DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Cattedra di Diritto Penale dell’Economia
LE IPOTESI SPECIALI DI CONFISCA NEL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ECONOMICA
RELATORE
Xxxx. XXXXX XXXXXXXX
CORRELATORE
Xxxx. XXXXXXX XXXXXX
CANDIDATO XXXXXX XXXXXXXXXXX
Matricola 127623
ANNO ACCADEMICO 2017/2018
LE IPOTESI SPECIALI DI CONFISCA NEL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ECONOMICA
INDICE CAPITOLO I
GENESI E EVOLUZIONE DELLA CONFISCA: QUADRO NORMATIVO TRA TEORIA E PRASSI
1. L’istituto della confisca nel diritto penale. Una premessa.
2. Le variabili della disciplina della confisca: le categorie descrittive che ne spiegano i meccanismi di funzionamento e le conseguenze.
3. La riflessione sulle tipologie di confisca: misure di sicurezza, misure di prevenzione, sanzioni. Natura e diritto intertemporale.
4. Natura della confisca e previa condanna, confisca di patrimoni.
5. Natura giuridica e solidarietà passiva rispetto alla confisca.
6. La nozione di profitto illecito.
7. Attività economica ed imputazione delle sue componenti.
8. La tutela dei terzi nella confisca: quadro normativo di riferimento.
9. (Segue). Le cose intrinsecamente illecite o pericolose.
10. (Segue). La nozione di appartenenza del bene e il concetto di estraneità al reato.
11. (Segue).L'interposizione del soggetto terzo.
12. (Segue).Il terzo fiduciario e i patrimoni separati.
13. (Segue).Il fallimento e la confisca.
14. (Segue).I beni sociali e la confisca.
15. Le confische patrimoniali. La confisca nella responsabilità degli enti.
16. La Direttiva 2014/42/UE e la sua (imperfetta) attuazione.
CAPITOLO II
LA CONFISCA IN MATERIA DI REATI SOCIETARI, FINANZIARI E NEL SETTORE PENALE TRIBUTARIO
1. I nuovi strumenti di contrasto alla criminalità d’impresa. Premessa.
2. I reati societari nel codice civile.
3. I reati previsti dal Testo Unico sulla Finanza.
4. L'evoluzione nel settore penale tributario.
5. La confisca e cd. reati transnazionali.
6. La confisca per equivalente: nozione, struttura e limiti.
7. La confisca del prezzo e del profitto dei delitti tributari.
8. Il sequestro di quote societarie, azioni e titoli di credito.
9. La confisca del profitto nelle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (caso
Gubert).
10. Confisca nei confronti dell’ente per i reati tributari commessi dagli amministratori: la dissociazione tra persona fisica e persona giuridica.
11. Confisca e concorso di persone nel reato.
12. Confisca e prescrizione del delitto tributario.
13. La non appartenenza del bene a persona estranea al reato e la disponibilità del bene in capo al condannato.
14. La confisca senza previo sequestro preventivo.
15. Confisca diretta nei confronti dell'ente e confisca per equivalente verso il legale rappresentante. In particolare, il problema dell’onere della prova.
16. Confisca e reformatio in peius.
17. Il ne bis in idem sostanziale in tema di confisca del profitto del reato.
18. La disciplina degli artt. 19, 20 e 21 D.Lgs. n. 74/2000 dinanzi al principio del ne bis in idem.
19. L'imperfetta realizzazione del ne bis in idem sostanziale.
20. L'operatività della preclusione processuale nei sistemi sanzionatori a doppio binario.
CAPITOLO III
LA CONFISCA NEL SISTEMA DELLA RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI
1. La logica economica come strumento di repressione del crimine societari.
2. Le confische previste e la loro natura.
3. (Segue) La confisca ex artt. 9 e 19 D.Lgs. 231/2001.
4. (Segue) La confisca ex art. 6, comma 5, X.Xxx. 231/2001.
5. Gli orientamenti della giurisprudenza in materia di profitto confiscabile ex d.lgs. 231/2001.
6. Gli effetti redistributivi della confisca: diritti dei terzi e del danneggiato.
Bibliografia
CAPITOLO I
GENESI E EVOLUZIONE DELLA CONFISCA: QUADRO NORMATIVO TRA TEORIA E PRASSI
SOMMARIO: 1. L’istituto della confisca nel diritto penale. Una premessa. 2. Le variabili della disciplina della confisca: le categorie descrittive che ne spiegano i meccanismi di funzionamento e le conseguenze. 3. La riflessione sulle tipologie di confisca: misure di sicurezza, misure di prevenzione, sanzioni. Natura e diritto intertemporale. 4. Natura della confisca e previa condanna, confisca di patrimoni. 5. Natura giuridica e solidarietà passiva rispetto alla confisca.
6. La nozione di profitto illecito. 7. Attività economica ed imputazione delle sue componenti. 8. La tutela dei terzi nella confisca:quadro normativo di riferimento. 9. (Segue). Le cose intrinsecamente illecite o pericolose. 10. (Segue). La nozione di appartenenza del bene e il concetto di estraneità al reato. 11. (Segue). L'interposizione del soggetto terzo. 12. (Segue). Il terzo fiduciario e i patrimoni separati. 13. (Segue). Il fallimento e la confisca. 14. (Segue). I beni sociali e la confisca. 15. Le confische patrimoniali. La confisca nella responsabilità degli enti. 16. La Direttiva 2014/42/UE e la sua (imperfetta) attuazione.
1. L’ISTITUTO DELLA CONFISCA NEL DIRITTO PENALE. UNA PREMESSA.
L’istituto della confisca rappresenta uno strumento ablatorio adottato sin dagli albori della civiltà giuridica e giunto sino ai giorni nostri. Al riguardo, appare rilevante notare la costanza con cui detta misura abbia attraversato i secoli, ripresentandosi, nonostante le numerose modifiche, immutata nel suo nucleo contrale in ogni epoca storica.
Per analizzare il fenomeno nella sua rilevanza giuridica, occorre osservare che il termine “confisca” deriva dal latino “fiscus” (inteso come tesoro imperiale) con il prefisso “cum”1. Il fiscus indicava il patrimonio dell'imperatore, distinto dal
1
patrimonio della città, il quale veniva invece indicato con l'espressione aerarium populi Romani, considerato come indipendente da quello dei singoli cittadini. Solo successivamente, per effetto della posizione sempre più dominante del Principe, il fisco comprendeva l'erario ed era distinto dai beni personali del singolo Principe, finendo con l'assumere la struttura di una cassa generale dello Stato.
In definitiva, il fisco inizia ad essere considerato come una entità a parte, senza alcuna relazione né con il popolo né con l'imperatore.
In particolare, la confisca, nel diritto romano dell'epoca repubblicana, rappresentava l'ablazione, a favore dell'erario del popolo romano, dell'intero patrimonio di un cittadino, derivante dalla perdita della sua qualità di cittadino in conseguenza di una condanna a morte o all'esilio.2
Tale automatica connessione con la perdita del proprio status si è successivamente trasformata, nel periodo del Principato, con l'atto di apprensione applicato in via autonoma sui singoli beni in quanto collegati ad un atto illecito. Dette ablazioni particolari erano presenti, ad esempio, in materia di adulterio,3 con la previsione della confisca di parte della dote e dei parafernalia a carico dell'adultera, la restituzione della dote da parte dell'adultero e la perdita di metà del patrimonio dell'amante.4
È evidente che siffatta ablazione coattiva di beni, pur avendo carattere sanzionatorio, non presentava gli stessi ben più travolgenti effetti della confisca integrale del patrimonio che, proprio nel diritto romano, aveva portato all'uso del suicidio in funzione antifiscale: infatti morendo prima della condanna, si evitava
Il verbo latino confiscare è ad esempio attestato in Svetonio, De vitae Caesarum, (121 d.c.) col doppio significato di conservare (tenere nella cassa) e di incamerare (nelle casse dello Stato). Il nome di fiscus, prima del periodo della storia romana coincidente con il Principato, indicava un cesto di vimini e poi un cesto per raccogliere il denaro.
2 Cfr. BRASIELLO, Voce Confisca in diritto romano, in Nuovo Digesto Italiano, Torino, 1937, 35.
3 Cfr. in particolare la Lex Iulia de adulteris coecendis (XVIII a.c.).
4 Ciò in base al principio secondo cui crimen extinguitur mortalitate: Xxxxxxx D. 48, 4, 11. Xxxxx
D. 49, 147, 45, 1: “i beni di coloro che sono morti sotto custodia, in vincoli o in catene, non sono tolti ai loro eredi, muoiano essi intestati o testati”.
la confisca del patrimonio, sì da poterlo trasmettere agli eredi5.
Nel basso Medio Evo e sino al XVIII secolo, la misura ablatoria dei beni divenne uno strumento di acquisizione della totalità del patrimonio del reo, senza alcun collegamento rispetto al quantum o al delitto commesso6, venendo spesso utilizzata come strumento di persecuzione politica o ideologica, specie contro gli eretici7.
Tali abusi dell'istituto si sono storicamente affiancati ad una ulteriore strumentalizzazione della confisca, finalizzata a reperire i fondi necessari al sovrano o all'ente pubblico, intesa come mezzo di risanamento del bilancio pubblico8.
Con l’introduzione del codice penale Zanardelli del 1889, in tema di confisca, all’art. 36 si prevede che “nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il delitto e delle cose che ne sono il prodotto, purché non appartengano al persone estranee al delitto. Ove si tratti di cose, la fabbricazione, l’uso il porto, la detenzione o la vendita delle quali costituisca reato, la loro confisca è sempre ordinata, quand’anche non vi sia condanna e, ancorché, esse non appartengano all’imputato”. Detta disposizione si connotava per alcuni elementi di novità: innanzitutto, in detto codice veniva distinta una confisca obbligatoria sempre ordinata dal giudice, anche in difetto di condanna ed in caso di altruità della res, da una confisca facoltativa, da irrogarsi discrezionalmente sulle sole cose di proprietà del condannato. In particolare, la confisca obbligatoria insisteva su beni la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o vendita costituiva di per sé reato; mentre, per quanto attiene alla confisca facoltativa, il codice non indicava un
5 Istitutiones Gai, 4, 112.
6 Ad esempio, con la grida datata 8 marzo 1647 il Governo spagnolo in Italia subordinò la concessione di un provvedimento di clemenza alla confisca dei beni del reo (cfr. PERTILE, Storia del Diritto Italiano dalla caduta dell'impero romano alla codificazione, Vol. V – Storia del Diritto Penale, Bologna, 1892, 232 ss.).
7 XXXXXXX, Ricerche sulla condizione giuridica degli eretici nel pensiero dei glossatori, in
Rivista di Storia del Diritto Italiano, 1973, Volume XLVI, 75.
8 Tale fenomeno si sta avviando anche nel nostro ordinamento (si pensi alle previsioni di speciali destinazioni dei proventi della confisca e la costituzione di enti specializzati nella gestione dei beni sequestrati o confiscati), pur manifestandosi dapprima negli Stati Uniti con la legislazione antiracket (GARTESTEIN – WARGANZ, RICO's “Pattern” Requirement: Voi for Vagueness? in Columbia Law Rewiev, Vi, 90, no. 2 (Mar., 1990, 494 ss.).
criterio per vincolare l’esercizio discrezionale del potere sanzionatorio da parte del giudice. Quanto all’oggetto della confisca facoltativa, l’art. 36 cit. disponeva l’acquisizione pubblica del “prodotto del reato”; accanto a ciò veniva anche prevista l’ablazione facoltativa delle cose che furono destinate o che servirono da mezzo per la commissione del reato. La disposizione di parte generale trovava però delle deroghe nell’ambito delle disposizioni di parte speciale (ad esempio, era prevista la confisca in ogni caso obbligatoria delle cose date ad un pubblico ufficiale per corromperlo ex art. 174): in sostanza, si prevedeva l’ablazione di quello che oggi viene definito prezzo del reato.
Nel codice penale Xxxxx, l’istituto della confisca, pur immutato nel suo impianto generale, viene caratterizzato principalmente come ablazione di singoli beni per il loro collegamento con un reato e concepito come misura di sicurezza per evitare nuovi reati (introduzione del sistema del doppio binario). Anche a livello internazionale, si è assistito ad una spinta alla compressione dei diritti fondamentali, al fine di consentire un più ampio ricorso alla confisca come mezzo di repressione di determinati fenomeni globali, come il terrorismo9.
Ebbene, nel nostro attuale ordinamento, la disposizione di riferimento è rappresentata dall'art. 240 c.p., che determina le condizioni della c.d. confisca in generale10.
9 Si pensi al noto caso Xxxx che ha portato la Corte di Giustizia CE ad annullare un regolamento emanato dalla Commissione, il quale sanciva il diritto fondamentale del singolo al rispetto della proprietà, non essendogli stato consentito di esporre le ragioni a sua difesa (cfr. Xxxxx xx Xxxxxxxxx XX, XX, 0 settembre 2008, Xxxx X. Commissione UE C – 402/2005 P e C – 415/2005 P in riferimento al regolamento CE n. 881/2002.
10 Art. 240 c.p.: “Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto [c.p.p. 676, 733 2, 316 e segg., 321 e segg., 86 disp. att. c.p.p.].È sempre ordinata la confisca:1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato; 1bis) dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615 ter, 615 quater, 615 quinquies, 617 bis, 617 ter, 617 quater, art. 617 quinquies del c.p., 617 sexies, 635 bis, 635 ter, 635 quater, 635 quinquies, 640 ter e 640 quinquies. 2) delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione e l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna. Le disposizioni della prima parte e dei numeri 1 e 1 bis del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato. La disposizione del numero 1-bis del capoverso precedente si applica anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale. La disposizione del numero 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione
La norma in esame contiene una “regola generale” stabilita nel comma 1, nel quale è prevista la confisca c.d. facoltativa, ovvero discrezionale (“può ordinare la confisca”), subordinata alla condanna (“nel caso di condanna”), di alcune categorie di beni: i “beni strumentali al reato” (le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato), il “prodotto” del reato e il “profitto del reato”.
Segue poi al comma 2 la previsione di una confisca c.d. obbligatoria (“è sempre ordinata la confisca”) con riferimento ad altre categorie di beni: il prezzo del reato e le cose intrinsecamente criminose (cose il cui uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato), specificandosi per queste ultime che si procede a confisca “anche se non è stata pronunciata condanna”.
Gli ultimi due commi stabiliscono la disciplina generale della confisca in riferimento alla tutela da assicurare al terzo rispetto all'ablazione di un bene su cui vanti diritti.
Sono state introdotte poi una molteplicità di disposizioni speciali in materia di confisca, contenute nello stesso codice penale, ovvero in altri codici o leggi speciali. La specialità di queste disposizioni è resa palese da alcuni parametri di specificazione, quali: la tipologia dei reati presupposto, l'oggetto della confisca riferita a categorie di beni più ristrette o diverse rispetto a quelle enunciate nella disposizione generale, il regime della confisca disciplinata in termini di c.d. obbligatorietà, la forma della confisca in riferimento all'ablazione di beni di valore equivalente, le presunzioni che agevolano la possibilità di procedere a confisca ed, infine, la possibilità di restituzioni al danneggiato e alla parte lesa, ovvero la tutela del terzo in modo differenziato rispetto alla previsione generale11.
In conclusione, ma come si avrà modo di evidenziare più diffusamente nella presente trattazione, solo nell’ultimo ventennio la confisca del profitto è uscita
amministrativa [c.p.p. 676]”.
11 In questo senso – e salvo quanto si osserverà nel proseguo sull'approfondimento delle ipotesi di confisca speciale – possono citarsi esemplificativamente le ipotesi di: confisca obbligatoria introdotte nel codice penale agli artt. 322-ter, 600-septies, 640-quater, 644, 448-quater, 722 c.p., ovvero nel codice civile all'art. 2641 c.c., oppure ancora in leggi speciali come nell'art. 187 del D.Lgs. n. 58 del 1998, nell'art. 44 D.P.R. n. 380/2000, nell'art. 186 del Codice della Strada. Quanto alla previsione della confisca di valore si possono ricordare: le disposizioni introdotte nel codice penale agli artt. 322-ter, 600-septies, 640-quater, 644, 648-quater, quella contenuta nel codice civile all'art. 2641 c.c., quelle contenute in leggi speciali come l'art. 187 del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, l'art. 11 della L. n. 146/2006.
dall’angusto spazio in cui era stata relegata (ovvero l’art. 240 c.p.) e la nozione di profitto confiscabile, per lungo tempo lasciata ai margini della storia della confisca, ha acquisito centralità al sorgere delle nuove esigenze di tutela in relazione alla diffusione della cd. criminalità del profitto, la quale ha trovato appunto nello strumento della confisca (o meglio nelle diverse figure speciali di confisca) lo strumento più efficace al suo contrasto.
2. LE VARIABILI DELLA DISCIPLINA DELLA CONFISCA: LE CATEGORIE DESCRITTIVE CHE NE SPIEGANO I MECCANISMI DI FUNZIONAMENTO E LE CONSEGUENZE. La comparazione interordinamentale del fenomeno consente di individuare alcune differenze, che costituiscono oggetto di discipline diversificate. Tali variabili di disciplina riguardano le seguenti categorie di riferimento, di seguito specificate: il tipo di reati che ammettono la confisca (generale o speciale); il legame della confisca con l'accusa penale; il legame del procedimento in cui si applica la confisca con il procedimento penale; la categoria di beni che ne costituiscono oggetto; le modalità di individuazione del bene da confiscare; il potere di disporla da parte dell'organo competente; la finalità perseguita; i soggetti passivi della confisca; lo standard probatorio richiesto per ottenere la confisca; distribuzione dell'onere della prova; tutela assicurata ai terzi.
In riferimento ai reati-presupposto della confisca, occorre evidenziare come gli organismi internazionali prestino molta attenzione a particolari categorie di reati,
c.d. serious offences, come il traffico di droga, il riciclaggio, la corruzione, il crimine organizzato. Ciò determina spesso una dilatazione delle possibilità di confisca con conseguente connessione frequente tra specialità della confisca e maggiore estensione o semplificazione della sua applicazione12.
Per quanto concerne il legame della confisca con l'accusa penale, la stessa è ammessa sia per i beni che presentino un legame con i reati oggetto di
12 Ciò si verifica in Italia, in cui si assiste ad un progressivo aumento delle ipotesi di confisca speciale sotto la spinta degli obblighi di produzione normativa imposti da fonti internazionali.
accertamento nel procedimento penale a carico del soggetto che la subisce (confisca conviction based), sia in relazione a beni che non abbiano tale pertinenzialità con il reato oggetto di accertamento. In particolare, ciò avviene allorché l'ordinamento consenta la confisca di beni di valore equivalente a quelli oggetto di confisca diretta, ovvero ammetta la confisca dei beni relativi a reati precedenti a quello per cui si procede e per i quali non si era proceduto a suo tempo (c.d. confisca post conviction)13.
È altresì consentita la confisca dei beni del soggetto condannato anche in assenza di un nesso pertinenziale con il reato14: siffatta previsione viene di solito accompagnata dalla possibilità, per il soggetto passivo della confisca, di provare la provenienza lecita dei beni, e ciò evidenzia il legame di questa categoria descrittiva con quella relativa alla distribuzione dell'onere della prova.
Infine, vi sono casi in cui si prescinde da una accusa e da un procedimento penale, ammettendosi la confisca in procedimenti finalizzati esclusivamente ad ottenere il provvedimento ablativo, con standard probatori diversificati da quelli dell'accertamento della responsabilità penale15.
In relazione al legame tra procedimento di confisca e procedimento penale, esso evidenzia non più il rapporto tra beni e reato ma tra procedimenti, ossia quello in cui si applica la confisca e quello in cui si accerta la responsabilità penale. Benché in Italia la regola sia quella secondo la quale la confisca viene disposta nel procedimento penale diretto all'accertamento del reato, tuttavia il campo delle misure di prevenzione rappresentano un tipico esempio di procedimento separato e finalizzato all'applicazione della confisca priva del nesso con l'accertamento di un determinato reato.
In ordine alle categorie di beni oggetto di confisca, si deve osservare che la
13 La Financial Action Task Force (on Money Laundering) (FATF) evidenzia come ciò si sia verificato negli ordinamenti canadese e olandese.
14 Ciò si verifica con la confisca britannica per lo stile di vita criminale, o in Italia con la c.d. Confisca estesa dei beni di valore sproporzionato a quello dell'attività economica e dei redditi leciti prevista dall'art. 12 – sexies del D.L. 306/92, convertito dalla legge 356/1992.
15 Si tratta di esperienze di cui si hanno esempi negli ordinamenti anglo-americani, oltre che secondo gli studi FATF in Austria e in Germania. Anche in Italia l'istituto non è certamente sconosciuto: si pensi alla confisca di patrimoni illeciti nel procedimento di prevenzione sganciato dall'applicazione di misure di prevenzione personali fondate sulla pericolosità del soggetto.
confisca dei proventi o del profitto del reato costituisce un risultato piuttosto recente dell'istituto16. Di fondo, vi è l'esigenza di evitare che attraverso il conseguimento del guadagno, il reato sia portato a conseguenze ulteriori, come pure quella di conseguire un effetto preventivo incidendo sul movente economico del delitto.
Quanto alle modalità di individuazione del bene da confiscare, preme sottolineare come la distinzione tra confisca di proprietà (property based) e confisca di valore (value based), assume come rilevanti beni determinati, che vengono individuati sulla base del loro collegamento con un reato o con un soggetto ovvero come espressione di un valore corrispondente ai beni individuati come oggetto di confisca diretta.
Al contrario, la confisca di patrimoni, assume come rilevante un insieme di beni che vengono considerati unificati o dall'appartenenza a un determinato soggetto o dalla loro destinazione. Pertanto, pur se la commissione di reati resta rilevante come presupposto per il procedimento di confisca, tuttavia non svolge più una funzione selettiva dei beni da assoggettare alla confisca.
Ciò è quanto, ad esempio, sta accadendo alla c.d. confisca estesa di beni di valore sproporzionato ai redditi leciti ex art. 12 – sexies L. n. 356/1992. Qui la condanna per determinati reati continua a costituire presupposto per procedere alla confisca, ma il reato non seleziona più in alcun modo i beni da confiscare, che saranno tutti quelli sproporzionati ai redditi leciti di cui l'interessato non giustifichi la provenienza, anche se acquisiti anteriormente al reato17.
Siffatte confische di patrimoni, che proprio con le istanze dell'illuminismo erano state abbandonate18, si ripresentano oggi per l'esigenza di contrastare fenomeni di particolare allarme criminale, come la criminalità mafiosa o il racket.
In ordine ai poteri di confisca e alle finalità perseguite, occorre evidenziare come
16 Anche nelle codificazioni moderne che riguardano l'Italia, tale confisca era ritenuta ammissibile in via interpretativa: ad esempio in relazione all'art. 74 del codice sardo nonché all'art. 36 del codice Zanardelli. Per una disamina sul punto cfr. VASSALLI, La confisca dei beni. Storia recente e profili dogmatici, Padova, 1951, 5.
17 Ciò è quanto accade nella confisca-misura di prevenzione dopo che la stessa è stata esplicitamente resa autonoma dall'applicazione di una misura di sicurezza personale e, quindi, dalla valutazione di pericolosità del soggetto titolare dei beni.
18 CIVOLI, Confisca (Diritto Penale), in Digesto Italiano, Torino, 1893, 900.
il regime di obbligatorietà è connesso non solo alla intrinseca criminosità del bene oggetto della confisca, ma anche alla natura di sanzione che si attribuisce alla ablazione, la quale deriva in questo caso dalla obbligatorietà della pena.
In riferimento ai soggetti passivi, la principale novità è rappresentata dall'introduzione, con il D.Lgs. n. 231/2001, della responsabilità degli enti per illeciti dipendenti da reato, la cui portata risulta colma di conseguenze: basti pensare alla natura e alla pluralità di “confische” esistenti, alla determinazione del profitto confiscabile ed alla tutela dei terzi, anche mediante la ridefinizione dei moduli interpositori e degli ostacoli, in passato frapposti alla confisca.
Quanto agli standard probatori e alla distribuzione dell'onere della prova, la prima categoria si è imposta per la varietà degli standard richiesti negli ordinamenti di common law, con particolare riferimento al parametro criminale della prova al di là di ogni ragionevole dubbio o al parametro civilistico della preponderanza di prova.
Il problema si pone nell'ordinamento italiano sotto il profilo della c.d. valutazione del fumus in relazione all'adottabilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca (previsto dall'art. 321, comma 2, c.p.p.).
3. LA RIFLESSIONE SULLE TIPOLOGIE DI CONFISCA: MISURE DI SICUREZZA, MISURE DI PREVENZIONE, SANZIONI. NATURA E DIRITTO INTERTEMPORALE.
La disamina del quadro normativo consente di dedurre che la disciplina normativa delle singole “confische” si presenta estremamente variata e, dunque, non facilmente inquadrabile nelle rigide catalogazioni codicistiche o qualificazioni normative, tanto da produrre in materia un vivace dibattito dottrinale19.
19 In dottrina, i riferimenti classici in materia di confisca possono ricondursi a: XXXXXXXXX, La confisca, Bari, 1935; VASSALLI, La confisca dei beni. Storia recente e profili dogmatici, Padova, 1951; XXXXXXXXX, Voce confisca (diritto penale), in Novissimo Digesto Italiano, Torino, 1959, vol. IV, 40 ss.; SALTELLI, Voce confisca (diritto penale), in Nuovo Digesto Italiano, Torino, 1937, vol. III, 791; MASSA, Confisca (dir. Pen.), in Enc. Dir., Milano, vol. VIII, 1961, 980; SPIZUOCO, Rilievi sulla confisca obbligatoria, in La giustizia penale, 1971,k
L'ablazione coattiva eseguita con la confisca è infatti sorretta da una molteplicità di ragioni, di volta in volta elevate a rango di “ratio” fondante.
Seguendo l'impostazione dottrinale tradizionale, la confisca può giustificarsi in relazione ad una molteplicità di situazioni.
In primo luogo può riferirsi alla “pericolosità” della cosa “in se stessa”: la mera detenzione o disposizione della res è prevista come reato ovvero considerata pericolosa per il contesto criminale organizzato nel quale è inserita20.
Può altresì riferirsi alla pericolosità della cosa in rapporto al “reato” (i c.d. beni strumentali)21 ovvero in rapporto all' “autore” del reato (la cosa è pericolosa non
II, 767; NUVOLONE, Voce misure di sicurezza e misure di prevenzione, in Enciclopedia del Diritto, Milano, vol. XXVI, Milano, 1976, 635; MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, a cura di NOVOLONE e PISAPIA, Torino, 1985 -1986; ALESSANDRI, Voce confisca nel diritto penale, in Digesto delle discipline penalistiche, Torino, 1989, vol.III, 55. Per la trattazione della confisca a livello manualistico, oltre al già citato XXXXXXX, anche ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale, vol. I, XIV ed., a cura di XXXXX, Xxxxxxx, Milano, 2002; PADOVANI, Diritto penale, VIII ed., Milano, 2008; XXXXXXXXX, DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, III ed., Milano, 2009; FIANDACA- MUSCO, Diritto penale, Parte Generale, VI ed., Milano, 2009, 815; MANTOVANI, Diritto penale. Parte Generale, Padova, 2007, V ed., 896; PULITANO', Diritto penale, II ed., Torino, 2007. per i commentari: GRASSO, Commentario sistematico al codice penale, a cura di ROMANO-GRASSO-PADOVANI, Milano, 1994, 521; MANTOVANI, Le misure di sicurezza, in AA.VV., Codice penale. Parte Generale, vol. III, Torino, 1996; GATTA, in Codice Penale Commentato, a cura di XXXXXXX e XXXXXXXXX, II ed., Milano, 2006; RONCO – XXXXXXXXX, Codice Xxxxxx Xxxxxxxxxxxx, XX xx., Xxxxxx, 0000. Per gli studi monografici più recenti in materia: FORNARI, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale “moderno”, Padova, 1997; XXXXXXX, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001, 127; ALESSANDRI, La confisca, in ALESSANDRI (a cura di), Il nuovo diritto penale delle società, Milano, 2002; ALESSANDRI, Criminalità economica e confisca del profitto, in DOLCINI, PAGLIERO, Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Milano, 2006, 2107; FONDAROLI, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Ablazione di beni e interdizione di fatto, Bononia Univerty Press, Bologna, 2007; ID. Splendori e miserie della confisca obbligatoria del profitto, AA.VV., Principi costituzionali in materia penale e fonti sovranazionali, a cura di FONDAROLI, Padova, 2008, 117 ss.; AA. VV., Le sanzioni patrimoniali come moderno strumento di lotta contro il crimine: reciproco riconoscimento e prospettive di armonizzazione, a cura di XXXXXXX, Milano, 2008; VERGINE, Confisca e sequestro per equivalente, Milano, 2009; BALSAMO – CONTRAFFATTO – XXXXXXXX, Le misure patrimoniali contro la criminalità organizzata, Milano, 2010; XXXXXXXX, La confisca per equivalente: aspetti problematici e prospettive applicative, in Dir. Pen. Proc., 2011, 230; MARINES, L'ultimo imperativo della politica criminale: nullum crimen sine confiscatione, in MANTOVANI, XXXXX, XXXXXXX XXXXX, TORRE, CAIANIELLO ( a cura di), Scritti in onore di Xxxxx Xxxxxxxx, Bologna, 2016, 219.
20 Su questo aspetto, in particolare, XXXXXXXXXXXXX – XXXXXXXXX, Sulla confisca, in Giur. Pen., 1974, 459; XXXXX, La confisca come misura di sicurezza patrimoniale; inapplicabilità in caso di condono edilizio, in Giur. Pen., 1985, III, 383; MANTOVANI, Diritto penale, cit, 896.
21 Su questo punto: XXXXXXXX, DOLCINI, Manuale, cit, 477.
in se stessa, ma in quanto nella disponibilità del soggetto che ha commesso il reato22).
Infine, la confisca può giustificarsi in relazione alla punizione del colpevole, con l'obiettivo – principale o aggiuntivo – della ridistribuzione delle consistenze patrimoniali illecitamente ottenute23.
