Segue. I rimedi e la tutela dei consumatori collettivamente considerati. La direttiva 2005/29/CE reca – come si è visto – un’analitica e dettagliata disciplina delle fattispecie sostanziali di pratiche commerciali sleali. Altrettando non può invece dirsi quanto alla previsione dei rimedi esperibili nel caso di 146 Non deve fuorviare l’utilizzo da parte del legislatore italiano anche dei termini di «lealtà» e «scorrettezza», accanto alla «buona fede». Fanno correttamente notare G. DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali scorrette e i parametri di valutazione, in Pratiche commerciali scorrette e codice del consumo – Il recepimento della direttiva 2005/29/Ce nel diritto italiano (decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2 agosto 2007), a cura di ID., cit., p. 126 e X. XXXXXXX, o.u.c., p. 1698, che le nozioni di «lealtà» e «correttezza» vengono utilizzate sempre in combinazione con la «buona fede», di cui, in definitiva, rappresentano solamente particolari articolazioni dai medesimi significato e portata. 147 Cfr. G. DE CRISTOFARO, sub art. 39, in Commentario breve al diritto dei consumatori, cit., p. 435-436, il quale correttamente osserva, a bontà della lettura qui sostenuta, che alla norma in commento non possa essere attribuita «la funzione di individuare parametri di valutazione della liceità delle condotte dei professionisti diversi e ulteriori rispetto a quelli dettati dalla disciplina delle pratiche commerciali scorrette contenuta negli artt. 18 ss.». 148 Nella relazione illustrativa del D.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo) si legge invero che la disposizione dell’art. 39 «introduce regole generali nelle attività commerciali, conformi ai principi generali di diritto comunitario in tema di pratiche commerciali sleali». 149 Anche la relazione al D.lgs. n. 221/2007 - che ha introdotto la lett. c bis) all’art. 2, comma 2 - evidenzia come il richiamo ai principi di correttezza e buona fede sia stato introdotto in conformità ai principi sanciti dalla direttiva 2005/29/CE e dal D.lgs. 147/2007 che a quella ha dato attuazione. violazione del generale divieto di porre in essere siffatte pratiche, rispetto ai quali agli Stati membri è stato riconosciuto un più significativo margine di manovra. L’art. 11 della direttiva ha invero lasciato ai legislatori nazionali il compito di assicurare «che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali […]», limitandosi a imporre che detti mezzi includano (ma non si esauriscano in) «[…] di...
Segue. Come già quella di custodia, anche l’altra obbligazione principale posta a carico del depositario, vale a dire quella di restituzione del bene, è poi fatta oggetto di un più articolato ventaglio di disposizioni ad essa dedicate, oltre a quella definito- ria (art. 1766 c.c.) ed a quella sulla perdita non imputabile della detenzione (art. 1768 c.c.). Fa sostanzialmente applicazione delle regole generali sul termine di adempi- mento delle obbligazioni la norma sulla esigibilità del diritto di credito relativo alla riconsegna della cosa (art. 1771, comma 1, c.c.), soggetto peraltro a prescrizione ordinaria con decorrenza dal giorno della richiesta di restituzione. Così, il depo- sitario sarà tenuto a restituire il bene a semplice richiesta del depositante – questa ultima inverando, peraltro, atto di messa in mora – salvo che non sia stato conve- nuto un termine (di restituzione) a suo favore, come può bene accadere in funzione dell’interesse di fare un uso della cosa, laddove consentito, per un certo lasso di tempo, ovvero di maturare il diritto al corrispettivo55. La restituzione può tuttavia venire richiesta, ex art. 1771, cpv. ??, c.c., anche dallo stesso depositario, con il solo limite della eventuale sussistenza di un termine a favore del creditore (-depositante), anche qui sostanzialmente in linea con le previsioni generali dettate dagli artt. 1183-1185 c.c. Configurandosi, in tal caso, una precisa (e simmetrica) obbligazione a carico del depositante, consistente nel dover ricevere il bene, è peraltro pacifico che il ritardo nell’adempimento faccia scaturire, in capo a questi, una responsabilità per i danni conseguenti56. Quand’anche manchi ogni determinazione temporale il giudice può, d’altra parte, assegnare allo stesso tradens un congruo termine entro cui effettuare la presa 51 Cfr. Cass. 19 agosto 2009, n. 18419, cit. 52 Cfr. Cass. 28 ottobre 2010, n. 22803, cit. 53 Cfr. Cass. 6 maggio 2010, n. 10956, in Contratti, 2010, p. 417; Cass. 6 luglio 2006, n. 15364, cit. 54 Cfr. X. Xxxxxx, Deposito, in A. Palazzo e X. Xxxxxxxxx (a cura di), I contratti gratuiti, in Trattato dei contratti, diretto da X. Xxxxxxxx x X. Xxxxxxxxx, Torino, 2008, pp. 383 ss., spec. 400-401. 