capitale) e le plusvalenze di natura finanziaria al concetto di redditi-entrata (ovvero quei proventi, anche differenziali, in cui il negozio di impiego del capitale sussiste ma non si pone come diretta causa produttiva dei proventi medesimi).
Con particolare riferimento agli interessi – che costituiscono il reddito di capitale per eccellenza, assieme ai dividendi – si è altresì evidenziato che, da un punto di vista contabile ed in un’ottica di tassazione aziendale, tali proventi sono equiparabili a tutti gli altri costi mentre sotto un profilo più strettamente microeconomico, gli stessi costituiscono di fatto una rendita e, per questo, si differenziano dagli ordinari oneri per fattori della produzione. In un’ottica di teoria economica della remunerazione dei fattori produttivi, infatti, gli interessi sono, in un certo senso, equiparabili ai salari ed ai profitti. Pertanto, a livello macro-economico, gli interessi – a differenza dei proventi derivanti dalle attività produttive in senso stretto – non concorrono alla formazione del
reddito nazionale (P.I.L.) costituendo una ripartizione, sotto forma di rendita, del valore aggiunto economico nazionale.
Altro saliente tema trattato è quello della misura dell’aliquota di imposizione dei redditi finanziari che assume rilevanza centrale nel nostro sistema impositivo, in cui detti redditi percepiti da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, di norma, non sono tassati come tutti gli altri proventi attraverso un’imposizione progressiva ma subiscono un prelievo proporzionale sostitutivo.
La maggior parte delle fattispecie di redditi finanziari è infatti assoggettata all’aliquota del 12,50%, che potrebbe sembrare piuttosto modesta e, per questo, da più parti se ne prospetta un aumento. Tuttavia, si deve considerare che buona parte del rendimento finanziario non è reddito ma ricostituzione del capitale eroso dall’inflazione. In altri termini, il rendimento derivante dagli strumenti finanziari serve, in primo luogo, a salvaguardare il potere d’acquisto del capitale investito, nel senso che si può parlare di un provento vero e proprio solo se si riesce a coprire l’inflazione, altrimenti si determina una perdita di capitale reale.
Pertanto, la decisione di attestarsi su una aliquota di livello piuttosto modesto, tenuto conto del criterio nominalistico del nostro regime impositivo che non prevede indicizzazioni, consente di favorire una sorta di compensazione per controbilanciare lo svantaggio derivante dall’erosione inflattiva.
Si è altresì evidenziato che il “successo della tassazione” dei redditi finanziari è attribuibile in buona parte al modesto livello di aliquota fiscale ma anche al ruolo determinante degli intermediari che assumono in carico tutti (o quasi) gli obblighi strumentali e procedurali finalizzati all’assolvimento degli obblighi impositivi.
E’ evidente, infatti, il ruolo centrale rivestito dagli intermediari- “grandi esattori” nel sistema di tassazione dei redditi finanziari, sia in sede di applicazione delle ritenute alla fonte o dell’imposta sostitutiva sui redditi di capitale sia nell’ambito dei regimi del risparmio amministrato e gestito per la tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria (regimi a cui si è dato ampio risalto nell’ambito della trattazione).
Come correttamente rilevato in dottrina, gli intermediari “garantiscono una certa sicurezza dell’investimento, ma ne tassano i redditi in una specie di apoteosi della tassazione aziendale, che vede un intervento veramente sporadico di un fisco che si fida totalmente degli intermediari, in genere con ragione. Al contrario, i redditi conseguiti fuori da queste strutture, tra privati e privati o aziende non strutturate, vengono di solito nascosti al fisco”. 1
Gli intermediari finanziari che intervengono nella tassazione dei redditi finanziari – erogando direttamente o indirettamente redditi a diversi stakeholders (i.e. i dipendenti, i consulenti, gli azionisti, i clienti, etc.) e, in veste di sostituto d’imposta, operando le ritenute
1 In questi termini, X. Xxxx, Tassazione aziendale in cerca di identità. Come riformare un sistema senza alternative. Supplemento a Dialoghi Tributati n. 2, 2010, pag. 107.
alla fonte a titolo di acconto o d’imposta e le imposte sostitutive sui redditi finanziari, nonché tutti i conseguenti onerosi adempimenti strumentali correlati – rappresentano la fattispecie di più rigida organizzazione amministrativo-aziendale; si tratta, infatti, di operatori economici di grandi o grandissime dimensioni, che si avvalgono di procedure standardizzate, complesse ed articolate, e sono soggetti ad una serie di controlli interni ed esterni .
Si è quindi evidenziato che la tassazione delle rendite finanziarie, effettuata per il tramite dei c.d. “grandi contribuenti”, costituisce la massima espressione della tassazione aziendale, in quanto la “ricchezza finanziaria” viene canalizzata e tassata attraverso le imprese bancarie e finanziarie.
Tuttavia, l’attuale sistema di tassazione dei redditi finanziari, per quanto discretamente efficiente risulta non omogeneo e, talvolta, non neutrale, evidenziando quindi dei margini di miglioramento. Ci si riferisce, tra gli altri, ai “disallineamenti” rappresentati dall’esistenza di un doppio (triplo, in realtà) livello di aliquote impositive, dalla disparità di timing della tassazione degli OICR italiani (tassati in base al risultato maturato) e degli OICR comunitari armonizzati (tassati al realizzo), nonché dalle differenti caratteristiche proprie dei diversi regimi di tassazione del risparmio (dichiarativo, amministrato e gestito).
Attesa la sempre maggiore rilevanza della mobilità internazionale dei capitali, si è ritenuto opportuno, inoltre, analizzare brevemente il trattamento dei redditi finanziari transnazionali sia in uscita (c.d. outbound incomes) sia in entrata (c.d. inbound incomes).
PREMESSA
Un sistema di tassazione dei redditi finanziari, per essere ottimale, dovrebbe tendere al perseguimento di alcuni fondamentali obiettivi di carattere politico-economico quali la completezza, la neutralità, l’equità e l’efficienza.
In particolare, un sistema impositivo è:
- “completo” o “generale”, se riesce a contemplare tutte le fattispecie produttive di redditi finanziari e se non sussistono lacune nell’ordinamento che potrebbero favorire fenomeni elusivi da parte dei contribuenti. A tale fine, appare imprescindibile tenere conto delle differenze esistenti tra le diverse fattispecie e ricondurle nelle specifiche categorie reddituali. Da un punto di vista economico è accettabile l’ideale unitarietà della categoria dei redditi finanziari, mentre dal punto di vista giuridico tale unitarietà non può essere mantenuta, in quanto le diverse fattispecie sono caratterizzate da configurazioni giuridiche sottostanti differenti e per questo necessitano di criteri impositivi e di regole di determinazione della base imponibile diversificati. Dal punto di vista giuridico, vengono quindi operate delle distinzioni tra redditi derivanti da un impiego “statico” del capitale (c.d. “redditi di capitale”) e redditi derivanti da un impiego “dinamico” del capitale (c.d. “redditi diversi di natura finanziaria”)2.
2 Da un punto di vista pratico, l’unitarietà presenta indubbi vantaggi ai fini del contrasto dei fenomeni elusivi, mentre un sistema basato su una ripartizione dei redditi finanziari (tra redditi di capitale e redditi diversi di natura finanziaria) appare preferibile dal punto di vista dell’equità ma deve essere accompagnato da opportune norme di chiusura, atteso che costituisce un sistema più esposto a
- “Neutrale” ed “equo”, se non privilegia, da un punto di vista fiscale, un “prodotto finanziario” piuttosto che un altro3 e quando assoggetta tutti i redditi finanziari della stessa natura al medesimo prelievo fiscale, a prescindere dallo strumento finanziario adottato, così minimizzando le distorsioni4. In altri termini, la neutralità si sostanzia nell’esigenza che l’imposizione sui redditi finanziari non condizioni le scelte degli operatori e non crei discriminazioni tra gli investitori e tra gli strumenti finanziari5.
- “Efficiente”, se raggiunge l’obiettivo di garantire l’effettivo assolvimento dell’imposta in relazione alla effettiva capacità economica dei singoli, attraverso idonei strumenti di accertamento, riscossione e controllo, evitando ogni possibile fenomeno di evasione fiscale6.
Il requisito dell’efficienza si ricollega a quello della semplicità del sistema impositivo che è di fondamentale importanza dal punto di
derive elusive rappresentate principalmente dalla trasformazione di fattispecie di un reddito in altra forma reddituale soggetta ad un regime impositivo più mite. I più comuni fenomeni del genere (coupon washing e dividend washing) sono stati oggetto di contrasto per mezzo di norme antielusive ad hoc.
3 In altri termini non deve condizionare le scelte degli investitori, ma deve essere caratterizzato dalla generale imposizione di tutte le rendite finanziarie, senza distinzioni.
4 Un sistema impositivo non è neutrale quando, per scelte di politica economico-fiscale, il risparmio viene canalizzato verso particolari investimenti finanziari. In questi casi, l’imposta incide sulla struttura dei rendimenti delle diverse attività finanziarie.
5 Di norma un sistema per essere neutrale dovrebbe seguire il criterio della completa inclusione di tutti i redditi finanziari nella base imponibile dell’imposta personale progressiva; comunque lo stesso obiettivo può essere raggiunto anche escludendo da tassazione tutti i redditi di natura finanziaria o applicando un’imposizione sostitutiva sugli stessi.
6 Tale aspetto è di fondamentale importanza, in quanto la globalizzazione, l’internazionalizzazione dei mercati finanziari e l’introduzione di nuovi prodotti hanno reso più complesso ed articolato il controllo dei redditi di natura finanziaria di fonte nazionale ed estera.
vista economico; un sistema impositivo è “semplice” se riduce gli adempimenti burocratici, così contenendo gli oneri e rendendo di conseguenza più efficiente il prelievo7.
Nel nostro ordinamento l’efficienza e la semplicità del sistema impositivo relativo ai redditi finanziari è garantita dal ruolo centrale degli intermediari finanziari che, nella loro veste di emittenti o di soggetti che intervengono nel pagamento delle diverse forme reddituali, effettuano tutti gli adempimenti strumentali e procedurali che rendono più efficace l’attività di accertamento e di riscossione da parte dell’Amministrazione finanziaria, decretando “il successo” della tassazione dei redditi in esame.
Ovviamente un sistema d’imposizione dei redditi finanziari completo, generale, neutrale ed efficiente (nonché semplice) – ed allo stesso tempo conforme ai principi dell’ordinamento – deve attrarre ad imposizione tutte le possibili fattispecie di manifestazione di capacità economica di “natura finanziaria”, anche quelle nuove che dovessero palesarsi a seguito della costante evoluzione degli strumenti finanziari che vengono proposti sul mercato, pur sempre nel rispetto del principio di tutela del risparmio previsto dall’art. 47 della Costituzione.
7 Nell’ambito delle attività finanziarie, inoltre, un prelievo complessivo e neutrale è anche un prelievo semplice, in quanto elimina ogni complessità applicativa.
1. COME È IMPIEGATA LA RICCHEZZA DEGLI ITALIANI ?
Sulla base delle ultime statistiche ufficiali disponibili8, la ricchezza degli italiani,9 complessivamente pari ad € 9.089 miliardi, è idealmente suddivisibile tra attività reali (principalmente beni immobili: fabbricati, terreni, etc.) per un totale di € 5.715 miliardi (62,87%) ed attività finanziarie (es. depositi, titoli, etc.) per un totale di € 3.374 miliardi (37,13%) (Cfr. Grafico n. 1).
La ricchezza netta – ovvero quella che tiene conto delle passività finanziarie (ad esempio, i mutui per acquisto della prima casa, crediti al consumo, etc.)10 degli italiani (pari ad € 805 miliardi) – ammonta ad € 8.284 miliardi e risulta diminuita rispetto al precedente anno di circa 161 miliardi11 (-1,9%), risentendo in particolare della rilevante riduzione di valore delle attività finanziarie (-8,2%) solo in parte compensata dalla dinamica positiva delle attività reali (+ 3%).
8 Relative all’anno 2008. I dati sono desunti dal Supplemento al Bollettino Statistico della Banca d’Italia “La ricchezza delle famiglie italiane 2008”, n. 67 del 16 dicembre 2009. I dati ufficiali relativi al 2009 saranno disponibili nel mese di dicembre 2010.
9 I dati si riferiscono all’insieme delle famiglie consumatrici e delle famiglie produttrici (cioè le imprese individuali con non più di 5 addetti) mentre sono escluse le Istituzioni Sociali Private (ISP), cioè quegli organismi privati senza scopo di lucro che producono beni e servizi non destinabili alla commercializzazione (es. associazioni sportive, partiti politici, sindacati, etc.).
10 L’ammontare delle passività per le famiglie italiane è pari al 74% del reddito disponibile, il valore più basso rispetto a tutti i Paesi considerati (in Gran Bretagna, ad esempio, la percentuale sale al 180%).
11 Dato a prezzi correnti. A prezzi costanti, la riduzione della ricchezza complessiva rispetto al 2007 è pari a € 433 miliardi (5% circa). Si è tenuto conto di un’inflazione 2008 rispetto al 2007 del 3,2%.
Alla fine del 2008, la ricchezza netta media per famiglia ammontava ad € 348.00012; tale dato deve essere letto in coerenza con l’indice del grado concentrazione della medesima ricchezza che risulta particolarmente elevato. Infatti, le indagini sulla distribuzione della ricchezza evidenziano che la maggior parte delle famiglie detengono livelli nulli o comunque molto modesti di ricchezza mentre, all’opposto, poche famiglie posseggono un elevato livello di ricchezza13.
Secondo la Banca d’Italia, la variazione complessiva della ricchezza, in termini reali, può essere attribuita principalmente a due componenti:
a) i capital gains che esprimono la variazione dei prezzi di mercato delle attività reali e finanziarie, al netto della parte attribuibile al deflatore dei consumi;
b) il flusso di risparmio, pari al reddito al netto dei consumi.
In particolare, nel 2008, si sono manifestati dei capital gains
negativi (si può quindi più propriamente parlare di capital loss) per
€ 521 miliardi principalmente per effetto della forte contrazione dei valori di mercato dei titoli azionari avvenuta in quell’anno14. Il risparmio delle famiglie è invece stato positivo per € 88 miliardi15.
12 Tra il 2007 ed il 2008 la ricchezza netta per famiglia è diminuita del 3,5% a prezzi correnti e del 6,5% a prezzi costanti, tornando sui livelli di inizio secolo.
13 Secondo i dati rilevati nel 2008, il 50% delle famiglie deteneva complessivamente il 10% della ricchezza totale mentre il 10% delle famiglie deteneva complessivamente il 44% della ricchezza complessiva.
14 Si ricorda che in tale anno, l’indice della Borsa di Milano (FTSE MIB) ha avuto una contrazione del 47,5%). Pesanti perdite hanno fatto registrare tutte le principali piazze finanziarie mondiali.
15 Secondo le statistiche della Banca d’Italia, nel periodo 1995-2008, il risparmio ha contribuito alla crescita della ricchezza netta per circa il 60% contro il 40% dei capital gains. Il rapporto tra ricchezza netta e reddito
2. LA GEOGRAFIA DEGLI IMPIEGHI IN ATTIVITÀ FINANZIARIE
Come detto, le attività finanziarie degli italiani a fine 2008 ammontavano ad € 3.374 miliardi circa16, ripartibili come di seguito descritto17 (Cfr. Grafico n. 2).
La liquidità (€ 96 miliardi), i depositi bancari inclusi i rapporti di conto corrente (€ 638 miliardi) ed il risparmio postale (€ 293 miliardi) rappresentavano circa il 30% delle attività finanziarie.
I titoli obbligazionari rappresentavano circa il 23% delle attività finanziarie, per un controvalore di € 766 miliardi, suddivisi tra titoli del debito pubblico italiano (BOT, BTP, CCT, etc.) (€ 182,5 miliardi)18, obbligazioni di soggetti privati nazionali (€ 451,2 di cui
disponibile lordo nel 2008 è stato pari a 7,6, in riduzione rispetto agli anni più recenti.
16 Tale valore risulta pari ad oltre tre volte il reddito disponibile degli italiani, un valore di molto inferiore a quello degli Stati Uniti (3,88) o del Regno Unito (4,24) dove però il sistema pensionistico pubblico è meno presente rispetto a quello italiano con la conseguenza che l’investimento in riserve tecniche di assicurazione risulta più elevato in quei Paesi. Altri Paesi, come Germania e Francia, presentano invece un quoziente inferiore a 3.
17 A tenore dei dati delle statistiche presentate nell’ambito della 85° giornata mondiale del risparmio organizzata dalla A.C.R.I. – 31 ottobre 2009 – sembrerebbe che gli italiani abbiano ritrovato la loro capacità di risparmio: secondo le stime sulla base del campione analizzato, infatti, è aumentato il numero di coloro che riescono a risparmiare (37%; 3% in più rispetto al 2008) anche se rimane costante la percentuale di coloro che consumano tutto il proprio reddito, quindi senza dare adito ad alcun tipo di risparmio (38%). Secondo l’Istat la propensione al risparmio delle famiglie italiane (definita dal rapporto tra il risparmio lordo delle famiglie ed il loro reddito disponibile) è pari al 14% (dati relativi al 4° trimestre 2009).
18 Si ricorda che secondo quanto evidenziato dalla Banca d’Italia, oltre il 50% dei titoli pubblici italiani è detenuto da soggetti esteri. La quota investita direttamente dalle famiglie in titoli pubblici italiani è pari a poco più del 5%.
€ 403,5 rappresentati da obbligazioni bancarie) e titoli pubblici e privati esteri (€ 132,3 miliardi).
I titoli partecipativi (azioni e quote) rappresentavano circa il 14% dell’intero coacervo di assets finanziari (€ 482,9 miliardi), suddivisibili tra titoli partecipativi in società italiane (€ 415,6 miliardi di cui € 98,5 in società quotate) e titoli partecipativi in società estere (€ 67,3 di cui € 49,6 in società quotate).
Quote consistenti, anche se meno rilevanti, di assets finanziari erano rappresentate dalle partecipazioni in “quasi-società”19 per un controvalore di circa € 233,9 miliardi (circa il 7% del totale) e dai fondi comuni di investimento per un controvalore di circa € 163,7 miliardi (circa il 4,9% del totale).
Infine il risparmio c.d. “previdenziale” rappresentato dalle riserve tecniche di assicurazione20 costituite dalle imprese assicurative e dai fondi pensione per future prestazioni in favore degli assicurati e degli iscritti presenta un controvalore di circa € 586,8 miliardi (17,4% del totale).
Nel 2008 è proseguita la riallocazione degli assets, già iniziata a fine 2007, all’interno dei portafogli di investimento degli italiani
19 La Banca d’Italia definisce in tale modo quegli organismi senza personalità giuridica che dispongono di una contabilità completa ed il cui andamento economico-finanziario è distinguibile da quello del “proprietario”; vi rientrano: le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice, le società semplici, le società di fatto, le imprese individuali (artigiani, agricoltori, piccoli imprenditori, liberi professionisti e comunque tutti coloro che svolgono attività in proprio) purché abbiano un numero di addetti superiore alle 5 unità.
