Dipartimento di Giurisprudenza
SCUOLA DI DOTTORATO
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA
Dipartimento di Giurisprudenza
Dottorato di Ricerca in: SCIENZE GIURIDICHE Ciclo: XXX Curriculum in: Diritto privato italiano, del lavoro e tributario
I CONTRATTI AD OGGETTO FUTURO E LE PROCEDURE CONCORSUALI
Dottorando: Xxxx Xxxxx Xxxxx
Matricola n.: 798813
Tutor: Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxx
Coordinatore: Prof.ssa Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx
ANNO ACCADEMICO: 2016/2017
I CONTRATTI AD OGGETTO FUTURO E LE PROCEDURE CONCORSUALI
Xxxxx Xxxxx Xxxx
INDICE:
Capitolo I:
I CONTRATTI AD OGGETTO FUTURO: CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE 3
2.1. L’emptio spei e l’emptio rei speratae 10
2.2. Il negozio su beni altrui 12
3.1. Teorie che hanno scisso la fattispecie in due negozi 16
3.1.1. Promessa di vendita e vendita 17
3.1.2. Negozio innominato e vendita 17
3.2.1. Negozio incompleto e negozio a consenso anticipato 18
3.2.2. Negozio condizionato 20
3.2.3. Negozio obbligatorio 22
3.3. Autonomia delle parti ed effetto reale 25
4.1.2. Negozio condizionato 31
4.1.3. Negozio obbligatorio 35
Capitolo II:
CONTRATTI AD EFFETTI REALI E OGGETTO FUTURO 49
2. La vendita avente ad oggetto beni futuri 51
2.1. Differenza con figure affini 53
2.1.1. Vendita ad oggetto futuro e contratto preliminare 53
2.2.1. Le obbligazioni che sorgono in capo alle parti 56
2.2.2. Passaggio del rischio 57
2.4. Singole figure di vendita 67
2.4.1. Vendita di beni da costruire 67
2.4.1.2. Il d.lgs. 20 giugno 2005, n.122 69
2.4.2. Vendita di azioni di società futura 73
2.4.3. Vendita di frutti e alberi 74
3.2. Differenza con figure affini 76
3.3.2. L’applicabilità del d.lgs 122/2005 79
3.5. Permuta di cosa presente con cosa futura a favore di terzi e art. 771 c.c 81
Capitolo III:
3. Contratti reali e oggetto futuro 91
3.1. Forme consensuali di contratti reali 92
3.1.1. Consegna come substantialia negotii 94
3.1.2. Consegna come naturalia negotii 97
3.1.3. Natura giuridica dell’accordo precedente la consegna 102
3.2. Pegno e futurità 105
3.2.1. Pegno su bene futuro 107
3.2.1.1. Natura giuridica 109
3.2.1.2. Il ruolo della consegna 112
3.2.1.3. Il diritto di prelazione 114
3.2.2. Il pegno mobiliare non possessorio ex d.l. 3 maggio 2016, n.59 114
3.2.2.1. Natura giuridica 118
3.2.2.2. Modalità di escussione 120
3.2.3. Pegno su crediti futuri 122
3.3. Forme reali di contratti consensuali 125
Capitolo IV:
DIRITTI FUTURI E MODIFICAZIONI SOGGETTIVE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 126
1. Premessa 126
2. Futurità e modificazioni del lato attivo 130
2.1. La cessione dei crediti futuri 131
2.1.1. Natura giuridica 132
2.1.2. Determinabilità del credito futuro 137
2.1.3. Pluralità di cessioni 139
2.1.4. Gli obblighi di garanzia 142
2.2. Il factoring 143
3. Modificazioni del lato passivo: le ipotesi di assunzione di un debito futuro 147
3.1. L’espromissione di un debito futuro 148
3.1.1. Natura giuridica 148
3.2. L’accollo 153
3.2.1. Natura giuridica 156
3.2.2. L’accollo legale di debito futuro 157
3.3. La delegazione 160
3.3.1. Natura giuridica 161
Capitolo V:
LA SORTE DEI CONTRATTI AD OGGETTO FUTURO IN CASO DI CRISI DELL’IMPRESA E ACCERTAMENTO DELLO STATO DI INSOLVENZA. 164
1. Premessa 164
2. La liquidazione giudiziale e i contratti ad oggetto futuro 166
2.1. I contratti ad effetti reali 172
2.1.1. La vendita ad oggetto futuro in generale 172
2.1.1.1. La vendita avente ad oggetto beni da costruire 176
2.1.2. La permuta di bene presente con bene futuro 179
2.2. I contratti reali 180
2.2.1. Il pegno non possessorio 181
2.3. Le modificazioni soggettive del rapporto obbligatorio dal lato attivo e passivo 186
2.3.1. La cessione del credito futuro 186
2.3.2. Il factoring 189
2.3.3. La delegazione di debiti futuri 193
2.3.4. L’accollo e l’espromissione di debito futuro 196
3. Il concordato preventivo e i contratti ad oggetto futuro 198
Bibliografia 203
Nel presente progetto di ricerca l’attenzione è rivolta principalmente all’analisi del fenomeno della
c.d. contrattazione su oggetto futuro.
Le esigenze di rapida circolazione della ricchezza hanno portato gli operatori del mercato ad utilizzare sempre più spesso tale strumento, che ha assunto un ruolo di primo piano nel panorama giuridico.
Si tratta di una figura contrattuale da tempo oggetto di studio da parte della dottrina e della giurisprudenza, impegnate su diversi fronti nella ricostruzione dogmatica della stessa. Le ricostruzioni prospettate sono diverse e con importanti ricadute applicative in ordine ad aspetti fondamentali, quali il momento perfezionativo e la sorte del negozio qualora il bene non venga ad esistenza.
Il principio che ammette in termini generali la deducibilità di oggetti futuri all’interno del regolamento contrattuale va poi coordinato con la specifica struttura e la funzione delle singole figure negoziali, sia tipiche che atipiche.
Queste ultime sono state organizzate e suddivise in tre macro-categorie, ognuna delle quali presenta degli aspetti peculiari: i contratti ad effetti reali, i contratti reali e le vicende modificative del rapporto obbligatorio.
Rispetto ai principali contratti di alienazione, ossia la vendita e la permuta, gli sforzi interpretativi si sono concentrati sull’irrobustimento dell’apparato rimediale previsto in capo all’acquirente, soprattutto in caso di inadempimento qualitativamente inesatto. La particolarità del fenomeno implica, infatti, una disciplina sui generis: gli effetti obbligatori diventano preminenti rispetto a quelli differiti non solo sotto il profilo cronologico, ma altresì dal punto di vista quantitativo (nascono nuovi obblighi).
Più complesso risulta, invece, il rapporto tra futurità e realità. Il requisito della consegna e la non esistenza del bene appaiono a prima vista due elementi inconciliabili.
È opportuno comprendere allora se la predeterminazione di condizioni alle quali è subordinata la recezione nel diritto del regolamento negoziale - come la consegna nei contratti nei quali la stessa è prevista quoad constitutionem - sia sottratta o meno al potere dispositivo delle parti.
Laddove, poi, la circolazione riguardi non beni, ma diritti futuri - come in caso di vicende modificative del rapporto obbligatorio – il nodo problematico è sicuramente la sufficiente determinabilità. La preoccupazione del legislatore è quella di rendere quanto più concreto e prevedibile l’impegno che si va ad assumere.
Tra le vicende che - nelle more tra l’avvenuta stipulazione del contratto e la sua compiuta esecuzione
- incidono in maniera rilevante sulla vicenda contrattuale si è data una particolare importanza alle procedure concorsuali, viste le ripercussioni negative che le stesse possono provocare nella sfera giuridica dei soggetti coinvolti. Sono quindi state elaborate alcune riflessioni di ordine sistematico in materia di contratti pendenti, con un occhio di riguardo alla riforma in corso in materia di crisi dell’impresa e insolvenza e gli istituti generali del diritto civile.
I CONTRATTI AD OGGETTO FUTURO: CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
Sommario: 1. Premessa - 2. Nozione - 2.1. L’emptio spei e l’emptio rei speratae - 2.2. Il negozio su beni altrui - 3. Natura giuridica - 3.1. Teorie che hanno scisso la fattispecie in due negozi - 3.1.1. Promessa di vendita e vendita - 3.1.2. Negozio innominato e vendita - 3.3. Teorie unitarie - 3.3.1. Negozio incompleto e negozio a consenso anticipato - 3.3.2. Negozio condizionato - 3.3.3. Negozio obbligatorio - 3.4. Autonomia delle parti ed effetto reale - 4. Regime - 4.1. Effetti inter partes - 4.1.1. Negozio incompleto - 4.1.2. Negozio condizionato - 4.1.3. Negozio obbligatorio - 4.2. Effetti verso i terzi - 5. La disciplina - 6. I divieti
Nel nostro ordinamento l’idoneità di un determinato bene a formare oggetto di uno specifico negozio va apprezzata tenendo conto di una serie di valutazioni, sia di ordine politico che giuridico.
Con riferimento al bene futuro si possono cogliere diverse soluzioni a seconda del contratto cui si fa rifrimento: laddove sia inserito all’interno di un negozio mortis causa prevale l’esigenza di non creare aspettative sulla morte altrui (art. 458 c.c.); se si tratta, invece, di una prestazione a titolo gratuito, emerge il tentativo di porre un freno agli atti di prodigalità (art. 771 c.c.)1.
Il legislatore ha, comunque, ritenuto ammissibile - in termini generali - la deducibilità della prestazione di cose future, salvi i particolari divieti posti dalla legge (art. 1348 c.c.).
Già a partire dal codice del 18652, è stata superata la tradizionale diffidenza verso i contratti a titolo oneroso che anticipano la disponibilità della ricchezza futura (per i più facili abusi cui si prestano secondo l’opinione comune)3. Non possono essere imposti impedimenti di natura formale alla libertà negoziale dei singoli laddove non ci sia un’adeguata giustificazione che trovi la propria ratio nella tutela di interessi sostanziali.
La dottrina aveva da tempo affermato che “quanto vale per il soggetto deve valere anche per l’oggetto”, pertanto, se è ammissibile un’attribuzione patrimoniale nei confronti di una persona
1 In dottrina sul punto: XXXXX X. Teoria generale del negozio giuridico, in VASSALLI F. (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, Torino, UTET, 1952, p. 237.
2 Si fa riferimento all’art. 1118: “Le cose future possono formare oggetto di contratto […]”.
3 Non trova più seguito nel nostro ordinamento l’antica e formalistica legge della simultaneità, secondo la quale l’intera fattispecie deve necessariamente venire ad esistenza e produrre i suoi effetti al momento della conclusione del contratto.
Dal punto di vista concettuale bisogna tenere distinti il piano della formazione del negozio da quello del rapporto e della sua attuazione: l’autoregolamento negoziale ben può riferirsi ad una cosa che ancora non c’è in rerum natura, purché sia dedotta in vista della sua futurità, ed è immediatamente vincolante per le parti6. Il rapporto contrattuale non può sorgere immediatamente nella sua completezza, dato che il bene ancora non esiste. Ciò non incide, però, sulla fase genetica e perfezionativa dell’accordo.
Le eccezioni a tale regola generale sono rappresentate innanzitutto da quelle espresse e contenute all’interno del codice, come quella in materia di donazioni e di patti successori.