55 Cfr. Xxxxxxxxxxx, Il deposito, cit., p. 525. 56 Ciò è quanto, per esempio, precisato dalla Corte di Cassazione, in relazione all’affidamento a società private, da parte dei comuni, del servizio di rimozione coattiva dei veicoli in sosta vietata, con custodia degli stessi fino a ritiro da pa...
Segue. La tesi del patto di famiglia quale ipotesi legale di contratto a favore di terzi. Cenni introduttivi e rinvio. – 3. Il patto di famiglia avente, unitariamente, una “causa familiae”. La variante sui generis, e particolarmente marginale, della c.d. “causa successoria”. Linee critiche verso la tendenza alla sincreticità funzionale. – 4. La funzione distributivo-divisionale del patto. Sedes materiae, affinità e riduttivismo: critica e rilievi di validità. – 5. La teoria della causa mi- sta, i.e. il patto come negotium mixtum cum donatione aut solutionis causa: dissertazioni introduttive ed errori di prospettiva metodica. – 6. Tesi della poliedricità funzionale del patto: la causa complessa quale ipotesi ricostruttiva più aderente all’istituto. La transattività come chiave di volta dell’intera operazione negoziale: giudicato sostanziale e reciproche concessioni. – 7.
Segue. I rimedi. Nella versione originale della norma, l’unico rimedio azionabile dall’im- presa « abusata » era l’azione volta a ottenere la declaratoria di nullità del patto attraverso il quale l’abuso aveva trovato realizzazione. La disposizione aveva subito sollecitato un acceso dibattito nella dottrina, soprattutto civi- listica, la quale s’era lungamente interrogata circa la natura di questa nullità e la conseguente disciplina applicabile. Era prevalsa la tesi della natura pro- tettiva di tale nullità, argomentata sulla base di operazioni di ortopedia in- terpretativa più o meno ardite (65). Era poi stato il legislatore, ad appena tre anni di distanza, a novellare l’art. 9, arricchendo il c. 3 con l’espressa intro- duzione delle azioni risarcitorie e inibitorie. L’esperienza applicativa maturata negli anni ha dimostrato che il vero rimedio per gli abusi di dipendenza economica è innanzi tutto inibitorio e, solo in subordine, risarcitorio; raramente è stata invocata la nullità del patto. In particolare, come è emerso anche dai paragrafi precedenti, le azioni in materia di abuso di dipendenza economica sono di regola precedute da una fase cautelare, in cui il provvedimento richiesto mira normalmente alla pro- secuzione del rapporto commerciale. Proprio in sede di cautela sono stati costantemente oggetto di discus- sione due classici problemi del diritto processuale: i) l’ammissibilità del provvedimento urgente richiesto rispetto al successivo provvedimento di merito, sotto il profilo della sua strumentalità; ii) l’ammissibilità di una tutela anticipatoria di condanna a un facere infungibile, sotto il profilo della sua utilità. Rispetto a entrambi questi problemi si è registrato, nel corso del tempo, un indirizzo incline a ritenere superabili entrambi gli ostacoli. In ordine alla risoluzione in senso positivo della prima questione ha certa- mente giocato un ruolo l’espressa previsione del rimedio inibitorio, il quale, allargando le maglie dei provvedimenti di merito ottenibili dall’im- presa dipendente, ha ovviamente allargato le maglie dei provvedimenti anticipatori richiedibili. In ordine alla seconda questione si è invece valo-
