Stefano Delle Monache
Xxxxxxx Xxxxx Monache
IL CONTRATTO DI RETE TRA IMPRESE (*)
1. Vicende normative e definizione attuale della figura. - 2. Reti semplici, reti con elementi di organizzazione, reti-soggetto. - 3. Il contratto di rete tra funzione e oggetto. - 4. Il contratto di rete come contratto tipico con funzione associativa. - 5. Il programma comune e gli obiettivi strategici. L’affinità con i consorzi. - 6. Soggettività giuridica della rete e rappresentanza. - 7. La responsabilità per le obbligazioni contratte dall’organo comune. - 8. (Segue). Il regime delle reti prive di soggettività. - 9. (Segue). Responsabilità e separazione patrimoniale. L’applicabilità dell’art. 2615, 2° comma, c.c. anche alle reti prive di soggettività. - 10. I conferimenti mediante apporto di un patrimonio destinato ai sensi dell’art. 2447-bis, 1° comma, lett. a), c.c.
1. Vicende normative e definizione attuale della figura.
L’introduzione della fattispecie del contratto di rete nel nostro ordinamento giuridico si deve al d.l. 10.2.2009, n. 5, convertito con modificazioni nella l. 9.4.2009, n. 33. Esso veniva originariamente definito come quel contratto con cui «due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispetti oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato».
Era così offerta l’immagine di un contratto costruito per l’impresa e stipulabile solo tra imprenditori: un contratto, anzi, tendenzialmente rivolto alle imprese collettive, come poteva ricavarsi non solo dal riferimento, nella definizione normativa, all’oggetto sociale dei partecipanti alla rete, ma anche dal fatto che tra gli elementi contenutistici prescritti dal legislatore era inclusa l’indicazione della «denominazione sociale delle imprese aderenti»; un contratto, ancora, pensato come strumento per rafforzare l’impresa, ma tenendone ferma l’identità, se è vero che lo scopo di accrescimento delle reciproche capacità innovative e della competitività sul mercato doveva essere perseguito, da parte delle imprese retiste, senza alcuna modificazione del proprio oggetto sociale, ma, appunto, attraverso l’esercizio in comune di attività in esso rientranti.
Le vicende di questa nuova figura contrattuale subito si dimostrarono destinate, tuttavia, a seguire un percorso travagliato. Già con l. 23.7.2009, n. 99 il testo normativo subiva una profonda rivisitazione, arricchendosi di nuovi contenuti, rispetto ai quali vale la pena di segnalare, a proposito del fondo patrimoniale comune, la comparsa del riferimento alla disciplina consortile dettata dagli artt. 2614 e 2615 c.c.
Ma ancora più profonde, poi, furono le modifiche introdotte con il successivo d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito nella l. 30.7.2010, n. 122. L’oggetto del contratto, non più limitato all’esercizio in comune di
* Il contributo è destinato al Trattato dei contratti diretto da X. Xxxxx.
attività economiche rientranti nei rispetti oggetti delle imprese retiste, veniva dilatato in modo da consentire a una pluralità di imprenditori, sulla base di un programma comune, di obbligarsi anche «a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica». Inoltre, si rendeva facoltativa l’istituzione del fondo patrimoniale comune e dell’organo comune, prevista per l’innanzi, invece, come momento fondante dell’aggregazione creata con il contratto di rete (1).
Né può trascurarsi infine di ricordare – anche perché verrebbe altrimenti sottaciuta una ragione, sebbene certamente non l’unica, del cospicuo ricorso fatto registrare dalla prassi allo strumento in esame – che con lo stesso d.l. n. 78/2010 sopra citato furono attribuite non irrilevanti agevolazioni fiscali alle imprese che avessero partecipato o aderito ad un contratto di rete, agevolazioni consistenti sostanzialmente in una sospensione di imposta per gli utili di esercizio accantonati ad apposita riserva e destinati alla realizzazione del programma comune, purché questo risultasse preventivamente asseverato da appositi organismi pubblici o privati.
Xxxxxx, con d.l. 21.6.2012, n. 83, convertito nella l. 7.8.2012, n. 134, il legislatore tornava a metter mano al testo normativo, introducendo alcune previsioni specificamente dedicate alla rete istituita mediante un contratto con cui essa fosse stata dotata – cosa non più imprescindibile, come detto – di un fondo e di un organo comune. In questa ipotesi, l’organo comune veniva investito del compito di redigere una situazione patrimoniale sulla scorta della disciplina relativa al bilancio di esercizio delle società per azioni, depositando il documento, poi, presso l’ufficio del registro delle imprese competente in base alla sede della rete. Ma soprattutto si prevedeva, per il caso di costituzione del fondo comune, che la rete potesse iscriversi «nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede», acquistando, mediante tale iscrizione, la «soggettività giuridica».
L’ultimo intervento di riforma, infine, è stato operato con d.l. 18.10.2012, n. 179, convertito con modificazioni nella l.17.12.2012, n. 221. La versione attuale del testo normativo stabilisce che, salvo il caso dell’iscrizione della rete nella sezione ordinaria del registro delle imprese tenuto dall’ufficio competente per il luogo in cui si trova la sua sede, «il contratto di rete che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica».
Un’importante modifica ulteriore, strettamente legata al profilo della soggettività, attiene all’esercizio dei poteri dell’organo comune, di cui si precisa che deve intendersi abilitato ad agire in rappresentanza (id est, in nome) della rete, quando essa acquista, per l’appunto, la soggettività, o in rappresentanza (id est, in nome) dei singoli imprenditori partecipanti al contratto, nel caso opposto.
2. Reti semplici, reti con elementi di organizzazione, reti-soggetto.
Secondo il testo normativo attualmente in vigore, frutto della serie di interventi del legislatore sopra ricordati, il contratto di rete «può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la
1 Si è trattato di un intervento – è stato perciò detto – il quale «ha segnato fortemente l’identità contrattuale dell’istituto che permane, seppur rivisitata, anche dopo le nuove riforme» (CAFAGGI-‐IAMICELI-‐XXXXX, Gli ultimi interventi legislativi sulle reti, in Il contratto di rete per la crescita delle imprese a cura di X. Xxxxxxx, P. Iamiceli e G.D. Xxxxx, Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, Xxxxxxx, 2012, p. 489).
nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso». Nondimeno, il contratto che pur contempli «l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica». Questa infatti si consegue «ai sensi del comma 4-‐quater ultima parte», il quale dispone che, «se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede», con il risultato che, mediante tale iscrizione, «la rete acquista soggettività giuridica».
Pertanto, non è dubbio che possono essere costituite reti non dotate di fondo patrimoniale e di organo comune come anche reti radicate in un contratto che preveda l’istituzione dell’uno e dell’altro. Né è dubbio che, quando la scelta dei contraenti si rivolga verso questo secondo e più sofisticato modello, costoro rimangono comunque liberi di compiere poi il passo ulteriore che consente alla rete di conseguire la soggettività mediante l’adempimento pubblicitario dianzi menzionato o di astenersi dal far ciò, così evitando che essa sovrapponga una propria ed autonoma soggettività a quella delle imprese partecipanti al contratto.
Sono dunque distinguibili, come esito del contratto qui in esame, reti semplici, poiché contrassegnate – diciamo così – da una contrattualità pura, reti dotate di elementi di organizzazione, quali sono il fondo patrimoniale e l’organo comune, e reti che acquistano la soggettività giuridica, ovverosia reti-‐soggetto. Su ciascuno di questi tre modelli conviene svolgere subito qualche osservazione, lasciando al prosieguo del lavoro i necessari approfondimenti.
Iniziando dalle reti che abbiamo definito “semplici”, occorre dire, anzitutto, che il contratto con cui sono create dev’essere stipulato tra «più imprenditori». Siamo dunque nell’area dei contratti di impresa: non meramente nel senso che, in ragione del suo oggetto, il contratto presupponga la qualità imprenditoriale di una delle parti, come nel caso, ad es., dell’appalto (2), ma nel senso che esso è destinato direttamente a servire al rafforzamento dell’impresa, favorendo l’accrescimento della «capacità innovativa» e della
«competitività sul mercato» dei singoli contraenti (3).
Il settore di appartenenza del contratto di rete, più precisamente, è dunque quello dei contratti che richiedono la sussistenza della qualità imprenditoriale come requisito esteso, in genere, a ciascuna delle parti e non già limitato ad un contraente soltanto (4). Il contratto va stipulato, appunto, tra «più
2 Si veda, tuttavia, quanto precisato da XXXXXX e IUDICA, Dell’appalto4, Art. 1655-‐1677, in Commentario del Cod. Civ.
Scialoja-‐Branca a cura di X. Xxxxxxx, Bologna-‐Roma, 2007, p. 16 e 97.
3 La terminologia in questa materia – va avvertito – è tutt’altro che univoca. Ed anche di recente, per vero, non è mancato chi, rifacendosi alle classificazioni del Dalmartello (vedine la sintesi in DALMARTELLO, voce «Contratti d’impresa», in Enc. giur. it., Roma, 1988, p. 1), limita l’uso dell’espressione “contratti d’impresa” ai contratti con cui si esplica l’attività imprenditoriale, essi venendo intesi come un sottogruppo diverso (in seno alla categoria dei “contratti dell’impresa”) da quello dei contratti diretti al coordinamento della suddetta attività (DI MARZIO, I contratti tra imprese, in Diritto civile diretto da X. Xxxxxx e X. Xxxxxxxx e coordinato da X. Xxxxxxx, Il contratto in generale, Milano, 2009, p. 75 ss.).
4 XXXXXXX, Contratti di impresa e contratti tra imprese, in Il corr. del mer., 2010, p. 5 ss. ed ivi 6; CAFAGGI, Il nuovo contratto di rete: “Learning by doing”?, in I contr., 2010, p. 1143 ss. ed ivi 1145; DI XXXXX, I contratti di rete tra imprese, in Riv. del not., 2011, p. 201 ss. ed ivi 206.
imprenditori», e in questo rivela un’affinità con taluni specifici tipi contrattuali come, ad es., l’affiliazione commerciale (5) e il consorzio (6).
Ciò in linea di principio, almeno: perché bisogna chiedersi se sfuggirebbe ad una qualificazione come contratto di rete quel contratto che, stipulato con i contenuti e indirizzato a realizzare gli scopi propri del modello qui in esame, si ponesse quale fonte di un rapporto esteso anche a soggetti non dotati di qualità imprenditoriale, come potrebbe essere il caso della rete cui partecipassero anche enti di ricerca o università (7). L’interrogativo non sembra possa essere risolto valorizzando il riferimento, contenuto nella definizione normativa, alla pluralità di imprenditori per concludere che il contratto di rete sia necessariamente da stipulare soltanto tra imprenditori, a pena di doversi altrimenti riconoscere l’estraneità della fattispecie alla figura e alla disciplina poste dal legislatore. Dirimente è piuttosto la rispondenza o no dei contenuti fissati dalle parti e delle finalità perseguite al modello legalmente tipizzato: a costituire il quale è dunque necessaria la sussistenza di più imprenditori, ma senza che – sembra di poter concludere – ciò escluda che anche altri possano essere i soggetti contraenti, nel limite in cui l’estensione a costoro del vincolo contrattuale risulti non già distonica, ma funzionale rispetto allo scopo del rafforzamento delle imprese partecipanti alla rete (8). Niente tuttavia è d’ostacolo – e si tratta, anzi, di una soluzione operativa più sicura – a che si provveda prima alla costituzione della rete e soltanto in seguito alla stipulazione di appositi accordi con i soggetti privi della qualità imprenditoriale (9).
È ancora da aggiungere, posto quanto sopra, che il contratto di rete si perfeziona tra «più imprenditori» nel senso che questi debbono essere almeno due (10). In tale accezione esso appartiene al novero dei contratti plurilaterali, ed anzi costituisce (come testualmente chiarito dal legislatore, ma si tratta di un punto che bisognerà approfondire nel prosieguo) un contratto plurilaterale «con comunione di scopo»: un contratto, perciò, in cui le prestazioni di ciascuna parte, secondo la formula usata nell’art. 1420 c.c., «sono dirette al conseguimento di uno scopo comune». Questo scopo è enunciato già in apertura della definizione
5 Quanto al franchisee, questi è certo imprenditore, perlomeno, dal momento in cui, in esecuzione del contratto, inizia a svolgere la propria attività: FICI, Il contratto di franchising, Napoli, 2012, p. 23.
6 In particolare, la stretta vicinanza con il consorzio, non certo limitata al solo profilo soggettivo, è stata subito messa in evidenza dalla dottrina: MARASÀ, Contratti di rete e consorzi, in Il corr. del mer., 2010, p. 9 ss.; XXXXXXX, Reti di imprese, contratto di rete e reti contrattuali, in Obbl. e cont., 2009, p. 951 ss. ed ivi 952.
7 Diversa l’impostazione di CAFAGGI, Introduzione, in Il contratto di rete. Commentario a cura di X. Xxxxxxx, Bologna, 2009, p. 9 ss. ed ivi 34, secondo cui sarebbe da ritenere nulla la partecipazione del soggetto non imprenditore.
8 Il problema si sdrammatizza non di poco se, come afferma XXXXXXX, Il contratto di rete dopo la l. n. 122 del 2010, in I contr., 2011, p. 617 ss. ed ivi 621 s., per “imprenditori” dovrebbero qui intendersi, sulla scorta della legislazione comunitaria, «tutte le persone fisiche o giuridiche che agiscano nel quadro della loro attività professionale, pubblica o privata». Ritiene che la partecipazione di enti, pubblici o privati, al contratto di rete sia consentita in applicazione analogica dell’art. 2545-‐septies, 1° comma, n. 3, c.c., XXXXXXXXX, Il «contratto di rete» fra (comunione di) impresa e società (consortile), in Riv. dir. civ., 2011, I, p. 323 ss. ed ivi 338, il quale precisa che la ratio di tale disposizione «è nella natura mutualistico-‐consortile del gruppo paritetico, non estranea alla “rete”».
9 BRIGANTI, La nuova legge sui “contratti di rete” tra le imprese: osservazioni e spunti, in Notariato, 2010, p. 191 ss. ed ivi 194.
10 GENTILI, Il contratto di rete, cit., p. 622; CAFAGGI, Il nuovo contratto di rete, cit., p. 1146; MALTONI, Il contratto di rete. Prime considerazioni alla luce della novella di cui alla l. n. 122/2010, in Notariato, 2011, p. 64 ss. ed ivi 67; XXXXXXX, Reti e contratto di rete, Padova, 2012, p. 69. Per l’ammissibilità anche di un contratto di consorzio stipulato da due parti soltanto, XXXXXXXXXXXXX, Dei consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi3, Art. 2602-‐2620, in Commentario del Cod. Civ. Scialoja-‐Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna-‐Roma, 1992, p. 77 ss.
normativa, esso consistendo nella finalità, perseguita dagli imprenditori contraenti, di «accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato».
Non solo il contratto di rete è un contratto plurilaterale con comunione di scopo: esso è anche presentato dal legislatore come un contratto aperto all’adesione di altri imprenditori. In particolare, sono le disposizioni relative ai requisiti contenutistici del contratto a porre la necessità che in esso siano indicati tutti i partecipanti «per originaria sottoscrizione … o per adesione successiva» (lett. a), nonché precisate «le modalità di adesione di altri imprenditori» (lett. d), in mancanza di che – può aggiungersi – troverà applicazione il dettato dell’art. 1332 c.c. Non sembra certo essere questa, tuttavia, una connotazione del contratto di rete che il legislatore abbia inteso porre come un elemento rigido della struttura della fattispecie, capace di imporsi alla volontà delle parti: le quali, al contrario, possono senz’altro escludere la possibilità di adesioni successive, mantenendo chiusa, così, la cerchia dei soggetti partecipanti alla rete (11).
Si è alluso, poc’anzi, ai requisiti contenutistici fissati dal legislatore, e il discorso va completato aggiungendo sinteticamente che essi consistono, oltre a quanto già detto, e per appuntare lo sguardo, ora, su ciò che rileva per le sole reti “semplici”, nell’indicazione o definizione di quel che segue: gli elementi identificativi dei singoli partecipanti; gli obiettivi strategici di innovazione e innalzamento della capacità competitiva di costoro; il programma di rete con la previsione dei diritti e degli obblighi di ciascuna impresa retista; la durata del contratto; le cause di recesso e le condizioni per il suo esercizio; le regole di assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune, inerente (è da intendere) all’esecuzione del contratto; le regole relative all’eventuale modificabilità a maggioranza del programma di rete.
Il contratto di rete, stabilisce ancora il legislatore, «è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante». L’efficacia dell’iscrizione sembra essere quella prevista dall’art. 2193 c.c. Così, quando non risultino dal registro delle imprese, non potranno essere opposti ai terzi, ad es., i limiti fissati al potere rappresentativo dell’organo comune rispetto alla conformazione che, come vedremo, esso riceve ex lege (12).
Bisogna aggiungere tuttavia che, per espressa previsione normativa, il contratto di rete inizia a produrre i suoi effetti «quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari». La mancanza anche di una soltanto di codeste iscrizioni parrebbe dunque condannare il contratto alla stasi effettuale. Si è peraltro osservato che non esiste ragione, in realtà, per considerare inefficace nei rapporti inter partes il contratto di rete che non sia stato iscritto nel registro delle imprese, sicché l’efficacia di cui si parla nella citata previsione normativa sarebbe solo quella consistente nella separazione rispetto ai patrimoni delle imprese retiste delle risorse affidate al fondo
11 L’adesione potrebbe essere subordinata al gradimento dei primi partecipanti. Sul tema del gradimento, tanto nel diritto degli enti quanto nel diritto contrattuale, si veda, di recente, l’ampia monografia di XXXXXX, La clausola di gradimento, Milano, 2012.
12 Sulla pubblicità del potere rappresentativo dell’organo, CAFAGGI e IAMICELI, Contratti di rete. Inizia una nuova stagione di riforme?, in Obbl. e contr., 2009, p. 595 ss. ed ivi 600 s.
della rete, con la conseguente limitazione di responsabilità delle imprese stesse di fronte ai terzi per le obbligazioni contratte dall’organo comune (13).
Anche le modifiche successive vanno iscritte, ma al riguardo la legge prevede che debba essere seguito un procedimento particolare. Tenuta all’iscrizione sarà l’impresa cui questo compito venga affidato, dagli altri partecipanti alla rete, nell’atto modificativo degli accordi originari. L’iscrizione dovrà essere domandata, da questa impresa, presso l’ufficio del registro ove essa è iscritta, tale ufficio dovendo poi provvedere alla «comunicazione della avvenuta iscrizione delle modifiche al contratto di rete a tutti gli altri uffici del registro delle imprese presso cui sono iscritte le altre partecipanti», i quali uffici cureranno le
«annotazioni … della modifica».
