PARADISI FISCALI E MISURE DI CONTRASTO:
UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE FACOLTÀ DI ECONOMIA “XXXXXXX XXX”
Corso di Laurea triennale in
Economia e Commercio (classe L33)
PARADISI FISCALI E MISURE DI CONTRASTO:
IL CASO DELLE MULTINAZIONALI
TAX XXXXXX AND MEASURES TO COMBAT: THE CASE OF MULTINATIONALS
Relatore: Rapporto Finale di:
Xxxx.xx Xxxxxx De Angelis Xxxxxx Xxxxxxxx
Anno Accademico 2018/2019
INDICE TESI
Introduzione 3
Capitolo 1: Definizioni e caratteristiche dei paradisi fiscali 5
1.1. Paradisi fiscali 5
1.2. Conseguenze sui paesi in xxx xx xxxxxxxx 00
Xxxxxxxx 0: Le misure di contrasto 15
2.1 Le misure di contrasto degli organismi internazionali 15
2.1.1. Il codice di condotta 15
2.1.2. Il rapporto OCSE del 1998: “Harmful Tax Competition; an emerging global issue” 17
2.1.3. Forum on Harmful Tax Practices del 1999 20
2.1.4. Il decisivo impulso del G-20 del 2009 20
2.1.5. Black list italiana 24
2.2 La critica dell’OXFAM: la lista nera sfumata di grigio 25
2.3 Misure di contrasto verso il segreto bancario 27
Capitolo 3: Multinazionali in fuga verso i paradisi fiscali 31
3.1 Le multinazionali 31
3.2. Strategie elusive 32
3.2.1. Profit Shifting 33
3.2.2. Double Irish with a Dutch sandwich 34
3.3 Piano di contrasto Ocse 37
3.3.1. Adeguamento italiano al progetto Beps 39
Conclusione 41
Bibliografia 42
Sitografia 43
Introduzione
Nell’attuale scenario mondiale caratterizzato da una sempre più accentuata globalizzazione, si sta espandendo il fenomeno della “corsa al ribasso sulla tassazione delle imprese”, con l’idea che questa pratica possa rendere il Paese più attrattivo per investitori ed imprese. I paradisi fiscali si sono rivelati i maestri di questa competizione.
Lo scopo dell’elaborato è quello di analizzare le caratteristiche principali dei paradisi fiscali e le misure di contrasto messe in atto dagli organismi internazionali. Si cercherà inoltre di comprendere che cosa spinge le multinazionali verso i paradisi fiscali.
Nello specifico, nel primo capitolo si osserveranno le caratteristiche principali dei paradisi fiscali con un breve excursus circa le conseguenze dei paradisi fiscali sui paesi in via di sviluppo. Questi sono, infatti, i paesi maggiormente danneggiati dall’evasione e dall’elusione fiscale: la riduzione del gettito fiscale, dovuto al ricorso ai paradisi fiscali dalle multinazionali, ma anche da persone fisiche, diminuisce le risorse finanziarie da investire nelle spese necessarie per il progresso del Paese.
Nel secondo capitolo si esamineranno le misure di contrasto messe in atto da una serie di organismi a partire dal 1998, si farà riferimento in particolare al “Codice di Condotta” messo in atto a livello Europeo e al Rapporto OCSE “Harmful Tax
Competition” a livello internazionale. Si proseguirà con i principali interventi messi in atto, sino ad arrivare alla critica dell’OXFAM su tali interventi.
Nel terzo ed ultimo capitolo verrà approfondito il caso delle multinazionali che, operando in una molteplicità di Stati, minimizzano il carico fiscale collocando le proprie strutture operative e i relativi profitti secondo criteri di convenienza fiscale, danneggiando, come detto, i Paesi in via di sviluppo e non solo. Dopo un richiamo circa le principali strategie elusive delle multinazionali, si analizzerà la principale misura di contrasto messa in atto dall’OCSE: il progetto Beps. Per finire si analizzeranno le modalità con il quale l’ordinamento italiano ha recepito questo progetto.
CAPITOLO 1: DEFINIZIONI E CARATTERISTICHE DEI PARADISI FISCALI
1.1.PARADISI FISCALI
Quando si parla di paradisi fiscali, l’immaginario corre verso isole tropicali, minuscole sul mappamondo; con il termine “paradiso”, però, non ci riferiamo all’aspetto naturalistico, bensì a quello fiscale.
L’espressione paradiso fiscale deriva dalla locuzione inglese tax heaven, ma la denominazione più appropriata è tax haven, cioè rifugio fiscale.
Il termine “paradiso fiscale” vuole indicare quegli stati che, grazie ad una normativa particolarmente agevolata (sia per i redditi delle persone fisiche che per quelli delle società) e appoggiandosi al sistema finanziario internazionale, sono in grado di offrire condizioni che permettono loro di attirare capitali dall'estero e, servendosi della potenza della globalizzazione1 e della crescente liberalizzazione dei flussi finanziari, finiscono per detrarre risorse agli altri paesi. Queste strutture finanziarie, quindi, hanno lo scopo specifico di attrarre capitali da altre Nazioni, allettandoli con leggi meno restrittive di quelle del paese di provenienza. Lo scopo, ovviamente, è quello di incentivare l’afflusso di capitali stranieri. Ecco perché, di solito, i paradisi
1Oltre ai numerosi effetti positivi della globalizzazione (e.g. maggiore circolazione del capitale e degli investimenti verso Paesi in via di sviluppo, ecc.), quest’ultima ha accentuato fenomeni negativi portando altrettanti svantaggi, come l’instabilità finanziaria, l’evasione fiscale internazionale, la maggiore facilità di riciclaggio di denaro. Per queste ragioni alcuni autori parlano di dark side of globalization.
fiscali sono quasi sempre Paesi dall’economia interna non particolarmente fiorente
(salvo alcune rare eccezioni).
I paradisi fiscali possono essere classificati nelle seguenti categorie:
1. Pure Tax Haven: tasse nulle o minime, garantisce l'assoluto segreto bancario, senza lo scambio di informazioni con altri stati;
2. No Taxation on Foreign Income: è tassato solo il reddito prodotto internamente;
3. Low Taxation: tassazione fiscale sul reddito ovunque generato;
4. Special Taxation: Paesi dal regime fiscale “normale”, ma che permettono la
costituzione di società particolarmente flessibili.
Alcuni paradisi fiscali si indirizzano alle grandi multinazionali che cercano di sottrarsi ai propri obblighi fiscali, altri invece hanno come obiettivo primario quello di attrarre i patrimoni privati di facoltosi, specializzandosi cosi nell’offerta di alti livelli di segretezza. Tuttavia, ci sono alcuni paradisi fiscali che rivestono un doppio ruolo: favorendo sia la corsa al ribasso nella fiscalità d’impresa, sia l’elusione ed evasione fiscali2 dei privati. A tal proposito, è ragionevole fare una distinzione e definire le caratteristiche di una “pura giurisdizione segreta” e quelle di un “puro paradiso fiscale societario”.
2 Diverso dall’evasione è l’elusione, o abuso del diritto, che, secondo l’art 10- bis dello Statuto, è costituita da “operazioni prive di sostanza economica, che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”: fonte X.Xxxxxxx: Istituzioni di diritto tributario, 2018.