Segue. L’ARTICOLO 1564 CC.: XXXXX XXXXXXXX MA INTERPRETAZIONE SBAGLIATA Prima di interventi normativi recenti, si rinvengono solo sporadiche indicazioni per far fronte all’hold up, oltre a quella che fa leva sull’interpretazione della buona fede in senso anti-opportunistico. Si è messo in evidenza che lo stesso contratto rappresenta una fonte di meccanismi intrinseci di prevenzione, poiché ogni azione interna ad esso presuppone costi transattivi che vanno sottratti dall’utilità attesa dal comportamento opportunistico e poiché la reputazione nei contesti commerciali è un dato importante, che è rischioso mettere a repentaglio con comportamenti scorretti62. A riprova della moderna sensibilità relazionale, alcune norme sulla somministrazione mostrano virtù ad esempio nella repressione dell’opportunismo in caso di inesatto adempimento, come notiamo dall’art.1564 cc. che subordina la risoluzione per inadempimento al fatto che esso sia di « una notevole importanza » e sia « tale da menomare la fiducia nell’esistenza dei successivi adempimenti »; la norma alza la soglia in corrispondenza della quale il somministrante può liberarsi dal vincolo. Per la funzione che svolge bisognerebbe considerare tale art. una norma imperativa ed evitare che nella prassi si possano introdurre regole che escludano ogni giudizio sulla discrezionalità del somministrante. 61 Cfr. par. 3. 62 Per completezza, si segnala che nel diritto statunitense tutte le ipotesi di modificazioni del rapporto si scontrano con le difficoltà create dalla legal duty rule (se una parte è già legata da un contratto ad eseguire un certo obbligo, questo non può costituire giustificazione per un secondo contratto), che richiede, salvo eccezioni, il requisito di fresh consideration (valida giustificazione) perché si possa riconsiderare l’assetto di interessi consacrato nel contratto; tale regola, pur essendo concepita per contenere condotte anti-opportunistiche, accede ad uno dei due estremi esposti in precedenza: negare validità a ogni modificazione. Lo UCC ha attenuato la rigidità della regola, prevedendo che le modifiche di un accordo preesistente non richiedano autonoma consideration per la loro validità. C’è poi da precisare che tale norma, nel complesso efficace a fronte di problemi opportunistici, è stata resa poco attenta alla dimensione relazionale da una linea interpretativa di cui si ha traccia in giurisprudenza, ovvero quella che ritiene che l’inadempimento in prossimità della scadenza di un contratto di du...
Segue. Il Partenariato per lo sviluppo Sostenibile e l’Inno- vazione e il futuro della misurazione ESG: il Bilancio di comunità Sulla scorta dei risultati raggiunti con la prima esperienza, è stata in- trapresa la strada della revisione del Regolamento, con la definizione di un nuovo strumento partenariale, il Partenariato per lo sviluppo Sostenibile e l’Innovazione (PSSI), che recepisce le novità normative nel frattempo pro- dotte dal legislatore nazionale (essenzialmente, il nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36/2023) e focalizza esplicitamente l’azione dei partenariati sul tema della interdipendenza tra sviluppo sostenibile, inclusio- ne e innovazione. All’interno del nuovo schema, sulla base della riflessione ex post pro- dotta dall’esperienza collaborativa precedente, è stato opportunamente de- finito lo strumento di accountability del valore prodotto, in una logica di trasparenza (pubblica), rendicontazione (pubblica e privata) e remunerazione sociale (nel senso della produzione di valore per la collettività dell’esperienza partenariale). In questa ottica, il Bilancio di comunità rappresenta la proposta di un nuovo framework per la valutazione delle esperienze di partenariato, che potrebbe interessare le diverse tipologie di soggetti che collaborano e che potrebbe aiutare a legittimare di più e meglio l’azione collettiva al di fuori delle metriche tradizionali, sia per la PA che per il mercato. Il Partenariato per lo Sviluppo Sostenibile e l’Innovazione, secondo quanto delineato dal nuovo Regolamento, rappresenta un partenariato mul- ti-attoriale, basato sulla condivisione di obiettivi, azioni, risorse, che propone soluzioni sperimentali e nuovi strumenti di valutazione, condiviso da attori urbani appartenenti a diverse categorie socio-economiche, che decidono di agire in modo non autoritativo ex art. 1, c. 1-bis, l. n. 241/1990, ma secondo interessi ed obiettivi comuni. Il contenuto del Pssi è costituito dai progetti di sperimentazione e di innovazione urbana, elaborati con il procedimento di co-progettazione; progetti caratterizzati da un elevato contenuto di innovazione, non abitual- mente presente nei servizi pubblici e privati e che mantengono come ele- mento distintivo il coinvolgimento attivo delle comunità anche nelle fasi di gestione del progetto e della successiva valutazione dei risultati e degli impatti prodotti. Resta fermo, in tale ottica, il principio di responsabilità e collaborazione civica, ovvero l’esplicita “assunzio...