L'analisi dottrinale sull'ablazione coattiva della res si muove, quindi, tra due estremi: quello che vede la confisca come volta a prevenire l'uso di una cosa pericolosa in relazione ad un reato24 o al contesto criminale organizzato di circolazione del bene25, e quello che ritiene sia diretta a punire il colpevole di un reato, in un continuum di effetti (preventivi, risarcitori, ripristinatori, punitivi) tutti ugualmente conseguibili e tra loro variamente cumulabili nella disciplina positiva delle singole ipotesi di confisca26.
Del resto l'ambiguità della confisca era stata già riconosciuta in risalenti sentenze della Corte Costituzionale27, che chiarivano come l'istituto avesse natura varia e difficilmente definibile, stante la sua eterogeneità non agevolmente inquadrabile. Infatti, l'ablazione di beni economici può trovare giustificazioni diverse nelle
22 XXXXX, Codice Penale, cit., 1805; sulla pericolosità come concetto relazionale: GRASSO, Commentario, cit., 521; FIANDACA – MUSCO; Diritto Penale, cit., 815; XXXXXXXXXX, Brevi riflessioni in tema di confisca facoltativa, in Giur. It., 1992, II, 504.
23 Su questi aspetti cfr., in particolare, sulla natura della confisca come sanzione “sui generis” MANZINI, Trattato, cit.; sulla sua natura di “sanzione civile” nel processo penale v. XXXXXXX, La confisca di cose appartenenti all'estraneo al reato nella possibilità di revoca o modifica e l'intangibilità del giudicato, in Giustizia Penale, 1964, III, 106; sul suo carattere essenzialmente di repressione: XXXXXXXXX, Considerazioni in tema di confisca obbligatoria, in La giustizia penale, 1947, II, 401; CHIAROTTI, Sulla tutela dei diritti delle persone estranee al reato in materia di confisca, in La giustizia penale, 1956, II, 637-638.
24 Nel qual caso si riconosce alla confisca la natura di misura di sicurezza: si veda il commento sub art. 240 c.p. nel Codice Penale, a cura di PADOVANI, IV edizione, coordinamento a cura di DE XXXXXXXXX e FIDELBO, Milano, 2007, 1463 ss.; ROMANO – GRASSO –
XXXXXXXX, Commentario, cit., 529; AA. VV., Codice Penale Commentato, a cura di XXXXXXX e XXXXXXXXX; cit., 1809.
25 Nel qual caso si riconosce alla confisca natura di misura di prevenzione: AA. VV., Le sanzioni patrimoniali come moderno strumento di lotta contro il crimine: reciproco riconoscimento e prospettive di armonizzazione, a cura di XXXXXXX, cit.
26 La rinuncia ad ogni tentativo di ricostruzione unitaria della confisca è espresse dalle proposte di modifica dell'istituto, contenute nei passati progetti di riforma codicistica proposte dalle varie Commissioni all'uopo istituite. In tali progetti, la confisca viene considerata quale tertium genus rispetto alle pene e alle misure di sicurezza, oppure viene articolata in diverse specie a seconda che essa riguardi lo strumento del rato, il profitto, o cose intrinsecamente illecite. Per una analisi di detti progetti: NUNZIATA, Linee evolutive de4lla confisca penale: progetti di riforma e tendenze di politica criminale, in L'indice penale, 2004.
00 Xxxxx Xxxx., xxxxxxxx n. 29/1961 e n. 46/1964.
differenti ipotesi o essere indirizzata nelle finalità varie, così da assumere funzione di “pena”, o di “misura di sicurezza”, ovvero di “misura di carattere amministrativo”28.
Inoltre, sotto la spinta della normativa internazionale, il legislatore ha previsto diversi modi di “potenziamento” della confisca nelle singole previsioni speciali: ne deriva che, all'identico nomen iuris della “confisca” corrisponde ormai, non solo nella codicistica, ma anche nelle leggi speciali, una pluralità di misure ablative di beni economici con discipline anche fortemente differenziate, che hanno portato a diverse conclusioni interpretative a seconda del tipo di confisca considerato.
Ne è derivato un acceso dibattito sulla natura giuridica degli istituti da applicare affermandosi l'esigenza di verificare, alla luce del concreto contesto normativo in cui la confisca è stabilita, se gli approdi ermeneutici in relazione alla singola previsione di confisca – quella generale di cui all'art. 240 c.p. - siano estensibili anche ad altre previsioni che usino medesimi termini.
A tal proposito, le Sezioni Unite29 hanno riconosciuto la necessità di verificare in ogni caso se le conclusioni raggiunte in ordine alla nozione di profitto del reato contemplato ai fini della confisca generale di cui all'art. 240 c.p., siano applicabili ad altre ipotesi di confisca (come quelle previste dal D.Lgs. n. 231/2001), senza dunque alcun automatismo estensivo e con possibilità di soluzioni differenziate.
Più precisamente si è affermato che: “la validità ...[dell'] approdo interpretativo, maturato nell'ambito della previsione di cui all'art. 240 c.p. e riferito al profitto tratto da condotte totalmente illecite, va verificata anche in relazione alle previsioni [di altre confische]”, giacché “nell'ordinamento, in maniera sempre più esponenziale, [di] ipotesi di confisca obbligatoria dei beni strumentali alla consumazione del reato e del profitto ricavato, …. hanno posto in crisi le costruzioni dogmatiche elaborate in passato e la identificazione, attraverso il
28 Anche in dottrina si erano da tempo rilevate le difficoltà connesse alla varietà della confisca in rapporto alle applicazioni giurisprudenziali che ne derivano: MELCHIONDA, Disorientamento giurisprudenziale in tema di confisca, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 1977, 334.
29 Cass., Sez. Un. Pen., n. 26654/2008.
nomen iuris, di un istituto unitario, superando così i ristretti confini tracciati dalla norma generale di cui all'art. 240 c.p. (si pensi esemplificativamente alla confisca di cui agli artt. 322 ter, 600 septies, 640 quater, 644, 648 quater c.p.,
2641 c.c., 187 X.Xxx. n. 58/1998, 44 comma 2 DPR n. 380/2001)30”.
Così, in materia di confisca, si sono succedute nell'ultimo decennio ripetute decisioni delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione31, che concordemente hanno rilevato l'estrema frammentazione della disciplina e l'impossibilità di ricondurre ad una natura unitaria istituti che pur identificati con un identico nomen iuris, svolgono funzioni ed hanno caratteristiche differenziate.
Ciò sarebbe ascrivibile all'incidenza di fonti normative sovranazionali di diversa natura e varia valenza giuridica nell'ordinamento internazionale32, che farebbero emergere nuovi strumenti di analisi economica nell'affrontare il fenomeno della confisca nell'ambito della c.d. criminalità d'impresa ed arrivando, in alcuni casi, a rideterminare lo stesso profitto confiscabile33.
Da qui, a parere della Suprema Corte, l'insufficienza degli strumenti concettuali tradizionali del diritto penale classico per la soluzione dei casi concreti, specie in materia di delimitazione dell'oggetto della confisca, della sua applicabilità al di fuori delle ipotesi di condanna (come ad esempio in caso di estinzione del reato), di estensione di forme particolari di confisca come quella di valore34.
Come pure viene fortemente avvertita l'esigenza di razionalizzazione del sistema
30 Ibidem.
31 Ibidem; Cass. Pen., Sez. Un., n. 36522/2008; Cass. Pen., Sez. Un., n. 38691/2009; Cass. Pen., Sez. Un., n. 23428/2010; Cass. Pen., Sez. Un., n. 4880/2015.
32 Cass., Sez. Un. Pen., n. 26654/2008, cit., indicano una “natura proteiforme” costantemente conservata dalla confisca nell'ordinamento italiano; Cass. Pen., Sez. Un., n. 36522/2008, cit., riprende i medesimi passi della motivazione della sentenza appena citata, facendoli propri; Xxxx. Pen., Sez. Un., n. 38691/2009, cit., dopo una compiuta ricognizione del quadro normativo, parla di “norme frammentarie e prive di coordinamento” e di “una congerie di norme settoriali non coordinate tra loro”.
33 In particolare, Cass., Sez. Un. Pen., n. 26654/2008, cit., respinge qualsiasi distinzione aziendalistica tra profitto netto e profitto lordo, negando che il profitto del reato possa essere calcolato in base a principi economico-contabili, pur precisando che il profitto confiscabile ad un ente quale sanzione principale, in caso di illeciti dipendenti da “reati in contratto” (come la truffa), deve essere calcolato al netto dell'utilità ricavata dalla controparte per la prestazione non annullata, comunque effettuata ed utilizzata in esecuzione dell'accordo negoziale.
34 Questo è l'oggetto specifico della decisione resa da Xxxx. Pen., Sez. Un., n. 38691/2009, cit. La Corte ha precisato come, in relazione al reato di peculato, la confisca per equivalente possa essere disposta solo per il prezzo e non anche per il profitto del reato.
dell'ablazione coattiva dei beni in presenza di assetti normativi definiti come “incoerenti”, tanto da portare la giurisprudenza alla formulazione di un vero e proprio appello al legislatore per una risistemazione normativa della xxxxxxx00.
Preme ancora rilevare come la diversa natura della confisca non possa che riverberarsi sul conseguente regime intertemporale di applicazione della medesima. In questo senso, un esempio di notevole interesse è dato dalla soluzione adottata dalla giurisprudenza36 riguardo al regime temporale di applicazione di due forme di confisca a reati per i quali non erano originariamente previste.
Un primo caso di applicazione è quello relativo alla confisca per equivalente ex art. 322 ter c.p. estesa ai reati fiscali dall'art. 1, comma 143, della Legge n. 244/200737. In siffatta ipotesi, la Suprema Corte, riconoscendo natura sanzionatoria alla confisca, non l'ha considerata applicabile ai reati commessi anteriormente alla legge che l'ha introdotta.
Un secondo caso di applicazione è quello relativo alla confisca di valore sproporzionato ai redditi leciti, prevista dall'art. 12 sexies della Legge n. 356/1992, estesa ai reati contro la Pubblica Amministrazione per effetto dell'art. 1, comma 220, lett. a), Legge 296/200638. In questa ultima ipotesi il Supremo
35 Cass. Pen., Sez. Un., n. 36522/2008, cit., dopo aver precisato che l'interpretazione del dato normativo positivo porta alla conclusione che l'estinzione del reato per prescrizione preclude la confisca obbligatoria del prezzo del reato di corruzione, ricorda che sarebbe “antigiuridico e immorale” che il corrotto non punibile possa godersi il denaro che egli ebbe per commettere il fatto “delittuoso”. Ancora più esplicitamente Cass. Pen., Sez. Un., n. 38691/2009, cit., riconosce espressamente che non mancano profili di contraddittorietà del sistema della confisca per equivalente, “prevista in modo altalenante”. Si ricorda, ad esempio, che il profitto dei reati richiamati dall'art. 322 ter c.p. - nella formulazione ante riforma ex L. 190/2012 – non può essere confiscato per equivalente nei confronti della persona fisica, ma può esserlo invece nei confronti dell'ente eventualmente chiamato a rispondere dell'illecito dipendente dal reato commesso da quella stessa persona. Ne consegue l'affermazione esplicita secondo la quale “si pone la necessità che il legislatore provveda a disciplinare in modo sistematico tutte le ipotesi di confisca obbligatoria e di confisca per equivalente, già previste con norme frammentarie e prive di coordinamento”.
36 Cass. Pen. Sez III, n. 39176/2008; Cass. Pen. Sez. II, n. 28685/2008; Cass. Pen. Sez. II, n. 21566/2008; Cass. Pen. Sez. VI, n. 25096/2009; Cass. Pen. Sez. VI, n. 13098/2009; Cass. Pen. Sez. II, n. 8404/2009.
37 Recita il comma 143 dell'art. 1 della L. n. 244/2007: “ Nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all'articolo 322-ter del codice penale”.
38 Recita il comma 220, lett. a) dell'art. 1, L. n. 296/2006: “All'articolo 12-sexies del decreto- legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e
Collegio39, ritenuta la natura di misura di sicurezza patrimoniale della confisca, ha affermato che dovesse trovare applicazione, secondo il principio sancito dall'art. 200 c.p40., la legge in vigore al momento della decisione.
È altresì costantemente affermato nella giurisprudenza di legittimità41 che in tutti quei casi in cui il legislatore ha espressamente qualificato la confisca come “sanzione”, la stessa non può essere applicata ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore.
Tuttavia si è riconosciuto operare lo stesso divieto di applicazione retroattiva anche nei confronti delle persone fisiche, pur non essendoci norme di riferimento con espresse qualificazioni della confisca in termini sanzionatori, presenti invece nel caso della responsabilità degli enti42. Ciò ha condotto, dunque, ad affermare una uniformità di natura tra confisca a carico dell'ente per illecito dipendente da reato e confisca a carico della persona fisica per il reato presupposto.
Inoltre in giurisprudenza si tende a considerare sanzionatoria la confisca non solo quando questa è costruita o definita tale dal legislatore, ma anche in relazione alla particolare forma della sua applicazione43. Ne consegue che si possono verificare
successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, dopo le parole: "codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dagli articoli" sono inserite le seguenti: "314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis, 325,";
39 Cass. Pen. Sez. VI, n. 25096/2009, cit.; Cass. Pen. Sez. II, n. 8404/2009, cit.
40 Recita l'art. 200 c.p.p.: “Le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione. Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo della sua esecuzione. Le misure di sicurezza si applicano anche agli stranieri, che si trovano nel territorio dello Stato, Tuttavia l'applicazione delle misure di sicurezza alla straniero non impedisce l'espulsione di lui dal territorio dello Stato, a norma delle leggi di pubblica sicurezza”.
41 Ciò è ad esempio avvenuto nella confisca prevista dall'art. 19 X.X.xx. n. 231/2001, in relazione alla responsabilità degli enti per illeciti dipendenti da reato. Afferma infatti Xxxx. Pen. Sez. II,
n. 3629/2007 che: “Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di cose non pertinenti al reato non è applicabile, in ragione della natura sanzionatoria di tale forma di confisca, nei confronti delle persone giuridiche per fatti-reato commessi in data anteriore all'entrata in vigore della normativa sulla responsabilità amministrativa da reato”.
42 Cass. Pen. Sez. II, n. 316/2007, che ha affermato il principio di cui sopra in un caso di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche: con riferimento a quella fattispecie la Corte, tenuto conto che, trattandosi di erogazioni effettuate in più rate, il reato doveva considerarsi a consumazione cosiddetta prolungata, essendo la percezione della prima rata intervenuta anteriormente all'entrata in vigore delle norme summenzionate in materia di confisca, ancorché la percezione delle ulteriori rate si fosse conclusa successivamente, il delitto doveva considerarsi consumato prima con conseguente inapplicabilità della confisca medesima.
43 Cass- Pen. Sez. II, n. 8404/2008, cit., secondo cui, in un caso di fatturazione per operazioni
ipotesi in cui la confisca diretta avrebbe natura di misura di sicurezza ma, applicata nella forma per equivalente, assumerebbe natura sanzionatoria. Questo fenomeno di trasformazione della natura giuridica dell'istituto in base alla forma della sua applicazione è stato analizzato in proposito ad uno dei primi casi sorti in relazione alla applicazione dell'art.1, comma 143, Legge n. 244/2007 che, come già detto, ha previsto l'applicabilità della confisca per equivalente ai reati fiscali44 Secondo la Corte, dunque, mentre la ratio della confisca ordinaria sarebbe fondata sull'apprezzamento legislativo della pericolosità della cosa, in sé o per la sua relazione con l'autore del reato, invece quando l'ablazione riguarda una porzione del patrimonio del soggetto equivalente al valore oggetto di confisca, questa
inesistenti realizzato con il metodo delle cd. Truffe-carosello, “l'art.1, comma 143, l. n. 244 del 2007 che ha previsto l'applicabilità della confisca per equivalente di cui all'art. 322-ter cod. pen. ai reati di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater ed 11 del X.X.xx. n. 74 del 2000, non opera retroattivamente, poiché all'istituto, che presenta una natura del tutto peculiare, non estensibile la regola dettata dall'art. 200 cod. pen., in forza della quale le misure di sicurezza sino regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione”.
44 Nella motivazione della sentenza Xxxx. Pen. Sez. II, n. 8404/2008, cit., si legge: “Nessuna portata retroattiva potrebbe annettersi, ad avviso di questo Collegio, alla intervenuta recente estensione anche ai reati fiscali della confisca e del conseguente sequestro “per equivalente”, avuto riguardo alla giurisprudenza di questa Corte, più volte espressasi nel senso della natura eminentemente sanzionatoria dell'eccezionale istituto qui in esame (Cass., Sez. 2^, 9 novembre 0000, Xxxxxx, x. 00000; Cass., Sez. 2^, 14 giugno 0000, Xxxxxx, x. 00000; Cass. Sez. 5^, 16 gennaio 2004, Xxxxxxxxxx, n. 15445). Al riguardo, tenuto conto della natura del tutto peculiare che caratterizza la confisca “per equivalente”, nella quale viene ad essere sostanzialmente “novato” lo stesso titolo in forza del quale si legittima il provvedimento di ablazione (dalla apprensione della res, della quale il legislatore apprezza la pericolosità, o per la natura della cosa in sé o per la relazione che si stabilisce tra l'oggetto della confisca ed il suo titolare – elementi, questi, che individuano la “ragione” della confisca ordinaria – si passa alla apprensione di una “porzione” del patrimonio del soggetto, senza alcuna connotazione di pericolosità dello stesso, ma in funzione essenzialmente sanzionatoria rispetto all'equivalente profitto o prezzo del reato)sembra, infatti, coerente ritenere non estensibile la regola dettata dall'art. 200 cod. pen., in forza della quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione. Tale peculiare disposizione, infatti, trova sede nella sezione prima del capo primo (titolo 8^, libro 1^) del codice penale, dedicato alle misure di sicurezza personali, la cui applicazione si fonda sulla pericolosità sociale “attuale” del soggetto, e, quindi, su una condizione che si valuta ed apprezza nel momento in cui le misure devono trovare applicazione. L'estensione di una simile regola ad un provvedimento ablatorio patrimoniale a connotazioni sanzionatorie, senza che sia dato riscontrare alcun elemento di “pericolosità” degli specifici beni da sottoporre a confisca, finirebbe per prestare il fianco a seri dubbi di costituzionalità, considerato, fra l'altro, che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto in contrasto con i principi sanciti dall'art. 7 della Convenzione proprio una ipotesi di applicazione retroattiva della confisca di beni (v., ad es. Xxxxx c. Gran Bretagna, n. 17440/1990, sentenza del 9 febbraio 1995. Sul valore delle disposizioni della CEDU quale norma interposte agli effetti di quanto previsto dall'art. 117, primo camma, Cost. E sulla portata delle sentenze della Corte di Strasburgo, v. Corte Cost. Sentenze nn. 348 e 349 del 2007)”.
assumerebbe funzione essenzialmente sanzionatoria. Ne deriva che il passaggio dalla forma di confisca diretta a quella di valore (o per equivalente) determinerebbe una “novazione” del titolo legittimante l'apprensione coattiva del bene da misura di sicurezza a sanzione. In conclusione, nella confisca diretta l'apprensione coattiva del bene sarebbe fondata sulla sua pericolosità, e ciò coerentemente con la regola del tempus regit actum (art. 200 c.p.); nel caso di confisca per equivalente, invece, non ravvisandosi alcun elemento di pericolosità dei beni da sottoporre a confisca, l'ablazione presenterebbe connotazioni sanzionatorie, la cui applicazione retroattiva contrasterebbe anche con l'art. 7 della CEDU45, così da imporre il divieto di applicazione retroattiva della confisca per equivalente in sede di interpretazione costituzionalmente orientata delle norme di diritto interno da parte del Giudice ordinario.
La Corte di Cassazione ha, altresì, rilevato la diversa funzione della confisca per equivalente e di quella di beni di valore sproporzionato, al fine di risolvere la questione della applicabilità della confisca a reati per i quali non era prevista al momento della loro commissione46. In particolare si è osservato che mentre la confisca per equivalente, assumendo carattere sanzionatorio e relazionandosi in
45 Recita l'art. 7 della CEDU: “1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. 2. Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili”. In argomento: Sentenza CEDU, 9 febbraio 1995, Xxxxx c. United Kingdom, n. 17440/1990, con la quale era stata ritenuta violare l'art. 7 della Convenzione una ipotesi di applicazione retroattiva della confisca dei beni avvenuta nel Regno Unito.
46 Cfr. Cass. Pen. Sez. Un., n. 920/2004, secondo cui: “Al fine di disporre la confisca conseguente a condanna per uno dei reati indicati nell'art. 12-sexies, commi 1 e 2, d.l. 8 giugno 19992, n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992, n. 356 (modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa) allorché sia provata l'esistenza di una sproporzione tra il reddito dichiarato dal condannato o i proventi della sua attività economica e il valore economico dei beni da confiscare e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi, è necessario, da un lato, che, ai fini della “sproporzione”, i termini di raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori economici in gioco, siano fissati nel reddito dichiarato o nelle attività economiche non al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel momento dei singoli acquisti rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti, e, dall'altro, che la “giustificazione” credibile consista nella prova della positiva liceità della loro provenienza e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta “condanna”.
modo diretto e proporzionato alla entità del profitto del fatto-reato accertato, si configura come una forma di prelievo “pubblico” del profitto del reato non più recuperabile. Invece, la confisca ex art. 12-sexies, prevista per determinate categorie di reato considerate di particolare allarme sociale e diretta a colpire i beni riferibili al condannato che siano sproporzionati rispetto al reddito dichiarato o alla sua attività economica, si configura come una misura di sicurezza tipica, avente funzione preventiva perché diretta ad evitare l'accumulo di ricchezze di provenienza delittuosa.
Non è, tuttavia, mancato chi, soprattutto in un primo momento, ha qualificato tali confische quali ipotesi tradizionali della confisca tradizionale, riconducendole dunque alla categoria delle misure di sicurezza patrimoniali47.
Parte della giurisprudenza ha posto a supporto della qualificazione della confisca per equivalente come misure di sicurezza considerazioni relative alla disciplina dettata in materia di applicabilità nel tempo.
In particolare, con riferimento alle confische previste dagli artt. 322-ter e 640- quater c.p., è stata valorizzata la disposizione transitoria di cui all'art. 15 della L.
n. 300/2000, secondo cui tali misure non si applicano ai reati commessi prima dell'entrata in vigore della medesima legge.
I sostenitori della tesi in esame hanno sottolineato come tale norma sarebbe risultata superflua laddove la confisca in questione fosse stata concepita come una pena, a fronte del generale divieto di applicazione retroattiva delle sanzioni penali48.
4. NATURA DELLA CONFISCA E PREVIA CONDANNA, CONFISCA DI PATRIMONI.
Un esempio delle conseguenza della riconosciuta natura sanzionatoria della
47 In giurisprudenza: Xxxx. Pen., sez. VI, n. 24143/2001; Cass. Pen., sez. II, n. 18157/2002.
48 Cass. Pen., sez. II, n. 30729/2006, la quale, tuttavia, sebbene parta da tali premesse, giunge ad affermare la natura sanzionatoria della confisca, richiamando la sentenza della Xxxx. Pen., sez. V, n. 15445/2004, che ha dato avvio a tale orientamento giurisprudenziale.
confisca è dato dalla confisca di immobili oggetto di lottizzazione abusiva.
Anche in questa ipotesi si è assistito ad un intervento della CEDU49 che evidenzia il carattere sanzionatorio della confisca e la necessità di applicare le garanzie previste dall'art. 7 della Convenzione, senza che possano rilevare le qualificazioni del diritto interno come sanzione amministrativa a carattere reale inflitta eccezionalmente ed in via surrogatoria dal giudice penale.
Tuttavia, il caso concreto riguardava questioni differenti, in particolare la possibilità di disporre la confisca pure in assenza di una condanna penale e dunque la possibilità di operare la confisca del manufatto abusivo anche nei confronti di terzi. Xxxxxxxx questione aveva ricevuto dalla giurisprudenza interna soluzione positiva prima delle pronunzie CEDU citate, argomentando sulla natura amministrativa della sanzione e sulla possibilità per il terzo di agire in sede civile contro il dante causa per i danni subiti a seguito della confisca50.
Dopo le decisioni della Corte di Strasburgo, si rinvengono decisioni della Suprema Corte in cui si richiamano espressamente le necessità di tener conto degli interventi del giudice sovranazionale51.
In particolare, viene precisato che, ove venga accertata la malafede del terzo, indipendentemente dalla sua condanna per il reato, risulta legittima la confisca in suo danno52. Da qui, la questione del corretto esercizio dei poteri-doveri autonomi di accertamento finalizzati esclusivamente alla confisca.
Ad esempio, si è stabilito che: “nel caso di estinzione del reato dichiarata con provvedimento di archiviazione, il giudice dell'esecuzione dispone di poteri di
49 CEDU, 20 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia; CEDU; 30 agosto 2007, Sud Fondi c. Italia.
50 In particolare si trovava affermato che: “la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere realizzate, prevista dall'art. 44, comma secondo, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, deve essere disposta anche nei confronti dei beni dei terzi acquirenti i buona fede ed estranei al reato, i quali potranno fare valere i propri diritti in sede civile, atteso che trattasi di una sanzione amministrativa a natura reale e non personale applicata indipendentemente da una sentenza di condanna e sul solo presupposto dell'accertamento giurisdizionale di una lottizzazione abusiva”: Xxxx. Pen., sez. III, n. 10899/2005; Cass. Pen., sez. III, n. 38728/2004; Cass. III 4 dicembre 1995 – 16 gennaio 1995 Cascari.
51 Cass. Pen., sez. III, n. 12118/2009 nella motivazione la Corte, nell'annullare con rinvio l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca del sequestro preventivo di un manufatto abusivo, ha sottolineato la necessità di tener conto della sentenza CEDU del 20 gennaio 2009 nel caso Sud Fondi s.r.l. c. Italia; conf. Cass. Pen., sez. III, n. 42741/2008.
52 Cass. Pen., sez. III, n. 17865/2009.
accertamento finalizzati all'applicazione della confisca non solo sulle cose oggettivamente criminose per la loro intrinseca natura (art. 240, comma secondo,
n. 2 cod. pen.), ma anche su quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento per uno specifico fatto-reato”53.
È stata parimenti considerata centrale dalla Suprema Corte la questione dell'accertamento di situazioni rilevanti per la sola confisca in presenza di proscioglimento dell'imputato54.
Sul punto si è dichiarata la manifesta infondatezza della questione di “legittimità costituzionale dell'art. 19, L. 28 febbraio 1985, n. 47” - oggi sostituito dall'art. 44, comma 2, D.P.R. 380/2001 – che consente al giudice di disporre la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite in caso di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. A parere della Suprema Corte, infatti, tale norma non viola il combinato disposto degli artt. 117 Cost. e 7 CEDU, giacché la confisca, anche se disposta dopo l'estinzione del reato, conserva la sua natura sanzionatori, sia perché legata al presupposto di un reato estinto ma storicamente esistente, sia perché la stessa è applicata da un organo che esercita la giurisdizione penale55.
Autorevole dottrina56 ritiene tuttavia arduo, riconosciuto ilo carattere sanzionatorio della confisca e l'esigenza di rispettare le garanzie dell'art. 7 CEDU, concepire la legittimità di una sanzione inflitta ad un soggetto in forza di un accertamento incidentale di coinvolgimento nell'illecito, non espresso in un vero e proprio provvedimento di condanna.
Di tale problema sembra essersi reso conto anche il Supremo Collegio, allorché rimarca la peculiarità delle confische che consentono tale accertamento. In questo senso, ad esempio, in relazione alla ipotesi di confisca-misura di prevenzione, la Corte ha ritenuto di poter procedere a confisca, nonostante il proscioglimento dell'imputato, in virtù del minore standard probatorio previsto per la misura di
53 Cass. Pen., sez. I, n. 2453/2009. 54 Cass. Pen., sez. III, n. 20243/2009.
55 Anche le Sezioni Unite, nella sentenza n. 38834/2008, hanno evidenziato l'esistenza di una evoluzione legislativa diretta a riconoscere al giudice, pur in caso di estinzione del reato, poteri di accertamento al fine dell'applicazione della confisca.
56 XXXXXXXXXXX, La lottizzazione abusiva, Xxxxxxx, Milano, 2012, pag. 141 e ss.
prevenzione57.
Si è affermato in particolare, in una fattispecie di confisca di beni ritenuta legittimamente operante nonostante l'intervenuta assoluzione dal reato di cui all'art. 648 bis c.p., che: “il proscioglimento da uno dei delitti per i quali il combinato disposto degli artt. 14 L. n. 55 del 1990 e 1, comma primo, n. 2 L. n. 1423 del 1956, prevede, per i soggetti che siano ritenuti vivere con il provento degli stessi, l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale, non esclude che il giudice della prevenzione possa comunque, a fronte del sistema probatorio attenuato del processo di prevenzione, pervenire a ritenere attribuibile detto delitto al proposto”58.
Altro aspetto che merita di essere evidenziato è quello se le diverse ipotesi di confisca presentino sia connotati sanzionatori sia di misura di sicurezza.
Ciò perché occorre indagare se vi sia prevalenza degli uni o degli altri connotati che possa condurre ad esiti diversi a seconda degli aspetti che possono venire in rilievo, quali l'ambito temporale di applicazione, la confiscabilità in assenza di condanna ovvero a carico di eredi o di terzi.
Ad esempio, sono sorte perplessità sulla circostanza che anche la confisca- sanzione sia prescrivibile o “patteggiabile” come qualsiasi altra sanzione59.
Si è evidenziato in ordine alla prescrivibilità, che il diritto dello Stato ad infliggere afflizioni aggiuntive, come restrizioni della libertà personali o anche sanzioni pecuniarie, non trova più adeguata giustificazione una volta trascorso un congruo periodo di tempo. Diversamente, dopo un corrispondente intervallo temporale, non sembra accettabile il consolidamento dei vantaggi ricavati a seguito della commissione del reato, come avverrebbe se anche la confisca del profitto del reato
– avente natura di sanzione – si ritenesse anch'essa prescrivibile.
Inoltre, concordare la misura della somme da assoggettare a confisca-sanzione in sede di patteggiamento, potrebbe avere da un lato riflessi sulla posizione di terzi danneggiati, peraltro assenti con riferimento alle pene tradizionali; dall'altro,
57 Cass. Pen., sez. V, n. 40490/2009. 58 Ibidem.
59 LASCO-XXXXX- XXXXX-XXXXXXXX, Enti e responsabilità da reato. Commento al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Xxxxxxxxxxxx, Torino 2017, 647.
l'ammissione di simili negoziati sulla confisca, implica la necessità di individuare i parametri discrezionali per evitare arbitri e consentire un adeguato controllo sull'xxxxxxx00.