Tabella 1: Abusi fiscali privati e societari: caratteristiche e soluzioni
3
Nel mondo esistono circa sessanta giurisdizioni segrete, divise indicativamente in quattro gruppi. Il primo è formato dai paradisi fiscali europei, il secondo dall'area britannica, che ha il suo fulcro nella city di Londra e comprende stati dell'ex impero britannico, il terzo è una zona d’influenza incentrata negli Stati Uniti ed infine il
3 Fonte: OXFAM ITALIA Abusi fiscali privati e societari: caratteristiche e soluzioni - Battaglia fiscale: La pericolosa corsa globale al ribasso nella tassazione d’impresa, 2016.
quarto gruppo contiene alcune strane realtà non classificabili, come la Somalia e l’Uruguay.4
Le multinazionali e le grandi imprese sono le protagoniste assolute di queste “speciali” giurisdizioni. Ciò nonostante possono usufruirne anche i singoli individui, purché dispongano almeno un fatturato annuo di 40.000 euro.
I paradisi fiscali sono stati definiti dall’OCSE, nel rapporto sulla “concorrenza fiscale dannosa” del 1998, in base a queste caratteristiche:
a. Assenza di tassazione o livello di tassazione effettivo solo nominale: il livello impositivo sui flussi finanziari è nullo o meramente simbolico;
b. Mancanza di una reale attività economica: entità detenuta da soggetti stranieri senza la necessità di una presenza effettiva sul territorio caratterizzate da assenza di disposizioni interne che attribuiscano rilevanza all’attività effettivamente svolta;
c. Assenza di un adeguato scambio di informazioni con altri Stati: assenza di scambio di informazioni con i Paesi a fiscalità ordinaria; normativa interna che prevedere severe regole di segretezza finalizzate a nascondere le attività economiche agli occhi delle autorità fiscali straniere;
4 Fonte: Xxxxxxx, N., 2012 - Le isole del tesoro. Viaggio nei paradisi fiscali dove è nascosto il tesoro della globalizzazione: Secondo l’autore l’Uruguay è considerato solo parzialmente un paradiso fiscale poiché offre servizi a fiscalità privilegiata solo per banche e holding che operano esclusivamente in business offshore.
d. Mancanza di trasparenza e assenza di meccanismi di controllo sui flussi finanziari.
In relazione a questi ultimi due punti circa le caratteristiche dei paradisi fiscali, dobbiamo tener presente che generalmente, questi, oltre a benefici fiscali, assicurano il segreto bancario, consentendo la costituzione di società di capitali senza dover sottostare alle formalità solitamente previste dagli Stati industrializzati, non prevedono reati di evasione fiscale e falso in bilancio, non ostacolano l’uso del denaro contante, rendono possibile il riciclaggio5: questo rende i paradisi fiscali attrattivi per quei soggetti che hanno interesse a nascondere il proprio denaro, la sua provenienza e l’investimento che ne viene fatto. Si tratta di una segretezza a 360° coinvolgente i soggetti investitori, le cifre da investire e le modalità di investimento. Il paradosso consiste nella circostanza per cui da un lato le società off-shore6 sono entità costituite legalmente ed in linea con le regole del Paese in cui sono situate,
5 Il Riciclaggio è previsto dall’articolo 648 bis del Codice penale:
“Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo; ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.
La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita
la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni”.
6 Occorre sottolineare che il termine offshore significa letteralmente “fuori dalle acque”, una società offshore è localizzata, e registrata, in un paese straniero considerato paradiso fiscale, che però sviluppa i suoi affari fuori da questa giurisdizione. Questo sistema viene utilizzato allo scopo di proteggere i capitali e ridurre il carico fiscale. Formare una società offshore è un processo semplice che richiede tempistiche molto brevi, non è necessario aprire uffici o assumere dipendenti, o avere un vero e proprio proprietario.
dall’altro i governi locali garantiscono meccanismi di segretezza tali da fungere da fattori di attrazione per coloro che decidono di svolgere attività in maniera non trasparente e non rintracciabile.
1.1 CONSEGUENZE SUI PAESI IN VIA DI SVILUPPO
I paesi in via di sviluppo sono i più danneggiati dall’evasione ed elusione fiscale: la riduzione del gettito fiscale, dovuto al ricorso ai paradisi fiscali dalle multinazionali ma anche da persone fisiche, sta diminuendo le risorse finanziarie da investire nella sanità, nell’istruzione ma anche quelle finalizzate alla riduzione della povertà.
I c.d. “paradisi” finanziari rappresentano, dunque, un elemento sempre più rilevante per l’economia globalizzata; questi impattano sui paesi in via di sviluppo secondo quattro modalità principali7:
1) la ricerca da parte di privati e imprese di una via per scongiurare o ridurre
notevolmente l’adempimento del dovere di contribuire alle pubbliche finanze;
2) la funzione di un vantaggio competitivo rilevante in termini fiscali sui concorrenti a base nazionale da parte delle corporation transnazionali più abili a strutturare i flussi di commercio e gli investimenti tramite sussidiarie fittizie in territori a fiscalità privilegiata. In buona sostanza, risulteranno favorite le grandi
7 Cfr. Paradisi fiscali e finanziari, ed. Il Sole 24 ore, Milano, 2001.
imprese a scapito di quelle piccole, le imprese internazionali rispetto alle nazionali, e quelle presenti da molto tempo rispetto a quelle in avviamento. Atteso che la maggior parte delle imprese nei paesi in via di sviluppo sono più piccole e più recenti di quelle del mondo sviluppato e tipicamente più focalizzate sulla dimensione interna, ne deriva che detta parzialità insita nel sistema fiscale avvantaggia indebitamente le imprese transnazionali dei paesi industrializzati a scapito dei loro concorrenti interni nei paesi in via di sviluppo;
3) l’opportunità di una copertura sicura per riciclare i proventi da corruzione politica, frode, truffa, traffico illegale di armi e traffico di droga, offerta dall’esistenza del segreto bancario e dai servizi fiduciari messi a disposizione dalle istituzioni finanziarie globalizzate operanti off-shore. La mancanza di trasparenza dei mercati finanziari internazionali contribuisce, così, alla diffusione di crimine globalizzato, terrorismo, corruzione di funzionari sottopagati, nonché all’appropriazione indebita di risorse da parte dell’élite imprenditoriali e politiche;
4) il prodursi di instabilità sui mercati finanziari, a danno soprattutto dei paesi poveri. I centri della finanza offshore vengono utilizzati come canali per rapidi trasferimenti di capitali all’interno e all’esterno di economie nazionali, generando effetti destabilizzanti sulle operazioni nei mercati finanziari. Su pressione del Fondo Monetario Internazionale8, viene richiesto a molti paesi in via di sviluppo di
8 Il Fondo Monetario Internazionale (International Monetary Fund) è un'organizzazione internazionale pubblica a carattere universale composta dai governi nazionali di 189 Paesi e insieme
mantenere grandi riserve di valuta forte proprio per proteggere le loro economie dall’instabilità finanziaria, in assenza di altri strumenti efficaci per ridurre la volatilità dei mercati.