Trattandosi di un principio espresso in termini generali va, tuttavia, coordinato con le singole figure contrattuali sia tipiche che atipiche8. La sua ammissibilità, infatti, non esclude che vi possa essere
4 Si veda BIONDI B., voce “Cosa futura”, in Noviss. Dig. It., IV, Torino, UTET, 1959, p. 1022.
5 Gli effetti contrattuali sono sostanzialmente analoghi a quelli tipici, subiscono però degli adattamenti al fine di poter meglio realizzare il peculiare assetto di interessi voluto dalle parti. In dottrina XXXXXXX G. sostiene che se è vero che quando la cosa è futura è inconcepibile il trasferimento del diritto al momento della conclusione del contratto (dato che su quel che non esiste non ci può essere un diritto dominicale), ciò non autorizza di per sé solo a concludere che non si possa disporre preventivamente e validamente del diritto su cosa futura. Si avrà un contratto completo di tutti i suoi elementi i cui effetti reali sono differiti e l’evento ulteriore (esistenza della cosa) rimane estraneo alla fattispecie negoziale, pur fungendo da funzione di concausa necessaria dell’efficacia reale rispetto alla quale il primo è preordinato, in Vendita obbligatoria, Milano, Xxxxxxx, 1957, p. 173.
6 Per approfondimenti: SCOGNAMIGLIO R., Dei contratti in generale. Art. 1321 - 1352, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja Branca, Bologna, Zanichelli, 1970, p. 354. Una tale eventualità è desumibile, oltre che dall’art. 1348 c.c., anche dall’art. 1347 c.c., il quale ammette che i contratti sottoposti a termine o condizione producano i loro effetti (differiti) quando la prestazione inizialmente impossibile diviene possibile prima dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine.
7 Opinione espressa da XXXXXXXXX X., in L’oggetto del contratto. Artt. 1346-1349, in Commentario Xxxxxxxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 2015, p. 177. Contra XXXXXXX G., op.cit., p. 172.
8 Cfr. sempre XXXXXXXXX E., Il contenuto e l’oggetto, in XXXXXXXXX X. (a cura di), I contratti in generale, I, Milano, UTET, 2006, p. 756.
una incompatibilità strutturale o sostanziale con la deducibilità di un bene futuro rispetto principalmente:
a) alla funzione causale del negozio: esistono dei contratti con funzione immediatamente traslativa, i quali presuppongono necessariamente l’attuale presenza del bene.
In dottrina è discusso - ad esempio - se il fondo patrimoniale possa avere ad oggetto beni futuri. La tesi contraria fonda il proprio convincimento sui seguenti motivi9. L’art. 167 cc fa espressamente riferimento a “determinati” beni, lasciando intendere che gli stessi siano esistenti. In secondo luogo il vincolo di destinazione di cui trattasi ha carattere reale immediato e non può limitarsi ad avere un effetto obbligatorio. Inoltre, qualora sia costituito da un terzo o da un coniuge, i quali non si riservino la proprietà esclusiva del bene, il negozio è qualificabile come liberalità non donativa e, pertanto, potrebbe trovare applicazione il divieto ex art. 771 c.c.10.
b) alla modalità di perfezionamento del contratto: con riferimento, in particolare, ai contratti reali11.
9 La compatibilità tra futurità e fondo patrimoniale è stata affrontata da: XXXXXX M.C., Il contratto in generale, Milano, Xxxxxxx, 2015, p. 368 e XXXXXXXX A., La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Milano, Xxxxxxx, 2000, p. 347. Quest’ultimo, in particolare, ritiene che non sia vietata la costituzione di un fondo patrimoniale di beni futuri nel caso in cui non vi sia liberalità, se cioè sia formato da beni di proprietà dei due coniugi in comunione legale (ad esempio la villa da costruire su un suolo in comunione legale). Questi ultimi devono però essere determinati. Non è, invece, consentita la generica costituzione di un fondo di tutti i beni che saranno acquistati in futuro.
La tesi che favorevole alla sua ammissibilità rileva come l’oggetto del fondo non sia il bene materiale, ma quello giuridico (il quale esiste nel momento in cui il fondo viene costituito), cfr. PERLINGIERI P., Xxxxx costituzione di fondo patrimoniale su “beni futuri”, in Diritto della famiglia, 1977, p. 275 ss.
10 Autorevole dottrina ritiene che laddove attraverso il negozio si produca comunque una liberalità, allo schema negoziale prescelto si applichino le cd. norme materiali della donazione, ossia un “quelle dettate per la donazione per espressa disposizione di legge o per la ratio propria delle disposizioni stesse”. Di conseguenza se la ratio dell’art. 771 c.c., come visto nel precedente capitolo, è quella di porre un freno alla prodigalità potrebbe essere considerata una norma materiale valevole anche in questo caso, cfr. TORRENTE A., La donazione, II ed. agg. in CARNEVALI U., MORA A. (a cura di), in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2006, p. 78.
Secondo un altro orientamento, invece, l’art. 771 c.c. sarebbe una norma eccezionale e pertanto non suscettibile di applicazione analogica.
In giurisprudenza: “la nullità (e la conseguente inidoneità ex art. 1159 cod. civ.) di tale donazione ex art. 771 cod. cod. civ. potrebbe essere affermata solo ove l’interpretazione (letterale e logica) di tale ultima norma consentisse di considerare come beni futuri i beni non ancora del donante, ma esistenti "in rerum natura" ed appartenenti ad altri, ma non per via di interpretazione analogica, in considerazione della natura eccezionale della norma in questione”, cfr. Cass., 5 febbraio 2001, n. 1596, in Riv. Notar., 2001 nota di GAZZONI; Corriere Giur., 2001, 6, p. 756 nota di XXXXXXXXX; Giur. It., 2001, p. 1595 nota di D’AURIA; Nuova Giur. Civ., 2001, 1, p. 679 nota di XXXXXXX; Nuove Leggi Civili, 2001,
p. 943 nota di SANTARSIERE; Notariato, 2001, 5, p. 454 nota di XXXXXXXX; Giust. Civ., 2002, 1, p. 471; Riv. Notar., 2002, p. 404 nota di XXXXXXX.
11 Sul punto si contrappongono varie tesi dottrinali. Alcuni autori ritengono “logicamente inconcepibile che la traditio possa avere ad oggetto un bene che non è ancora venuto ad esistenza”, cfr. XXXXXXXXX XXXX L, XXXXXXXX F.D., BRECCIA U., XXXXXX G., Diritto civile. 1.2: Fatti e atti giuridici, Torino, UTET, 1986, p. 693. Tuttavia parte della dottrina e - come verrà approfondito nel capitolo III – il legislatore hanno ammesso delle particolari varianti (come il pegno ad oggetto futuro).
Le difficoltà derivanti dalla complessa conformazione del fenomeno hanno dato vita a diverse ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali cui sono seguite delle incertezze applicative. Queste ultime
- che si sommano all’emersione di nuove figure negoziali come il pegno non possessorio su beni e crediti futuri - giustificano il seguente lavoro di approfondimento.
L’analisi della struttura e degli effetti dei negozi di cui trattasi non può prescindere da una preliminare definizione del concetto stesso di “bene futuro”.
La nozione de quo ha una accezione in parte diversa da quella utilizzata nel linguaggio comune ed è fondamentale delimitare l’oggetto del lavoro di ricerca e le fattispecie che si andranno ad analizzare. Le conclusioni di seguito riportate in merito alla disciplina applicabile varranno, infatti, esclusivamente per quei contratti caratterizzati da una precisa nozione di futurità, la quale si è evoluta nel corso del tempo e che ad oggi non può considerarsi ancora univoca.
È bene precisare sin da subito che la norma fa riferimento alla cosa futura e non all’oggetto del contratto ex art. 1325 c.c., il quale deve sempre esistere ai fini del perfezionamento della fattispecie negoziale.
La dottrina, vista l’ambiguità terminologica della stessa nozione di oggetto nonchè il fatto che spesso venga impiegato dal legislatore in contesti “equivoci”13, è ancora divisa in ordine alla sua esatta qualificazione. In questa sede non è possibile approfondire l’iter dottrinale e giurisprudenziale
12Come ad esempio il contratto di locazione relativa ad un alloggio da costruire: il negozio dovrebbe considerarsi nullo almeno nell’ipotesi in cui la durata del contratto sia pari o di poso superiore al tempo di costruzione, cfr. XXXXXXXXX XXXX L, XXXXXXXX F.D., XXXXXXX U., XXXXXX G., op. cit, p. 698.
È opportuno, comunque, tenere conto delle diverse interpretazioni (restrittive e non) relative ai singoli negozi, cfr. XXXXXXXXX X., L’oggetto del contratto. Artt. 1346-1349, in Commentario Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 2015, p. 180. Infatti con riferimento alla rinuncia di diritti futuri prevale una generica opinione positiva. La Cassazione infatti ha affermato che risulta un principio uniformemente affermato in giurisprudenza che la rinunzia possa riguardare anche diritti futuri ed eventuali, purché determinati o determinabili nel loro contenuto e nella loro estensione, con il solo limite che non esistano divieti di legge o che non si tratti di diritti indisponibili. Relativamente, invece, all’assunzione di debiti futuri si riscontrano opinioni divergenti con particolare riferimento, come si vedrà, all’espromissione di debito futuro.
13 È stato rilevato come nello stesso capo dedicato all’oggetto del contratto gli artt. 1347, 1348 e 1349 c.c. alludano all’oggetto della prestazione. Mentre negli artt. 1470 e 1552 c.c. il termine oggetto designa in sintesi il contenuto di un determinato contratto, cfr. XXXXXXXXX XXXX L, XXXXXXXX F.D., XXXXXXX U., XXXXXX G., op. cit., p. 689.
sviluppatosi sul punto14. É sufficiente il richiamo alla netta differenza – ricavabile dalla lettura del codice e acquisita in dottrina e giurisprudenza – tra oggetto del contratto e oggetto della prestazione15. Il termine di riferimento del primo è la prestazione, la quale deve essere possibile, lecita, determinata o determinabile ed esistente al momento dell’accordo: “ciò che sotto il nome di oggetto è essenziale alla conclusione o formazione del contratto, e lo rende valido, è la possibilità della prestazione, avente per oggetto un bene, considerato non in sé stesso ma nella sua giuridica rappresentazione”
16.
Il bene dovuto (la cosa) è, invece, l’oggetto della prestazione, nello specifico quella di dare. La futurità, infatti, non può che prospettarsi con riferimento a tale tipologia di prestazione e non rispetto a quelle di fare o non fare, poiché queste ultime sono destinate per loro natura a realizzarsi in futuro17. Anche l’oggetto della prestazione deve essere, comunque, possibile e determinato18. L’attuale non esistenza della cosa, tuttavia, non lo rende mancante: un conto è la determinatezza, un conto è l’esistenza del bene. Si tratta di due piani diversi: la futurità di per sè non lo rende indeterminato.