20 Costituite dalle somme accantonate dalle imprese di assicurazione-ramo vita e dai fondi pensione al fine di provvedere ai futuri pagamenti ai beneficiari.
che si sono orientati verso strumenti finanziari meno rischiosi e più liquidi; è quindi aumentata la quota di ricchezza detenuta in depositi bancari ed in risparmio postale (+ 4%) nonché quella detenuta in obbligazioni private (+2,5%).
Di contro, l’ammontare degli investimenti in azioni e fondi comuni è diminuito rispettivamente del 7,1% e del 2,3% in rapporto al totale delle attività finanziarie. Stabile è rimasta la quota di attività finanziarie detenuta in titoli di stato nazionali.
Secondo i dati provvisori relativi al 2009, resi disponibili dalla Banca d’Italia nella Relazione annuale presentata il 31 maggio u.s., lo stock delle attività finanziarie detenute dai risparmiatori si è attestato ad € 3.595 miliardi, principalmente costituito da “risparmio bancario” (circa € 1.000 miliardi, ripartiti tra depositi, conti correnti ed obbligazioni bancarie) e “risparmio previdenziale” (circa € 630 miliardi). I titoli partecipativi italiani ed esteri21 ammontano a circa € 853 miliardi mentre i titoli di stato rilevano per circa € 200 miliardi ed i fondi comuni di investimento per circa
€ 190 miliardi.
21 In tale statistica, viene sommato il possesso dei titoli partecipativi come strumento di investimento finanziario alle partecipazioni in società non quotate possedute nelle “imprese di famiglia”.
3. IL GETTITO ERARIALE DERIVANTE DALLA IMPOSIZIONE SUI REDDITI FINANZIARI
Sulla base dei dati di “pre-consuntivo” desumibili dal Bollettino delle Entrate Tributarie pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze22, nel 200923, in termini di competenza24, il gettito erariale derivante dalla imposizione sui redditi finanziari è composto come di seguito dettagliato (Cfr. Grafico n. 3).
L’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nonché le ritenute sugli interessi ed altri redditi di capitale ha generato entrate per €
12.248 milioni25 (con un decremento di € 81 milioni (- 0,7%) rispetto all’anno precedente) di cui:
a) per € 6.504 milioni (con incremento di € 1.427 milioni (+ 28,1%) rispetto all’anno precedente) derivanti dalle ritenute
22 Che, si ricorda, è una pubblicazione periodica in cui vengono analizzati i flussi relativi alle entrate erariali italiane, in termini di competenza e di cassa. I dati ivi riportati sono quelli presenti nel bilancio dello Stato. I dati sono estrapolati dalla sezione I del Bollettino e dalle relative “appendici statistiche”.
23 Secondo le informazioni ritraibili dalla Relazione Annuale dei partecipanti della Banca d’Italia, presentata dal Governatore, Xxxx. Xxxxx Xxxxxx, il 31 maggio 2010 (cfr. pag. 150), in tale anno, “le imposte sostitutive sul risparmio delle famiglie si sono ridotte del 7,3% (…); in particolare sono scese quelle sul risparmio gestito (…) e su dividendi e plusvalenze (…). Le imposte sugli interessi sono rimaste invariate: la forte riduzione della componente relativa alle obbligazioni (…) che ha riflettuto il calo del rendimento medio registrato nel 2009, è stata compensata dall’aumento di quella sui depositi bancari (…), che segue con maggiore ritardo la dinamica dei tassi di interesse”.
24 I dati in termini di cassa non differiscono sensibilmente. In particolare, in termini di cassa, l’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nonché le ritenute sugli interessi e gli altri redditi di capitale hanno generato entrate per
12.325 milioni di euro (- 21 milioni di euro, pari al – 0,2%) di cui 6.563 milioni (+ 1.429 milioni di euro, pari al + 27,9%) derivano dalle ritenute su interessi, premi ed altri frutti corrisposti da aziende ed altri istituti di credito e 4.773 milioni di euro (- 1.264 milioni di euro, pari al – 20,90%) dall’imposta sostitutiva sugli interessi, premi ed altri frutti di talune obbligazioni e titoli similari. L’imposta sostitutiva sui redditi di capitale e plusvalenze è pari a 604 milioni di euro (-392 milioni di euro, pari al – 39,4%).
25 Cfr. Capitolo 1026 del Bilancio dello Stato.
su interessi e premi corrisposti da istituti di credito operate principalmente ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 600/1973;
b) per € 4.752 milioni (con decremento di € 1.325 milioni (- 21,8%) rispetto all’anno precedente) derivanti dall’imposta sostitutiva sugli interessi e sui premi da obbligazioni e titoli similari, applicata principalmente ai sensi del D. Lgs. n. 239/1996.
La residua parte (circa € 992 milioni) dovrebbe invece afferire alle ritenute alla fonte applicate sugli utili distribuiti ai possessori di azioni o di altri titoli rappresentativi di partecipazione al capitale, ai sensi dell’art. 27 del D.P.R. n. 600/1973.
A tali valori, deve essere aggiunto il gettito erariale derivante dalle imposte sostitutive, ex D. Lgs n. 461/1997, sui redditi di capitale e sui redditi diversi di natura finanziaria (capital gains) e sulle gestioni individuali di patrimoni ammontanti ad € 595 milioni26 (con un decremento di € 409 milioni (-40,7%) rispetto all’anno precedente).
Per completezza, si rappresenta che, sempre nel 2009, una rilevante quota di gettito erariale – pari a circa € 5.013 milioni – deriva dall’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali illegalmente detenute all’estero alla data del 31 dicembre 2008 e rimpatriate in Italia nel periodo 15 settembre – 15 dicembre 2009, in applicazione del regime dello “scudo fiscale” ex art. 13 bis del
D.L. n. 78/2009 convertito in L. n. 102/2009.
26 Cfr. Capitolo 1034 del Bilancio dello Stato.
Il gettito erariale derivante dalla tassazione dei redditi finanziari – complessivamente pari ad € 12.843 milioni27 – è pari al 3,14%28 rispetto al totale delle entrate erariali del 2009 ammontanti ad € 408.960 milioni di euro29, costituendo quindi una percentuale relativamente modesta dell’intero ammontare delle entrate tributarie nazionali, come noto, principalmente composte dall’Irpef30, dall’Iva31 e dall’Ires32.
27 Tale importo è pressoché uguale a quello delle entrate totali relative ai giochi (che includono varie imposte classificate sia come imposte dirette sia come imposte indirette), pari ad € 12.756 milioni (in crescita di € 672 milioni - + 5,6% - rispetto all’anno precedente). Il gioco del lotto rende alle casse erariali come il “gioco in borsa”.
28 La percentuale sale al 4,37% se si tiene conto delle entrate derivanti dall’imposizione straordinaria prevista dalla disciplina relativa allo “scudo fiscale”.
29 In flessione del 3,3% rispetto all’anno precedente. Di cui € 7.283 milioni di entrate una tantum.
30 Nel 2009 pari ad € 157.449 milioni – pari al 38,5% del prelievo tributario complessivo – in flessione del 3,6% (- € 5.796 milioni) rispetto al 2008.
31 Nel 2009 pari ad € 111.094 milioni – pari al 27,17% del prelievo tributario complessivo – in flessione del 7 % (- € 8.378 milioni) rispetto al 2008.
32 Nel 2009 pari ad € 37.196 milioni – pari al 9,1% del prelievo tributario complessivo – in flessione del 22,1 % (- € 10.522 milioni) rispetto al 2008.
4. I REDDITI FINANZIARI IN UNO SCHEMA DI REDDITO-PRODOTTO IN SENSO AMPIO
Come noto, nell’ambito della scienza delle finanze, il reddito è considerato un concetto astratto che esprime l’incremento del patrimonio di un individuo in un determinato arco temporale.
Più in dettaglio, gli studiosi hanno elaborato due principali categorie di reddito: (i) il “reddito-entrata” che comprende tutti gli incrementi di patrimonio anche di carattere straordinario o fortuito e (ii) il “reddito-prodotto” che è circoscritto ai proventi originati da attività economiche ordinarie, consistenti nel compimento di un’attività produttiva da parte del contribuente.
Come noto, la legislazione tributaria italiana non contiene una definizione univoca di reddito ma contempla sei categorie reddituali; i “redditi finanziari” sono riconducibili a due di tali categorie: i redditi di capitale ed i redditi diversi (di natura finanziaria)33.
Non esiste una definizione di redditi di capitale e di redditi diversi; per entrambe le tipologie di reddito, infatti, il Testo Unico34
33 Tale distinzione è stata mantenuta anche in seguito all’attuazione della delega conferita al Governo per la riforma del 1997, relativa al riordino della disciplina dei redditi di capitale e dei redditi diversi.
34 Fino al 1988, il nostro sistema di imposizione dei redditi non considerava il concetto di reddito-entrata e riconosceva esclusivamente il concetto di reddito prodotto, a cui erano quindi riconducibili sia i redditi di capitale sia i redditi diversi di natura finanziaria, con la conseguenza che gli stessi erano presi in considerazione esclusivamente se derivanti da atti negoziali e/o speculativi. Solo con il TUIR, del 1988, è stato introdotto il concetto di reddito-entrata, riconducendo a tassazione ogni forma di capital gain ed eliminando la necessità di un fine speculativo.
fornisce un’elencazione casistica contenuta rispettivamente nell’art.
44 e nell’art. 67, che include fattispecie puntuali e tassative di proventi finanziari rilevanti ai fini impositivi e permette di ricondurre astrattamente la categoria dei redditi di capitale35 alla nozione di reddito-prodotto e le plusvalenze finanziarie36 alla nozione di reddito-entrata.
In sostanza, dall’attuale disciplina impositiva è possibile ritrarre una distinzione sistematica, gradita agli economisti, tra:
- i redditi-prodotto, nel cui ambito rientrano tutti i redditi di capitale e cioè quei redditi che costituiscono il frutto (economico e civile) dell’impiego del capitale (esiste, quindi, un diretto rapporto di causa/effetto);
- i redditi-entrata, nel cui ambito sono annoverabili i redditi di natura finanziaria ed ogni altro provento differenziale, in cui il negozio di impiego del capitale sussiste ma non si pone, in modo diretto, come causa produttiva del provento medesimo37.
35 Cfr. X. Xxxxx, “Prime considerazioni sulla disciplina dei redditi di capitale nel nuovo T.U.”, in Rassegna Tributaria, I, 1998, pag. 39. Secondo l’autore per reddito prodotto si intendono gli “incrementi derivanti da un capitale per effetto di un negozio giuridico avente ad oggetto l’impiego del capitale stesso”. 36 Nei quali “il negozio di impiego del capitale, quando c’è, non si pone come diretta causa produttiva del provento stesso”, come fa rilevare X. Xxxxx, in “Il reddito di capitale come frutto economico”, in Il Fisco, 20, 1998, pag. 6522.
37 Pertanto, l’unico limite alla imponibilità delle rendite finanziarie risiede nella circostanza che deve trattarsi di redditi derivanti da un impiego o da un utilizzo, anche indiretto, del capitale.
4.1 Gli interessi nell’ottica della tassazione aziendale e della teorica economica
Da un punto di vista contabile ed in un’ottica di tassazione aziendale, gli interessi sono equiparabili a tutti gli altri costi mentre sotto un profilo più strettamente microeconomico, gli interessi costituiscono di fatto una rendita e, per questo, si differenziano dagli ordinari oneri per fattori della produzione (costi per beni strumentali, costi per beni merce e di consumo, costi per servizi e consulenze, etc.).
In ottica di teoria economica della remunerazione dei fattori produttivi, infatti, gli interessi sono, in un certo senso, equiparabili ai salari ed ai profitti. Tali elementi reddituali costituiscono, in sostanza, le tre forme di ripartizione della “ricchezza prodotta”, in termini di valore aggiunto, dall’attività d’impresa a favore dei tre principali stakeholders: i soci, i lavoratori ed i creditori.
In base a tali considerazioni, da un punto di vista microeconomico, gli interessi possono essere considerati come un reddito “prodotto” in senso ampio38.
Coerentemente, a livello macro-economico gli interessi non sono possono essere considerati come un frutto di un’attività economica esercitata da parte di colui che li riceve – a differenza dei proventi derivanti dalle attività produttive in senso stretto – e, pertanto, non concorrono alla formazione del reddito nazionale (P.I.L.)
38 Cfr. X. Xxxx, Le limitazioni alla deduzione degli interessi nel reddito d’impresa, in Dialoghi Tributari, n. 1, 2009.
costituendo piuttosto una mera ripartizione, sotto forma di rendita, del valore aggiunto economico nazionale.
5. REDDITI DI CAPITALE: FRUTTO CIVILE O FRUTTO ECONOMICO?
Come detto, non esiste una definizione paradigmatica di “redditi finanziari” e, in particolare, di “redditi di capitale”.
Tuttavia è possibile ricondurre questi ultimi in due distinte categorie: quella dei “frutti civili” e quella dei “frutti economici”.
La categoria dei “frutti civili” riguarda tipicamente i rapporti di finanziamento39, in cui il rapporto giuridico attraverso il quale il capitale è sfruttato, concedendone la disponibilità temporanea ad altri dietro compenso, è riconducibile allo schema obbligazionario “creditorio/debitorio”.
Si tratta, quindi, di un corrispettivo per il mero godimento del capitale in un arco temporale più o meno lungo, che costituisce la normale fruttificazione del capitale concesso in uso.
Tale tipologia reddituale risulta pertanto riconducibile al “frutto civile” ex art. 821 del codice civile, in cui la produzione del reddito avviene giorno per giorno.
La categoria dei” frutti economici”, costituita dagli utili, è simile alla prima perché discende da rapporti di impiego del capitale, ma da essa differisce perché non è basata sul mero godimento del capitale stesso.
39 Di cui all’art. 44 lett. a), b), c), d), g-bis), g-ter), g-quater), g-quinquies) ed h) del TUIR.
I proventi, infatti, derivano da partecipazioni ed investimenti similari40 e sono meramente eventuali; l’utile dipende dai risultati della gestione dell’ente e non vi è garanzia di un rendimento prefissato.
Nell’attuale formulazione dell’art. 44 del TUIR è prevista una “norma di chiusura” in virtù della quale rientrano nell’ambito dei redditi di capitale tutti “gli interessi e gli altri redditi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego di capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto”41.
Come si dirà più in dettaglio nel prosieguo, tale “norma di chiusura” qualifica come “derivante dall’impiego di capitale” un qualsiasi reddito che scaturisca dalla circostanza che sia conferita la disponibilità temporanea del capitale e che da tale situazione consegua un vantaggio in termini economici, cioè un provento a favore di colui che ha impiegato il capitale42, salvo quando derivi da differenziali prodotti da eventi aleatori.
Il “frutto economico” ricomprende, quindi, sia il “frutto civile” sia ogni incremento di ricchezza derivante dalla concessione di un capitale ad altra parte sotto qualsiasi forma contrattuale.
40 Di cui all’art. 44, lett. e) ed f) del TUIR.
41 L’evoluzione della nozione di reddito di capitale, unitaria ed omnicomprensiva, ha condotto ad una norma di chiusura volta a ricomprendere ogni provento derivante dall’impiego di capitale riconducendo a tassazione molte fattispecie reddituali che prima non risultavano imponibili.
42 Al riguardo, cfr. X. Xxxxx, Il reddito di capitale come frutto economico, in Il Fisco, n. 20, 1998, pag. 6523.
Si può quindi sintetizzare conclusivamente che “il reddito di capitale è (…) definibile, con nozione unitaria ed omnicomprensiva, come frutto economico di un capitale trasferito temporaneamente alla controparte contrattuale, che ha la sua diretta fonte produttiva in un rapporto giuridico”43.
E’ quindi necessario che il capitale sia la fonte unica o principale del reddito: si otterrà un reddito di capitale solo quando il provento venga “prodotto” direttamente dal capitale.
Non si avrà invece una tale tipologia di reddito quando il capitale sia solo uno degli elementi che concorrono alla formazione del reddito stesso (cioè quando esiste una fonte “mista” di capitale, lavoro o altre attività).
La menzionata norma di chiusura permette di definire, a contrario, l’altra categoria di redditi finanziari, riconducibili ai redditi diversi, grazie all’inciso del citato art. 44 del TUIR: “esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto”.
L’elemento che quindi differenzia i redditi di capitale dai redditi diversi è l’incertezza ovvero l’aleatorietà del provento.
43 cfr. X. Xxxxx, Il reddito di capitale come frutto economico, in Il Fisco, n. 20, 1998, pag. 6524.
In un mercato finanziario in continua crescita ed evoluzione, la presenza di una norma “ampia” come quella richiamata evita che sfuggano ad imposizione delle manifestazioni di capacità economica e riduce i rischi di arbitraggi fiscali tra strumenti produttivi di redditi di capitale o di redditi diversi di natura finanziaria.
6. LE SCELTE DI DETERMINAZIONE DELLA RICCHEZZA FINANZIARIA NELLA TASSAZIONE REDDITUALE ITALIANA
La tassazione dei redditi finanziari – cioè dei proventi che derivano dall’investimento in attività finanziarie del risparmio di singoli individui – è stata oggetto di un’evoluzione normativa non ancora conclusa.
6.1 La confusione anteriore al riordino del 1998
Per quanto riguarda i redditi di capitale, il disegno di legge di riforma del sistema tributario presentato nel 1967 da Visentini prevedeva l’inclusione di tali redditi nella base imponibile della istituenda imposta personale progressiva sul reddito delle persone fisiche.
Tuttavia tale proposta non trovò attuazione e con l’istituzione dell’IRPEF, nel 1973, si previde l’assoggettamento dei menzionati redditi ad un prelievo definitivo alla fonte di tipo proporzionale operato mediante l’applicazione di una ritenuta (c.d. “cedolare secca”), ad eccezione dei proventi derivanti da titoli pubblici ed equiparati per i quali sussisteva una esenzione dalle xxxxxxx00.
44 Cfr. art. 31 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 601. Tale esclusione dalla tassazione dei titoli pubblici si giustificava al fine di evitare possibili ripercussioni negative che si sarebbero potute determinare sulla domanda dei titoli pubblici da parte dei risparmiatori, in presenza di elevati livelli di inflazione e di crescente disavanzo dello Stato. Le esigenze di sostegno della domanda nel comparto dei titoli obbligazionari pubblici vengono ritenute prevalenti rispetto ai principi di uniformità nella tassazione del risparmio e di neutralità impositiva.