Le risorse nazionali sono e continueranno a essere la principale fonte di finanziamento per i paesi in via di sviluppo. Nonostante queste risorse siano cresciute come percentuale del PIL nell'ultimo decennio, il rapporto tasse/PIL medio nei paesi in via di sviluppo è ancora troppo basso: in termini di confronto, i paesi in via di sviluppo raccolgono entrate significativamente inferiori rispetto alle economie avanzate. Il rapporto tasse/PIL nei paesi a basso reddito è tra il 10 e il 20% e in molti di tali paesi è inferiore al 15% (soglia sotto la quale si ritiene generalmente che i governi abbiano difficoltà a finanziare il loro funzionamento e i servizi di base). Per l’OCSE tale rapporto si aggira attorno al 30- 40%. Gli esperti concordano nel ritenere che vi sia un potenziale importante per la riscossione delle tasse: calcoli dell'Oxfam in 52 paesi in via di sviluppo dimostrano come potrebbero essere mobilitati altri 269 miliardi di dollari per finanziare servizi pubblici nel caso in cui la riscossione delle tasse migliorerebbe significativamente. Risulta pertanto essenziale garantire che la riscossione delle tasse nazionali sia più
al gruppo della Banca Mondiale fa parte delle organizzazioni internazionali dette di Bretton Woods, dal nome della località in cui si tenne la famosa conferenza che ne sancì la creazione. L'FMI è stato formalmente istituito il 27 dicembre 1945, quando i primi 44 stati firmarono l'accordo istitutivo e l'organizzazione nacque nel maggio del 1946. Attualmente gli Stati membri sono 189.
prevedibile, stabile e solida, e che tutte le componenti della società, cittadini e aziende, paghino in base ai propri mezzi.
Gli effetti dell’elusione fiscale colpiscono in particolare i paesi in via di sviluppo perché dipendono fortemente dalla tassazione delle società: le entrate delle imposte sulle società costituiscono una percentuale significativa delle loro entrate nazionali. La letteratura e i dati su questo argomento sono scarsi e questo è in parte dovuto al fatto che la portata dell'evasione e dell'elusione fiscali è difficile da misurare. A grandi linee, ONE9 stima che almeno mille miliardi di dollari siano sottratti ai paesi in via di sviluppo ogni anno attraverso una rete di attività di corruzione relative ad accordi poco chiari sulle risorse naturali, l'uso di società fittizie anonime, il riciclaggio di denaro e l'evasione fiscale illegale. Global Financial Integrity10 stima che i paesi in via di sviluppo abbiano perso 6 600 miliardi di dollari a causa dei flussi finanziari illeciti dal 2003 al 2012. Oxfam segnala che il valore stimato del debito fiscale non saldato sostenuto dalle società nei paesi in via di sviluppo è pari a 104 miliardi di dollari all'anno. Actionaid11 stima che normalmente il divario
9 ONE è un movimento globale che ha come finalità quella della lotta all’estrema povertà, l’obbiettivo è che ognuno possa avere l’opportunità di vivere una vita dignitosa.
10 Global Financial Integrity (GFI) è un'organizzazione non governativa con sede a Washington che promuove politiche, garanzie e accordi nazionali e multilaterali per frenare il movimento transfrontaliero di capitale illecito: corruzione , contrabbando , criminalità organizzata ed evasione fiscale . La sua azione prevede la creazione di accordi strategici, la diffusione di relazioni di ricerca e la raccomandazione di soluzioni per frenare il flusso di capitale illegale.
11ActionAid è un'organizzazione internazionale indipendente impegnata nella lotta alle cause della povertà, basa il suo lavoro sul rispetto dei diritti umani e agisce con le popolazioni e le comunità più emarginate attraverso programmi di sviluppo a lungo termine in Asia, Africa e America Latina
fiscale per le società nei paesi in via di sviluppo (ossia, la differenza tra le tasse effettivamente riscosse e quelle previste) si aggiri attorno al 20% a causa dell'elusione e dell'evasione fiscali.12
12 Fonte: pubblicazione del Parlamento europeo, disponibile xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxx/xx
CAPITOLO 2: LE MISURE DI CONTRASTO
2.1 MISURE DI CONTRASTO DEGLI ORGANISMI INTERNAZIONALI
2.1.1. Codice di condotta in materia di tassazione delle imprese
Nell’inquadramento del problema dei paradisi fiscali, l’Unione Europea è partita più in generale da un inquadramento delle pratiche fiscali non concorrenziali. Queste sono innanzitutto contrarie ai principi su cui si fonda l’Unione Europea: la disciplina della concorrenza, infatti, è stata sin da subito considerata il cuore della realizzazione di un'unione economica, perseguita in via prioritaria dall'UE rispetto all'unione politica. Per queste ragioni iniziative in questo senso sono state intraprese dagli organismi europei: risale al 1° dicembre 1998 l’approvazione da parte del Consiglio Ecofin dell’Unione Europea del Codice di Condotta in materia di tassazione delle imprese, con il quale si tende a disincentivare l’applicazione, da parte degli Stati membri dell’Unione, di misure che hanno o possono avere una sensibile incidenza sull’ubicazione di attività imprenditoriali nel territorio dell’Unione.
Il codice, promosso dal professor Xxxxx Xxxxx, l’allora Commissario per il Mercato interno, i servizi finanziari e la fiscalità, rappresenta un tassello fondamentale nelle misure di contrasto delle politiche fiscali non concorrenziali, perché per la prima volta le Istituzioni europee prendono posizione sulla “gestione” della sovranità impositiva da parte degli Stati europei, individuando i contesti economicamente
virtuosi e sottolineando le condotte considerate dannose per l’integrazione del
mercato unico.
Il Codice considera potenzialmente dannose le misure fiscali che determinano un livello di imposizione effettivo nettamente inferiore, ivi compresa l’imposizione pari a zero. Tale livello di imposizione può risultare dall’aliquota fiscale nominale, dalla base imponibile o da altri elementi pertinenti.
Nel valutare il carattere pregiudizievole di tali misure, si deve tener conto, tra
l’altro, delle seguenti caratteristiche:
- Se le agevolazioni sono riservate ai non residenti o per operazioni effettuate con non residenti;
- Se le agevolazioni sono completamente isolate dall’economia nazionale, in
modo da non incidere sulla base imponibile nazionale;
- Se le agevolazioni sono accordate anche in mancanza di qualsiasi attività economica effettiva e di una presenza economica sostanziale all’interno dello Stato membro che offre queste agevolazioni fiscali;
- Se le norme di determinazione dei profitti derivanti dalle attività interne svolte da un gruppo multinazionale si discostano dai principi generalmente riconosciuti a livello internazionale, in particolare le norme concordate in sede OCSE.
- Se le misure fiscali difettano di trasparenza, compresi i casi in cui le norme giuridiche sono applicate in maniera meno rigorosa e in modo non trasparente a livello amministrativo.
Al fine di assicurare un’attuazione equilibrata ed efficace del Codice di condotta, la Commissione europea trasmette periodicamente al Consiglio, una relazione sulla sua applicazione.
Per questa ragione fu incaricato un gruppo tecnico di alto livello, sotto la direzione dell’inglese Xxxx Xxxxxxxxx, di esaminare e valutare tutte le misure esistenti nei singoli Stati membri a contenuto meramente concorrenziale.13
2.1.2. Il rapporto OCSE del 1998: Harmful Tax Competition; an emerging
global issue
Il Codice di condotta è espressione, a livello europeo, di una più generale tendenza di carattere internazionale, e cioè quella ad individuare e attuare misure di protezione comuni contro i tentativi di erosione della materia imponibile da parte di tutti quegli stati che agiscono da free rider fiscali14.
13 Si rimanda al testo per una più attenta analisi circa gli incentivi fiscali dei vari Paesi Europei bocciati dal Rapporto Primarolo: La pianificazione fiscale internazionale: questioni attuali e prospettive future; Xxxx xxxxxx Xxxxx pag. 102: 7.2 Gli incentivi fiscali bocciati dal Rapporto Primarolo.