La prestazione avente ad oggetto un bene futuro può essere inserita all’interno di contratti sia ad effetti reali che obbligatori19. Nella prima ipotesi a partire dal momento della conclusione si producono esclusivamente gli effetti obbligatori compatibili e il requisito di determinatezza varia a seconda dell’oggetto di riferimento. Se si tratta di una attribuzione traslativa va indicato il bene che
14 Per approfondimenti si consultino ex multis: XXXXXXX C.A., Oggetto del contratto, in Enc. giur., XXIX, Milano 1979,
p. 827 ss; XXXX G., XXXXXXX R., Xxxxxxx e contenuto, in Tratt. Xxxxxxx, Il contratto in generale, XIII, 3. Torino, 1999,
p. 335 ss; XXXXX G.B., Capacità e oggetto nel negozio giuridico: due temi meritevoli di ulteriori riflessioni, in Quadrimestre, 1989, p. 11; XXXXXXXXX E., op. cit.; XXXXXXXXXX A., Sul contenuto del contratto, Milano, Xxxxxxx, 1966; GORLA G., La teoria dell’oggetto del contratto nel diritto continentale (Civil law), in Jus, 1953, p. 289 ss; SCOGNAMIGLIO R., op. cit.; XXXX N., Oggetto del negozio giuridico, in Noviss. Dig. it., XI, Torino, 1965, p. 806; MESSINEO F., voce Contratto, in Enc. Dir., 1961, p. 784 ss.; XXXXX X., La formazione del contratto, oggetto ed effetti in generale, Padova, CEDAM, 1994
15 Non bisogna confondere i concetti di prestazione contrattuale e prestazione dedotta in obbligazione: la prima ha un contenuto più ampio rispetto alla seconda. Le due nozioni possono coincidere quando un contratto produce esclusivamente effetti obbligatori, ma se invece il negozio ha effetti reali l’attribuzione della proprietà non può qualificarsi tecnicamente come obbligazione. Essa è una prestazione contrattuale. Nei contratti a prestazioni corrispettive, infatti, può accadere che una prestazione sia oggetto di una obbligazione (es pagare il prezzo) e l’altra no (il trasferimento della proprietà), cfr. XXXXX X., Il contratto, Milano, Xxxxxxx, 2011, p. 318. XXXXXX M.C., op. cit., p. 361: “è preferibile la tesi che identifica l’oggetto del contratto nella prestazione. Tale termine comprende non solo il contenuto dell’obbligazione (ciò che le parti sono tenute a fare), ma in genere ogni modificazione della situazione materiale che deriva dall’impegno assunto dalle parti (cioè non solo ad esempio il pagamento del prezzo, ma anche il trasferimento del diritto che avviene attraverso la semplice manifestazione de consenso”.
16 In dottrina: PERLINGIERI P., I negozi sui beni futuri, Napoli, Jovene, 1962, p. 67 e GAZZONI F., Manuale di diritto privato, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2013, p. 907.
17 Cfr. SCOGNAMIGLIO X., op.cit., p. 366.
18 V. BIANCA C.M., La vendita e la permuta, in VASSALLI F. (a cura di), Trattato di diritto civile, vol. VII, Torino, UTET, 1972, p. 211: “l’identificazione può definirsi come accertamento della identità del diritto alienato o del bene specifico che ne è oggetto”. Per approfondimenti si veda anche MAIORCA C., La cosa in senso giuridico: contributo alla critica di un dogma, Torino, Edizioni scientifiche italiane, 1937.
19 Attenta dottrina osserva che il codice non dedica alcuna norma specifica ai contratti ad effetti obbligatori su cosa futura, né la dottrina vi si è soffermata più di tanto perché in questi casi non si solleva alcun particolare problema: l’obbligazione di dare è inoperante fino alla venuta ad esistenza del bene, secondo quella che risulta essere la volontà delle parti. Cfr. SCOGNAMIGLIO X., op. cit., p. 368.
Nel diritto romano si era adottata un’accezione ristretta del termine cosa futura. Posta la regola “nulla venditio sine re quae veneat”, era considerata ammissibile la vendita di beni futuri esistenti in rerum natura21, come ad esempio i frutti pendenti o in germe22. L’alienazione di beni non ancora venuti ad esistenza era qualificabile come mera emptio spei23.
Nel nostro ordinamento, invece, il legislatore ha adottato una nozione molto più ampia, tale da ricomprendere altresì i beni non ancora venuti ad esistenza. Ciò è desumibile dalla stessa formulazione di alcune disposizioni all’interno del codice: ad esempio l’art. 1472 che disciplina la vendita di cosa futura. Suddetta norma, nel prevede l’inciso “se oggetto della vendita sono gli alberi o i frutti di un fondo […]”, lascia intendere che l’alienazione può validamente riguardare anche altre categorie. Alle medesime conclusioni si arriva dalla lettura degli artt. 771 e 2823 c.c.24. Il primo sanziona con la nullità la donazione di beni futuri, salvo che si tratti di frutti non ancora separati (quindi esistono beni futuri diversi da questi ultimi). L’art. 2823, invece, prevede espressamente la possibilità di iscrivere un’ipoteca su beni immobili futuri.
20 In dottrina: LUMINOSO A., La vendita, in Trattato di diritto civile e commerciale a cura di Cicu - Messineo, Milano, 2014, p. 234 e RUBINO D., La compravendita, in Tratt. Dir. civ, a cura di Cicu – Messineo, XXIII, Milano, Xxxxxxx editore, 1962, p. 86. Si rimanda comunque al § 2.1.2. del capitolo IV per approfondimenti sul punto.
21 Si trattava di contratti che anticipavano la futura autonomia giuridica del bene (i cd. negozi di mobilizzazione di cose immobili), cfr. MESSINEO F., Mobilizzazione di cosa immobile e di concetto di cosa futura, in Riv. dir. comm., 1921, II,
p. 71 ss, il quale rileva come esistenza fisica ed esistenza giuridica sono “nozioni che non si sovrappongono tanto esattamente da identificarsi appieno” (p. 75).
Il legislatore ha confermato l’ammissibilità dei negozi di disposizione dei frutti di beni immobili come beni mobili futuri all’art. 820, comma 2, con tutte le conseguenze in ordine alla disciplina degli stessi (forma, trascrizione, opponibilità).
22 X. XXXXXXXX, X. 00.0.0.xx., “fructus et parti futuri recte emuntur”. L’antica impostazione di stampo giustinianeo è stata ripresa e sviluppata durante la vigenza del codice del 1865 da GABBA P., La contrattazione sui beni futuri nel diritto civile Italiano, Città di Castello, 1902, p. 8: nel caso in cui la cosa non esista almeno in germe il contratto tra le parti non può considerarsi una compravendita di bene futuro, bensì una promessa di vendita. La determinabilità dell’oggetto ex art. 1104 del codice del 1865, infatti, non può che riferirsi ad un oggetto già esistente al momento della conclusione del contratto. Aderendo a questo orientamento si arriva ad una sostanziale negazione dell’ammissibilità della vendita di cosa futura, poiché la vendita di un bene almeno in germe risulta essere una vendita ordinaria di un bene già esistente.
23 Sempre XXXXXXXX, X. 18.1.8 “Aliquando tamen et sine re venditio intelligitur, veluti cum quasi alea emitur […] quia spei emptio est”.
La dottrina dell’emptio rei speratae e dell’emptio spei è sorta in rapporto alla compravendita di cosa futura e la costruzione di un concetto generale di quest’ultima fondato sull’alea è da attribuirsi ai compilatori giustinianei (nel diritto classico si conoscevano i soli casi di acquisto del ricavato della caccia, pesca e simili) cfr. XXXXXXXXX X., voce “Emptio spei” ed “emptio rei speratae” (diritto romano), in Noviss. Dig. Xx., XX, Xxxxxx, 0000, p. 519.
24 Cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 12.
25 Ad esempio i diritti di autore su un libro che si sta ancora scrivendo, ma anche la costituzione di futuri diritti reali di godimento. Non è vendita di beni futuri, come si vedrà in seguito, l’alienazione di un diritto di credito sottoposto a condizione sospensiva o derivante da un contratto aleatorio, cfr. XXXXXX X., op. cit., p. 174 e ss. Contra MIRABELLI G., Dei singoli contratti, Torino, UTET, 1991, p. 22. Altra dottrina ha definito “cosa futura” come qualsiasi cosa che, pur non esistendo fisicamente, è insuscettibile di attuale disposizione e come tale inidonea a costituire oggetto di diritti, cfr. GAZZARA G., op. cit., p. 157.
Tale definizione necessita di alcune precisazioni:
- la locuzione “non deve esistere” va interpretata nel senso che sono in essa ricompresi sia i beni non ancora esistenti nella loro materialità, sia quelli che non hanno ancora acquistato una propria individualità giuridica autonoma.
Sono beni futuri, infatti, anche quei beni in senso lato esistenti, ma non come cose indipendenti o a se stanti26. Si pensi, ad esempio: ai frutti non ancora separati; ai minerali; ad un immobile da costruire di cui è già iniziata la costruzione27; al raccolto di un determinato fondo già seminato. In questi casi l’atto che determina l’acquisto non è la venuta ad esistenza materiale, ma la separazione per frutti, il taglio per gli alberi, l’estrazione per i minerali ecc.. In realtà è molto frequente che la res futura sia presente in rerum natura, ma non sia ancora considerata dall’ordinamento come bene autonomo.
- l’inciso “non deve esistere in alcun patrimonio” permette di includervi quei beni che pur esistendo nella loro materialità non appartengono ad alcun soggetto: le res nullius.
Non bisogna, inoltre, confondere il concetto di futurità con quello di genericità30. Sotto il profilo giuridico, in caso di vendita di cose generiche è del tutto irrilevante se il bene sia medio tempore
26 Osserva infatti PERLINGIERI che “altro è l’autonomia giuridica altro è la esistenza materiale”, in op. cit., p. 45. Dello stesso avviso anche SCOGNAMIGLIO R., op. cit., p. 336.
27 Agli effetti della vendita, come si vedrà nel capitolo seguente, l’immobile da costruire è un bene futuro fino a quando non viene ultimato.
28 In relazione alla natura dispositiva dell’art. 1472 c.c. si veda PERLINGIERI P., op. cit., p. 198.
29 Cfr. GRECO P./COTTINO X., Xxxxx vendita, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna, Zanichelli, 1962, p. 55.
30 Sono cose generiche quelle determinate solo nel genere, al contrario di quelle specifiche che, invece, posseggono una loro individualità. Questa distinzione va tenuta distinta rispetto a quelle tra cose fungibili (beni equivalenti, sostituibili) e infungibili, che attiene alla intrinseca natura della cosa ed ha carattere obiettivo. È vero che l’obbligazione avente ad oggetto cose generiche è costituita da beni fungibili non specificati (perché se fossero fungibili sulle quali non è ancora intervenuta la scelta si tratterebbe di una obbligazione alternativa), ma le prime due categorie si riferiscono
Più complesso è risultato, invece, il dibattito sulla sussunzione sotto la categoria della vendita di cosa futura della vendita di beni altrui e dell’emptio spei.
2.1. L’emptio spei e l’emptio rei speratae
Non sono mancate teorie che hanno qualificato res sperata e res futura come sinonimi33. La tesi tradizionale e maggioritaria, tuttavia, tiene separate le due forme di vendita34.
Il dibattito ha perso oggi importanza pratica in virtù del fatto che si rileva la sempre meno frequente stipulazione della emptio spei nella sua forma pura, in favore di numerose varianti negoziali volte ad assicurare l’esigenza di garanzia contro i rischi35.
Si sono succedute diverse teorie in merito alle ragioni della differenza tra i due tipi di vendita. Alcune hanno focalizzato la loro attenzione sulle caratteristiche dell’oggetto del contratto. Soprattutto in passato - durante la vigenza del codice del 1865 - si è sostenuto che l’emptio spei fosse una compravendita di cosa presente (la speranza/l’alea/il rischio) e non di cosa futura, proprio perché la
prevalentemente (ma non esclusivamente) al modo in cui la cosa viene dedotta nel contratto. Ad esempio le cose generiche e fungibili possono essere già specificate al momento di conclusione del negozio (ad es. vendo 100 kg di grano che ci sono nel mio magazzino e dentro quest’ultimo c’è solo quella quantità) e in questo caso non si ha una vendita di cose generica, ma di massa.