Per il contratto di rete è prevista, da ultimo, l’osservanza di particolari requisiti formali, ma soltanto ai fini degli adempimenti pubblicitari testé ricordati, come il legislatore precisa. Esso più precisamente dovrà essere stipulato «per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per atto firmato digitalmente a norma degli articoli 24 o 25 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82».
Posto tutto quel che precede a proposito della forma e della pubblicità del contratto di rete, occorre a questo punto tornare sui suoi requisiti contenutistici, già dianzi brevemente elencati. Si tratta, più precisamente, di requisiti di forma-‐contenuto, nel senso che non basterà che sugli elementi che il contratto «deve indicare» si sia formato l’accordo delle parti, occorrendo invece che essi risultino dallo stesso, e cioè siano compresi nel testo contrattuale affidato ad una delle vesti formali previste dalla disciplina normativa della fattispecie in esame. Tuttavia, poiché – come si diceva – la legge stabilisce che il contratto di rete debba essere stipulato con l’osservanza di determinate forme soltanto «ai fini degli adempimenti pubblicitari» posti a carico delle parti contraenti, è da escludere che la mancata o insufficiente indicazione, all’interno del testo contrattuale, di uno degli elementi richiesti possa di per sé tradursi, a sua volta, in una causa di nullità (14). Piuttosto, l’incompletezza contenutistica del testo, ovverosia il non corretto adempimento degli oneri di forma-‐contenuto fissati dal legislatore, sembra costituire un ostacolo all’iscrizione del contratto nel registro delle imprese, con conseguente inopponibilità dei suoi effetti ai terzi, salvo che si provi che essi ne abbiano avuto conoscenza (15).
13 Così SCIUTO, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete (ovvero dell’incapienza del patrimonio separato), in Il contratto di rete per la crescita delle imprese a cura di X. Xxxxxxx, P. Iamiceli, G.D. Xxxxx, cit., p. 65 ss. ed ivi 97 ss., secondo cui la pubblicità, sotto questo profilo, avrebbe natura costitutiva. In generale con riguardo ai fenomeni di separazione, nel senso che la pubblicità serva «a produrre … l’effetto separativo», IBBA, La pubblicità del patrimonio destinato, in Giur. comm., 2007, I, p. 725 ss. ed ivi 727.
14 Cfr., sia pure in base all’originario dettato normativo, che non collegava l’adozione delle forme previste al compimento degli adempimenti pubblicitari, XXXXXXX, Il “contratto” e la “rete”: brevi note sul riduzionismo legislativo, in I contr., 2009, p. 951 ss. ed ivi 953.
15 Le prescrizioni di forma-‐contenuto costituiscono una manifestazione eminente del c.d. “neoformalismo” negoziale. Come è stato detto, nella «legislazione nuova, l’incorporazione di un contenuto minimo dentro la struttura formale diviene un autentico leit motiv» (MODICA, Vincoli di forma e disciplina del contratto. Dal negozio solenne al nuovo formalismo, Milano, 2008, p. 128). Si tratta di una tecnica orientata al superamento delle asimmetrie informative, con il fine ultimo del mantenimento di un mercato concorrenziale: mentre è diversa la funzione che i vincoli contenutistici assumono – si è osservato – a proposito del contratto di società o di consorzio (quanto a quest’ultimo, in particolare, si veda l’art. 2603 c.c.), rispetto ai quali essi sono stabiliti in vista della pubblicità nel registro delle imprese (MODICA, op. cit., p. 133). A questo modello sembra dover essere accostato, sotto il profilo in esame, il
Si devono a questo punto svolgere, come preannunciato, talune prime considerazioni sulle reti dotate di elementi di organizzazione, questi elementi essendo in particolare rappresentati dal fondo patrimoniale e dall’organo comune (16). Per vero, il contratto di rete è sempre destinato a costituire un’aggregazione organizzata tra le imprese aderenti, come dimostra il riferimento, nel quadro dei requisiti contenutistici richiesti dalla legge, alla necessaria fissazione delle regole decisionali relative all’attuazione del rapporto per tutto ciò che non appartiene alla competenza dell’organo comune, se istituito. Ma è, appunto, soltanto con l’erezione di quest’organo e con la costituzione di un fondo patrimoniale che la struttura organizzativa della rete da embrionale diventa più complessa, ponendosi il problema, oltre tutto, se ciò determini la nascita di un soggetto distinto dalle singole imprese aggregate, problema che tuttavia con l’ultimo intervento di riforma è stato risolto negativamente, se è vero che, per testuale previsione del legislatore, la rete che si doti di un organo comune e di un fondo patrimoniale rimane nondimeno sprovvista di soggettività giuridica, per l’acquisto della quale è invece necessaria, come già ricordato, l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese del luogo in cui ne è stabilita la sede.
Orbene, per la rete che presenti gli elementi di organizzazione testé indicati valgono alcune regole speciali. Il contratto, prima di tutto, ne deve indicare «la denominazione e la sede». Con specifico riguardo al fondo patrimoniale, poi, esso deve stabilire «la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi … nonché le regole di gestione», prevedendosi altresì che, se consentito dal programma, il «conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato», ai sensi dell’art. 2447-‐bis, 1° comma, lett. a), c.c. Con riguardo invece all’organo comune, il contratto dovrà identificare il «soggetto prescelto per svolgere l’ufficio», fissando «i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti …, nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto».
3. Il contratto di rete tra funzione e oggetto.
Svolte le superiori premesse, intese ad offrire un quadro d’insieme sui tratti identificativi della figura qui esaminata, è al profilo funzionale e all’oggetto del contratto di rete che bisogna volgere lo sguardo, per tentare di penetrarne l’essenza.
Esso risulta definito attraverso il riferimento ad una funzione che il legislatore individua in maniera sufficientemente precisa. Le parti contraenti perseguono, mediante la sua stipulazione, «lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato» (17).
contratto di rete. La qual cosa non esclude che si possa, pur con questa precisazione, discorrere di requisiti di forma-‐ contenuto riguardo agli elementi che il legislatore richiede connotino il testo a cui è affidata l’espressione degli accordi intervenuti tra le parti.
16 Afferma che entrambi sono essenziali alle reti il cui programma preveda lo svolgimento di un’attività verso l’esterno, SCIUTO, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete, cit., p. 85. In generale, nel senso che, invece, potrebbero aversi reti con fondo patrimoniale ma sprovviste di organo comune e reti dotate di quest’ultimo ma non del fondo, CAFAGGI, Il nuovo contratto di rete, cit., p. 1148.
17 Si tratta di una formula in cui è da cogliere «il richiamo al requisito della causa del nuovo contratto» (così, sebbene con riguardo alla vecchia versione del testo di legge, XXXXXXX, Contratti di impresa e contratti tra imprese, cit., p. 7).
Ampiamente indeterminata, invece, rimane l’immagine che il contratto di rete offre di sé dal punto di vista del suo oggetto. A parte quanto diremo a proposito del fondo comune (18), la struttura effettuale è di tipo obbligatorio, essendo il programma di rete, tra gli elementi di cui la fattispecie deve constare, la sede propria dell’enucleazione «dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante»: ma, quanto al contenuto di questi diritti e obblighi reciproci, l’autonomia delle parti non subisce quasi alcun limite, salvo il fatto che essi debbono risultare, com’è ovvio, funzionali alla realizzazione dello scopo da cui il contratto risulta normativamente connotato.
È ben vero che il legislatore, già nella parte iniziale della disciplina in discorso, si preoccupa di indicare l’ambito possibile degli impegni assumibili dai partecipanti alla rete («Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo … e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune …»).
Sennonché il contenuto di questi impegni può variare entro uno spettro in tal guisa ampio da giustificare la conclusione che, da questo punto di vista, i confini della figura risultino in realtà inafferrabili. Al riguardo, appare soprattutto significativo il riferimento, come eventuale oggetto del contratto di rete, all’assunzione dell’obbligo reciproco, da parte dei contraenti, di «scambiarsi … prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica»: una formula, questa, non solo di portata assai vasta, ma che addirittura merita, se la si confronta con il dettato dell’art. 2195 c.c., di essere intesa ancor più latamente di quanto il suo tenore letterale suggerisce, non vedendosi ragione per escludere che, mediante il programma comune, una delle imprese retiste possa, ad es., impegnarsi a svolgere anche nei confronti delle altre l’attività di trasporto da essa già esercitata strumentalmente alla realizzazione del suo oggetto imprenditoriale.
Orbene, questa atipicità, in ultima analisi, relativa al contenuto degli obblighi che le parti possono assumere richiama anche altre figure negoziali note al nostro sistema giuridico: basti pensare agli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-‐bis l.f., sui quali si registra un risveglio dell’attenzione dottrinale dopo la riforma che ne ha recentemente interessato la disciplina. Come per gli accordi di ristrutturazione, pure con riguardo al contratto di rete si pone, così, il problema se la relativa figura sia rappresentativa di un autonomo tipo negoziale (19). Ed è questo un problema il cui tratto specifico sta nel fatto che, mentre la funzione del contratto di rete – come dicevamo – è delineata dal legislatore in maniera sufficientemente precisa, altrettanto non avviene a proposito dell’oggetto, se inteso come contenuto dei rapporti obbligatori che formano la struttura effettuale della fattispecie. La tipicità funzionale, in altre parole, può supplire all’atipicità contenutistica?
Il tema, nella sua portata generale, non può certo essere adeguatamente approfondito in questa sede. Nondimeno saremmo dell’idea che, sebbene sia normale che alla costruzione del tipo concorrano elementi che attengono alla definizione dell’oggetto del contratto, come ben testimonia la nozione normativa della compravendita (art. 1470 c.c.), ciò non significa che esso non possa essere delineato dal legislatore anche solo come disciplina che trova il suo fondamento nella ricorrenza di una determinata causa, intesa in
18 X. xxxxx, § 00.
19 In senso negativo, riguardo agli accordi, sia consentito il rinvio a DELLE MONACHE, Profili dei “nuovi accordi” di ristrutturazione dei debiti, in Riv. dir. civ., 2013, p. 543 ss. e 559.
astratto come funzione economico-‐sociale, restando al contempo rimessa alle parti, invece, la scelta del contenuto dei propri obblighi, purché coerenti con quella funzione (20).
Questo non è ancora un passaggio sufficiente, tuttavia, onde si possa sostenere la natura tipica del contratto di rete, occorrendo piuttosto chiedersi, a tale riguardo, con quale intensità la funzione indicata dal legislatore sappia caratterizzare la figura oggetto del nostro studio. Invero, a ritenere che – come la lettera della legge pare suggerire – all’ombra dello scopo di accrescimento della capacità innovativa e della competitività sul mercato delle imprese aderenti alla rete si possano collocare obblighi non solo del contenuto più vario, ma anche suscettibili di coordinarsi, nei singoli casi concreti, secondo la logica propria tanto dei contratti associativi quanto dei contratti di scambio, si dovrebbe poi riconoscere che lo schema normativo del contratto di rete sia connotato da un’elasticità a tal punto ampia da non consentire in alcun modo che esso possa essere ridotto entro i confini di un tipo.
4. Il contratto di rete come contratto tipico con funzione associativa.
Com’è noto a chi ha familiarità con la tematica delle reti di impresa, fin dal momento dell’introduzione della figura del contratto di rete nel nostro sistema giuridico è stato sostenuto che le regole ad essa dedicate si presterebbero ad «un’interpretazione ampia, in grado di riferirsi ad una pluralità di funzioni, configurando un contratto transtipico, la cui disciplina sia dunque applicabile ad oggetti tra loro assai diversi e suscettibile di un’articolazione causale concreta assai diversificata» (21). Coerente con una tale impostazione è l’idea che occorra svilire, in un certo senso, il riferimento esplicito allo «scopo comune» contenuto nel testo di legge, già secondo la sua versione originaria (22), laddove questa idea, per altro verso, trova posto in un quadro concettuale orientato a respingere il tradizionale convincimento che scopo comune e causa di scambio siano concetti tra loro contrapposti, essi al contrario dovendosi giudicare compatibili, come sarebbe dimostrato proprio dal contratto di rete in cui «di frequente scambio e scopo comune coesistono» (23).
L’opinione qui rappresentata, invece, è diversa. Per esprimere subito il nostro pensiero al riguardo, ci sembra che transtipico sia il fenomeno delle reti imprenditoriali visto nel suo complesso, dato che esso effettivamente si articola secondo un numero di variabili talmente elevato da rendere impensabile la sua riduzione ad un singolo tipo contrattuale. Il contratto di rete, come definito dal nostro legislatore, è strumento capace di soddisfare alcune soltanto delle esigenze, ma non tutte, messe in luce da quel fenomeno (24). Ridottane la portata, così, rispetto ad un contesto di riferimento che è assai più vasto, esso
20 Nega invece la tipicità del contratto di rete, GENTILI, Il contratto di rete, cit., p. 617, proprio rilevando che la legge, in questo caso, «non individua – come d’uso nei tipi legali – specifiche prestazioni, diritti, doveri», ma si limita a riferirsi
«ad uno scopo ed a certe modalità di perseguirlo».
21 CAFAGGI, Introduzione, cit., p. 24; ID., Il contratto di rete e il diritto dei contratti, in I contr., 2009, p. 915 ss. ed ivi 919.
V. altresì CAFAGGI e IAMICELI, Contratti di rete, cit., p. 598; IAMICELI, Il contratto di rete tra percorsi di crescita e prospettive di finanziamento, in I contr., 2009, p. 942 ss. ed ivi 945 s.; XXXXXXXX, La nuova legge sui “contratti di rete”, cit., p. 193 s.
22 Si noti che il richiamo alla categoria dei «contratti plurilaterali con comunione di scopo» è stato invece introdotto successivamente, con la riforma del 2010.
23 CAFAGGI, Introduzione, cit., p. 27.
24 Nel senso che occorra tenere ben distinti tra loro il modello normativo dalla realtà empirica delle reti di impresa,
X. XXXXXX, Il modello normativo del contratto di rete. Nuovi spunti di riflessione sul rapporto tra soggettività giuridica e
può e deve essere inteso quale contratto tipico (25), e più precisamente come un tipo rispondente ad una particolare funzione associativa (26), questa individuandosi nel fatto che gli aderenti collaborano in vista della realizzazione del comune scopo di accrescimento della capacità competitiva di ciascuno (27).
Parlando del contratto di rete come contratto caratterizzato da una “funzione associativa” intendiamo che qui sussiste – attraverso la messa in atto di una forma collaborativa tendenzialmente stabile – un qualcosa in più di una mera comunione di scopo, anche nel caso in cui la rete non si doti di un’organizzazione di gruppo, né svolga alcuna attività verso l’esterno (28). Ma su questo aspetto non è il caso, per il momento, di indugiare, essendo necessario invece soffermarsi sul problema dell’appartenenza del contratto di rete ai contratti con comunione di scopo, come categoria contrapposta a quella dei contratti di scambio.
Gli elementi che depongono a favore della qualificazione del contratto di rete come contratto con comunione di scopo sono molteplici. Anzitutto, quello che, secondo l’indicazione normativa, va perseguito è uno scopo che si specifica nel senso dell’accrescimento «individualmente e collettivamente» della competitività delle imprese partecipanti alla rete, le quali dunque devono mirare non già, ognuna, ad un risultato utile soltanto per sé, bensì ad un risultato cui tutte sono interessate e verso cui tendono, appunto, collettivamente. Si tratta di un contratto, ancora, che il legislatore configura come aperto alla possibile adesione di nuove parti, il che ne denuncia la vocazione a prospettarsi come fonte di un assetto di interessi suscettibile di essere accolto da altri imprenditori, appunto perché orientato alla realizzazione di uno scopo comune che essi possono voler condividere (29). Né sono privi di rilievo, nella stessa prospettiva, i molteplici momenti di collegamento che la disciplina del contratto di rete istituisce con i consorzi, giacché il contratto di consorzio viene solitamente annoverato tra i contratti (associativi) con comunione di scopo (30). Da ultimo, può essere interessante notare come sia stata proposta, in dottrina, un’incisiva raffigurazione dei contratti previsti dall’art. 1420 c.c., nel senso che essi possano essere concepiti quali contratti «ad assetto d’interessi mediato da un programma»: contratti, dunque, in cui le posizioni giuridiche soggettive, e così anche gli obblighi di prestazione, restano strettamente funzionali alla
autonomia patrimoniale, in Il contratto di rete per la crescita delle imprese a cura di X. Xxxxxxx, P. Iamiceli e G.D. Xxxxx, cit., p. 41 ss. ed ivi 46. Si veda, al riguardo, anche XXXXXXX, Condizioni generali di contratto e reti atipiche, in Le reti di imprese e i contratti di rete a cura di P. Iamiceli, Torino, 2009, p. 77 ss. ed ivi spec. 91.
25 Per la tipicità del contratto di rete, XXXXX, Il contratto di rete dopo la riforma: che tipo!, in Il contratto di rete per la crescita delle imprese a cura di X. Xxxxxxx, P. Iamiceli e G.D. Xxxxx, cit., p. 29 ss.; ID., Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in Giur. comm., 2010, p. 839 ss. ed ivi 843 ss. e 862.
26 Nel senso che si tratti di un contratto «associativo con comunione di scopo», XXXXXXXXX, Il «contratto di rete» fra (comunione di) impresa e società (consortile), cit., p. 328 s. In termini analoghi, XXXXXXX, Il contratto di rete, cit., p. 625; XXXXXXX, Contratti di impresa e contratti tra imprese, cit., p. 7; XXXXXXX, Dalle reti di imprese al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa, in I contr., 2009, p. 928 ss. ed ivi 930.
27 Si riferivano alla sussistenza di una «causa di collaborazione», ancor prima della riforma del 2010, CAFAGGI, Introduzione, cit., 29, e IAMICELI, Dalle reti di imprese al contratto di rete: un percorso (in)compiuto, in Le reti e i contratti di rete a cura di P. Iamiceli, cit., p. 1 ss. ed ivi 24.
28 Xxxxx figura del contratto associativo rimane fondamentale, ovviamente, il contributo di FERRO-‐XXXXX, I contratti associativi, Milano, 1971.
29 Nel senso che solo i contratti con comunione di scopo, e non quelli di scambio, abbiano l’attitudine a presentarsi come contratti aperti, MAIORCA, voce «Contratto plurilaterale», in Enc. giur. it., IX, Roma, 1988, p. 9.
30 BELVEDERE, voce «Contratto plurilaterale», in Dig. disc. priv., sez. civ., IV, Torino, 1989, p. 270 ss. ed ivi 274; XXXXXXXXXXXXX, Dei consorzi, cit., p. 76 s. e 83.
«attuazione del programma concordato» (31). Ed è perfino inutile osservare che il contratto di rete, con la centralità che in esso assume il comune programma condiviso dalle imprese retiste, pare quasi costituire la trasposizione sul piano normativo della testé accennata prospettiva teorica (32).