La suggerita inadeguatezza della tradizionale divisione in termini di natura sanzionatoria o di misura di sicurezza della confisca sarebbe altresì rinvenibile in relazione alla confiscabilità dei beni agli eredi in relazione alla c.d. confisca estesa.
Anche prima del riconoscimento legislativo di tale possibilità, in relazione alla confisca di cui all'art. 12 – sexies cit., si affermava la confiscabilità dei beni in capo agli eredi del condannato. A sostegno di tale conclusione, veniva richiamata non la pericolosità intrinseca del bene, connessa alla natura di misura di sicurezza attribuita all'istituto, bensì l'osservazione secondo cui l'estinzione del reato per morte del reo paralizza solo gli effetti personali e non anche quelli reali del reato61.
Si è infatti argomentato che la confisca applicata nel procedimento di prevenzione per gli indiziati di appartenenza ad associazione di tipo mafioso non è destinata a perdere effetto a seguito della morte della persona soggetta alla misura personale, qualora sia intervenuta prima della definitività del relativo provvedimento. Ciò in quanto la misura è di contenuto analogo a quella di sicurezza prevista dall'art. 240 c.p., che si propone di eliminare dal circuito economico, collegato ad attività e soggetti criminosi, beni di cui non sia fornita dimostrazione della lecita provenienza. Ne deriverebbe che, accertati i presupposti di pericolosità qualificata del soggetto appartenente ad una associazione di tipo mafioso, e indimostrata la legittima provenienza dei beni confiscati, non viene meno a seguito della morte del proposto la valutazione di pericolosità del patrimonio62.
60 Ibidem.
61 Cass. Pen., sez. VI, n. 27343/2008.
62 Secondo Cass. Pen., sez. I, n. 8466/2009: “la confisca prevista nell'ambito del procedimento di prevenzione nei confronti di persona indiziata di appartenere ad associazione di tipo mafioso non ha né il carattere sanzionatorio di natura penale, né quello di un provvedimento di prevenzione, ma va ricondotta nell'ambito di quel tertium genus costituito da una sanzione amministrativa, equiparabile, quanto al contenuto ed agli effetti, alla misura di sicurezza prevista dall'art. 240 c.p., comma due, con la conseguenza che la confisca dei beni rientranti nella disponibilità del soggetto proposto per l'applicazione di una misura di prevenzione
Per la verità le Sezioni Unite63, pur richiamando l'art. 240 c.p., si pongono il problema della distinzione della obbligatorietà o meno della confisca ai sensi del numero 1 o del numero 2 dell'art. 240 c.p.
Siffatta distinzione assumerebbe rilevanza dirimente ai fini di riconoscere la confiscabilità di un bene pur in presenza del proscioglimento dell'imputato, tanto da portare ad escludere la confiscabilità ex art. 240 c.p. del “prezzo” della corruzione in caso di morte dell'imputato64.
Simili distinzioni sulla obbligatorietà-facoltatività della confisca, ovvero sulla confisca obbligatoria ai sensi del numero 1 o del numero 2 dell'art. 240 c.p. hanno trovato compiuta sistemazione nella legge n. 94/200965, la quale non solo ha stabilito che le misure di prevenzione patrimoniale possano essere applicate disgiuntamente da quelle personali, ma addirittura che esse possano essere applicate indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione. La stessa legge ha pio previsto espressamente l'applicabilità di tali misure di prevenzione anche in caso di morte del soggetto, venendo così a
personale -una volta che siano rimasti accertati i presupposti di pericolosità qualificata del soggetto, nel senso della sua appartenenza a una associazione di tipo mafioso, e di indimostrata legittima provenienza dei beni confiscati – non viene meno a seguito della morte del proposto, intervenuta prima della definitività del provvedimento di prevenzione (Cass. Sez. Un., 03/07/1996, n. 18, conformi: Cass., Sez. 2^, 31/01/2005, n. 19914, Cass. Pen., sSez. 5^, 14/01/2005, n. 6160) giacché lo scopo perseguito dal legislatore con la normativa antimafia, concernente le misure patrimoniali, è quello di eliminare dal circuito economico, collegato ad attività e soggetti criminosi, beni dei quali non sia fornita dimostrazione di lecita acquisizione (in questi termini: Cass., Sez. 5^, 14/01/2005, n. 6160 cit.) per inserirli in altro circuito, esente da condizionamenti criminali e dunque proiettando il provvedimento de qua le sue finalità al di là delle esigenze di prevenzione nei confronti di determinate persone pericolose, per sorreggere la misura oltre il perdurare la pericolosità del soggetto al cui patrimonio è applicata. Tale conclusione interpretativa trova poi ulteriore conferma nel recente intervento legislativo (D.L. 23 maggio 2009, n. 92, come convertito in legge art. 10, comma 1, n. 4, lett. d)) il quale ha aggiunto alla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-ter, il comma 11, in forza del quale la misura di prevenzione della confisca può essere proposta anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta in danno dei successori”.
63 Cass. Pen., Sez. Un., n. 38834/2008 cit.
64 Ibidem. Secondo la Corte: “l'estinzione del rato preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall'art. 240, comma secondo, n. 1, cod.pen.”.
65 Recita l'art. 2, comma 22, della legge n. 94/2009: “ All'articolo 10, comma 1, lettera c), numero 2), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni,dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, dopo la parola: "disgiuntamente" sono inserite le seguenti: "e, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione”.
dare inequivoco fondamento normativo alla pericolosità in sé del patrimonio.
La medesima legge, inoltre, prevede la confisca di valore di beni di valore sproporzionato al reddito dichiarato e all'attività economica, prescindendo del tutto da ogni valutazione relativa al prodotto, profitto o prezzo del reato.
5. NATURA GIURIDICA E SOLIDARIETÀ PASSIVA RISPETTO ALLA CONFISCA.
Sembra doveroso analizzare i percorsi argomentativi seguiti dalla giurisprudenza di legittimità per risolvere il problema della solidarietà passiva rispetto alla confisca.
In proposito, già le Sezioni Unite nella nota decisione del 2008 affermavano che: “in tema di responsabilità da reato degli enti, nel caso di illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico che implica l'imputazione dell'intera azione e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l'individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, ma l'espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel “quantum” l'ammontare complessivo dello stesso”66.
Già prima della decisione in commento, si era sostenuto che il sequestro preventivo, preordinato alla confisca dei beni per un valore equivalente al profitto del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, può essere emesso nei confronti della persona fisica concorrente con una società di capitali, pur se il profitto sia stato interamente acquisito dalla società, certamente non estranea al reato e con autonomo titolo di responsabilità. Ciò viene fatto discendere dalla natura sanzionatoria della confisca per equivalente, secondo il principio solidaristico cui l'intera azione delittuosa e l'effetto conseguente sono
66 Cass. Pen., Sez. Un., sentenza n. 26654/2008.
imputati a ciascun concorrente67.
Successivamente alle Sezioni Unite si è poi affermato che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato di corruzione può incidere indifferentemente sui beni dell'ente che dal medesimo reato ha trovato vantaggio ovvero su quelli della persona fisica che lo ha commesso, con l'unico limite per cui il vincolo cautelare non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto68.
Merita di essere segnalato il passaggio motivazionale di quest'ultima pronuncia: “nell'ambito della criminalità d'impresa, v'è responsabilità cumulativa dell'individuo e dell'ente collettivo, trovando ciò riscontro, sul piano dogmatico, nello schema concorsuale: il nesso tra le due responsabilità, quella della persona fisica e quella dell'ente, pur non identificandosi con la figura tecnica del concorso, ad essa è equiparabile, in quanto da una unica azione criminosa scaturiscono una pluralità di responsabilità. Il sistema tratteggiato dal legislatore con il D.Lgs. n. 231 del 2001, presuppone la responsabilità penale individuale, che non rimane assorbita dalla persecuzione diretta della corporate criminality.” In sostanza, afferma la Corte, l'appartenenza dell'autore individuale all'ente costituisce un necessario punto di partenza della complessiva vicenda criminosa: sarebbe proprio la condotta della persona fisica, posta in essere nell'interesse o a vantaggio dell'ente, a determinare l'estensione a quest'ultimo della responsabilità per il reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio.
Tuttavia, la giurisprudenza esclude la moltiplicazione del medesimo importo delle confische per ciascun concorrente: infatti il principio solidaristico della pena avrebbe implicato che a ciascuno dei concorrenti debba essere confiscato l'intero, così come ciascuno dei concorrenti condannato ad una determinata pena detentiva o pecuniaria debba scontare l'intero periodo o pagare l'intero importo della pena.
Si ribadisce, in proposito, nelle decisioni esaminate che il vincolo reale “non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto”69 e che “l'espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l'ammontare complessivo
67 Cass. Pen., sez. II, 14 giugno 2006 – 27 settembre 2006, Troso, in CED n. 235128. 68 Cass. Pen., n. 19764/2009.
69 Cass. Pen., Sez. Un., sentenza n. 26654/2008, cit.
dello stesso”70.
Non può, tuttavia, sottacersi un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in relazione all'accertamento quantitativo della quota di profitto conseguita da ciascun concorrente.
Da un lato infatti si ribadisce una limitazione della confisca in capo al singolo, e dall'altro si contesta tale ricostruzione. Così, in alcune pronunce si legge: “in caso di pluralità di indagati, concorrenti nel medesimo reato, il sequestro preventivo funzionale alla confisca, comprese quella per equivalente ai sensi dell'art. 322-ter c.p.p., non può eccedere, per ciascuno dei concorrenti, la misura allo stesso attribuibile”71; in altre si ribadisce che il sequestro preventivo possa essere emesso nei confronti della persona fisica concorrente con una società a responsabilità limitata, pur se il profitto sia stato interamente acquisito dalla società72.
70 Cass. Pen., n. 19764/2009, cit.
71 Cass. Pen., sez. VI, n. 31690/2007. La Corte ha annullato l'ordinanza del Tribunale del Riesame che, nei confronti dell'intermediario nella corruzione in atti giudiziari, aveva confermato il decreto di sequestro dell'intero profitto percepito dal corruttore in conseguenza dell'atto giudiziario illecitamente posto in essere in suo favore anziché limitarsi al solo importo equivalente all'entità dei compensi per l'attività di intermediazione.
72 Cass. Pen., sez. II, 14 giugno 2006 – 27 settembre 2006, Troso, cit. Si esprimono in tal senso, ex plurimis, Cass., sez. V, 20/5/2015, n. 25560; Cass., sez. IV, 07/12/2011, n. 47525; Cass., sez. VI, 26/6/2009, n.2661; Cass., sez. V, 16/01/2004.
6. LA NOZIONE DI PROFITTO ILLECITO.
Una ulteriore implicazione, connessa al riconoscimento della diversa natura delle ipotesi di confisca, riguarda le conseguenze del termine “profitto” che nelle svariate disposizioni è indicato come confiscabile o da confiscare, direttamente o per equivalente.
Mancando una definizione legislativa di “profitto” confiscabile, l'esperienza giurisprudenziale ha evidenziato la variabilità dell'accezione nella quale il termine è stato inteso, a secondo dei diversi casi in cui lo stesso viene in rilievo nel diritto penale, ossia come elemento costitutivo della fattispecie, ovvero come aggravante, o come oggetto di confisca73.
Ne deriva che non può essere data una definizione generale della nozione di profitto, giacché il suo significato deve sempre essere contestualizzato: numerosi sono i tentativi giurisprudenziali, stante la varietà delle accezioni del profitto penale, di precisare il concetto mediante l'uso di coppie oppositive di termini, quali “profitto-lucro”, “profitto-risparmio”, “profitto-utile” o “profitto-vantaggio”. Ad esempio, in una risalente sentenza delle Sezioni Unite74 viene utilizzato il termine “lucro” come equivalente a “profitto”, intendendo quest'ultimo come qualsiasi vantaggio economico conseguente alla commissione del reato. Sembra, dunque, che il termine “vantaggio” si caratterizzerebbe come termine di genere
73
Quando il termine profitto assume la valenza di elemento costitutivo o circostanziale del reato, viene per lo più inteso nel senso generale di “vantaggio non patrimoniale”, ossia come un risultato positivo per l'agente non suscettibile di una valutazione in termini economici. In questo senso si è esplicitato che l'ingiusto profitto si individua in “qualsiasi vantaggio non solo di tipo economico che l'autore intenda conseguire” (Xxxx. Pen., sez. II, n. 29563/2005, in relazione alla fattispecie di estorsione), oppure è stato esemplificato il carattere non patrimoniale del profitto in un “vantaggio personale futuro” rappresentato dal rafforzamento della posizione apicale dell'imputato nell'azienda (Cass. Pen., sez. III, n. 40828/2005). Allo stesso modo, allorché il profitto costituisca oggetto del dolo specifico o elemento del fatto di reato, esso è stato considerato come comprendente non solo gli incrementi patrimoniali positivi ma anche il “risparmio” conseguito. Ciò è stato, ad esempio, ritenuto in casi di reati ambientali relativi alla gestione dei rifiuti in cui il profitto, oggetto del dolo specifico previsto per il reato, è stato ritenuto realizzabile anche nella forma della riduzione di costi aziendali (Cass. Pen., Sez. IV, n. 28158/2007).
74 Cass. Pen., SS.UU., n. 9149/1996.
per riferirsi a vantaggi di carattere sia patrimoniale sia non patrimoniale; mentre i termini “profitto” o “lucro” si caratterizzerebbero come termini di specie per riferirsi a vantaggi esclusivamente patrimoniali.
In un'altra occasione, tuttavia, la Suprema Corte riconosceva che il profitto sarebbe un termine più ampio, tale comprendere perciò vantaggi o benefici anche non patrimoniali, mentre lo scopo di lucro si caratterizzerebbe per richiedere esclusivamente un beneficio patrimoniale75.
La giurisprudenza di merito, invece, pur confermando la maggiore ampiezza del termine “profitto” rispetto a quello di “lucro”, ha ritenuto che il profitto rappresenti in ogni caso un vantaggio patrimoniale, seppure tale vantaggio possa poi dar luogo sia a un lucro (ossia un incremento positivo del patrimonio dell'agente), sia una mancata diminuzione patrimoniale, conseguita attraverso un risparmio76.
Più di recente, invece, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione77 avevano puntualizzato che il profitto, nella sua accezione di oggetto di confisca, va inteso come: “vantaggio di natura economica [ovvero] beneficio aggiunto di tipo patrimoniale …. di diretta derivazione causale dall'attività del reo”.
L'anno successivo le medesime Sezioni Unite della Corte di Cassazione78 erano tornate sull'argomento, precisando che il profitto veniva definito come “utile” ottenuto in seguito alla commissione del reato.
Pur in assenza dell'individuazione di un rigore terminologico, esisteva peraltro una specificità del concetto di “profitto confiscabile”, che risentiva
75 Così Cass. Pen., sez. III, n. 2408/2011, intervenuta per dar conto di una modifica normativa all'art. 171-bis della Legge sul diritto d'autore (in tema di abusiva duplicazione di opere protette) che prevedeva lo scopo di “profitto” al posto del previgente scopo di “lucro”.
76 Pretura di Cagliari, 26 novembre 1996, inedita. La decisione si segnala per la puntualità della sua articolazione: “il termine lucro indica esclusivamente un guadagno patrimoniale ossia un accrescimento patrimoniale consistente nell'acquisizione di uno o più beni; esso non coincide in linea di principio con il termine profitto che ha un significato ben più ampio. Il profitto può implicare sia il lucro: quindi l'accrescimento effettivo della sfera patrimoniale, che la mancata perdita patrimoniale ossia il depauperamento dei beni di un soggetto. In altri termini, nel profitto può rientrare anche la mancata spesa che u soggetto dovrebbe affrontare per ottenere un bene. Il lucro costituisce solo ed esclusivamente l'accrescimento positivo del patrimonio; il profitto anche la sola non diminuzione dello stesso”.
77 Cass. Pen., SS.UU., n. 29951/2004.
78 Cass. Pen., SS.UU., n. 41936/2005.
dell'impostazione tradizionale della dottrina79.
Attraverso il confronto tra i diversi termini contenuti nell'art. 240 c.p., si sono distinti: il prodotto del reato, che rappresenta l'oggetto materiale derivato al reo come conseguenza dell'illecito (ad esempio, l'oggetto falsificato nella falsificazione); il profitto del reato, che costituisce l'utilità economica ricavata dal reato; il prezzo del reato, che rappresenta ilo denaro o l'altra utilità data o promessa quale corrispettivo dell'illecito (cioè l'utilità data al reo perché commetta il reato); il provento del reato, che costituisce ilo termine di genere comprendente sia il prodotto sia il profitto del reato80.
Tale impostazione ha trovato un puntuale eco in giurisprudenza, laddove si afferma che “il prezzo del reato oggetto di confisca obbligatoria ai sensi del secondo comma dell'art. 240 c.p. concerne le cose date o promesse per indurre l'agente a commettere il reato, mentre il provento dello stesso è invece riconducibile alla previsione normativa della confisca delle cose che siano il prodotto o il profitto del reato, contenuta nel primo comma del suddetto art. 240”81 ovvero che “in tema di confisca il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto a sua volta è costituito dal lucro e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo infine rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce quindi un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l'interessato a commettere il reato”82. Questa tradizionale articolazione della distinzione, condotta sulla base del differente trattamento dato a prezzo e profitto del reato, ha evidenziato una netta divaricazione tra accezione economica e accezione penale dello stesso termine. Risulta infatti evidente come il concetto di prezzo in senso penale sia del tutto
79 XXXXXXXXX, La confisca, cit.; VASSALLI, La confisca dei beni, cit.; XXXXXXXXX, Voce Confisca, cit., 40; SALTELLI, Voce Confisca, cit., 791; MASSA, Confisca, cit., 980; SPIZUOCO, Rilievi sulla confisca, cit.; NUVOLONE, Voce Misure di sicurezza e misure di prevenzione, cit., 635; MANZINI, Trattato, cit.; XXXXXXXXXX, Confisca nel diritto penale, cit.
80 Cfr. FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., 815; PULITANÒ, Diritto Penale, cit.
81 Cass. Pen., SS. UU., n, 1811/1992.
82 Cass. Pen., SS.UU., n. 9149/1996.
differente dalla nozione di prezzo in senso economico o civilistico. In tale ultima ipotesi, infatti,83 la somma o l'altra utilità pagata costituisce il “profitto” del reato a struttura negoziale, in quanto ciò che è conseguito dalla conclusione del “contratto” costituente reato è proprio il profitto; mentre il “prezzo” sarebbe costituito solo da quanto fosse stato pagato a uno de4gli interessati per concludere il negozio illecito84.
Le concezioni di prezzo e di profitto del reato sono, peraltro, strettamente connesse al trattamento che ad esse viene riservato nell'art. 240 c.p. in termini di obbligatorietà o facoltatività della confisca.
Infatti, l'assimilazione sotto il profilo della obbligatorietà della confisca tra prezzo del reato (menzionato dall'art. 240, comma 2 n.1 c.p.) e cose intrinsecamente illecite (menzionate nell'art. 240, comma 2 n. 2 c.p.) è resa evidente dalla considerazione che il prezzo è il corrispettivo per la commissione di un reato, e dunque intrinsecamente illecito, in quanto connotato da uno schema negoziale (scambio di denaro contro commissione di un reato) avente causa illecita.
Proprio tale intrinseca illiceità del prezzo così inteso, ha condotto autorevole dottrina a evidenziare come non vi siano margini per valutazioni discrezionali del giudice, mentre tali margini vi sarebbero per il profitto dove ad elementi di illiceità possono sovrapporsi elementi di liceità85.
Tuttavia le accezioni di profitto penale e di prezzo penale hanno assunto significati diversi laddove vengano usati in senso penale ovvero in senso economico. Ne è derivata una concezione del “profitto penale confiscabile” in
83 Si pensi, ad esempio, al caso della cessione di stupefacenti, in cui è incriminato lo scambio di droga contro il pagamento di una somma di denaro.
84 Cass. Pen., Sez. VI, n. 6624/1994, secondo cui “le somme sequestrate all'imputato di spaccio di sostanze stupefacenti e costituenti il corrispettivo della vendita rappresentano …. dal punto di vista penale il “profitto” dell'attività delittuosa e non il “prezzo” del reato. In relazione all'attività di spaccio di droga, infatti, prezzo del reato sono le somme (o le altre utilità economiche) che lo spacciatore riceve da un committente perché si dedichi a tale attività, alienando droga per conto del committente stesso. Costituiscono invece “profitto” le somme che lo spacciatore riceve dai singoli acquirenti della droga”. Analogamente, il provento dell'attività di sfruttamento della prostituzione è considerato profitto e non prezzo del reato: Xxxx. Pen., Sez. III., n. 147/1997.
85 ACQUAROLI, Confisca e tassazione. Proposte di riforma e ipotesi di un modello integrato di disciplina della ricchezza di “origine illecita”, in La riforma del sistema sanzionatorio fiscale, a cura di ACQUAROLI, Macerata, 2007, 167.
senso nettamente differenziato dalla nozione di “profitto in senso economico”, conducendo all'adozione di una nozione di “profitto” penale equivalente a quella di “ricavo” in senso economico. Si è dunque compreso nel profitto confiscabile tutto ciò che si è ricavato, sia esso denaro o altra utilità, in conseguenza della commissione del reato, abbandonando così l'idea che il profitto confiscabile sia da identificare nel “guadagno” economico risultante dall'illecito (inteso come il ricavo del reato meno i costi sostenuti per l'attività illecita)86.
Questo indirizzo risultava originato dall'analisi dei reati contro il patrimonio, fondati su una spoliazione ingiusta della parte offesa (come nel furto, nella rapina, nell'estorsione, o nella ricettazione), o da altri reati in cui la condotta a prestazioni corrispettive non può ritenersi in alcun modo altrimenti tutelata dall'ordinamento (come nel caso della cessione di stupefacenti o dello sfruttamento della prostituzione). Si è quindi assistito al prevalere di una concezione causale del profitto di reato.
Questo contesto è progressivamente mutato innanzitutto per fattori di carattere più tipicamente socio-criminologico, attraverso la progressiva affermazione della criminalità economica in campo imprenditoriale, dove la commistione tra componenti lecite e illecite del profitto era divenuta importante. Inoltre, vi erano anche ragioni prettamente normative, ancorché collegate alla necessità di reagire a tale progressivo avanzamento della criminalità economica.
Alla luce di tali considerazioni, non stupisce che l'ambito in cui si è avuta la più ampia rivisitazione del concetto di profitto confiscabile, sia stato quello della responsabilità degli enti per illeciti dipendenti da reato. Infatti, tale disciplina riguarda tipicamente quei casi di commistione tra attività criminali e attività imprenditoriali lecite, che hanno costituito il punto di crisi della tesi tradizionale in punto di confisca del profitto. Inoltre, il D.Lgs. 231/2001 costituisce un chiaro esempio di previsione di una molteplicità di confische del profitto, strutturate in maniera diversa e tali da venire incontro ad esigenze del tutto differenti. Convivono, infatti, nel medesimo testo normativo istituti indicati con il medesimo termine “confisca” aventi natura molto diversa fra di loro.
86 ALESSANDRI, Confisca nel diritto penale, cit.
In proposito nel 2008 interveniva un'importante decisione delle Sezioni Unite87 chiamata a identificare la natura giuridica della confisca del profitto a carico degli enti per illeciti dipendenti da reato88.
Si è così osservato che la confisca del profitto del reato da cui dipende l'illecito di cui l'ente è responsabile, prevista dagli artt. 9, comma 1 e 19, comma 1 del D.Lgs. citato, oltre ad essere espressamente qualificata come “sanzione” per l'ente, è definita altresì come “principale, obbligatoria e autonoma rispetto alle altre previste nel decreto in esame”. Stessa natura viene poi riconosciuta alla confisca del profitto prevista per l'illecito dipendente dal reato di violazione delle prescrizioni di una interdizione, essendosi affermato che “la confisca … si atteggia …. come sanzione principale nell'art. 23 comma 2”89.
La Suprema Corte rileva, invece, come alla confisca di cui all'art. 6, comma 5 D.Lgs cit., non possa essere attribuita natura sanzionatoria (difettando la responsabilità dell'ente), e neppure una finalità preventiva tipica delle misure di sicurezza (mancando un profilo di intrinseca pericolosità della res oggetto di espropriazione), ma debba invece riconoscersi: “la fisionomia di uno strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato del reato-presupposto, i cui effetti, appunto economici, sono comunque andati a vantaggio dell'ente collettivo, che finirebbe … per conseguire (sia pure incolpevolmente) un profitto geneticamente illecito … tanto vero che, in relazione alla confisca di cui all'art. 6 comma 5 non può disporsi il sequestro preventivo, considerato che a tale norma non fa riferimento l'art. 53 del decreto [la norma che prevede appunto il sequestro preventivo di beni a carico dell'ente a garanzia della futura confisca], che richiama esclusivamente l'art. 19”90.
87 Cass. Pen., SS.UU., n. 26654/2008.
88 Tale decisione ha costituito un vero punto di svolta nella trattazione del tema, tale da spiegare i suoi effetti anche ai casi di confisca del profitto del reato a carico delle persone fisiche. 89 Cass. Pen., SS.UU., n. 26654/2008, cit.
90 Così Cass. Pen., SS.UU., n. 26654/2008, cit. Simile conclusione è presente anche in dottrina, la quale distingue tra sanzioni riparatorie o reintegratrici, volte ad eliminare il danno derivante dall'illecito o il profitto che l'autore ne ha conseguito, e le sanzioni punitive, che rappresentano uno strumento preventivo per la tutela di beni giuridici e presentano un contenuto afflittivo connesso alla sofferenza inflitta tramite la limitazione di un diritto o di un bene giuridico (Cfr. XXXXXXX, I modelli di sanzione patrimoniale nel diritto comparato, in AA.VV., Le sanzioni
In relazione alla confisca di cui all'art. 15, comma 4 riguardante il profitto derivante da gestione commissariale, si riconosce invece la natura di sanzione sostitutiva dell'ablazione coattiva, quale emergente dalla Relazione allo schema del decreto legislativo91. Si è dunque affermato che: “il profitto s'identifica con l'utile netto perché in questo caso la confisca è collegata ad una attività lecita che viene proseguite – sotto il controllo del giudice – da un commissario giudiziale nell'interesse della collettività (garantire un servizio pubblico o di pubblica necessità ovvero i livelli occupazionali) e non può che avere ad oggetto, proprio per il venire meno di ogni nesso causale con l'illecito, la grandezza contabile residuale da assicurare comunque alla sfera statuale, non potendo l'ente beneficiario degli esiti di una attività dalla quale, in luogo dell'applicazione della corrispondente sanzione interdittiva, è stato estromesso92.
Viceversa, nel caso statisticamente più frequente di confisca del profitto del reato ex artt. 9 e 19 D.Lgs. n. 231/2001, trattandosi di sanzione principale ed autonoma, esso viene ritenuto costituito “dal vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato, ovverosia dal complesso dei vantaggi economici tratti dall'illecito e a questo strettamente pertinenti, dovendosi escludere, per dare concreto significato operativo a tale nozione, l'utilizzazione di parametri valutativi di tipo aziendalistico, quali quelli di profitto netto o profitto lordo”93.
Secondo le Sezioni Unite, dunque, a differenziare l'estensione del concetto di profitto sono le sottodistinzioni sulla natura sanzionatoria, accessoria, sostitutiva o principale ed autonoma del concetto di profitto.
A tal proposito, sembra opportuno approfondire come le Sezioni Unite siano pervenute alla conclusione e come siano state investite della relativa questione.
In relazione alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 231/2001, una parte rilevante della
patrimoniali, cit., 35.
91 Cass. Pen., SS.UU., n. 26654/2008, cit. Nella citata Relazione si legge che “la confisca del profitto serve proprio … [a che] l'ente non … [sia] messo nelle condizioni di ricavare un profitto dalla mancata interruzione di una attività che, se non avesse avuto9 ad oggetto un pubblico servizio, sarebbe stata interdetta”.
92 Cass. Pen., SS.UU., n. 26654/2008, cit.
93 Cass. Pen., SS.UU., n. 26654/2008, cit.
dottrina94 aveva affermato che il profitto confiscabile dovesse considerarsi quale “profitto netto”, da intendersi cioè come decurtato dalle “spese lecite” che gravano sull'ente, e ciò sulla base di una molteplicità di ragioni. In primo luogo, in assenza di una precisa scelta legislativa, la nozione di “profitto netto” sarebbe quella che corrisponde alla ratio riequilibratrice posta a base della confisca nel D.Lgs. citato, in quanto istituto diretto ad evitare che dal reato non residuino conseguenze redditizie per l'ente95. Inoltre, la tesi del “profitto netto” sarebbe stata l'unica in grado di rispettare i principi di proporzione e determinatezza e avrebbe evitato che, tramite un concetto così dilatato di profitto, si potesse di fatto pervenire, attraverso la confisca, all'automatico fallimento dell'impresa96.
Ulteriori argomenti a favore di questa tesi venivano poi tratti dalla lettura dell'art. 19 D.Lgs. cit., il quale antepone espressamente alla confisca la tutela dei terzi danneggiati e la tutela dei diritti dei terzi di buona fede, tra i quali i dipendenti dell'ente o i creditori terzi come gli istituti di credito, tutti soggetti che inevitabilmente verrebbero sacrificati adottando la nozione di “profitto lordo” come profitto confiscabile97.
Altri avevano poi sostenuto l'inaccettabilità della deducibilità dei costi, in quanto si sarebbe pervenuti ad una doppia ablazione nei confronti dell'ente, attraverso la confisca e attraverso l'impedimento al recupero delle spese sostenute98.
D'altronde, nello scorso decennio, la teoria del c.d. "profitto netto" ha cominciato a trovare spazio, anche al di fuori dello stretto ambito della responsabilità degli enti, sia nella giurisprudenza di merito99 quanto in quella di legittimità100.
94 Per un panorama sulle diverse tesi sostenute: XXXXXXXX, Commento all'art. 19 D.Lgs. 231/2001, in AA.VV., Responsabilità penale delle persone giuridiche, a cura di GIARDA- XXXXXXX-SPANGHER e VARRASO, Milano, 2007, 178.