In dottrina si ritiene generalmente che le cose generiche possano essere solo mobili. In realtà ciò non è esatto, dato che esiste il genus limitatum, (oltre all’illimitatum). Per stabilire la genericità o specificità della cosa occorre avere riguardo non alla natura della stessa prima della conclusione del contratto, ma al modo in cui è stata considerata o dedotta. Ad esempio se vendo 10 ettari del mio fondo che ne contiene 100 senza specificare quali siano quelli venduti (e in questo caso gli ettari non solo sono una cosa generica, ma anche fungibile rispetto agli altri 90). Il genus limitatum, infatti, può anche non esistere in natura ed essere una creazione artificiale delle parti. Cfr. RUBINO X., op. cit., p. 95.
31 Cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 19. L’autore fa l’esempio della vendita di 100 quintali di mele dal meleto X (che ne conta 1000 quintali). Se è possibile l’individuazione delle mele ancora sugli alberi, cioè ancor prima della loro separazione, si avrà una vendita di cosa generica fino alla specificazione e vendita di cosa futura da quel momento in poi. 32 Si veda BIONDI B., voce “Cosa futura”, in Noviss. Dig. It., IV, Torino, UTET, 1959, p.1022.
33 In dottrina: XXXXXXX A., La vendita nel moderno diritto, Milano, 1920, II, pag. 41 ss.; GAZZARA G., op. cit., p. 160; Contra SALIS, La compravendita di cosa futura, Padova, CEDAM, 1935, p. 133: la cosa futura è sempre una cosa sperata, mentre non tutte le cose sperate sono anche future (possono infatti già essere presenti in rerum natura me le parti, al momento della conclusione del contratto, ne ignorano l’esistenza, la qualità o la quantità). Le cose sperate, dunque, rappresentano una categoria più ampia di quelle future e fino a quando la cosa sperata è anche futura non è possibile alcuna differenziazione tra emptio spei e emptio rei speratae.
34 Ex multis si veda: RUBINO D., op. cit. p. 212 e ss.
35 Il caso di scuola di emptio spei è la vendita del pesce che verrà pescato: oggi i grossi rivenditori regolano in modo che il rischio che la pesca non vada a buon fine non venga posto a carico del compratore, ma dello stesso pescatore, cfr. sempre RUBINO D., op. cit., p. 212 e ss
mancata venuta ad esistenza della cosa non incide sul negozio e sull’obbligo del venditore di pagare il prezzo36. L’obiezione principale rispetto a tale ricostruzione è il fatto che la speranza, l’alea e il rischio non sono considerabili beni giuridici suscettibili di costituire oggetto di proprietà. Inoltre, se la cosa sperata viene ad esistenza, è sempre quest’ultima che si riconosce dovuta37.
Altri ancora hanno sostenuto che la differenza vada ricercata nella certezza in merito alla futura esistenza della cosa38. L’emptio spei è un contratto aleatorio, mentre la vendita di cosa futura un negozio commutativo. Autorevole dottrina, invece, ha rilevato e precisato che in entrambe le ipotesi è presente un elemento di futurità e incertezza, ma nell’emptio rei speratae questa investe l’intero negozio, mentre nell’emptio spei il solo trasferimento del diritto di proprietà39.
Si è inoltre aperto un dibattito sulla natura giuridica di questìultima. Secondo una parte della dottrina, nonostante il nomen iuris, non si tratterebbe di una vera e propria vendita, ma di un tipo contrattuale a sé stante (e nominato perché previsto dall’art. 1472 cpv c.c.)40. Nonostante la differente natura giuridica risulta applicabile in via analogica la disciplina della vendita41.
L’orientamento prevalente ritiene, invece, che entrambi i casi si possa parlare di vendita42. Ciò che differisce è l’oggetto dedotto in condizione: nell’emptio spei è la prestazione43. In tal modo il contratto perde la sua funzione di scambio (il sinallagma contrattuale diventa incerto) e diventa aleatorio44.
Nell’emptio spei una prestazione è certa e l’altra incerta, ma questo non vuol dire che l’altra parte si possa disinteressare completamente della venuta ad esistenza del bene45. Non si tratta di un vincolo unilaterale di pagamento del prezzo, ma di un negozio bilaterale in cui l’uno è obbligato a non frustrare la legittima aspettativa giuridica dell’altra parte e quest’ultima a pagare il prezzo anche laddove il bene non venga ad esistenza.
36 Sulla nozione di emptio spei durante la vigenza del codice del 1865 si veda: DE XXXXXXX A., La compravendita di cosa futura, in Xxxxxxxxxx 1911, p. 325 e ss; CHIRONI G., Vendita emptio spei e rei speratae, in Studi e questioni di diritto civile, III, 1915, pag. 156.
37 Si dovrebbe sostenere altrimenti che la speranza (così come l’alea o il rischio) sia un bene suscettibile di dominio, di valutazione economica, di individuazione e di cui una persona può privarsi attraverso un atto di volontà per trasferirlo al compratore. Inoltre se la speranza fosse l’oggetto del contratto sarebbe poi necessario un altro negozio per il trasferimento della cosa sperata, cfr. SALIS L., op. cit., p.11 ss.
38 Xxx.XX XXXXXXX, op. cit, p. 536.
39 Il primo è un contratto commutativo condizionato, mentre il secondo è un contratto aleatorio perché una delle prestazioni è condizione, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 162.
40 Si vedano RUBINO D., op. cit., p. 215 e XXXXXXX G., Dei singoli contratti, I, Milano Xxxxxxx, 1988, p. 101.
41 Non si ritiene applicabile però la parte relativa alla garanzia per i vizi e per evizione, salvo che non sia imputabile a colpa del venditore, cfr. XXXXXXX X., op. cit., p. 110.
42 Si veda ex multis LUMINOSO X., op. cit., p. 207.
43 La condizione può essere riferita alla sola prestazione (ad esempio il solo obbligo di pagare il prezzo: “pagherò solo se quel bene avrà quelle determinate caratteristiche”). La legge e la dottrina, infatti, distinguono i requisiti di efficacia del negozio da quelli di efficacia della prestazione. Si pensi ad esempio alla disciplina del termine.
44 Cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 136.
45 X. XXXXX X., Xx xxxxxxx, XXX/0, Xxxxxx, Xxxxxxxxxx, 0000, p. 100.
0.0.Xx negozio su beni altrui
Il legislatore del ‘42 ha sposato, invece, la tesi della separazione del concetto di altruità da quello di futurità. I beni soggettivamente futuri sono diversi rispetto a quelli oggettivamente futuri sia dal punto di vista giuridico che concettuale. Sotto il primo profilo un bene, infatti, può essere proprio (presente o futuro) o altrui (presente o futuro).
Nella parte dedicata alla donazione, invece, l’art. 771 c.c., si limita a prevedere che la donazione non possa comprendere che i beni presenti del donante e se comprende beni futuri è nulla rispetto a questi. In dottrina si è quindi aperto un dibattito sulla sussumibilità all’interno della locuzione “beni futuri” ex art. 771 di quelli esistenti in rerum natura, ma non ancora facenti parte del patrimonio del disponente perché altrui. Si sono contrapposte nel tempo diverse tesi. L’interrogativo non ha valore
46 Cfr. GRECO P./XXXXXXX X., op. cit., p. 54 il quale cita SALIS L., La compravendita di cosa futura, cit, p. 133 ss.
47 Per una più approfondita differenziazione si veda BIONDI B., I Beni, in Trattato di diritto civile a cura di Xxxxxxxx, IV, Torino, UTET, 1953, p.154.
meramente dogmatico in quanto dall’adesione all’una o all’altra tesi dipende la sorte del negozio donativo48. Recentemente sul punto si sono espresse le Sezioni Unite della Cassazione49.
Come si ricava dall’art. 769 c.c. la donazione può essere sia dispositiva che obbligatoria50. Nel primo caso il dettato legislativo richiede espressamente l’attualità dello spoglio e il conseguente arricchimento.
Posto dunque che se il donante assume consapevolmente ed espressamente l’obbligo di procurarsi la proprietà di un bene altrui si ricade pacificamente nella seconda fattispecie donativa di cui sopra, la dottrina e la giurisprudenza si sono invece interrogate sulla sorte di una donazione di tipo dispositivo avente il medesimo oggetto.
48 L’adesione alla tesi della nullità del negozio ex 771 c.c. rispetto a quella della sua mera inefficacia ha delle ripercussioni in ordine alla idoneità del negozio donativo stipulato a rappresentare un titolo idoneo a trasferire la proprietà ai fini dell’usucapione abbreviata. Perché operi la più favorevole disciplina dell’art. 1159, infatti, è necessario che il titolo sia astrattamente idoneo, ossia di per sé valido e che non presenti altri vizi se non quello dell’essere stato stipulato da chi non è proprietario (cui consegue l’impossibilità di produrre effetti reali immediati). Se si aderisce alla tesi della inefficacia, nulla quaestio: vi è un atto valido il cui unico vizio è l’altruità del bene. Più problematica è invece la risoluzione del problema nel caso in cui il titolo sia da considerarsi nullo ex art. 771 c.c.. In questo caso, infatti, l’atto non potrebbe considerarsi valido e idoneo. Pertanto residuerebbe la disciplina ordinaria dell’usucapione ventennale. Accanto a questa tesi più formalistica, si è sviluppata, però, in giurisprudenza una tesi sostanzialistica: è vero che il negozio è nullo e che il titolo non dovrebbe presentare altri problemi se non il difetto della non titolarità del bene da parte del dante causa, tuttavia si deve riflettere sul fatto che in realtà l’unico vizio che affligge tale tipologia di donazione è proprio quest’ultimo (l’altruità del bene). Il fatto che il legislatore, in virtù della particolare disciplina della donazione, commini la nullità della stessa (perché mosso da un intento diverso di protezione, rispetto a un negozio oneroso o gratuito), non dovrebbe portare ad applicare una disciplina più gravosa in capo al donatario.
L’orientamento sostanzialista è quello seguito dalla giurisprudenza recente e si citano ex multis in ordine cronologico: Xxxx. 5 febbraio 2001, n. 1596, in Mass. Giust. civ., 2001, p. 203; Riv. not., 2001, p. 862, con nota di XXXXXXX; Corr.giur., 2001, p. 756, con nota di MARICONDA; Giur. it., 2001, p. 1595, con nota di D’AURIA; Xxxxxxxxx, 2001, p. 454, con nota di XXXXXXXX; Nuovo dir., 2001, p. 943, con nota di SANTARSIERE; Giust. civ., 2002, I, p. 471; Riv. not., 2002, p. 404, con nota di XXXXXXX; Nuova giur. civ. comm., 2001, I, p. 679, con nota di XXXXXXX; Xxxx. 5 maggio 2009, n. 10356, in Giust. civ., 2009, 10, I, p. 2116; Guida dir., 2009, 25, p. 49; Resp. civ. prev., 2009, 10, p. 2162; Mass. Giust. civ., 2009,
5, p.723; Giust. civ., 2010, 11, I, p. 2609, con nota di FRUGIUELE; Foro it., 2010, 1, I, 1, p. 60, con nota di PARDOLESI;
Riv. not., 2010, 1, p. 124, con nota di XXXXXXXXX; Riv. not., 2010, 4, p. 1118, con nota di XXXXXXX; Cass. 18 dicembre
1996, n. 11311, in Mass. Giust. civ., 1996, p. 1762; Cass. 20 dicembre 1985, n. 6544, in Mass. Giust. civ., 1985, 12; Cass. 23 maggio 2013, n. 12782, in Mass. Giust. civ. Non è invece stata affrontata in Cass., SS.UU., 15 marzo 2016, n. 5068, in Corr. Giur. 2016, 5, 610 in con nota di XXXXXXXXX.