Versò la metà degli anni ottanta, il sistema di tassazione con la “cedolare secca” venne esteso anche ai predetti proventi dei titoli pubblici emessi in Italia che, fino ad allora, avevano goduto dell’esenzione45, con benefici effetti sul livello del gettito erariale, anche in dipendenza dell’aumento delle emissioni di titoli pubblici e dell’elevato livello dei tassi nominali di quel periodo.
Al fine di incentivare gli investimenti nel nostro Paese da parte di soggetti esteri, è stata mantenuta l’esenzione per gli investitori non residenti46, estendendola anche ai proventi derivanti da titoli emessi dai c.d. “grandi emittenti” privati (principalmente banche e società quotate), a condizione che sia possibile accertare l’effettiva titolarità del reddito da parte del soggetto estero.
Infine, con il D. Lgs. n. 239/1996, sono state introdotte delle disposizioni di semplificazione che affidano agli intermediari, in luogo degli emittenti, l’obbligo di effettuare il prelievo alla fonte, sotto forma di imposta sostitutiva.
I capital gains, invece, vennero fatti rientrare nel reddito complessivo delle persone fisiche a partire dai primi anni settanta, quando divennero imponibili tutte le plusvalenze (anche quelle finanziarie) derivanti da operazioni effettuate, con finalità speculative, su beni non d’impresa.
45 L’esenzione prevista dal citato art. 31 del D.P.R. n. 601/1973 è disapplicata in base alla previsione dell’art. 1 del D.L. 19 settembre 1986 convertito con modificazioni dalla L. 17 novembre 1986 n. 759.
46 Tale esenzione venne prevista dapprima dal D.L. n. 377/1993 convertito in L.
n. 467/1993 e poi confermata dal D. Lgs. n. 239/1996.
La necessità di rinvenire un intento speculativo47, quale condizione necessaria per la tassazione, portava però all’esclusione da imposizione di gran parte di tali proventi.
Solo nei primi anni xxxxxxx00, il legislatore eliminò il requisito della natura speculativa e ciò comportò l’assoggettamento a tassazione, di tutte le plusvalenze derivanti da partecipazioni “qualificate”.
Il TUIR49 ampliò lo spettro dei fenomeni soggetti a tassazione, estendendo la tassazione con le aliquote progressive IRPEF anche alle plusvalenze ultraquinquennali derivanti dalla cessione di partecipazioni “qualificate” senza alcuna necessità di sussistenza del requisito dell’intento speculativo.
Si previde poi l’imponibilità delle plusvalenze relative alla cessione di partecipazioni “non qualificate” a condizione che il periodo intercorrente tra l’acquisto e la vendita fosse stato inferiore a 15 anni.
47 L’intento speculativo si presumeva solo in presenza di compravendite di partecipazioni non quotate in borsa in società il cui patrimonio fosse investito prevalentemente in beni immobili se il periodo di tempo intercorrente tra l’acquisto e la vendita fosse stato superiore a 5 anni, ai sensi dell’art. 76 del
D.P.R. n. 597/1973.
48 Con l’articolo 3, comma 1, del D.L. n. 853/1984 si previde che ci consideravano in ogni caso fatte con fini speculativi, senza possibilità di prova contraria, le cessioni a titolo oneroso, compresi i conferimenti di società, di partecipazioni sociali, escluse quelle acquisite per successione o donazione, superiori al 2%, al 10% (poi diminuita al 5%) o al 25% (poi diminuita al 10%) del capitale delle società partecipate, secondo che si tratti di azioni ammesse alla quotazione sui mercati borsistici, di altre azioni ovvero di partecipazioni non azionarie, se il periodo di tempo intercorrente tra l’acquisto e la vendita fosse stato non superiore a cinque anni.
49 Con l’allora vigente art. 81, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 917/1986.
6.2 Il riordino attuato nel 1998
“L’accumularsi nel tempo di riforme parziali, non inserite in un disegno di riordino complessivo, ha generato un quadro caratterizzato da una forte disomogeneità di trattamenti e di vuoti legislativi. L’innovazione finanziaria e la crescente integrazione dei mercati dei capitali hanno reso sempre più evidenti le distorsioni causate dal sistema sia in termini di efficienza che di equità facendo nascere nella metà degli anni ’90 una forte richiesta di riordino complessivo della materia”50.
Con la Legge Finanziaria del 1997 vennero quindi definite le linee del riordino della tassazione dei redditi finanziari – volte alla creazione di un sistema caratterizzato dalla generalità (intesa, come detto, come tassazione di tutti i fenomeni reddituali, anche quelli residuali), dalla neutralità (intesa, come detto, come non interferenza della variabile fiscale nelle scelte d’investimento dei risparmiatori), dalla semplificazione e dall’attenzione per gli investitori non residenti – poi realizzato con il D. Lgs. n. 461/1997, in vigore dal 1° luglio 1998, tra i cui obiettivi c’era anche quello di colmare le lacune normative e di fissare alcuni principi che potessero ricondurre ad imposizione anche eventuali manifestazioni economiche derivanti da nuovi strumenti finanziari, così ampliando l’ambito oggettivo di applicazione della tassazione dei redditi finanziari.
50 In questi termini X. Xxxxx, nella prefazione alla relazione finale della Commissione di studio sulla tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, del 2006.
La delega confermava la distinzione tra redditi di capitale e redditi diversi e la scelta di una classificazione di tipo casistico dei redditi medesimi.
Venne introdotto, salvo poche eccezioni, un prelievo sostitutivo proporzionale attraverso ritenute alla fonte ed imposte sostitutive dell’imposta progressiva sui redditi, con un doppio livello di aliquote (12,50% e 27%).
Come detto, l’adozione di un prelievo a monte, tramite imposte sostitutive e ritenute alla fonte a titolo d’imposta, contribuisce in modo determinante a rendere effettivo ed “efficiente” il prelievo, purché il livello di imposizione non sia elevato, in quanto vi è comunque il rischio che un alto livello di aliquota d’imposta favorisca dei fenomeni evasivi ed il rischio della concorrenza fiscale di Paesi che, attraverso la riduzione delle aliquote, cercano di attirare risorse finanziarie, anche a detrimento degli interessi dell’Erario italiano.
Per quanto riguarda i redditi di capitale, il regime di tassazione è “al lordo”, ovvero la base imponibile è costituita dai proventi percepiti senza la possibilità di dedurre eventuali e correlati oneri sostenuti per il conseguimento dei detti proventi.
Inoltre, la tassazione avviene in base al principio “di cassa”, salvo alcune eccezioni51.
51 Come evidenziato anche di seguito, l’art. 45, comma 2, del TUIR prevede che “per i capitali dati a mutuo gli interessi, salvo prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto. Se le scadenze non
La disciplina dei redditi diversi è stata totalmente modificata dal D. Lgs. n. 461/1997 che ha ampliato notevolmente le fattispecie imponibili ricomprendendo nuove fattispecie reddituali tra cui le plusvalenze derivanti da cessioni a titolo oneroso di valute ed i proventi derivanti dalle cessioni di crediti pecuniari e di metalli preziosi.
Le modifiche apportate dal menzionato decreto legislativo disegnano altresì nuovi criteri di qualificazione delle partecipazioni; infatti, oltre al criterio della partecipazione al capitale, in conformità alla delega, viene attribuita rilevanza anche al diritto di voto che assicura il controllo della società trasformando un mero investimento finanziario in un’effettiva attività gestoria delle ente societario.
Anche le percentuali minime per qualificare le partecipazioni e la loro diversa aliquota di imposizione sono state fissate a livelli differenti52.
Per semplificare l’accertamento, la liquidazione e la riscossione dell’imposta e favorire l’entrata nel mercato mobiliare dei risparmiatori, sono stati previsti due regimi individuali sostitutivi
sono stabilite per iscritto, gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo d’imposta”. Si tratta di una presunzione legale relativa.
52 Si ricorda che per il diritto al voto la cessione di partecipazioni si definisce qualificata quando è superiore al 2% o al 20% a seconda che si tratti di partecipazioni negoziate nei mercati regolamentari oppure no, mentre per quota di partecipazione al capitale o al patrimonio è del 5% per le partecipazioni quotate nei mercati regolamentari e del 25% per le altre. Tali percentuali non devono essere superate in tutte le cessioni nel corso di dodici mesi anche se effettuate nei confronti di soggetti diversi.
dell’ordinario “dichiarativo”: il regime del risparmio amministrato ed il regime del risparmio gestito53, di cui nel prosieguo si dirà in dettaglio.
Con la riforma del 1998, come detto, si è quindi favorito un maggiore coinvolgimento degli intermediari finanziari nelle fasi di prelievo e di applicazione delle imposte che consente, tra l’altro, di conseguire gli ulteriori traguardi della efficienza, della semplificazione e della certezza del prelievo.
Altra caratteristica della riforma dell’imposizione sui redditi finanziari del 1998 è quella del coordinamento con l’imposizione dei redditi sulle imprese; tali ultimi redditi, infatti, costituiscono il rendimento di un investimento di capitali in un’attività reale e devono essere tassati in modo analogo rispetto a come vengono tassati i rendimenti derivanti dagli investimenti finanziari.
6.3 Le linee guida della inattuata “Riforma Tremonti”
Nella Legge n. 80 del 2003 di riforma del sistema fiscale statale era prevista una modifica della disciplina della tassazione dei redditi di natura finanziaria, i cui criteri individuati nell’art. 3, comma 1, lettera d) della norma, prevedevano tra l’altro:
1) una omogeneizzazione dell'imposizione su tutti i redditi di natura finanziaria, indipendentemente dagli strumenti giuridici utilizzati per produrli, dando quindi rilevanza alla sostanza piuttosto che alla forma dell’investimento finanziario e del relativo provento;
53 Un regime analogo a quello applicabile alle gestioni individuali di patrimoni è stato introdotto per le gestioni a monte, svolte dagli OICR (fondi comuni e SICAV), il cui trattamento impositivo verrà brevemente riepilogato in seguito.
2) una convergenza del regime fiscale sostitutivo su quello proprio dei titoli del debito pubblico54;
3) una imposizione del risparmio affidato in gestione agli investitori istituzionali sulla base dei principi di cassa e di compensazione55;
4) un regime differenziato di favore fiscale per il risparmio affidato a fondi pensione, a fondi etici ed a casse di previdenza privatizzate56.
54 In particolare, nella volontà del legislatore delegante, per motivi di omogeneità, il regime dei titoli pubblici avrebbe dovuto essere esteso a tutte le altre tipologie di redditi di natura finanziaria in portafoglio delle persone fisiche, fatta eccezione per i proventi derivanti da partecipazioni qualificate. Tale estensione avrebbe dovuto riguardare sia le modalità (uniformando gli aspetti procedurali) sia la misura del prelievo (con l’adozione di un’unica aliquota).
55 Per il risparmio affidato in gestione collettiva ad investitori istituzionali (OICR) si sarebbe dovuto adottare un nuovo sistema, basato unicamente sulla tassazione all’atto del realizzo, in linea con quanto avviene negli altri ordinamenti tributari. Ciò per uniformare la tassazione dei proventi derivanti dalle gestioni con quelli derivanti dall’investimento diretto, evitando l’applicazione del prelievo su imponibili maturati in periodi di mercati positivi e la creazione di virtuali crediti d’imposta in caso di una fase negativa di mercato. In capo agli OICR, non si sarebbe dovuto più applicare alcun prelievo annuale ma esclusivamente sui proventi all’atto della relativa distribuzione agli investitori. L’adozione del nuovo sistema avrebbe dovuto consentire di superare gli inconvenienti connessi con l’attuale meccanismo di tassazione sul maturato: in primo luogo, i proventi realizzati dall’OICR ma non distribuiti ai partecipanti, avrebbero potuto essere reinvestiti al lordo delle imposte, traducendosi quindi in rendimenti più elevati; in secondo luogo, in periodi di mercato negativi, avrebbe dovuto essere possibile evitare la formazione di crediti illiquidi in capo agli OICR. Sul piano concorrenziale rispetto alle gestioni collettive estere, il passaggio al sistema di tassazione sul realizzato per le gestioni collettive di diritto italiano avrebbe dovuto contribuire ad aumentare la competitività del sistema finanziario italiano su due fronti: (i) uniformando le modalità di tassazione degli OICR italiani a quelle dei fondi esteri armonizzati (sarebbe stata eliminata l’attrattiva esercitata da questi ultimi sugli investitori italiani, per effetto della tassazione secondo il principio del realizzato); (ii) migliorando l’appetibilità dei fondi di diritto italiano per gli investitori non residenti che non avrebbero dovuto sostenere più alcun prelievo alla fonte.
56 L’imposizione sul risparmio previdenziale avrebbe dovuto essere basata su criteri di favore rispetto a quella del risparmio finanziario, con regimi differenziati a seconda delle tipologie. In particolare, il sistema di imposizione dei fondi pensione e delle altre forme di risparmio previdenziale non avrebbe dovuto più essere basato su un meccanismo del tipo ETT (cioè esenzione dei contributi versati al fondo, tassazione dei redditi derivanti dall’investimento e
La normativa proposta aveva, tra gli altri, l’obiettivo di effettuare la piena attuazione dei principi di generalità e neutralità del prelievo per mezzo della omogeneizzazione dell’imposizione su tutti i redditi finanziari.
L’intenzione del legislatore della delega era infatti quella di abbandonare la distinzione normativa tra le categorie dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, a favore di un’unica categoria di “redditi finanziari”, prescindendo dalla natura del soggetto emittente, dalla durata e dallo strumento finanziario utilizzato per produrli, includendo i proventi di qualsiasi fonte: quindi sia quelli derivanti dall’impiego di capitali sia quelli caratterizzati da elementi di aleatorietà consistenti in un differenziale (es. i capital gains ed i proventi derivanti dai contratti derivati)57.
Altro obiettivo, prefissato dal legislatore delegante, era costituito dall’adozione di un’aliquota unica, al livello più basso del 12,50%.
Tale argomento è stato oggetto di discussione anche successivamente alla scadenza dei termini per esercitare la delega prevista dalla Legge n. 80/2003.
tassazione delle prestazioni) ma del tipo EET (esenzione dei contributi, esenzione dei redditi derivanti dall’investimento e tassazione delle prestazioni).
57 A tale fine, la definizione puntuale delle singole fattispecie di redditi di capitale e diversi di natura finanziaria avrebbe dovuto essere sostituita da una definizione più generale atta a ricomprendere tutte le tipologie di proventi evitando possibili esclusioni di manifestazioni di capacità economica che dovessero emergere a seguito della evoluzione del sistema degli strumenti finanziari.
A più riprese, infatti, si è tentato di uniformare l’aliquota di tassazione sulle rendite finanziarie.
7. LE ALIQUOTE D’IMPOSTA SUI REDDITI FINANZIARI
Il tema del livello dell’aliquota di tassazione dei redditi finanziari assume rilevanza centrale nel nostro sistema impositivo in cui – come meglio si dirà nel prosieguo – detti redditi percepiti da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, di norma, non sono tassati come tutti gli altri redditi attraverso un’imposizione progressiva ma subiscono un prelievo proporzionale sostitutivo.
La maggior parte delle fattispecie di redditi finanziari (interessi su obbligazioni pubbliche, gli interessi sulla maggior parte delle obbligazioni private, i dividendi e le plusvalenze derivanti da partecipazioni non qualificate, il risultato di gestione dei fondi comuni d’investimento, etc.) è assoggettata all’aliquota del 12,50%58.
Tale aliquota potrebbe sembrare piuttosto modesta e, per questo, da più parti, come detto, se ne prospetta un aumento.
Al riguardo, tuttavia, dovrebbe essere considerato che “buona parte del rendimento finanziario non è reddito ma ricostituzione del capitale eroso dall’inflazione”59.
58 Come si dirà in seguito, l’aliquota del 27% risulta applicabile principalmente per gli interessi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti bancari, a cui sono assimilate le obbligazioni private di durata inferiore ai 18 mesi ed i depositi postali, nonché per gli interessi su titoli atipici.
59 In questi termini, X. Xxxxxxxx, Risparmio, tassazione e libertà dei capitali, in Il Sole 24 ore del 24 marzo 2006.
In altri termini, il rendimento derivante dagli strumenti finanziari60 serve, in primo luogo, a salvaguardare il potere d’acquisto del capitale investito, nel senso che si può parlare di un rendimento vero e proprio solo se si riesce a coprire l’inflazione, altrimenti si determina una vera e propria perdita di capitale: si pensi ad un titolo che offra annualmente un rendimento lordo annuo del 2,50% a fronte di una crescita dei prezzi nell’ordine del 3% annuo. In circostanze come quella del semplice esempio prospettato, il rendimento al netto dell’inflazione è negativo e l’investitore acquirente dell’ipotetico titolo in esame subisce una perdita, con conseguente erosione del capitale e non un provento, come sembrerebbe in base ai dati nominali61. Appare evidente, quindi, che tassare la componente inflattiva può risultare iniquo oltre che distorsivo.
Pertanto, la decisione di attestarsi su una aliquota di livello piuttosto modesto, tenuto conto del criterio nominalistico del nostro regime impositivo che non prevede indicizzazioni, consente di
60 Gli strumenti finanziari risentono dell’inflazione più di altri assets patrimoniali, come ad esempio gli immobili, in virtù del relativo valore intrinseco che non risente particolarmente dell’erosione inflattiva e delle previsioni che prevedono una intassabilità delle plusvalenze immobiliari dei privati derivanti da cessioni di immobili detenuti per un arco temporale significativo.
61 Se si esclude l'ipotesi dell'esenzione fiscale, da un lato troviamo per il lavoratore dipendente un'ulteriore decurtazione del salario reale a causa di un sostanziale fiscal drag (determinata da un regime di aliquote progressive riferite ai redditi nominali), ma il reddito rimane pur sempre positivo, mentre dal lato del risparmiatore il reddito reale resta nullo e diventa più severa l'erosione del patrimonio per il risparmiatore pur in presenza di aliquote impositive moderate. Il risultato diventa ancor più negativo per il risparmiatore se vi è stato un investimento in titoli a reddito fisso a lunga scadenza, perché all'erosione da inflazione si accompagna la caduta della quotazione correlata all'aumento dei tassi di interesse e quindi si riduce anche il valore del capitale in termini nominali.
favorire una sorta di compensazione per controbilanciare lo svantaggio derivante dall’erosione inflattiva62.
Nel dibattito circa l’opportunità di aumentare l’aliquota del 12,50% ad un livello superiore occorre anche considerare la presenza di attività finanziarie costituite da titoli di stato, con riferimento ai quali è necessario meditare con la dovuta ponderazione l’opportunità di aumentare l’aliquota impositiva ad un livello superiore rispetto a quello attuale (12,50%) atteso che per rendere gli stessi titoli ugualmente appetibili al mercato occorrerebbe aumentare il livello di interessi a carico dello Stato da riconoscere agli investitori63. Si potrebbe quindi generare un effetto sostanzialmente neutrale per le casse dello Stato se l’aumento del gettito erariale venisse compensato da un pari aumento dell’ammontare degli interessi passivi da corrispondere.