95 PELLISSERO, La responsabilità degli enti, in ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, Vol. I, a cura di GROSSO, Milano, 2007, 898.
96 ALESSANDRI, Criminalità economica e confisca, cit., 2153; FORNARI, La confisca del profitto nei confronti dell'ente responsabile di corruzione: profili emblematici, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2005, 83; COMPAGNA, L'interpretazione della nozione di profitto nella confisca per equivalente, in Dir. Pen. Proc., 2007, 12, 1644.
97 ACQUAROLI, Confisca e tassazione, cit., 167.
98 LUGHINI, La manipolazione dei mercati, in Corr. Mer., 2008, 1, 90.
99 Trib. Milano, Sez. riesame, 22 ottobre 2007, est. Bassi, in Corr. Mer., 2008, 84. Per un inquadramento della decisione nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale, x. XXXXXXX, Le
In particolare, quest'ultima ha mostrato aperture alla tesi del profitto netto giacché, in relazione al concetto di "profitto di rilevante entità", presupposto per l'applicazione di misure interdittive nei confronti degli enti, ha diversificato la nozione del profitto, a seconda della diversa valenza giuridica che allo stesso doveva attribuirsi.
In particolare, è stato precisato che la nozione di "profitto di rilevante entità" - richiesta dal legislatore ai fini dell'applicazione di misure cautelari interdittive dell'ente - doveva ritenersi comprendere "anche vantaggi non immediati" e doveva considerarsi più ampia di quella di profitto come "utile netto", da utilizzare per individuare l'entità del profitto che il legislatore intende assoggettare alla confisca- sanzione. Si è, dunque, riconosciuto che la nozione di profitto poteva essere intesa quale "utile netto", quando la nozione doveva essere interpretata per la applicazione della confisca-sanzione, e poteva invece essere intesa come comprensiva di qualsiasi vantaggio patrimoniale, anche non immediato, ricavato dal reato, quando si trattava di interpretare il termine profitto ai fini dell'applicazione di misure cautelari interdittive101.
In presenza di tali rilevanti dubbi interpretativi tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, sono intervenute nel 2008 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione102.
Queste hanno, in sostanza, riaffermato - attraverso un percorso motivazionale di grande spessore critico - la tesi tradizionale legata alla concezione causale del profitto, comprendente tutto ciò che deriva causalmente dal reato.
Ha altresì precisato che il profitto da confiscare dovesse essere determinato in
sanzioni patrimoniali cit., 24.
100 Cass., Pen., sez. VI, n. 44936/2005 ha affermato che la rilevante entità del profitto può essere desunta dal natura e dal volume dell'attività di impresa, non occorrendo la specifica individuazione degli introiti conseguiti e neppure la determinazione degli importi liquidati, costituendo indice sufficiente la partecipazione dell'ente a numerose gare con assegnazione di appalti pubblici, rilevanti avuto riguardo alle caratteristiche e alle dimensioni dell'impresa; Cass. Pen., sez. II, n. 3615/2006, ha affermato che, nel caso di reato presupposto di cui all'art. 640-bis c.p., il profitto è conseguito nel momento in cui il contributo pubblico erogato indebitamente transita sui conti dell'ente, mentre ciò che avviene successivamente è sostanzialmente un post factum che non elide il fatto storico dell'avvenuto conseguimento del profitto.
101 Cass. Pen., sez. VI, n. 32626/2006.
102 Cass. Pen., SS. UU., n. 26654/2008.
concreto e, cioè "al netto dell'effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell'ambito del rapporto sinallagmatico con l'ente".
Inoltre, le citate Sezioni Unite, partendo dalla constatazione che l'istituto della confisca e il concetto di profitto non hanno carattere unitario, né nell'ordinamento penale in generale, né nell'ambito dello stesso X.Xxx. n. 231/2001, hanno, comunque, ritenuto estensibili alla confisca del profitto ex art. 19 D.Lgs. n. 231/2001 gli approdi interpretativi in ordine alla nozione di profitto oggetto di confisca ai sensi dell'art. 240 c.p.103.
Tuttavia le Sezioni Unite hanno rilevato la necessità di restringere la nozione di "profitto di reato" ai soli casi di "attività totalmente illecita" e, per distinguere quest'ultima dall'attività solo parzialmente criminale, hanno recuperato la tradizionale distinzione tra "reato - contratto" e "reato in contratto"104.
Da ciò è derivata l'enunciazione del "principio di diritto" secondo cui il profitto oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001 va individuato nel "vantaggio economico" di "diretta e immediata derivazione causale dal reato" ed è determinato in concreto "al netto dell'effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell'ambito del rapporto sinallagmatico con l'ente".
Con questa decisione, dunque, le Sezioni Unite, utilizzando la citata teoria dei
103 Cfr. la motivazione di Xxxx., SS. UU., n. 26654/2008. Nel senso che anche il "profitto da reato" confiscabile ex art. 19 d.lgs. cit. viene ritenuto dover essere inteso come: "profitto lordo, comprendente tutto ciò che deriva causalmente dal reato e cioè il complesso dei vantaggi economici tratti dall'illecito e a questo strettamente pertinenti con esclusione dell'utilizzazione di parametri valutativi di tipo aziendalistico per dare concreto significato operativo a tale nozione".
104 Il reato-contratto determina una immedesimazione del reato con il negozio giuridico e quest'ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con la conseguenza che il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima. Mentre nel reato in contratto è possibile enucleare aspetti leciti del rapporto valido inter partes, con la conseguenza che il corrispondente profitto tratto dall'agente ben può essere non ricollegabile direttamente alla condotta sanzionata penalmente. La terminologia "reati-contratto" e "reati in contratto" è stata approfondita in particolare da MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, Bologna, 1966, 377; LEONCINI, I rapporti tra contratto, reati-contratto e reati in contratto, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 999; tuttavia per l'individuazione della categoria v. già CARNELUTTI, Teoria generale del reato, Padova, 1953, 33; OPPO, Formazione e nullità dell'assegno bancario, in Riv. dir. comm., 1963, I, 178 (più di recente v. anche MANTOVANI, Diritto penale cit.; GRASSO, Illiceità penale e invalidità del contratto, Milano, 2002; X. XXXXXXXX, Contratto e reato. Interferenza tra disciplina civile e disciplina penale, Milano, Xxxxxxx, 2004.
reati-contratto e reati in contratto, hanno individuato nel contratto il titolo del trasferimento del bene costituente profitto e, in tal modo, hanno potuto affermare che, quando si versa in caso di reato-contratto, il reato travolge il titolo - rectius determina la nullità del contratto - di tal che il trasferimento non è giustificato, il prodotto è xxxxxxxx e, pertanto, deve ritenersi derivare causalmente dal reato. Invece, prosegue la Cassazione, quando si versa in caso di reato in contratto l'illecito non travolge il titolo - rectius non determina la nullità del contratto che, se annullato o rescisso dalla controparte interessata che ne abbia facoltà, produce i suoi effetti - e, quindi, il contratto costituisce valido titolo di trasferimento di beni che, in questo senso, non derivano dal reato e costituiscono pertanto "giusto profitto" non confiscabile.
Nel concreto, le Sezioni Unite, applicando la suddetta distinzione tra reati - contratto a reati in contratto alla truffa aggravata ai danni dell'ente pubblico (che costituiva il presupposto dell'illecito nel caso alle stesse sottoposto), hanno rilevato che il contratto non fosse nullo e, in quanto non annullato dalla controparte interessata, costituiva valido titolo di trasferimento del bene, ciò perché nella truffa il legislatore "non stigmatizza la stipulazione contrattuale, ma esclusivamente il comportamento tenuto, nel corso delle trattative nella fase esecutiva, da una parte in danno dell'altra".
D'altro canto, siffatta conclusione, secondo cui il contratto oggetto di truffa non è nullo ma solo annullabile, è stata affermata anche in altre e successive decisioni della Cassazione anche civile105.
105 Ad es. Cass. Civ., sez. II, n. 13566/2008, ha precisato che "il contratto concluso per effetto di una truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro, non è nullo, ma annullabile, ai sensi dell'art. 1439 c.c. Infatti il dolo costitutivo della truffa (art. 640 c.p.) non è diverso, nè ontologicamente né sotto il profilo intensivo, da quello che vizi il consenso negoziale, atteso che entrambi si risolvono negli artifici o raggiri adoperati dall'agente e diretti a indurre in errore l'altra parte e così viziarne il consenso" (cfr. anche Xxxx. Civ., SS.UU., n. 13682/2001, che ha stabilito non sussistere un rapporto di pregiudizialità tra il giudizio civile avente ad oggetto l'adempimento del contratto e il giudizio penale per xxx xxxxxx relativa alla determinazione dei corrispettivi). Peraltro Cass. Civ., sez. II, n. 6588/1999, ha ritenuto nulla "per mancanza assoluta di causa "una compravendita oggetto di un piano truffaldino volto a conseguire la proprietà del bene senza pagare alcunché come prezzo. Analogamente Cass. Civ., sez. V, n. 25646/2006, ha ritenuto che i prelievi automatici, garantiti dalla sottoscrizione di un programma di investimento rivelatosi una truffa, vanno qualificati ai fini delle imposte sul reddito come risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale, trattandosi di "attribuzioni patrimoniali che, in quanto non
7. ATTIVITÀ ECONOMICA ED IMPUTAZIONE DELLE SUE COMPONENTI.
Va, al riguardo, ricordato che la giurisprudenza tradizionale, aderendo alla concezione causale del profitto, ha sempre richiesto da un lato, un rapporto di pertinenzialità diretta del profitto con il reato - in forza del quale gli importi da confiscare (anche per equivalente) venivano determinati escludendo le maggiorazioni conseguenti ad attività ulteriori e non essenziali alla commissione del reato medesimo, costituenti una conseguenza eventuale o comunque indiretta dell'attività criminosa (quali ad esempio gli importi risultanti da investimenti successivi delle somme in altre attività lecite o i proventi di attività ulteriori estranee alla struttura essenziale del reato)106.
Tuttavia, questa impostazione è stata messa in crisi dalla normativa internazionale107 che ha imposto obblighi di produzione normativa sulla confisca dei proventi illeciti, anche se reinvestiti in altri beni, così da ridurre fortemente quella limitazione garantistica dei beni confiscabili ottenuta dalla giurisprudenza italiana attraverso il requisito della pertinenzialità diretta ed immediata del profitto con il reato.
ricollegabili ad una operazione speculativa i cui risultati finali si siano rivelati sfavorevoli ..., ma ad una vera e propria attività fraudolenta, essendo l'intera operazione riconducibile addirittura ad una ipotesi di reato, costituiscono fin dall'origine un risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale". In generale, in tema di vizi concernenti l'attività negoziale degli enti pubblici, la giurisprudenza civile ritiene che il negozio in tal modo viziato sia annullabile ad esclusiva iniziativa dell'ente pubblico medesimo (Cass. Civ., n. 1688/1978; Cass. civ., n. 1615/1981; Cass. civ., n. 7529/1991).
106 Questa è la xxx xxxxxxx xxx xxxxx xxxxxxxxxxxx xxxxxx: significativa a questo riguardo è ad esempio la fattispecie esaminata da Xxxx. Pen., sez. VI, n. 46780/2003, riguardante un caso di corruzione di funzionari di cancelleria ad opera di avvocati al fine di pilotare l'assegnazione di procedure esecutive a giudici - estranei all'accordo criminoso - maggiormente propensi a liquidare in misura più elevata i compensi legali: in tal caso non sono stati ritenuti costituire profitto del reato i compensi liquidati dai giudici in quanto determinati nell'ambito del potere discrezionale del magistrato e non conseguenza diretta dell'illecito, come tali non soggetti a confisca obbligatoria ai sensi dell'art. 322-ter c.p.
107 Si tratta di normativa estremamente copiosa rappresentata principalmente da: atti normativi internazionali elaborati in base all'allora vigente art. K3 del Trattato sull'Unione europea; atti normativi comunitari (quali la decisione quadro della UE 2005/2012/GAI del 24/02/2005 relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi del reato, il cui art. 31, comma 1 lett. b), n. 1 stabilisce la direttiva secondo la quale per “proventi del reato” devono intendersi il prodotto e il prezzo del reato, nonché il profitto derivato anche indirettamente dal reato o il suo impiego).
La rilevanza interpretativa di tali fonti internazionali ha portato quindi a un vero e proprio “revirement” giurisprudenziale, con una pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite, nella quale viene considerato come “profitto del reato” anche il bene (immobile) acquistato con il denaro conseguito dall'imputato attraverso il reato di concussione108. In tal senso si è poi circoscritta la nozione di “profitto trasformato” attraverso la richiesta di ben precisi requisiti: collegamento del bene con il reato e con il profitto immediato da questo conseguito; attribuibilità soggettiva del bene all'autore del reato che quella trasformazione abbia voluto; certezza della trasformazione ed esatta corrispondenza di valori.
Nell'ottica della imputazione delle componenti economiche al fatto illecito, risulta di estremo interesse una ulteriore decisione109 nella quale, in una fattispecie di corruzione – diretta a favorire l'acquisto da parte di una fondazione di diritto pubblico di un immobile di proprietà della persona giuridica ad un valore superiore a quello effettivo – si è ritenuto che il profitto da sequestrare a garanzia della futura confisca fosse stato correttamente determinato nella differenza tra il prezzo pagato all'ente e il valore effettivo dell'immobile venduto.
8. LA TUTELA DEI TERZI NELLA CONFISCA:QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO.
Nel nostro ordinamento la tutela del terzo rispetto alla confisca è, in via generale, disciplinata nei commi 3 e 4 dell'art. 240 c.p.110.
108 Cass. Pen., SS.UU., n. 10208/2008. Tale decisione è stata peraltro interpretata da una successiva sentenza delle Sezioni Unite (Xxxx. Pen. SS. UU., n. 26654/2008 cit.) come una riaffermazione del principio della derivazione immediata e diretta del profitto del reato, seppure con le estensioni necessarie per rendere inopponibili le attività sostitutive del bene, realizzate dall'autore del reato.
109 Cass. Pen., sez. VI, n. 46215/2009.
110 Recitano i commi 3 e 4 dell'art. 240 c.p.:“Le disposizioni della prima parte e dei numeri 1 e 1 bis del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato. La disposizione del numero 1-bis del capoverso precedente si applica anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale. La disposizione del numero 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.”
Non è mancato chi ha sollevato dubbi111 in riferimento alle “disposizioni della prima parte” contenuta nel comma 3, giacché nel proseguo dell'enunciato non si menziona mai l'articolo, bensì solo il capoverso. Da ciò si potrebbe ritenere che la formula del comma 3 richiami la prima parte non dell'articolo, ma del capoverso precedente (“è sempre ordinata la confisca”) e, quindi, il n. 1 dello stesso capoverso (vale a dire “il prezzo del reato”). Ne deriverebbe che la tutela della persona estranea al reato sia perciò espressamente stabilita solo per la sola misura di sicurezza della confisca obbligatoria, giacché – nonostante il legislatore abbia formulato in generale una valutazione di preponderanza dell'interesse della collettività alla confisca – vi sarebbe comunque un limite ontologico insuperabile dato dalla appartenenza del bene al terzo.112
Numerose sono le disposizioni, codicistiche o contenute in leggi speciali, che, in materia di confisca, tutelano la posizione dei terzi estranei alo reato.
Talune di tali disposizioni si limitano a ribadire che la confisca obbligatoria operi salvo che il bene appartenga a persona estranea al reato: pertanto considerata la natura meramente ripetitiva della disposizione generale contenuta nell'art. 240, commi 3 e 4, simili norme sono da considerare quali espressione del principio generale di salvaguardia dei beni a persone estranee al reato. In tal senso, possono senz'altro citarsi l'art. 322-ter, commi 1 e 2, c.p., che prevede la confisca obbligatoria dei beni che costituiscono profitto o il prezzo dei reati contro la pubblica amministrazione di cui agli artt. da 314 a 320 c.p., “salvo che appartengano a persona estranea al reato”; l'art. 544-sexies c.p., che prevede la confisca dell'animale oggetto di reati contro il sentimento per gli animali “salvo che appartenga a persona estranea al reato”; l'art. 640-quater c.p., che richiama la disposizione dell'art. 322-ter cit., secondo cui viene fatta salva l'appartenenza del bene a persona estranea al reato, per l'ipotesi di confisca obbligatoria del profitto o del prezzo dei reati di cui agli artt. 640, comma 2, n. 1 (truffa aggravata ai danni di enti pubblici), 640-bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) e 640-ter, comma 2, c.p. (frode informatica aggravata); l'art.
111 ROMANO – GRASSO -PADOVANI, cit..
112 AA.VV., Codice penale commentato, a cura di XXXXXXX e XXXXXXXXX, II ed., Milano, 2006, 1809.
648-quater c.p., che prevede la confisca del prodotto o del profitto dei reati di cui agli artt. 648-bis (riciclaggio) e 648-ter (impiego di denaro di provenienza illecita) c.p., “salvo che appartengano a persone estranee al reato”; l'art. 2641 c.c. in tema di confisca relativa ai reati societari, che richiama in quanto compatibile l'art. 240
c.p. e , quindi, anche le disposizioni sulla tutela della persona estranea al reato, l'art. 12, comma 5-bis, D.Lgs. n. 286/1998, che prevede la confisca dell'immobile destinato ad alloggiare (al fine di trarre ingiusto profitto) immigrati clandestini “salvo che appartenga a persona estranea al reato”; gli artt. 186, commi 2 e 7 e 187, comma 1-bis del Codice della strada, che prevedono la confisca obbligatoria del veicolo “salvo che appartenga a persona estranea al reato”.
Vi sono, poi, norme che non risultano meramente ripetitive della formula contenuta nella disposizione generale di cui all'art. 240 c.p., ma che limitano ulteriormente la tutela del terzo113 ovvero intendono disciplinarla in modo più articolato114.
Sotto il profilo della maggiore limitazione dei diritti del terzo, conviene osservare che l'art. 301 D.P.R. n. 43/1973 prevede la confisca obbligatoria anche delle cose utilizzate o destinate alla commissione del delitto di contrabbando o di quelle che ne costituiscono l'oggetto, il prodotto o il profitto, facendo salvi solo i mezzi di trasporto fraudolento della merce di contrabbando.
Tale formulazione ha visto l'intervento di ben tre successive pronunce della Corte Costituzionale: le prime due115 hanno dichiarato la disposizione illegittima laddove la confisca era ordinata senza l'imputabilità del difetto di vigilanza da parte del terzo ovvero senza che fosse giudizialmente accertata l'illegittima sottrazione a terzi delle cose oggetto del reato di contrabbando.
Successivamente, dopo le modifiche sulla disposizione operate dalla L. n. 413/91, la norma veniva nuovamente dichiarata illegittima nella parte in cui non consentiva alle persone estranee al reato di provare di avere acquistato la proprietà
113 Si veda la previsione dell'art. 301, D.P.R. n. 43/1973 sulla confisca in materia di contrabbando.
114 Sono i casi di cui agli artt. 660-septies e 644, comma 6, c.p., per la confisca relativa ai reati contro la personalità individuale e al reato di usura, e dell'art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 231/2001, sulla confisca in materia di illecito dipendente da reato a carico degli enti.
115 Corte Cost., n. 229/1974 e Corte Cost. n. 256/1976.
delle cose ignorando senza colpa l'illecita immissione sul mercato116.
Altre disposizioni ricorrono a formulazioni linguistiche diverse da quella della “appartenenza del bene a persona estranea al reato”: ad esempio l'art. 600- septies c.p. in materia di confisca relativa a delitti contro la personalità individuale, nonché l'art. 644, comma 6, c.p. in materia di usura che fanno, entrambi “salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni”.
Come è agevole desumere, il diritto alle restituzioni e il diritto al risarcimento del danno risultano essere distinti: mentre la restituzione impedisce che la confisca possa privare il terzo del bene che gli sia stato sottratto con il reato, la previsione che la confisca non possa pregiudicare le pretese risarcitorie dei danni subiti per effetto del reato dimostra come non possa privarsi il terzo di quelle componenti del patrimonio dell'autore del reato che sono necessarie per risarcire il danno.
Xxxxxx disposizioni pongono due ordini di problemi, che verranno in seguito esaminati. Il primo, è relativo alla forma in cui dare tutela a tali diritti; il secondo, è dato dalla portata loro riconoscibile al di là dei casi espressamente previsti. In altri termini, occorre stabilire in particolare se, stante la peculiare tutela riferita alle speciali ipotesi di confisca previste nelle predette disposizioni, esprimano o meno il principio generale dell'ordinamento relativo alla tutela della persona offesa in caso di confisca di beni, da riconoscersi quindi anche nei casi in cui non soccorra una espressa previsione legislativa.
Questo breve excursus normativo, quale risultante anche dagli interventi della Corte Costituzionale, evidenzia che il ricorso al concetto giuridico di “persona estranea al reato” rappresenta una delle molteplici tecniche per delimitare la tutela dei terzi rispetto alla confisca. Avremo, così, una tecnica di tipo soggettivo che richiede determinate caratteristiche del soggetto per l'attribuibilità della qualifica di terzo degno di tutela rispetto alla confisca (ad esempio, la c.d. buona fede). Vi sono poi tecniche di tipo oggettivo, che riguardano la natura dei beni oggetto di confisca ovvero la natura dei diritti vantati sul bene.
In particolare, possono individuarsi determinati tipi di beni rispetto ai quali la
116 Corte Cost., n. 1/1997.
tutela del terzo opera in modo più o meno ampio ovvero non opera affatto. Basti pensare, accanto ai beni intrinsecamente illeciti (rispetto ai quali non opera alcuna tutela del terzo), a categorie di res idonee ad essere considerate meritevoli di una maggior tutela per un concorrente interesse della collettività o di soggetti deboli (come nel caso di aziende o imprese, rispetto alla garanzia occupazionale o allo svolgimento di servizi pubblici o di pubblica utilità). Si rinviene, cioè, la previsione di particolari modalità esecutive della confisca, che consentono di tutelare questi interessi, ovvero limitare la tutela solo per chi vanti diritti di una determinata natura sul bene oggetto di confisca (reali di godimento, reali di garanza, di credito).
La presente analisi, dunque, avrà ad oggetto i concetti di cose “intrinsecamente illecite”, di “appartenenza” del bene e di “persona estranea al reato”, al fine di delimitare l'ambito della tutela accordata al terzo, passando ad esaminare in quali forme tale tutela sia attuata.
9. (SEGUE). LE COSE INTRINSECAMENTE ILLECITE O PERICOLOSE.
Come già sopra evidenziato, è una costante nella disciplina delle diverse forme di confisca l’esigenza di tutelare le ragioni di soggetti terzi, estranei alle attività incriminate, titolari del bene oggetto della misura ablatoria. Emerge, infatti, l’esigenza di bilanciare l’interesse dello Stato di spoliare il reo dei beni di provenienza illecita con quello di non pregiudicare i terzi in buona fede, legittimi titolari di diritti su beni potenzialmente confiscabili117.
Una prima eccezione alla tutela del terzo riguarda la confisca avente ad oggetto cose intrinsecamente illecite e pericolose ovvero le cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione costituisce reato, salvo siano consentiti mediante autorizzazione amministrativa (art. 240, comma 4, c.p.).
117 Per un’ampia disamina della tutela del terzo nelle diverse forme di confisca si veda X. XXXXXXX – X. XXXXXX, Coordinate ermeneutiche di Diritto Penale, terza edizione, Torino, 2017.
Come sottolineato dalla migliore dottrina118, dalla norma in oggetto si ricavano due principi generali: innanzitutto, il riconoscimento del potere del giudice di restituire (dunque, di non confiscare) il bene appartenente al terzo se le attività di cui sopra possono essere autorizzate; inoltre, qualora dette attività non possano essere autorizzate, che il bene anche se appartenente al terzo soggiace in ogni caso alla confisca obbligatoria. La circostanza che la fabbricazione, la detenzione, l’uso di determinati beni o categorie di beni non possano essere autorizzati significa che nessuno può produrre o usare questi beni e per questo si parla di beni intrinsecamente pericolosi.
Da ciò ne discendono due corollari.
Innanzitutto, il concetto di “confisca obbligatoria” non postula o presuppone necessariamente quello di “cosa intrinsecamente pericolosa”, perciò la previsione normativa di una ipotesi di confisca obbligatoria non impedisce di per sé e in assoluto la possibilità di poter restituire il bene al terzo e, dunque, la possibilità di una tutela del terzo anche di fronte a questo tipo di confisca.
Inoltre, ciò significa che la “pericolosità intrinseca” di un bene non è una qualità naturalistica – ontologica della cosa, ma è il frutto di una valutazione prettamente giuridica che involge la previsione già effettuata dal legislatore di qualificare come reato quelle attività di utilizzo, detenzione, commercializzazione di un dato bene. In altri termini, vige un divieto penale assoluto imposto dalla legge (in questo senso vi è un’impossibilità di ottenere una autorizzazione) che riguarda tutti i consociati119. Quest’ultima implicazione offre la chiave ermeneutica per precisare la peculiarità dei beni che devono essere necessariamente confiscati anche se appartenenti a terzi, nonché permette di risolvere quei casi in cui una norma speciale si limiti a prevedere l’obbligatorietà della confisca, eventualmente richiamando l’art. 240, comma 2, c.p. Infatti, di fronte alla questione se il richiamo alla disposizione generale di cui all’art. 240 cit. sia effettuato ai soli fini di estendere il regime di obbligatorietà della confisca o anche per includere il bene oggetto della misura nella categoria dei beni intrinsecamente pericolosi,
118 Sul punto funditus T.E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti, Cedam, Ed. 2011, pag. 147 e ss.
119 Ad esempio, la detenzione di un’arma abrasa.
occorre accertare in diritto se esista un divieto penale assoluto di produzione, detenzione o uso di quel bene: in assenza di tale divieto, il richiamo all’art. 240, comma 2, c.p. non può che essere limitato alla mera estensione del regime di obbligatorietà ivi previsto120.
Tale conclusione risulta avallata dal fatto che il legislatore ha dimostrato di ritenere compatibile il richiamo effettuato da una norma speciale, contenente l’ipotesi di una confisca obbligatoria, all’art. 240, comma 2, c.p. con la tutela del terzo estraneo al reato. In questo senso può essere citata la disposizione di cui all’art. 186, commi 2 e 7, Codice della Strada, il quale pur prevedendo una ipotesi di confisca obbligatoria del veicolo ai sensi dell’art. 240, comma, 2 c.p. (questo prima della nota sentenza della Corte Costituzionale nr. 196/2010121), fa salvo il caso che lo stesso appartenga a persona estranea al reato: la giurisprudenza ha affermato, infatti, che il veicolo non è per natura un bene intrinsecamente pericoloso da non poter restare in circolazione a prescindere dal soggetto che ne aveva la disponibilità, ma è una res da considerarsi pericolosa solo in relazione a
120 In questi termini, T.E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti, op. cit, pag. 147.
121 La Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale degli artt. 200 e 236 c.p. e 186 II co. Lett. c) e 187 I co. ultimo periodo del nuovo Codice della Strada, come modificati dall’art. 4 I co. Lett. b) e II co. Lett. b) d.l. nr. 92/2008 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica) conv. In legge nr. 125/2008, con sentenza 4 agosto 2010, nr. 196 (dunque prima dell’intervento della Legge nr. 120/2010), ha risolto in linea con la sua precedente pronuncia nr. 97/2009 la questione relativa alla natura giuridica della confisca affermandone il carattere di misura sanzionatoria e non di misura di sicurezza. In particolare la questione posta dal giudice a quo riguardava l’effetto che il riferimento all’art. 240 c.p. operato dall’art. 4 I co. Lett. b) d.l. nr. 92/2008 (“ è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell’art. 240, comma 2,
c.p. salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato”) , in caso di condanna per i reati di guida in stato di ebbrezza o di alterazione da uso di sostanze stupefacenti, avrebbe determinato nel rendere operativa la citata previsione di cui all’art. 200, I co., c.p. (cui rinvia a sua volta l’art. 236, II co., c.p.) così consentendo l’applicazione retroattivo della misura anche a reati commessi prima dell’innovazione legislativa stessa. La Consulta argomentando sulla possibilità di disporre la misura “anche quando il veicolo dovesse risultare incidentato e temporaneamente inutilizzabile” (dunque senza attuale pericolosità oggettiva) e dalla considerazione per cui l’apposizione del vincolo “non impedisce in sé l’impiego di altri mezzi da parte dell’imputato” ( dunque non assolvendo realmente ad una esigenza preventiva), ha concluso nel senso della natura sostanzialmente punitiva della confisca in esame e, conseguentemente, per l’illegittimità costituzionale del novellato testo dell’art. 186, co. II, lett.
c) CdS limitatamente alle parole “ai sensi dell’art. 240, secondo comma, c.p.” (causa dell’applicazione retroattiva sfavorevole della misura) con il dichiarato intento di rendere la previsione stessa compatibile con gli artt. 117 Cost. e 7 CEDU.
quel soggetto trovato in stato di ebbrezza122.
Inoltre, la dottrina123 sostiene, più in generale, che la mera previsione di obbligatorietà della confisca, anche qualora non sussista una esplicita previsione normativa che faccia salvi i beni di terzi estranei al reato, non permette solo per questo di ritenere automaticamente operante una presunzione assoluta di pericolosità del bene, perché appunto, come sopra rilevato, una tale pericolosità può essere riconosciuta solo ove si rinvenga un divieto penale assoluto di produzione, detenzione o uso di quel bene: in altri termini, solo in presenza di un simile divieto (e non per la sola previsione dell’obbligatorietà della confisca) può negarsi tutela al terzo, mentre il fatto che il bene appartenga al terzo può risultare idoneo ad interrompere il nesso di strumentalità della cosa con l’autore del reato, necessario a sostenere la confisca seppur obbligatoria ma laddove non sussista un divieto assoluto di uso del bene124.