14 Occorre specificare che “Free rider” è un’espressione che nel linguaggio economico è tipicamente utilizzata per indicare chi usufruisce di un bene pubblico senza pagare alcun prezzo per esso; Xxxxxxxx Xxxxxx nel suo testo Paradisi e Paradossi fiscali, 2009, utilizza il termine per fare un paragone tra i paradisi fiscali e i free rider fiscali.
Una conferma di ciò è il Rapporto OCSE “Harmful Tax Competition: An Emerging Global Issue” in tema di concorrenza fiscale dannosa, che scaturisce da una richiesta avanzata all’OCSE dai capi di stato del G7 nell’incontro di Lione del 1996. In questa sede l’OCSE è stata incaricata di studiare gli effetti distorsivi sugli investimenti, e sulle basi imponibili dei singoli Stati, della concorrenza fiscale dannosa attuata sia dai paradisi fiscali, sia da quegli Stati a fiscalità normale dotati di regimi tributari particolarmente agevolati.
Il 9 aprile del ‘98, il Consiglio dell’OCSE ha approvato il rapporto in esame, adottando una serie di raccomandazioni indirizzate agli stati membri. Fra i paesi dell’Organizzazione, solo il Lussemburgo e la Svizzera si sono astenuti in sede di approvazione del Rapporto e di adozione delle raccomandazioni.
Nel documento è ribadita la libertà e l’autonomia di ogni Stato membro nel definire la struttura del proprio sistema tributario, e si riconosce la possibilità di accordare particolari agevolazioni fiscali a favore di certe aree geografiche o di particolari settori economici: in ogni caso le misure fiscali agevolate devono mantenersi entro i limiti della tollerabilità, quindi le agevolazioni tributarie non devono mai essere finalizzate ad attrarre investimenti e risparmi che sono generati altrove. Questo produrrebbe delle conseguenze fiscali negative per lo Stato ove il reddito si origina. Per verificare se un determinato paese sia o meno un paradiso fiscale, secondo il Rapporto in esame, bisogna appurare se lo Stato prelevi o meno le imposte, e congiuntamente verificare se lo Stato in questione si proponga come giurisdizione
utilizzabile dai soggetti non residenti per sfuggire alla tassazione propria dello Stato di provenienza. Altri elementi aggiuntivi la cui esistenza secondo l’OCSE fanno di un paese un paradiso fiscale sono: l’assenza di trasparenza fiscale e la presenza di norme o prassi amministrative che ostacolano lo scambio di informazioni con altri Stati relativamente ai soggetti che beneficiano della tassazione ridotta o nulla.
In questa occasione, l’OCSE definisce i paradisi fiscali secondo una triplice funzione: “They provide a location for holding passive investments (money boxes); they provide a location where paper profits can be booked; and they enable the affairs of taxpayers, particularly their banck accounts, to be effectively shielded from secrutiny by tax authotities of other countries”.15
Nel rapporto in esame l’OCSE elaborava una lista che individuava 47 regimi fiscali preferenziali “dannosi” (i.e. previsti da Stati a fiscalità ordinaria) e 35 “uncooperative tax xxxxxx” (UTHs), cioè Stati che non avevano assunto nessun impegno politico di modificare la propria normativa interna al fine di contrastare la concorrenza fiscale dannosa.
Più precisamente, i paradisi fiscali incusi nella lista erano: Xxxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxx x Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxx, Barbados, Belize, Dominica, Gibilterra, Granada, Guernsey, Isole di Man, Isole Cook, Isole Xxxxxxxx, Isole Vergini Americane, Isole Vergini Britanniche, Jersey, Liberia, Liechtenstein,
15 Fonte: OECD, Harmful Tax Competition, An Emerging Global issue, Paris, 1998, par. 49 p.22
Maldive, Monaco, Montserrat, Nauru, Niue, Panama, Samoa, Seychelles, St. Xxxxxxxxxx & Nevis, St. Lucia, St. Xxxxxxx e Grenadine, Tonga, Turks & Caicos, Vanuatu16.
Di fatto, questa prima lista non poteva dirsi completa né stimolava in alcun modo i paesi individuati a prendere concrete misure per uscirne.
2.1.3. Forum on Harmful Tax Practices del 1999
Nel Maggio 1999 veniva istituita, in seno all’OCSE, il Forum on Harmful Tax Practicies e l’anno successivo veniva pubblicata una relazione sui progressi del Forum, consistenti principalmente nel processo di revisione dei regimi fiscali applicati negli Stati membri OCSE e negli impegni politici di alcuni paradisi fiscali volti ad allineare le proprie norme tributarie alle linee guida del Report del 1998.
2.1.4. Il decisivo impulso del G-20 del 2009
A seguito del G-2 tenutosi a Londra il 2 aprile 2009, la comunità internazionale, in un momento di crisi economica e finanziaria, ha “dichiarato guerra” a tutti i Paesi considerati “non- cooperative jurisdictions” e decretato la fine del segreto bancario,
16 Fonte: Tax haven and harmful tax regime list published, on European Taxation, vol 40, n. 8 del 2000, p. 391 ss.
il quale rappresentava un ostacolo ad un efficiente scambio di informazioni fra autorità fiscali.
In tale occasione l’OCSE veniva incaricato di stilare tre distinte liste che
permettessero la corretta individuazione del livello di “collaboratività” degli Stati:
a) La black list degli Stati che non si sono impegnati ad adottare lo standard di collaboratività fiscale;
b) La grey list degli Stati che si sono impegnati af adottare lo standard di collaboratività fiscale;
c) La white list degli Stati che, oltre ad essersi impegnati ad adottare lo standard di collaboratività fiscale, hanno stipulato almeno 12 accordi internazionali che prevedono lo scambio di informazioni.
A differenza della lista stilata nel 2000, la nuova tripartizione risultava ben più incisiva, perché il X-00 xxxxx chiarito che i Paesi indicati nella black list, se non si fossero immediatamente prodigati per divenire “collaborativi”, avrebbero subito l’irrogazione di pesanti sanzioni economiche.
L’iter degli Stati per poter essere considerati “collaborativi” si strutturava in tre passaggi.
In primo luogo, lo Stato doveva dichiarare di impegnarsi ad adottare lo standard internazionale di collaboratività fiscale, così come delineato dall’OCSE (assumendo il c.d. commitment).
Successivamente doveva stipulare almeno 12 convenzioni bilaterali dette Tax Information Exchange Agreements, che prevedessero espressamente una clausola di scambio di informazioni analoga all’art 26 del modello OCSE. Il raggiungimento di tale traguardo avrebbe permesso il passaggio dal “purgatorio” della grey list al “paradiso” della white list.
Con la minaccia di subire ingenti sanzioni, i Paesi originariamente esclusi dalla white list hanno fatto una versa e propria “corsa” alla stipulazione degli accordi per raggiungere il limite minimo di 12.
Dal 2000 al 2013 i Tax Information Exchange Agreements sottoscritti sono passati da 1 a 518, raggiungendo picchi di 197 nel 2009 e di 200 nel 2010, come meglio illustrato nel seguente grafico.
Figura 1: Accordi sottoscritti tra i Paesi dal 2000 al 2013
17
17 MEF: Ministero economie e finanze, dipartimento finanze, 2015.
Il raggiungimento di “Stato collaborativo”, sicuramente espressivo di un cambiamento epocale, non può comunque essere considerato decisivo ai fini della lotta ai paradisi fiscali. Questo per una serie di ragioni.