In dottrina si richiama MENGONI L., Gli acquisti a non domino, Xxxxxxx, Milano, 1975, pag 222 e ss (“la nullità della donazione di cosa altrui non dipende da un vizio di struttura del negozio, ma da una ragione inerente alla funzione del negozio”). Contra, invece: GAZZONI F., Donazione di cosa altrui e usucapione abbreviata, in Riv. not., 2001, p. 874.
49 Il quesito posto era il seguente: “se la donazione dispositiva di un bene altrui debba ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione e, in particolare dell’art. 771 c.c., poiché il divieto di donazione dei beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante e quindi anche quelli aventi oggetto beni altrui, oppure sia valida ancorchè inefficace […]”
50 Nel codice Xxxxxxxxx l’art. 1050 prevedeva che “La donazione è un atto di spontanea liberalità, col quale il donante si spoglia attualmente ed irrevocabilmente della cosa donata in favore del donatario che l’accetta”. Caratteri essenziali della stessa erano dunque l’attualità e l’irrevocabilità dello spoglio (quest’ultimo richiesto espressamente in virtù dell’adesione del legislatore italiano del 1865 al principio francese “donner et retenir ne vaut”, come meglio specificato nel § 6). In virtù dell’art. 769 è oggi invece possibile attraverso la donazione non solo traferire un proprio diritto (o una propria cosa), ma altresì costituire un diritto reale (donazione costitutiva) o rinunciare a un proprio diritto (donazione liberatoria), oltre che, come affermato in premessa, dare vita a un vincolo meramente obbligatorio.
Sul punto erano due orientamenti51. Secondo l’indirizzo maggioritario tale negozio era da ritenersi invalido e ciò sulla base di due possibili distinti percorsi argomentativi: l’intepretazione in senso ampio della nozione di bene futuro ex art. 771 c.c., tale da ricomprendere anche i beni soggettivamente futuri52; la valorizzazione della ratio della norma e dunque l’istanza protettiva che sta alla base (l’esigenza di porre un freno agli atti di prodigalità e di limitare l’impoverimento ai beni esistenti nel patrimonio del donante, che accomuna futurità ed altruità). In entrambi in casi il negozio è nullo per applicazione – nel primo diretta, nel secondo analogica - dell’art. 771.
Il secondo, più recente, orientamento sostiene invece che la donazione traslativa di beni che in realtà appartengono a terzi non sia nulla, ma semplicemente inefficace: sia per la ristretta portata letterale dell’art. 771 c.c., sia per la natura eccezionale del divieto di donare beni futuri53. Pertanto si tengono nettamente distinte le due categorie di beni e si ritiene l’atto comunque valido.
L’iter logico che sta alla base della pronuncia del Supremo consesso condivide l’esito finale dell’operazione interpretativa dell’orientamento maggioritario suesposto: la nullità. Tuttavia, sulla base di una nuova motivazione in diritto: (non per applicazione diretta o in via analogica della nullità prevista ex art. 771 c.c. per la donazione di beni futuri, ma) per mancanza della causa del negozio di donazione.
51 Seppur, ad onor del vero, non vi era un vero e proprio contrasto, cfr. CARNEVALI U., La donazione di beni altrui nella sentenza delle Sezioni Unite, in Corr. Giur. 2016, 5, 613.; XXXXXXXX E., Donazione di cosa altrui: perché “scomodare” le Sezioni Unite?, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx, Anno I, Numero II, luglio/settembre 2014.
52 In giurisprudenza si segnalano ex multis le più recenti: Xxxx. 23 maggio 2013, n. 12782, in Mass. Giust. civ., 2013 (“il divieto di donazione dei beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante”) e Xxxx. 5 maggio 2009, n. 10356, in Foro It., 2010, 1, 1, p. 160; Corr. Xxxx., 2009, 6, p. 755, a cura di CARBONE V., Donazione traslativa di beni altrui; Fam. Pers. Succ., 2009, 11, p. 898, con onta di ONORATO M., La donazione di bene altrui; sempre in Fam. Pers. Succ., 2010, 1, p. 42, con nota di LA MARCA G., La donazione di cosa altrui e la sua idoneità ai fini dell’usucapione abbreviata; Notariato, 2009, 5, p. 486, MAGLIULO F., Il problema della validità della donazione di bene altrui.
In dottrina, invece, TORRENTE A., La donazione, II ed. agg., in Trattato di diritto civile e commerciale cicu – Messineo,
p. 490; XXXXXXX X., op. cit., p. 27; XXXXXXXXX U., Le donazioni, in XXXXXXXX P. (diretto da), Trattato di dir. Priv., 6, Torino, 1982, p. 470.
53 Cfr. in giurisprudenza Cass. 5 febbraio 2001, n. 1596: “la nullità (e la conseguente inidoneità ex art. 1159 cod. civ.) di tale donazione ex art. 771 cod. cod. civ. potrebbe essere affermata solo ove l’interpretazione (letterale e logica) di tale ultima norma consentisse di considerare come beni futuri i beni non ancora del donante, ma esistenti "in rerum natura" ed appartenenti ad altri, ma non per via di interpretazione analogica, in considerazione della natura eccezionale della norma in questione. Ritiene il collegio che tale interpretazione non sia possibile. […] Una volta chiarito che la donazione di beni altrui non è nulla ex art. 771 cod. civ., la stessa andrà considerata come semplicemente inefficace, ma tuttavia idonea ai fini di cui all’art. 1159 cod. civ.”), in Riv. not., 2001, p. 862, con nota di GAZZONI F., Donazione di cosa altrui e usucapione abbreviata.
54 Cfr. Cass. Civ., SS.UU., 15 marzo 2016, n. 5068, in Corr. Giur. 2016, 5, 610 in con nota di XXXXXXXXX e in I contratti
2016, 10, p.877, con nota di DEPETRIS.
Dalla lettura dell’art 769 c.c. si evince che la donazione può essere di tipo dispositivo e quindi produce effetti reali immediati, con tutte le conseguenze che una tale affermazione comporta nei termini di attualità dell’arricchimento e contestuale depauperamento. Pertanto, a parere della Corte, i beni altrui non possono formare oggetto di donazione di tipo dispositivo, perché la donazione a non domino non è in grado di produrre effetti reali (nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet)55 e dunque non si può realizzare l’arricchimento a favore del donatario (l’appartenenza del bene al donante è un elemento essenziale). Ma ben possono essere dedotti nell’ambito di quella obbligatoria, purché vi sia formale ed espressa consapevolezza dell’altruità del bene56.
Indirettamente la giurisprudenza in questo caso sembra accogliere la nozione oggettiva di bene futuro, così come si deduce dall’impianto del codice. Infatti tiene nettamente distinta la disciplina applicabile alla donazione di beni futuri ex art. 771 c.c., da quella per donazioni di beni altrui, la cui sorte è ricavabile attraverso l’interpretazione del solo art. 769 c.c..
55 In realtà non potrebbe produrre neanche effetti meramente obbligatori data la mancanza di volontà in ordine a questi ultimi.
56 Sulla validità della donazione espressamente obbligatoria di beni altrui non si dubita. Depone in tal senso, come affermato, il dato letterale della norma. Il problema su cui si è soffermata la dottrina è in realtà quello di stabilire il come e il quando si producono gli effetti reali, cioè come va adempiuto l’obbligo di procurare la proprietà (manca infatti una espressa disciplina come nel caso della vendita di beni altrui). Secondo un primo orientamento dalla donazione obbligatoria nasce un’obbligazione di facere (il procurarsi la proprietà) e un’obbligazione di dare (trasferire la proprietà acquistata) da adempiersi con atto solenne (cfr. XXXXXXXXX, op.cit.). Non sarebbe possibile, infatti, l’automaticità dell’acquisto ex art. 1478 c.c. perché ovviamente non è richiamato nè richiamabile attraverso l’istituto dell’analogia (non essendo riscontrabile né una lacuna normativa né l’eadem ratio) e perché mancherebbe in questo caso l’atto solenne del secondo negozio donativo, quello dispositivo. Per lo stesso motivo la proprietà non può essere trasferita dal terzo in quanto in questo caso difetterebbe l’animus donandi. Altra dottrina, invece, esclude l’automaticità in quanto il negozio donativo obbligatorio, proprio perché ad effetti meramente obbligatori, non costituirebbe titolo idoneo al trasferimento della proprietà (al contrario della vendita obbligatoria, qualificabile invece, al contrario, come contratto consensuale ad effetti reali differiti). Si potrebbe pensare allora che nasca dal primo negozio l’obbligazione di concludere un secondo contratto, la donazione dispositiva. In tal modo l’intera operazione sarebbe assimilabile alla stipulazione di un preliminare di donazione, considerato dalla dottrina e dalla giurisprudenza nullo in quanto la causa solvendi da esso derivante sarebbe incompatibile con l’animus donandi. In realtà, si potrebbe adempiere attraverso il cd. pagamento traslativo. In questo caso avremmo una donazione obbligatoria, da stipularsi necessariamente per atto pubblico (non per relationem con il supposto successivo negozio donativo, ma perché è esso stesso una donazione), e un negozio di adempimento gratuito e non donativo cui applicare le ordinarie norme in materia di forma degli atti giuridici. Si tratterebbe di una sorta di preliminare di vendita di cosa altrui. Il negozio donativo non sarebbe nullo, in quanto animato dallo spirito di liberalità. Sarebbe inoltre possibile il trasferimento di proprietà ad opera del terzo attraverso il seguente schema: donazione obbligatoria; preliminare di vendita a favore del terzo-donatario, stipulato tra donante e terzo-proprietario; negozio di adempimento traslativo gratuito ad opera del terzo-proprietario in favore del donatario, cfr. XXXXXXX F., op. cit., p. 864.
57 Autorevole dottrina rileva come la costruzione dogmatica dell’istituto (soprattutto della compravendita) nasce e si alimenta soprattutto dall’adesione a preconcetti dogmatici duri da scalfire e che però non tengono conto dei dati reali della figura, cfr. SCOGNAMIGLIO X., op. cit., p. 368.
La qualificazione del negozio ad oggetto futuro è fondamentale per stabilire quali siano gli effetti che si producono medio tempore, ossia fino a quando il bene non venga ad esistenza.
La dottrina ha prospettato nel tempo diverse configurazioni del fenomeno. Lo sforzo ricostruttivo non ha valore esclusivamente dogmatico in quanto dalla riconduzione dell’istituto all’interno dell’una o dell’altra categoria ne conseguono importanti ricadute applicative, con riferimento sia alla tutela della parte che dei terzi. Muta, infatti, sensibilmente: il momento perfezionativo del negozio; la sorte del contratto qualora il bene non venga ad esistenza (nullità, inefficacia, risoluzione per inadempimento, risoluzione di diritto); la natura giuridica della responsabilità e la trascrivibilità.