Alla luce di quanto sopra affermato, la dottrina prevalente, dunque, conclude nel senso che quando la confisca obbligatoria riguarda un bene oggetto di divieto penale assoluto la previsione contenga un implicito riconoscimento di pericolosità
122 Al riguardo Xxxx. Pen., Sez. IV, 30 marzo 2009, mr. 13831: “è rispondente alla ratio legis interpretare il richiamo contenuto nell’art. 186 al secondo comma dell’art. 240 c.p. non come riferimento alla natura e alle caratteristiche delle cose ivi elencate, bensì nel senso della previsione della obbligatorietà della confisca per il veicolo condotto da soggetto in stato di ebbrezza (…): il veicolo non è ex sé una res tale da non poter restare in circolazione prescindendo dal soggetto che ne aveva la disponibilità e dall’esito del giudizio, ma una resa da considerarsi pericolosa solo in relazione a quel soggetto trovato in grave stato di ebbrezza (…)”. Si veda anche Xxxx. Pen., S.U., 17 aprile 2012, nr. 14484 sulla confisca del veicolo oggetto di un contratto di leasing ove si afferma il principio di diritto secondo il quale “non è confiscabile la vettura condotta in stato di ebbrezza dall’autore del reato, utilizzatore del veicolo in relazione a contratto di leasing, se il concedente, proprietario del mezzo, sia estraneo al reato”. Per un’ampia disamina della confisca nel Codice della Strada si veda X. Xxxxxxxx, Manuale di Diritto Penale – Parte Generale, Ed. 2017/2018, Roma, pag. 1438 e ss.
123 Xxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxx, La confisca nel diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti, op. cit. pag. 148.
124 Cfr. Cass. Pen. Sez. II, 11 marzo 2005, Xx Xxxxxxxx, xx. 0000, xx XXX xx. 000000: in ordina all’applicazione della disposizione di cui all’art. 416 bis, comma 7, c.p. che prevede la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere di associazione di tipo mafioso, ovvero delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o ne costituiscono l’impiego. Ancora Cass. Pen., Sez. V, 19 luglio 2007, PM in c. Magiste International S.A., nr. 28944, in Ced nr. 240155: in relazione alla confisca obbligatoria ex art. 187 D.Lgs nr. 58/1998 di beni strumentali alla commissione del reato di manipolazione del mercato, confisca in relazione alla quale ancora una volta il legislatore, pur configurandola come obbligatoria, fa espressamente salva l’appartenenza del bene a persona estranea al reato, appunto in tale decisione si dà rilievo alle più ridotte implicazioni desumibili dalla mera previsione di obbligatorietà della confisca.
in sé della cosa, mentre la mera previsione di obbligatorietà della confisca può essere configurata in diversi modi, soprattutto come sanzione o come misura di sicurezza. La “confisca come sanzione” non può colpire il terzo estraneo al reato pena la violazione del principio di personalità della responsabilità penale ex art.
27 Cost. e art. 4 CEDU; “come misura di sicurezza” la previsione di obbligatorietà della confisca comporta soltanto la presunzione legale della pericolosità del rapporto reo/cosa. Tuttavia, poiché la pericolosità della cosa è in re ipsa solo quando il bene sia oggetto di un divieto penale assoluto, negli altri casi occorrerà sempre accertare il nesso della cosa con il reo, in presenza del quale scatta la presunzione di pericolosità connessa all’obbligatorietà della confisca.
Chiarita la questione nei termini di cui sopra, può essere affrontato infine il problema relativo alle cose oggetto non di un divieto penale assoluto, ma soltanto relativo, cioè alle cose la cui produzione, detenzione e uso possono essere autorizzate. Ci si è chiesti, infatti, se per valutare i requisiti di illiceità della cosa debba aversi riguardo al momento in cui è stato commesso il reato, a quello della confisca ovvero alle caratteristiche che le cose potrebbero acquisire per effetto di modifiche o adattamenti, ancora ci si è chiesti se la sussistenza dell’autorizzazione debba essere valutata in concreto o in astratto e se debba essere valutata al momento di perpetrazione dell’illecito o di applicazione della confisca.
Alla luce della ricostruzione sopra effettuata, si può affermare, richiamando al riguardo autorevole dottrina125, che la previsione di una confisca obbligatoria preclude in radice ogni valutazione sulla posizione del terzo se vi è un divieto penale assoluto nei termini sopra chiariti, e quindi l’impossibilità astratta di ogni autorizzazione; invece, la sussistenza della possibilità astratta di restituzione al terzo (astratta autorizzabilità delle attività di produzione, detenzione e uso del bene) impone di valutare finalità della confisca e posizione del terzo. Nella prospettiva del terzo di poter ottenere la restituzione del bene ciò che rileva è poi che l’autorizzazione sia stata in concreto rilasciata, almeno nel momento in cui il
125 T.E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti, op. cit., pag. 152.
problema della restituzione di pone, cioè quello della decisione sulla confisca ovvero sulla restituzione del bene. Pertanto, quando l’art. 240, comma 4, c.p. usa la formula “possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa” esso postula che ove la possibilità astratta di tale autorizzazione sussista da un punto di vista normativo non vi è la preclusione di valutare la posizione del terzo, occorrerà poi verificare in concreto se essa sia stata rilasciata, insieme a tutti gli altri elementi necessari per riconoscere la tutela effettiva dello stesso (titolarità del bene, tipo di diritto fatto valere, la sua posizione rispetto al reato, la sua buona fede) al fine di verificare se il terzo abbia davvero diritto ad essere salvaguardato dalla confisca126.
In conclusione, alla luce delle considerazioni sopra svolte, si può affermare come sia pacifico in dottrina e in giurisprudenza il dato che l’appartenenza del bene alla categoria delle cose intrinsecamente pericolose o illecite in modo assoluto impedisce qualsiasi tutela del terzo di fronte a qualsiasi forma di confisca.
10. (SEGUE). LA NOZIONE DI APPARTENZA DEL BENE E IL CONCETTO DI ESTRANEITA’ AL REATO.
Fuori dalla fattispecie sopra ricostruita ovvero quella di confisca di beni intrinsecamente illeciti o pericolosi, può allora effettivamente porsi un problema di tutela del terzo.
L’art. 240 c.p. subordina questa tutela a due requisiti: l’“appartenenza” del bene
126 Cfr. T.E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema della responsabilità degli enti, op. cit., pag. 154: l’Autore mette in rilievo come ciò che si pone in questi casi è solo un problema di onere probatorio e di regole di decisone, da risolvere secondo gli usuali criteri in materia di prova di fatti negativi, vale a dire prova positiva del fatto contrario e prove presuntiva del fatto negativo: posto che l’autorizzazione rappresenta giuridicamente la rimozione ad un ostacolo generale valido per tutti, cui si fa eccezione per il soggetto che ne beneficia, una volta che risulti che la produzione, detenzione e uso del bene costituisce reato e che non risulti acquisita alcuna autorizzazione in base agli accertamenti compiuti, incombe su chi pretenda di ottenere la disponibilità del bene il rischio per la mancata prova della rimozione, ottenuta in concreto mediante l’autorizzazione, dell’ostacolo generale posto in proposito dalla norma che preveda in genere come reato le attività di cui sopra. Ciò risponde, secondo l’Autore, anche a criteri di efficienza probatoria concreta, essendo evidente che chi ha ottenuto l’autorizzazione e sulla base di questo rivendichi il bene, sia il soggetto che meglio può essere a conoscenza e dimostrare detta circostanza.
al terzo e che lo stesso sia persona “estranea” al reato.
Appare, dunque, opportuno spiegare funditus i suddetti requisiti che sono stati invero oggetto di notevoli approfondimenti dottrinali e giurisprudenziali, data la rilevanza non solo teorica ma di rilievo applicativo nell’ambito dell’istituto in esame, dipendendo da essi la maggiore o minore ampiezza dell’ambito di tutela dei terzi.
Con riferimento al concetto di “appartenenza” del bene, l’attenzione della dottrina si è fin da subito concentrata sull’estensione interpretativa di detto concetto nel senso se esso facesse riferimento al solo diritto di proprietà o comprendesse anche i diritti reali di godimento o di garanzia. Al riguardo si sono sviluppati due orientamenti: un primo incline a sostenere una accezione lata di appartenenza, comprensiva sia del diritto di proprietà che dei diritti reali, di qui l’impossibilità di sottoporre a confisca il bene gravato da un diritto reale almeno sino al soddisfacimento della garanzia per la quale il diritto era stato costituito; un secondo orientamento più propenso verso un’accezione ristretta di appartenenza limitata al solo diritto di proprietà, ma con la precisazione che lo Stato acquisirebbe la proprietà del bene con gli stessi limiti dell’originario titolare, con conseguente obbligo di rispettare i diritti reali gravanti sul bene.
La giurisprudenza assolutamente prevalente aderisce ad una interpretazione lata del concetto di appartenenza del bene, o meglio - come evidenziato da taluni Autori127 - la medesima in realtà tende ad escludere che l’applicazione della confisca possa determinare l’estinzione dell’altrui diritto reale considerando questo una forma di appartenenza della cosa cui inerisce il c.d. diritto di seguito: su questa posizione si attesta la nota sentenza a S.U. Bacherotti128, i cui principi di
127 T.E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema della responsabilità degli enti, op. cit. pag. 156 e 157.
128 Cass. S.U, 8 giugno 1999, nr. 9 Bacherotti, in CED nr. 21351, la quale ha ritenuto che “l’applicazione della confisca non determina l’estinzione del preesistente diritto di pegno costituito a favore di terzi sulle cose che ne sono oggetto quando costoro, avendo tratto oggettivamente vantaggio dall’altrui attività criminosa, riescano a provare di trovarsi in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole. In siffatta ipotesi, la custodia, l’amministrazione e la vendita delle cose pignorate devono essere compiute dall’ufficiale giudiziario e il giudice dell’esecuzione deve assicurare che il creditore pignoratizio possa esercitare il diritto di prelazione sulle somme ricavate dalla vendita”.
diritto sono stati richiamati anche dalle pronunce giurisprudenziali più recenti129. Il profilo più problematico è emerso tuttavia con riferimento alla natura dell’acquisto del bene per effetto della confisca. Posto, infatti, che il trasferimento del diritto si realizza autoritativamente, si potrebbe essere indotti a qualificare – come in effetti qualche Autore ha proposto – come “originario” detto titolo di acquisto. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti optano invece per la soluzione opposta, affermando che trattandosi pur sempre del trasferimento di un diritto, questo come tale non può avere ad oggetto un diritto diverso da quello che faceva capo al suo precedente titolare. Al riguardo, appare opportuno richiamare ancora una volta la sentenza Bacherotti cit. dalla quale emerge chiaramente come la giurisprudenza colleghi l’opponibilità dei diritti reali sul bene alla funzione attribuita alla confisca, nel senso che, se la medesima avesse quale scopo principale ed immediato l’acquisizione del bene al patrimonio dello Stato, allora si potrebbe ipotizzare una inopponibilità dei diritti dei terzi allo Stato, con conseguente sacrificio dei medesimi, ma se la funzione è preventiva in quanto volta ad interrompere la relazione del bene stesso con l’autore del reato e di sottrarlo alla sua sfera di disponibilità, allora andrebbe riconosciuto che l’acquisizione del bene allo Stato è una conseguenza della sottrazione e non già l’obiettivo primario della confisca, il cui fine principale sarebbe soltanto la spoliazione del reo nei diritti che egli ha sulla cosa, mentre l’acquisto di tali diritti da parte dello Stato costituirebbe soltanto una conseguenza di tale spoliazione.
Orbene, tracciati i profili e l’ambito del concetto di appartenenza, occorre spostare l’attenzione sull’ulteriore requisito richiesto dall’art. 240 c.p. ai fini della tutela del terzo ovvero l’“estraneità” della persona al reato.
Preme subito evidenziare come il concetto di estraneità debba essere inteso – ovvero così opta l’orientamento prevalente – in una “accezione sostanziale” e non meramente formale: questo significa che l’estraneità riguarda il “reato” e non il “procedimento” relativo a questo reato. Con maggior impegno esplicativo, il fatto
129 Vedi S.U., 25 settembre 2014, nr. 11170/2015 Uniland s.p.a.: intervenute su alcune articolate questioni relative ai limiti di opponibilità della confisca e ai rapporti tra sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente prevista dal D.Lgs 8 giugno 2001, nr. 231 e procedura fallimentare.
di non essere imputato nel procedimento in cui viene disposta la confisca non è elemento sufficiente a qualificare il soggetto come “estraneo al reato”. Tale conclusione si basa oltre che su un’interpretazione letterale della norma (infatti, l’art. 240 cit. collega espressamente l’estraneità al reato e non al procedimento), anche sulla stessa ratio di tutela del terzo, il quale può essere considerato meritevole di tutela di fronte alla confisca in quanto non sussista quel rapporto tra la res ed il reato o il suo autore che rappresenta la ragione giustificativa del provvedimento ablatorio. Inoltre, spiega la dottrina130, il concetto di estraneità va inteso in senso “attivo”, con ciò volendo significare non solo che nel novero dei soggetti estranei al reato deve essere ricompresa la persona offesa, la quale risulta solo passivamente coinvolta nel reato e, dunque, particolarmente degna di attenzione ai fini della tutela, ma anche che la caratteristica essenziale di detto concetto sta proprio nella mancanza di qualsiasi collegamento diretto o indiretto con la consumazione del fatto criminoso ovvero nell’assenza di ogni contributo di partecipazione o di concorso, ancorché non punibile.
Tale requisito minimo di assenza di qualsiasi coinvolgimento o contributo attivo al reato, che deve connotare la persona estranea, tuttavia non delinea ancora esattamente la consistenza del concetto di estraneità, poiché questo richiede altresì l’assenza in capo al terzo di qualsiasi tipo di “vantaggio o utilità derivanti dal reato”131.
Tale ultimo elemento caratterizzante il concetto di estraneità è stato in qualche misura precisato e limitato da parte della giurisprudenza costituzionale e di legittimità. Xx invero, la Corte Costituzionale, dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 301 D.P.R. nr. 43/1973 nella parte in cui prevedeva il sacrificio del diritto dei terzi sulle cose utilizzate da altri per il contrabbando, ancorché ai primi non fosse imputabile alcun “difetto di vigilanza”, ha affermato come il proprietario della cosa sottoposta a confisca obbligatoria, se estraneo al reato e indenne da
130 In questo senso si esprime T. E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema della responsabilità degli enti, op. cit. pag. 160.
131 La giurisprudenza costituzionale ha ritenuto salvaguardata dalla confisca solo la posizione del terzo che non si sia in alcun modo avvantaggiato dalla commissione del reato: cfr. Corte Cost. 19 gennaio 1987, nr. 2.
colpa, finisce per essere colpito a titolo di responsabilità oggettiva, con conseguente violazione dell’art. 27, comma 1, Cost., mentre la posizione del terzo incolpevole è da ritenere protetta dal principio della tutela dell’affidamento incolpevole che permea ogni ambito dell’ordimento giudico132.
Così, anche la giurisprudenza di legittimità133, in ossequio al principio di colpevolezza ex art. 27 Cost. e ai dettami della Corte Costituzionale, pur riconoscendo di non poter privilegiare la tutela del terzo quando costui abbia tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa, ha tuttavia precisato che il concetto di estraneità al reato può essere individuato anche in presenza dell’elemento oggettivo costituito dalla derivazione di un vantaggio dall’altrui condotta criminosa, purché sussista l’elemento soggettivo della buona fede in capo al terzo, buona fede che consiste nella “non conoscibilità – con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – del predetto rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato”134. Dunque, al fine di assicurare una interpretazione conforme ai principi costituzionali, la giurisprudenza ha individuato nella buona fede del terzo (da intendersi quale affidamento incolpevole) il requisito che consente a questo di essere tutelato dalla confisca quando, pur essendosi egli oggettivamente avvantaggiato dell’illecito da altri commesso, non gli possa però essere mosso alcun rimprovero nemmeno a titolo di colpa per la condotta da esso tenuta.
Pertanto, volendo in conclusione fare il punto sullo stato dell’arte in ordine alla tutela del terzo estraneo al reato, si può evidenziare come sul tema la giurisprudenza si attesti sui seguenti principi:
- il terzo estraneo al reato è la persona che non solo non abbia partecipato alla commissione del reato, ma che da esso non abbia ricavato vantaggi ed
132 Cfr. Xxxxx Xxxx., 00 luglio 1974, nr. 229; Xxxxx Xxxx. 00 dicembre 1976, nr. 259; Xxxxx Xxxx., 00 gennaio 1987, nr. 2; Xxxxx Xxxx. 00 gennaio 1997, nr. 1.
133 Cass. S.U., 8 giugno 1999, Bacherotti, cit.
134 Se fosse sufficiente il solo essersi oggettivamente avvantaggiato della commissione del reato, allora una intera categoria di diritti, quelli appunto reali di garanzia ma anche quelli reali di godimento, sarebbe automaticamente esclusa da ogni tutela nei confronti della confisca: in questo senso vedi T.E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema della responsabilità degli enti, op. cit. pag. 165.
utilità135;
- al requisito oggettivo costituito dalla non derivazione di un vantaggio dall’altrui attività criminosa, deve aggiungersi la connotazione soggettiva della buona fede del terzo intesa come “non conoscibilità, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, del predetto rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato”136;
- soltanto colui che versi in tale situazione oggettiva e soggettiva può vedere riconosciuta l’intangibilità della sua posizione giuridica e l’insensibilità di essa agli effetti del provvedimento di confisca.
Merita ancora di essere segnalato come la giurisprudenza abbia precisato che il concetto di buona fede per il diritto penale è diverso da quello di buona fede civilistica a norma dell’art. 1147 c.c.(ignoranza di ledere l’altrui diritto), dal momento che anche i profili di colposa inosservanza di doverose regole di cautela escludono che la posizione del soggetto acquirente o che vanti un titolo sui beni da confiscare o già confiscati sia giuridicamente da tutelare, ed ha affermato che la buona fede non può essere presunta137.
Con specifico riferimento all’onere della prova della buona fede del terzo138 l’orientamento giurisprudenziale tradizionale (che fa capo alla nota sentenza Bacherotti citata) sostiene che faccia carico ai terzi l’onere della prova sia in relazione alla titolarità del diritto/bene sia con riferimento all’assenza di un collegamento del proprio diritto con l’altrui condotta delittuosa, oppure,
135 S.U. nr. 9/1999, Bacherotti, cit.; Xxx. XX, 00 xxxxxxx 0000, xx. 00000, Xxxxxxxxx, Xx. 193422; Xxx. XXX, 00 xxxxxxx 0000, xx. 0000, Xxxxxxxxx, Xx. 141690).
136 Corte Cost. nr. 229 del 1974; nr. 259 del 1976; nr. 2 del 1987che aveva dichiarato l’incostituzionalità delle norme che prevedevano il sacrificio del diritto dei terzi sulle cose utilizzate da latri per il contrabbando, ancorché ai primi non fosse imputabile un difetto di vigilanza.
137 Si tratta di una interpretazione che secondo S.U. 25 settembre 2014, nr. 11170/2015 Uniland s.p.a cit. trova avallo anche nella volontà del legislatore che, nel prevedere la confisca obbligatoria in materia di contraffazione di marchi e segni distintivi all’art. 474 bis c.p., introdotto dall’art. 15, comma 1, lett. c) L. 23 luglio 2009, nr. 99, ha escluso la confisca delle cose appartenenti a terzi “quando questi dimostrino di non aver potuto prevedere l’illecito impiego, anche occasionale, delle cose o la loro illecita provenienza e di non essere incorsi in difetto di vigilanza”.
138 T.E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema della responsabilità degli enti, op. cit. pag. 165 e ss.
nell’ipotesi di sussistenza di detto collegamento oggettivo, dell’affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di apparenza che renda scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza139. Tuttavia, la giurisprudenza più recente, rivisitando in chiave critica i suddetti principi, ha sostenuto come l’onere della prova della buona fede non può essere posto tutto a carico del terzo, perché nel processo penale il giudice nel disporre il sequestro o la confisca ha il potere- dovere di accertare la titolarità dei beni e le modalità di acquisizione da parte dei terzi, pertanto, non potendo ammettersi un’inversione dell’onere della prova, appare ragionevole pretendere dal terzo un onere di mera allegazione degli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di appartenenza del bene e di estraneità al reato.
11. (SEGUE). L’INTERPOSIZIONE DEL SOGGETTO TERZO. La fondamentale esigenza di tutelare il terzo apre sotto altro profilo un diverso spaccato della questione: il riferimento è alla prassi, purtroppo molto diffusa, di traferire in modo fittizio la titolarità di beni a terzi (persone fisiche o giuridiche) proprio al fine di evitare la confisca o altro provvedimento ablatorio, sfruttando così strumentalmente le regole poste proprio a garanzia dei terzi estranei che l’ordinamento vuole tutelare.
Le modalità di “interposizione” del soggetto terzo (si parla in generale di strumentalizzazione dei terzi) possono assumere tre forme principali: la simulazione assoluta del negozio di trasferimento, nel senso che la cessione è solo fittizia, in realtà le parti sono d’accordo nel non volere gli effetti del negozio, per cui il bene, pur formalmente intestato al terzo, deve in realtà considerarsi nella disponibilità del cedente; il negozio fiduciario, in forza del quale le parti vogliono effettivamente il negozio, con l’impegno però che il cessionario-fiduciario del bene ritrasferisca poi il bene medesimo al cedente-fiduciante; infine, l’utilizzo di un ente giudico come “schermo societario”, nel senso che il bene risulta di
139 In questo senso ex plurimis Cass., Sez. III, 16 gennaio 2015, nr. 18515 Xxxxxxx.
proprietà e pertinenza di un ente e non dell’autore del reato, ancorché sia la persona fisica a disporne di fatto.
Merita affrontare partitamente le tre forme di interposizione soggettiva, iniziando dalla fattispecie di simulazione assoluta del trasferimento del bene, rinviando ai successivi paragrafi con riferimento ai casi di negozio fiduciario e schermo societario.
La fattispecie in oggetto viene espressamente contemplata dal legislatore con riferimento a diverse ipotesi di confisca. Il riferimento è innanzitutto all’art. 12 sexies D.L. 306/1992 che prevede la cd. confisca allargata, la quale ha ad oggetto denaro, beni o altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la legittima provenienza e di cui risulti essere titolare o avere la disponibilità “anche per interposta persona” in misura sproporzionata rispetto ai rediti dichiarati o comunque derivanti da attività economiche lecite. Analoga previsione si rinviene nell’art. 648 ter c.p. ove si prevede la confisca per equivalente di beni di cui l’autore di reati di riciclaggio “ha la disponibilità anche per interposta persona”. Anche per le misure di prevenzione è prevista ex art. 24 D.Lgs 159/2011 la confisca dei beni (cd. confisca antimafia) di cui il proposto non possa giustificare la legittima provenienza e di cui “anche per interposta persona fisica o giudica” risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica.
Ebbene, l’opinione maggioritaria è nel senso di ritenere che queste ipotesi non costituiscano eccezioni alla regola generale di tutela del terzo, ma codificano un principio immanente a qualsiasi tipo di confisca secondo il quale non sussiste alcuna esigenza di tutela del terzo in presenza di una interposizione fittizia di persona, posto che in questi casi il bene deve ritenersi effettivamente del soggetto destinatario della misura e non del terzo. In altri termini, in presenza di una interpretazione fittizia di persona se si accerta che il bene non appartiene al terzo, allora non sussistono i presupposti per riconoscere la tutela di questi: ciò vale per tutti i tipi di confisca e non solo per quelli in cui la possibilità dell’interposizione viene contemplata dal legislatore.
In ordine ai casi di simulazione assoluta si pone soprattutto un problema di onere
probatorio, incombendo sull’accusa dimostrare che, nonostante la formale intestazione del bene, in realtà l’autore del reato ne ha mantenuto la disponibilità effettiva. In merito ai limiti e la portata dell’onus probandi , la giurisprudenza in tema di confisca ex art. 12 sexies cit. ha affermato che “quando il bene che si assume illecitamente acquistato risulta intestato a terzi, l’indagine al fine di disporre la misura di sicurezza patrimoniale deve essere rigorosa soprattutto se il terzo intestarlo sia un estraneo che non abbia vincoli di parentela o di convivenza con il preposto, rispetto ai quali è più accentuato il pericolo della fittizia intestazione e più probabile l’effettiva disponibilità dei beni da parte del medesimo (…). Xxxxxxx sull’accusa l’onere di dimostrare ai fini dell’operatività nei confronti del terzo del sequestro e della successiva confisca, l’esistenza di situazioni che avallino concretamene l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e diponibilità effettiva del bene (…). Il giudice ha quindi l’obbligo di spiegare le ragioni dell’interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma elementi fattuali che si connotino della gravità, precisione e concordanza, si da costituire prova indiretta dell’assunto che si tende a dimostrare, cioè del superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene”140. Anche per le misure di sicurezza di prevenzione patrimoniale sono stati affermati analoghi principi141.
Dunque, la giurisprudenza di legittimità risulta attestata sul principio tradizionale in forza del quale per poter disporre la confisca allorché il bene sia formalmente intestato a terzo, occorre la prova piena della disponibilità del bene da parte dell’indiziato e che incombe sull’accusa l’onere di dimostrare la malafede dell’acquirente stesso.
Occorre ancora rilevare come in alcuni casi il legislatore stabilisca espressamente talune presunzioni che consentono di apprendere coattivamente il bene ancorché
140 Cass., Sez. II, 10 gennaio 2008, Catania, nr. 3990, in CED nr. 239269; in senso conforme anche Xxxx., Sez. I, 15 ottobre 2003, Andronico nr. 43046, in CED nr. 226610; Cass., Sez. I, 5 febbraio 2001, nr. 11049, in CED nr. 226053; Cass., Sez. V, 28 maggio 1998, Di pasquale, in CED nr. 211832.
141 Cass., Sez. II, 23 giugno 2004, nr. 35628, Xxxxxxx in CED nr. 229726; Cass., Sez. I, 15 ottobre 2003, nr. 43046, Andronico, in CED nr. 226610; Cass., Sez. I, 10 novembre 1997, nr. 6279, in CED nr. 208941.
intestato a un terzo, senza che sia necessario addurre indizi gravi precisi e concordanti della fittizietà del diritto del terzo. Così ipotesi presuntive sono previste a tutela del sequestro conservativo dei beni dell’imputato o del responsabile civile a garanzia del pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento, delle somme dovute all’erario dello Stato o delle obbligazioni civili nascenti dal reato. In particolare, l’art. 192 c.p. stabilisce, a fini dell’opponibilità al sequestro, l’inefficacia degli atti a titolo gratuito compiti dal colpevole dopo il reato. L’art. 193 c.p. stabilisce, sempre ai fini del sequestro conservativo, che si presumono fatti in frode gli atti a titolo oneroso compiuti dal colpevole dopo il reato, precisando tuttavia che per la revoca dell’atto è necessaria la prova della malafede dell’altro contraente. L’art. 194 c.p. richiede invece la prova della frode per gli atti compiuti entro un anno prima del reato, che siano a titolo gratuito (nel qual caso essi sono inefficaci) ovvero che siano a titolo oneroso ma eccedenti la semplice amministrazione, occorrendo però in quest’ultimo caso la prova della malafede dell’altro contraente (nel qual caso essi sono revocabili).
Proprio sulla base di queste disposizioni la giurisprudenza ha ritenuto che anche i beni dei terzi sono aggredibili con il sequestro conservativo, purché sussistano elementi da cui risulti la malafede degli acquirenti o la simulazione del contratto di acquisto142.
Xxxxxx, ci si chiede se sia possibile estendere le suddette presunzioni di interposizione anche in ambiti diversi da quelli per i quali sono espressamente previste e in generale alla confisca. La conclusione circa la generale applicabilità delle citate presunzioni a qualsiasi forma di confisca o ablazione coattiva dei beni, viene tuttavia esclusa posto che il carattere derogatorio delle presunzioni, rispetto alle normali regole di giudizio sull’accertamento dei fatti, impone di riconoscerne il carattere eccezionale, rendendo impossibile una loro applicazione fuori dai casi per i quali sono espressamente previste in ossequio del principio posto dall’art. 14 Preleggi143. Ciò chiaramente non significa che i presupposti fattuali alla base di
142 Cass., Sez. II, 19 dicembre 2008, Xx.Xx.Xx. Metalli, nr. 3810, in CED nr. 242540.
143 Recita l’art. 14 delle Preleggi (rubricato “Applicazione delle leggi penali ed eccezionali”) “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”: la norma pone il divieto del ricorso
dette presunzioni – come tempo e natura della disposizione patrimoniale, nonché la sussistenza di legami familiari – possano costituire unitamente ad altri quei caratteri di precisione, univocità e concordanza che permettono di ritenere provata l’interposizione del soggetto terzo.
12. (SEGUE). IL TERZO FIDUCIARIO E I PATRIMONI SEPARATI.
Ulteriore forma in cui potrebbe realizzarsi un’interposizione del soggetto terzo è quella, come sopra anticipato, che coinvolge la stipulazione di un negozio fiduciario144.
Questa ipotesi appare sicuramente più complessa e problematica.
Ed invero, nell’ipotesi di negozio fiduciario, a differenza della simulazione negoziale, il trasferimento del bene è reale e non apparente: esso è realmente voluto dalle parti, ma contestualmente è accompagnato da un accordo obbligatorio tra le parti in base al quale il cessionario-fiduciario del bene si impegna a ritrasferire il bene medesimo al cedente-fiduciante (cd pactum fiduciae). Più precisamente, secondo dottrina e giurisprudenza maggioritarie, il negozio fiduciario si realizza mediante il collegamento di due negozi, l’uno di carattere esterno, realmente voluto e con efficacia erga omnes, e l’altro di carattere interno, anche questo realmente voluto, ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato del primo negozio, per cui il fiduciario è tenuto a ritrasferire il bene al fiduciante o ad un terzo. Pertanto, l’interposizione fiduciaria integra una interposizione “reale” di persona e “non fittizia”, per effetto della quale il fiduciario acquista la titolarità dei beni, pur essendo nei rapporti interni tenuto a rispettare l’obbligo assunto di
all’analogia nel diritto penale.
144 Per un’ampia e aggiornata disamina sul negozio fiduciario e in generale sul patrimonio destinato vedi G. CHINE’, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Manuale di Diritto Civile, IX ed.2017- 2018, Roma. Si rinvia ancora a X. XXXXXXX, Il sistema del diritto civile, Vol. 4 I diritti reali, le successioni e la famiglia, ed. Dike, 2016.
ritrasferire i beni stessi al fiduciante145.