Si segnala infine che, per il “successo della tassazione” dei redditi finanziari, il tema dell’aliquota è decisivo proprio per il modesto livello della stessa. Un’aliquota bassa – associata al ruolo
62 Come fa notare X. Xxxx in Evasione, paradiso e inferno, Ipsoa, 2008, pag. 134, si tratta di una forma di compensazione piuttosto gretta in quanto avvantaggia coloro che realizzano rendimenti elevati e penalizza coloro che riescono appena a recuperare lo svantaggio derivante dall’inflazione. Una “tassazione ordinaria” dei rendimenti al netto dell’inflazione, secondo Xxxx, permetterebbe di conseguire un più ragionevole equilibrio tra precisione e semplicità.
63 Va tuttavia evidenziato che i titoli pubblici in circolazione sono collocati per più della metà presso soggetti non residenti e per circa un quarto presso soggetti esercenti attività d’impresa. Pertanto, un eventuale aumento dell’aliquota d’imposta non avrebbe effetti né sugli uni né sugli altri soggetti, atteso che i primi sono sostanzialmente esenti dall’imposizione nel nostro Paese ed i secondi sono assoggettati a tassazione ordinaria IRES o IRPEF. In tale senso anche X. Xxxxxxxx e M.C. Xxxxxx, Xxxxx (o quasi) quello che vorreste sapere sulla tassazione delle attività finanziarie, in la Xxxx.xxxx del 27 marzo 2006.
determinante degli intermediari che assumono in carico tutti (o quasi) gli obblighi strumentali e procedurali finalizzati all’assolvimento degli obblighi impositivi – infatti, è “allettante” per i contribuenti che hanno un minore incentivo ad evadere rispetto al caso in cui l’aliquota d’imposta fosse attestata su livelli più alti e gli obblighi procedurali fossero più gravosi.
Il tema dell’aliquota impositiva sui redditi finanziari verrà riconsiderato nel prosieguo, nell’ambito delle prospettive di riforma dell’attuale sistema di tassazione dei redditi finanziari.
8. I REDDITI DI CAPITALE
Come dinanzi ricordato, il legislatore delegato della riforma del 1997 ha confermato la preesistente bipartizione dei proventi di natura finanziaria in redditi di capitale ed in redditi diversi di natura finanziaria, tra loro differenti anche per le modalità di determinazione della base imponibile, infatti:
a) i redditi di capitale di cui all’art. 44 del TUIR, di norma, si tassano al lordo delle spese sostenute per il loro conseguimento con un’imposizione di tipo proporzionale mediante l’applicazione di una ritenuta alla fonte o di un’imposta sostitutiva o, in casi limitati, con l’ordinaria imposizione progressiva;
b) i redditi diversi di natura finanziaria di cui all’art. 67 del TUIR, si tassano al netto delle perdite, mediante l’applicazione di un prelievo sostitutivo delle imposte sui redditi di tipo proporzionale.
8.1 Esiste una definizione di reddito di capitale?
L’art. 44 del TUIR64 – come detto – non fornisce una definizione paradigmatica di redditi di capitale, in quanto la norma è strutturata in modo casistico elencando una serie di proventi ascrivibili alla categoria reddituale in esame; tuttavia nella lettera h) del primo comma del medesimo art. 44 è stata introdotta una previsione di chiusura secondo la quale costituiscono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da rapporti aventi per oggetto
64 In cui si trovano fattispecie da sempre considerate come redditi di capitale come, ad esempio, gli interessi ed i dividendi, ed altre considerate tali, in modo esplicito, solo di recente come, ad esempio, i proventi derivanti dalle operazioni di pronti contro termine su valute estere di cui alla lettera g-bis), i rendimenti derivanti dalle prestazioni pensionistiche di previdenza complementare di cui alla lettera g-quinquies) ed i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’art. 73, comma 2 del TUIR di cui alla lettera g-sexies).
l’impiego del capitale “finanziario”65, esclusi i rapporti attraverso i quali possono essere realizzati differenziali positivi o negativi in dipendenza di un evento aleatorio66.
Tale esclusione è giustificabile se si considera che, come più volte ricordato, i redditi di capitale sono tassabili al lordo di qualsiasi onere e, quindi, senza alcuna possibile deduzione; pertanto se fossero stati ricondotti a tale categoria reddituale anche i flussi reddituali derivanti da rapporti aleatori, in caso di perdite (minusvalenze), si sarebbe generato un onere indeducibile in capo al contribuente.
Quindi, il TUIR non fornisce una definizione generale della categoria reddituale in commento ma permette di definirne il perimetro della stessa includendo i proventi derivanti da atti o negozi di impiego del capitale non esplicitamente menzionati ed escludendo quei proventi derivanti da rapporti aventi natura aleatoria che, pur avendo ad oggetto l’impiego di capitale, siano idonei a realizzare un utile o una perdita (che costituiscono, appunto, redditi diversi di natura finanziaria).
65 L’impiego di capitale in altri investimenti genera altre tipologie di reddito. Ad esempio, l’impiego di un capitale “immobiliare”, cioè volto all’acquisto di immobili genererà redditi fondiari derivanti dalla locazione di tali beni.
66 L’impiego di capitale quindi consente di realizzare dei flussi reddituali certi nell’an ma, eventualmente, incerti nel quantum. Sono quindi riconducibili al novero dei redditi di capitale anche i proventi variabili nell’ammontare, cioè quei proventi di incerta quantificazione mentre sono esclusi quei flussi reddituali incerti ed aleatori per i quali vi è la possibilità di concretizzare un risultato negativo; tali flussi sono invece ascrivibili tra i redditi diversi di natura finanziaria.
I redditi di capitale non derivano solamente dall’impiego di capitale che si concretizza in un rapporto civilistico a causa di finanziamento ma possono anche derivare da rapporti con causa associativa o partecipativa o, addirittura, di scambio finalizzati al predetto impiego di capitale.
Inoltre, non è necessario che vi sia un diritto incondizionato alla restituzione del capitale essendo in alcuni casi ammissibile il sostenimento di perdite, come accade nelle fattispecie di impiego di capitale in partecipazioni in società di capitali o in rapporti di associazione in partecipazione, da cui derivano gli utili societari (i dividendi).
Rientrano, infine, nel novero dei redditi di capitale talune fattispecie che possono costituire anche solo un potenziale impiego di capitale come accade per le fidejussioni o altre garanzie in cui il garante si assume l’obbligo di anticipare un capitale a favore del creditore se il debitore non paghi il debito oggetto della garanzia.
Come anticipato sopra, l’onere d’imposta che grava in capo alle diverse fattispecie di reddito di capitale si articola su due aliquote: 12,50% e 27%, con alcune rare eccezioni tra cui, ad esempio, quella rappresentata dalla ritenuta alla fonte sugli interessi corrisposti dalle società cooperative e dai loro consorzi ai propri soci persone fisiche, per i quali si applica una ritenuta del 20%.
8.2 Le singole fattispecie di proventi derivanti impiego di capitale
Prima di analizzare in dettaglio le principali fattispecie ascrivibili al novero dei “redditi di capitale”, si ritiene utile effettuare alcune riflessioni sulla nozione di “interesse” che, in linea generale, come detto, può essere considerato come il principale “frutto del capitale”.
Più in dettaglio, ai sensi del codice civile, sono rinvenibili diverse categorie di “interesse”, aventi differenti origini:
- interessi corrispettivi (ex art. 1282 del codice civile): ovvero gli interessi che maturano in relazione ad obbligazioni pecuniarie, salvo che la legge o il titolo non dispongano diversamente67;
- interessi moratori (ex art. 1224 del codice civile): l’inadempimento di obbligazioni pecuniarie determina il sorgere di una seconda obbligazione avente anch’essa carattere pecuniario, a titolo di interesse di mora, prescindendo sia dall’effettiva sofferenza di un danno per il creditore sia da un preventivo accordo tra le parti68;
- interessi compensativi (ex art. 1499 del codice civile): sono quelli che decorrono sul prezzo, non immediatamente
67 Tali interessi permettono di ristabilire l’equilibrio economico rotto a causa della disponibilità da parte del debitore, di una somma di denaro di proprietà del creditore.
68 Dal giorno della mora, gli interessi “moratori” si sostituiscono ai “corrispettivi” senza cumularsi.
esigibile, del bene produttivo di frutti e di altri proventi, venduto e consegnato all’acquirente69.
La tripartizione degli interessi in ambito civilistico deve essere valutata con la lente tributaria atteso che “mentre il diritto civile guarda agli interessi per regolamentare i rapporti tra creditore e debitore e per delimitare gli spazi rimessi alla loro autonomia negoziale, nel diritto tributario gli interessi vengono in considerazione come elementi reddituali”70.
8.2.2 Interessi non soggetti ad imposizione: interessi compensativi ed interessi moratori
Non tutte le tipologie di interessi testé citati sono soggetti ad imposizione. Gli interessi compensativi non possono essere considerati reddito in quanto, per definizione, sono una reintegrazione di una perdita patrimoniale71; mentre l’art. 6, comma 2 del TUIR prevede che gli interessi moratori e gli interessi per
69 Detti interessi sono tipici dei contratti di scambio ed hanno il fine di compensare il venditore dal mancato godimento dei frutti della cosa consegnata al compratore prima di ricevere il prezzo. Tali interessi hanno ragion d’essere quindi solo se il bene è fruttifero e se c’è stata la consegna dello stesso, anche se il debito non sia stato pagato. Sono compensativi gli interessi percepiti sul deposito cauzionale dall’inquilino di un appartamento. Rientrano in tale ambito, anche gli interessi corrisposti nell’ambito del risarcimento del danno per responsabilità extra-contrattuale.
70 X. Xxxx, Voce Interessi (diritto tributario), in Novissimo Digesto Italiano.
71 La detassazione degli interessi appare inopportuna non solo per ragioni di coerenza del sistema, ma anche perché può prestarsi a facili manovre elusive. Si pensi all’ipotesi del privato finanziatore che acquista lo stesso bene che il finanziato avrebbe acquistato utilizzando le somme oggetto dell’eventuale prestito: egli potrebbe rivendere il bene al finanziato stabilendo una rateazione del corrispettivo allo stesso tasso di interesse (intassato) al quale le parti avrebbero altrimenti pattuito il finanziamento (invece tassato). In questi termini si esprime X. Xxxxx, Xxxxx considerazioni sulla disciplina dei redditi di capitale nel nuovo T.U., in Rass. Trib., I, 1998, pag. 43.
dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati.
Pertanto, dalla lettura combinata del citato art. 6 e dell’art. 44, comma 1, lett. h) emerge che non è ammessa “la tassazione di alcuna somma che non sia frutto di impiego di capitale; con la conseguenza che gli unici interessi tassati in xxx xxxxxxxxx, (…) sono quelli non compensativi e non accessori ai crediti reddituali, e cioè quegli interessi che derivano da rapporti aventi ad oggetto l’impiego di capitale”72.
8.2.3 Gli interessi ed altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti73
Gli interessi e gli altri proventi derivanti da mutui, da depositi e da conti correnti, compresa la differenza tra la somma percepita a scadenza e quella data inizialmente a mutuo o in deposito, costituiscono una tipica fattispecie di redditi di capitale.
La fattispecie tipica di reddito di capitale è costituita dagli interessi derivanti dai contratti di mutuo in cui una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro (o di altre cose fungibili74) e l’altra si obbliga a restituire altrettanta quantità di danaro (o di altre cose fungibili)75.
72 Cfr. X. Xxxxx, Il reddito di capitale come frutto economico, in Il Fisco, 20, 1998, pag. 6526.
73 Cfr. art. 44, comma 1, lett. a) del TUIR.
74 Come, ad esempio, azioni ed obbligazioni.
75 Si considerano date a mutuo anche le somme versate dai soci alle società di persone e di capitali se dai bilanci riportati nelle dichiarazioni dei redditi non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo. Pertanto, qualora i versamenti in esame (che possono avere la denominazione più variegata) siano
Al riguardo si ricorda che gli interessi relativi ai capitali dati a mutuo, per presunzione relativa – salvo prova contraria, quindi – si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuita per iscritto76; qualora la scadenza e/o la misura degli interessi non siano stabilite per iscritto77, gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo d’imposta e gli interessi si computano al saggio legale (salvo che non sia prevista l’espressa infruttuosità del prestito).
I mutuanti-sostituti d’imposta devono applicare una ritenuta alla fonte a titolo d’acconto nella misura del 12,50%, salvo che il mutuatario sia un soggetto non residente; in tale ultimo caso:
a) se si tratta di un residente in un Paese “white list”, l’aliquota è sempre pari al 12,50% ma viene applicata a titolo d’imposta;
b) se si tratta di un residente in un Paese “black list”, l’aliquota è invece pari al 27% applicata a titolo d’imposta.
Altra ipotesi di reddito di capitale è quella degli interessi derivanti dai contratti di deposito c.d. “irregolare”78, in cui il depositario acquista la proprietà dei beni oggetto del deposito avendo l’obbligo di restituire altrettanti beni, della stessa specie e quantità.
allocati in bilancio tra le poste di patrimonio (e quindi considerati come versamenti a fondo perduto equiparabili al capitale sociale), non è possibile applicare la presunzione dell’art. 46, comma 1 e dell’art. 89, comma 4 del TUIR in esame.
76 Cfr. art. 45, comma 2 del TUIR.
77 Si ritiene possa essere sufficiente una scrittura privata purchè avente data certa ai sensi dell’art. 2704 del codice civile.
78 Di cui all’art. 1782 del codice civile. Mentre i depositi regolari di cui all’art. 1766 del codice civile non generano interessi o proventi per il depositante; anzi in quel caso è il depositario che svolge un’attività di custodia dei beni depositati ed avrebbe diritto ad un compenso.
Rientrano nel novero dei depositi in esame anche i depositi bancari e postali che abbiano una funzione creditizia79 e tra questi:
a) i depositi ordinari caratterizzati dal fatto che il versamento e la restituzione avvengano in un’unica soluzione (es. i buoni fruttiferi ed i certificati di deposito);
b) i depositi di risparmio caratterizzati dal fatto che ci possono essere più versamenti e più prelievi, ma tutti in contanti;
c) i depositi in conto corrente con riferimento ai quali possono essere effettuati più versamenti e più prelievi non solo in contanti.
Ultima ipotesi prevista dalla norma è costituita dai proventi derivanti dai contratti di conto corrente semplice80 e bancario o di corrispondenza81.
I proventi derivanti da conti correnti e depositi bancari e postali aventi natura creditizia, dai certificati di deposito e dai buoni fruttiferi emessi dalle banche soggiacciono ad una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta con aliquota del 27%82.
79 Ovvero quelli previsti dall’art. 1834 del codice civile, secondo cui nei depositi di una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituire la medesima somma alla scadenza del termine convenuto (c.d. depositi vincolati) ovvero a richiesta del depositante (c.d. depositi liberi). Non sono invece ricompresi nella norma in esame i depositi bancari previsti dal’art. 1838 del codice civile che hanno una funzione di custodia, trattandosi di depositi “regolari”.
80 Ai sensi dell’art. 1823 del codice civile, con cui le parti si obbligano ad annotare in conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili ed indisponibili fino alla chiusura del conto.
81 Si tratta di contratti atipici non riconducibili alle operazioni bancarie regolate in conto corrente di cui all’art. 1852 del codice civile, in cui il saldo del conto è esigibile e disponibile immediatamente.
82 Ai sensi dell’art. 26, comma 2 del D.P.R. n. 600/1973.
Qualora, invece, i proventi derivino da conti correnti e da depositi diversi da quelli bancari e postali, i sostituti d’imposta devono applicare una ritenuta alla fonte a titolo di acconto nella misura del 12,50%, salvo che il percipiente sia un non residente; in tale caso:
a) se si tratta di un residente in un Paese “white list”, l’aliquota è sempre pari al 12,50% ma viene applicata a titolo d’imposta;
b) se si tratta di un residente in un Paese “black list”, l’aliquota è invece pari al 27% applicata a titolo d’imposta.
Come detto in precedenza, le obbligazioni84 costituiscono uno tra i più utilizzati strumenti di investimento dei risparmiatori, i cui frutti rappresentano una delle più ricorrenti fattispecie di reddito di capitale.
83 Cfr. art. 44, comma 1, lett. b) del TUIR.
84 Si ricorda che le obbligazioni sono costituite da certificati che incorporano un diritto di credito che l’obbligazionista-creditore vanta nei confronti dell’emittente-debitore, avente ad oggetto la restituzione della somma prestata e degli interessi. Esistono obbligazioni ordinarie, obbligazioni convertibili che consentono al possessore di convertire l’obbligazione in azione ed obbligazioni cum warrant che danno la facoltà al possessore di acquistare altri titoli (azionari o obbligazionari). L’art. 2412 del codice civile stabilisce quale limite all’emissione del prestito obbligazionario il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili secondo l’ultimo bilancio d’esercizio. Tale limite può essere superato nel caso in cui le obbligazioni emesse in eccedenza siano destinate alla sottoscrizione da parte degli investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. Nessun limite è previsto, invece, per le obbligazioni quotate in mercati regolamentati emesse da parte di società con azioni anch’esse quotate in mercati regolamentati.
Tali frutti possono essere costituiti da interessi periodici, nel caso di obbligazioni con cedole, che possono essere fissi o variabili85, ovvero da un provento (c.d. scarto di emissione) corrisposto alla scadenza dell’obbligazione sottoforma di restituzione del capitale prestato nel caso di obbligazioni senza cedole (c.d. zero coupon bond).
I titoli similari alle obbligazioni86sono costituiti principalmente da titoli di massa87 che contengono l’obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella prevista, con o senza la corresponsione di proventi periodici, e che non attribuiscono ai possessori alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione dell’impresa emittente o dell’affare in relazione al quale siano stati emessi, né di controllo sulla gestione della stessa. I relativi frutti costituiscono appunto redditi di capitale.
Il prelievo alla fonte dei proventi derivanti dal possesso di titoli obbligazionari può avvenire con l’applicazione di una imposta sostitutiva del 12,50% da parte dei soggetti88 che intervengono nel pagamento di tali proventi ovvero, anche in qualità di acquirenti,
85 In tale caso, il rendimento varia in relazione all’evoluzione di parametri di mercato come, ad esempio, le variazioni dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo.
86 Cfr. art. 44, comma 2, lett. c).
87 Si tratta di una categoria residuale, qualificata da tre elementi:
a) uno positivo, che attiene all’obbligo di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella indicata sul titolo;
b) uno irrilevante, che riguarda la corresponsione di interessi, la quale può essere prevista o non prevista;
c) uno negativo, cioè che non attribuisce ai possessori alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta nella gestione o nel controllo dell’impresa o dell’affare in relazione al quale i titoli stessi siano stati emessi.