In questo quadro, infine, assume un valore vieppiù significativo il testuale richiamo, contenuto sempre nella disciplina sul contratto di rete, alle regole in materia di scioglimento dei «contratti plurilaterali con comunione di scopo». Com’è noto, nel linguaggio del legislatore codicistico l’espressione “contratto plurilaterale” è usata in modo brachilogico per designare, in realtà, soltanto una particolare categoria di contratti con pluralità di parti (33). Essa infatti ricorre nella rubrica degli artt. 1420, 1446, 1459 e 1466 c.c., i quali recano una disciplina riferita, come è chiarito nella prima di tali disposizioni cui le altre rinviano, non già ai contratti plurilaterali genericamente intesi, bensì ai «contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune» (34). Ebbene, non è irrilevante sottolineare come alla formula ellittica del codice venga preferito l’uso, nella disciplina del contratto di rete, di una locuzione distesa ed esplicita, la quale sembra eliminare in radice i problemi che sarebbero potuti derivare da un riferimento mero alla categoria dei contratti plurilaterali, senza altra qualificazione. L’interprete avrebbe avuto l’onere, allora, di stabilire il senso di un tale riferimento. Laddove, secondo il testo normativo vigente, è difficile assumere che il legislatore non abbia assunto una nozione del contratto di rete inteso come contratto (plurilaterale) con comunione di scopo (35).
Rimane peraltro il problema dell’esplicito richiamo, nel testo di legge, alla possibile assunzione dell’obbligo, da parte delle imprese retiste, di «scambiarsi informazioni», ma anche e soprattutto
«prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica». È questo un passaggio del discorso normativo – come dicevamo – in cui emerge appieno la vocazione del contratto di rete ad assumere contenuti i più vari nell’ambito della struttura effettuale obbligatoria che lo caratterizza; ma è anche un passaggio – ciò che ora interessa – in cui il legislatore, riferendosi all’ipotesi dello scambio di prestazioni tra i soggetti della rete, introduce un elemento spurio, apparentemente, rispetto all’appartenenza del contratto, suggerita in tutto il resto della disciplina, alla categoria dei contratti con comunione di scopo.
L’eccentricità del riferimento allo scambio di prestazioni ben si coglie tenendo presente che, secondo l’insegnamento tradizionale (36), v’è contrapposizione tra contratti di scambio e contratti con comunione di scopo: mentre nei primi, infatti, «la prestazione di ciascuna parte soddisfa l’interesse solo dell’altra, e
31 MAIORCA, voce «Contratto plurilaterale», cit., p. 10.
32 Cfr., in argomento, LOPREIATO, Programma comune di rete ed efficacia normativa variabile, in Il contratto di rete per la crescita delle imprese a cura di X. Xxxxxxx, P. Iamiceli e G.D. Xxxxx, cit., p. 155 ss. ed ivi 162.
33 Per la precisazione che, mediante l’uso del termine “plurilaterale”, «non si fa riferimento al numero delle parti nel caso concreto, ma al numero (e, meglio, all’indeterminatezza del numero) delle parti che il contratto, dato il suo tipo, comporta», XXXXXXXXX, Contratto plurilaterale; comunione di interessi; società di due soci; morte di un socio in una società personale di due soci, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1953, p. 721 ss. ed ivi 734.
34 Sul significato dell’espressione “contratto plurilaterale” nel vigente codice, anche in rapporto al precedente dibattito della dottrina intorno alla categoria, BELVEDERE, voce «Contratto plurilaterale», cit., p. 273.
35 Si veda XXXXXX, Inattuazione e risoluzione: la fattispecie, in Tratt. del contratto diretto da X. Xxxxx, X, X xxxxxx, 0, Xxxxxx, 0000, p. 1 ss. ed ivi 49, il quale parla dell’esistenza di un pregiudizio dogmatico insito nell’idea «che contratto plurilaterale possa essere solo quello con comunione di scopo».
36 Rimane d’obbligo il richiamo ai vari scritti di Xxxxxxxxx sulla materia: si veda, in particolare, XXXXXXXXX, Il contratto plurilaterale, ora in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, p. 97 ss.
costituisce solo un sacrificio per chi la compie», negli altri «tale prestazione finisce con il tornare a vantaggio anche di chi la compie, indirettamente o direttamente» (37).
Ora, questa contrapposizione, secondo noi, è ben fondata, al di là del carattere più o meno stringente delle formule elaborate per evidenziarla. Il contratto (plurilaterale) con comunione di scopo, del resto, riceve un trattamento normativo particolare mediante disposizioni (i già citati artt. 1420, 1446, 1459 e 1466 c.c.) che contribuiscono a definirne il concetto, rimandando l’immagine di una fattispecie in cui le prestazioni che le parti assumono l’impegno di eseguire si configurano, in un certo senso, come reciprocamente parallele (38), poiché tutte indirizzate a rendere possibile un certo risultato, anziché come prestazioni svolte l’una in funzione dell’altra, secondo l’idea dello scambio (39).
Ciò posto, non rimane dunque che la seguente alternativa, sul piano ricostruttivo: o si ridimensiona il significato del riferimento, contenuto nel testo di legge, allo scambio di prestazioni tra i soggetti retisti o si ammette che il contratto di rete possa presentare una funzione, nei singoli casi concreti, rispondente in tutto o in parte alla logica dei contratti di scambio.
Orientarsi in questa seconda direzione, evidentemente, equivarrebbe ad aprire uno spazio all’idea che il contratto di rete si configuri nei termini di un contratto transtipico: mera combinazione di elementi suscettibili di essere tenuti insieme da articolazioni causali disparate, senza che queste debbano ricondursi e risolversi in una funzione costante (40). Accogliere l’altro corno dell’alternativa, invece, significa poter riconoscere al contratto di rete la natura di autonomo tipo contrattuale.
Già in limine all’approfondimento del tema così delineato è da respingere, però, la suggestione secondo cui, propendendo per la tipicità del contratto di rete, si lascerebbe frustrata la «domanda derivante dalle imprese e dall’intero sistema produttivo di uno strumento ampio, multi-‐funzionale, che si collochi tra la disciplina generale del contratto e quella dei singoli tipi» (41). Infatti, prescindendo dal chiedersi quale valore euristico possa avere un argomento del genere, a noi pare che l’interesse alla crescita della competitività delle imprese nei mercati, semmai, sia meglio soddisfatto con la messa a disposizione di uno strumento dai contorni ben definiti, piuttosto che attraverso una fattispecie-‐contenitore suscettibile di essere riempita, in buona sostanza, in qualunque modo.
Un ragionamento di tenore analogo, poi, è stato proposto da chi, muovendo dal passaggio del testo normativo in cui le regole sullo scioglimento dei contratti plurilaterali con comunione di scopo sono dichiarate applicabili al contratto di rete «in ogni caso», si è chiesto se ciò significhi che il legislatore
37 BELVEDERE, voce «Contratto plurilaterale», cit., p. 274.
38 Di un «parallelismo o concorrenza» dei conferimenti dei soci, nella società come figura centrale dei contratti con comunione di scopo, parlano FERRARA e CORSI, Gli imprenditori e le società7, Milano, 1987, p. 218.
39 Nei contratti con comunione di scopo, scrive XXXXXX, Inattuazione e risoluzione, cit., p. 50, le parti sono portatrici
«di interessi non contrapposti, ma convergenti verso una comune finalità», mentre il legame tra le prestazioni si configura come semplice «interdipendenza», anziché nei termini della corrispettività. Il riferimento al profilo degli interessi è presente anche in MAIORCA, voce «Contratto plurilaterale», cit., p. 8, secondo cui nei contratti con comunanza di scopo non sussiste «quella complementarità di interessi» che è il frutto della composizione (tra interessi contrapposti) realizzata con il contratto di scambio, «bensì una vera e propria “coincidenza” degli interessi in gioco, nello “scopo comune” perseguito tramite il contratto».
40 Cfr. CAFAGGI, Il nuovo contratto di rete, cit., p. 1144 s. e 1146.
41 CAFAGGI, Introduzione, cit., p. 24.
intenda «riconoscere come contratto di rete … solo quello riconducibile al contratto plurilaterale presupposto dagli artt. 1459 e 1466 c.c.». Un interrogativo, questo, a cui si è data risposta negativa, osservando che il fenomeno delle reti tra imprese conosce una prassi costituita da una vasta pluralità di moduli operativi, sicché, in un contesto del genere, «risulterebbe scarsamente comprensibile una scelta restrittiva del legislatore, diretta ad escludere dalle opzioni degli imprenditori appartenenti alla rete strutture contrattuali che non siano riconducibili al contratto plurilaterale con comunione di scopo» (42). Il problema, in tal modo, ci sembra tuttavia posto in maniera non corretta, poiché, ammettendo che sia necessario accedere, sul piano ermeneutico, ad una ricostruzione «restrittiva» della fattispecie del contratto di rete, non vengono per ciò stesso rese impraticabili talune altre «opzioni», come mostra di credere la dottrina in esame, ma semplicemente si tratterà di prendere atto che queste opzioni debbono essere realizzate con diversi strumenti giuridici (43).
Ora, quando dunque si approfondisca la riflessione, una volta così delineate le basi del discorso, sul tema che è stato prospettato e sull’alternativa dianzi posta, sembra di poter dire che, in realtà, le osservazioni fin qui svolte già lascino intravedere l’esito cui bisogna accedere.
Se il riferimento normativo allo scambio di prestazioni, come possibile contenuto del contratto di rete, viene valorizzato appieno, intendendo che le parti possano assumere obblighi tra loro interrelati secondo un nesso di corrispettività, si finisce con l’approdare inevitabilmente ad una lettura riduzionistica sul significato e valore da attribuirsi all’elemento dello scopo, il quale pure campeggia nell’incipit della definizione dettata dal legislatore e permea di sé, come accennato, più di un aspetto della disciplina del contratto di rete. Quando le prestazioni che le parti si impegnano ad eseguire sono funzionali l’una all’altra, lo scopo di accrescere la propria capacità competitiva coltivato dagli imprenditori in rete degraderà, semmai, a mero motivo individuale, perdendo quell’attitudine a caratterizzare funzionalmente il contratto che invece sembra costituire un tratto ineliminabile della figura in esame, come anche induce a credere l’impiego, messo già in luce, dell’avverbio «collettivamente» nel dettato normativo, proprio a qualificare l’elemento dello scopo, con un’indicazione che sarebbe sbagliato lasciar priva di rilievo (44).
Se ci è consentito esprimerci in questo modo, si potrebbe dire che la coperta è comunque troppo corta nella definizione del contratto di rete: se si pone l’accento sul riferimento allo scambio di prestazioni, ne risulta mortificata la funzione che il contratto pur dovrebbe assolvere, secondo il testo di legge; se al contrario si mantiene la centralità della funzione, allora è lo scambio che verrà a presentarsi come un elemento depotenziato.
42 VILLA, Il contratto di rete, in I contratti per l’impresa, I, a cura di X. Xxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, Bologna, 2012, p. 491 ss. ed ivi 500.
43 Una prospettiva per molti aspetti vicina all’opinione qui sostenuta era stata peraltro avanzata in un precedente contributo della stessa dottrina sottoposta a critica nel testo. Anteriormente alle modifiche alla disciplina del contratto di rete introdotte con il d.l. n. 78/2010, si veda, infatti, quanto scriveva VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, in Giur. comm., 2010, p. 944 ss. ed ivi 950 ss.: «la legge tipizza il contratto di rete quale contratto plurilaterale secondo la nozione che, formulata in origine da Xxxxxx Xxxxxxxxx, è stata assorbita dal codice civile», e tuttavia non è questo un modello che si imponga come «strumento unico e necessario per regolare il coordinamento tra le imprese».
44 Ne valorizza il significato, in quanto indicazione ritenuta capace di connotare la causa del contratto di rete, MALTONI, Il contratto di rete, cit., p. 66.
Si tratta – vorremmo osservare – di uno stato di cose che, lungi dall’essere sorprendente, costituisce l’esito scontato di una pluralità di interventi di riforma, nella materia de qua, che si sono tradotti in una serie di stratificazioni successive operate sul tessuto normativo originario: non già ripensato e riscritto, ma fatto oggetto di continue inserzioni di elementi tese a dare risposta a singoli problemi specifici.
Ad ogni modo il tema rimane quello presentato dianzi attraverso l’alternativa se ridimensionare il significato del riferimento allo scambio di prestazioni tra i soggetti retisti o ammettere invece che il contratto di rete possa non rispondere affatto, in termini causali, alla funzione cui esso pure parrebbe dover obbedire, sempre secondo il dettato normativo. Ed è questa un’alternativa che, considerata la disciplina del contratto di rete nel suo complesso, con la pluralità di riferimenti, espliciti e non, che essa contiene alla comunanza di scopo tra i contraenti, a noi sembra vada senz’altro sciolta nella prima delle due direzioni testé prospettate.
Il richiamo allo scambio è dunque da intendere, se si vuole, in maniera atecnica, senza che esso significhi che tra le prestazioni che le parti assumono l’impegno di compiere possa scaturire un nesso sinallagmatico (45).
Il contratto può ben reggersi, così, su di un programma che sancisca, in concorrenza o sostituzione dei versamenti in denaro al fondo comune (46), l’obbligo a carico delle imprese retiste di porre in essere, l’una a vantaggio di ogni altra, attività strumentali alla realizzazione degli obiettivi strategici condivisi, come nel caso in cui, ad es., uno dei contraenti, già dotato di un’organizzazione che gli consente di occuparsi del trasporto dei propri prodotti, si faccia carico di svolgere questo servizio a favore anche degli altri partecipanti alla rete o nel caso in cui lo stesso avvenga con riguardo all’attività di manutenzione di determinati macchinari (47).
In situazioni consimili non sembra rilevante distinguere a seconda che la rete sia dotata o no di soggettività giuridica, e neppure pare decisivo il fatto che sia stato istituito o meno un organo comune. Anche quando la rete si presenta secondo un modello di pura contrattualità e gli obblighi di prestazione sono dunque foggiati, inevitabilmente, come obblighi verso le altre parti a cui corrispondono altrettante posizioni giuridiche attive, ciò non è incompatibile – ci sembra – con il disconoscimento dell’esistenza di un nesso di corrispettività tra le prestazioni (48).
45 In prospettiva diversa, VILLA, Il contratto di rete, cit., p. 501 s.; inoltre, CAFAGGI, Il nuovo contratto di rete, cit., p. 1146, che parla della «tipizzazione di un contratto plurilaterale di scambio».
46 Precisa che, nel contratto di rete, i conferimenti possono avere ad oggetto «non solo denaro, ma anche beni o servizi, purché suscettibili di valutazione economica», IAMICELI, Contratto di rete, fondo comune e responsabilità patrimoniale, in Il contratto di rete. Commentario a cura di X. Xxxxxxx, cit., p. 63 ss. ed ivi 66.
47 Si potrà così ripetere, in un certo senso, a proposito del contratto di rete quanto XXXXXXXXX, Contratto plurilaterale, cit., p. 726, osservava con riguardo alle società, e cioè che in esse «la mancata tipicità della prestazione di ciascuna parte si traduce nella possibile diversità delle prestazioni delle varie parti».
48 Se ne trae conferma guardando al pensiero di chi, nella dottrina commercialistica, ha inteso che nelle società di persone «gli obblighi, i diritti o poteri del singolo socio sussistono nei confronti degli altri soci», e non di fronte alla società, come invece accade in quelle di capitali: FERRARA e CORSI, Gli imprenditori e le società, cit., p. 218. Ancora, può essere interessante osservare, sempre a proposito di quanto affermato nel testo, che XXXXXXXXX, Contratto plurilaterale, cit., p. 728, ascriveva alla categoria dei contratti plurilaterali i consorzi senza attività esterna,
Più precisamente, un nesso del genere dovrà escludersi e il contratto andrà qualificato, al di fuori di qualunque ipotesi, pur possibile, di mistione di elementi causali (49), come rispondente al tipo (si può a questo punto dire) del contratto di rete sempre che sussistano le condizioni di seguito precisate: l’attività a cui l’impresa si impegna deve consistere in un servizio messo a disposizione della compagine delle imprese retiste nel suo complesso; non dev’essere prevista alcuna remunerazione a carico delle imprese che ne usufruiscano di volta in volta (50); l’attività medesima deve presentarsi, ad una stregua oggettiva, come funzionale alla realizzazione del comune scopo di accrescimento della capacità di stare sul mercato delle imprese retiste (51).
È in quest’ottica che va inteso, in ultima analisi, il riferimento allo scambio di prestazioni contenuto nella definizione del contratto di rete (52). Si potrebbe dire, per vero, che in base a questo esito si finisca in sostanza col vanificare il discorso del legislatore sul punto, poiché ipotesi come quelle sopra accennate già rientrerebbero nel concetto di collaborazione tra imprese pure utilizzato nella stessa definizione normativa (53). Non è certo questo, tuttavia, l’unico caso in cui deve riscontrarsi la presenza nella legge di linguaggi eloquenti ed esplicativi, in funzione del chiarimento di altre espressioni che già possono comprendere, in realtà, l’ipotesi dichiarata (54). Si tratta anzi di un fenomeno – da giudicare, beninteso, negativamente – che sembra caratteristico della tecnica legislativa moderna (55).
Resta ancora da precisare che, come già s’è detto per incidens, la prospettiva che abbiamo accolto conduce a riconoscere nella figura in esame un autonomo tipo contrattuale, e cioè un contratto normativamente
precisando che «caratteristica dei contratti plurilaterali è la mancanza di una contrapposizione tipica delle varie prestazioni».
49 Cfr. IAMICELI, Dalle reti di imprese al contratto di rete, cit., p. 30.
50 Nel caso dell’esecuzione di prestazioni di trasporto, ad es., le imprese beneficiarie non dovranno essere gravate dall’obbligo di versamento di alcun corrispettivo, neppure a prezzi scontati. Sembrerebbe possibile prevedere, invece, una qualche forma di contribuzione alle spese.
51 Ben diversa è la situazione che si verifica nei c.d. mehrseitig-‐gegenseitige Verträge, e cioè nei contratti plurilaterali di scambio teorizzati nell’esperienza tedesca ed ai quali ci si è richiamati, nella nostra dottrina, per sostenere l’ammissibilità di un contratto di rete caratterizzato, appunto, da uno scambio di prestazioni tra le imprese retiste (VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, cit., p. 959; ID., Il contratto di rete, cit., p. 502). Invero, nei mehrseitig-‐ gegenseitige Verträge le prestazioni sono dedotte quale oggetto di un rapporto obbligatorio a più parti che si sviluppa secondo uno schema circolare (A esegue in favore di B, che esegue in favore di C, che esegue in favore di A): il che consente di riconoscere come lo scopo perseguito da ciascuna parte sia pur sempre uno scopo di scambio (Austauschzweck), sebbene la prestazione attesa come corrispettivo di quella eseguita sia una prestazione che la parte riceve da un altro contraente (XXXXXX, Xxxxxxxx xxx Xxxxxxxxxxxx00, X, Xxxxxxxxxxx Xxxx, Xxxxxxx, 0000, p. 209 ss.).