Ebbene, proprio le specifiche caratteristiche del negozio fiduciario hanno indotto la giurisprudenza a ritenere che il bene possa essere confiscato: infatti, con la confisca del bene presso il fiduciario si vuole impedire che, attraverso l’adempimento del pactum fiduciae e, in particolare, dell’obbligazione di ritrasferimento, si realizzino proprio quelle situazioni che legittimano la confisca, evitata soltanto grazie allo strumento negoziale in oggetto, ma senza che possa ritenersi mai venuta meno la “disponibilità” del bene in capo al soggetto passivo della misura. Quest’ultimo, infatti, oltre a poter mantenere di fatto il godimento del bene medesimo, può senza alcun ostacolo recuperarne l’integrale titolarità anche formale146 ed in questo senso non può ritenersi che il fiduciante perda effettivamente la “disponibilità sostanziale” del bene.
La posizione della giurisprudenza, dunque, è sostenuta dall’assunto secondo cui il diritto di proprietà conseguito tramite un negozio fiduciario acquisti una conformazione peculiare che permette di affermare che il bene sia ancora nella disponibilità del fiduciante, secondo il concetto di disponibilità rilevante ai fini della confisca. Infatti, come già evidenziato, la proprietà in tal modo trasferita risulta soggetta a vincoli di destinazione e temporali contenuti nel patto fiduciario, che legano il fiduciante al fiduciario.
A questo punto, pare opportuno ricordare come, dal punto di vista civilistico, il principio tradizionale del numero chiuso dei diritti reali e la previsione di cui all’art. 2740 c.c., secondo cui il patrimonio del debitore costituisce garanzia generale per i suoi creditori, siano stati considerati il principale ostacolo al
145 Cass. Civ., Sez. I, 27 novembre 1999, nr. 13261, in CED nr. 531576.
146 Vedi Cass. Sez. II, 20 dicembre 2006, Xxxxxxxxxx, xx. 00000, in CED nr. 235828, la quale ha affermato “ai fini dell’operatività della confisca per equivalente prevista dall’art. 322 ter
c.p. e, di riflesso, della possibilità di adozione di un provvedimento di sequestro preventivo dei beni che possono formarne oggetto, il requisito costituito dalla disponibilità di tali beni da parte del reo non viene meno in caso di intervenuta cessione dei medesimi ad un terzo con patto fiduciario di retrovendita; ciò in quanto non sarebbe perciò stesso esclusa in radice la possibilità della perdurante disponibilità dell’alienante, qualora il negozio integrasse un’interposizione reale, contraddistinta da patto fiduciario di retrovendita, configurato come diritto potestativo del dante causa: tale, in ipotesi, da non eliminare la signoria corrispondente alla disponibilità sostanziale dei beni – oltre che, eventualmente, il loro persistente godimento di fatto – suscettibile in ogni momento, ad libitum dell’alienante, di ritradursi in dominica potestas, di diritto”.
riconoscimento dell’ammissibilità in via generale di un diritto reale differenziato, appunto la proprietà fiduciaria, come proprietà temporanea e a destinazione vincolata. Da qui la prevalente tendenza a qualificare i vincoli fiduciari come vincoli di natura obbligatoria, dunque, cogenti solo tra le parti e non opponibili ai terzi, i quali vanno ad innestarsi su un negozio di trasferimento del diritto a favore del fiduciario avente piena efficacia reale (efficacia erga omnes). L’istituto della proprietà fiduciaria, infatti, rientra nella più ampia tematica della separazione patrimoniale, la quale può oggettivamente costituire una possibile fonte di pregiudizio per i creditori che vedrebbero ridotta la garanzia patrimoniale generica che possono vantare ex art. 2740 cit. In ragione di ciò il legislatore ha sempre tendenzialmente visto con sfavore la creazione di patrimoni separati o segregati, preferendo ammettere in via del tutto eccezionale ed in ipotesi tassativamente previste la separazione del patrimonio in capo ad un medesimo soggetto in forza di una valutazione di particolare meritevolezza della finalità della destinazione separata rispetto all’interesse dei creditori di mantenere integra la propria garanzia patrimoniale generica sul patrimonio del debitore: così è stato espressamente previsto il fondo patrimoniale destinato ai bisogni della famiglia o il patrimonio destinato ad uno specifico affare. Questa impostazione è stata profondamente innovata dall’introduzione in via generale del negozio di destinazione ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., rubricato “Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche”147. L’introduzione di questo nuovo istituto, nonché la rilevante diffusione del trust anglosassone (altra figura di patrimonio separato riconosciuta in Italia in conformità alla Convenzione
147 Art. 2645 ter c.c.: “Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili trascritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’art. 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo. L’articolo è stato inserito dal D.L. 30 dicembre 2005, nr. 273, poi convertito con Legge 23 febbraio 2006, nr. 51, all’art. 39 novies.
dell’Aja del 1985, resa esecutiva con Legge nr. 364/1989) ha dato nuovo impulso al dibattito sulla possibilità di riconoscere nel nostro ordinamento l’esistenza di una vera e propria proprietà fiduciaria distinta dalla generica proprietà privata.
L’attenzione posta alle suddette questioni civilistiche non è puramente teoria, ma ha importanti risvolti applicativi in ambito penalistico in tema di confisca: infatti, da un lato, il trasferimento di una proprietà vincolata e destinata implica la perdurante disponibilità del bene in capo al fiduciante ai fini della misura ablatoria; dall’altro lato, la valutazione di meritevolezza della causa fiduciae, fondante il trasferimento del bene al fiduciario, è sottesa al problema della sua opponibilità rispetto agli interessi tutelati con la confisca penale. Ebbene, riconducendo al carattere fiduciario del trasferimento la possibilità di riconoscere la perdurante disponibilità del bene in capo al fiduciante, nonostante il trasferimento reale al terzo, detta disponibilità ne legittimerebbe la confisca.
Come sopra anticipato, il rapporto negozio fiduciario – confisca apre una serie innumerevole di problemi. Così ci si chiede se la particolare meritevolezza della destinazione impressa al patrimonio con il vincolo fiduciario possa prevalere sulle ragioni della confisca. Particolarmente delicata poi risulta l’ipotesi in cui i presupposti della confisca risultino sussistenti con riferimento al fiduciario e non, come si riscontra di solito nella prassi, al fiduciante, come ad esempio accade quando il soggetto indiziato di mafia sia il fiduciario ed il fiduciante risulti completamente estraneo al reato: con riferimento a questa ipotesi in effetti sorge il dubbio se la confisca dei beni intestati al fiduciario sia preclusa, ritenendosi rimasta la loro diponibilità in capo al fiduciante ovvero se la confisca sia ammissibile ugualmente, ovvero ancora se il fiduciante debba essere trattato come un terzo.
Tutti i profili problematici sopra evidenziati hanno portato la dottrina148 ad affermare la necessità che la proprietà fiduciaria, in relazione alla confisca penale, meriti un trattamento differenziato che tenga conto della particolarità dei singoli istituti a struttura fiduciaria coinvolti (fiducia cum amico, fiducia cum creditore,
148 T.E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema della responsabilità degli enti, op. cit., pag. 192.
fondo patrimoniale destinato ai bisogni della famiglia etc.) e del contesto specifico in cui il negozio fiduciario viene posto in essere (contenuto concreto del patto fiduciario, forme di pubblicità, speciali rapporti tra fiduciante e fiduciario etc.).
Maggiori approfondimenti giurisprudenziali149 in tema di “patrimoni segregati” si possono rinvenire con riferimento al trust ed al fondo patrimoniale costituito per i bisogni della famiglia, cui merita fare un breve ma specifico cenno.
La giurisprudenza evidenzia al riguardo come in presenza di meccanismi di segregazione del patrimonio, l’accusa per recuperare i beni segregati in funzione della confisca per equivalente deve dimostrare che è solo apparente la perdita del controllo dei beni da parte del disponente oppure che lo specifico strumento sia stato utilizzato al solo fine di sottrarre i beni alla confisca. In particolare, con riferimento al fondo patrimoniale ex art. 167 ss. cc., la confiscabilità dei beni viene tratta dai seguenti argomenti: la titolarità del bene destinato ad alimentare il fondo non cessa in capo al disponente, ma, se non diversamente previsto nell’atto costitutivo, si trasmette anche all’altro coniuge ex art. 168 c.c.; la finalità del fondo patrimoniale rende irrilevante la sua istituzione nel caso in cui si discuta non di attuazione di obbligazioni civili, ma di strumenti aventi valenza sanzionatoria150. Più complessa la situazione in caso di trust costituito dal disponete/indagato con atto unilaterale non recettizio. Il trust potrebbe essere infatti costituito a fini simulatori, lasciando intatta nel concreto la disponibilità dei beni in capo al disponente: secondo la giurisprudenza151 ove il PM riesca a dimostrare tale situazione il trust sarebbe nullo e non potrebbe produrre l’effetto segregativo, permettendo l’applicazione del provvedimento ablatorio. Lo stesso accade nel caso in cui l’indagato costituisca il trust proprio al fine di sottrarre i beni alla confisca. In questo senso, oltre al conseguimento della segregazione, per l’individuazione delle reali finalità perseguite avranno rilievo: la struttura giuridica, l’effetto giuridico e le conseguenze pratiche e fattuali. È indubbio che l’interposizione reale che si realizza con il trust quale negozio di natura fiduciaria, una volta provata sulla base degli elementi richiamati, renda ammissibile
149 | Cass. Pen., nr. 9229/2016; Cass. Pen., Sez. II, sent. nr. 15804/2015. |
150 | Sul punto cfr. Cass. nr. 40364/2012. |
151 | Cass. Pen. nr. 13276/2011. |
l’applicazione della confisca152.
Infine, si rileva come qualche Autore153 al fine di tracciare e rintracciare un paradigma di riferimento contenente i parametri oggettivi rispetto ai quali, con riferimento alla struttura del singolo negozio fiduciario, il giudice possa orientare le proprie scelte sulla prevalenza o meno delle ragioni della confisca penale, propone di richiamare i principi giurisprudenziali espressi con riferimento ad un istituto, completamente diverso dal negozio fiduciario, ma che presenta con questo alcuni tratti in comune: il riferimento è al fallimento, che rispetto alla confisca dei beni del fallito presenta una situazione in cui i beni fanno capo alla procedura concorsuale e da questa vengano gestiti con destinazione certamente meritevole di tutela (ovvero quella di assicurare il concorso dei creditori), senza peraltro che il fallimento determini uno spossessamento totale e perpetuo dei beni del fallito, al quale i medesimi possono rientrare in tutto o in parte ove non vi siano crediti ammessi al passivo ovvero la procedura si concluda con il rientro in bonis.
Al riguardo, come meglio si spiegherà infra, il criterio di bilanciamento enucleato dalla nota sentenza S.U. Focarelli154 si ritiene possa trovare validità anche nel caso si proprietà fiduciaria, in cui la prevalenza delle ragioni della confisca vanno connesse appunto alla probabilità di recupero del bene da parte del fiduciante e agli intenti elusivi di quest’ultimo. Il tema dei rapporti tra sequestro/confisca e
152 Cass. Pe., Sez. II, 16 aprile 2015 (ud. 25 marzo 2015), nr. 15804 così massimata: “ è legittimo il sequestro preventivo per equivalente di beni conferiti in trust dal disponente (nella specie indagato per reati di associazione a delinquere, per reati tributari, per bancarotta fraudolenta e riciclaggio), nell’ipotesi in cui emergano diversi elementi fattuali che rendano evidente la volontà meramente frodatoria (sotto il profilo della simulazione) di sottrarre i beni alla pretesa ablatoria dello Stato. Assumono a tal fine rilievo elementi quali la costituzione di un trust che vede come beneficiari gli stretti beneficiari del disponente, la natura gratuita dell’atto, la natura di atto unilaterale non recettizio, che esime il P.M anche dal provare l’intento fraudolento (e dunque l’accordo simulatorio fittizio o reale che sia) nei confronti dell’avente causa di un negozio bilaterale, la natura di negozio fiduciario del trust, che lo assimila, mutatis mutandis, all’interposizione reale, le conseguenze pratiche e fattuali (nel caso concerto i beni di proprietà dell’indagato soggetti a confisca sono rimasti sempre in ambito familiare) ed il periodo in cui viene effettuata la modifica rilevante per escludere ogni potere di ingerenza del disponente.
153 T. E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema della responsabilità degli enti, op. cit., pag. 192 e ss.
154 Cass., S.U., 24 maggio 2004, nr. 29951, Fallimento in proc. Focarelli, in CED nr. 228165.
fallimento merita tuttavia maggior approfondimento.
13. (SEGUE). IL FALLIMENTO E LA CONFISCA.
I rapporti tra fallimento e confisca risultano da tempo oggetto di approfondita attenzione da parte della giurisprudenza: infatti, la pretesa dello Stato di confiscare bei nell’ambito di procedimenti penali deve necessariamente scontrarsi e confrontarsi, come sopra si è già avuto modo di rilevare, con i contrapposti interessi dei terzi creditori che, sulle medesime res, vantano diritti o mere aspettative. Tuttavia, la pluralità di misure ablatorie penali contemplate dall’ordinamento e la mancanza di una disciplina organica della materia hanno contribuito alla complessità del quadro di possibili interferenze tra le confische – ovvero gli atti ad esse prodromici come il sequestro preventivo ex art. 321, comma 2 bis, c.p.p. – e la posizione dei creditori concorsuali. Da oltre un decennio le problematiche più delicate rimangono prive di soluzioni davvero appaganti nonostante molteplici interventi della Suprema Corte anche a sezioni unite, di cui nel proseguo si tenterà di dar conto.
Sul tema occorre, innanzitutto, richiamare la già citata sentenza S.U. Focarelli155 la quale si è occupata della questione inerente l’ammissibilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca facoltativa ex art. 240, comma 1, c.p. di beni proventi di attività illecita dell’indagato e di pertinenza di impresa dichiarata fallita. Le S.U., escluso in caso di confisca facoltativa la radicale insensibilità del sequestro alla procedura concorsuale, hanno affidato al potere discrezionale del giudice la conciliazione tra i contrapposti interessi, affermando che il sequestro non è precluso “a condizione che il giudice dia motivatamente conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare”. Dunque, per la S.C., all’esito della suddetta valutazione da parte del giudice, il bene potrebbe anche essere restituito all’ufficio fallimentare, ferma restando la possibilità di ricorrere nuovamente al sequestro nei casi in cui riacquisti attualità il pericolo
155 Cass., S.U., 24 maggio, nr. 29951, Cur. fall. in proc. Focarelli, cit.
dell’uso del bene a fini di reiterazione del reato o di aggravamento delle sue conseguenze. In tale pronuncia sono stati fissati importanti principi. In particolare, è stata superata la tesi secondo cui gli interessi perseguiti dalla procedura fallimentare non hanno rilievo pubblicistico; si è ammesso, in linea astratta, che lo spossessamento determinato dalla procedura concorsuale possa assorbire la funzione del sequestro penale; si è sottolineato come l’ordinamento penale non possa rimanere indifferente alla garanzia dei creditori sul patrimonio del fallito quando la presunzione di pericolosità sottesa alla misura di sicurezza non inerisce alla cosa illecita in sé, ma alla relazione che la lega al reo; ancora, è stato definito il ruolo del curatore non come “soggetto privato”, che agisce in rappresentanza del fallito, ma come organo che svolge una funzione pubblica nell’ambito dell’amministrazione della giustizia; infine, è stato escluso che, in ipotesi di confisca obbligatoria, vi siano margini di discrezionalità per il giudice in quanto le finalità del fallimento non sono in grado di assorbire la funzione assolta dal sequestro, dovendo prevalere l’esigenza “di inibire l’utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente pericoloso in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello stato; sicché le ragioni di tutela dei terzi creditori sono destinate ad essere pretermesse rispetto alla prevalente esigenza di tutela della collettività”.
La pronuncia “Focarelli” tuttavia non ha affrontato e risolto tutte le questioni inerenti le possibili interferenze tra confische e fallimento. Ed invero, poiché le considerazioni dalla stessa effettuate - con quali si è ritenuto di riconoscere una prevalenza assoluta alle esigenze della confisca obbligatoria – erano precedute da un rilievo della medesima Corte sulla sola confisca ex art. 240, comma 2, c.p., cioè la confisca di cose la cui detenzione, produzione o uso costituiscono reato (ovvero l’unico caso in cui si possa davvero affermare che la confisca sia collegata alla pericolosità della cosa in sé), essa ha fatto sorgere più di qualche dubbio sulla possibilità di estendere dette considerazioni agli ulteriori ipotesi di confisca obbligatoria, come quelle appunto della confisca obbligatoria del profitto, in cui la pericolosità della cosa, pur da tutelare obbligatoriamente, sia comunque connessa al soggetto autore del reato. In altri termini, ci si è chiesti se con la
sentenza Xxxxxxxxx le S.U. avessero inteso legare il principio della insensibilità assoluta al fallimento alla configurazione legislativa della confisca come facoltativa o obbligatoria, oppure alla natura, intrinsecamente pericolosa o meno, del bene che ne forma oggetto.
Al riguardo, nella giurisprudenza successiva si sono formati due orientamenti.
Un primo orientamento, quello maggioritario, ha sostenuto che al fine di stabilire l’insensibilità o meno al fallimento della confisca si dovrebbe aver riguardo esclusivamente alla natura della res156. Secondo questa impostazione l’obbligatorietà della confisca siccome stabilita non in funzione della intrinseca pericolosità delle cose da confiscare, ma soltanto del loro legame con il reo, non impedirebbe che qualora dette cose siano state oggetto di sequestro preventivo in vista della loro assoggettabilità a confisca e sia quindi sopravvenuto il fallimento dell’imputato, il curatore del fallimento possa ottenere l’autorizzazione alla loro vendita e alla conseguente distribuzione del ricavato ai creditori concorsuali, dandosi luogo, in tal modo, alla realizzazione della finalità perseguita dal legislatore costituita dallo spossessamento del condannato.
A tale prevalente indirizzo, se ne è contrapposto altro che nel disciplinare i rapporti tra sequestro/confisca e fallimento ha dato rilievo, invece, alla natura
156 Cass., Sez. III, 2 febbraio 2007, nr. 20443, Xxxxxxxxxx, Rv. 236846; non diversamente, Sez. I, 1 marzo 2013, nr. 20216, Arconte, Rv. 256256, la quale in materia di confisca ex art. 12 sexies ha precisato che il giudice, nel compiere le sue valutazioni, deve acquisire la ragionevole certezza che attraverso la procedura concorsuale i cespiti non rientreranno nella diretta o indiretta disponibilità del condannato 8nello stesso senso, Sez. IV, 7 ottobre 2013, nr. 49821, Lu.fra trasporti srl, Rv. 258579, in tema di prevenzione antimafia); in senso simmetrico si colloca Sez. II, 14 giugno 000, xx. 00000, Xxxxxx Xx. 235129, pronunciata in tema di sequestro e confisca per equivalente ex art., 322 ter e 640 quater c.p., la quale ha precisato che il profitto diretto del reato è insensibile al fallimento, trattandosi di beni oggettivamente pericolosi data la loro pertinenza al reato, mentre la confisca per equivalente dovrebbe essere trattata allo stesso modo della confisca facoltativa, trattandosi di una misura sanzionatoria. Sul tema specifico della confisca in danno degli enti ex art. 19 D.Lgs 321/2001 vedi: Cass., Sez. V, 8 luglio 2008, nr. 33425, Fazzalari, Rv 240559, la quale ponendosi in senso conforme alla sentenza Xxxxxxxxx ha precisato che i beni oggetto di confisca per equivalente non sono intrinsecamente pericolosi e che spetta quindi al giudice dare conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle che implicano la tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare; Sez. V, 9 ottobre 2013, nr. 48804, Cur. Fall. Infrastrutture e servizi, Rv 2577553, la quale ha tentato di trovare la soluzione del problema del rapporto tra potere ablativo e fallimento nella disposizione normativa specifica che disciplina l’istituto della confisca in danno degli enti.
della confisca157: in particolare, si è affermato che la res oggetto di confisca obbligatoria è per presunzione assoluta pericolosa perché frutto di attività illecita sicché se ne deve affermare l’insensibilità al fallimento.
Un particolare riferimento merita fare, infine, alla giurisprudenza più recente la quale si è espressa a sezioni unite sul tema specifico dei rapporti tra confisca a danno degli enti, diritti dei terzi e fallimento158. Il presupposto dal quale le S.U. in esame hanno preso le mosse è quello per cui per risolvere i problemi derivanti dal rapporto tra sequestro/confisca ex art. 19 D.lgs 231/2001 e la procedura fallimentare è necessario da una parte seguire una impostazione diversa da quella espressa dagli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, nonché il riconoscimento che quanto meno per le ipotesi di sequestro/confisca a danno degli enti, l’art. 19 cit. se esaminato nella sua lettera e nella su ratio, consente una ricostruzione precisa dell’istituto del sequestro/confisca e una coerente soluzione del rapporto tra tale istituto e l’eventuale procedura fallimentare a carico dell’ente. In questa sede, in particolare, preme rilevare come la Corte abbia messo in rilievo che non vi è alcuna norma che vieti l’apposizione di più vincoli sugli stessi beni ed, inoltre, che il vincolo derivante dal sequestro finalizzato alla confisca e quello derivante dalla procedura concorsuale perseguono finalità differenti, atteso che, mentre il primo mira a preservare i beni che si presume siano stati acquisti illecitamente dall’ente e che possono essere oggetto di confisca, il secondo mira a spossessare il fallito dei beni che costituiscono la garanzia patrimoniale del ceto creditorio, ad evitare ulteriori depauperamenti del patrimonio stesso, a garantire la par condicio creditorum: i due vincoli possono dunque coesistere. Inoltre, secondo le S.U., in caso di apertura della procedura fallimentare, l’esistenza e il contenuto di un diritto da parte di un soggetto terzo sui beni acquisti alla massa fallimentare è riconosciuto soltanto al momento della chiusura della procedura fallimentare; coloro che, insinuandosi nel fallimento vantano un diritto di credito,
157 Cass., Sez. Vi, 4 marzo 2008, nr. 00000, Xxxxx, Xx. 241013; Sez. I, 7 aprile 2010, nr. 16783, Profilo, Rv. 246994 le quali si sono pronunciate in tema di prevenzione antimafia. Cass., Sez. Vi, 10 gennaio 2103, nr. 19051m, Curatela fall. Soc. Tecno Hopsital s.r.l., Rv. 255255 in tema di sequestro disposto ai sensi del D.Lgs 23172001.
158 Cass., S.U., 25 settembre 2014, nr. 11170/2015, Uniland spa
non possono, infatti, solo per questo essere ritenuti titolari di un diritto reale sul bene opponibile alla Stato perché è soltanto all’esito della procedura fallimentare e degli accertamenti ad essa connessi che i creditori potranno essere ritenuti titolari di un diritto sui beni che potranno far valere nelle sedi adeguate; ove il diritto del terzo sul bene venga riconosciuto all’esito della procedura fallimentare, ma dopo l’irrevocabilità della sentenza che dispone la confisca, il soggetto potrà far valere la propria pretesa davanti al giudice dell’esecuzione, che, ex art. 665 e ss. c.p.p., è chiamato a risolvere tutte le questioni che attengono all’esecuzione dei provvedimenti giudiziari definitivi. Infine, con specifico riferimento al curatore fallimentare, la Corte ha affermato che il curatore - proprio come il creditore che, fino al termine della procedura fallimentare, non può essere ritenuto “terzo titolare di un diritto acquisito in buona fede” - nonostante sia un soggetto gravato da un munus pubblico, non può essere considerato titolare di alcun diritto sui beni avendo egli esclusivamente compiti gestionali mirati al soddisfacimento dei creditori e non può agire in rappresentanza di essi che a loro volta come detto non vantano alcun diritto sui beni durante la procedura. La S.C. ha escluso, dunque, che il curatore fallimentare sia legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita.
14. (SEGUE). I BENI SOCIALI E LA CONFISCA.
La possibilità di confiscare penalmente i beni di una persona giuridica rappresenta l’ultima e più delicata questione da esaminare in relazione alla tutela di terzi rispetto alla confisca.
Ed invero, come si è sopra anticipato una delle modalità di interposizione del soggetto terzo può appunto realizzarsi attraverso l’utilizzo di un ente giuridico come “schermo societario”, nel senso che il bene risulta di proprietà e pertinenza della persona giuridica e non dell’autore del reato, ancorché sia la persona fisica a disporne di fatto. In proposito deve infatti rilevarsi come l’ente giuridico, proprio in quanto previsto dal legislatore quale centro di imputazione autonomo di
interessi giuridici rispetto al soggetto-persona fisica che ne faccia parte, deve essere considerato un “terzo” rispetto alla persona fisica medesima. Pertanto, al pari di qualsiasi altro terzo, l’ente potendo essere parte di negozi di trasferimento di beni (fiduciari o fittizi) potrebbe essere utilizzato come schermo protettivo al fine precipuo di evitare iniziative di sequestri e confische.
L’ipotesi di dell’ente come schermo fittizio ha sempre creato particolari problemi sia in tema di prova che di configurazione stessa della simulazione assoluta del negozio con una società159. Allo stesso modo, si è ritenuta talvolta l’impossibilità di configurare la simulazione assoluta dello stesso contratto di società, in realtà certamente voluto proprio ai fini di interposizione reale (e non fittizia), per ottenere i vantaggi collegati alla limitazione della responsabilità patrimoniale connessa alla disciplina civilistica160.
In questo contesto, la giurisprudenza ha allora precisato che occorre operare una distinzione tra “responsabilità patrimoniale della società”, in relazione alla quale mai potrebbe parlarsi di simulazione assoluta del contratto di società, e la “responsabilità penale” della persona fisica che ha agito sotto lo schermo societario. In tal modo, si è rilevato, la società continua ad essere sempre considerata un soggetto terzo ai fini civilistici della sua eventuale responsabilità patrimoniale, potendosi però procedere a fini penali alla confisca dei beni sociali in relazione ai reati commessi dalle persone fisiche che operano al suo interno161. In relazione alla questione in esame, l’aspetto di maggiore novità intervenuto nell’ordinamento è rappresentato sicuramente dall’entrata in vigore del D.Lgs 8 giugno 2001 nr. 231 volto ad introdurre e regolamentare la disciplina della
159 Ex plurimis Cass. Civ., Sez. I, 29 maggio 2003, in CED nr. 563726.
160 In giurisprudenza esclude la configurabilità di una simulazione assoluta del contratto di società Cass. Civ., 28 aprile 1997, nr. 3666, Abbatelli c. Agricola Forestale Pian del marmo, in CED nr. 503955; cfr. anche Cass. Civ. 16 maggio 2007, nr. 11258, Moroni, c. Cisa, in CED nr. 597779; Cass. Civ., Sez. III, 16 aprile 2003, nr. 6100, Oprandi x. Xxxxxxx, in CED nr. 562217. Al fine di superare detto ostacolo l’unica strada percorribile sarebbe quella di provare l’intestazione fittizia delle quote, ciò al fine di far valere la responsabilità illimitata dell’unico socio, nei casi in cui questa sia prevista: in questo senso Xxxx. Civ., Sez. I, 31 gennaio 2008, in CED nr. 601539.
161 Leading case in materia Cass., Sez. II, 10 aprile 1995, PM in x. Xxxxxxxxxx, in CED nr. 201658.
“autonoma” responsabilità degli enti per gli illeciti dipendenti da reato162, disciplina sulla quale ci si riserva di meglio argomentare infra Capitolo III.
In questa sede merita, tuttavia, di essere subito evidenziato come detta legge abbia in qualche modo reso più complicato il quadro sopra delineato andando ad aggiungere, alla distinzione dicotomica sopra richiamata tra responsabilità patrimoniale ai fini civilistici e responsabilità penale della persona fisica che strumentalizzato la società, anche la responsabilità diretta ed autonoma della società per l’illecito dipendente da reato commesso dalla persona fisica che opera al suo interno (soggetti in posizione apicale o sottoposti). Detta responsabilità della società è subordinata , come meglio si avrà modo di spiegare, al ricorrere di determinate condizioni quali: il possesso da parte del soggetto agente della qualifica soggettiva di cui all’art. 5, l’integrazione di uno dei reati espressamente previsti dagli artt. 24 e ss (cd. “reato presupposto”); la commissione del reato nell’interesse o a vantaggio163 dell’ente; nonché la cd. “colpa di organizzazione” ovvero la mancata adozione e implementazione di idonei modelli di organizzazione finalizzati alla prevenzione dei reati (art. 6).
Dopo l’entrata in vigore di detta normativa è indubitabile allora, in quanto espressamente previsto dalla legge, che nel caso venga provato l’illecito a carico dell’ente in dipendenza del reato commesso dalla persona fisica sarà consentita la confisca ed il sequestro dei beni dell’ente: ciò potrà avvenire non perché la società sia uno schermo fittizio dietro il quale opera la persona fisica, bensì perché la società stessa è considerata responsabile di un illecito configurato a suo carico in conseguenza della commissione del reato da parte di soggetti che si trovano con essa in un rapporto qualificato.
Tuttavia, la necessità, come sopra evidenziato, che debbano ricorrere determinati presupposti perché possa configurarsi la responsabilità autonoma dell’ente e, dunque, possa procedersi nei suoi confronti a sequestro e confisca, fornisce un argomento per sostenere che quando detti requisiti siano assenti allora non sia
162 Per un’ampia disamina del tema si rinvia a X. Xxxxxxxx, Manuale di Diritto Penale – Parte Generale, Ed. 2017/2018, Roma, pag. 377 e ss.
163 Per un approfondimento in dottrina vedi T.E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema della responsabilità degli enti, op. cit., pag. 201 e ss.
possibile procedere al sequestro e alla confisca dei beni sociali, ma solo di quelli della persona fisica che ha commesso il reato164.
La questione in oggetto - ovvero la possibilità di procedere a sequestro e confisca dei beni della società per i reati commessi dal legale rappresentante della stessa qualora detto reato non fondi anche l’autonoma responsabilità della società - ha molto impegnato la giurisprudenza, che nel tempo ha mostrato atteggiamenti oscillanti165. Detto contrasto giurisprudenziale ha condotto poi all’intervento della Suprema Corte nella sua più alta composizione: il riferimento è alla nota sentenza S.U., 5 marzo 2014, nr. 10561, Gubert166, della quale tuttavia si tratterà funditus nel proseguo data la rilevanza delle tematiche da essa trattate e dei principi di diritto espressi (infra Cap. II, par. 8).