In primo luogo, molti di questi accordi vennero stipulati tra i Paesi precedentemente inseriti nella black list e, in quanto tali, inutili alle Amministrazioni finanziarie dei Paesi a fiscalità ordinaria. Altro problema fu quello che si pose con le varie isolette connotate da scarse infrastrutture ed autorità fiscali, le quali, in virtù dei trattati bilaterali, risultavano gli interlocutori con cui si sarebbe dovuta interfacciare l’Amministrazione finanziaria italiana, con una prassi amministrativa poco avanzata. In queste ipotesi, anche in presenza di autorità fiscali disponibili a scambiare informazioni, queste ultime potrebbero risultare inutili all’Amministrazione finanziaria richiedente, perché scarse, incomplete o insufficienti.
L’ultima fase per raggiungere lo status di “giurisdizione collaborativa” consisteva nell’analisi circa l’effettiva attuazione dei requisiti di trasparenza, scambio di informazioni e disciplina antiriciclaggio attraverso la normativa nazionale. Tale analisi è la c.d. peer review, in cui due Stati, assistiti dal Segretario dell’OCSE, verificano se gli standard di “collaboratività” risultano effettivamente implementati nello Stato sottoposto a verifica. La peer review si articola in due fasi:
1. Legal and regulatory framework, consistente nell’analisi della normativa vigente e nella sua attitudine ad essere impiegata per attuare lo scambio di informazioni con altre Amministrazioni finanziarie;
2. Pratical implementation of that framework, consiste nella verifica circa l’effettivo utilizzo degli strumenti normativi a disposizione da parte degli organi dello Stato interessato per soddisfare le richieste di assistenza amministrativa da parte di altri Stati, in base ad una convenzione bilaterale TIEA o contro la doppia imposizione.
Il processo di Xxxx review lascia comunque evidenti perplessità, sia relative all’effettività dello scambio di informazioni sia, soprattutto, all’effettiva esistenza in tali Paesi di informazioni considerabili “utili”, vuoi per l’eccessiva tolleranza nei controlli, vuoi per il fatto che detti Paesi non dispongono di dati essenziali (e.g. il beneficiario effettivo) o ne dispongono solo a livello formale (con la conseguenza che le informazioni oggetto di scambio riguarderanno evidenti “teste di legno”).18
2.1.5. Black list italiana
L’agenzia delle entrate italiane, nel 2019 ha stilato la nostra Black list, ovvero ha elencato tutti i paesi con i quali gli imprenditori italiani non possono intraprendere relazioni commerciali e la possibilità di creare ad hoc delle aziende allo scopo di
18 Cfr. Rivista della guardia di finanza fondata nel 1952: numero 2; marzo aprile 2016. Articolo:
Criminalità economica e paradisi fiscali.
eludere le tasse. Il governo italiano, verso i paesi della Black List e le aziende italiane che vi operano, prevede una serie di sanzioni: dal divieto di fare operazioni commerciali fino all’impossibilità di dedurre dai redditi i costi legati agli acquisti fatti in questi paesi. Alcuni di questi paesi sono le Bahamas, le Isole vergini statunitensi, Macao, Maldive. Ci sono invece alcuni paesi con i quali sono permesse solo limitate operazioni: in Behrein, ad esempio, si possono svolgere solo le attività che riguardano il settore petrolifero, come l’esplorazione, l’estrazione e la raffinazione del greggio. Ci sono altri paesi con i quali l’Italia ora può commerciare: grazie ad una serie di accordi con il nostro governo, questi sono stati cancellati dalla black list. Tra questi possiamo citare il Lussemburgo, Andorra, Hong Kong, san Marino, Singapore ecc.19
2.1.6. La lista nera sfumata di grigio: la critica Oxfam
In conclusione, l’azione dell’OCSE e dell’UE contro i paradisi fiscali non ha ancora conseguito risultati soddisfacenti. Secondo l’OXFAM20, il processo di definizione (blacklisting) di una lista nera europea è caratterizzato da una serie di problemi: si tratta di un processo poco trasparente e i criteri adottati per definire un paradiso
19 Fonte: Sito Ufficiale Agenzia delle Entrate, pubblicazione del 2019.
20 Oxfam è una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo. Ne fanno parte 18 organizzazioni di Paesi diversi che collaborano con quasi 3.000 partner locali in oltre 90 nazioni per individuare soluzioni durature alla povertà e all'ingiustizia.
fiscale necessiterebbero di un rafforzamento. L’UE, secondo l’OXFAM, dovrebbe fare di più e prendere ad esempio di mira anche quelle giurisdizioni che applicano aliquote fiscali nulle o prossime allo zero sugli utili d’impresa, potrebbe inoltre condurre un esame più meticoloso sulle molteplici scappatoie legali e falle nei sistemi fiscali che permettono alle corporation di eludere le imposte dovute. Altro problema che rendeva, secondo l’OXFAM, la black list europea poco credibile è il fatto che in principio l’UE si è focalizzata esclusivamente su giurisdizioni extraeuropee. Tale scelta mette a serio rischio la credibilità del processo, dal momento che alcuni degli Stati Membri dell’Unione, come l’Irlanda, il Lussemburgo e i Paesi Bassi rappresentano i paradisi fiscali più aggressivi al mondo, permettendo ad alcune delle più grandi corporation globali di minimizzare la propria contribuzione fiscale.
Sono queste le ragioni che hanno portato l’OXFAM ha stilare una propria classifica dei paradisi fiscali più aggressivi. Questa classifica si basa su tre variabili: l'aliquota sui redditi societari, gli incentivi fiscali offerti e la mancanza di cooperazione internazionale in materia di contrasto all'elusione fiscale. OXFAM ha analizzato i 28 Paesi Membri dell’Unione secondo i criteri di blacklisting stabiliti dall’UE e valutato che almeno quattro Paesi europei verrebbero inclusi nella lista nera europea dei paradisi fiscali, se anche le giurisdizioni europee fossero scrutinate.
Tabella 2: La performance dei Paesi dell'Unione Europea lungo gli indicatori di blacklisting dell'UE
21
2.2 MISURE DI CONTRASTO AL SEGRETO BANCARIO
Come abbiamo già detto nel primo capitolo circa le caratteristiche dei paradisi fiscali, queste sono caratterizzate dall’assenza di scambio di informazioni: l’obbiettivo dell’OCSE è quindi il rispetto degli standard internazionali in materia di trasparenza e scambio di informazioni ed ha quindi predisposto nel Modello OCSE, alcuni articoli al riguardo.
All’art 26 del modello è previsto lo scambio di informazioni “verosimilmente rilevanti”: questo sia per applicare le convenzioni, sia per applicare le leggi fiscali interne, anche per imposte non considerate dalle convenzioni22. Particolarmente rilevante è il paragrafo 5, in base al quale uno Stato non può rifiutarsi di comunicare
21 Fonte: OXFAM, La lista nera sfumata di grigio, 2017.
22 Teniamo conto del fatto che in passato gli Stati non collaboravano in materia fiscale: il c.d. principio di non collaborazione è stato però progressivamente abbandonato.
delle informazioni perché in possesso di banche, altre istituzioni finanziarie, delegati, agenti e fiduciari. In sostanza, il segreto bancario, tutelato dalla legislazione interna, non esonera dallo scambio di informazioni. Lo scambio di informazioni avviene in tre modi: su richiesta, spontaneamente o in modo automatico.23
Lo scambio di informazioni, oltre che da convenzioni bilaterali, è previsto dalla “Convenzione sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale”24, conclusa il 1’ giugno 2011 e sottoscritta dagli Stati membri del Consiglio d’Europa e dai Paesi membri dell’OCSE.