52 Ritiene che pure sotto un tale profilo risulti evidenziata la sovrapponibilità tra contratto di rete e consorzi, XXXXXXXXX, Il «contratto di rete» fra (comunione di) impresa e società (consortile), cit., p. 334 s., osservando che «lo scopo consortile può ben consistere anche in una prestazione di servizi a favore delle imprese consociate».
53 Si veda, difatti, XXXXX, Il contratto di rete dopo la riforma, cit., p. 32 nt. 14, secondo cui «scambio di informazioni/prestazioni ed esercizio in comune di attività sono mere specificazioni della collaborazione … dunque ricomprese in quest’ultima».
54 Nel senso che «il collaborare» costituisca «l’elemento distintivo» del contratto di rete, ZANELLI, Reti e contratto di rete, cit., p. 73.
55 Per l’esempio di un altro testo prolisso si pensi alla disciplina sulle pratiche commerciali scorrette raccolta nel codice del consumo (DELLE MONACHE, Pratiche commerciali scorrette, obblighi di informazione, dolo contrattuale, in Annuario del contratto 2009 diretto da X. X’Xxxxxx e X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 105 ss.).
identificato – in sostanza attraverso il riferimento, qui, ad una particolare funzione – e sottoposto ad una specifica disciplina (56).
In precedenza, s’è anche accennato al fatto che quella che connota il contratto di rete, precisamente, è una funzione associativa, essendovi qualcosa di più di una mera comunione di scopo, non solo quando la rete si dota degli elementi organizzativi costituiti dal fondo e dall’organo comune o addirittura acquista la soggettività giuridica con l’adempimento dei necessari oneri pubblicitari, ma anche se essa vive nella dimensione della pura contrattualità.
Non è questo certo il luogo per ripercorrere il dibattito sulla categoria dei contratti associativi, né per definire il rapporto in cui essa si trova rispetto ai contratti con comunione di scopo (57). Ma a noi sembra difficile negare che il contratto di rete, in quanto strumento diretto a stabilire una forma di partenariato dotata di tendenziale stabilità, si configuri come un contratto associativo, anziché come semplice contratto con comunione di scopo.
A questo proposito va richiamata la previsione normativa secondo cui, tra gli elementi di forma-‐contenuto che il contratto deve presentare, è compresa l’indicazione non solo della sua durata, ma, ancor più importante, anche delle «modalità concordate … per misurare l’avanzamento» verso i comuni «obiettivi strategici». L’accrescimento della propria capacità competitiva, a cui mirano le imprese retiste, è uno scopo destinato a realizzarsi, perciò, per il tramite di una collaborazione la cui efficienza va progressivamente misurata, nel tempo, tanto è significativo il rilievo che essa assume nella fattispecie in discorso: di tal che, quand’anche manchi una vera struttura organizzativa o comunque essa sia di portata minimale e quando manchi altresì l’esercizio di un’attività comune di fronte ai terzi, non per questo potrà disconoscersi la sussistenza, nel contratto di rete, di una funzione che si raccorda a quella propria dei contratti associativi (58).
5. Il programma comune e gli obiettivi strategici. L’affinità con i consorzi.
Il programma comune costituisce il cuore del contratto di rete. Esso deve contenere, anzitutto,
«l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante», obblighi il cui contenuto, come si precisa nella parte iniziale del dettato normativo, può consistere nella collaborazione in forme e ambiti predeterminati relativi allo svolgimento delle singole imprese, nello scambio di informazioni o prestazioni
56 Spunti degni di attenzione si ritrovano in MAIORCA, voce «Contratto plurilaterale», cit., p. 11, secondo cui nei contratti indicati dall’art. 1420 c.c. «il ruolo di elemento di qualificazione del “tipo” negoziale non fa capo, di regola, al tipo di “prestazioni” che vengono imputate a ciascuna parte, bensì al tipo di struttura e di finalità del “piano” predisposto negozialmente».
57 Basti osservare soltanto che la coincidenza tra le due nozioni è certo negata da chi riconosce alla divisione contrattuale la natura di contratto con comunione di scopo (in tal senso, ad es., BELVEDERE, voce «Contratto plurilaterale», cit., p. 274 s.; contra, MAIORCA, voce «Contratto plurilaterale», cit., p. 6, 8 e 13).
58 Ancor prima della riforma del 2010, vedeva nell’accrescimento della propria capacità competitiva il fine ultimo, mentre collaborazione e coordinamento inter-‐imprenditoriale costituirebbero il fine immediato delle imprese retiste, IAMICELI, Dalle reti di imprese al contratto di rete, cit., p. 24, con la conclusione dunque che «cooperazione e coordinamento concorrono a definire l’elemento causale del contratto».
di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica, nell’esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto imprenditoriale dei soggetti retisti (59).
L’oggetto del contratto di rete ne risulta delineato, conseguentemente, in termini tanto estesi da doversi dire che la figura manca in realtà di qualsiasi definitezza sotto questo profilo. Come già si accennava, è giustificato parlare, perciò, di una sua sostanziale atipicità contenutistica, con delega piena di potere all’autonomia privata (60).
Su queste basi a maggior ragione si dovrà prestare un’attenta cura nella messa a punto del programma comune. L’insufficiente determinazione del contenuto degli impegni assunti dalle parti, non essendovi qui spazio per il funzionamento di alcun meccanismo di integrazione legale del contratto, provocherà la nullità di quest’ultimo in virtù del combinato disposto degli artt. 1346 e 1418, 2° comma, c.c. (61).
Oltre ad enunciare diritti ed obblighi, il programma di rete deve indicare «le modalità di realizzazione dello scopo comune». Si tratta di una previsione che conferma l’appartenenza del contratto di rete alla categoria dei contratti con comunione di scopo, secondo quel che già si è detto. Ma, a parte questo, è difficile intenderne la portata precettiva, poiché la trama dei rapporti disegnata attraverso il programma di rete e più in particolare l’insieme degli obblighi che per suo tramite vengono assunti dalle imprese retiste costituiscono già in sé la “modalità” attraverso cui ci si prefigge di realizzare la finalità che giustifica funzionalmente la stipulazione del contratto.
Infine, se è prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, il programma di rete dovrà stabilire «la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo, nonché le regole di gestione del fondo medesimo».
I conferimenti iniziali costituiscono l’apporto proveniente dalle singole imprese nel momento in cui, mediante la stipulazione del contratto o con un’adesione posteriore, esse entrano a far parte della compagine reticolare. I contributi successivi sono invece le somme di denaro che i contraenti si obbligano a versare per far fronte alle esigenze finanziarie che possono manifestarsi durante lo svolgimento del rapporto. Il modello di riferimento è rappresentato, quanto a questi ultimi, dalla previsione dettata per le società consortili dall’art. 2615-‐ter, 2° comma, c.c. (62).
In ogni caso, tanto i conferimenti iniziali quanto i contributi successivi concorrono a formare il fondo comune, come il legislatore precisa. Il programma di rete, perciò, ne deve stabilire «la misura e i criteri di valutazione». V’è qui un’eco di quanto è previsto a proposito delle società in nome collettivo dall’art. 2295
n. 6 c.c., secondo cui l’atto costitutivo deve indicare, con riguardo ai conferimenti di ciascun socio, «il valore ad essi attribuito e il modo di valutazione». È questa una regola sancita, evidentemente, per i
59 Si osservi che prima dell’intervento di riforma del 2010 le attività da esercitare in comune, quale unico oggetto possibile, in allora, del contratto di rete, erano definite dal legislatore come attività «economiche». Sul significato della modifica, DI SAPIO, I contratti di rete tra imprese, cit., p. 207, secondo cui la rete potrebbe proporsi uno scopo che non abbia alcun riflesso economico immediato.
60 Nel senso che il programma comune assurga «a oggetto del contratto in senso proprio ex art. 1346 c.c.», LOPREIATO,
Programma comune di rete ed efficacia normativa variabile, cit., p. 160.
61 Cfr. XXXXXXX, Il contratto di rete, cit., p. 623.
62 Cfr. DI XXXXX, I contratti di rete tra imprese, cit., p. 209.
conferimenti di beni diversi dal denaro: rispetto ai quali, nelle società di persone, non è prevista alcuna particolare modalità di stima, a differenza di quanto accade per le società di capitali (artt. 2343 e 2465 c.c.). Analogamente, i partecipanti alla rete avranno l’onere soltanto di dar conto, nel contratto, dei criteri adottati per la valutazione dei beni che confluiscono nel fondo comune.
Il programma di rete, come detto, deve anche stabilire le «regole di gestione» del fondo. Esse sono destinate a guidare, fondamentalmente, l’azione dell’organo comune che è depositario del potere gestorio in funzione dello svolgimento del rapporto contrattuale. Non si tratta di un elemento contenutistico, peraltro, la cui mancanza possa determinare la nullità del contratto di rete. Al contrario, quando questo sia manchevole sul punto, non avendo i contraenti stabilito alcuna regola particolare relativa alla gestione del fondo, l’organo comune dovrà attenersi alla disciplina dettata per il mandato e risponderà della violazione degli obblighi ad essa inerenti.
Ai fini del valido perfezionamento della fattispecie, è sicuramente essenziale, invece, l’indicazione «degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate … per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi». Si tratta di una previsione da riferire alla causa del contratto di rete (63), sebbene questa venga evocata attraverso una curiosa inversione, giacché la
«capacità innovativa» e la «competitività» a cui il legislatore si richiama subito all’inizio del dettato normativo in esame, per indicare lo scopo e così, appunto, la causa negoziale (64), qui si trasformano, dal punto di vista lessicale, in «innovazione» e «capacità competitiva» delle imprese retiste.
Rimane il fatto che la previsione si presenta di grande importanza, perché richiede che la causa venga precisata, per così dire, dalle parti, le quali debbono provvedere a concretizzarla, mettendo in chiaro gli obiettivi specifici avuti di mira mediante la stipulazione del contratto e dando evidenza, così, agli interessi peculiari che esse si propongono di soddisfare. Ma non basta, giacché il legislatore statuisce anche che il contratto debba indicare le modalità concordate per «misurare l’avanzamento» verso gli obiettivi prefissati: modalità di misurazione, dunque, del progressivo realizzarsi della causa, intesa come finalità concreta, qui, che sostiene l’operazione contrattuale.
Sembra allora di poter dire, su questi presupposti, che la mancata indicazione degli obiettivi strategici, all’interno del contratto di rete, ne determini la nullità per un difetto originario della causa: la quale, secondo il dettato normativo, necessita di essere chiarita e precisata (quasi una nuova versione del requisito dell’expressio causae, richiesto in altri campi e con altro significato) (65), non potendo essa invece restare implicitamente individuata o anche solo vagamente enunciata dai contraenti (66).
63 Analogamente, sebbene avuto riguardo alla vecchia versione del testo di legge, XXXXXXX, Contratti di impresa e contratti tra imprese, cit., p. 7; X. XXXXXXXXXXXX, Il contratto di rete: il problema della causa, in I contr., 2009, p. 961 ss. 64 Cfr. XXXXXXX, Il contratto di rete, cit., p. 625.
65 Si pensi alla tematica delle c.d. prestazioni traslative isolate: fondamentale, al riguardo, XXXXXXXXXX, voce «Causa (diritto privato)», in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 547 ss.; si veda anche X. XXXXXXXXXXXX, Problemi della causa e del tipo, in Trattato del contr. diretto da X. Xxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, p. 83 ss. ed ivi 128 ss.
66 In termini diversi, benché sulla base del testo normativo uscito dalla prima riforma del 2009, X. XXXXXXXXXXXX, Il contratto di rete: il problema della causa, cit., p. 964 s., secondo cui il giudizio sulla causa del contratto di rete, non presentando differenze rispetto a quanto richiesto dal diritto privato generale, «si dovrà risolvere sul piano della verifica di un livello minimo di razionalità dell’affare».
Invece, bisognerà discorrere di un difetto della causa vista nella sua dimensione funzionale allorché le misurazioni effettuate in corso di rapporto, con le modalità inizialmente stabilite, conducano a registrare che nessun avanzamento o che progressi scarsamente significativi, comunque, sono compiuti verso la realizzazione degli obiettivi strategici prefissati (67). Il rimedio esperibile, in tal caso, dovrebbe consistere nell’esercizio dell’azione di risoluzione (68), intesa come strumento con cui il contraente insoddisfatto potrà ottenere di sciogliersi dal vincolo contrattuale, salva la possibile propagazione di questo effetto al rapporto nella sua interezza secondo i principi valevoli per i contratti plurilaterali con comunione di scopo. Ma non è da escludere che, più radicalmente, la tutela possa qui essere rappresentata dal riconoscimento a ciascuna delle parti del potere di recesso dal contratto, secondo una soluzione che ha trovato un qualche spazio, com’è noto, nel diverso ambito degli studi sul venir meno della base negoziale (69).
Tutto ciò detto, il discorso potrebbe sembrare completo, se non fosse che le considerazioni appena esposte rendono a questo punto ineludibile il confronto con la figura del consorzio, attesa la ben evidente affinità che essa presenta con il contratto di rete proprio in relazione al profilo causale.
La disciplina dei consorzi, com’è noto, è stata incisivamente riformata per effetto della l. 10.5.1976, n. 377. Il testo originario dell’art. 2602 c.c. definiva i consorzi come quei contratti tra più imprenditori, esercenti una medesima attività economica o attività connesse, il cui oggetto fosse rappresentato dalla «disciplina delle attività stesse mediante un’organizzazione comune». Il fenomeno sottostante consisteva nel coordinamento tra più imprese per la realizzazione di pratiche che potevano avere un impatto restrittivo sulla concorrenza, come nel caso, ad es., del contingentamento della produzione o della periodica determinazione del prezzo di vendita a terzi da parte dei consorziati. Ne seguiva un atteggiamento di diffidenza del legislatore, tradotto in atto attraverso disposizioni limitative, come quella che fissava in dieci anni la durata massima del consorzio. Sennonché alla funzione di mero coordinamento se ne venne man mano accostando un’altra, divenuta poi prevalente, la quale si radicava nel fatto che, mediante il consorzio, le imprese venivano sollevate dal compito di esercitare in proprio determinate fasi della loro attività, fasi che restavano rimesse, invece, al consorzio stesso. Questo prese così a manifestare una propria attitudine a fungere da strumento di collaborazione capace di rafforzare la presenza sul mercato delle imprese contraenti. E nasce da qui la riforma suaccennata (70), che si è tradotta nell’introduzione di una disciplina di favore per il consorzio, a superamento dell’originaria e già ricordata diffidenza del legislatore (71).
Nella letteratura moderna l’immagine del consorzio, dal punto di vista causale, è dunque tracciata attraverso il riferimento ad una «sua prevalente (se non esclusiva) funzione di cooperazione interaziendale», rappresentandosi con la formula della «mutualità consortile» gli obiettivi cui gli
67 Cfr. XXXXXXX-‐XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile10, Napoli, 1978, p. 183: «La causa può mancare in tutto o in parte dall’origine, oppure viene a mancare in tutto o in parte successivamente, nella sua realizzazione: mancanza genetica o funzionale della causa».
68 Cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Il contratto di rete: il problema della causa, cit., p. 965.
69 C.M. BIANCA, Diritto civile. 3. Il contratto2, Milano, 2000, p. 467.
70 Nel senso che per suo tramite si sarebbe realizzato un «ampliamento della causa storica del contratto di consorzio», Cass. 26.7.1996, n. 6774.
71 XXXXXXX, Diritto commerciale. L’imprenditore12, Bologna, 2008, p. 155 s.
imprenditori aderenti mirano (72), mentre tale mutualità si traduce nella ricerca di un vantaggio economico per solito da realizzare mediante un risparmio di spesa o un maggior ricavo, che si pongono come esito di una razionalizzazione dell’attività dei consorziati ottenuta, ad es., tramite l’erogazione di servizi comuni (73). Viene data continuità, così, ad un’impostazione accolta anche dalla giurisprudenza quando parla del contratto di consorzio, interrogandosi sulla sua causa, come di uno strumento di collaborazione tra imprese diverse che consente il rafforzamento della loro presenza sul mercato, mediante la messa in opera delle più opportune sinergie (74).
Dopo di che, tuttavia, diviene arduo individuare una distinzione sotto il profilo causale tra contratto di consorzio e contratto di rete, salvo non dire che soltanto il primo possa atteggiarsi, obbedendo ad una funzione che, seppure in modo residuale, ancora ne caratterizza il tipo, come contratto inteso a disciplinare la concorrenza tra imprenditori (75). Il che non escluderebbe, comunque, la sovrapposizione di funzioni per quanto attiene invece all’attitudine di entrambi i contratti a determinare l’innalzamento della capacità di stare sul mercato delle imprese aderenti (76).
In dottrina si è pertanto sostenuto che, anche in ragione della sua causa, ritenuta di natura mutualistica, il contratto di rete nient’altro sarebbe se non un particolare tipo di consorzio con attività esterna (77).
Tuttavia, il fatto che il contratto di rete risponda, come in precedenza abbiamo detto, ad una funzione associativa ancora non significa, evidentemente, che la sua possa essere rappresentata nei termini di una causa mutualistica (78).
Il discorso sembra dover essere impostato trascorrendo dal piano della causa a quello dell’oggetto contrattuale, secondo un punto di vista che meglio consente di constatare come il contratto di rete, in realtà, presenti una divaricazione rispetto al modello consortile: quest’ultimo funzionante con riguardo a
«determinate fasi» delle attività imprenditoriali esercitate dai consorziati, mentre l’oggetto del contratto di
72 In senso critico, peraltro, XXXXXXXXXXXXX, Dei consorzi, cit., p. 109 s.
73 XXXXXXXXX, La cooperazione tra imprenditori, in Diritto commerciale, I, a cura di X. Xxxx, Torino, 2013, p. 277 ss. ed ivi 279.
74 Cfr. Cass. 18.3.1995, n. 3163: «La causa del contratto di consorzio …non è più limitata alla disciplina della concorrenza tra imprenditori esercenti una medesima attività economica o attività economiche connesse, ma ha un ambito più vasto, grazie al quale il contratto stesso si rivela concepito quale strumento di collaborazione generale tra imprese diverse volto a realizzare le più razionali ed opportune sinergie».
75 Per la possibile rilevanza anche del contratto di rete, comunque, dal punto di vista della disciplina antitrust, XXXXXXX, Reti di imprese, contratto di rete e reti contrattuali, cit., p. 953 ss. In argomento, ampiamente, XXXXXXXX ed XXXXXX, Contratto di rete e diritto antitrust, in Il contratto di rete per la crescita delle imprese a cura di X. Xxxxxxx, P. Iamiceli, G.D. Xxxxx, cit., p. 367 ss.
76 Discorre di una sovrapposizione funzionale non piena tra le due figure, XXXXX, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, cit., p. 847 s.