Preme qui riportare soltanto alcuni interessanti rilievi critici fatti dalla dottrina167 secondo cui l’ipotesi della società schermo e quella della società responsabile da illecito dipendente da reato ex D.lgs 231/2001 rappresentano ipotesi nettamente differenziate sottoposte ad una disciplina e a principi diversi in caso di sequestro e confisca. Ed invero, si osserva, la finalità della disciplina sulla responsabilità autonoma degli enti introdotta dal legislatore del 2001, su spinta degli obblighi internazionali, non era certo volta a limitare le iniziative di sequestro e confisca dei beni sociali nelle ipotesi in cui già prima di detta legge queste erano pacificamente ammesse ovvero nei casi di schermo societario fittizio, casi nei quali non si poneva nemmeno un problema di tutela del terzo non essendo in tal caso la società qualificabile come “terzo estraneo al reato”. Al contrario, proprio alla luce della normativa internazionale e sovranazionale, risulta chiaro come lo
164 Il principio di autonomia della responsabilità dell’ente codificato dal D.Lgs 231/2001 sembra deporre in questo senso.
165 Per l’orientamento che sostiene la confiscabilità ed il sequestro dei beni sociali nel caso di violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante nell’interesse dalla società vedi Xxxx. Xxx., Xxx. XXX, xx. 00000; nella giurisprudenza di merito hanno seguito questo orientamento Trib. Foggia, 27 dicembre 2010, Gip Xxxxxxx; Trib. Milano, Sez. del Riesame, 28 novembre 2011. Per l’orientamento contrario e prevalente vedi Cass. Pen., Sez. III, 19 settembre 2, nr. 1256. Per l’ordinanza di rimessione alle S.U. vedi Cass. Pen., Sez. III, 20 ottobre 2013, nr. 46726.
166 In dottrina vedi X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXXXX (a cura di), I Xxxxx Xxxxxxxxx, Giappichelli Ed., Torino, 2017 , pag. 487 e ss.
167 T.E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema della responsabilità degli enti, op. cit. pag. 206 e 207.
scopo dell’intervento legislativo in oggetto fosse proprio quello di estendere l’applicazione di questi strumenti di aggressione alla criminalità economica perpetrata dagli enti a quei casi in cui pur trovandosi in presenza di un soggetto avente una “autonomia effettiva” rispetto all’autore del reato, ciò non di meno questo ente non potesse considerarsi un terzo di buona fede rispetto al reato, come tale da essere tutelato rispetto alla confisca dei suoi beni, ma anzi da dover essere considerato esso stesso responsabile per l’illecito dipendente da quel reato e, quindi, meritevole dell’applicazione della confisca a titolo di sanzione.
15. LE CONFISCHE PATRIMONIALI. LA CONFISCA NELLA RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI.
Si osservano disposizioni speciali che incidono più profondamente sulla struttura della confisca, così come prevista dalla disposizione generale dell'art. 240 c.p.
In verità, quest'ultima disposizione riguarda la confisca di singoli beni individuati per il loro legame con il reato (c.d. pertinenzialità della res rispetto al reato), a prescindere dalle caratteristiche del soggetto che detiene il bene.
Tale pertinenzialità risulta superata con l'introduzione delle ipotesi di confisca per equivalente, laddove tuttavia l'individuazione dei beni da confiscare è ancora indirettamente legata al reato, atteso che il parametro di commisurazione del valore dei beni suscettibili di confisca per equivalente è comunque riferito ad un bene (profitto, prodotto, prezzo) pertinenziale rispetto al reato.
In talune disposizioni speciali, al contrario, la pertinenzialità viene completamente superata. Infatti l'oggetto della confisca risulta determinato a prescindere da ogni legame diretto o indiretto con il reato: pertanto il riferimento a quest'ultimo resta solo come presupposto dell'imputazione penale del soggetto, ma non seleziona più il tipo di bene aggredibile, né direttamente (mediante la descrizione del tipo collegato al reato: ad esempio profitto, prodotto, prezzo del reato, ovvero bene strumentale al reato) né indirettamente (come parametro di valore della confisca per equivalente commisurata rispetto a beni pertinenziali al reato, come nel caso di confisca di beni di valore equivalente al profitto del reato).
In sostanza, i beni sono considerato confiscabili solo perché appartenenti ad una
determinata persona con riferimento a sue determinate qualità. La qualità del soggetto si può talvolta manifestare non solo con riferimento a qualifiche soggettive di tipo penale (indagato, imputato o condannato per determinati reati, ovvero soggetto pericoloso) ma anche con riferimento a relazioni e rapporti con le cose possedute (come la sproporzione rispetto ai redditi e alla attività lecita).
Le due principali disposizioni che derogano in modo così significativo alla confisca prevista nell'art. 240 c.p. sono rappresentate dalla c.d. confisca di prevenzione così come disciplinata nel Codice Antimafia (D.Lgs. n. 159/2011) e dalla c.d. confisca estesa (anche detta “per sproporzione”) ex art. 12-sexties D.L.
n. 306/1992, conv. in L. n. 356/1992168 e successive modifiche.
168 Art. 12-sexies Ipotesi particolari di confisca. “1. Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 322, 322-bis, 325, 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 453, 454, 455, 460, 461, 517-ter e 517- quater, nonché dagli articoli 452-quater, 452-octies, primo comma, 600-bis, primo comma, 600- ter, primo e secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, 603-bis, 629, 644, 644-bis, 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 del codice penale, dall'articolo 2635 del codice civile, dall'articolo 55, comma 5, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, dall'articolo 295, secondo comma, del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, dall'articolo 12-quinquies, comma 1, del presente decreto, dall'articolo 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, o per taluno dei delitti commessi per finalita' di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine costituzionale, e' sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilita' di cui il condannato non puo' giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilita' a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attivita' economica. In ogni caso il condannato non puo' giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge. La confisca ai sensi delle disposizioni che precedono e' ordinata in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta per i reati di cui agli articoli 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies del codice penale quando le condotte ivi descritte riguardano tre o piu' sistemi)). 2. COMMA ABROGATO DALLA L. 17 OTTOBRE 2017, N. 161. 2-bis. COMMA ABROGATO DALLA L. 17 OTTOBRE 2017, N. 161. 2-ter. Nei casi previsti dal comma 1, quando non e' possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilita' di legittima provenienza di cui allo stesso comma, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilita' di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilita', anche per interposta persona . 2-quater. COMMA ABROGATO DALLA L. 17 OTTOBRE 2017, N.
161. 3. COMMA ABROGATO DALLA L. 17 OTTOBRE 2017, N. 161. 4. COMMA ABROGATO DALLA L. 17 OTTOBRE 2017, N. 161. 4-bis. Le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati nonche' quelle in materia di tutela dei terzi e di
La confisca di prevenzione, che con la relativa misura cautelare prodromica, il sequestro, costituisce la più importante misura di prevenzione patrimoniale antimafia, si affianca alla confisca alla confisca prevista dall'art. 240 c.p.
La natura giuridica della confisca antimafia è del tutto particolare. Essa infatti è svincolata dall'accertamento di uno specifico reato ed è invece subordinata alla sussistenza della attuale pericolosità del soggetto proposto, desunta dalla valutazione della personalità e da ogni elemento indicativo della pericolosità, anche indipendentemente dalle sentenze penali di condanna riportate, con
esecuzione del sequestro previste dal codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, si applicano ai casi di sequestro e confisca previsti dai commi 1 e 2-ter del presente articolo, nonche' agli altri casi di sequestro e confisca di beni adottati nei procedimenti relativi ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. In tali casi l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata coadiuva l'autorita' giudiziaria nell'amministrazione e nella custodia dei beni sequestrati, fino al provvedimento di confisca emesso dalla corte di appello nei procedimenti penali e, successivamente a tale provvedimento, amministra i beni medesimi secondo le modalita' previste dal citato codice di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011. Restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno. 4-ter. Con separati decreti, il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, sentiti gli altri Ministri interessati, stabilisce anche la quota dei beni sequestrati e confiscati a norma del presente decreto da destinarsi per l'attuazione delle speciali misure di protezione previste dal decreto-legge
15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni, e per le elargizioni previste dalla legge 20 ottobre 1990, n. 302, recante norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalita' organizzata. Nei decreti il Ministro stabilisce anche che, a favore delle vittime, possa essere costituito un Fondo di solidarieta' per le ipotesi in cui la persona offesa non abbia potuto ottenere in tutto o in parte le restituzioni o il risarcimento dei danni conseguenti al reato. 4-quater. Il Consiglio di Stato esprime il proprio parere sugli schemi di regolamento di cui al comma 4-ter entro trenta giorni dalla richiesta, decorsi i quali il regolamento puo' comunque essere adottato. 4-quinquies. Nel processo di cognizione devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in stato di sequestro, di cui l'imputato risulti avere la disponibilita' a qualsiasi titolo. 4-sexies. Competente a emettere i provvedimenti previsti dai commi 1 e 2-ter, dopo l'irrevocabilita' della sentenza, e' il giudice di cui all'articolo 666, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale. Il giudice, sulla richiesta di sequestro e contestuale confisca proposta dal pubblico ministero, provvede nelle forme previste dall'articolo 667, comma 4, del codice di procedura penale. L'opposizione e' proposta, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione o notificazione del decreto. 4-septies. Le disposizioni di cui ai commi precedenti, ad eccezione del comma 2-ter, si applicano quando, pronunziata sentenza di condanna in uno dei gradi di giudizio, il giudice di appello o la Corte di cassazione dichiarano estinto il reato per prescrizione o per amnistia, decidendo sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato. 4-octies. In caso di morte del soggetto nei cui confronti e' stata disposta la confisca con sentenza di condanna passata in giudicato, il relativo procedimento inizia o prosegue, a norma dell'articolo 666 del codice di procedura penale, nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa. 4-novies. L'autorità giudiziaria competente ad amministrare i beni sequestrati e' il giudice che ha disposto il sequestro ovvero, se organo collegiale, il giudice delegato nominato dal collegio stesso. L'opposizione ai provvedimenti adottati, ove consentita, e' presentata, nelle forme dell'articolo 666 del codice di procedura penale, allo stesso giudice ovvero, nel caso di provvedimento del giudice delegato, al collegio”.
conseguente applicazione di una misura di prevenzione personale, che costituisce presupposto indefettibile di quella patrimoniale169.
La dottrina170 ha delineato i presupposti di carattere formale e sostanziale per l'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca da parte del Tribunale fino alle recenti riforme introdotte171.
In primo luogo si è evidenziato che a carico del proposto debba sussistere indizi di appartenenza ad una associazione di tipo mafioso. Al riguardo va segnalato che con leggi successive alla legge Rognoni – La Torre172, l'applicabilità delle misure patrimoniali è stata estesa anche agli indiziati di narcotraffico e di coloro che si ritiene vivano dei proventi dei delitti di estorsione, sequestro di persona, riciclaggio, reimpiego, contrabbando ed usura.
Inoltre, sino alla riforma del 2009, era necessario che al proposto fosse stata applicata una misura di prevenzione di carattere personale. Infine, è stato ribadito173 che i beni dei quali si chiede il sequestro e la confisca debbano rientrare tra quelli di cui il proposto possa disporre e che comunque vi sia sproporzione tra il valore di tali beni e i redditi dichiarati o l'attività economica svolta. È indubbio che il proposto possa sempre dimostrare la legittima proveniente dei beni in sequestro: di fronte a questa inversione dell'onere della prova, la giurisprudenza ha spiegato che trattasi di un onere di allegazione a carico dell'interessato per contrastare l'efficacia probatoria degli elementi indizianti a suo carico174.
L'impianto delle misure di prevenzione è stato significativamente modificato dalla Legge n. 125/2008 e dalla Legge n. 94/2009, mentre ulteriori modifiche sono state apportate dalla Legge n. 50/2010, istitutiva della Agenzia nazionale per i beni
169 X. XXXXXXXX, Verso lo statuto della confisca di prevenzione: natura giuridica, retroattività e correlazione temporale, in Il libro dell'anno del diritto 2016, Roma, 689 ss.
170 AA.VV., Le misure di prevenzione dopo il c.d. codice antimafia. Aspetti sostanziali e aspetti procedurali, Dossier a cura di X. XXXXXX, in Giur. It., 2015, 1520 ss.; AA.VV., La giustizia preventiva. Ricordando Xxxxxxxx Xxxxx, Atti del Convegno di Cagliari, 29/31 ottobre 2015, Milano, 2016.
171 Legge n. 125/2008 e Legge n. 94/2009. 172 Legge n. 646/1982.
173 AA.VV., Le misure di prevenzione, cit., pag. 1540 ss.
174 Cass. Pen., Sez. 5, n. 16311 del 23/01/2014 – dep. 14/04/2014, Xx Xxxxxxxx e altri, Rv.
259871.
sequestrati e confiscati.
Queste leggi sono confluite nel Codice antimafia (D.Lgs. n. 159/2011) che aggiorna la normativa e raccoglie tutta la legislazione vigente in tema di misure di prevenzione175.
Sul piano internazionale, le misure di prevenzione patrimoniali sono sconosciute agli ordinamento giuridici degli altri Paesi europei. Ne consegue che questi non accolgono richieste di sequestro e confisca da eseguire con rogatoria nei loro territori, quando non si tratti di confisca penale, fondata su di una sentenza di condanna che attesta il nesso di collegamento tra il bene oggetto della confisca e il reato accertato.
Un altro significativo strumento di contrasto alla criminalità è dato dalla confisca di valori ingiustificati prevista dall'art. 12-sexies ed introdotta nell'ordinamento nel 1992.
Essa consegue alla condanna per alcuni reati tassativamente indicati – c.d. Reati matrice – il cui catalogo si è significativamente ampliato nel corso degli anni e riguarda quei beni che sono sproporzionati rispetto ai redditi del condannato o di cui quest'ultimo non sia in grado di giustificare la provenienza.
Come è stato affermato dalla giurisprudenza176, si tratta di una forma moderna di confisca, perché prescinde dal rapporto di pertinenza dei beni da confiscare con un reato specifico.
In particolare: “la confisca prevista dall'art. 12-sexies del D.L. 8 giugno 1992 n. 306 ha natura di misura di sicurezza patrimoniale e non di pena “sui generis” o pena accessoria e perciò non opera il principio di irretroattività proprio della pena, ma quello della applicazione della legge vigente al momento della decisione dell'art. 200 c.p.”177
Le ipotesi delittuose cui è applicabile tale specie di confisca erano in origine
175 Il Codice prevede, tra l'altro, un limite di durata per il procedimento di secondo grado, con la perdita di efficacia del sequestro ove non venga disposta la confisca nel termine di un anno e sei mesi dalla immissione in possesso da parte dell'amministratore giudiziari, nonché, in caso di impugnazione della decisione, entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso; è altresì prevista la possibilità di proroga dei suddetti termini per sei mesi e per non più di due volte in caso di indagini particolarmente complesse.
176 Cass., Sez. Un., n. 920/2003, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
177 Cass. Sez. I, n. 8404/2009, Xxxxxxxx, Rv. 242862
limitate ai casi di delitti di criminalità organizzata; successivamente, l'istituto è stato esteso ai più gravi delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Il catalogo si è esteso via via ad altre figure di reato, tanto da configurare la confisca per sproporzione quale strumento generale di contrasto del crimine da profitto178.
Risultano senz'altro chiare le differenze strutturali fra la confisca di prevenzione e quella per sproporzione.
178 Le fattispecie per le quali originariamente era prevista la confisca erano quelle di associazione di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.), di associazione finalizzata al traffico degli stupefacenti (art. 74 D.P.R. n. 309/1990), o finalizzata al contrabbando dei tabacchi (art. 295, comma 2, D.P.R n. 43/1973), l'estorsione (art 629 c.p.), di sequestro di persona (art. 630 c.p.), di riciclaggio (art. 648 bis c.p.), di reimpiego (art 648 ter c.p.), di intestazione fittizia di beni ex art. 12 quinquies D.L.306/1992, di usura (art. 644 c.p.), di ricettazione (art. 648 c.p.); esse sono state ampliate continuamente nel corso degli anni anche in assenza di un criterio in grado di individuare una logica perseguita. Così nel 2001, si è sancita la confiscabilità dei beni del condannato per i delitti commessi per finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine costituzionale; nel 2007 con la legge finanziaria (art. 1, comma 220, L. 2962006) si è resa possibile la confisca in presenza di una serie di reati contro la pubblica amministrazione – in particolare, peculato (art. 314 c.p.), peculato mediante profitto dell'errore altrui (art. 316 c.p.), malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis cp.p.), indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato (art. 316 ter c.p.), concussione (art. 317 c.p.), corruzione per atto di ufficio (art. 318 c.p.), corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio (art, 319 c.p.), corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter c.p.), corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 320 c.p.), istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.), reati dei pubblici ufficiali internazionali (art. 322 bis c.p.), utilizzazione di invenzione e scoperte conosciute per ragioni di ufficio (art. 325 c.p.) - ; con l'art. 7, comma 3, della L n. 228/2003 si sono aggiunte le fattispecie di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), tratta di persone (art. 601 c.p.) ed acquisto ed alienazione di schiavi (art. 602 c.p.) nonché di quella di associazione a delinquere finalizzata a commettere i delitti da ultimo ricordati (art. 416, comma 6, c.p.); con l'art. 15, comma 3, della L.n. 99/2009, sono stati inclusi fra i reati presupposto, anche la contraffazione, l'alterazione o l'uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (art. 473 c.p.), l'introduzione nello Stato di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.), la fabbricazione ed il commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale (art. 517 ter c.p.), la contraffazione di indicazione geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517 quater c.p.), nonché l'associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei predetti reati (art. 416 c.p.); con l'art. 8 della L. n. 172 /2012 (di ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa di Lanzarote, per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale) si è aggiunta ancora una serie di delitti connessi alla varie forme di sfruttamento sessuale dei minori; in particolare ai reati di prostituzione minorile (art. 600 bis c.p., limitatamente, però, al solo comma 1, riferito al reclutamento, all'induzione, al favoreggiamento, allo sfruttamento e gestione della prostituzione minorile), pornografia minorile (art. 600 ter c.p., limitatamente ai commi 1 e 2, relativi alla produzione di spettacoli o di materiale pornografico con l'utilizzo dei minori ed alla commercializzazione del medesimo materiale), pornografia virtuale (art. 600 quater-1 c.p., relativamente alla condotta di produzione e commercio di materiale pornografico) e iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600 quinquies c.p.); infine con la legge anticorruzione (L. n. 190/2012) e con la scissione della originaria fattispecie di concussione, è stato aggiunto al catalogo anche il delitto di induzione di cui all'art. 319 bis c.p.
Quella di prevenzione prescinde dalla commissione del reato, mentre quella per sproporzione presuppone non solo la commissione di un reato, ma richiede necessariamente anche una sentenza di condanna.
Diversi sono anche i procedimenti per i quali le due forme di ablazione vengono applicate: l'una nell'ambito di una procedura con regole peculiari, l'altra nell'ambito di un processo penale o a latere dell'accertamento della commissione del reato presupposto o in fase esecutiva dopo che sia divenuta irrevocabile una sentenza di condanna179.
La Suprema Corte, per la verità, ha evidenziato delle indiscutibili affinità180. Entrambi i provvedimenti tendono ad intervenire su patrimoni ritenuti in via presuntiva illeciti, senza la necessità di dover dimostrare la specifica provenienza da delitti. Inoltre, su entrambe le figure, è previsto l'identico presupposto della sproporzione reddito/disponibilità, che tuttavia in un caso (quello di prevenzione) si ricollega alla pericolosità soggettiva, nell'altro (quello per sproporzione) ad un giudicato di condanna.
Con riferimento alla confisca di cui all’art. 12 sexies cit., occorre infine segnalare che in una logica di valorizzazione dello strumento della confisca allargata, prevista dall’art. 5 della direttiva nr. 42/2014, il legislatore italiano ha ritenuto opportuno inserirne la disciplina nel codice penale come art. 240 bis (D.Lgs. nr. 21/2018).
Precisamente, la riforma introdotta dal D.lgs. 21 marzo 2018 nr. 21 ha abrogato
179 Sulla possibilità di applicare la confisca allargata anche in fase esecutiva, Xxxx. Sez. Un.,
n. 29022/2001, Xxxxxxxx, Xx. 000000, secondo cui: “la confisca dei beni patrimoniali dei quali il condannato per determinati reati non sia in grado di giustificare la provenienza, prevista dall'articolo 12-sexies D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 8 agosto 1992,
n. 356, come modificato dal d.l. 20 giugno 1994, n. 399, convertito in legge 8 agosto 1994 n. 501, può essere disposta anche dal giudice dell'esecuzione che provvede “de plano”, a norma degli articoli 676 e 667, comma 4, cod.proc.pen., ovvero all'esito di procedura in contraddittorio a norma dell'art. 666 dello stesso codice, salvo che sulla questione non abbia già provveduto il giudice della cognizione, con conseguente preclusione processuale”.
180 L'affinità di funzione delle due ipotesi di confisca ha consentito di utilizzare alla giurisprudenza alcune disposizioni dettate dal legislatore in tema di confisca di prevenzione anche per la confisca penale per sproporzione. Così, si è ammessa la possibilità di disporre la confisca ex art. 12 sexies anche nei confronti di persona deceduta, sia pure dopo una condanna definitiva (Xxxx. Pen. Sez. V, n. 9576/2008, Xxxxx, Rv. 239117); oppure si è individuato il giudice competente ad occuparsi della gestione dei beni in stato di sequestro, in quello che lo aveva disposto, allo stesso modo di quanto accade per i sequestri di prevenzione (Cass. Pen., Sez. I, n. 9139/2013, Confl. comp., Rv. 254956).
quasi per intero l’art. 12 sexies D.L. nr. 306/1992 (si veda al riguardo, l’art. 7, lett. h) e ne ha trasferito il contenuto all’interno del capo relativo alle misure di sicurezza patrimoniali, appunto subito dopo l’art. 240 sulla confisca (art. 240 bis in commento).
Sono stati fatti salvi due commi del citato art. 12 sexies: a) il comma 4 ter, aggiunto dall’art. 24 Legge nr. 45/2001 e poi modificato dall’art. 6 D.Lgs. nr. 21/2018, in base al quale con separati decreti, il Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia, sentiti gli altri Ministri interessati, stabilisce anche la quota dei beni sequestrati e confiscati a norma dell’art. 240 bis c.p. da destinarsi per l’attuazione delle speciali misure di protezione previste dal D.L. nr. 8/1991 , conv. con modif. dalla legge nr. 82/1991 e succ. mod. e per le elargizioni previste dalla legge nr. 302/1990 , recante norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. Nei decreti il Ministro stabilisce anche che, a favore delle vittime, possa essere costituito un Fondo di solidarietà per le ipotesi in cui la persona offesa non abbia potuto ottenere in tutto o in parte le restituzioni o il risarcimento dei danni conseguenti al reato; b) il comma 4 quater, aggiunto dall’art. 24 Legge nr. 45/2001, secondo cui il Consiglio di Stato esprime il proprio parere sugli schemi di regolamento di cui al comma 4 ter entro trenta giorni dalla richiesta, decorsi i quali il regolamento può comunque essere adottato. La confisca contemplata dall’art. 240 bis c.p. riprende la formulazione previgente dell’art. 12 sexies, correggendo il richiamo alle fattispecie di traffico di rifiuti, di trasferimento fraudolento di valori e di indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito. Il richiamo alla disciplina antimafia è formulato senza citare espressamente il D.Lgs. nr. 159/2011, ma riferendosi alla “disposizioni delle leggi antimafia in materia di misure di prevenzione”.
La Legge nr. 161/2017 ha riformato in maniera significativa, dunque, la disciplina di tale forma di confisca, cristallizzando gli orientamenti giurisprudenziali meno garantisti, ma soprattutto perseguendo il preciso disegno di politica criminale di assimilarne la disciplina a quella della confisca misura di prevenzione. Il legislatore ha sancito così la sua applicazione nel procedimento di esecuzione in mancanza di sufficienti garanzie procedurali, ma soprattutto ne ha consentito
l’applicazione anche in caso di prescrizione (dopo una sentenza di condanna) e di morte del condannato (dopo la sentenza definitiva), e senza la possibilità di dimostrare il valore proporzionato degli acquisti attraverso i proventi dell’evasione fiscale, se non addirittura attraverso il reddito imponibile sottratto alla tassazione. Tra l’altro la problematicità della riforma è accentuata dal fatto che il legislatore tende ad estendere sempre di più l’ambito di applicazione di tale riforma di confisca a fattispecie estranee alla sua logica originaria, come evidenziato anche dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., sent. nr. 33/2018).
Una considerazione a parte merita anche la confisca (rectius le confische) previste dal D.Lgs. n. 231/2001 in materia di responsabilità degli enti per illeciti dipendenti da reato, di cui si tratterà ampiamente nel proseguo.
Conviene sin da subito evidenziare che si tratta di una confisca speciale, prevista anche per equivalente, di determinati beni legati da un nesso pertinenziale con il reato181. Ciò che caratterizza l'ablazione in esame è la circostanza di colpire non una persona fisica ma un ente, dotato o meno di personalità giuridica, per una responsabilità riconosciuta direttamente a suo carico in conseguenza di un illecito dipendente da reati commessi nell'interesse del medesimo ente da persone fisiche in posizione qualificata al suo interno182.
Come è stato autorevolmente sostenuto183, gli effetti sistematici di una tale previsione sono da considerarsi dirompenti in un sistema che, come si vedrà, è incentrato sulla considerazione della confisca penale come misura di sicurezza applicata nei confronti di persone fisiche, di talché la confisca nei confronti degli enti era usualmente applicata solo attraverso la loro considerazione quali meri schermi dietro quali la persona fisica in realtà stava agendo.
In particolare, tali effetti di sistema conseguenti alla introduzione della confisca per la responsabilità diretta degli enti, riguardano sia la perdita, da parte dell'ente, della sua qualità di terzo rispetto al reato, sia la natura sanzionatoria
181 O da provvedimenti adottati in conseguenza di questo, come nel caso della confisca del profitto derivante dalla gestione commissariale dell'ente.
182 XXXXXX, Manuale di Procedura Penale, Xxxxxxx, Milano, 2017, p. 965 ss.
183 XXXXXXXXXX, La confisca, in ALESSANDRI (a cura di), Il nuovo diritto penale delle società, Ipsoa, Milano, 2002.
espressamente prevista dal legislatore per la principale ipotesi di confisca ivi prevista, quella del profitto, prezzo o prodotto del reato.
La fonte normativa di riferimento è offerta, anzitutto, dall'art. 19 del D.Lgs. n. 231/2001 il quale stabilisce che: “nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede”.
Tale misura è diversa da quella prevista dall'art. 6, comma 5, che prevede la confisca del profitto del reato, commesso da persone che rivestono posizioni apicali nell'ente, nella ipotesi particolare in cui l'ente sia ritenuto esente da responsabilità, per aver adottato i modelli di organizzazione e gestione – i cosiddetti compliance programs – previsti per prevenire la commissione di reati della specie di quello cui il profitto tratto dallo stesso ente si riferisce.
Quando la confisca diretta non può essere eseguite, il comma 2 dell'art. 19 prevede che possa essere attuata confisca di valore o per equivalente184.
Illustre dottrina185 ha evidenziato come, in tale fattispecie, in vi sarebbe alcuna differenza rispetto alle altre ipotesi di confisca per equivalente previste dal codice penale186 e da varie disposizioni poste dalle leggi speciali: la comune ratio essendi sarebbe costituita dal superamento dei limiti entro i quali può trovare applicazione la confisca ordinaria, prevedendo l'estensione del provvedimento ablatorie alle utilità patrimoniali equivalenti a quelle che, per varie ragioni, non siano più rinvenibili187.
Anche la Suprema Corte ha affermato che, in tale ipotesi di confisca, il nesso di pertinenzialità dal reato finisce per essere totalmente eliminato: “(...)
185 PISANI N., Le ipotesi di confisca nel D.Lgs. n. 231/2001 in tema di responsabilità amministrativa ex crimine dell'ente: profili sostanziali, in Relazione tenuta all'incontro del CSM, Criminalità organizzata e pubblica amministrazione, 9/11/2005.
186 Si pensi agli artt. 322-ter, 640-quater, 644, 648-quater c.p.
187 Ad esempio, in caso di occultamento, alienazione etc.
caratteristica comune della confisca per equivalente, nelle varie ipotesi previste, è che “può” essere adottata solo se, per una qualsivoglia ragione, i proventi dell'attività illecita, di cui pure sia certa l'esistenza, non siano rinvenuti nella sfera giuridico-patrimoniale dell'autore del reato, perché consumati, confusi o trasformati, in tali casi intervenendo l'ablazione su beni svincolati dal collegamento fisico con il reato stesso”188.
In sostanza, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'uso del verbo potestativo potrebbe correlarsi esclusivamente alla pluralità degli oggetti aggredibili (denaro, beni o altre utilità) sino alla concorrenza del valore del prezzo o del profitto, senza coinvolgere affatto la confisca in sé, sempre obbligatoria.
Ovviamente, la confisca per equivalente ha natura sussidiaria, e comporta la previa verifica negativa circa la confiscabilità dei beni nelle forme ordinarie, nonché la giustificazione della relativa necessità da parte dell'autorità giudiziaria189.
Ciò è reso palese dal riferimento contenuto nel paragrafo 7 della Relazione al D.Lgs. n. 231/2001, nel quale è previsto che l'impossibilità di eseguire la confisca nella forma ordinaria debba essere sopravvenuta, come avviene qualora i beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato siano stati, ad esempio, ceduti a terzi in buona fede.
16. LA DIRETTIVA 2014/42/UE E LA SUA (IMPERFETTA) ATTUAZIONE.
La direttiva 2014/42/UE tenta di risolvere l’individuazione delle garanzie e dei principi fondamentali che presiedono l’applicazione di tale misura. In particolare, essa detta norme minime in materia di confisca dei beni, destinate ad essere trasposte nell’intero spazio giuridico europeo.