Si deve premettere che, generalmente, il paradigma normativo utilizzato per l’elaborazione delle varie teorie è stato il contratto di vendita. Pertanto tale contratto sarà di seguito assunto come punto di osservazione privilegiato delle problematiche che si intende analizzare.
Quando si cerca di inquadrare il fenomeno del negozio avente ad oggetto un bene futuro si deve tener conto di due momenti fondamentali derivanti dalla sua stessa natura: quello della manifestazione del consenso delle parti e la venuta ad esistenza del bene58. Partendo da tale dato sono possibili diverse ricostruzioni:
3.1. Teorie che hanno scisso la fattispecie in due negozi
Partendo da questa premessa, si può arrivare a due diverse conclusioni.
58 Nei contratti ad effetti differiti sorge il problema della scelta del momento in cui debbano essere valutati i presupposti di validità del negozio: se rispetto a quello conclusivo o a quello della “entrata in vigore”. Quest’ultima, infatti, può essere posticipata per volontà delle parti o a causa della stessa funzione economico- sociale del negozio (ad esempio quelli mortis causa) o per la mancanza di uno dei termini di riferimento dell’assetto degli interessi (artt. 1347; 1348;, 462, ult. cpv.; 643; 715, ult. capv.; 784), cfr. XXXXX E. op. cit., p. 240.
59 Cfr. SALIS L., op. cit., p. 172: per l’esistenza della compravendita è necessario che vi sia una cosa di cui sia almeno possibile il trasferimento. Mancando l’oggetto manca altresì lo scopo economico. Infatti, secondo l’autore, non si dovrebbe parlare di compravendita di cosa futura, ma di vera e propria compravendita futura.
3.1.1. Promessa di vendita e vendita
La prima è quella della scomposizione del fenomeno in due atti negoziali, i quali necessitano di due diverse manifestazioni di volontà: la promessa di vendita60 (o una promessa anticipata)61 di beni futuri e la successiva vendita quando si materializza l’oggetto (riproducendo sostanzialmente lo schema preliminare-definitivo).
In questo modo, tuttavia, si va contro il dettato legislativo che ammette espressamente la possibilità di dedurre in contratto beni futuri. Non è necessaria una precedente promessa per regolare il rapporto medio tempore instauratosi tra le parti.
3.1.2. Negozio innominato e vendita
Oppure, com’è stato sostenuto, si può ritenere che prima che la cosa futura sia venuta ad esistenza si abbia non una promessa o un contratto preliminare, ma un diverso contratto innominato che poi si converte in vendita (basta una sola manifestazione di volontà)62. Il primo contratto è diverso perché ha solo l’apparenza di una compravendita, ma non la sostanza fino a quando il bene è solo futuro.
Al momento della venuta ad esistenza del bene, poi, si trasforma in obbligo di consegna e nasce la vera e propria vendita64. Se la cosa non viene ad esistenza, invece, il negozio di compravendita di cosa futura si scioglie e “praticamente viene considerato come non concluso”65.
Le critiche che sono state mosse a tale ultima ricostruzione si basano sulla considerazione che non viene in nessun modo approfondita la natura di questo primo contratto innominato che si converte successivamente in compravendita (non si spiega quale siano la causa e l’oggetto). Ed ancora, la
60 Si veda GENTILE F.S., La trascrizione immobiliare, Napoli, Jovene, 1959, p. 246.
61 La teoria della promessa anticipata è stata sostenuta da XXXXX X., La compravendita e la permuta, in VASSALLI F., Tratt. dir. civ., Torino, UTET, 1937, p. 245: “l’obbligazione di dare nascerà soltanto e se quando nascerà la cosa(diritto) che ne è oggetto: situazione per la quale più che nell’ambito delle obbligazioni convenzionali, non potendo la possibilità della prestazione (la nascita del suo oggetto) considerarsi condizione dell’obbligo, rientra nel quadro delle promesse di una prestazione impossibile attualmente, ma non (forse) in futuro (come la promessa di dare una cosa fuori commercio, di un’attività professionale quando si avrà l’abilitazione…). Si parla di promessa anticipata perché lo si fa quando ancora non si può farlo, ora per allora”.
62 Cfr. SALIS L., op. cit., p.170 ss.
63 Secondo questa teoria erano applicabili medio tempore gli artt. 1448 e xx xxx xxxxxx xxx 0000 (xxxxx quelli relativi alla vendita) in via analogica o – nei casi dubbi- anche le norme regolanti i negozi sospensivamente condizionati, con una particolarità: se l’esistenza della cosa era impossibile per il fatto del debitore non poteva esserci la fictio iuris dell’avveramento della condizione. La compravendita non poteva sorgere perché non c’era l’oggetto, l’altra parte aveva, però, diritto al risarcimento del danno.
64 Non appena la cosa viene ad esistenza sorge la compravendita, si produce l’effetto reale e l’obbligo di trasferimento della proprietà del venditore cambia oggetto trasformandosi in obbligo di consegna. In quello stesso momento quest’ultimo acquista altresì il diritto “definitivo” al prezzo.
65 Cfr. SALIS L., op. cit., p.181.
qualificazione di un contratto non può farsi a posteriori a seconda che il bene venga ad esistenza o meno. L’operazione cui le parti hanno dato vita va letta alla luce della loro intenzione al momento della conclusione. Sarebbe irragionevole che un contratto originariamente diverso (diretto non allo scambio di cosa con prezzo, ma alla creazione di un vincolo obbligatorio) si tramuti poi in compravendita per l’insorgenza di un elemento indipendente ed estrinseco dallo schema negoziale66. Non si capisce, pertanto, per quale ragione non possa qualificarsi sin dal principio come vendita di beni futuri. È inquadrabile come negozio di compravendita, infatti, sia quello che produce immediatamente il trasferimento del bene, che quello che può attuarlo67.
In generale tutte le ricostruzioni dogmatiche secondo le quali, durante la manifestazione del consenso, non esista ancora un contratto di compravendita sono da ritenersi superate perché fondate sul presupposto che l’effetto traslativo debba necessariamente essere contestuale alla conclusione del negozio.
3.2.1. Negozio incompleto e negozio a consenso anticipato
Un ulteriore filone interpretativo, oggi minoritario e risalente nel tempo, ha tentato di evitare la scomposizione di cui sopra, configurando il contratto ad oggetto futuro come un negozio unico, ma incompleto fino alla venuta ad esistenza del bene.
La fattispecie è stata scissa non in due diversi negozi, bensì in due fasi di un medesimo contratto.
Si è parlato prima di vendita imperfetta – ossia di una vendita caratterizzata dalla indeterminatezza dell’oggetto (o del prezzo) e per questo fonte di meri vincoli obbligatori68 - e poi di contratto a formazione progressiva (o incompleto dal punto di vista procedimentale69).
66 Critico in questo senso, XXXXXXX G., op. cit., p. 93.
67 Si veda PERLINGIERI P., op. cit., p. 94.
68 Cfr. XXXXXXX A., La vendita nel moderno diritto, op. cit., p. 47.
69 In dottrina si è riflettuto sulla differenza tra il concetto di procedimento rispetto a quello di fattispecie a formazione progressiva, cfr. FALZEA A., La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, Xxxxxxx, 1941, p. 190. Quest’ultimo autore ritiene che nel procedimento gli elementi non sono componenti della fattispecie, ma semplici determinanti. Di conseguenza rimangono estranei al nucleo degli elementi strutturali dell’atto finale, senza integrare gradualmente una fattispecie unitaria più complessa (come nel caso della formazione progressiva). Cfr. anche: SCONAMIGLIO R., Fatto giuridico e fattispecie complessa, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1954, p. 335. Secondo Xxxxxxx nel procedimento i vari atti collegati concorrono a determinare quello finale, l’unico cui va attribuita l’efficacia. In caso di formazione successiva, invece, ogni fase del ciclo formativo acquista autonoma rilevanza e produce effetti. Tutti gli atti sono connessi tra loro, in Vendita obbligatoria, cit., p. 118.
70 Si fa riferimento alla nota tesi di RUBINO D., in Compravendita, op. cit., pag. 178 ss.
Si tratta di un contratto in corso di formazione non in relazione al consenso (che già c’è), ma all’oggetto, di cui si attende la futura venuta ad esistenza. In particolare, il contratto a consenso anticipato rappresenterebbe un’ipotesi di inversione dell’ordine cronologico di formazione degli atti giuridici. Il legislatore ha il potere di consentire che gli elementi che normalmente sussistono prima della formazione del consenso (come l’oggetto nella vendita) sopravvengano anche in seguito. L’art. 1348 c.c. ne sarebbe un tipico esempio.
Aderendo a questa teoria, qualora il bene non venga ad esistenza, non si ha nullità strictu sensu, così come prevista dall’art. 1472 c.c., ma il contratto rimane semplicemente definitivamente incompleto71. Medio tempore non si producono gli effetti definitivi del contratto (come ad esempio quelli reali se si tratta di una vendita), i quali sorgeranno solo quando quest’ultimo sarà completo di tutti i suoi elementi costitutivi. Tuttavia esistono degli effetti definiti “preliminari”, ossia il vincolo di irrevocabilità e una obbligazione relativa alla futura nascita del diritto alienato72.
Questa tesi è stata criticata in dottrina poiché presenta diversi punti xxxxxxx00. Si è obiettato che in realtà cade in una contraddizione in termini perché non è possibile immaginare un consenso validamente prestato senza che sussistano ab initio tutti gli elementi essenziali del contratto, tra i quali vi rientra altresì l’oggetto. Quest’ultimo, infatti, è stato definito dalla dottrina come il “contenuto della previsione volitiva” e il “termine di riferimento oggettivo della volontà”74. Di conseguenza se sussiste il consenso necessariamente esiste anche l’oggetto. Il negozio non si forma in fasi successive, ma definitivamente nel momento in cui si incontrano le manifestazioni di volontà.
Inoltre degli effetti obbligatori “preliminari” sono difficilmente conciliabili con una non ancora perfezionata fattispecie negoziale. La dottrina ritiene che non sia immaginabile alcun effetto giuridico
In giurisprudenza: Cass., 11 giugno 1956, n. 2048, in Giust. Civ., 1956, I, p. 1235; Cass. 11 gennaio 1958, n. 66, ivi, 1958, I, p. 677 (“la vendita di cosa futura costituisce un’ipotesi di contratto destinato a produrre, fino a quando la cosa non venga ad esistenza, effetti preliminari […] quando ciò non si verifica entro il termine perentorio all’uopo pattuito, il contratto rimane incompleto per mancanza dell’oggetto e quindi non si attua il trasferimento della res compravenduta nella proprietà del compratore, il quale deve restituire il prezzo eventualmente ricevuto in anticipo”); Cass., 11 gennaio 1958, n. 66, in Giust. civ., 1958, I, p. 677; Cass 16 giugno 1956. n. 2048, ibidem, 1956, I, p. 235; A. Bari 21 febbraio 1959, in Dir. e giur, 1960, p. 97 con nota di XXXXXXX X., Brevi appunti sulla permuta di cose future.
71 Se lo si considerasse completo, invece, si dovrebbe ricorrere alla figura della risoluzione o per inadempimento o per impossibilità sopravvenuta. Invece secondo XXXXXX, la previsione della nullità all’art. 1472 c.c. depone a favore della fattispecie a consenso anticipato. Se così non fosse il legislatore non avrebbe avuto motivo di specificare le conseguenze della mancata venuta ad esistenza del bene. Se si considerasse la vendita un contratto già di per sé perfetto sarebbe sufficiente l’applicazione dell’art. 1463, in op. cit., p. 181.