Segue. I diritti autodeterminati (diritti reali e diritti di credito a prestazioni di specie). 35
Segue. L’argomento che faceva leva sulla necessità di impedire una rinuncia eccessivamente ampia alla giurisdizione dello Stato.
Segue. La prova dell’inefficacia nel processo Il Darlegungslast (onere della prova) riguarda il compito delle parti di presentare al giudice i fatti dei quali, da un lato, si servono per la applicazione delle norme giuridiche fondanti la pretesa, dall’altro, per le determinazioni che ostacolano, inibiscono la pretesa dell’altra parte. Mentre il cd. Beweislast (onere di dimostrazione) è l’obbligo di addurre la prova della rappresentazione di fatti rilevanti regolarmente forniti, ma rimasti controversi, come nel caso del non liquet. Di regola, il Beweislast segue il Darlegungslast, «cosicché i due concetti si trovano maggior parte dei casi come un unitario Doppelbegriff»248 (doppio concetto). In opposizione all’onere di dimostrazione principale si è sviluppato in 247 Cfr. BAG 23.6.2010 NZA 2010, 1248 giurisprudenza anche il cd. Gegenbeweis, che tuttavia non consiste in una vera dimostrazione, bensì soltanto in una contestazione di quella principale. Per quello che concerne la prova dell’accordo sul termine, prima della introduzione della disciplina attuale, non era prevista la esigenza di una documentazione dell’apposizione del termine al contratto di lavoro, perciò in mancanza di un atto scritto il rapporto si riteneva a tempo indeterminato, secondo la regola, e il datore di lavoro doveva poi eccepire, nei confronti del diritto del lavoratore alla prosecuzione del rapporto a tempo indefinito, i fatti che avessero provato le dichiarazioni delle parti in accordo alla durata limitata del contratto. L’obbligo della Schriftform ha semplificato l’onere della prova della sussistenza di un accordo sul termine di un contratto. Il datore di lavoro infatti sarà chiamato a presentare il documento di cui al paragrafo 14 comma 4, dimostrando in questo modo l’esistenza del termine (a meno che non sia contestata la autenticità dell’atto scritto); in caso contrario, il tribunale del lavoro competente si deciderà sulla base della esistenza di un contratto di durata. Solamente se, nonostante l’eccezione dell’atto scritto, le determinazioni del contratto non sono chiare e necessitano di interpretazione, il tribunale non deve decidere immediatamente: in tal caso viene data possibilità al datore di presentare ulteriori circostanze che fondino la apposizione del termine249. Accertata la sussistenza del termine, segue la verifica della fondatezza dello stesso sulla base delle regole di cui al paragrafo 14 della Teilzeit – und Befristungsgesetz. Per quanto concerne il termine giustificato...
Segue. Le obbligazioni a carico del coniuge che gode dei beni dell’altro e la relativa responsabilità. – 12.