Si tratta di uno strumento normativo che ha visto la luce – con la pubblicazione sulla GUCE il 29 aprile 2014 – dopo un lungo iter legislativo iniziato nel 2012 con la proposta di direttiva della Commissione al Parlamento europeo e al
188 Cass., Sez. VI, n. 19051/2013.
189 Cass. Pen., sez. III, n. 28225/2016.
190
Consiglio (COM/2012/0085), proposta che è stata peraltro sviluppata a seguito della richiesta d’iniziativa legislativa rivolta dallo stesso Parlamento alla
Commissione nell’ottobre del 2011.
Come esplicitato nei 44 consideranda che precedono l’articolato, la direttiva muove dalla consapevolezza che il motore principale della criminalità organizzata
– che sempre più spesso assume una dimensione transfrontaliera – è il profitto economico e che la prevenzione e la lotta efficace contro tale forma di criminalità richiede la neutralizzazione di questo profitto.
Sulla base di questo assunto, la direttiva si pone l’obiettivo di introdurre norme minime che consentano il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in modo da favorire la cooperazione tra le diverse autorità nazionali e rafforzare, così, l’efficacia del congelamento (o, secondo la terminologia usata dal giurista italiano, del sequestro) e della confisca dei beni, pur nel rispetto di alcune garanzie fondamentali che devono essere riconosciute alle persone destinatarie dei provvedimenti ablativi191.
Venendo ai contenuti, l’art. 4 della direttiva pone a carico degli Stati membri l’obbligo di adottare «le misure necessarie per poter procedere alla confisca, totale o parziale, di beni strumentali o proventi da reato, o di beni di valore corrispondente a detti beni strumentali o proventi, in base a una condanna penale definitiva». La normativa europea, pertanto, introduce l’obbligo di prevedere che,
190 Per un primo commento al testo della direttiva si xxxx XXXXXXX, A.M., La Direttiva 2014/42/UE relativa alla confisca degli strumenti e dei proventi da reato nell’Unione europea tra garanzie ed efficienza: un “work in progress”, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 19.9.2014 (e ivi per ampi riferimenti al complesso iter legislativo che ha condotto all’adozione della direttiva).
191 L’ambito di applicazione della direttiva è circoscritto ad alcune materie di competenza dell’Unione Europea. In particolare la direttiva si applica ai reati già previsti dalla Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione, nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione, dalle decisioni quadro relative al rafforzamento della tutela contro la falsificazione di monete (2000/383/GAI) e contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti (2001/413/GAI), dalle decisioni quadro concernenti il riciclaggio di denaro, (2001/500/GAI), la lotta contro il terrorismo (2002/475/GAI), la lotta contro la corruzione nel settore privato (2003/568/GAI), i reati e le sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti (2004/757/GAI), la lotta contro la criminalità organizzata (2008/841/GAI), nonché dalle direttive concernenti la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani (2011/36/UE), la lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile (2011/93/UE) e la direttiva relativa agli attacchi contro sistemi informatici (2013/40/UE).
in caso di condanna, l’autorità giudiziaria possa disporre la confisca – diretta o per equivalente – sia dei beni utilizzati o destinati ad essere utilizzati, in qualsiasi modo, in tutto o in parte, per commettere uno o più reati («beni strumentali»), sia di ogni vantaggio economico derivato, direttamente o indirettamente, dalla commissione di reati («proventi»). La direttiva propone una definizione molto ampia di «provento» secondo la quale «esso può consistere in qualsiasi bene e include ogni successivo reinvestimento o trasformazione di proventi diretti e qualsiasi vantaggio economicamente valutabile» (art. 2). Agli Stati membri è riconosciuta la facoltà di stabilire se la confisca per equivalente debba essere considerata come sussidiaria o alternativa rispetto alla confisca diretta.
Pur subordinando in linea di principio l’obbligo di procedere alla confisca al presupposto di una sentenza definitiva di condanna, al par. 2 dell’art. 4 estende tale obbligo anche alle ipotesi in cui non è possibile giungere a una sentenza definitiva di condanna «almeno nei casi in cui tale impossibilità risulti da malattia o da fuga dell’indagato o imputato».
In questo caso, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie per consentire la confisca dei beni strumentali e dei proventi del reato «laddove sia stato avviato un procedimento penale per un reato che può produrre, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico e detto procedimento avrebbe potuto concludersi con una condanna penale se l’indagato o l’imputato avesse potuto essere processato».
Assai rilevante nel quadro della normativa europea, anche la disposizione contenuta nell’art. 5 che disciplina i cd. poteri estesi di confisca, ossia una misura che può essere assimilata alla cd. confisca allargata prevista dall’art. 12 sexies d.l.
n. 306/1992. La previsione di poteri estesi di confisca è introdotta dalla direttiva
«allo scopo di contrastare efficacemente le attività della criminalità organizzata» nella convinzione che vi possono essere situazioni nelle quali «è opportuno che la condanna penale sia seguita dalla confisca non solo dei beni associati ad un dato reato, ma anche di ulteriori beni che l’autorità giudiziaria stabilisca costituire proventi da altri reati» (considerando n. 19).
L’esercizio dei poteri estesi di confisca è subordinato dal legislatore europeo al
ricorrere di un duplice presupposto: innanzitutto è necessario che la persona nei cui confronti è disposta la misura ablativa sia stata condannata per uno dei reati
«suscettibili di produrre, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico» previsti dallo stesso art. 5, par. 2192.
In secondo luogo, è richiesto che il giudice raggiunga la convinzione circa l’origine illecita dei beni che appartengono alla persona condannata. Con riferimento allo standard di prova richiesto, il testo della norma si limita a stabilire che la confisca deve essere disposta quando «l’autorità giudiziaria … è convinta che» (nella versione inglese: «where a court … is satisfied that»; e nella versione francese: «lorsqu’une juridiction …est convaincue que») i beni in questione derivino da condotte criminose e che tale convinzione può essere ricavata anche dalla circostanza che il valore dei beni è sproporzionato rispetto al reddito legittimo della persona condannata. Rilevante a questo proposito il considerando
n. 21 ove si precisa che «ciò non significa che debba essere accertato che i beni in questione derivano da condotte criminose» in quanto «gli Stati membri possono disporre, ad esempio, che sia sufficiente che l’autorità giudiziaria ritenga, in base ad una ponderazione delle probabilità, o possa ragionevolmente presumere, che sia molto più probabile che i beni in questione siano il frutto di condotte criminose piuttosto che di altre attività».
Allo scopo di contrastare la pratica «comune e sempre più diffusa» del trasferimento dei beni al fine di evitare la confisca da parte di un indagato o di un imputato ad un terzo compiacente, l’art. 6 introduce la possibilità di procedere alla confisca, sia diretta che per equivalente, dei proventi da reato (e non anche dei beni strumentali) «che sono stati trasferiti, direttamente o indirettamente, da un indagato o un imputato a terzi, o che sono stati da terzi acquisiti da un indagato o imputato, almeno se tali terzi sapevano o avrebbero potuto sapere che il
192 Si tratta dei reati di corruzione attiva e passiva nella quale sono coinvolti funzionari delle istituzioni dell’Unione o degli Stati membri e corruzione nel settore privato, reati relativi alla partecipazione a un’organizzazione criminale almeno nei casi in cui il reato ha prodotto vantaggi economici, reati di pornografia minorile, reati concernenti l’attacco a sistemi informatici, nonché ogni altro reato – ovviamente tra quelli rientranti nel campo di applicazione della direttiva – per il quale è prevista dallo strumento comunitario pertinente o dalla normativa nazionale una pena detentiva pari nel massimo ad almeno quattro anni.
trasferimento o l’acquisizione dei beni aveva lo scopo di evitare la confisca». Tale circostanza deve essere accertata sulla base di fatti e circostanze concreti, ivi compreso il fatto che il trasferimento o l’acquisto sia stato effettuato a titolo gratuito o contro il pagamento di un corrispettivo significativamente inferiore al valore di mercato. Ovviamente, la possibilità di procedere alla confisca di beni nei confronti di terzi non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.
La direttiva detta altre disposizioni volte a rafforzare la cooperazione tra Stati membri in materia di recupero e confisca dei beni di origine criminosa, alle quali possiamo dedicare in questa sede solo un particolare cenno. L’art. 7 stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di introdurre le misure necessarie per consentire il congelamento (vale a dire, il sequestro) dei beni in vista di un’eventuale successiva confisca.
L’art. 9 pone l’obbligo di adottare le misure necessarie per individuare e rintracciare i beni da congelare e confiscare, nonché per assicurare l’efficace esecuzione del provvedimento di confisca. L’art. 10 fissa delle regole sulla gestione dei beni sottoposti a sequestro e confisca.
Infine, poiché la confisca – come viene riconosciuto anche dal legislatore europeo nel considerando n. 33 – «ha conseguenze rilevanti sui diritti delle persone, non solo degli indagati o degli imputati,ma anche di terzi», la direttiva impone l’obbligo agli Stati membri di introdurre specifiche misure volte a garantire che alle persone colpite da confisca siano riconosciuti alcuni diritti fondamentali 193.
Infine, attenzione particolare è prestata al profilo della tutela dei diritti degli individui e al rispetto dei principi fondamentali di garanzia. Come esplicitato nel considerando n. 38, la confisca disciplinata dallo strumento normativo europeo
«rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea… e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali…, come
193 Quali il diritto a un ricorso effettivo contro i provvedimenti di congelamento e confisca, il diritto a un giudice imparziale, il diritto a che la decisione di congelamento dei beni sia comunicata all’interessato il prima possibile con l’indicazione, almeno sommaria, del motivo o dei motivi del provvedimento, il diritto a che ciascun provvedimento di confisca sia tempestivamente comunicato all’interessato e sia motivato.
interpretate nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo» e, pertanto, la direttiva «dovrebbe essere attuata conformemente a tali diritti e principi». Allo scopo di evitare che la confisca si traduca in una compromissione eccessiva del diritto di proprietà, la direttiva ha cura di precisare che le disposizioni sulla confisca di beni di valore corrispondente ai beni strumentali al reato trovano applicazione «se, alla luce delle circostanze particolari del caso di specie, tale misura è proporzionata, considerato, in particolare, il valore dei beni strumentali interessati» (considerando n. 17); e, più in generale, che nell’attuazione della direttiva «gli Stati membri possono prevedere che, in circostanze eccezionali, la confisca non sia ordinata qualora … essa rappresenti una privazione eccessiva per l’interessato» (considerando n. 18).
In buona sostanza, la direttiva disciplina un tipo di confisca europea che esula dalle forme e dai modelli procedurali che, come già analizzato, caratterizzano il nostro ordinamento194.
È stato acutamente osservato come la confisca europea non tollera moduli accertativi fondati sull'unico indizio della sproporzione tra redditi e beni confiscabili, così come non consente che le possibilità di impugnazione siano limitate al vizio di mera violazione di legge, come invece accade con il nostro sistema di impugnazioni195. Così, l'imposizione di un modello europeo, minimo e comune non delegittima le forme dell'ordinamento italiano di confisca, ma le rende comunque estranee proprio a quel contesto europeo inteso a garantire la reciproca riconoscibilità dei provvedimenti in materia di confisca196. D'altronde, lo “spirito” del Legislatore italiano si coglie nella relazione illustrativa che accompagna lo schema di decreto legislativo trasmesso dal Ministro Xxxxxx in
194 Si pensi alla confisca ex art. 12 -sexies del D.L. n. 306/1992, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 356/92 e soprattutto alla confisca di prevenzione che, come ampiamente illustrato, rappresenta un modello ablativo slegato da condanne da procedimenti penali pendenti, impermeato su una logica dimostrativa del sospetto e non certo della prova.
195 XXXXXXXXX X., I provvedimenti ablativi, in Processo penale e regole europee: atti, diritti, soggetti e decisioni. Estratto, a cura di XXXXXXXX X., Giappichelli Editore, 2017, pag. 56 e ss.
196 In questa prospettiva, il X.Xxx. n. 137/2015 ha dato attuazione alla decisione quadro 2006/783/GAI, in materia di riconoscimento reciproco delle decisioni di confisca, ignorando i contenuti della successiva direttiva 2014/42. Peraltro nulla è mutato anche con il D. Lgs. 202/2016, pure dedicato espressamente alla recezione della direttiva in parola.
data 2 agosto 2016: “occorre premettere che l'ordinamento interno è adeguato rispetto all'utilizzazione degli strumenti di aggressione patrimoniale prevista dalla direttiva, fatta salva la necessità di alcuni adeguamenti di dettaglio”.
È stato in proposito evidenziato197 come il Legislatore abbia perso l'occasione di riformare l'istituto della confisca, sparso attraverso codici e leggi speciali e soggetto ad esegesi giurisprudenziali divergenti, stante la vetustà o la poca precisione dei testi normativi. Ciò è apparso ancor più grave laddove si consideri che non si è inteso perseguire l'intento della direttiva europea, ovvero l'armonizzazione dei casi e delle procedure di confisca all'interno degli Stati dell'Unione.
In realtà le norme europee ruotano attorno ad alcuni concetti basilari: confisca solo sulla premessa della condanna e decisione fondata solo su prove o indizi di fatti specifici (art. 5); effettiva possibilità di impugnare “le circostanze del caso, compresi i fatti specifici e gli elementi di prova disponibili in base ai quali i beni in questione sono considerati derivanti da condotte criminose” (art. 8, comma 8). Questi tre requisiti minimi della confisca europea confliggono con la confisca di prevenzione, possibile anche in assenza di condanna, fondata su dati probatori molto labili, e che infine risulta impugnabile con un ricorso per Cassazione dai limitatissimi poteri di controllo. Ma, quel che più conta, neppure risultano conciliabili con le tante forme di confisca estesa, fondate unicamente sull'indizio, rappresentato dalla sproporzione tra redditi/attività economica e beni confiscati.
000 XXXXXXX X., Xx D.Lgs. 202/2016: la confisca europea dei beni strumentali e dei proventi da reato trova ingresso nel nostro ordinamento, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx.
CAPITOLO II
LA CONFISCA IN MATERIA DI REATI SOCIETARI, FINANZIARI E NEL SETTORE PENALE TRIBUTARIO
SOMMARIO: 1. I nuovi strumenti di contrasto alla criminalità d’impresa. Premessa. 2. I reati societari nel codice civile. 3. I reati previsti dal testo Unico sulla Finanza. 4. L’evoluzione nel settore penale tributario. 5. La confisca e i cd. reati transazionali. 6. La confisca per equivalente: nozione, struttura e limiti. 7. La confisca del prezzo e del profitto dei delitti tributari. 8. Il sequestro di quote societarie, azioni e titoli di credito. 9. La confisca del profitto nelle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (caso Xxxxxx). 10. Confisca nei confronti dell’ente per i reati tributari commessi dagli amministratori: la dissociazione tra persona fisica e persona giuridica.
11. Confisca e concorso di persone di persone nel reato. 12. Confisca e prescrizione del delitto tributario. 13. La non appartenenza del bene a persona estranea al reato e la disponibilità del bene in capo al condannato. 14. La confisca senza previo sequestro preventivo. 15. Confisca diretta nei confronti dell’ente e confisca per equivalente verso il legale rappresentante. In particolare, il problema dell’onere della prova. 16. Confisca e reformatio in peius. 17. Il ne bis in idem sostanziale in tema di confisca del profitto del reato. 18. La disciplina degli artt. 19, 20 e 21 D.Lgs. nr. 231/2000 dinanzi al principio del ne bis in idem. 19. L’imperfetta realizzazione del ne bis in idem sostanziale. 20. L’operatività della preclusione processuale nei sistemi sanzionatori a doppio binario.
1. I NUOVI STRUMENTI DI CONTRASTO ALLA CRIMINALITA’ D’IMPRESA. PREMESSA.
In tema di lotta alla criminalità economica e ai traffici illeciti in generale non si può che partire da un fondamentale ma ormai pacifico rilievo ovvero che intanto un certo tipo di criminalità o traffico trova avvio in quanto risulti economicamente conveniente198. L’attività di impresa (in senso atecnico) criminale, infatti, risponde
198 Xxxx X. XXXXX, Il ruolo della confisca nel contrasto alla c.d. criminalità del profitto: uno sguardo di insieme, in Diritto Penale Contemporaneo, Riv. Trim., nr. 1/2018, pag. 37 e ss. Per un approfondimento vedi FORNARI, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie.
alla medesima logica che ispira l’attività di impresa lecita: cioè quella di realizzare un profitto (per questo si parla anche di “criminalità del profitto”). Il profitto non costituisce solo l’obiettivo finale, lo scopo dell’attività criminale, ma anche la base sulla quale poggia l’attività medesima. L’aggressione al profitto illecito rappresenta, pertanto, una delle chiavi essenziali per una efficace strategia difensiva (sia repressiva che preventiva), infatti impedire l’accumulo di capitale illecito consente di colpire il cuore della criminalità economica. In tale quadro, lo strumento principale della politica sanzionatoria patrimoniale è rappresentato, come si è avuto più volte occasione di sottolineare, dalla confisca, o meglio dalle confische, istituti ontologicamente finalizzati a neutralizzare l’accumulo di ricchezza illecita. Pertanto, la lotta all’accumulo di ricchezza illecita trova nella confisca lo strumento centrale e più efficace d’intervento grazie alla sua struttura plastica e alle diverse finalità cui la medesima può essere preordinata199.
Il panorama legislativo nel corso degli anni si è caratterizzato, dunque, per l’introduzione di numerose ipotesi speciali di confisca, con il precipuo fine di rafforzare – mediante l’introduzione di strumenti di apprensione delle utilità economiche provenienti dal delitto – la risposta sanzionatoria dello Stato a fronte del proliferare della criminalità economica200.
La tendenza ha riguardato, come si avrà modo di meglio approfondire nel proseguo, diversi settori: innanzitutto, la disciplina dei reati societari previsti dal codice civile (artt. 2621 – 2642) nell’ambito dei quali, a seguito della riforma
Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale moderno, Padova, 1997.
199 Dietro al nomen iuris confisca si ritrovano istituti tra loro eterogenei per struttura e per finalità accomunati soltanto sul piano dell’effetto prodotto ovvero l’ablazione della res oggetto di confisca: in questo senso X. XXXXX, La confisca per equivalente tra reati tributari e responsabilità dell’ente (in margine al caso Unicredit), in Diritto penale Contemporaneo, 23 gennaio 2012; X. XXXXXXXXXX, Criminalità economica e confisca del profitto, in DOLCINI
– XXXXXXX (a cura di), Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, III, Milano, 2006, pag. 2107.
200 X. XXXXXXXX, Criminalità dei patrimoni illeciti, in AA.VV., Criminalità transnazionale fra esperienze europee e risposte penali globali, Milano, 2005, pag. 152 per il quale l’emersione di nuove forme di confisca può essere considerata “sintomatica del mutamento di paradigmi che caratterizza più in generale il diritto penale contemporaneo” che conduce ad una sorta di passaggio da un modello di diritto penale classico ad modello moderno, se non addirittura post moderno; A.M. XXXXXXX, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 200, pag. 5 e ss., secondo la quale emerge “in maniera eclatante nella disciplina delle nuove sanzioni patrimoniali penali la contrapposizione tra il diritto penale cd. classico e il diritto penale cd. moderno”.
operata dal D.Lgs. 11 aprile 2002 nr. 61, è stata introdotta, mediante la riformulazione dell’art. 2641 c.c., un’ipotesi speciale di confisca. Ha riguardato anche il settore strettamente finanziario: nel Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria è prevista all’art. 187 la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, per il reato di abuso di informazioni privilegiate ex art. 184 (cd. insider trading) e per il reato di manipolazione del mercato ex art. 185; nell’ambito del TUF è prevista altresì un’ipotesi di confisca quale sanzione amministrativa ex art. 187 sexies per i relativi illeciti amministrativi. Nell’ambito del diritto tributario, invero, solo con il D.Lgs. nr. 158/2015 è stata introdotta una disposizione ad hoc nel relativo D.Lgs. 74/2000 (art. 12 bis) che disciplina una ipotesi speciale di confisca, sia nella forma diretta che per equivalente, tuttavia già in precedenza la necessità di apprestare un’adeguata risposta sanzionatoria al fenomeno dell’evasione fiscale, aveva indotto il legislatore ad introdurre, tramite l’estensione dell’art. 322 ter c.p., la confisca per equivalente anche per i reati tributari ad opera della legge nr. 244/2007 (finanziaria 2008) ex art. 1, comma 143. Particolare attenzione dovrà poi essere prestata alle ipotesi di confisca previste a carico degli enti per la responsabilità da reato e disciplinate dal D.Lgs. 231/2001 (infra Cap. III).
E’ su detti settori e segnatamente sulle diverse ipotesi di confisca previste per queste tipologie di reati che si appunterà il prosieguo della trattazione.
2. I REATI SOCIETARI NEL CODICE CIVILE.
La categoria dei reati societari201 comprende tutti quei delitti previsti dal legislatore con riguardo all’attività di organizzazione, gestione, controllo ed amministrazione delle società. Il legislatore, infatti, ha previsto fin dal 1930, una serie di norme incriminatrici volte a presidiare il pieno rispetto degli obblighi e delle funzioni degli organi sociali e della gestione limpida e retta della società.
201 Per una disamina approfondita vedi X. XXXXXXXX, Manuale di Diritto Penale – Parte Speciale, Tomo III, IV ed., Roma, 2017, pag. 603 e ss.; vedi anche T.E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema della responsabilità degli enti, op. cit. pag. 307 e ss.
Appare opportuno subito precisare che i reati societari non esauriscono tutti i comportamenti criminosi legati all’attività sociale. Basti pensare, al riguardo, che, da una parte, il legislatore prevede gli autonomi delitti di bancarotta valutando specificamente il momento di crisi e dissesto della società (delitti previsti dalla Legge Fall.); dall’altra, nell’ambito delle attività svolte da una società possono situarsi delitti del tutto distinti da quelli societari propriamente detti (ad esempio, si pensi ai reati contro la P.A. o a quelli in materia di inquinamento etc.) ma che traggono origine dal contesto imprenditoriale e spesso vengono compiuti proprio nell’interesse dell’ente. Il legislatore, tuttavia, non trascura anche la commissione di questi reati ordinari originatesi nella realtà societaria prevedendo una specifica forma di responsabilità degli enti. Dal settore dei reati societari propriamente detti va tenuto distinto un’altra categoria di reati che riguarda il diritto penale dei mercati finanziari, le cui fattispecie incriminatrici sono individuate nel Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF).
Ebbene, il legislatore del 1942, con l’entrata in vigore del codice civile, decise di collocare i reati societari fuori dal codice penale e prevedere un autonomo titolo (il Titolo XI del Libro V) ad essi dedicato (Disposizioni penali in materia di società e di consorzi e di altri enti privati). In relazione alle tipologie di reato incriminate possono distinguersi le falsità (capo I artt. 2621 2625 c.c.) tra le quali spiccano i due reati di false comunicazioni sociali; gli illeciti commessi dagli amministratori (Capo II artt. 2626 262c.c.), gli illeciti commessi mediante omissione (Capo III artt. 263 2631 c.c.), nonché altri illeciti (artt2632 -2638 c.c.) tra i quali, in particolare, occorre evidenziare l’art. 2635 c.c. rubricato “Corruzione tra privati” integralmente riscritto dal recente D.Lgs. nr. 38/2017 (ex art. 2, comma 1).
Nell’ambito dell’impianto della normativa in oggetto, emerge la previsione di una ipotesi speciale di confisca, misura introdotta mediante la riformulazione dell’art. 2641 c.c.202 ad opera della riforma operata dal X.Xxx. 11 aprile 2002 nr. 61.
202 Si riporta il testo dell’art. 2641 c.c.”Confisca”: “I. In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati del presente titolo è ordinata la confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo. II. quando non è possibile l’individuazione o l’apprensione dei beni indicati nel comma primo, la confisca
Ebbene, la disposizione in esame rende obbligatoria la confisca, anche per equivalente, del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo, in caso di condanna o applicazione della pena su richiesta delle parti, per uno dei reati previsti nel Titolo XI cod. civ.; la norma fa anche salva per quanto non espressamente stabilito l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 240 c.c.
I presupposti applicativi della confisca in oggetto sono, quindi, la presenza di un determinato titolo di reato, cioè la sussistenza di uno dei reati indicati tassativamente del titolo citato e non di un qualsiasi reato, nonché la condanna o un provvedimento ad essa equiparato dal legislatore ai fini predetti.
In particolare, con riferimento al primo requisito occorre rilevare come il titolo di reato, presupposto della speciale confisca in oggetto, venga individuato attraverso un criterio topografico, cioè con riferimento all’elenco dei reati specificamente previsti dal citato Titolo XI, si tratta di un criterio formale che esclude perciò la possibilità di estendere la confisca in esame a reati diversi da quelli compresi nell’elenco, trattandosi di norma derogatoria come tale non applicabile al di fuori dei casi espressamente previsti, oltre a venire in rilievo il divieto di analogia in malam partem proprio del diritto penale. Sul punto, dubbi sono sorti con riferimento a quei fatti di reato, previsti nel citato titolo, per i quali ex art. 223 L. Fall. si applica la pena prevista nell’art. 216 della medesima legge qualora abbiano cagionato o concorso a cagionare il dissesto (c.d. bancarotta impropria). Infatti, ove si consideri tale previsione come un titolo autonomo di reato si potrebbe sostenere che si tratta di reato diverso non contemplato nel Titolo XI c.c. come tale fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 2641 c.c., tenendo anche in conto che quest’ultima disposizione parla di condanna per uno dei reati e non per un fatto previsto dal citato titolo. Si sottolinea, pertanto, come non possa sfuggire l’irragionevolezza di una scelta legislativa che, in presenza di tutti gli elementi minimi per i quali sarebbe applicabile la confisca speciale in oggetto, non ritenga
ha ad oggetto una somma di denaro o di beni di valore equivalente. III. Per quanto non stabilito nei commi precedenti si applicano le disposizioni dell’art. 240 c.p.”. Per un approfondimento dottrinale si rinvia a X. XXXXXXX, La confisca obbligatoria in ambito penale, in Diritto Penale dell’Impresa, 14 ottobre 2014.
possa farsi ricorso alla medesima per l’ulteriore presenza di elementi (l’aver cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società) che, aggravando ulteriormente il disvalore del fatto, lo rendono meritevole di una pena più severa203. Vero è che considerare la bancarotta impropria come una mera aggravante del reato societario solleva sicuramente dei dubbi, non solo perché essa sembra assumere un autonomo disvalore, ma soprattutto perché andrebbe soggetta al giudizio di bilanciamento previsto dalla disciplina delle circostanze con tutte le conseguenze che da questo potrebbero derivare.
A fronte di queste considerazioni, la dottrina opta per la soluzione interpretativa di carattere formale che attribuisce rilievo alla condanna per il titolo di reato previsto dal titolo XI c.c. e non per una fattispecie prevista altrove, con conseguente esclusione, in quest’ultimo caso, della possibilità di applicare la confisca ex art. 2641 c.c.
Quello appena esposto non è, tuttavia, l’unico profilo problematico afferente la confisca de qua, in ordine alla quale si pongono in realtà una serie di problemi interpretativi a volte risolti in maniera differente da dottrina e giurisprudenza.
Uno di questi attiene alla sua natura giudica204, questione che ha alimentato un vivace dibattito.
Secondo un primo orientamento la confisca societaria presenterebbe la medesima natura giuridica di quella di cui all’art. 240 c.c. ovvero quella di misura di sicurezza patrimoniale. Secondo questa impostazione205, l’art. 2641 c.c. contemplerebbe una misura di sicurezza avente connotati speciali. Altro orientamento206 ne sostiene la natura di pena accessoria, essendo conseguenza diretta del reato, dotata di carattere afflittivo e di concreta attitudine alla
203 In questo senso T.E. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema della responsabilità degli enti, op. cit. pag. 308 e 309.
204 Cfr. X. XXXXXXX, La confisca obbligatoria in ambito penale, in Diritto Penale dell’Impresa, cit.
205 FOFFANI, sub. art. 2641, in PALAZZO – PALIERO (a cura di), Commentario breve alle leggi penali complementari, 2° ed., Padova, 2007, pag. 2565.
206 FONDAROLI, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Ablazione patrimoniale, criminalità economica, responsabilità delle persone fisiche e giuridiche, Bologna, 2007, pag. 227.
prevenzione generale. Altro indirizzo ermeneutico207 - ritenendo che la confisca societaria, pur incline ad assumere alcune caratteristiche proprie della pena accessoria non possa essere tecnicamente definita come tale poiché capace di superare il divieto di retroattività che, invece, opera in relazione alla confisca ex art. 322 ter c.p. - ne afferma la natura ibrida non riconducibile interamente né al genus delle misure di sicurezza né a quello delle pene accessorie208. Ad ogni modo la dottrina più attenta sembra non nutrire dubbi sulla natura penale della confisca societaria.
Ulteriore profilo che è stato oggetto di talune precisazioni riguarda l’estensione dell’oggetto della confisca in esame. Come detto, l’art. 2641 c.c. statuisce l’obbligo di disporre la confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo. Orbene, la giurisprudenza intervenuta più volte a delineare i caratteri delle varie categorie di proventi del reato, ha affermato che il profitto si identifica nel vantaggio economico ricavato dalla realizzazione del reato, il prezzo attiene esclusivamente ai motivi che hanno indotto il soggetto a commettere il medesimo rappresentandone il compenso, mentre il prodotto costituisce il risultato proveniente dall’attività criminosa. In ordine ai concetti di prodotto e profitto del reato, data la coincidenza dei termini utilizzati negli artt. 240 c.p. e 2641 c.c., se ne asserisce la totale identità dei rispetti concetti giuridici, con conseguente automatica estensione all’art. 2641 c.c. delle conclusioni già raggiunte in ordine all’applicazione dell’art. 240 c.p. La mancata menzione, invece, nell’art. 2641 cit. del prezzo del reato, già previsto come oggetto di confisca obbligatoria nell’art. 240 c.p., ha l’effetto di escludere per i beni o le utilità qualificabili come prezzo il ricorso alla confisca per equivalente, pertanto, pur essendo possibile procedere alla confisca diretta del prezzo del reato societario in forza della disposizione generale di cui all’art. 240 c.p., deve, invece, escludersi la possibilità di procedere alla confisca di beni dell’imputato di valore equivalente
207 FORNARI, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale “moderno”, Xxxxxx, 0000.
208 FONDAROLI, Splendori e miserie della confisca obbligatoria del profitto, in FONDAROLI (a cura di), Principi costituzionali in materia penale e fonti sovranazionali, Padova, 2008, pag. 134.