72 Per un approfondimento sulle caratteristiche degli effetti preliminari e sulle differenze rispetto a quelli definitivi si veda RUBINO D., La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, Xxxxxxx, 1939, p. 107 ss.
73 In particolare, PERLINGIERI P., op. cit., p. 83.
74 Cfr. OPPO G., Note sull’istituzione dei non concepiti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, I, p. 82: “poiché il negozio non è mera formula logica ma è strumento di effetti pratici e giuridici, l’esigenza di quella previsione in tanto è soddisfatta in quanto la previsione stessa abbia un contenuto praticamente e giuridicamente apprezzabile. Il destinatario e l’oggetto non si riducono alla previsione volitiva, ma sono termini di riferimento oggettivo della volontà”.
(compresa l’irrevocabilità del consenso) allorché si consideri il negozio come non ancora completo75. Di effetti si può parlare qualora manchino requisiti di efficacia, ma non di esistenza.
In giurisprudenza è stato affermato che (a differenza del contratto preliminare), la vendita di cosa futura non integri gli estremi del contratto “in formazione”, ma costituisca un negozio perfetto ab initio, avente la sola particolarità che l’effetto traslativo è rinviato al venire ad esistenza del bene, al cui avverarsi esso si produce automaticamente, senza che occorra un successivo atto di trasferimento76.
L’altro orientamento diffuso sia in dottrina che in giurisprudenza77 - e sviluppatosi durante la vigenza del codice del 1865 - ha qualificato il negozio ad oggetto futuro come negozio condizionato78.
Il passo in avanti che viene fatto con questa tesi (e le successive) è quella di aver considerato il negozio avente ad oggetto beni futuri come un contratto vincolante sin dall’inizio e completo di tutti i suoi elementi essenziali (compreso l’oggetto). È solo a seguito della conclusione di un contratto di tal fatta che possono conseguire le tre fondamentali conseguenze ex art. 1372 c.c.: resistenza del contratto al pentimento della parte, immodificabilità del regolamento ad opera del singolo contraente e irretrattabilità degli effetti consumati79.
La conseguenza dell’adesione a questa teoria è che - durante la pendenza della condizione - grava sulla parte che ha alienato il diritto sospensivamente condizionato l’obbligo di comportarsi secondo buona fede per mantenere integre le ragioni dell’altra parte.
Tuttavia è stata ampiamente criticata per diverse ragioni di ordine sistematico. Le posizioni contrarie rilevano anzitutto che l’oggetto, quale elemento essenziale del contratto, difetta del carattere sia
75 Si veda BIONDI B., I Beni, op. cit., p. 157.
76 Cfr. Cass., 10 agosto 2006, n. 18129, in Vita Notar., 2006, 3, p. 1431.
77 In giurisprudenza vedi Cass. 19 gennaio 1937, in Mass. Xxxx.xx, 1937, p. 35.
78 La condizione, come è noto, può essere riferita sia all’intero negozio, che alla sola prestazione. La precisazione è importante per evitare di cadere nell’errore di poter considerare l’effetto traslativo come possibile oggetto della condizione. Non si può condizionare il solo effetto reale: o si condiziona l’intero negozio o si deve sostenere che ad essere condizionata è l’obbligazione di dare traslativo che produce l’effetto reale. Ma in quest’ultimo caso si deve aderire alla teoria – di seguito esaminata – che qualifica la vendita di un bene futuro come vendita obbligatoria, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 150.
79 Il contratto validamente concluso vincola le parti ex art. 1372 c.c., cioè queste ultime sono soggette alle modificazioni che derivano dallo stesso. Può comunque non esserci coincidenza tra vincolo ed effetti: il vincolo può sussistere e operare anche senza questi ultimi. La condizione è uno di quegli elementi che incide sugli effetti, ma non sulla esistenza o validità o vincolatività, cfr. XXXXX X., Il contratto, op. cit., p. 501 e 568.
80 Cfr. XXXXXXXXX X., Corso di diritto civile, Dei contratti in generale, XI, Torino, Giappichelli, 1933, p. 108.
dell’estrinsecità - perché la parte non intende perseguire con l’apposizione di una simile condizione un interesse esterno non soddisfatto dal programma negoziale strictu sensu81 - sia dell’accidentalità - perché il programma negoziale non è autosufficiente rispetto al meccanismo condizionale. La condizione avrebbe riguardo non ad un avvenimento futuro e incerto cui ancorare l’efficacia del contratto82, bensì ad un elemento essenziale del negozio stesso secondo la legge83.
Inoltre una delle caratteristiche della condizione è la sua retroattività, che oltretutto ha carattere reale84 e dunque è opponibile erga omnes. Invece l’acquisto del bene futuro si verifica – expressis verbis – ex nunc.
b.2) In ragione delle numerose critiche di cui sopra, alcuni autori hanno ritenuto che la condizione cui è sottoposto il negozio ad oggetto futuro non sia quella di natura volontaria, ma legale.
Si tratterebbe di una condicio iuris attraverso la quale è l’ordinamento che subordina al verificarsi un evento futuro (la venuta ad esistenza della cosa) il sorgere delle rispettive obbligazioni. È, dunque, una condizione cd impropria, perché riguarda un elemento che concerne non l’efficacia, ma l’esistenza stessa del negozio86.
81 Il quale a rigor di logica dovrebbe essere diverso (e spesso incompatibile) con quello interno per il cui soddisfacimento la parte non ha che sfruttare lo strumento normativo.
82 Secondo un’altra teoria non si potrebbe a monte sottoporre a condizione il negozio ad oggetto futuro perché si tratta di un negozio di per sé incompleto fino alla venuta ad esistenza del bene.
83 Si è discusso a lungo in dottrina in relazione alla qualificazione dell’adempimento quale evento condizionabile. Brevemente si dà atto che la tesi contraria lamenta anche in questo caso il difetto del carattere della accidentalità (perché la deduzione in condizione del comportamento negoziale dovuto altererebbe il programma negoziale a tal punto che rimarrebbe provo di causa o dello stesso oggetto) e dell’estrinsecità (perché l’interesse all’adempimento non è esterno). Inoltre non vi sarebbe incertezza, si tratta infatti di un atto dovuto, e si assisterebbe all’anticipazione del momento esecutivo rispetto a quello dell’efficacia. L’orientamento favorevole, invece, ritiene che l’adempimento vada inteso come fatto storico e non come previsione contrattuale, pertanto non incide sull’esistenza del negozio, ma sulla sua esecuzione. Preso atto di ciò può essere considerato come un evento dotato del carattere dell’accidentalità e dell’estrinsecità (è uno strumento di tutela atipico diverso da quello ex artt. 1453 e 1456 c.c.) ed incerto (la sua doverosità non incide su tale aspetto).
84 Questa ulteriore critica non è, tuttavia, persuasiva perché la retroattività è un elemento solo naturale della condizione ed è quindi derogabile per volontà delle parti.
85 Cfr. XXXXX X., La vendita, op.cit., p. 98: l’autore riflette, in particolare, sulla distinzione tra vendita con riserva di proprietà (in relazione alla quale ritiene di aderire alla tesi del negozio condizionato) e vendita di cosa futura.
86 In dottrina: Scialoja A., Saggi di vario diritto, Roma, 1927, Vol. I, pag. 17; BUTERA A., La vendita dei frutti naturali, in Filangieri, 1903, pag. 83; ATTOLICO B., Vendita volontaria dei frutti pendenti, Filangieri, 1905, pag. 650. Si aggiunge che la condicio iuris non è solo prevista dalla legge, ma rispetto ad essa è escluso qualsiasi margine di operatività dell’autonomia privata, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 111. In caso di vendita di beni futuri, comunque, non c’è possibilità per la parte di condizionare il negozio ad un avvenimento diverso da quello della venuta ad esistenza del bene.
Ma anche in questo caso l’obiezione di fondo che si muove è che se l’esistenza del negozio è subordinata alla venuta ad esistenza della res – quale che sia la natura della condizione - significa che comunque il negozio su oggetto futuro sorgerà solo in quel momento e non prima.
Inoltre alcuni autori ritengono che non si possa considerare condicio iuris un evento da cui dipenda lo stesso perfezionarsi del contratto: la fattispecie contrattuale o è ancora in via di formazione o invalida87.
A tale orientamento sembra aderire una parte della giurisprudenza. In una sentenza della Cassazione, infatti, si legge che l’ipotesi ex art. 1472 c.c. sia una vendita soggetta alla condicio iuris della venuta ad esistenza della cosa alienata la cui mancata realizzazione comporta non già la risoluzione del contratto per inadempimento, bensì la nullità del medesimo per mancanza di oggetto88.
Le teorie più accreditate in dottrina e in giurisprudenza sono quelle che qualificano il negozio ad oggetto futuro quale vendita obbligatoria89 o contratto ad effetti reali differiti.
Al fine di poter comprendere se tra le due teorie vi siano differenze (o invece rappresentino due diverse denominazioni di una stessa ricostruzione) è necessario procedere ad una breve analisi di entrambe.
La vendita è obbligatoria ogniqualvolta il trasferimento del diritto non si verifica nel momento in cui si perfeziona il contratto ex art. 1376 c.c., ma è differito ad un momento successivo90.
87 X. XXXXXXX G., op. cit., p. 170 e GAZZONI F., Manuale di diritto privato, cit., p. 942.
88 Cfr. Cass., 30 giugno 2011, n. 14461, in Contratti, 2012, 4, p. 270 nota di XXXXXXXXXX e Cass., 10 marzo 1997, n. 2126, in Urbanistica e Appalti, 1998, 1, p.38, con nota di CISTULLI F.
89 Si citano ex multis: RUBINO D., op. cit., p. 309; XXXXXXXXX G., Dei singoli contratti, cit., p. 23; LUMINOSO A., La vendita, op. cit., p. 201; Id, Xxxxxxx, in Digesto civ., XIX, Torino, 1999, p. 620; BIANCA C.M., La vendita e la permuta, cit., pag. 82 (secondo il quale la categoria della vendita obbligatoria non può includere anche i contratti sospensivamente condizionati perché in questi ultimi è precluso sia l’effetto reale che quello obbligatorio); GAZZARA G., op. cit., p. 47. Altri esempi di vendita obbligatoria sono: la vendita di cosa futura, la vendita di cosa altrui, la vendita con riserva di proprietà, la vendita di cose di genere e la vendita alternativa. Non, invece, quella con riserva di proprietà e quella a termine iniziale perché in entrambe non nasce l’obbligazione ex art. 1476 n. 2, c.c. in capo al venditore (nella prima l’acquisto dipende dal pagamento del prezzo e nella seconda dal verificarsi dell’evento dedotto come termine iniziale), cfr, LUMINOSO A., La vendita, cit., p. 317. In caso di vendita di cosa altrui occorre fare una differenza. Infatti il venditore può acquistare lui stesso il bene dal terzo e allora nulla questio, dato che il trasferimento nel patrimonio del compratore è automatico non appena il primo ne diventa proprietario. Quando però il venditore induce il terzo a trasferire il bene direttamente al compratore è necessario stipulare un nuovo negozio (tra il terzo e quest’ultimo) che può essere considerato un pagamento traslativo. Contra RUBINO D., op. cit., p. 181, il quale giustifica la sua posizione alla luce dell’art. 1472 cc. La formulazione di tale norma esclude che si tratti di una vendita obbligatoria: se così fosse, infatti, non ci sarebbe stato bisogno della stessa, applicandosi in via generale l’art. 1463 c.c.. Inoltre non si fa alcuna distinzione tra mancata venuta ad esistenza imputabile e non. Anche la sua collocazione è un indice importante: se il legislatore avesse voluto intenderla come vendita obbligatoria l’avrebbe collocata nel §1.