23 Nel nostro ordinamento si prevede che, per l’accertamento delle imposte sui redditi e dell’Iva, l’amministrazione finanziaria deve scambiare informazioni con altre amministrazioni: D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 31 – art. 65.
24 È necessario sottolineare che la Convenzione originaria è stata elaborata congiuntamente dal Consiglio d’Europa e dall’OCSE ed è stata aperta alla firma degli Stati membri di entrambe le Organizzazioni il 25 gennaio 1988. La Convenzione originaria è stata modificata nel 2010 al fine di armonizzarla con gli standard internazionali in materia di scambio di informazioni a fini fiscali e per aprirla all’adesione di tutti i Paesi, rispondendo all’appello del G20 di consentire a tutti i Paesi di trarre vantaggio dal nuovo contesto di cooperazione in materia fiscale mediante un iter più semplice. La Convenzione modificata dal Protocollo 2010 è entrata in vigore il 1° giugno 0000.Xx suddetta Convenzione mira ad aiutare i Governi ad assicurare il rispetto delle loro leggi fiscali e fornisce un quadro giuridico internazionale per la cooperazione tra Paesi per contrastare l’evasione e la frode fiscali a livello internazionale. La Convenzione offre una gamma di strumenti destinati alla cooperazione amministrativa in materia fiscale, prevedendo tutte le forme di scambio di informazioni, l’assistenza alla riscossione delle entrate e la notifica dei documenti. Facilita altresì i controlli congiunti e la condivisione di informazioni per contrastare altri delitti gravi (per esempio: il riciclaggio di denaro, la corruzione) quando siano state soddisfatte determinate condizioni. Tutela i diritti dei contribuenti, fornisce ampie garanzie per proteggere la confidenzialità delle informazioni scambiate, in particolare, riguardo ai dati personali. Il funzionamento di questa Convenzione multilaterale autonoma è supervisionato da un organo di coordinamento costituito dalle Parti alla Convenzione. Fonte: OCSE.
Nel 2014 è stato firmato a Berlino il “Multilateral Competent Authority Agreement” (Mcaa), un accordo multilaterale sullo scambio automatico di informazioni che 51 Stati membri si sono impegnati ad attuare tra il 2017 e il 2018. Su impulso del G20 il consiglio dell’OCSE, nel 2014, ha approvato lo standard globale per lo scambio automatico di informazioni, il Common reporting standard. Lo scambio di informazioni è previsto anche dal diritto dell’UE. La Direttiva n. 2011/16/UE25 detta norme simili a quelle dell’OCSE, prevedendo che la collaborazione26 riguardi tutte le informazioni “prevedibilmente pertinenti”.
Il congresso degli Usa ha approvato, nel 2010, il FACTA, che, operativo dal 1° luglio 2014, è volto a contrastare l’evasione fiscale, realizzata da cittadini e residenti statunitensi mediante conti intrattenuti all’estero e da non residenti in Usa mediante conti intrattenuti presso istituzioni finanziarie statunitensi, tramite lo scambio automatico di informazioni finanziarie. Il FACTA è una legge interna degli Usa, cui sono seguiti accordi intergovernativi (IGA)27 negoziati da singoli Stati con gli Stati Uniti.
L’Ocse ha tracciato l’ultimo bilancio della rete globale della trasparenza fiscale in occasione del meeting del G20 a Fukuoka, in Giappone, evidenziando che nel 2018 gli scambi di informazioni sul fronte finanziario hanno portato alla luce più di 47
25 La direttiva 2015/2376/UE modifica la Direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico di informazioni.
26 Fonte: Tesauro F., Istituzioni di diritto tributario: parte speciale, 2018.
27 In Italia l’accordo relativo al FACTA è stato ratificato dalla L. 18 giugno 2015.
milioni di conti offshore, per un valore di 4.900 miliardi di euro. La possibilità da parte delle autorità fiscali di accedere alle informazioni dei conti e dei movimenti finanziari dei propri cittadini all’estero ha già generato un effetto consistente sul gettito, visto che si calcolano a livello globale maggiori entrate per 95 miliardi di euro, cifre vicine al Pil delle economie di interi Paesi.
CAPITOLO 3: MULTINAZIONALI IN FUGA VERSO I PARADISI FISCALI
3.1. LE MULTINAZIONALI
Il secolo scorso ha visto una crescita esponenziale del fenomeno “Multinazionali”. Con l’avvento della globalizzazione le multinazionali si sono confrontate ed integrate in una dimensione globale. Internazionalizzazione e inserimento dell’impresa nell’economia globale hanno altamente modificato le strutture societarie e organizzative aziendali, ma anche lo scenario, inserendo le multinazionali in un ambiente sempre più complesso e instabile.
Con il termine multinazionale, vogliamo intendere una azienda che svolge la propria attività in più nazioni: sono grandi imprese economiche la cui proprietà e direzione si trovano in un paese, mentre gli impianti di produzione e le strutture di distribuzione sono dislocati in paesi diversi, e le cui decisioni hanno quindi peso politico, oltre che economico, anche fuori del paese d’origine28. Si compone quindi di una società controllante (generalmente la capogruppo) e la controllata, quest’ultima è definita dall’articolo 2359 del Codice civile29.
28 Fonte: Dizionario Treccani.
29 Secondo l’art. 2359 del c.c.: “Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.”
Nonostante le misure di contrasto che si sono susseguite negli anni da parte degli organismi internazionali e nazionali, (tra queste quelle di cui si è parlato nel secondo capitolo), le multinazionali continuano a dichiarare i loro profitti dove vogliono, utilizzando i prezzi di trasferimento per manipolare il valore delle transazioni tra le varie società controllate.
La pianificazione fiscale aggressiva e l’elusione fiscale internazionale sono praticate dalle multinazionali, che, operando in una molteplicità di Stati, minimizzano il carico fiscale collocando le proprie strutture operative e i relativi profitti secondo criteri di convenienza fiscale: sovente i profitti delle multinazionali, infatti, non sono tassati dove sono prodotti ma sono trasferiti in Paesi dove la tassazione è nulla o molto ridotta.
A livello globale si sta espandendo il fenomeno della “corsa al ribasso sulla tassazione delle imprese” con l’idea che questa pratica possa rendere il Paese più attrattivo per investitori ed imprese. I paradisi fiscali sono i “maestri” di questa competizione. Le multinazionali realizzano strategie di pianificazione fiscale sfruttando le disarmonie e la disomogeneità delle normative fiscali tra diversi paesi, al fine di minimizzare la propria contribuzione fiscale.
3.2. STRATEGIE ELUSIVE
Le multinazionali riescono quindi ad eludere miliardi di euro di tasse. Per farlo le società utilizzano diversi strumenti e stratagemmi, ma quello che li accomuna è la
volontà di minimizzare quanto più possibile la base imponibile nei Paesi con i regimi di tassazione più elevata. Erosione della base imponibile e spostamento dei profitti (Base erosion and profit shifting, Beps) è l’espressione usata dall’OCSE per definire gli effetti negativi delle strategie fiscali delle multinazionali. Per riuscire nel loro intento, le strategie messe a punto dalle multinazionali sono diverse, ne analizzeremo in questa sede due tra le principali.