88 Individuati dall’art. 2, comma 2 del D. Lgs. n. 239/1996.
nei trasferimenti dei titoli da cui scaturiscono i proventi ovvero mediante l’applicazione di una ritenuta alla fonte del 12,50% da parte dei soggetti emittenti i predetti titoli89.
8.2.5 L’imposta sostitutiva del D. Lgs. n. 239/1996
Fino al 31 dicembre 1996, i proventi derivanti dai titoli obbligazionari pubblici e privati erano assoggettati unicamente alla ritenuta alla fonte di cui all’art. 26, commi 1 e 3 del D.P.R. n. 600/1973.
Dal 1° gennaio 1997, i proventi derivanti agli investitori90 dal possesso di titoli obbligazionari emessi dallo Stato, dagli altri enti pubblici e dai c.d. “grandi emittenti” privati italiani91 non soggiacciono più all’applicazione della ritenuta alla fonte92 ma sono
89 Ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 600/1973.
90 Tale regime sostitutivo si applica oltre che alle persone fisiche anche se esercenti attività d’impresa anche alle società semplici, alle associazioni tra artisti e professionisti, agli enti pubblici e privati non commerciali (associazioni, fondazioni , enti pubblici non economici, etc.) ed ai soggetti esenti dall’IRES. Tali soggetti vengono definiti “nettisti”, in quanto percepiscono il reddito al netto del prelievo in commento. Ad essi sono equiparati le SICAV, i fondi comuni mobiliari aperti e chiusi italiani, i fondi c.d. “lussemburghesi storici” ed i fondi pensione, solitamente “lordisti”, con riferimento ai redditi di capitale derivanti da titoli obbligazionari esteri, diversi da quelli pubblici, aventi scadenza inferiore ai 18 mesi, che soggiacciono ad un’imposta sostitutiva del 27%.
91 Tra cui: i titoli obbligazionari emessi dalle banche, le obbligazioni ed i titoli similari emessi da società per azioni quotate in mercati regolamentati nazionali, le obbligazioni e gli altri titoli del debito pubblico indicati dall’art. 31 del
D.P.R. n. 601/1973, le obbligazioni ed i titoli similari emessi dagli enti pubblici economici trasformati in società per azioni in base a disposizioni di legge, i titoli emessi da enti territoriali ed i titoli emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione delle società cessionarie di crediti.
92 L’abolizione della ritenuta alla fonte non ha effetti rilevanti per le persone fisiche non imprenditori che restano comunque assoggettate al prelievo sostitutivo operato dagli intermediari nella stessa misura della ritenuta (12,50%). Gli effetti rilevanti dell’abolizione della ritenuta invece ci sono per le imprese che in assenza di ritenuta d’acconto evitano il formarsi di crediti di
assoggettati ad un regime fiscale speciale che prevede, per i soggetti residenti c.d. “nettisti”93, l’applicazione di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi – maturati nel periodo di possesso – con aliquota del 12,50%, di norma, ovvero del 27% per proventi relativi a titoli con scadenza inferiore a 18 mesi94.
L’imposta sostitutiva viene applicata dagli intermediari finanziari specializzati nelle attività in titoli (es. banche, SIM, società fiduciarie, etc.), ciascuno dei quali apre un c.d. “conto unico” su cui transitano i flussi positivi e negativi dell’imposta stessa in occasione sia dell’acquisto del titolo, sia dell’incasso degli interessi nonché in occasione di cessione95 o di rimborso del titolo96.
Tale imposta sostitutiva è operata a titolo di acconto nei confronti delle persone fisiche esercenti attività d’impresa qualora i titoli siano relativi all’impresa perché “le società di persone e le persone fisiche possono agire nel ruolo di privati investitori oppure nel ruolo di imprenditori. Imporre di volta in volta distinzioni basate
imposta nei confronti dell’Erario che, in alcuni casi, raggiungevano importi molto rilevanti.
93 A tale fine è necessario che i titoli obbligazionari vengano depositati presso un intermediario abilitato; in caso contrario, gli intermediari (ovvero gli emittenti) sono tenuti ad applicare un’imposta sostitutiva che potrà poi essere scomputata in sede di determinazione dell’imposta da versare, previo rilascio di una certificazione da parte del sostituto d’imposta.
94 Per evitare manovre elusive, nei casi in cui i titoli con scadenza originaria non inferiore ai 18 mesi siano rimborsati prima di 18 mesi, sui proventi maturati fino al momento dell’anticipato rimborso è dovuta dall’emittente una somma aggiuntiva pari al 20% che si aggiunge al prelievo dell’imposta sostitutiva da parte dell’intermediario (cfr. art. 26, comma 1 del D.P.R. n. 600/1973).
95 Alla cessione è equiparata l’ipotesi del trasferimento dei titoli da un deposito ad un altro deposito, anche presso lo stesso intermediario.
96 In pratica, l’imposta si determina quale differenza tra l’imposta accreditata al momento dell’acquisto e quella addebitata al momento dell’incasso delle cedole ovvero della cessione o del rimborso del titolo.
sull’attività in concreto esercitata avrebbe appesantito eccessivamente il lavoro degli intermediari”97.
Per i cosiddetti “lordisti” – nel cui novero vi rientrano sia le società di persone sia le società di capitali – l’imposta sostitutiva non viene applicata. In capo ai nominati soggetti, i redditi in esame vengono attratti nel reddito d’impresa evitando quindi la creazione di rilevanti crediti d’imposta e di conseguenti problemi di incasso.
8.2.6 La ritenuta derivanti da titoli obbligazionari non assoggettati all’imposta sostitutiva
Sugli interessi e sugli altri proventi derivanti dal possesso di titoli obbligazionari emessi da soggetti privati residenti in Italia che non si qualificano come “grandi emittenti”, percepiti dai risparmiatori, si applica una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta con aliquota normalmente pari al 12,50%.
Tale aliquota viene elevata al 27% se i titoli obbligazionari hanno scadenza inferiore ai 18 mesi98 ovvero se i titoli obbligazionari emessi da società non bancarie con azioni non quotate, al momento
97 X. Xxxx, Prime osservazioni sulla nuova tassazione delle obbligazioni quotate in borsa (dalla ritenuta all’imposta sostitutiva), in Rassegna Tributaria, 1996, n. 4, pag. 792.
98 Nei casi in cui i titoli con scadenza originaria non inferiore ai 18 mesi siano rimborsati prima di 18 mesi, sui proventi maturati fino al momento dell’anticipato rimborso è dovuta dall’emittente una somma aggiuntiva pari al 20% che si aggiunge alla ritenuta applicata dall’emittente (cfr. art. 26, comma 1 del D.P.R. n. 600/1973).
dell’emissione99 presentano un tasso di rendimento effettivo non superiore al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di due terzi100.
8.2.7 I proventi derivanti da “titoli atipici”
Sono annoverabili tra i redditi di capitale anche i proventi derivanti da titoli atipici, cioè quei titoli generalmente rappresentativi di operazioni di finanziamento, destinati alla circolazione, privi di una specifica qualificazione normativa (né simili alle azioni né simili alle obbligazioni, quindi) ed i cui proventi sono assoggettati al regime della ritenuta alla fonte del 27%101.
Vengono inquadrati in tale categoria, tutti i titoli che, pur non essendo obbligazioni, sono privi della caratteristica che consente di considerarli similari alle azioni ai fini delle imposte sui redditi, rappresentata dalla totale indeducibilità della relativa remunerazione in capo al soggetto emittente102.
99 Cioè alla data di approvazione della relativa delibera assembleare ovvero, in caso di delega agli amministratori ai sensi dell’art. 2420 ter del codice civile, alla data di assunzione della delibera da parte degli amministratori.
100 Si tratta di una disposizione volta a contrastare il fenomeno elusivo molto diffuso tra le società a ristretta base azionaria costituito dal’effettuazione di prestiti obbligazionari ai soci persone fisiche con tassi di interessi maggiori di quelli di mercato per consentire al socio stesso di percepire utili sotto forma di interessi con una tassazione più mite di quella che avrebbe subito se avesse incassato i medesimi proventi sottoforma di utili.
101 Ex artt. 5 e seguenti del D.L. n. 512/1983.
102 Come evidenziato in dottrina (cfr. Xxx, Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, Xxxxxxx, 2007, pag. 763) sono annoverabili nella categoria in esame tutti i titoli c.d. “ibridi” ma anche le partecipazioni agli utili di soggetti non residenti, per le quali non si sia in grado di produrre una dichiarazione di non deduzione nella determinazione del reddito d’impresa nel Paese estero.
Nel novero dei titoli atipici, vi rientrano quelli connessi a contratti di associazione in partecipazione, i certificati immobiliari103 e finanziari104, nonché i certificati patrimoniali105.
La ritenuta sui titoli atipici deve essere effettuata non dall’intermediario che interviene nel pagamento del provento bensì dall’emittente o da un proprio delegato formale106.
8.2.8 Altre tipologie di redditi di capitale
Altra fattispecie residuale di redditi di capitale è rappresentata dai compensi derivanti dall’obbligo nei confronti di un debitore di prestare delle garanzie personali (quali le fidejussioni, l’avallo e l’anticresi) o reali (quali il pegno e l’ipoteca) a favore di un creditore garantito.
Esistono poi delle fattispecie residuali di redditi di capitale costituite dalle rendite perpetue e dalle prestazioni annue perpetue di cui agli artt. 1861 e 1869 del codice civile.
103 I certificati immobiliari sono titoli per mezzo dei quali un investitore partecipa ad un affare immobiliare gestito da una società, percependo una quota degli utili distribuiti periodicamente ed un provento finale in caso di riscatto.
104 I certificati finanziari costituiscono un mero investimento finanziario in quanto le somme raccolte sono destinate a finanziarie attività poste in essere da terzi. I partecipanti percepiscono interessi periodici ed il capitale al rimborso.
105 I certificati patrimoniali sono titoli a carattere misto patrimoniale-finanziario rappresentativi in parte del valore di azioni o quote di una società e dall’altra di un credito verso la medesima società.
106 Ciò comporta che per i titoli emessi da soggetti non residenti, la non applicazione della ritenuta alla fonte e l’obbligo del contribuente di indicare il provento nella dichiarazione dei redditi.
8.2.9 Gli utili da partecipazione in società ed enti IRES ed utili equiparati
Appartengono alla categoria dei redditi di capitale107 anche gli utili derivanti ai soci108 dalla partecipazione al capitale o al patrimonio in società ed enti soggetti all’IRES109, costituiti principalmente dai dividendi, la cui disciplina impositiva è stata modificata dal D. Lgs.
n. 344/2003 che ha sostituito il precedente meccanismo del credito d’imposta con un sistema di parziale esclusione da tassazione del reddito in esame, al fine di adeguare il nostro ordinamento a quello degli altri Paesi industrializzati, dove il reddito viene tassato esclusivamente in capo alla società che lo produce e non in capo ai soci, e di armonizzarlo con le previsioni comunitarie volte ad eliminare le distorsioni del mercato unico generate dai diversi regimi fiscali all’interno dell’Unione Europea110.
Nel nuovo regime (fondato sul c.d. “modello dell’esclusione”) diviene quindi elemento centrale il soggetto che produce il reddito mentre nel previgente regime (fondato sul c.d. “modello dell’imputazione”111) era centrale il ruolo del socio.
107 Salvo che tali utili siano percepiti da promotori e soci fondatori di società di capitali: in tale caso, si configura un’ipotesi di reddito di lavoro autonomo. Gli utili che vengano corrisposti, sottoforma di partecipazioni, a lavoratori dipendenti ovvero a lavoratori autonomi si configurano rispettivamente redditi di lavoro dipendente o redditi di lavoro autonomo.
108 Se colui che partecipa al capitale o al patrimonio non assume la qualifica di socio, si configura un rapporto di associazione in partecipazione.
109 Le società di capitali , le società cooperative residenti, gli enti pubblici e privati commerciali e non commerciali residenti nonché le società e gli enti non residenti.
110 Tale modifica è coerente con il sistema già previsto dall’art. 96 bis del previgente TUIR in relazione agli utili distribuiti dalle società figlie fiscalmente residenti in uno Stato membro della UE (c.d. regime madre-figlia).
111 Come segnalato nella Relazione illustrativa alla legge delega della riforma tributaria del 2004 “il metodo di imputazione era efficiente quando le dimensioni dell’economia coincidevano con le frontiere dello Stato, all’interno
Al fine di evitare la doppia imposizione di un unico reddito, il nuovo assetto impositivo prevede una esclusione parziale dei redditi in capo al percipiente variamente commisurata in relazione alla natura del percipiente medesimo.
Per le persone fisiche gli utili derivanti da partecipazioni qualificate (anche se detenute nell’ambito di attività d’impresa) devono essere inclusi nell’imponibile computato in dichiarazione per il 49,72%112 del relativo ammontare; mentre per i medesimi soggetti gli utili derivanti da partecipazioni non qualificate sono soggetti ad un prelievo alla fonte definitivo (ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o imposta sostitutiva113 dell’IRPEF) con aliquota del 12,50%.
Se invece gli utili sono relativi a società residenti in uno Stato diverso da quelli della white list, l’imposizione riguarda l’intero ammontare del provento.
del quale risiedevano i soci. In un’economia globalizzata, spesso il socio risiede in una giurisdizione diversa da quella in cui è operata la produzione del reddito. E’ per questo che la determinazione del prelievo va centrata sulla situazione “oggettiva” dell’impresa e non su quella “soggettiva” del socio”.
112 La percentuale degli utili prodotti anteriormente al 2008 da assoggettare a tassazione è pari al 40%. Dal 2008, l’adeguamento al 49,72% è correlato alla diminuzione dell’aliquota IRES dal 33% al 27,5% ed è finalizzato a garantire un prelievo aggiuntivo IRPEF tale da portare il prelievo complessivo società-socio al 43% (cfr D.M. 2 aprile 2008 attuativo dell’art. 1, comma 38 della L. n. 244/2007). Ciò impone alle imprese di mantenere memoria della stratificazione degli utili accantonati a riserva al fine della corretta tassazione nel momento della eventuale successiva distribuzione.
113 L’imposta sostitutiva è applicabile sugli utili derivanti da azioni smaterializzate in deposito accentrato presso monte titoli. In questo caso il prelievo è effettuato dall’intermediario che interviene nel pagamento di tali dividendi.
Si ricorda infine che costituiscono “utili” ai fini in discorso, anche le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto, di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione delle società ed enti per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o delle quote annullate114.
Possono essere equiparati agli utili da partecipazione115 anche i proventi derivanti dai nuovi strumenti finanziari introdotti nel nostro ordinamento dalla riforma del diritto societario del 2004, in virtù dei quali il sottoscrittore, a fronte di un apporto, vanta diritti patrimoniali (es. il diritto all’utile o alla liquidazione del valore patrimoniale conferito) e può vantare anche taluni diritti amministrativi (es. il diritto di voto in alcune materie specifiche) ma non ha il diritto di partecipare al capitale sociale della società e quindi non assume in alcun caso lo status di socio.
A tale fine è necessario (i) che la remunerazione di tali strumenti sia costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi e (ii) che tale remunerazione sia indeducibile in capo all’emittente.
114 Cfr. art. 47, comma 7 del TUIR.
115 Cfr. art. 44, comma 2, lett. a) del TUIR.
8.2.10 Gli utili derivanti da contratti di associazione in partecipazione
Costituiscono redditi di capitale anche gli utili116 derivanti agli associati dai contratti di associazione in partecipazione117 e dai contratti di cointeressenza118 con associanti-imprese che non deducono l’erogazione di tali utili dal proprio reddito119, a condizione che l’apporto sia costituito da capitale ovvero da capitale e servizi120.
8.2.11 Gli utili derivanti da gestioni patrimoniali collettive
Sono annoverabili tra i redditi di capitale in esame121 anche i proventi derivanti dalla partecipazione122 alle gestioni
116 Pari alla differenza tra la somma percepita o il valore normale dei beni ricevuti alla scadenza e le somme o il valore normale dei beni apportati. Per i redditi così configurati è possibile fruire del regime di tassazione separata ex art. 17 del TUIR, qualora la durata del contratto di associazione sia superiore a cinque anni.
117 Si tratta di un contratto tipico a prestazioni corrispettive (e non a struttura associativa) in cui l’associato ha diritto a partecipare agli utili dell’impresa dell’associante o di uno o più affari determinati a fronte dell’obbligo di effettuare un apporto di capitale (che non costituisce né un conferimento né un finanziamento). Salvo patto contrario, l’associato partecipa anche alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili ma l’ammontare delle perdite non può superare il valore dell’apporto.
118 Ai sensi dell’art. 2554 del codice civile esistono due tipi di contratti di cointeressenza: (i) quella “propria” in cui il cointeressato partecipa agli utili o alle perdite dell’impresa ma non effettua alcun apporto e (ii) quella “impropria” in cui il cointeressato effettua l’apporto e partecipa agli utili ma non alle perdite dell’impresa.
119 Ai sensi dell’art. 109, comma 9, lett. b) del TUIR.
120 Nel caso in cui l’apporto sia costituito esclusivamente da opere e servizi, la quota di utile spettante all’associato concorre a tassazione come reddito di lavoro autonomo (cfr. art. 53, comma 2, lett. c) del TUIR). In tale caso, l’associante opera la deduzione dell’utile distribuito.
121 Cfr. art. 44, comma 1, lett. g) del TUIR.
122 I proventi derivanti da atti o fatti diversi dall’impiego del capitale (es. la cessione) costituiscono invece redditi diversi.
“collettive”123 di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni che confluiscono in un unico fondo comune di proprietà di tutti i clienti del gestore del fondo medesimo124, ciascuno dei quali ha diritto ad una quota dei proventi derivanti dall’attività di gestione svolta con le risorse attribuite al fondo in proporzione al valore del danaro/beni apportati in gestione rispetto al complessivo ammontare degli assets gestiti.
Si tratta di proventi rivenienti da Organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) che possono assumere la forma di fondi comuni di investimento125 o di SICAV126, di diritto nazionale127 o di diritto estero.
123 Ci sono anche gestioni patrimoniali “individuali”, in genere poste in essere da coloro che posseggono rilevanti disponibilità. In tale caso, i beni patrimoniali affidati al gestore restano di proprietà del cliente e, quindi, restano distinti rispetto ai beni degli altri clienti del gestore, anche ai fini della determinazione dei proventi. In tali casi, detti proventi vanno imputati direttamente al cliente come se fossero stati dallo stesso direttamente conseguiti, costituendo quindi redditi di capitale se rientrano in una delle fattispecie previste dall’art. 44 del TUIR.
124 I gestori non si limitano alla semplice custodia e mera amministrazione dei precitati assets operano anche degli atti dispositivi nell’interesse del cliente.