77 XXXXXX, Dal consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, x. 000 xx. Xx veda, inoltre, MARASÀ, Contratti di rete e consorzi, cit., p. 10, secondo cui «il contratto di rete appare come una species nell’ambito del genus dei consorzi con attività esterna, poiché corrisponde, come fattispecie, ad un consorzio con attività esterna non avente finalità solo anticoncorrenziali».
78 Sul punto, XXXXXXXX, Dalle reti di imprese al contratto di rete, cit., p. 23.
rete è più ampio, estendendosi fino all’esercizio in comune di una o più attività, purché rientranti nell’ambito imprenditoriale proprio dei soggetti retisti (79).
Questo riferimento all’esercizio in comune di una o più attività d’impresa, che si rinviene nella definizione normativa del contratto di rete, deve intendersi in senso lato, senza che si possa distinguere, in particolare, tra attività principali e attività secondarie x xxxxxxxx rispetto all’oggetto delle singole imprese retiste (80). L’unico limite consiste nel fatto che si deve trattare, appunto, di attività comprese nell’oggetto di ciascuna impresa. Sembra così possibile, come è stato detto, che società le quali, ad es., abbiano un oggetto sociale esteso a più attività contigue, ne affidino una, magari non ancora avviata, alla rete (81).
Tutto ciò conduce a ritenere che la partecipazione ad una rete possa costituire lo strumento per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali, precedentemente non coltivate dai soggetti retisti, e con lo scopo di trarre un utile da codeste iniziative (82). Né in questo modo è smentita la causa da cui la figura contrattuale in esame risulta contrassegnata secondo la sua definizione normativa, dacché la finalità lucrativa che può inerire all’esercizio in comune di una nuova attività non può certo dirsi antitetica rispetto alla funzione, cui il contratto di rete deve rispondere, di favorire la capacità competitiva delle singole imprese aderenti (83).
Il limite invalicabile – si torna a ripetere – è quello segnato dalla raffigurazione dell’impresa secondo il suo oggetto particolare. Il contratto di rete si pone come strumento destinato a favorire l’espressione massima delle potenzialità di ciascuna impresa retista, ma senza poter determinare in alcun modo un mutamento della sua identità.
Niente è perciò d’ostacolo ad ammettere, entro questo limite, che l’aggregazione costituita mediante la rete possa offrire il supporto per l’esercizio in comune di una nuova attività economica, cosicché – se non si è provveduto all’iscrizione unica presso il registro dove la rete ha la sua sede – sarà necessario discorrere di un’impresa riconducibile a più soggetti distinti, quali sono i singoli partecipanti (84), secondo un modello che per qualche verso richiama quello utilizzato, a proposito dei gruppi e della società holding,
79 Tuttavia, nel senso che tra contratto di rete e consorzio non sussistano «apprezzabili differenze» neanche sotto questo profilo, MARASÀ, Contratti di rete e consorzi, cit., p. 9 s. Si veda altresì XXXXXX, Dal consorzio al contratto di rete, cit., p. 799 s., secondo cui «si deve ritenere che le attività economiche che vengono esercitate in comune attraverso il contratto di rete sono aspetti o fasi delle complessive attività imprenditoriali dei singoli partecipanti».
80 Cfr. CAFAGGI, Introduzione, cit., p. 28 s.: «Il contratto di rete consente l’esercizio in comune di attività non solo strumentali, ma aventi un’importanza strategica per le imprese partecipanti, permettendo un’alternativa all’impiego del modello societario».
81 XXXXX, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, cit., p. 848 nt. 39.
82 Sul punto, CAFAGGI, Introduzione, cit., p. 32, che ritiene ammissibile «una causa lucrativa indiretta in cui i benefici realizzati tramite l’attività della rete possano essere trattenuti versandoli nel fondo», ma salvo subito dopo aggiungere che è sempre possibile, poi, che tali «benefici siano trasferiti ai partecipanti» (in termini più netti, in seguito, ID., Il nuovo contratto di rete, cit., p. 1145, ove si afferma che la rete possa essere configurata in modo da prevedere un trasferimento integrale ai partecipanti dei profitti e delle perdite).
83 Già l’osservazione empirica del fenomeno consente di constatare che le reti, come sottolinea CAFAGGI, Introduzione, cit., p. 14, possono costituirsi «per produrre beni o servizi che le imprese singolarmente non sarebbero in grado di fare, o che farebbero a costi maggiori e con risultati meno efficaci».
84 Afferma invece che il contratto di rete potrebbe dar vita, in questa ipotesi, ad una società consortile di diritto speciale, XXXXXXXXX, Il «contratto di rete» fra (comunione di) impresa e società (consortile), cit., p. 339.
per spiegare un fenomeno che autorevole dottrina, com’è noto, ricostruisce nel senso che la pluralità dei soggetti in campo non debba condurre al disconoscimento dell’unità dell’impresa esercitata (85).
6. Soggettività giuridica della rete e rappresentanza.
È stata posta, in precedenza, la distinzione tra reti semplici, poiché improntate ad una contrattualità pura, reti con elementi di organizzazione, in cui vengono istituiti un fondo e un organo comune, e reti-‐soggetto, le quali acquistano la soggettività giuridica mediante l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese tenuto dall’ufficio competente per il luogo in cui ne è stabilita la sede.
Giunti a questo stadio del discorso, però, deve notarsi che anche le reti del primo tipo presentano o possono presentare taluni profili organizzativi capaci di introdurre un’incrinatura rispetto al modello della contrattualità pura cui esse nondimeno si ispirano (86).
Assume rilievo, da questo punto di vista, la previsione secondo cui il contratto di rete deve indicare «le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo». Il legislatore si preoccupa, qui, della governance della rete (87). Riprendendo il linguaggio di una dottrina già citata (88), si potrebbe dire che, nella fattispecie in esame, «gli interessi in gioco si realizzano attraverso … un piano di azione» che si proietta nel futuro e richiede di essere attuato mediante decisioni che la collettività dei partecipanti è chiamata ad assumere. È necessario stabilire regole, perciò, che governino lo svolgimento di questi processi decisionali, ma salvo il limite delle competenze affidate all’organo gestorio, la cui eventuale istituzione si tradurrà in un conseguente riparto di attribuzioni, dovendosi distinguere, in tal caso, tra i compiti ad esso propri e quelli residuali della collettività dei partecipanti.
Il dettato normativo prosegue, poi, stabilendo che il contratto di rete debba anche indicare, nel caso in cui preveda «la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo». Quest’ultimo costituisce elemento centrale, come abbiamo detto, della fattispecie in discorso, sicché ammettere la modificabilità a maggioranza del programma comune, se così è previsto, equivale a concedere che lo stesso contratto di rete possa essere fatto oggetto di modifiche mediante una deliberazione dei partecipanti adottata a maggioranza.
Sembrerebbe di dover constatare, sul punto, la sussistenza di una palese affinità della disciplina dedicata al contratto di rete non solo con quanto previsto, in materia di consorzi, dall’art. 2607 c.c., ma anche con il
85 XXXXXXX, Direzione e coordinamento di società, Art. 2497-‐2497 septies, in Commentario del Cod. Civ. Scialoja-‐Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna-‐Roma, 2005, p. 19 ss., secondo cui «anche il giurista, come l’economista, deve pervenire alla conclusione che l’impresa di gruppo è un’impresa unitaria, esercitata direttamente dalle società operanti, esercitata indirettamente dalla società holding».
86 Nel senso che una qualche forma di organizzazione, per quanto embrionale, non possa mai far difetto, XXXXXXXXX, Il
«contratto di rete» fra (comunione di) impresa e società (consortile), cit., p. 331 e 334 s.
87 In argomento, CAFAGGI e IAMICELI, La governance del contratto di rete, in Il contratto di rete. Commentario a cura di X. Xxxxxxx, cit., p. 45 ss.
88 MAIORCA, voce «Contratto plurilaterale», cit., p. 10.
dettato dell’art. 2252 c.c. secondo cui, nelle società di persone, il contratto sociale «può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente». Infatti, al di là del diverso tono del discorso del legislatore, teso a dare enfasi, nell’art. 2252 c.c., al principio della non modificabilità del contratto se non con il consenso di tutti e a mettere invece in evidenza, a proposito del contratto di rete, la possibilità che sia prevista l’adozione di modifiche a maggioranza, le previsioni normative in esame paiono proporre una soluzione identica del problema in esse considerato (89), con ciò lasciando intendere come il contratto di rete, anche quando è diretto a costituire una rete semplice, perché non dotata né di un fondo né di un organo comune, si presenti comunque prossimo ai contratti capaci di dar vita ad organizzazioni soggettivate, com’è il caso appunto del contratto costitutivo di una società a base personale (90).
Approfondendo l’analisi si può osservare che, tuttavia, l’interpretazione corrente dell’art. 2252 c.c. è nel senso che la modificabilità a maggioranza del contratto sociale incontri comunque dei limiti, non potendo essere toccate, senza il consenso unanime, le «basi essenziali» del contratto stesso «e, in particolare, i diritti individuali dei soci» (91), né essere imposti nuovi o maggiori obblighi (92). Al contrario, poiché il programma di rete è deputato a raccogliere la definizione proprio «dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante», il fatto che ne sia prevista l’eventuale modificabilità a maggioranza sembra dover indurre a concludere che la posizione individuale dei singoli partecipanti possa essere incisa anche senza il loro consenso (93).
La rete assume una fisionomia ancora più articolata, naturalmente, allorché il contratto preveda
«l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso». È questo il modello delle reti con elementi di organizzazione, come le abbiamo definite.
Ora, sembrerebbe difficile, ragionando in astratto, negare che in casi del genere la rete sia provvista di soggettività. I tratti organizzativi del modello in esame vanno ben oltre il profilo basico della determinazione delle regole destinate a governare i processi decisionali dei partecipanti e definiscono una figura strutturata in maniera non meno complessa di quanto accade per le associazioni non riconosciute e i consorzi con attività esterna, a parte la già segnalata vicinanza, sempre sotto il profilo
89 Per l’affermazione che la deroga consentita dall’art. 2252 x.x. «xxxxxxxx xxxxxxxxxx x’xxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxx», XXXXXXXX, La società semplice, in Trattato di dir. civ. diretto da X. Xxxxx, Torino, 1998, p. 85. Sul punto, in maniera più articolata, ma con lo stesso esito, X. XXXXX, Le società3, in Trattato di dir. civ. it. Fondato da X. Xxxxxxxx, Torino, 1987, p. 150 s.
90 Si veda, di recente, Cass. 26 giugno 2009, n. 15183. In dottrina, per tutti, XXXXXXXXX, Le società. Disposizioni generali, Artt. 2247-‐2250, in Commentario al Cod. Civ. diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Milano, 2000, p. 203.
91 CAGNASSO, La società semplice, cit., p. 85.
92 Cfr. X. XXXXX, Le società, cit., p. 152 s.: «Ogni volta … che la modificazione incida sulla sfera giuridica del socio singolo, la volontà della maggioranza è destinata a rimanere priva di effetti, se l’interessato non è consenziente».
93 Sul punto, XXXXXXX, Il contratto di rete, cit., p. 73 s., secondo cui la modificazione a maggioranza richiederà, comunque, il rispetto del principio di parità di trattamento, se omogenei sono i diritti ed obblighi dei retisti, dovendosi riconoscere, in caso contrario, il potere di recesso al non consenziente la cui posizione sia stata toccata dalla delibera.
dell’organizzazione, con le società personali (94). Così come la soggettività è un connotato delle associazioni non riconosciute e dei consorzi con attività esterna, oltre che delle società personali, essa dovrebbe esserlo, perciò, anche rispetto alle reti di cui stiamo discutendo. Né dunque sorprende che nel vigore dei testi di legge di prima fattura si sia potuto concludere, ma non senza significatici dissensi (95), anche e soprattutto dopo che, con la novella del 2010, il soggetto investito della funzione organica è stato qualificato come «mandatario comune» delle imprese retiste (96), che la presenza del fondo patrimoniale e dell’organo comune avrebbe dovuto condurre al riconoscimento alla rete di un’autonoma soggettività (97).
Questi interrogativi, tuttavia, sono stati eliminati in radice mediante gli ultimi interventi di modifica del dettato normativo, la cui attuale versione prevede che, dall’un lato, «con l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede la rete acquista soggettività giuridica» e che, dall’altro lato, il contratto di rete «che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica», salvo l’adempimento della predetta formalità pubblicitaria.
È stato delineato così un sistema affatto particolare secondo cui l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese svolge una funzione costitutiva, ma non già rispetto all’acquisto della personalità giuridica, come avviene per le società di capitali, bensì ai fini, più modesti, dell’acquisto della semplice soggettività, quale situazione ibrida che, se consente l’imputazione al nuovo soggetto degli effetti dell’attività compiuta dai suoi organi, non è tuttavia connotata dall’instaurarsi di un regime di autonomia patrimoniale piena, come del resto è confermato dalla disciplina stessa del contratto di rete mediante il richiamo, segnatamente, all’art. 2615, 2° comma, c.c.
Bisogna aggiungere che le previsioni sulla soggettività, nel testo normativo attuale, sono completate dal regolamento dedicato alla sostituzione rappresentativa, precisandosi che l’organo comune agisce in rappresentanza delle rete, se questa è dotata di soggettività, e in rappresentanza degli imprenditori partecipanti al contratto, quando la soggettività sia invece assente. Dunque, l’organo è davvero tale e si immedesima con la rete soltanto se sia stata data esecuzione alla formalità pubblicitaria che costituisce condicio sine qua non per l’acquisto della soggettività, laddove, quando questa faccia difetto, l’organo, non immedesimato nella rete, svolgerà la sua azione nel quadro dei rapporti che lo legano a ciascuna delle imprese retiste, e cioè nel contesto di una situazione caratterizzata da quella dualità soggettiva che, secondo la dottrina tradizionale, costituisce il tratto distintivo della rappresentanza volontaria rispetto a
94 Nel senso che l’organizzazione costituisca un presupposto fondamentale della soggettività, in giurisprudenza, Cass. 15 luglio 2010, 16605, la quale, riconoscendo natura di patrimonio separato ai fondi comuni d’investimento, osserva che «ciò che rende più di ogni altra cosa difficile configurare il fondo comune alla stregua di un autonomo soggetto di diritto è l’assenza di una struttura organizzativa minima, di rilevanza anche esterna, quale ad esempio si riscontra nelle associazioni o nelle società di persone».
95 CAMARDI, Dalle reti di imprese al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa, cit., p. 930; BRIGANTI, La nuova legge sui “contratti di rete”, cit., p. 194.
96 SCIUTO, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete, cit., p. 78 ss.; M. BIANCA, Il modello normativo del contratto di rete, cit., p. 52; XXXXXXX, Il contratto di rete, cit., p. 627.
97 Cfr. XXXXXXX, Contratti di impresa e contratti tra imprese, cit., p. 8; VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, cit.,
p. 951; ID., Il coordinamento interimprenditoriale nella prospettiva del contratto plurilaterale, in Le reti di imprese e i contratti di rete a cura di X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 103 ss. ed ivi 110. Sul punto, nel senso della possibile entificazione della rete avuto riguardo alle modalità organizzative adottate in concreto, si veda anche XXXXXXX, L’organizzazione nella rete, in Il contratto di rete per la crescita delle imprese a cura di X. Xxxxxxx, P. Iamiceli e G.D. Xxxxx, cit., p. 205 ss. ed ivi 236 ss.
quella organica. Il che non è privo di rilievo se si considera che l’ambito di applicazione di quest’ultima è tendenzialmente più esteso, esso comprendendo anche gli atti illeciti (98).
Si è parlato, fin qui, di una sostituzione rappresentativa che si svolge nelle forme della rappresentanza organica o volontaria, a seconda che la rete dia dotata o meno di soggettività, ma bisogna a questo punto osservare che l’una e l’altra sono accomunate nel loro fondamento, poiché l’acquisto del potere rappresentativo da parte dell’organo comune è un effetto naturale della sua istituzione, mentre, sotto il profilo dell’ampiezza di questo potere, i suoi contorni, in mancanza di diverse previsioni contenute nel contratto di rete, dovranno intendersi direttamente determinati dalla legge (99), là dove si dice che
«l’organo comune agisce … nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l’accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall’ordinamento, nonché all’utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza».
È questa una indicazione ad un tempo tanto lata e poco perspicua, tuttavia, da rendere praticamente indispensabile che i poteri dell’organo siano precisamente determinati attraverso un’apposita clausola del contratto di rete. Né vi sono ragioni per negare che i contraenti, all’opposto, possano escludere la sussistenza in capo all’organo comune di qualsivoglia potere di rappresentanza, almeno nei casi in cui la rete è destinata a rimanere priva di soggettività. L’organo opererà, allora, alla stregua di un semplice mandatario delle imprese retiste, senza poterne spendere il nome (100).
7. La responsabilità per le obbligazioni contratte dall’organo comune.
Dev’essere affrontato, giunti a questo punto, il tema della responsabilità per le obbligazioni contratte dall’organo comune.
Questa responsabilità è specificamente regolamentata, all’interno della disciplina sul contratto di rete, in riferimento al caso in cui sia prevista l’istituzione (oltre che dell’organo, anche) di un fondo patrimoniale comune. Il legislatore non ha dunque stabilito alcun trattamento particolare rispetto alle reti semplici, come dianzi le abbiamo definite, mentre le regole introdotte sulla responsabilità per le obbligazioni contratte dall’organo comune riguardano – senza distinzione alcuna, almeno in apparenza – tanto le reti con elementi di organizzazione quanto le reti-‐soggetto.
Le regole di cui diciamo sono sostanzialmente due: la prima stabilisce che, per le obbligazioni contratte dall’organo comune «in relazione al programma di rete», i terzi possono far valere i loro diritti
«esclusivamente» sul fondo comune; la seconda si risolve in un richiamo, nei limiti della compatibilità, alle disposizioni di cui agli artt. 2614 e 2615, 2° comma, c.c.
98 Su tutti questi temi sia consentito il rinvio a DELLE MONACHE, La «contemplatio domini». Contributo alla teoria della rappresentanza, Milano, 2001, p. 110 ss.; ID., Della rappresentanza, in Commentario del Codice Civile diretto da X. Xxxxxxxxx, Torino, 2012, p. 10 ss.
99 Cfr. XXXXXXX, Il contratto di rete, cit., p. 75; XXXXXXX, Xxxx e contratto di rete, cit., p. 81.
100 Sulle conseguenze dell’agire in nome proprio dell’organo comune si veda infra, § 9.
Esse devono esaminarsi, poiché dettate a prescindere dall’acquisto della soggettività giuridica da parte della rete (sempre che siano stati istituiti l’organo e il fondo comune), tenendo conto di ciò che in precedenza abbiamo precisato a proposito del funzionamento della rappresentanza: la quale, nelle reti-‐ soggetto, si atteggia come rappresentanza organica, con spendita del nome della rete da parte dell’organo comune, laddove, nelle reti con elementi di organizzazione ma non soggettivate, essa opera negli stessi termini della comune rappresentanza volontaria, implicando una spendita del nome riferita ai singoli partecipanti alla rete.