3.2.1. Profit Shifting
La tecnica di pianificazione fiscale più utilizzata dalle multinazionali è il Profit Shifting, che mira a spostare i profitti verso regimi fiscali privilegiati. Le aziende possono evitare di pagare le tasse registrando i profitti in paradisi fiscali, questo perché, ad esempio, la legge americana permette loro di rinviare a pagare le tasse sul profitto guadagnati all’estero. “Molte aziende americane utilizzano questo sistema usando delle scappatoie che permettono di “mascherare” il profitto guadagnato negli Stati Uniti come profitto “straniero” ricavato dalle filiali localizzate nei paradisi fiscali. È così che oggi, gli Stati Uniti, si trovano con una cifra simile al Pil dell'Italia fuori dai confini nazionali e dunque fuori dalla lente del fisco. “Così facendo - spiega il dirigente di Oxfam, Xxxxxx Xxxxxxxxx - le imprese evadono imposte per un totale di 135 miliardi di dollari l'anno”.30
30 Fonte: Il sole 24 ore, articolo Così 50 multinazionali conservano 1.600 miliardi nei paradisi fiscali, Aprile 2017.
3.2.2. Double Irish with a Dutch sandwich
Un’ulteriore, e più complesso schema utilizzato dalle imprese per eludere il sistema finanziario è il Double Irish with a Dutch sandwich31.
Tale tecnica prevede una triangolazione fiscale tra due società irlandesi (di cui una avente una stabile organizzazione in un paradiso fiscale) e una ulteriore società in Olanda, totalmente “vuota” ed usata solo per far transitare gli utili e dunque per ridurre la base imponibile del gruppo. Fondamentale per capire il meccanismo è la premessa che, in Irlanda, un’azienda deve pagare le tasse nel Paese da cui viene controllata.
Il funzionamento di questo sistema si articola come segue: la società madre concede il diritto allo sfruttamento di una proprietà intellettuale, dietro pagamento di un canone, alla società irlandese con stabile organizzazione offshore. Questa stipulerà poi un contratto di sub-licenza con la società olandese che, a sua volta, stipulerà un nuovo contratto di sub-licenza con la seconda società residente in Irlanda. Sarà quest’ultima, grazie al suo grado di strutturazione e alle risorse umane a disposizione, ad operare effettivamente sul mercato. Pagherà dunque il 12% di tasse sui profitti al netto delle royalties, peraltro deducibili, versate alla società olandese. La società localizzata in Olanda non subirà nessuna ritenuta su di esse, grazie alla Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra Paesi Bassi ed
31 Letteralmente: doppio irlandese con panino olandese.
Irlanda. Essa trasferirà tali royalties alla società irlandese con domicilio fiscale offshore ed esse molto probabilmente non verranno tassate grazie alla totale esenzione per i redditi d’impresa.
L’ultimo problema rimane quello di far convergere i frutti di queste attività alla casa-madre. Le strade solitamente praticate sono:
1) L’acquisto di nuove azioni emesse dalla casa-madre e l’utilizzo della società
di tali shares per eventuali acquisizioni;
2) La vendita alla società consociata di una terza società.
La tecnica appena illustrata è quella utilizzata da centinaia aziende come Apple, Google, Facebook, LinkedIn, Zynga, PayPal, eBay ed altre, le quali decidono di approfittare astutamente dei vantaggi fiscali offerti dall’Irlanda.32
Prendiamo il caso di Google. Secondo quanto riportato dall’Irish Times, Google cede in licenza i propri applicativi ad una società chiamata Google Ireland Holdings, con base fiscale a Bermuda ed una filiale a Dublino, che a sua volta concede nuovamente in licenza il medesimo software ad una società olandese, la quale decide di girarla a Google Ireland Ltd. Questo singolare sistema permette di far uscire dalle casse del gruppo solo il 2,5% in tasse sulle vendite fuori dagli USA.
32 Cfr. Starting Finance, articolo: Approfondimenti Double Irish with dutch sandwich. Disponibile: xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxxxxxx/xxxxxx-xxxxx-xxxx-xxxxx-xxxxxxxxxx/
Pur se in ritardo, l’Irlanda ha preso provvedimenti. Dal 1° gennaio 2015 il meccanismo del Double Irish non è più utilizzabile dalle nuove società che decidono di stabilirsi nel Paese, mentre quelle già operanti all’interno dei confini irlandesi devono riorganizzare la propria struttura per adeguarsi alle nuove norme entro il 2020. Tutte le imprese registrate a Dublino vengono considerate fiscalmente residenti in Irlanda. Secondo gli analisti l’addio al Double Irish non determinerà la fuga delle imprese dal Paese: saranno garantiti nuovi incentivi a cominciare da un taglio alle tasse sui profitti collegati allo sfruttamento dei brevetti.
Figura 1: Schema concettuale Double Irish with a Dutch sandwich
33
33 Fonte: Starting Finance, disponibile online: xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx
3.3. PIANO DI CONTRASTO OCSE
Su mandato del G20 l’OCSE ha predisposto, negli anni dal 2013 al 2015, un piano formato da 15 azioni, volto a contrastare le strategie fiscali delle multinazionali, ed in generale l’elusione fiscale internazionale.
La prima azione riguarda l’economia digitale. Poiché i sistemi fiscali attuali non riescono a tassare in modo soddisfacente i redditi prodotti dalle grandi multinazionali dell’economia digitale, le cui strutture sono dematerializzate, il piano di azione propone di prescindere dalla presenza fisica di una società o di una stabile organizzazione e di basare la tassazione su forme di “presenza digitale significativa” o di “stabile organizzazione virtuale”.
La seconda azione prevede la neutralizzazione degli effetti degli ibridi (Hybrid mismatch arrangements34), con cui, sfruttando le asimmetrie tra diversi ordinamenti, le multinazionali raggiungono risultati di “doppia non imposizione”, o deduzione della stessa spesa in più ordinamenti, o la deduzione in un Paese di imposte mai corrisposte altrove, o il differimento a lungo termine del pagamento delle imposte.
34 Occorre specificare che gli ibridi sono istituti giuridici considerati in modo diverso da due o più Stati: possono essere, ad esempio, entità che sono considerate trasparenti in uno Stato (partnerships) e non trasparenti altrove (corporations); ciò consente di dedurre in uno Stato un costo che non è considerato imponibile nell’altro Stato.
La terza azione riguarda la normativa sulle imposte estere controllate (CFC) e propone norme che evitino lo spostamento fittizio dei redditi verso società domiciliate in Paesi a fiscalità privilegiata.
L’azione 4 punta a limitare l’erosione dell’imponibile derivante dalla deduzione di interessi e altri costi relativi a finanziamenti effettuati tra società dello stesso gruppo, ponendo limiti alle deduzioni.
La quinta prevede una ristrutturazione delle misure relative alle pratiche fiscali dannose, incrementando la trasparenza, dando evidenza alla sostanza delle operazioni e rendendo obbligatorio lo scambio di informazioni che riguardano i regimi agevolati.
L’azione 6 limita, con clausole antiabuso, i benefici concessi in circostanze non appropriate: si fa riferimento al treaty shopping, che si configura quando un soggetto, che non risiede in nessuno dei due Stati che hanno stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni, cerca di beneficiare della convenzione usando società fittizie prive di sostanza economica.
La settima azione modifica il concetto di “stabile organizzazione” per neutralizzare le strategie attuate dalle multinazionali per spostare i profitti dove la tassazione è più conveniente.
Il pacchetto di azioni dalla 8 alla 10 riguarda il transfer pricing e si propone di far sì che i profitti non siano trasferiti ma siano tassati dove si è svolta l’attività che li ha prodotti.