125 Il FCI è un patrimonio autonomo rispetto a quello del soggetto che lo gestisce, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di soggetti, gestito a monte. Il FCI può essere di tipo “aperto” o “chiuso”. Il FCI “aperto” si caratterizza per il fatto che i partecipanti hanno diritto di chiedere, in qualsiasi tempo, il rimborso delle quote secondo le modalità previste dal regolamento del fondo. Il FCI “chiuso”, invece, si caratterizza per il fatto che il diritto al rimborso delle quote viene riconosciuto ai partecipanti solo a scadenze predeterminate.
126 La SICAV è una società per azioni a capitale variabile avente ad oggetto l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante l’offerta al pubblico di azioni proprie. Hanno una disciplina analoga a quella prevista per i fondi comuni da cui differiscono principalmente per la struttura organizzativa. Infatti le SICAV sono società per azioni mentre i fondi sono patrimoni separati.
127 I fondi comuni di investimento italiani sono istituiti da un intermediario italiano (SGR – Società di gestione del risparmio) autorizzato dalla Banca d’Italia alla prestazione del servizio di gestione collettiva dei patrimoni. Ciascun fondo di investimento costituisce un patrimonio autonomo destinato agli investimenti, distinto dal patrimonio della SGR, da quello dei partecipanti,
Benché la qualificazione dei redditi sia sostanzialmente unitaria a prescindere dalle varie tipologie di gestioni collettive del risparmio, sussistono regimi impositivi differenziati a seconda della diversa natura degli organismi interessati.
In linea generale, si può affermare che i regimi attualmente in vigore prevedono l’imposizione del reddito in capo agli organismi di investimento di diritto nazionale, all’atto della maturazione, mentre per quanto riguarda l’imposizione dei proventi conseguiti dai partecipanti è previsto che questi non siano imponibili se percepiti da soggetti che non esercitano attività d’impresa (nel presupposto che tali proventi siano già tassati in capo al fondo).
I proventi ottenuti attraverso la partecipazione ad organismi esteri, invece, sono assoggettati ad imposta esclusivamente in capo ai partecipanti128, all’atto del realizzo. In questo caso, i sostituti d’imposta applicano una ritenuta alla fonte del 12,50%129.
nonché di ogni altro patrimonio gestito dalla società. Le azioni dei creditori del fondo possono rivolgersi a detto patrimonio mentre i creditori dei partecipanti possono rivalersi solamente sulle quote dei singoli. Per la piena tutela degli investitori, i titoli e le altre attività finanziarie del fondo sono depositati presso una banca depositaria che è un istituto di credito dotato di elevati requisiti patrimoniali che accerta la legittimità delle operazioni di emissione e di rimborso delle quote del fondo, il calcolo del relativo valore e la legittimità delle operazioni effettuate dalla SGR. La banca depositaria è responsabile nei confronti della SGR e dei partecipanti al fondo per ogni pregiudizio da essi patito in dipendenza dell’inadempimento dei propri obblighi.
128 Le disposizioni contenenti le regole impositive degli OICR e dei proventi da essi distribuiti sono principalmente le seguenti:
- art. 9 della Legge 23 marzo 1983 n. 77, per i fondi comuni di investimento mobiliare aperti di diritto nazionale;
- art. 14 del D. Lgs. 25 gennaio 1992 n. 84, per le SICAV italiane;
- art. 11-bis del D.L. 30 settembre 1983 n. 512, per i fondi lussemburghesi c.d. “storici”;
8.2.12 Gli utili derivanti da operazioni di pronti contro termine su titoli e valute
Un ulteriore investimento che genera redditi di capitale130 è costituito dai c.d. “pronti contro termine su titoli e valute”131 che si concretizzano, tra le medesime controparti, nell’acquisto “a pronti”, cioè con esecuzione immediata, di una certa quantità di titoli132 o di valuta e nella contestuale cessione “a termine”, cioè con esecuzione differita (di solito da un mese ad un anno), della stessa quantità di titoli e valuta ad un prezzo predeterminato.
La differenza tra prezzo a pronti (di solito pari al prezzo di mercato della valuta o del titolo maggiorato del rateo di interessi) ed il prezzo a termine, costituisce il provento per l’investitore-acquirente a pronti ed il costo per il finanziato-venditore a pronti che ottiene risorse finanziarie a condizioni migliori rispetto a quelle di alternative forme di finanziamento133.
- art. 11 della Legge 14 agosto 1993 n. 344, per i fondi di investimento mobiliare chiusi di diritto nazionale;
- art. 15 della Legge 25 gennaio 1994 n. 86, per i fondi di investimento immobiliare chiusi di diritto nazionale;
- art. 10-ter della Legge 23 marzo 1983 n. 77 e art. 4 del D. Lgs. 25 gennaio 1992 n. 86 per i fondi di investimento mobiliare esteri;
- art. 8 del D.L. 30 settembre 1983 n. 512, per i fondi comuni di investimento immobiliare chiusi di diritto estero.
129 Se la durata del contratto è superiore a 5 anni, i redditi compresi nelle somme attribuite a scadenza possono essere assoggettati a tassazione separata (ex art. 17 del TUIR).
130 Cfr. art. 44, comma 1, lett. g bis) del TUIR.
131 A cui sono equiparabili alle operazioni di impiego di capitale mediante riporto di titoli e valute.
132 Solitamente titoli di stato ovvero obbligazioni di banche o soggetti quotati, ma anche azioni, titoli atipici, quote di fondi comuni di investimento, etc.
133 Per qualificare i proventi ottenuti attraverso talune operazioni finanziarie, si attribuisce rilevanza né all’oggetto delle stesse (cioè al bene assunto a riferimento: titoli o valute) né allo strumento contrattuale adottato (doppia
I sostituti che corrispondono ovvero intervengono nel pagamento di proventi derivanti dalle operazioni in esame devono assoggettare tali proventi ad una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta con l’aliquota del 12,50% ovvero, se superiore, con la maggiore aliquota134 applicabile agli interessi ed altri proventi derivanti dai titoli sottostanti nei confronti del cessionario a termine135.
Il risparmio assicurativo e quello previdenziale godono nel nostro ordinamento di un regime di favore consistente nell’applicazione del prelievo secondo criteri che si ispirano più al modello dell’imposta sulla spesa che a quello dell’imposta sul reddito entrata.
Ai fini impositivi, le polizze possono suddividersi in tre macro- categorie:
cessione, a pronti ed a termine, di attività finanziarie) ma alla sostanza economica delle operazioni medesime e cioè all’impiego del capitale per ottenere un rendimento. Pertanto, per gli investitori persone fisiche non esercenti attività d’impresa, le operazioni in esame non danno luogo ad una duplice cessione a titolo oneroso ma una operazione di impiego del capitale. In altri termini si dà rilevanza alla causa di finanziamento e non già alle attività finanziarie oggetto del contratto, rendendo quindi irrilevanti queste ultime per qualificare il provento come reddito di capitale.
134 Es. l’applicazione dell’aliquota del 27% qualora il titolo sottostante sia un’obbligazione domestica avente scadenza inferiore ai 18 mesi.
135 Qualora il titolo sottostante sia costituito da un’obbligazione estera nessuna prelievo alla fonte dovrà essere applicato.
- quelle aventi finalità di copertura di rischi specifici136 (a “vita intera”): in caso di riscatto da parte del contraente, la differenza tra l’importo della prestazione e quello dei premi versati137 costituisce un reddito di capitale138, tassato con aliquota del 12,50%139;
- quelle aventi contenuto meramente previdenziale, ovvero quelle attuate nell’ambito e nelle forme previste dal D. Lgs.
n. 252/2005 e, quindi, dirette ad erogare una rendita integrativa rispetto a quella prevista dal sistema previdenziale obbligatorio ed assimilate, sul piano fiscale, alle forme di previdenza collettiva: in questo caso, le prestazioni erogate sottoforma di rendita o di capitale sono considerate redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e soggiacciono ad una ritenuta a titolo di imposta sull’importo del capitale/rendita non già altrimenti tassato140;
- quelle diverse dalle precedenti che non svolgono funzione previdenziale bensì finanziaria e che non sono correlate al mero rischio pur avendo elementi di aleatorietà (es. i
136 Le prestazioni erogate per mortis causa o per invalidità permanente sono escluse da imposizione.
137 Relativamente agli importi che non hanno beneficiato della detraibilità.
138 Cfr. art. 44, comma 1, lett. g quater) del TUIR.
139 Se il capitale è corrisposto da almeno 10 anni dalla stipula del contratto, l’imponibile viene ridotto per ogni anno successivo al decimo.
140 Ciascuna rata delle prestazioni previdenziali in esame può essere suddivisa in più componenti: (i) quota corrispondente ai contributi dedotti o che non hanno concorso a formare il reddito che va tassata come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente; (ii) quota corrispondente ai contributi non dedotti o che hanno concorso alla formazione del reddito che non va tassata in quanto corrisponde ad importi che hanno già scontato la tassazione; (iii) quota generata dai rendimenti finanziari maturati nella fase di accumulazione non tassata in quanto tali redditi sono già stati tassati in capo al fondo pensione con applicazione dell’imposta sostitutiva dell’11% e (iv) quota corrispondente ai rendimenti finanziari futuri che maturano a partire dall’accensione della rendita pensionistica (e fino a quando cesserà l’erogazione) tassata come reddito di capitale ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. g quinquies) del TUIR.
contratti a capitalizzazione che prevedono alla scadenza del contratto il pagamento di un capitale141 eventualmente trasformabile in rendita) i cui rendimenti costituiscono redditi di capitale, tassati con un’imposta sostitutiva nella misura del 12,50%.
8.2.14 I redditi imputati al beneficiario del trust
Sono considerati redditi di capitale anche quelli imputati al beneficiario di trust, ai sensi dell’art. 73, comma 2 del TUIR, anche se trattasi di soggetti non residenti.
Va ricordato che, con riferimento ai trust, il legislatore ha scelto una base imponibile uniforme che, nel caso di trust senza beneficiari individuati, è direttamente assoggettata ad IRES secondo le regole degli enti commerciali e non commerciali in dipendenza dell’attività esercitata dal trust; invece, nel caso di beneficiari individuati, tale base imponibile viene assoggettata all’imposta propria dei beneficiari (tipicamente IRPEF, come redditi di capitale).
Qualora il beneficiario del trust sia un soggetto non residente, per verificare se il reddito sia tassabile in Italia, è necessario che sia preventivamente verificato che il reddito attribuito rientri tra quelli di fonte italiana rilevanti ai sensi dell’art. 23 del TUIR.
141 In questo caso la base imponibile si determina quale differenza tra capitale percepito e premi versati.
8.2.15 Gli altri redditi derivanti dall’impiego di capitale: la fattispecie residuale
Come già evidenziato, l’art. 44 del TUIR prevede una disposizione di chiusura volta a ricondurre ad imposizione ogni provento derivante dall’impiego del capitale. Ciò consente di inserire tra i redditi di capitale non soltanto i redditi determinati o determinabili ma anche quelli variabili e, cioè, quelli la cui misura non è connessa a parametri prefissati.
Come segnalato in dottrina, “è sufficiente individuare un rapporto di impiego di capitale affinché il provento ad esso riferibile rientri tra i redditi di capitale. Pertanto rientrano tra i redditi di capitale non soltanto quei proventi che si conseguono per effetto del godimento del capitale da parte di terzi (frutti civili ai sensi dell’art. 820 del codice civile), ma anche tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che (…) consente, comunque, un impiego del capitale. Possono, quindi, essere attratti ad imposizione anche i proventi derivanti da rapporti che non sono a prestazioni corrispettive”142.
Ovviamente, come già si è avuto modo di accennare, non tutti i rapporti di impiego del capitale sono produttivi di reddito di capitale; sono infatti esclusi, per espressa previsione normativa, quei rapporti per mezzo dei quali sono conseguibili dei differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto, che
142 Cfr. X. Xxx, Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, Xxxxxxx, 2007, pag. 792.
costituiscono invece redditi diversi di natura finanziaria di cui all’art. 67, comma 1, lett. c-quater) e c-quinquies) del TUIR143.
La norma in esame si riferisce ai rapporti di impiego del capitale e tale riferimento consente di escludere la riconducibilità a tassazione delle plusvalenze di natura finanziaria che traendo origine da un rapporto di scambio e non dal godimento di un asset finanziario, rilevano ai fini impositivi ai sensi dell’art. 67 del TUIR.
143 Tale esclusione si basa sulla considerazione che, benché si sia in presenza di rapporti di impiego di capitale, l’evento incerto incide sia sulla misura del reddito sia sulla possibilità che il reddito stesso si verifichi, ben potendosi generare una perdita. Qualora i proventi dei rapporti in esame si fossero fatti rientrare tra i redditi di capitale, si sarebbe giunti a considerare come rilevanti soltanto gli utili conseguiti, con impossibilità di dedurre le perdite, attesa la tassazione dei redditi di capitale al lordo di qualsiasi onere.
9. I REDDITI DIVERSI DI NATURA FINANZIARIA
L’art. 67 del TUIR contempla, inter alia, la definizione delle singole fattispecie di redditi diversi di natura finanziaria144.
Più in dettaglio, le lettere da c) a c-quater) del menzionato articolo definiscono le diverse tipologie di plusvalenze finanziarie mentre la lettera c-quinquies) costituisce una norma di chiusura volta ad attrarre ad imposizione ogni fattispecie reddituale non precipuamente individuata nelle precedenti lettere.
Più precisamente, la lett. c) disciplina i proventi derivanti dalle cessioni “qualificate” delle partecipazioni al patrimonio delle società di persone, delle società di capitali e degli enti privati e pubblici, nonché dei diritti o titoli con cui dette partecipazioni possono essere acquistati ad eccezione delle azioni di risparmio; la lett. c-bis) individua le modalità di tassazione delle cessioni delle partecipazioni “ non qualificate” nei summenzionati soggetti; la lett. c-ter) attrae ad imposizione la cessione dei titoli non rappresentativi di merci, delle valute estere, dei certificati di massa, dei metalli preziosi e delle quote di partecipazioni ad organismi di investimento collettivo; infine la lett. c-quater) disciplina le modalità impositive dei redditi derivanti da contratti da cui deriva il diritto o l’obbligo di cedere o acquistare a termine merci, valute, metalli preziosi ed strumenti finanziari.
144 Che sono tali se non costituiscono redditi di capitale; pertanto nel caso in cui un provento abbia i requisiti per essere tassato sia come reddito di capitale sia come reddito diverso, la norma ne prevede l’imposizione secondo le regole previste per i redditi di capitale, limitando la possibilità di arbitraggi fiscali.
In estrema sintesi, tali plusvalenze di natura finanziaria – che si determinano quale differenziale tra il prezzo di vendita ed il prezzo di acquisto degli assets – sono soggette ad imposizione sostitutiva, perciò non concorrono in alcun caso alla formazione del reddito complessivo delle persone fisiche.
L’imposta sostitutiva può essere liquidata e versata direttamente dal contribuente, se questi sceglie il regime della tassazione in dichiarazione, ovvero dagli intermediari a cui il contribuente si affida optando per il regime del “risparmio amministrato” ovvero per il regime del “risparmio gestito”.
Nel caso di un risultato negativo – cioè quando si realizza una minusvalenza – questo può essere portato in diminuzione degli eventuali risultati positivi (plusvalenze) realizzati nei quattro successivi periodi d’imposta145.
9.1 Riflessioni sulla rilevanza impositiva delle plusvalenze
Come segnalato in dottrina146, in termini generali, una plusvalenza può essere definita come l’aumento del valore di un asset che si differenzia dal “reddito” comunemente inteso a causa della sua natura aleatoria.
In linea teorica, si può ritenere che la tassazione delle plusvalenze e le relative modalità attuative dipendano da una serie di elementi.
145 Per le plusvalenze tassate ai sensi della norma di chiusura della lett. c- quinquies) non è ammessa la deducibilità delle minusvalenze.
146 Cfr. M.C. Guerra, Tassazione delle attività finanziarie – Lettura 4: Tassazione delle plusvalenze, materiale del Corso di Laurea in Economia e società, Università di Modena.
Un primo profilo riguarda l’imposta personale e l’inclusione o meno delle plusvalenze nella base imponibile dei contribuenti- persone fisiche non esercenti attività d’impresa, che dipende dall’approccio che si adotta nel determinare la capacità contributiva del soggetto passivo:
a) se la capacità contributiva viene identificata nel “reddito prodotto”, cioè nell’insieme di flussi monetari che costituiscono un corrispettivo dei fattori produttivi per la loro partecipazione alla produzione di beni e servizi, non sono oggetto d’imposizione né i redditi redistribuiti (dividendi) né le plusvalenze, né ogni altro incremento patrimoniale che non derivi dalla remunerazione di un fattore produttivo;
b) se la capacità contributiva viene identificata nel “reddito entrata” (c.d. reddito a “base esaustiva” o comprehensive income), rileva ogni incremento di valore degli assets e, quindi, anche le plusvalenze indipendentemente dal fatto che siano realizzate o meno.
Un secondo profilo, riguarda i rapporti tra imposizione societaria ed imposizione personale e, nel merito, si registra un duplice approccio risolutivo:
a) il c.d. “partnership approach”: la tassazione delle plusvalenze azionarie è giustificata esclusivamente in assenza di prelievo in capo alla società; in questo caso, gli utili, distribuiti o meno, entrano a fare parte del reddito dei soci in proporzione alla relativa quota di partecipazione societaria (come avviene nella tassazione per trasparenza);
b) il c.d. “capital gains method”: gli utili distribuiti concorrono a formare il reddito e sono tassati in capo al percipiente mentre gli utili non distribuiti sono tassati, a seguito di eventuale cessione della partecipazione, quali plusvalenze in capo al singolo socio147.
9.2 Le plusvalenze sono tutte uguali?
Premesso che, come detto sopra, le plusvalenze sono un provento essenzialmente aleatorio, si evidenzia che le stesse sono inquadrabili in tre principali macro-categorie:
a) le plusvalenze imputabili a variazioni nel livello generale dei prezzi (inflazione): in questo caso l’incremento di valore è meramente nominale e non determina alcun arricchimento effettivo da parte del contribuente (anzi, come rilevato, potrebbe addirittura scaturire una perdita patrimoniale nel caso in cui l’inflazione superi il rendimento nominale); da ciò deriva che tale incremento, in linea teorica, non dovrebbe essere assoggettato a tassazione; molti Paesi che sottopongono ad imposta le plusvalenze prevedono dei meccanismi di indicizzazione o giustificano i trattamenti preferenziali concessi tipicamente con riferimento all’inflazione148;
b) le plusvalenze che derivano da operazioni di tipo speculativo, quando un investimento è specificamente finalizzato all’ottenimento di un determinato incremento di valore; in questo
147 In presenza di motivi di opportunità (evitare turbamenti sui mercati azionari) o tecnici (difficoltà di tassare in sede personale le plusvalenze maturate) che impediscano una tassazione dei guadagni di capitale in capo ai soci, per evitare che l’accantonamento di utili apra una strada all’elusione fiscale, si ricorre ad un’imposta sulla società che gravi esclusivamente sugli utili non distribuiti.