Poste queste premesse sembra utile impostare il discorso sulle regole in questione – le due, cioè, poc’anzi individuate – cercando di capire se e come sia possibile raccordarle con i principi.
A questo proposito, avuto riguardo alla natura propria, secondo noi, del contratto di rete come contratto che obbedisce ad una funzione associativa, conviene muovere dall’esame di alcune figure contermini, quali possono essere precisamente considerate, dal punto di vista che qui interessa, le associazioni non riconosciute e i consorzi.
La tesi prevalente in dottrina, com’è noto, afferma che le associazioni non riconosciute sono dotate di soggettività, fungendo da centro autonomo di imputazione di situazioni giuridiche (101). Pertanto, le obbligazioni contratte per l’associazione dagli organi che ne hanno la rappresentanza sono obbligazioni dell’associazione medesima, rispetto alle quali essa risponde, secondo i principi, con il suo patrimonio, e cioè con il fondo comune (102). Il che trova precisa conferma nel dettato dell’art. 38 c.c. là dove, nella sua prima parte, è detto che i terzi creditori «possono far valere i loro diritti sul fondo comune».
Tuttavia, il legislatore subito dopo aggiunge, nello stesso art. 38 c.c., che per le obbligazioni (è da intendere) gravanti sull’associazione «rispondono anche personalmente e solidalmente» le persone che hanno agito in suo nome e per suo conto. Si tratta di una responsabilità che si assomma a quella propria dell’associazione, dovendosene ricavare, sul piano interpretativo, che in capo a tali persone si costituisca ex lege un’obbligazione fideiussoria, a garanzia dell’adempimento del debito principale (103).
Venendo ai consorzi, la dottrina prevalente, anche qui, non dubita che il riconoscimento della soggettività giuridica sia necessario, almeno per quanto riguarda quelli con attività esterna (104). Le obbligazioni assunte in nome del consorzio dai suoi organi saranno pertanto da considerare come obbligazioni del consorzio, che ne risponderà con il suo patrimonio, ovverosia con il fondo consortile.
101 Per tutti, C.M. BIANCA, Diritto civile. 1. La norma giuridica. I soggetti2, Milano, 2002, p. 379 ss.
102 BULLO, La responsabilità dell’associazione e quella dei suoi rappresentanti ai sensi dell’art. 38 c.c., in Studium iuris, 1998, p. 413 ss. ed ivi 414.
103 Sul tema si veda, ancora, la ricognizione di BULLO, La responsabilità dell’associazione e quella dei suoi rappresentanti ai sensi dell’art. 38 x.x., xxx., x. 000 s.
104 SCIUTO, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete, cit., p. 79 e 81; M. BIANCA, Il modello normativo del contratto di rete, cit., p. 49 s.; XXXXXXXXX, La cooperazione tra imprenditori, cit., p. 280 e 284. In giurisprudenza, si veda, di recente, Cass. 4 giugno 2007, n. 12958, secondo cui «il consorzio con attività esterna è un autonomo centro di rapporti giuridici e pertanto ben può stipulare contratti anche in nome proprio».
A tale responsabilità, conforme ai principi, sancita dall’art. 2615, 1° comma, c.c., se ne aggiunge un’altra a mente del cpv. della medesima disposizione, secondo cui per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio «per conto dei singoli consorziati» questi rispondono «solidalmente col fondo consortile».
È questa una regola normativa sul cui significato bisogna intendersi, dacché la disciplina sul contratto di rete proprio al cpv. dell’art. 2615 c.c. espressamente si richiama, come abbiamo detto.
Si è al cospetto di una vistosa deroga ai principi che governano l’agire rappresentativo. Il discorso avrebbe bisogno di essere impostato su basi più ampie rispetto a ciò che è possibile in questa sede, ma, per venire subito al nocciolo della questione, bisogna sottolineare come la lettura combinata degli artt. 1388 e 1705, 1° comma, c.c. metta in evidenza la centralità della contemplatio domini ai fini dell’agire rappresentativo e la correlativa irrilevanza del rapporto gestorio, anche se noto al terzo (105). La deroga consiste dunque nel fatto che, nei consorzi con attività esterna, funziona un duplice criterio di imputazione delle obbligazioni assunte dagli organi investiti del potere di rappresentanza: la spendita del nome del consorzio porta queste obbligazioni a gravare sul consorzio medesimo, impegnandone la responsabilità, ma nel contempo esse si trovano ad essere imputate anche alle imprese – ovverosia, più precisamente, alle singole, specifiche imprese (106) – per conto delle quali l’organo abbia agito (107). Ciò, a meno di non ritenere, riprendendo le suggestioni provenienti da una ben nota tradizione di pensiero proclive a considerare separabile il debito dalla responsabilità patrimoniale (108), che l’agire per conto altrui, secondo l’art. 2615, 2° comma, c.c., sia criterio capace di determinare un allargamento della responsabilità verso i singoli consorziati, ma non di interferire, invece, sull’imputazione del rapporto obbligatorio, questo restando pur sempre un rapporto del consorzio. Ma si tratterebbe di un’interpretazione assai lontana, oltre tutto, dalla prospettiva accolta negli orientamenti più accreditati, con la conferma anche della giurisprudenza più recente, secondo cui la solidarietà sancita dalla disposizione normativa in esame va intesa come “solidarietà diseguale”, giacché «il vero e proprio debito è solo quello del consorziato, mentre quella del consorzio è solo una forma di responsabilità per debito altrui» (109).
Tracciato così il quadro di riferimento, si può osservare come le reti-‐soggetto, segnatamente, non si discostino dai modelli sopra esaminati ed anzi, più in particolare, dal modello del consorzio con attività esterna: l’organo comune agisce in rappresentanza della rete; le obbligazioni che esso assume (in relazione al programma comune) sono obbligazioni della rete; la rete ne risponde con il proprio
105 DELLE MONACHE, La «contemplatio domini», cit., p. 435 ss.
106 In proposito, XXXXXXXX, Consorzi e società consortili, in Trattato di dir. civ. e comm. già diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxx, Milano, 1985, p. 374, secondo cui «non vi è dubbio che la norma si riferisca alle ipotesi nelle quali l’obbligazione è stata assunta “per conto” di uno solo o più consorziati esattamente individuati, mentre non riguarda certo le obbligazioni del consorzio o che comunque interessano la generalità dei consorziati».
107 In giurisprudenza, si veda Cass. 21 febbraio 2006, n. 3664, la quale, constatando che si è in presenza di una deroga, per l’appunto, al principio generale di cui all’art. 1705 c.c. (nello stesso senso, XXXXXXX, Diritto commerciale. L’imprenditore, cit., p. 159), afferma che l’art. 2615, 2° comma, c.c. rende «responsabili (anche) i consorziati, nonostante la mancata spendita del loro nome, essendo sufficiente che le obbligazioni siano assunte nel loro interesse». 108 Per qualche riferimento, C.M. BIANCA, Diritto civile. 4. L’obbligazione, Milano, 1990, p. 25 ss.; MOSCATI, La disciplina generale delle obbligazioni, Torino, 2012, p. 18 ss. Sul significato attuale della distinzione, nella letteratura tedesca, SCHLECHTRIEM, Schuldrecht. Allgemeiner Teil5, Tübingen, 2003, p. 10.
109 BORGIOLI, Consorzi e società consortili, cit., p. 373. In termini analoghi si è espressa Cass. 21 febbraio 2006, n. 3664, a giudizio della quale il consorzio che agisce per conto di un singolo consorziato, ma senza spenderne il nome, rimarrebbe obbligato soltanto «in virtù dell’assunzione di una garanzia ex lege».
patrimonio, ovverosia con il fondo comune; a questa responsabilità, come per i consorzi con attività esterna, si aggiunge quella solidale delle singole imprese retiste per conto delle quali, eventualmente, l’organo abbia agito (fatta salva la ripartizione proporzionale, nei rapporti interni, del debito dell’insolvente) (110).
Il passaggio del discorso normativo secondo cui, per le citate obbligazioni contratte dall’organo comune, i terzi possono far valere i loro diritti «esclusivamente» sul fondo patrimoniale, perciò, va inteso nel senso che la relativa responsabilità non si estende alle imprese a cui non è in alcun modo riferibile l’operazione compiuta, mentre risponderanno in solido con il fondo le imprese per conto delle quali l’organo ha agito e che dunque non sono estranee all’operazione stessa, almeno se considerata nella sua valenza economico-‐ sostanziale, anziché giuridico-‐formale (111).
8. (Segue). Il regime delle reti prive di soggettività.
Gli esiti appena tracciati abbisognano, per vero, di importanti precisazioni a proposito dell’ipotesi che si verifica quando il conferimento alla rete, com’è possibile per testuale previsione normativa, avviene mediante l’apporto di un patrimonio destinato ai sensi dell’art. 2447-‐bis, 1° comma, lett. a), c.c. Ma si tratta di un tema che approfondiremo nel prossimo paragrafo.
Interessa qui soffermarsi, invece, sulle reti prive di soggettività, benché dotate di organo e fondo comune: sono queste le reti con elementi di organizzazione, secondo la terminologia da noi utilizzata.
Anche rispetto ad esse vale la regola secondo cui «per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune». E tuttavia bisogna chiedersi quale sia, in tal caso, il punto di riferimento soggettivo di codeste obbligazioni. Dato che manca la soggettività, per espresso volere del legislatore, non si potrà considerarle come obbligazioni propriamente della rete, e cioè di un ente diverso dalle imprese retiste, né esse saranno da imputare al soggetto che svolge l’ufficio di organo comune, il quale agisce – salvo ciò che si dirà nel paragrafo successivo – in nome altrui e più precisamente, qui, in rappresentanza dei partecipanti al contratto di rete. Si tratterà di obbligazioni proprie, dunque, delle imprese retiste: ognuna di queste imprese o alcune soltanto a seconda che l’organo comune abbia speso, genericamente, il nome della rete e
110 Può restare qui impregiudicata la questione, a cui poc’anzi s’è fatto cenno a proposito dei consorzi, se debitore principale (e, più latamente, titolare dei rapporti contrattuali assunti dall’organo comune) sia le rete stessa o la singola impresa aderente nel cui interesse l’atto è stato compiuto. In questo secondo senso, rispetto ai consorzi, si veda XXXXXXXXX, La cooperazione tra imprenditori, cit., p. 286, il quale afferma che le obbligazioni assunte dagli organi consortili per conto di singoli consorziati sarebbero «giuridicamente imputabili solo a costoro, con l’aggiunta di una responsabilità sussidiaria, a mero titolo di garanzia, del fondo consortile». Il tema – si può aggiungere – presenta interessanti connessioni con la problematica del significato da riconoscere alla particolare regola, sugli effetti dell’agire dell’institore, codificata nell’art. 2208 c.c.: sia consentito ancora il rinvio, sul punto, a DELLE MONACHE, La
«contemplatio domini», cit., p. 462 ss.
111 Sulla nozione dell’agire per conto altrui, LUMINOSO, Xxxxxxx, commissione, spedizione, in Trattato di dir. civ. e comm. già diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxx, Milano, 1984, p. 1 ss.
così il nome di tutte ovvero abbia agito in rappresentanza solo di taluni tra coloro che formano l’aggregazione imprenditoriale (112).
Ciò posto, parrebbe dunque che ci si trovi di fronte, per le reti dotate di elementi di organizzazione, ma prive di soggettività, ad una significativa deroga al principio di cui all’art. 2740 c.c. (113). Le obbligazioni contratte dall’organo comune – abbiamo detto – sono obbligazioni che si collocano in capo ai singoli partecipanti alla rete, ma la correlativa responsabilità – dice la legge – è limitata al fondo comune. Sembra che si verifichi, pertanto, una situazione consimile a quella determinata, rispetto alle società per azioni, dalla costituzione di un patrimonio destinato (114). Invero, ai sensi dell’art. 2447-‐quinquies, 3° comma, c.c.,
«per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare», le quali sono certamente obbligazioni della società, questa risponde «nei limiti del patrimonio ad esso destinato».
Sennonché occorre tener presente il richiamo compiuto dal legislatore all’art. 2615, 2° comma, c.c., quale disposizione certamente applicabile, come meglio diremo (115), anche alle reti prive di soggettività ed il cui significato, a proposito dei consorzi, sta nel rendere obbligate e comunque responsabili, in solido con il fondo, le singole imprese per conto delle quali gli organi consortili abbiano agito.
Mentre la spendita del nome delle imprese retiste, dunque, determina l’imputazione soggettiva in capo ad esse delle obbligazioni contratte dall’organo della rete, è solo l’agire per conto altrui l’elemento capace di smarcare la responsabilità dal suo confinamento entro i limiti del fondo comune, determinandone l’estensione ai patrimoni dei singoli partecipanti all’aggregazione imprenditoriale. Con questa conseguenza: che, nei consorzi, risponderanno delle obbligazioni assunte anche le imprese per conto delle quali l’organo abbia agito, nonostante non ne sia stato speso il nome (116), laddove, nelle reti prive di soggettività, l’agire per conto altrui funziona da criterio che rende piena la responsabilità delle imprese retiste titolari delle obbligazioni contratte in loro nome dall’organo comune (117).
Ciò posto, le premesse del discorso rimandano, qui, alla distinzione concettuale tra “agire in nome altrui” e “agire per conto altrui”, nonché alle possibili combinazioni tra l’uno e l’altro, tenendo presente che, in dottrina, già da tempo è stato dimostrato come, accanto ai più noti moduli dell’agire in nome e per conto altrui e dell’agire in nome proprio ma per conto altrui, sia isolabile anche l’ipotesi dell’agire in nome altrui ma per conto proprio (118).
112 Cfr. XXXXXXX, Reti e contratto di rete, cit., p. 81.
113 In tal senso, SCIUTO, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete, cit., spec. p. 106, il quale, sulla base del testo di legge uscito dalla novella del 2010, individuava nel fondo comune «un patrimonio separato e non entificato». In precedenza, dopo la modifica con cui venne introdotto il richiamo agli artt. 2614 e 2615 c.c., IAMICELI, Contratto di rete, fondo comune e responsabilità patrimoniale, cit., p. 80.
114 Si veda, infatti, ancora XXXXXX, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete, cit., p. 89 s. nt. 45.
115 Si rimanda, in proposito, al § 9.
116 V., tuttavia, VOLPE PUTZOLU, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Tratt. di dir. comm. e di dir. pubbl. dell’economia diretto da X. Xxxxxxx, Padova, 1981, p. 317 ss. ed ivi 420, secondo cui il dettato dell’art.
2615, 2° comma, c.c. opererebbe sul presupposto che il consorzio abbia anche speso il nome del singolo consorziato per conto del quale agisce.
117 Quanto all’ipotesi, poi, dell’agire dell’organo comune in nome proprio, x. xxxxx, § 0.
000 Xxx tema è decisivo il contributo di XXXXXXXX, Mandato, commissione, spedizione, cit., p. 1 ss.
Xxxxxx, è proprio questa ipotesi a rivelarsi interessante, poiché suggerisce, a proposito del tema su cui stiamo ragionando, che non necessariamente la spendita del nome delle imprese retiste significherà che l’organo comune abbia agito anche per conto di ciascuna di esse.
Il problema – occorre precisare – è pur sempre quello delle «obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete». Al contrario, qualora l’organo non agisca dando seguito al programma stabilito dalle imprese retiste, e perciò in attuazione del contratto di rete, ma ponga in essere negozi estranei al suo oggetto, si tratterà di capire se esso, nei singoli casi, possa ritenersi comunque dotato della legittimazione necessaria, con la conseguenza, se questa sussiste, che le obbligazioni assunte in nome degli aderenti alla rete, o di taluni soltanto tra costoro, impegneranno la responsabilità patrimoniale di ciascuno secondo i principi (art. 2740 c.c.).
Qui occorre invece riflettere – come si ripete – in ordine alle obbligazioni contratte in relazione al programma di rete, rispetto alle quali la legge stabilisce che «in ogni caso … i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune»: laddove la perentorietà del dettato normativo («in ogni caso») va però valutata tenendo conto degli esiti cui conduce, riguardo al problema in esame, il contestuale richiamo all’art. 2615, 2° comma, c.c.
Ora, il fatto che nelle reti prive di soggettività – come si diceva – l’organo comune, quando agisce in rappresentanza della rete, contraendo obbligazioni connesse al programma, determini l’imputazione di queste obbligazioni in capo alle singole imprese retiste, rese così debitrici di fronte al terzo, ancora non significa che queste imprese rispondano dell’adempimento di tali obbligazioni con l’intero loro patrimonio, poiché è solo sulla scorta dell’agire per conto, non in virtù del semplice agire in nome altrui, che può sorgere la responsabilità piena, secondo il dettato dell’art. 2615, 2° comma, c.c., a superamento della sua perimetrazione entro i limiti del (conferimento al) fondo comune (119).
Nondimeno è importante chiedersi come sia distribuito l’onere della prova in questa materia, un tale interrogativo parendo essenziale, per vero, al fine di cogliere esattamente gli equilibri determinati dalla dialettica tra il principio, stabilito dalla legge, della localizzazione della responsabilità sul fondo comune e il richiamo al più volte citato cpv. dell’art. 2615 c.c.
Di nuovo torna utile il confronto con i consorzi con attività esterna. Come già abbiamo detto, le obbligazioni sorte per effetto degli atti compiuti dagli organi consortili in nome del consorzio sono obbligazioni destinate a collocarsi in capo a quest’ultimo, con la conseguenza che la garanzia patrimoniale ad esse inerenti sarà costituita dal fondo comune. Nessun dubbio può sorgere, dunque, in ordine al fatto che tocchi al terzo creditore, il quale pretenda di far valere il proprio diritto nei confronti di uno dei
119 È soltanto in questi termini che la disciplina dedicata al contratto di rete introduce un’eccezione al principio di cui all’art. 2740 c.c., mentre è eccessivo affermare che «la misura massima della responsabilità … dei debitori, viene costantemente a coincidere con quella della garanzia precostituita ed esistente» (SCIUTO, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete, cit., p. 106).
consorziati, allegare e dimostrare che l’atto da cui l’obbligazione consortile origina è stato compiuto dagli organi del consorzio per conto di quel consorziato (120).
La situazione si presenta invece in termini rovesciati a proposito delle obbligazioni assunte, in relazione al programma comune, dall’organo di una rete di imprese non soggettivata. Tali obbligazioni, se l’organo spende il nome della rete, saranno obbligazioni da imputare alle singole imprese retiste, come più volte ripetuto. E sembra difficile negare che, secondo l’id quod plerumque accidit (121), chi spende il nome altrui agisca anche per conto del soggetto il cui nome viene speso, sicché la spendita del nome è un dato che può considerarsi sufficiente, in generale, a fondare una presunzione di appartenenza dell’atto alla sfera di interessi del soggetto reso destinatario dei suoi effetti giuridici (122). Tanto più che – come già accennato – nulla esclude che l’organo comune, anziché spendere genericamente il nome della rete, possa agire in rappresentanza, nei singoli casi, anche di alcune soltanto delle imprese retiste (123). La spendita del nome è modulabile, in altre parole, in guisa da poter determinare o no il diretto coinvolgimento nei rapporti con il terzo di tutti gli aderenti alla rete, ciò suonando a conferma della sua idoneità, appunto, a fungere da elemento (sia pure solo presuntivo) di riscontro in ordine alla riferibilità soggettiva dell’atto nella sua valenza economico-‐sostanziale.