Le ultime azioni riguardano la misurazione del Beps (azione 11), le metodologie attraverso le quali possono essere conosciuti i fenomeni di pianificazione aggressiva (azione 12), la documentazione richiesta alle multinazionali in materia di transfer pricing (azione 13). L’azione 14 ha lo scopo di rendere più efficaci i meccanismi di risoluzione delle controversie. Infine, l’azione n. 15 si prefigge di sviluppare uno strumento multilaterale con cui modificare gli accordi bilaterali per adeguarli in modo rapido all’evoluzione dell’economia globale.35
3.3.1. Adeguamento italiano al progetto Beps
Sono numerosi gli interventi del legislatore italiano riconducibili al progetto Beps. In linea con le azioni 1, 7, e 8 del progetto il legislatore italiano ha modificato, ampliandola, la definizione di stabile organizzazione e introdotto la c.d. web tax36.
35 Fonte: Tesauro, F. 2018 Istituzioni di diritto tributario; parte speciale, pag. 404
36 Con web tax si intendeva fino all'anno scorso l'imposta sulle transazioni digitali introdotta dalla legge di Bilancio 2018. La legge di Bilancio 2019, all’articolo 1, commi 35-50, ha però abrogato la precedente web tax “imposta sulle transazioni digitali” introducendo la nuova web tax “imposta sui servizi digitali”. La web tax prevista dalla legge di Bilancio 2018 era un'imposta sostitutiva (cedolare del 3%) applicata ai ricavi derivanti dalle prestazioni di servizio effettuate tramite mezzi elettronici, al netto dell'IVA. L'imposta non dipendeva dal luogo di conclusione della transazione: era dovuta sempre e comunque ove i soggetti avessero effettuato un certo numero di prestazioni digitali. Si trattava di un tributo assimilabile ad un’imposta indiretta in quanto colpiva l’intero volume d’affari. L'imposta è stata abrogata prima di entrare in vigore.
La nuova web tax consiste in un'aliquota del 3% sui ricavi percepiti da determinati soggetti.
La dichiarazione dell’imposta è annuale e riguarda l'ammontare dei servizi tassabili prestati entro quattro mesi dalla chiusura del periodo d'imposta. Il versamento dell’imposta va effettuato, invece, entro il mese successivo a ciascun trimestre: Fonte IPSOA, 2019.
In relazione all’azione 3 il legislatore ha modificato la disciplina dei dividendi derivanti da società controllate estere, che svolgono una effettiva attività commerciale (Tuir, art. 167, comma 5).
In corrispondenza con le azioni da 8 a 10 il legislatore italiano ha modificato la disciplina del transfer price (art 59, comma 1, D.l. 24 aprile 2017, n. 50).
Si ricordino inoltre gli interpelli per agevolare gli investimenti esteri (art. 31 ter
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) e le nuove norme sullo scambio di informazioni (D.lgs. 32 del 15 marzo 2017), anche se sono attuazioni non tanto del progetto Beps, quanto della direttiva 2015/2376/UE.
Infine, in corrispondenza all’azione 15, l’Italia ha sottoscritto la convenzione multilaterale (MLI – Multi Lateral Instrument), della quale è stata promotrice in sede OCSE, e che comporterà la riformulazione di disposizioni dei trattati contro le doppie imposizioni, in tema di abuso dei trattati, stabile organizzazione, costruzioni ibride e meccanismi di soluzione delle controversie (rispettivamente azioni Beps 6, 7, 2 e 14).
Conclusione
Tra le caratteristiche principali dei paradisi fiscali sono riscontrabili l’assenza di tassazione o un livello meramente nominale, l’assenza di un adeguato scambio di informazioni con i Paesi a fiscalità ordinaria, nonché la mancanza di trasparenza. L’analisi delle misure di contrasto messe in atto pone in evidenza che si tratta di tentativi ancora non sufficienti, sebbene l’attività di scambio di informazioni abbia prodotto, negli ultimi anni, risultati apprezzabili.
Per quanto attiene alla domanda introduttiva circa le cause che spingono le multinazionali verso i paradisi fiscali, concludiamo affermando che tali cause sono di natura fiscale e di convenienza economica. Gli scarsi risultati prodotti dalle misure messe in atto sono dovuti, a mio avviso, al fatto che le elevate dimensioni delle multinazionali, non influenzano solo l’economia dei Paesi e la competizione nel mercato globale, ma anche le scelte politiche, soprattutto quando queste multinazionali mettono in atto attività di lobbying.
Essendo questo un argomento molto attuale, verso il quale organismi europei, ma anche internazionali, stanno dimostrando parecchia attenzione, ritengo e spero che nel futuro prossimo verranno messe in atto da parte dei governi delle misure di contrasto contro l’elusione fiscale che si potranno considerare efficienti, specie verso le Multinazionali date le gravi conseguenze che comportano ai Paesi in via di sviluppo.
Bibliografia
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Xxxxxx X.: Paradisi e Paradossi Fiscali, il rovescio del diritto tributario internazionale, Xxxx, 0000, Xxxxxx.
Valente P.: Elusione fiscale internazionale: Controlled Foreign Companies (CFC), Disposizioni anti-paradisi fiscali, Thin Capitalization, Il sole 24 ore, 0000, Xxxxxx. Xxxxxxx N.: Le isole del tesoro. Viaggio nei paradisi fiscali dove è nascosto il tesoro della globalizzazione - 1°ed. in “serie bianca”, Feltrinelli, 2012, Milano.
Tesauro, F.: Istituzioni di diritto tributario, parte speciale, Utet Giuridica, Milano, 2018.
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Sitografia
xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx: Starting Finance è la più grande community in
Italia per giovani appassionati al mondo economico-finanziario dal quale ho estrapolato le strategie elusive messe in moto dalle multinazionali; xxxxx://xxx.xxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxx-xxxxx/xxxxxxxx/xxxxxxxx-xxxxxxx-xxxxxx-xxxxx-
liste-grigia-e-nera-delleuropa; xxxxx://xxx.xxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxx-
mondo/articolo/ocse-scambio-informazioni-porta-casa-95-miliardi-gettito: Fisco
oggi è una pubblicazione dell’Agenzia delle Entrate dal quale ho estrapolato e rielaborato concetti circa la black list stilata dall’OXFAM e il maggior gettito nelle casse nazionali dovuto allo scambio di informazioni:
xxxxx://xxx.xxxxxx00xxx.xxx/xxx/x-xxxxx-xxx-xxxxxxxxxxxxxx-xxxxxxx-xxxx-
paradisi-fiscali-ACcUA4S; xxxxx://xx.xxxxxx00xxx.xxx/xxx/xxxxx-x-xxxxxxx/0000-00-
20/mappa-paradisi-fiscali-isolette-163056_PRN.shtml: Il sole 24 ore Banca dati.
xxx.xxxx.xxx: sito Ufficiale dell’OCSE dal quale ho elaborato le misure di
contrasto da questa messe in moto contro l’elusione fiscale ed è inoltre disponibile la pubblicazione del 98: Harmful tax competition: An Emerging Global Issue – OECD Publications. Aprile 1998.
xxxx://xxxxxxxxxxxxxx.xx/xx-xxxxxxx/xxxxxxx/0000/00/XXX-Xxxxxxxxxxx%XX%00-
economica-e-paradisi-fiscali-Riv.-GdF-n.-2-2016-1.pdf: Rivista guardia di finanza
dal quale ho estrapolato le misure di contrasto principali messe in moto contro i paradisi fiscali;
xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xxx.: Nel sito ufficiale dell’OXFAM è disponibile
l’articolo: Battaglia fiscale: La pericolosa corsa globale al ribasso nella tassazione d’impresa; sui cui mi sono basata per l’articolazione del capitolo circa le multinazionali.