148 Delle obiezioni a tale approccio derivano dalla considerazione che il prelievo è in generale su base nominalistica; l’indicizzazione porterebbe i capital gains in posizione di indubbio vantaggio rispetto ad altri redditi (anche di natura finanziaria, si pensi agli interessi) anch’essi decurtati dall’inflazione.
caso le plusvalenze che conseguono all’operazione sono l’obiettivo atteso e non meramente eventuale149;
c) le plusvalenze che sono reddito o che non si differenziano dal reddito, come ad esempio i plusvalori che riflettono l’accumularsi di redditi passati: il percipiente acquista la disponibilità di tali redditi nel momento in cui gli stessi si presentano sotto forma patrimoniale; in questo caso la plusvalenza non è altro che un artificio giuridico per trasformare redditi che sarebbero assoggettati ad un regime impositivo differente e, talvolta, più gravoso150.
9.3 Aspetti problematici del prelievo fiscale sui capital gains: previsione di meccanismi di indicizzazione
Come sopra evidenziato, si può ragionare se solo le plusvalenze reali debbano essere assoggettate a tassazione; tuttavia, nell’effettuare tale valutazione, occorre tenere conto delle seguenti argomentazioni:
- il prelievo aggiuntivo che l’inflazione attribuisce ai capital gains, accentua la progressività migliorando l’equità dello stesso prelievo151;
- l’aggiustamento all’inflazione delle plusvalenze darebbe protezione solo a taluni contribuenti che conseguono capital gains ma non ad altri che conseguono redditi di capitale.
149 L’intento speculativo giustificherebbe un’imposizione più elevata rispetto ad altre plusvalenze, meramente eventuali, derivanti da operazioni non speculative. 150 Tale trasformazione è frequente nel campo dei redditi finanziari ed ha spesso fra le proprie finalità, l’elusione d’imposta mediante l’utilizzo del trattamento di favore previsto per i capital gains ai dividendi ed agli interessi (es. le obbligazioni a cedola nulla).
151 Tuttavia, si fa notare, si affiderebbe all’inflazione un obiettivo di perequazione che dovrebbe essere perseguito mediante un ridisegno del sistema fiscale.
Negli altri Paesi, l’”aggiustamento” dei proventi finanziari per tenere conto dell’inflazione ha trovato applicazione con varie metodologie:
- il metodo dell’indicizzazione del costo di acquisto: il costo di acquisto dell’asset, che deve essere sottratto al prezzo di vendita per la determinazione del capital gain, viene aumentato in proporzione alla variazione del tasso di inflazione, misurato con riferimento ad un apposito indice dei prezzi152;
- il metodo del “rapporto di inclusione”: la quota di plusvalenza sottoposta ad imposizione diminuisce, in misura forfetaria, al crescere del periodo di possesso del bene e, quindi, le plusvalenze relative ad assets posseduti per un breve periodo subiscono solo in misura marginale l’aggiustamento dovuto all’inflazione (quanto più breve è il periodo in cui si consegue una certa plusvalenza, tanto minore è l’aggiustamento per tenere conto dell’inflazione)153;
- il metodo dell’innalzamento della base del costo: il costo di acquisto dell’asset, che deve essere sottratto al prezzo di vendita per la determinazione del capital gain, viene aumentato annualmente di una percentuale arbitraria: il costo quindi aumenta al crescere del periodo di possesso, con la conseguenza che più si amplia il periodo di detenzione e
152 Le difficoltà di applicazione di tale metodo sono relative alla scelta di un indice dei prezzi adeguato allo scopo ed alle difficoltà amministrative di determinazione del valore dell’attività nell’anno iniziale, soprattutto per le attività finanziarie o azionarie acquisite in periodi diversi.
153 Si tratta di un sistema di aggiustamento piuttosto grossolano, i cui risultati potrebbero essere incoerenti con l’obiettivo che si intende raggiungere, ma che spesso è adottato in considerazione della relativa semplicità.
minore sarà la plusvalenza conseguita a parità di altre condizioni154.
9.4 Aspetti problematici del prelievo fiscale sui capital gains: tassazione al momento del realizzo ovvero al momento della maturazione
In un’ottica di tassazione omnicomprensiva, secondo gli economisti e gli studiosi di scienza delle finanze, i capital gains dovrebbero rilevare ai fini impositivi al momento della relativa maturazione, cioè quando emergono da una valutazione di mercato, in quanto, già in questa fase, si manifesterebbe una capacità contributiva degli investitori.
In realtà, di norma, gli ordinamenti tributari prevedono la tassazione delle plusvalenze al momento del loro realizzo, che avviene a seguito della cessione a qualunque titolo dell’asset finanziario (l’Italia è forse l’unico Paese che prevede una tassazione in base alla maturazione, a seguito della “riforma Visco”).
La generale propensione per un regime impositivo basato sul realizzo dei componenti reddituali è giustificata tenuto conto:
- della necessità che l’imposta si basi su fatti certi che abbiano rilevanza sulla definitiva capacità contributiva del contribuente e non solo su quella virtuale;
- della considerazione che l’assolvimento dell’imposta su plusvalenze solo maturate può porre dei problemi di liquidità
154 Anche tale sistema è piuttosto grossolano e, tra l’altro, di non agevole applicazione.
in capo al contribuente, costringendolo in casi estremi a dover smobilizzare anzitempo gli investimenti effettuati155;
- della constatazione che i mercati mobiliari sono caratterizzati dal fatto che i valori ivi registrati mutano continuamente, con la conseguenza che le plusvalenze e le minusvalenze si producono ogni anno (momento) ma le stesse possono essere compensate in anni (momenti) successivi; pertanto, un pagamento d’imposta su base annua in base alla maturazione originerebbe frequenti pagamenti e rimborsi d’imposta, con aggravi anche per le casse erariali (negli anni di rimborso) e per gli adempimenti operativi dei contribuenti e dell’Amministrazione finanziaria;
- dell’elevatezza dei costi di accertamento, connessi alla necessità di stimare ogni anno i valori di mercato degli assets, poiché tale dato emerge solo dal confronto con il valore della rilevazione precedente156.
Per contro, la tassazione al momento del realizzo è talvolta criticata per gli effetti che può esercitare sul comportamento degli operatori economici; in particolare potrebbe favorire:
- dei fenomeni di elusione fiscale resi possibile dalla natura volontaria della realizzazione delle plusvalenze e delle minusvalenze: i contribuenti potrebbero essere indotti a
155 Per ovviare a tale problema, il pagamento dell’imposta si potrebbe posticipare ulteriormente nel caso in cui il ricavato della cessione dei beni sia successivamente reinvestito in beni di natura analoga, anziché consumato (c.d. “roll over”, maggiormente rilevante per attività quali beni immobili).
156 Tale problema assume particolare rilevanza per gli operatori che non sono tenuti ad una contabilità a prezzi di mercato (c.d. “mark to market”) e per i titoli che non sono usualmente scambiati sul mercato (prodotti non standardizzati), mentre è più agevolmente superabile per i titoli (tipicamente quelli quotati), la cui valutazione ai prezzi di mercato è nota in ogni momento.
realizzare immediatamente le perdite, godendo dei benefici fiscali, e posticipando la realizzazione dei capital gains e, quindi, il sostenimento del correlato onere fiscale;
- un effetto di immobilizzo (c.d. “lock-in effect”): la possibilità di posporre l’onere fiscale fino al momento della cessione dell’attività indurrebbe il contribuente a rimandare tale momento oltre quanto sarebbe ottimale sotto il profilo economico157.
L’evidenza empirica dimostrerebbe una generale rilevanza del lock- in effect e sono state avanzate delle proposte di soluzione ai problemi che si basano su una c.d. “tassazione retrospettiva” dei capital gains, che comportano l’applicazione dell’imposta al momento della realizzazione prevedendone però un onere dovuto al differimento dell’imposta.
In tale modo, la tassazione resta fissata al momento del realizzo ma l’onere d’imposta sostenuto dal risparmiatore è sostanzialmente analogo a quello che egli avrebbe sostenuto se la tassazione fosse avvenuta al momento della maturazione.
In definitiva, le proposte di soluzioni avanzate possono essere ricondotte a due principali tipologie:
- una prima ipotesi di soluzione prevede di calcolare ex post i guadagni di capitale maturati nei singoli periodi d’imposta
157 In altri termini, l’obiettivo del differimento della tassazione nel tempo potrebbe spingere gli investitori ad accettare un tasso di rendimento lordo più basso di quello che avrebbero altrimenti accettato, generando quindi distorsioni nell’allocazione delle risorse e nelle scelte di portafoglio.
decorsi tra il momento dell’acquisto ed il momento della realizzazione e di computare l’imposta dovuta alla realizzazione come capitalizzazione158 dei pagamenti d’imposta che sarebbero stati effettuati tempo per tempo se la tassazione fosse avvenuta alla maturazione. Tale metodo permette di realizzare una piena equivalenza tra la tassazione alla maturazione e la tassazione al realizzo159;
- una seconda possibile soluzione potrebbe essere quella di ripartire la plusvalenza realizzata nel periodo di possesso tra i diversi periodi d’imposta che lo compongono secondo una formula prefissata (es. ripartendola in parti uguali tra i diversi periodi) e poi capitalizzando le imposte dovute su tali plusvalenze utilizzando un apposito tasso di interesse160.
In alternativa a tali metodi, si potrebbe raggiungere il prefissato obiettivo, applicando un’imposta più elevata sui capital gains ottenuti in un più ampio arco temporale, nell’assunto che gli stessi abbiano maggiormente beneficiato del differimento dell’imposta.
158 Tale capitalizzazione avviene al tasso di interesse interno netto dell’operazione di investimento effettuata, ma potrebbe essere effettuato anche al tasso di interesse di riferimento esterno, ad esempio, riferito ad un paniere di titoli rappresentativi.
159 Il limite principale di tale metodo risiede nella necessità di conoscere il valore che il titolo plusvalente aveva alla fine di ciascun periodo d’imposta trascorso tra il momento dell’acquisto e quello della cessione.
160 A tali metodi teorici di simulazione di una tassazione alla maturazione pur in presenza di una tassazione al momento del realizzo, si è ispirato il legislatore nella formulazione del c.d. “equalizzatore” che è stato in vigore dal 1998 fino all’agosto del 2001 e poi abbandonato per le notevoli difficoltà applicative.
9.5 Aspetti problematici del prelievo fiscale sui capital gains: imposizione ordinaria o imposizione sostitutiva?
In linea teorica, l’opportunità di tassare i guadagni di capitale autonomamente rispetto agli altri redditi non trova sostegno sul piano teorico.
Tuttavia, l’assoggettamento di redditi aleatori ed a formazione pluriennale ad un tributo progressivo, può creare degli evidenti problemi di equità nella tassazione.
Tali redditi, infatti, sarebbero assoggettati ad aliquote marginali eccessivamente elevate.
Per ovviare a tale problema, sono stati proposti dei metodi di imposizione separata, comunque all’interno dell’imposta personale.
Altra possibile soluzione (approssimativa ma di semplice applicazione) per il problema in esame potrebbe essere rappresentata dall’inclusione nel reddito imponibile, assoggettabile alle ordinare aliquote d’imposta, di una percentuale parziale della plusvalenza, indirettamente proporzionale alla durata del periodo di possesso dell’asset.
Sussistono però molte perplessità circa l’inclusione delle plusvalenze nella base imponibile della tassazione ordinaria, a causa:
- delle difficoltà di accertamento che si riscontrerebbero;
- della coerenza tra il sistema fiscale dei capital gains e quello vigente per i redditi di capitale che, come noto, sono sottratti
al prelievo personale e progressivo ed assoggettati ad imposizione sostitutiva.
9.6 Aspetti problematici del prelievo fiscale sui capital gains: la deducibilità delle minusvalenze
Sotto il profilo teorico, le minusvalenze dovrebbero essere trattate analogamente alle plusvalenze, cioè dovrebbero essere deducibili al momento del realizzo e per il loro ammontare reale, analogamente alle plusvalenze indicizzate.
La perplessità principale circa l’applicazione di tale criterio risiede nella possibilità che esso possa prestare il fianco a finalità elusive161.
Tale problema non sussisterebbe in caso di tassazione al momento della maturazione.
Volendo percorrere la strada della tassazione al realizzo, tuttavia, si potrebbero prevedere un paio di possibili soluzioni:
- considerare le minusvalenze come indeducibili, prevedendo contemporaneamente un trattamento più mite per le plusvalenze al fine di compensare tale restrizione;
- ammettere la deducibilità delle minusvalenze solo sino a concorrenza delle plusvalenze realizzate162. Tale metodo è
161 In particolare, potrebbe esserci un incentivo per il contribuente a cedere gli assets il cui valore si è deprezzato, generando una perdita fiscalmente deducibile, per poi eventualmente riacquistarli un attimo dopo, se lo smobilizzo non era giustificato da altre considerazioni di carattere economico.
162 Ovviamente la fruizione della deduzione ha come contraltare la rinuncia all’anonimato fiscale.
senza dubbio il più seguito, benché declinabile secondo diverse modalità163.
9.7 Aspetti problematici del prelievo fiscale sui capital gains: la fissazione di minimi in esenzione
Una delle forme di agevolazione riconosciuta alle plusvalenze consiste nel ritenerle esenti da imposta se non superano un determinato ammontare.
Si tratta di una previsione che trova la propria giustificazione nella volontà di evitare costi di accertamento e di riscossione sproporzionati rispetto al gettito fiscale che ne può conseguire (analisi costi/benefici).
Tuttavia, la concessione di una franchigia fiscale può dare luogo a frazionamenti delle operazioni finalizzati ad un aggiramento dell’imposta164.
9.8 Aspetti problematici del prelievo fiscale sui capital gains: la rilevanza della durata del possesso degli assets mobiliari
Un regime di tassazione che discrimini le plusvalenze in ragione della durata temporale del possesso dell’attività su cui sono
163 Da un lato, alcuni Paesi fissano un limite superiore oltre al quale le minusvalenze diventano indeducibili, indipendentemente dall’ammontare delle plusvalenze. Dall’altro, altri Paesi prevedono che la deduzione delle minusvalenze sia ammessa a compensazione dei capital gains realizzati in un arco temporale più ampio del periodo d’imposta (in tale caso, le minusvalenze non utilizzate per compensare delle plusvalenze di un dato anno possono essere riportate in anni successivi per l’eventuale compensazione con future plusvalenze).
164 Tali considerazioni valgono a maggior ragione in caso di prelievo sostitutivo ed inducono a ritenere che, qualora concessa, l’esenzione debba essere estremamente contenuta.
realizzate è giustificabile dalla natura speculativa propria delle operazioni da cui derivano capital gains in un periodo limitato.
Una tassazione modulata in relazione all’holding period permette di risolvere implicitamente alcuni problemi, la cui soluzione esplicita imporrebbe il ricorso ad architetture di prelievo più articolate165.
Tuttavia, le plusvalenze che si formano a seguito di un periodo di possesso più lungo godono comunque, se tassate al momento del realizzo, di un trattamento privilegiato rappresentato dal posponimento dell’imposta, come se si trattasse di un prestito infruttifero.
In tale ottica, sarebbe preferibile una tassazione che penalizzi la lunghezza del periodo di possesso: un’imposizione più contenuta su plusvalenze realizzate in un arco temporale più lungo accentua, invece, gli effetti negativi che possono derivare dall’applicazione del criterio di realizzazione, così amplificando il fenomeno del menzionato lock-in effect, con ulteriori possibili conseguenze distorsive sull’allocazione delle risorse.
9.9 L’elusione fiscale e la rilevanza impositiva delle plusvalenze
Le peculiarità del regime fiscale riservato alle plusvalenze, migliorativo rispetto a quello dei redditi di capitale, generano dei varchi a possibili manovre elusive.
165 Tale soluzione è anche proposta come possibile risposta al problema della indicizzazione o come possibile rimedio all’assoggettamento all’imposizione progressiva di redditi a formazione pluriennale.
Il tema è di particolare rilevanza per i sistemi tributari “analitici” che devono tipizzare ogni fattispecie ai fini impositivi, senza la possibilità di ricorrere ad interpretazioni analogiche o integrative.
A questa rigidità di un sistema fiscale che considera imponibili solo fattispecie dettagliatamente elencate corrisponde un’estrema flessibilità della disciplina civilistica, che permette di stipulare innumerevoli forme di contratti fornendo agli operatori una gamma di strumenti contrattuali per mezzo dei quali raggiungere uno stesso obiettivo economico, con la possibilità quindi di trasformare i redditi diversi di natura finanziaria in redditi di capitale, con eventuale elusione d’imposta ogni volta che i primi godano di un regime tributario migliore rispetto a quello applicabile ai secondi166.
In un siffatto contesto, sarebbe necessario studiare una definizione di concetto di reddito di capitale, sufficientemente completa ed ampia da consentire la riconduzione nel relativo alveo della
166 La trasformazione di interessi in plusvalenze, ai fini elusivi, è ricorrente nel nostro ordinamento e, talvolta, ha necessitato degli interventi normativi volti a limitare tali fenomeni, equiparando il trattamento delle plusvalenze e degli interessi. Invece, il diverso regime fiscale riservato a capital gains e dividendi ha un’influenza sulla politica di distribuzione degli utili perseguita dalle società. Può accadere di frequente che si realizzino degli strumenti che incorporino in un titolo di credito, successivamente negoziato, il diritto al reddito di capitale (interesse o dividendo che sia) che viene così trasformato in plusvalenza, non assoggettabile a ritenuta e non imponibile in capo alle persone fisiche. Il tema è particolarmente rilevante in relazione agli strumenti ed alle operazioni innovative che stanno diffondendosi sui mercati mobiliari: PCT, options, futures, swaps, etc.; con riferimento a tali strumenti, la determinazione della natura delle relative operazioni, la successiva individuazione e classificazione dei proventi e la distinzione tra redditi di capitale e diversi risulta particolarmente complessa e controversa.
articolata varietà di proventi che emergono dai processi di innovazione finanziaria.
10. LE VARIE FATTISPECIE DI REDDITI DIVERSI DI NATURA FINANZIARIA
Si analizzano di seguito le principali fattispecie di redditi diversi di natura finanziaria.
10.1 Le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni et similia167
La fattispecie più importante di redditi diversi di natura finanziaria è quella delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso168 di partecipazioni sociali169 il cui trattamento fiscale si
167 Cfr. art. 67, comma 1, lett. c) e c bis) del TUIR.
168 Sono considerate a titolo oneroso: le compravendite, le permute, i conferimenti e gli atti che comportano la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento come il diritto d’usufrutto o la nuda proprietà, anche se effettuati attraverso società fiduciarie. Invece, non rilevano come atti a titolo oneroso: le cessioni a titolo gratuito come gli atti di donazione ed i trasferimenti mortis causa, gli atti di mera intestazione fiduciaria risultanti dalle scritture contabili delle società fiduciarie, i concambi di azioni o quote in caso di fusione e scissione, le operazioni di pronti contro termine/riporto/mutuo di titoli che danno luogo a redditi di capitale), i rimborsi degli investimenti aventi natura partecipativi a seguito dell’esercizio del recesso, o dell’esclusione del socio o della liquidazione della società.