Sarà la singola impresa retista, in definitiva, a dover dimostrare che, nonostante l’organo comune ne abbia speso il nome nel compimento di un determinato atto esecutivo del programma comune, questo non è stato posto in essere per suo conto, non sussistendo dunque i presupposti per l’allargamento della responsabilità al proprio patrimonio secondo quanto previsto dall’art. 2615, 2° comma, c.c.
Ci si potrebbe anzi domandare se l’estraneità dell’impresa rispetto all’atto pur compiuto in suo nome, per poter rilevare nel senso detto, debba essere stata percepita o almeno percepibile dal terzo, non potendo altrimenti essergli opposta.
Tutto ciò non è ancora sufficiente, peraltro, a definire la questione su cui stiamo ragionando. Invero, occorre ulteriormente riflettere sulla variegata tipologia degli atti che l’organo comune può essere chiamato a compiere in esecuzione del programma di rete, stabilendone i possibili nessi con l’interesse di cui sono portatori i soggetti retisti.
120 Ai fini dell’azione del terzo verso il singolo consorziato, precisa XXXXXXX, Diritto commerciale. L’imprenditore, cit.,
p. 159, è necessaria «l’identificabilità dell’impresa nell’interesse della quale il consorzio ha contrattato, mentre non basta la semplice appartenenza al consorzio».
121 Cfr. Cass. 4 maggio 2005, n. 9225; Cass. 10 novembre 2003, n. 16831.
122 Nel senso che le presunzioni (semplici) possano tradursi, sotto il profilo della gravità da cui debbono essere connotate, in una inferenza che «si fonda su generalizzazioni … dotate di adeguato fondamento conoscitivo, ossia su una massima d’esperienza che corrisponde davvero all’id quod plerumque accidit nella realtà», TARUFFO (a cura di), La prova nel processo civile, in Trattato di dir. civ. e comm. già diretto da X. Xxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 1101 ss.
123 Questo non significa negare – ci sembra – che il rapporto tra i soggetti retisti e l’organo comune possa essere riportato al modello del mandato collettivo (art. 1726 c.c.), poiché l’attuazione del programma di rete, in cui si identifica, qui, l’affare di interesse comune, non è incompatibile, e anzi può ben richiedere, che per singoli atti determinati l’organo agisca in rappresentanza di talune imprese soltanto (sulla relazione che lega l’organo comune alla compagine dei retisti, GALLO, Il contratto di rete e l’organo comune: governance e profili di responsabilità, in La resp. civ., 2012, 6 ss.).
Sembra che si possa iniziare col dire, intanto, che qualunque atto esecutivo del programma di rete è un atto che l’organo comune compie nell’interesse generale degli aderenti, nel senso che, essendo essi interessati, per definizione, a realizzare il programma su cui si incentra il contratto di rete, non possono non esserlo rispetto ai singoli atti mediante i quali questo programma riceve attuazione. Nondimeno l’interesse delle singole imprese rispetto a ciascun atto compiuto dall’organo comune può presentare un’intensità assai diversa, a seconda che si tratti di un atto direttamente funzionale all’esercizio dell’attività propria, di un atto invece funzionale all’esercizio dell’attività altrui o ancora di un atto orientato a realizzare nella stessa misura l’interesse di tutte le imprese retiste.
Ora, è quest’ultima l’ipotesi più difficoltosa, mentre le altre due non sembrano destare particolari problemi. Si pensi, ad es., al contratto di trasporto stipulato dall’organo comune, in tale sua qualità, per soddisfare le esigenze di una determinata impresa retista (124). Non v’è dubbio che la pretesa che il vettore avanzi non già rispetto al beneficiario della prestazione, ma contro un soggetto diverso, potrà essere contrastata, da quest’ultimo, dimostrando la diretta connessione esistente tra l’atto posto in essere dall’organo comune e la sfera di attività dell’impresa che ha usufruito del trasporto. Si tratterà di un atto, invero, da considerare compiuto per conto di questa singola impresa, ai sensi dell’art. 2615, 2° comma, c.c., benché esso risponda anche all’interesse, ma del tutto mediato e indiretto, delle altre imprese retiste.
Meno semplice è invece stabilire – lo si è accennato – come vada trattata l’ipotesi in cui l’atto compiuto, spendendo la propria qualità, dall’organo comune si presenti parimenti orientato a realizzare l’interesse di tutti i soggetti che partecipano alla rete. Se l’organo comune, ad es., acquista un immobile per stabilirvi gli uffici della rete, potranno le imprese retiste, rispetto all’obbligazione di pagamento del prezzo su di esse gravante, opporre al terzo venditore la limitazione della responsabilità entro la capienza del fondo comune? In un caso del genere sembrerebbe che, per vero, nessuna delle imprese retiste possa affermare che l’atto le sia estraneo, ovverosia che esso, pur stipulato (anche) in suo nome, non sia stato però compiuto (anche) per suo conto.
Questo essendo dunque il problema, riteniamo che esso vada risolto tenendo presente che la prova che l’impresa retista deve fornire, sulla scorta della trasposizione della regola di cui all’art. 2615, 2° comma,
c.c. nell’ambito delle reti prive di soggettività, si riferisce al fatto che l’obbligazione sia stata assunta dall’organo comune «per conto dei singoli» partecipanti all’aggregazione imprenditoriale, ovverosia nell’interesse specifico di uno o più di costoro. Di tal che codesta prova non potrà essere somministrata quando l’organo comune, come nell’esempio sopra proposto, compia un atto capace di realizzare in pari misura l’interesse di tutte le imprese retiste.
Sul piano del confronto con i consorzi – bisogna aggiungere – se ne ricava che destinate a ricevere un diverso trattamento sono le obbligazioni che, in quell’ambito, vengono definite come “schiettamente consortili”, perché inerenti, ad es., al funzionamento degli uffici, al personale, ai servizi etc. (125). Si tratta di obbligazioni rispetto a cui, se gravanti sul consorzio, la responsabilità rimane necessariamente contenuta entro i limiti del fondo consortile; laddove, quando siano invece assunte, spendendo la propria qualità, dall’organo comune di una rete non soggettivizzata, esse saranno obbligazioni da imputare alle singole
124 Nulla quaestio se il nome speso non sia, genericamente, quello della rete, ma proprio il nome di codesta impresa.
125 Sul punto, XXXXXXX, Diritto commerciale. L’imprenditore, cit., p. 159; XXXXX XXXXXXX, I consorzi, cit., p. 418.
imprese retiste, senza che sia possibile fornire la prova, liberatoria in questo contesto, dell’agire dell’organo per conto di una o più imprese singole tra quelle che partecipano all’aggregazione reticolare.
9. (Segue). Responsabilità e separazione patrimoniale. L’applicabilità dell’art. 2615, 2° comma, c.c. anche alle reti prive di soggettività.
Il discorso svolto nel precedente paragrafo muoveva dall’idea che le «obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete» siano obbligazioni che, essendo assunte in rappresentanza delle imprese retiste, devono imputarsi a queste ultime.
Si potrebbe obiettare, tuttavia, che la previsione in discorso niente dice sul modo in cui l’organo interviene negli atti da esso compiuti: se agendo, cioè, in nome proprio o in nome altrui. L’unico elemento considerato dal legislatore, invero, è il fatto che le obbligazioni siano state contratte «in relazione al programma di rete». Ciò potrebbe suggerire l’idea che, quando l’organo comune non abbia speso il nome altrui e tuttavia, agendo in attuazione del contratto, abbia assunto obbligazioni che si presentano connesse al programma di rete, questo determini una limitazione della responsabilità verso i terzi al solo fondo comune. Rimarrebbe, certo, la possibilità per costoro di far valere i propri diritti nei confronti delle singole imprese per conto delle quali l’organo risulti avere agito: a meno di non dire, posto che il richiamo all’art. 2615, 2° comma, c.c. è operato nei limiti della compatibilità, che sia questa una disposizione applicabile al solo caso delle reti-‐soggetto, così come, nel contesto della disciplina dei consorzi con attività esterna, essa funziona da correttivo alla responsabilità nei limiti del fondo consortile propria del consorzio, in quanto soggetto autonomo rispetto alle imprese consorziate.
È possibile immaginare un’interpretazione, così, capace di valorizzare appieno il passaggio del discorso normativo in cui è stabilito che, rispetto alle obbligazioni in parola, i terzi possano far valere i loro diritti
«esclusivamente» sul fondo comune: essa implicherebbe che al creditore non sia consentito escutere il patrimonio del soggetto che svolge l’ufficio di organo, ma neanche soddisfarsi sui patrimoni delle imprese retiste, se si ritiene, per l’appunto, che rimanga qui esclusa l’applicabilità dell’art. 2615, 2° comma, c.c. Più precisamente, poiché l’organo comune, se non spende il nome altrui, come stiamo ipotizzando, imputa a se stesso, di necessità, gli effetti degli atti che compie (126), bisognerebbe riconoscere che quella prevista dalla legge, nella specie, sia una limitazione della garanzia patrimoniale generica: il soggetto rivestito della relativa carica assumerà in proprio le obbligazioni che derivano dagli atti compiuti, salvo però non rispondere del loro adempimento con il suo patrimonio, potendo i terzi far valere i loro diritti soltanto sul fondo comune (sicché il rischio di ciascuna impresa retista, compreso il soggetto-‐organo, sarà limitato al valore del conferimento) (127).
126 Quanto alle premesse teoriche di questa conclusione sia consentito ancora il rinvio a DELLE MONACHE, La
«contemplatio domini», cit., p. 252 ss.
127 Il riferimento contenuto nel dettato normativo al «soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo comune» fa pensare – è stato osservato – ad un organo «individuabile in uno degli imprenditori individuali o in una delle società partecipanti», senza che ciò escluda, ad ogni modo, che il potere gestorio possa invece essere affidato ad un organo
Ora, prima di sottoporre a verifica la fondatezza di un simile esito, bisogna intendersi in ordine al problema della spendita del nome, proprio o altrui, da parte dell’organo comune. Se quest’ultimo entra in relazione con i terzi manifestando la propria qualità o palesando l’inerenza al programma di rete dell’atto che si tratta di compiere, non sembra dubitabile che il suo agire sarà interpretato, secondo le vedute correnti, come un agire in nome della rete ovverosia, poiché qui manca la soggettività, in nome delle singole imprese retiste (128). Con la conseguenza della possibile estensione della responsabilità al loro patrimonio per le ragioni spiegate nello scorso paragrafo (129).
Fatta questa precisazione è tuttavia sull’ipotesi ricostruttiva dianzi delineata che occorre concentrarsi, per capire se essa sia meritevole di essere accolta.
La fattispecie da esaminare – precisiamo ancora – è quella dell’organo comune che, in una rete priva di soggettività, compia atti che si pongano «in relazione» al programma condiviso con le altre imprese retiste (atti, è dunque da intendere, esecutivi di codesto programma), ma ciò faccia senza manifestare all’esterno la sua qualità. L’esito ipotizzato è che, in questo caso, i terzi creditori non possano soddisfarsi sul patrimonio del soggetto che svolge l’ufficio di organo e anzi nemmeno siano in condizione, se si ritiene inapplicabile l’art. 2615, 2° comma, c.c., di escutere il patrimonio di alcun’altra delle imprese retiste, potendo invece far valere i loro diritti «esclusivamente» sul fondo comune.
Ora, se manca la spendita del nome altrui, le obbligazioni contratte dal soggetto-‐organo saranno obbligazioni che ad esso vanno imputate, ma rispetto alle quali l’unica garanzia patrimoniale – in thesi – sarebbe costituita dal fondo comune, quale massa di beni da considerare in comproprietà delle singole imprese retiste (130).
È questo un esito, tuttavia, che ci sembra difficilmente accettabile.
La sua fondatezza pare anzitutto smentita dalla volontà del legislatore di tenere ben distinte tra loro le reti-‐soggetto dalle reti che, pur dotandosi dell’organo e del fondo comune, rimangono prive di soggettività, in mancanza dell’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese. L’ipotesi ricostruttiva in esame, se accolta, condurrebbe infatti all’appiattimento dell’un modello sull’altro, almeno sotto il profilo della responsabilità del soggetto investito dell’ufficio di organo comune, il quale, non solo quando la rete abbia acquistato la soggettività, ma anche nel caso contrario, potrebbe pur sempre contare sul non assoggettamento del suo patrimonio alle azioni esecutive del terzo creditore.
collegiale (GENTILI, Il contratto di rete, cit., p. 626). In casi del genere, la rappresentanza della rete nei rapporti con i terzi potrà essere assunta da un presidente, con conseguente sdoppiamento dell’organo comune, secondo un modello ben noto alla prassi (CAFAGGI, Il nuovo contratto di rete, cit., p. 1151).
128 Sulla spendita del nome della rete non soggettivata come spendita del nome delle imprese retiste v. anche CAFAGGI e IAMICELI, Contratti di rete, cit., p. 601.
129 In generale, la giurisprudenza non è univoca – si osservi – sulle modalità con cui la spendita del nome dev’essere compiuta. Secondo un primo orientamento, più rigoroso, si richiede che il rappresentante abbia espressamente dichiarato di agire in nome altrui (Xxxx. 29 novembre 2006, n. 25247). Ma prevale l’indirizzo interpretativo opposto, il quale ammette che la volontà di agire in nome altrui sia desumibile dalle circostanze o possa essere manifestata per facta concludentia (Xxxx. 30 giugno 2005, n. 13978; Cass. 20 ottobre 2003, n. 15691; Cass. 3 dicembre 2001, n.
15235; Cass. 14 novembre 1996, n. 9980).
130 Analogamente, quanto a quest’ultimo punto, XXXXXX, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete, cit., p. 91 s.
Ma ancor più di questo importa sottolineare che la limitazione della responsabilità, a favore del soggetto-‐ organo, tenderebbe a scolorare in uno stato prossimo alla non responsabilità.
Il punto emerge con tutta evidenza se solo si prende a riferimento il modello di autonomia patrimoniale perfetta rappresentato dalle società di capitali (131). In quest’ottica basterà osservare che non è prevista, nelle reti, alcuna soglia minima per la costituzione del fondo comune, il quale potrà dunque raccogliere beni, nel complesso, di valore esiguo. Né sono stabiliti particolari presidi, a tutela dei creditori, in ordine alla corretta gestione del fondo e alla conservazione della sua integrità. Non è disciplinata, ancora, la fase di liquidazione del fondo. Né trovano applicazione le disposizioni penali in materia di società e consorzi, essendo anche da tenere presente, a questo proposito, che l’organo comune è tenuto, entro due mesi dalla chiusura di ogni esercizio, a redigere la situazione patrimoniale della rete sulla falsariga di ciò che è previsto, per i consorzi, dall’art. 2615-‐bis, c.c., il quale è tuttavia richiamato, nei limiti della compatibilità, relativamente al solo ultimo comma e con esclusione, pertanto, del suo cpv., che a sua volta rinvia, testualmente, agli artt. 2621 n. 1 e 2626 c.c. (132).
Altrettanto significative sono poi le differenze intercorrenti con il modello di separazione patrimoniale endosocietaria costituito dai patrimoni destinati ad uno specifico affare, modello che a tacer d’altro si impernia sull’adozione di una delibera che deve indicare «il piano economico-‐finanziario da cui risulti la congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell’affare» (art. 2447-‐ter, 1° comma, lett. c, c.c.) (133).
Tutto ciò posto, si deve dunque concludere che, quando il legislatore stabilisce che per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete i terzi possano far valere i loro diritti
«esclusivamente» sul fondo comune, ciò significa bensì che non sarà aggredibile, da parte loro, il patrimonio del soggetto che svolge un tale ufficio, ma sempre che la rete sia dotata di soggettività ovvero, qualora ne sia priva, sempre che l’organo comune abbia agito spendendo il nome di tutte o alcune delle imprese retiste, ad esse imputando, così, gli effetti dell’atto compiuto.
Se accade invece che il soggetto-‐organo non abbia speso il nome altrui, sicché l’obbligazione contratta sarà una sua obbligazione, non sembra possa ammettersi che la conseguente responsabilità patrimoniale risulti circoscritta al fondo comune, restringendosi perciò il rischio gravante sul debitore alla sola perdita dell’eventuale apporto confluito nel fondo (134).
131 Certo, si è qui nell’ambito dei soggetti di diritto, e per meglio dire, anzi, degli enti che assumono la personalità giuridica: ma nel senso che soggettivazione e separazione patrimoniale costituiscano tecniche fungibili di frammentazione della responsabilità, impostate sul frazionamento di un patrimonio da destinare a garanzia di distinte classi di creditori, SCIUTO, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete, cit., p. 79.
132 In riferimento invece alle società per azioni, e per la verifica dei profili della personalità e dell’autonomia patrimoniale nell’esperienza attuale del nostro diritto societario, X. XXXXXXXX, Società per azioni, personalità giuridica e responsabilità dei soci, in Le nuove s.p.a., I, Xxxxx. diretto da X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Bologna, 2013, p. 895 ss.
133 Il tema verrà ripreso infra nel prossimo §.
134 Questa limitazione di responsabilità riterremmo sia da negare anche rispetto a quelle che, parafrasando una formula che si è fatta strada – come già ricordato – in materia di consorzi (ove si parla, relativamente al dettato dell’art. 2615, 1° comma, c.c., di “obbligazioni schiettamente consortili”: XXXXXXX, Diritto commerciale.
L’imprenditore, cit., p. 159; VOLPE PUTZOLU, I consorzi, cit., p. 418), potrebbero definirsi come obbligazioni di stretta pertinenza della rete, assunte per far fonte, ad es., alle spese di gestione e di funzionamento degli uffici, alle spese per il personale e i servizi, etc.
È scontata naturalmente l’obiezione secondo cui, ragionando in questi termini, si perverrebbe ad un risultato in contrasto con il dettato normativo, il quale stabilisce che la responsabilità limitata al fondo comune, per le obbligazioni contratte in relazione al programma di rete, valga «in ogni caso».
Occorre tener conto, tuttavia, del significato che tale inciso («in ogni caso») era chiamato a esprimere allorchè, con l’intervento riformatore di cui al d.l. n. 83/2012, esso fu inserito nel testo di legge come incipit di un disposto che costituisce la trasposizione, all’interno della disciplina del contratto di rete, di quanto previsto dall’art. 2615, 1° comma, c.c., mentre per l’innanzi l’intero art. 2615 c.c. era fatto oggetto di richiamo nei limiti della compatibilità. L’intento del legislatore evidentemente consisteva nel rendere sicura l’applicazione alle reti del principio della responsabilità limitata, a prescindere da qualunque giudizio di compatibilità.