169 Vi rientrano sia le partecipazioni al capitale sia le partecipazioni al patrimonio (ipotesi tipica degli enti privi di capitale ma dotati di patrimonio: enti non commerciali, società di persone, etc.) nonché tutti i diritti e titoli attraverso i quali possono essere acquisite partecipazioni (es. warrant, diritti di opzione, obbligazioni convertibili, etc.).
differenzia a seconda che tali partecipazioni siano “qualificate”170 o meno171.
A seguito della riforma del 2004 e tenuto conto delle modifiche normative introdotte dalla Legge Finanziaria per il 2008, le
170 La “qualificazione” sussiste solo in presenza di cessioni che abbiano per oggetto azioni, diverse da quelle di risparmio, ed ogni altra partecipazione al capitale o al patrimonio di società di persone, società di capitali ed enti commerciali residenti e di società ed enti non residenti, nonché diritti o titoli (warrant, diritti di opzione, etc.) attraverso cui è possibile acquisire le predette partecipazioni. In alcun caso possono considerarsi “qualificate” le partecipazioni costituite da azioni di risparmio, le partecipazioni in enti non commerciali residenti (che possono dare luogo a partecipazioni non qualificate) e le partecipazioni in associazioni tra artisti e professionisti (che non possono dare luogo neanche a partecipazioni non qualificate).
171 I criteri per l’individuazione della qualificazione o meno di una partecipazione sono due: quello della partecipazione al capitale sociale e quello dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria; infatti, sono “qualificate” le partecipazioni individuate alla nota precedente che rappresentino complessivamente: (i) una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2% ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5%, se si tratta di titoli negoziati in mercati regolamentati; (ii) in alternativa, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 20% ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 25%, se si tratta di partecipazioni non negoziate in mercati regolamentati (definiti nel D.M. Tesoro 9 giugno 1998). Ai fini dell’individuazione della soglia della qualificazione, è necessario cumulare le cessioni effettuate nell’arco di dodici mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi. L’applicazione di tale regola comporta una semplificazione ed un effettivo vantaggio per i contribuenti, perché decorre dalla data in cui tali partecipazione superano le percentuali sopraindicate. In tale modo si evita che si possa configurare una cessione di partecipazione qualificata nel caso in cui il contribuente effettui, eventualmente anche nel medesimo giorno, molteplici acquisti e vendite degli stessi titoli che non rappresentano una partecipazione qualificata. In senso contrario, dal momento in cui venga superata una delle predette percentuali, le cessioni effettuate nei dodici mesi successivi, se a loro volta superiori alle stesse percentuali, saranno considerate cessioni di partecipazioni qualificate e questo fino a quando non siano trascorsi dodici mesi dal momento in cui il possesso della partecipazione da parte del contribuente sia sceso sotto la percentuale prevista dalla norma. Pertanto, il contribuente che abbia posto in essere una cessione di partecipazione (di per sé non qualificata) per stabilire se abbia effettuato una cessione qualificata ai fini fiscali, dovrà sommare all’ultima cessione, quelle effettuate nei dodici mesi precedenti soltanto a partire dalla data in cui abbia acquisito il possesso di una partecipazione qualificata.
plusvalenze relative a partecipazioni qualificate detenute da persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa concorrono alla formazione del reddito imponibile – come redditi diversi – ai fini IRPEF e delle relative addizionali comunali e regionali nella misura del 49,72% (sono quindi escluse per il 50,28% del relativo ammontare)172.
Anche le minusvalenze sono rilevanti nella medesima misura e possono essere riportate per i quattro periodi d’imposta successivi a quello della formazione, al fine dell’eventuale compensazione con future plusvalenze.
Tale percentuale - identica a quella prevista per la rilevanza degli utili e proventi equiparati, in coerenza con quanto stabilito dalla riforma del sistema tributario del 2004 che ha sostanzialmente assimilato il regime di tassazione dei dividendi e dei capital gains – si applica alle plusvalenze ed alle minusvalenze realizzate dal 1° gennaio 2009 (in precedenza la percentuale di imposizione era pari al 40%), a prescindere dal periodo di maturazione dei maggiori valori che determinano i predetti differenziali173.
Come detto in precedenza, gli utili maturati ante 2008 continuano invece ad essere tassati sul 40% del relativo ammontare.
172 E’ venuto quindi meno il prelievo mediante imposta sostitutiva del 27%, previsto in precedenza.
173 Si tratta di una soluzione semplificatrice: sarebbe stato complesso distinguere nell’ambito del differenziale realizzato i diversi periodi di maturazione dello stesso, al fine di attribuire ad esso una diversa misura di concorso alla formazione del reddito.
Pertanto, le persone fisiche che effettuano cessioni di partecipazioni qualificate dal 2009 in avanti potrebbero avere convenienza ad incassare gli utili prodotti fino a tutto il 2007, prima di effettuare la cessione, con lo scopo di fruire della più mite imposizione sugli utili rispetto a quella gravante sulla plusvalenza.
Le modalità di imposizione delle plusvalenze derivanti da partecipazioni non qualificate sono rimaste sostanzialmente invariate rispetto al previgente regime: ad esse, infatti, continua ad applicarsi un’imposta sostitutiva nella misura del 12,50%174, con la possibilità di farle rientrare nel regime del risparmi amministrato o del risparmio gestito.
La base imponibile dell’imposta sostitutiva si determina nettando le plusvalenze delle minusvalenze prodotte sulla medesima tipologia di partecipazioni; l’eventuale eccedenza delle minusvalenze rispetto alle plusvalenze può essere portata in deduzione nei quattro periodi d’imposta successivi a quello della loro formazione.
Una notazione merita il trattamento delle plusvalenze derivanti da partecipazioni in società residenti in Paesi a fiscalità privilegiata i cui titoli non sono quotati in mercati regolamentati: in questo caso, infatti, tali plusvalenze – a prescindere dal fatto che la partecipazione sia qualificata o meno – concorrono integralmente alla formazione del reddito del percipiente, salva la dimostrazione, mediante procedura di interpello, che dalle medesime
174 Cfr. art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 461/1997.
partecipazioni non si è conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi nei predetti Paesi175.
Pertanto, per la definizione del regime fiscale applicabile, si deve verificare non solo la “qualificazione” o meno della partecipazione ma anche se la stessa sia relativa ad una società non quotata residente o meno in un Paese a fiscalità privilegiata.
Come dinanzi evidenziato, i capital gains (o le capital losses) si determinano176 come differenza tra (i) il corrispettivo percepito ovvero la somma o il valore normale dei beni rimborsati e (ii) il costo177 o il valore di acquisto, aumentato di ogni eventuale onere inerente la loro produzione, comprese le imposte di successione e donazione ma con esclusione degli interessi passivi.
10.1.1 Il regime di esenzione delle plusvalenze realizzate da imprese in start up
Il D.L. n. 112/2008 ha aggiunto due nuovi ulteriori commi all’art. 68 del TUIR che apportano alcune modifiche alla tassazione di taluni capital gains realizzati da soggetti non imprenditori.
175 A seguito dell’esito positivo dell’interpello, diviene applicabile l’ordinario regime dell’imposta sostitutiva con aliquota del 12,50%.
176 Cfr. art. 68, comma 6 del TUIR.
177 Per le partecipazioni in società di persone il costo è aumentato o diminuito dei redditi e delle perdite imputate al socio e dal costo si scomputano, fino a concorrenza dei redditi già imputati, gli utili distribuiti del socio. Tale previsione permette di evitare la imposizione, sottoforma di plusvalenza, di redditi che abbiano già concorso alla formazione del reddito tassato per trasparenza in capo ai soci.
In particolare è stato introdotto un peculiare regime di esenzione sulle plusvalenze da imprese in fase di “start up”178, realizzate da soggetti non imprenditori con la cessione di partecipazioni in società di capitali o di persone, residenti in Italia, che vengano reinvestite entro due anni dal conseguimento delle stesse nel capitale sociale di altre imprese in fase di “start up”.
Si tratta di una norma asseritamente agevolativa ma che rischia di essere materialmente applicabile da ben pochi contribuenti.
10.2 I redditi derivanti da cessione di valute179
Costituiscono redditi diversi di natura finanziaria anche le plusvalenze derivanti dalla vendita di valute a condizione che si tratti di cessioni a termine o che le valute siano rivenienti da depositi x xxxxx correnti; in tale ultimo caso, sono equiparati alle cessioni a titolo oneroso anche i prelievi180 di valute estere dai depositi o dai conti correnti, a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza di detti depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal risparmiatore sia superiore ad € 51.645,60 per almeno sette giorni lavorativi consecutivi.
178 Più in dettaglio, per ottenere il beneficio dell’esenzione da imposizione, si deve trattare di plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in società costituite da non più di 7 anni e possedute da almeno 3 anni. La società di cui si acquistano le partecipazioni, a sua volta, non deve essere costituita da più di tre anni.
179 Cfr. art. 67, comma 1, lett. c ter) del TUIR.
180 Si ritiene che i trasferimenti da un conto corrente ad un altro conto corrente o deposito del medesimo cliente non costituisca presupposto per la tassazione della valuta trasferita.; infatti, quando il legislatore ha voluto assimilare alle cessioni a titolo oneroso il trasferimento di attività finanziarie su altro conto o deposito, lo ha fatto esplicitamente com’è accaduto con l’art. 6, comma 6 del D. Lgs. n. 461/1997.
Sono pertanto imponibili esclusivamente le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso delle valute di cui si sia acquisita la disponibilità per finalità d’investimento; tale finalità si presuppone in modo assoluto quando le valute sono immesse in conti correnti o depositi ovvero quando le stesse hanno costituito oggetto di cessione a termine.
Per quanto riguarda la determinazione della base imponibile occorre distinguere le due ipotesi; la base imponibile è determinata:
- come differenza tra il prezzo di cessione a termine ed il valore della valuta al cambio a pronti, nel caso di cessione a termine di valute;
- come differenza tra il valore normale della valuta alla data di effettuazione del prelievo ed il costo d’acquisto della valuta, documentato dal risparmiatore, nel caso di prelievo da depositi e conti correnti.
I proventi così determinati devono essere indicati in dichiarazione e tassati con imposta sostitutiva del 12,50%, salvo il caso in cui vi sia l’opzione per il regime del risparmio amministrato o gestito.
10.3 I redditi derivanti da “contratti derivati” per differenziale 181 Altra fattispecie di proventi finanziari ricorrente in capo ai risparmiatori che preferiscono forme di investimento più evolute e rischiose è rappresentata dalle componenti reddituali derivanti da contratti derivati, cioè da quei contratti il cui valore dipende dall’andamento del prezzo di una variabile economica (es. il prezzo
181 Cfr. art. 67, comma 1, lett. c quater) del TUIR.
del petrolio) o finanziaria (es. il prezzo del titolo FIAT) “sottostante”182.
Solitamente tali strumenti finanziari vengono utilizzati dalle imprese per coprirsi dai rischi di fluttuazione delle predette variabili ma vi possono essere dei casi in cui le stesse imprese così come i risparmiatori ricorrono ai derivati per realizzare profitti derivanti dall’oscillazione di valore delle variabili (c.d. derivati speculativi): ad esempio, se si ritiene che i prezzi di un bene siano in aumento, si può comprare il bene a termine ad un prezzo più basso per poi rivenderlo quando i prezzi saranno aumentati.
I contratti derivati possono essere idealmente suddivisibili in due categorie:
a) i contratti a termine di tipo traslativo, che sono quelli per mezzo dei quali le parti disciplinano l’obbligo di cedere o acquistare a termine strumenti finanziari, valute estere, etc.;
b) i contratti a termine di tipo differenziale, ovvero quelli da cui deriva l’obbligo di effettuare o ricevere a termine uno o più pagamenti commisurati a tassi d’interesse, alla quotazione di strumenti finanziari, di valute estere e ad ogni altro parametro di natura finanziaria.
In base a tale distinzione, rientrano nella prima delle due categorie i contratti derivati e gli altri contratti a termine di natura finanziaria che presentano la struttura giuridica di contratti di scambio, perché se portati ad esecuzione a scadenza, comportano il diritto o
182 Le variabili “sottostanti” possono essere effettive o nozionali.
l’obbligo di effettuare o ricevere la consegna dell’attività finanziaria sottostante183.
Nella seconda categoria rientrano, invece, i contratti derivati e gli altri contratti a termine che presentano la configurazione giuridica di veri e propri contratti differenziali, in quanto è escluso ogni trasferimento di attività sottostante e, quindi, possono essere portati ad esecuzione a scadenza esclusivamente per mezzo del pagamento di un semplice differenziale in danaro.
Uno dei contratti derivati maggiormente utilizzati dai risparmiatori più evoluti è costituito dalle c.d. “options”, ovvero i contratti184 derivati che attribuiscono ad una delle parti, dietro pagamento di corrispettivo detto “premio”, la facoltà di acquistare (call option) o vendere (put option), entro un termine prestabilito, determinate attività ad un certo prezzo185 (striking price) oppure a riscuotere un importo determinato in base all’andamento di un indicatore di riferimento186.
Nei rapporti che conferiscono la facoltà di scambiare un’attività esiste quindi una parte (holder) che ha una posizione di vantaggio in quanto può decidere o meno di esercitare l’opzione187 mentre
183 In pratica tali contratti prevedono che a termine siano eseguite le obbligazioni contrattuali che si manifestano in contratti traslativi delle attività finanziarie di riferimento. Nulla vieta che tali contratti possano eseguirsi in forma differenziale.
184 Si tratta di contratti uniformi, negoziati su mercati regolamentati (ISO) e, di solito, relativi a determinati titoli (c.d blue chips).
185 Tipicamente le opzioni su titoli e quelle su valute (c.d. currency options).
186 Tipicamente le opzioni sui tassi d’interesse (c.d. cap, floor, collar).
187 Se la facoltà di acquistare o vendere può essere esercitata in qualsiasi momento tra l’acquisto dell’opzione e la scadenza del termine di esercizio,
l’altra parte (writer) è obbligata alla conclusione dello scambio, secondo la volontà dell’holder.
Invece, nei rapporti che permettono di riscuotere un certo importo in base all’andamento di indicatori di riferimento, uno dei contraenti paga un premio a fronte del diritto di incassare un differenziale ove si verifichino le previste condizioni.
Con le opzioni, quindi, il risparmiatore può realizzare profitti illimitati in presenza di scenari favorevoli; in caso contrario, limita le proprie perdite al prezzo del premio188.
I proventi in esame sono tassati, con imposta sostitutiva del 12,50%, come redditi da contratti derivati ex lett. c-quater) dell’art. 67 del TUIR, salvo che l’operazione non si configuri come una cessione di attività finanziarie rilevante ai sensi delle lett. c), c-bis) e c-ter) del medesimo articolo.
In tali casi, infatti, i risultati reddituali realizzati attraverso il contratto non sono tassati a norma della menzionata lett. c-quater) ma concorrono alla determinazione della base imponibile in modo autonomo ai sensi di una delle precedenti nominate lettere c), c-bis) e c-ter).
l’opzione è di tipo “americano”; mentre nel caso in cui tale esercizio possa avvenire solo alla scadenza contrattuale, l’opzione è di tipo “europeo”.
188 Altri contrati derivati sono i futures su tassi di interesse, i contratti forwards
di tassi di interesse, i contratti swap su tassi di interesse e su indici azionari.
11. LE MODALITÀ DI TASSAZIONE DEI REDDITI FINANZIARI: I REGIMI DICHIARATIVO, AMMINISTRATO E GESTITO
Il sistema di tassazione dei redditi di natura finanziaria, introdotto dal D. Lgs. n. 461/1997, si basa quindi sul principio dell’assoggettamento dei suddetti redditi ad un prelievo sostitutivo e proporzionale in luogo dell’ordinaria imposizione personale progressiva.
Come sopra evidenziato:
- i redditi di capitale sono infatti solitamente assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d’imposta e ad imposte sostitutive delle imposte sui redditi, con la conseguente esclusione del provento dal reddito complessivo imponibile dell’investitore e, quindi, la non applicazione delle aliquote progressive IRPEF;
- i redditi diversi di natura finanziaria sono invece solitamente assoggettati ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con aliquota del 12,50%189.
Se i redditi di capitale non vengono assoggettati a ritenuta alla fonte ovvero ad imposizione sostitutiva, gli stessi concorrono alla formazione del reddito del percipiente che deve indicarli nella propria dichiarazione dei redditi procedendo con l’autoliquidazione dell’imposta personale.
189 Solo le plusvalenze su partecipazioni qualificate, come detto, rientrano nella base imponibile IRPEF del contribuente che le ha realizzate per il 49,72% del relativo ammontare e scontano, su tale percentuale, l’aliquota IRPEF marginale (con relative addizionali regionale e comunale).
Anche i redditi finanziari diversi che sono assoggettati ad imposta sostitutiva da parte del contribuente e, pertanto, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del contribuente, vanno comunque indicati in dichiarazione190 allo scopo di consentire il controllo di autoliquidazione dell’imposta sostitutiva medesima.
Pertanto si può affermare che sia i redditi di capitale sia quelli diversi di natura finanziaria sono assoggettati ad un regime di tassazione che, in taluni casi, può implicare l’indicazione dei medesimi redditi nella dichiarazione con conseguente obbligo di autoliquidazione dell’imposta personale progressiva e dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi.
11.1 Il regime di tassazione “dichiarativo”
Infatti, l’art. 5 del D. Lgs. n. 461/1997 ha introdotto nel nostro ordinamento un regime di imposizione sostitutiva per i redditi diversi di natura finanziaria.
La tassazione avviene con il meccanismo della dichiarazione e del (preventivo) versamento previsto per tutte le imposte sui redditi.
Ciò costituisce un certo vantaggio, in termini finanziari, per l’investitore in quanto le imposte si versano diversi mesi dopo la
190 L’obbligo di dichiarazione riguarda, in ogni caso, le plusvalenze e le minusvalenze relative a partecipazioni in società (ex art. 67, comma 1, lett. c) del TUIR), nonché le plusvalenze derivanti dai prelievi di valute estere dai depositi e dai conti correnti (art. 67, comma 1, lett. c-ter) del TUIR). Per ciò che concerne, invece, le altre plusvalenze (ex art. 67, comma 1, lett. c-quater) e c-quinquies) del TUIR), il regime dichiarativo si applica soltanto se il contribuente non ha optato per l’applicazione dell’imposta sostitutiva secondo le disposizioni del regime del risparmio amministrato o del risparmio gestito.