Introdotta in seguito la distinzione testuale, con l’ultima modifica legislativa, tra reti dotate o sprovviste della soggettività giuridica, la limitazione di responsabilità è a dirsi operante, oggi, «in ogni caso» nel senso che per le obbligazione assunte in relazione al programma di rete i terzi potranno far valere i loro diritti soltanto sul fondo comune, abbia o non abbia la rete, mediante l’apposita iscrizione, acquistato la soggettività (135).
Ciò posto, la storia della previsione normativa in esame (con l’originario rinvio all’art. 2615 c.c., tout court, compreso il suo primo comma) (136), ma poi anche, in una qualche misura, il testo stesso che la racchiude (in cui persiste il richiamo al cpv. del medesimo art. 2615 c.c., ove è da intendere regolata l’ipotesi dell’agire degli organi consortili in nome del consorzio, ma per conto di singole imprese consorziate), convincono del fatto che le obbligazioni di cui parla il legislatore, assunte in relazione al programma di rete e per le quali «in ogni caso» la responsabilità è limitata al fondo comune, sono soltanto le obbligazioni che l’organo comune contrae manifestando tale sua qualità, ovverosia spendendo il nome della rete.
Una soluzione interpretativa tesa al ripristino dei principi generali, per il caso in cui il soggetto-‐organo entri in relazione con i terzi senza renderli edotti che la sua è un’attività compiuta al servizio della rete, non può dunque ritenersi antitetica rispetto al dettato normativo, poiché questo va correttamente inteso, in realtà, nel senso che la responsabilità è bensì limitata «in ogni caso» al fondo comune, ma «in ogni caso» in cui l’organo, manifestando questa sua qualità, abbia assunto obbligazioni in relazione al programma di rete.
Rimane da stabilire a questo punto, riprendendo un interrogativo affacciato, sotto profili diversi, sia in questo sia nel precedente paragrafo, se il richiamo contenuto nella disciplina sul contratto di rete, ma nei limiti della compatibilità, all’art. 2615, 2° comma, c.c. possa valere anche in relazione alle reti che, pur dotate di organo e fondo comune, siano prive di soggettività giuridica (137).
135 Altro discorso è quello dell’interferenza, su questa regola, del contestuale riferimento all’art. 2615, 2° comma, c.c.: quanto alle reti prive di soggettività, nel caso in cui l’organo comune agisca spendendo il nome delle imprese retiste, si rimanda alle osservazioni svolte nel precedente §.
136 Tale primo comma – va sottolineato – si riferisce testualmente alle obbligazioni contratte «in nome del consorzio». 137 Sul problema, anteriormente agli ultimi interventi di modifica del testo normativo, ONZA, Riflessioni sul contratto di rete: alcuni profili di qualificazione e di disciplina, in Il contratto di rete per la crescita delle imprese, in Il contratto di rete per la crescita delle imprese a cura di X. Xxxxxxx, P. Iamiceli, G.D. Xxxxx, cit., p. 181 ss. ed ivi 198 s.
Si tratta di una questione che merita una risposta articolata.
La regola di cui al citato disposto normativo – osserviamo – trova la sua ratio in un’evidente esigenza di tutela dei creditori, esigenza che il legislatore soddisfa accostando al fondo consortile la garanzia costituita dai patrimoni delle imprese consorziate per conto delle quali l’organo abbia agito. Ora, se il limite della compatibilità, cui il richiamo è subordinato, viene inteso nel senso che l’art. 2615, 2° comma,
c.c. deve poter rispondere, una volta trasposto nell’ambito del contratto di rete, alla stessa ratio che ne giustifica la presenza all’interno della disciplina dei consorzi (138), si potrà forse dire che questa ratio non è sussistente tutte le volte in cui l’organo comune, in attuazione del programma, abbia compiuto atti in proprio nome, assumendo le relative obbligazioni: in questo caso i terzi non sono privi di tutela se, come abbiamo ritenuto di poter concludere, la garanzia patrimoniale a loro disposizione sarà integrata, oltre che dal fondo, anche del patrimonio del soggetto-‐organo.
Al contrario, qualora l’organo comune abbia speso il nome delle imprese retiste, così imputando ad esse le obbligazioni scaturite dall’atto compiuto e mettendo fuori gioco una propria eventuale responsabilità, ecco che si ripresenterà, negli stessi termini in cui ricorre nel consorzio, l’esigenza di non circoscrivere al solo fondo comune (nonostante l’uso dell’espressione «in ogni caso») la garanzia offerta ai terzi creditori, estendendola invece ai patrimoni delle singole imprese per conto delle quali l’organo abbia agito. Ciò fermo restando che, come si è spiegato nel precedente paragrafo, la spendita del nome è elemento idoneo a far presumere l’agire (anche) per conto dei soggetti rappresentati, sicché saranno questi a dover dimostrare l’estraneità dell’atto, eventualmente, alla propria sfera di interessi.
Infine, dopo tutto ciò che è stato osservato, in questo e nei precedenti paragrafi, ci si potrebbe chiedere se davvero trovi giustificazione che, in ordine al tema della responsabilità patrimoniale, le soluzioni proposte con riguardo al contratto di rete portino a marcare una distanza in qualche modo apprezzabile, se non proprio netta, rispetto al regime previsto per i consorzi. Le ragioni dei terzi creditori perché mai dovrebbero trovare un più ampio spazio di tutela all’interno della disciplina del contratto di rete?
Anche dall’angolatura in esame, tuttavia, non sembra che si possa sminuire il significato della scelta compiuta dal legislatore, il quale ha voluto espressamente escludere la soggettività della rete, a meno che i contraenti non ricorrano all’apposita formalità pubblicitaria prevista per il suo acquisto.
Ne deriva così che, rispetto alle reti, risulta precluso giungere allo stesso esito comunemente ammesso a proposito dei consorzi con attività esterna, i quali meritano il riconoscimento della soggettività in ragione della struttura organizzativa loro propria, mentre la rete, quale che sia il livello di organizzazione da cui è contrassegnata, mai può ambire a porsi come soggetto distinto dalle singole imprese partecipanti se non mediante l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese tenuto dall’ufficio del luogo in cui ne è stabilita la sede.
È su questo punto che consorzi (con attività esterna) e reti (dotate di fondo e organo comune, ma non iscritte nella predetta sezione ordinaria) si distaccano in maniera sensibile: e le soluzioni che si è ritenuto di poter avanzare, in questo studio, a proposito della responsabilità per le obbligazioni assunte
138 Sul significato che l’identica espressione «in quanto compatibili» assume nell’art. 1324 c.c., si veda X. XXXX, Tutela della controparte di fronte all’annullamento o alla ratifica del negozio, in Riv. dir. civ., 1973, I, p. 539 ss. ed ivi 547 ss.
dall’organo in attuazione del programma di rete non sono che il riflesso della divaricazione che i due istituti sperimentano a monte, sul piano relativo all’acquisto della soggettività giuridica.
10. I conferimenti mediante apporto di un patrimonio destinato ai sensi dell’art. 2447-‐bis, 1° comma, lett. a), c.c.
Come già si è avuto modo di accennare, la legge prevede che i conferimenti delle imprese retiste, se il programma di rete lo consente, possano essere eseguiti «mediante apporto di un patrimonio destinato, costituito ai sensi dell’articolo 2447-‐bis, primo comma, lettera a), del codice civile».
L’istituto dei patrimoni destinati ad uno specifico affare trova posto all’interno della disciplina dedicata alla società per azioni, né può ricevere applicazione fuori da questo ambito, salvo che se ne affermi la compatibilità con i tipi societari il cui regolamento normativo è completato attraverso un rinvio a quella stessa disciplina, come accade per la società in accomandita per azioni e per le cooperative (artt. 2454 e 2519, 1° comma, c.c.) (139). Pertanto, saranno solo le imprese retiste costituite nella forma giuridica della società per azioni, o secondo i tipi affini, a poter approntare le risorse costituenti il proprio conferimento alla rete mediante un patrimonio destinato, sempre che ciò sia ammesso in base al programma comune (140). Né manca chi sostiene, anzi, che soltanto le reti composte esclusivamente da società di tal genere potrebbero disporre di una dotazione formata da patrimoni destinati, ritenendosi inconcepibile un sistema misto che accosti a tali patrimoni la costituzione di un fondo comune risultante dai conferimenti eseguiti da altre imprese retiste (141).
I patrimoni destinati – si può aggiungere – concretano un fenomeno non già di duplicazione soggettiva, bensì di semplice separazione patrimoniale, la quale si realizza attraverso un atto con cui la società imprime ad una parte del proprio patrimonio, entro i limiti indicati dal cpv. del citato art. 2447-‐bis c.c., uno speciale vincolo di destinazione.
La delibera costitutiva del patrimonio destinato è di competenza, almeno di regola, dell’organo amministrativo della società: tra le indicazioni che essa deve comprendere importa richiamare, poiché si tratta di elementi di particolare rilievo dal punto di vista della tutela dei creditori, quella relativa alla sussistenza di un piano economico-‐finanziario da cui risulti la congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell’affare e quella attinente alla nomina di un revisore legale o di una società di revisione, quando la società non sia già assoggettata alla revisione legale dei conti (art. 2447-‐ter c.c.).
139 In tal senso, XXXXXXXXX, La rete e i patrimoni destinati, in Il contratto di rete per la crescita delle imprese a cura di X. Xxxxxxx, P. Iamiceli e G.D. Xxxxx, cit., p. 250 ss. ed ivi 256 ss., che ritiene ammissibile che anche le società a responsabilità limitata, se aventi adeguata consistenza patrimoniale, possano ricorrere ad un patrimonio destinato per la partecipazione ad un contratto di rete.
140 ZANELLI, Reti e contratto di rete, cit., p. 79. Diversamente, sebbene in termini dubitativi, GENTILI, Il contratto di rete, cit., p. 627.
141 MALTONI, Il contratto di rete, cit., p. 75.
Ai fini dell’efficacia del vincolo di destinazione e della sua opponibilità, in particolare, ai creditori sociali anteriori, la delibera dev’essere fatto oggetto di apposita pubblicità, la quale si realizza mediante il deposito e l’iscrizione nel registro delle imprese «a norma dell’art. 2436». I creditori predetti possono fare opposizione nel termine di sessanta giorni (art. 2447-‐quater c.c.) (142).
Molto importante, infine, è cogliere la portata dell’effetto scaturente dal vincolo di destinazione, una volta che esso abbia avuto modo di dispiegarsi.
Fondamentali sono, al riguardo, due previsioni normative, entrambe contenute nel dettato dell’art. 2447-‐ quinquies c.c.: la prima di esse stabilisce che «i creditori della società non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare né, salvo che per la parte spettante alla società, sui frutti o proventi da esso derivanti»; in base poi all’altra previsione, sempre che non sia altrimenti disposto, «per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato».
È tracciata così una deroga profonda rispetto al principio dell’art. 2740, 1° comma, c.c. (143). Come i creditori anteriori alla costituzione del patrimonio destinato, anche quelli che divengono tali in conseguenza di un atto compiuto per la realizzazione dello specifico affare sono creditori della società: eppure questa risponde, di fronte ai primi, con la sola parte del proprio patrimonio non assoggettata al vincolo di destinazione e nei limiti del patrimonio destinato, di fronte agli altri.
Si tratta dunque di un fenomeno di separazione patrimoniale che opera in modo bidirezionale, escluse tuttavia rimanendo da questo regime «le obbligazioni derivanti da fatto illecito», e salvo l’ulteriore limite consistente nel fatto che gli atti posti in essere per la realizzazione dello specifico affare «debbono recare espressa menzione del vincolo di destinazione» (art. 2447-‐quinquies, 3° e 4° comma, c.c.).
Anche a prescindere dalle altre disposizioni normative che compongono l’istituto, e da quelle dettate, in particolare, in materia di contabilità, formazione del bilancio e rendicontazione finale, i tratti di disciplina dianzi ricordati, soprattutto per quanto riguarda il regime della responsabilità patrimoniale, valgono ad evidenziare le linee di uno strumento operativo che, calato all’interno del contratto di rete, determina un assetto di rapporti significativamente diverso da quello che si instaura allorché sia istituito un normale fondo comune destinato a raccogliere i «conferimenti iniziali» e gli «eventuali contributi successivi» delle imprese retiste (144).
142 COLOMBO, La disciplina contabile dei patrimoni destinati: prime considerazioni, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, p. 30 ss. ed ivi 35.
143 COLOMBO, La disciplina contabile dei patrimoni destinati, cit., p. 36.
144 Di una differenza radicale tra conferimento al fondo comune e apporto di un patrimonio destinato parla XXXXXXXXX, Il «contratto di rete» fra (comunione di) impresa e società (consortile), cit., p. 349. In senso diverso, invece, SCIUTO, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete, cit., p. 94, secondo cui, a seguito della novella del 2010, si dovrebbe intendere che «la tecnica di dotazione patrimoniale del contratto di rete sia oramai unica», essa consistendo comunque nella costituzione del fondo, anche se, eventualmente, mediante risorse tratte, per le imprese che assumano la veste di società per azioni, da quelle già segregate in un patrimonio destinato. Sennonché non si vede quale sarebbe, in tal caso, la portata normativa del riferimento ai patrimoni destinati nella disciplina del contratto di rete, essendo non dubitabile già prima della novella – come sottolinea proprio la dottrina succitata – che le risorse
Per vero, la costituzione del fondo comune implica lo svolgersi di una vicenda reale, poiché incidente sull’appartenenza dei beni conferiti: i quali diventeranno beni di proprietà della rete, se questa, con l’apposita iscrizione nel registro delle imprese, acquista la soggettività giuridica, laddove, in caso contrario, essi formeranno oggetto di una situazione di contitolarità tra tutte le imprese retiste (proporzionalmente all’apporto di ciascuna, a meno che il contratto non disponga altrimenti) (145).
Diversamente stanno invece le cose se il conferimento viene eseguito (id est, se le risorse sono apportate) mediante un patrimonio destinato. Non v’è alcuna vicenda, qui, che si traduca in una mutata appartenenza dei beni confluiti nel patrimonio destinato, i quali sono beni che rimangono interamente nella sfera proprietaria della società, salvo il loro assoggettamento al vincolo di destinazione (146). La qual cosa peraltro genera difficoltà operative non facilmente superabili, se si tiene presente che, quando il patrimonio destinato è lo strumento, appunto, con cui si realizza l’apporto di risorse alla rete, occorrerà far convivere le funzioni proprie dell’organo comune con il principio secondo cui la gestione dell’impresa, compresi i patrimoni destinati, spetta esclusivamente agli amministratori della società per azioni (art.
2380-‐bis, 1° comma, c.c.) (147).
Sotto il profilo poi della responsabilità, nonostante l’enfatico passaggio nel discorso normativo in cui si dice che, per le obbligazioni contratte dall’organo in relazione al programma di rete, «in ogni caso … i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune», le riflessioni in precedenza condotte hanno portato a concludere che i patrimoni delle imprese retiste, in realtà, non sono sempre posti al riparo dalle pretese dei creditori. Non lo saranno qualora la rete abbia acquistato la soggettività giuridica, essendo tenute a rispondere delle obbligazioni assunte, qui, anche le singole imprese per conto delle quali l’organo comune risulti aver agito, come prevede l’art. 2615, 2° comma, c.c. Né tanto meno lo saranno allorché di fronte ai terzi, in mancanza di soggettività, sia stato speso il nome dei partecipanti alla rete, dovendosi presumere, salvo prova contraria, che l’organo comune abbia agito anche per conto di costoro, con conseguente estensione della responsabilità sempre in forza del citato disposto normativo, che pure ad una tale ipotesi è da ritenere applicabile.
Ma se dunque la sussistenza del fondo comune non esclude, almeno potenzialmente, l’aggredibilità dei patrimoni delle singole imprese retiste da parte dei terzi creditori, è da ritenere invece sicuro che, nel caso in cui il conferimento sia stato eseguito da un’impresa retista (una società per azioni) mediante l’apporto di un patrimonio destinato ai sensi dell’art. 2447-‐bis, 1° comma, lett. a), c.c., questa impresa, se chiamata a rispondere delle obbligazioni assunte dall’organo comune (a prescindere dal fatto che la rete abbia acquistato o meno la soggettività), ne risponderà comunque intra vires, e cioè soltanto entro i limiti del
apportate al fondo comune potessero provenire non solo dal patrimonio generale di una società per azioni, ma anche da un patrimonio in precedenza costituito ex art. 2447-‐bis, 1° comma, lett. a), c.c.
145 La qual cosa non significa, tuttavia, che al fondo comune debbano applicarsi le regole proprie della comunione ordinaria di diritti, come si ricava dal dettato dell’art. 2614 c.c. in quanto trasposto sul terreno delle reti prive di soggettività (in proposito, con considerazioni condivisibili, SCIUTO, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete, cit., p. 91 s.).
146 IAMICELI, Contratto di rete, fondo comune e responsabilità patrimoniale, cit., p. 86. Si veda anche XXXXXXXXX, La rete e i patrimoni destinati, cit., p. 253: «Nella rete i patrimoni separati appartenenti alle imprese partecipanti non divengono un unicum, ma si sommano per la realizzazione dello scopo comune».
147 Cfr. XXXXXXXXX, La rete e i patrimoni destinati, cit., p. 255 s., secondo cui potrebbe essere utile il ricorso ad una preposizione institoria limitata alle attività inerenti al patrimonio costituito in funzione dell’apporto alla rete.
patrimonio destinato, non vedendosi che significato possa mai avere, altrimenti, il richiamo a questo istituto all’interno della disciplina del contratto di rete (148).
Peraltro, spetterà all’organo comune l’onere della menzione espressa, di fronte ai terzi, del vincolo di destinazione cui è assoggettato l’apporto conferito dall’impresa che si sia avvalsa dello strumento di cui al citato art. 2447-‐bis, 1° comma, lett. a), c.c., in mancanza di che questa potrebbe dover rispondere con tutto il suo patrimonio delle obbligazioni contratte in attuazione del contratto di rete (art. 2447-‐quinquies, 4° comma, c.c.). Un onere, si è detto: il quale nei rapporti interni, tuttavia, assume le diverse fattezze di un obbligo il cui inadempimento renderà l’organo responsabile del danno patito dall’impresa che, proprio per l’omessa menzione del vincolo, abbia visto aggredito il proprio patrimonio residuo dai creditori.
000 Xxxxxxx XXXXXXXXX, Xx «contratto di rete» fra (comunione di) impresa e società (consortile), cit., p. 349, «in questo caso il “contratto di rete” non vale ad istituire alcun “fondo consortile” ai sensi dell’art. 2614 c.c.: sicché non può trovare applicazione la disciplina della responsabilità verso i terzi declinata dall’art. 2615».