In giurisprudenza si veda Cass., 28 novembre 1987, n. 8863, in Mass. Giur. It., 1987: la vendita di cosa futura, pur non comportando il passaggio della proprietà della cosa al compratore simultaneamente e per effetto della semplice manifestazione del consenso, non costituisce un negozio a formazione progressiva, di carattere e con effetti meramente preliminari (aventi per contenuto quello di porre in essere un successivo negozio), ma configura un’ipotesi di vendita obbligatoria di per sé sufficiente a produrre l’effetto traslativo della proprietà al momento in cui la cosa verrà ad esistenza.
90 Cfr. RUBINO X., op. cit., p.309.
L’ammissibilità di una tale figura negoziale è confermata dallo stesso legislatore all’art. 1476 n. 2,
c.c. in cui è previsto che possa sorgere in capo al venditore l’obbligazione di far acquistare la proprietà del diritto o della cosa al compratore, laddove ciò non sia un effetto immediato del contratto.
Il primo e principale problema ermeneutico che pone la norma summenzionata è l’enucleazione dell’esatto significato della locuzione “far acquistare la proprietà”.
c.1) Secondo i modelli giuridici che optano per il cd. principio di separazione - che prevede la scissione tra titulus e modus adquirendi – dalla vendita obbligatoria (il titulus) discende l’obbligo di dare traslativo, ossia di far acquistare la proprietà attraverso un ulteriore negozio (il modus), produttivo dell’effetto reale programmato e voluto dalle parti92. Pertanto una isolata e ormai superata dottrina ha sostenuto che dalla vendita obbligatoria, non diversamente da quanto accade nei paesi di stampo germanico, nasca l’obbligo di compiere un atto dispositivo che determina l’alienazione del bene93. Alla scissione cronologica tra negozio ed effetto reale corrisponde altresì una scissione strutturale: i due atti rimangono funzionalmente collegati, ma è il secondo che trasmette il diritto94.
c.2) L’orientamento più diffuso – facendo leva, invece, sul principio del consenso traslativo - ritiene che la struttura del contratto di vendita, quale contratto consensuale ad effetti reali95, non lasci spazio alla possibilità di dare vita ad una obbligazione di dare di cui sopra. Secondo autorevole dottrina nel nostro ordinamento può ammettersi che sorga tutt’al più l’obbligo di procurare il trasferimento (di
91 L’obbligazione di dare può avere, infatti, diversi contenuti. Generalmente si indica l’obbligazione di far acquistare al creditore la proprietà di una cosa che può consistere sia nel compimento di un atto traslativo che in altro comportamento purché sufficiente a produrre il risultato dovuto, cfr. CHIANALE A., Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, Xxxxxxx, 1990, p. 2. Comportamento che può anche tradursi in un negozio, ma non traslativo, se si ritiene che l’individuazione abbia carattere negoziale, BIANCA C.M., op. cit., p. 86.
92 Nel diritto romano il contratto di vendita aveva effetti meramente obbligatori, ma l’obbligazione del venditore prescindeva dal trasferimento della proprietà (si limitava solo alla consegna). Nell’ordinamento germanico, invece, la vendita obbliga ad un negozio traslativo astratto. Tale modello è stato adottato per garantire una più sicura e veloce circolazione dei beni, a costo però della minore tutela del titolare del diritto, cfr. XXXXXX X.X., op. cit., p. 83.
00 Xxx. XXXXX X., Xx compravendita e la permuta, cit., p. 5 ss.
94 Si tratta di uno schema diverso da quello preliminare-definitivo. Secondo XXXXXXXX in caso di inadempimento del preliminare il rimedio previsto è l’ottenimento di una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. (si prescinde dalla consegna). Mentre la mancata esecuzione della prestazione di dare traslativo è suscettibile di esecuzione forzata ex art. 2930 c.c., in Degli effetti del contratto, in Commentario Xxxxxxxxxxx, Milano, Xxxxxxx editore, 1999, p. 367,
95 L’aggettivo reale non sta ad indicare che ciò che viene trasferito deve essere sempre e comunque un diritto su un bene (si possono cedere anche crediti). Ma si riferisce al rapporto di causalità dell’effetto traslativo: significa “effetto diretto del puro e semplice consenso”. Il consenso, in altre parole, opera direttamente sul diritto (trasferendolo o costituendolo) senza bisogno di altri fatti successivi, così come il diritto reale attribuisce un potere diretto sulla cosa al titolare, il cui esercizio non necessita della collaborazione di altri soggetti, cfr. RUBINO X., op. cit., p. 299. Sul fatto che non si possa parlare di obbligo di trasferire in senso tecnico anche PERLINGIERI P., op. cit., p. 57; XXXXXXX G., op. cit., p. 140; GRECO P./COTTINO G., op. cit., p. 7.
fare quanto necessario96), ma non quello di fare acquistare la proprietà della cosa in senso tecnico (evitando così una pericolosa importazione di alcuni istituti). La vendita è e rimane un negozio traslativo97.
In linea teorica c’è, quindi, una profonda differenza tra vendita obbligatoria strictu sensu e vendita ad effetti reali differiti. La prima è caratterizzata dalla scissione tra titulus e modus adquirendi, con conseguente non automaticità dell’acquisto nel momento in cui il bene viene ad esistenza. La vendita ad effetti reali differiti, invece, rappresenta l’unica fonte dell’effetto traslativo (è allo stesso tempo titulus e modus)98.
Nel nostro ordinamento, tuttavia, non è stato accolto il principio di separazione, pertanto dalle ipotesi di vendita obbligatoria disciplinate all’interno del codice non discende un obbligo di dare in senso tecnico, così come in caso di vendita ad effetti reali differiti 99 (o anche di negozio ad effetti tipici parzialmente sospesi100).
Tale ultima denominazione, in realtà, alla luce di quanto detto sopra, non è altro che un modo per qualificare meglio (e allo stesso tempo descrivere) la vendita obbligatoria.
96 In caso di vendita obbligatoria l’obbligo può consistere: nella scelta (nella vendita alternativa), nel non impedire la nascita della cosa (nella vendita di cosa futura); nel procurare l’acquisto (in quella di beni altrui). Può essere, quindi, adempiuto con una serie diversa di atti di adempimento (specificazione, scelta, acquisto, pagamento integrale del prezzo), GAZZARA G., op. cit., p. 130.
97 Cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 58.
98 Come si deduce immediatamente dalla denominazione, in questo casi l’efficacia del trasferimento - normalmente immediata - viene rinviata ad un momento successivo. L’effetto traslativo differito è da ricondursi comunque al negozio di vendita.
99 Cfr. XXXXXXX G., Dei singoli contratti, cit., p. 98 e BETTI E. Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 240.
100 “Il rapporto giuridico reale, al quale tende la compravendita di cosa futura, non si costituisce per la non attualità dell’oggetto del trasferimento; e poiché il trasferimento è uno degli effetti del negozio, il negozio dicesi ad effetti sospesi”, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 169.
101 L’adozione del principio del consenso traslativo - sviluppato dalla dottrina francese con l’emanazione del Code Napoléon – consente il superamento del modello romanistico caratterizzato dalla scissione tra titulus e modus adquirendi. La sua origine viene fatta risalire ad una prassi notarile volta a spiritualizzare la traditio (già conosciuta nel diritto romano e realizzabile attraverso la constitutio possessorio). I notai cominciarono – dietro la spinta di esigenze di mercato – ad inserire nei contratti di vendita la clausola di constitutio possessorio, la quale rendeva superflua la traditio (dato che il venditore diveniva detentore e il compratore possessore del bene). La diffusione di questa prassi fu così capillare che ben presto le conseguenze della stessa divennero elementi naturali del contratto. Nell’ordinamento francese il legislatore, in adesione a tale principio, non permise la configurazione di una obbligazione di dare traslativo (è nota la previsione della promessa di vendita che vale quale vendita). Il legislatore del 1865, condizionato dall’importanza che la dottrina d’oltralpe diede al principio del consenso traslativo, non inserì all’interno del codice la possibilità di assumere un vincolo preliminare.
In giurisprudenza, recentemente, lo si è qualificato come contratto perfetto fin dall’inizio e completo in tutti i suoi elementi (seppur con contenuto ed effetti obbligatori, essendo il venditore di cosa futura tenuto all’attività strumentale positiva necessaria per realizzare l’attribuzione traslativa) che non ha bisogno della tradizione della cosa, cfr. Cass., Sez. Unite, 12 maggio 2008, n. 11656, in Corriere Giur., 2008, 10, 1380 nota di CLARICH, FIDONE. Nel momento in cui il bene viene ad esistenza, si ha un automatico trasferimento del diritto in capo al compratore e nasce l’obbligazione di consegna
La ricostruzione de quo è sicuramente quella che più tutela la parte interessata alla venuta ad esistenza del bene. Infatti medio tempore nascono dei veri e propri vincoli di natura obbligatoria.
La fonte normativa cui fare riferimento - se si tratta di una vendita - è innanzitutto l’obbligo ex art. 1476 n.2 c.c..
Ma come si coniuga la struttura della vendita obbligatoria con l’art. 1376 c.c.? In realtà il principio del solo consensu non impone che l’effetto traslativo debba essere immediato, nel senso che debba essere anche contestuale alla manifestazione del consenso. I due piani - rappresentati dall’aspetto temporale e dal meccanismo di produzione dell’effetto traslativo - non vanno confusi: l’effetto reale è subordinato al verificarsi di eventi ulteriori che però non integrano il compimento di un atto traslativo. In questi casi l’effetto summenzionato si produce automaticamente e ha la sua fonte nel consenso originariamente manifestato103.
3.3. Autonomia delle parti ed effetto reale
Preso atto dell’accezione che l’orientamento dominante in dottrina dà alla nozione di vendita obbligatoria e del corrispondente contenuto dell’obbligo che nasce in capo al debitore, è d’uopo chiedersi se sia comunque possibile per le parti disporre dell’effetto reale: se cioè l’autonomia negoziale possa regolare o meno l’effetto traslativo.
L’unico strumento legislativamente previsto a tal fine è lo schema contratto preliminare-contratto definitivo o il patto di opzione.
Ma c’è spazio per negozi atipici? Molto spesso infatti ci sono casi in cui l’immediata trasferibilità non realizza l’interesse delle parti. Attenta dottrina rileva, infatti, che vi sono delle ipotesi in cui
a carico del venditore e l’obbligo del pagamento del prezzo a carico del compratore, cfr. Cass., 12 giugno 2015, n. 12274 in Fisco, 2015, 29, 2871 nota di BORGOGLIO.
102 Cfr. Cass., 16 maggio 2016, n. 9994, in Giur. It., 2016, 12, p. 2591 nota di XXXXXXX (in cui viene confermato che il negozio è già completo in tutti i suoi elementi al momento della sua conclusione e tuttavia è parzialmente inefficace perché manca un requisito o una concausa della efficacia). In materia di mediazione ad esempio la giurisprudenza ha affermato che dato che il negozio su beni futuri è un contratto consensuale, che si perfeziona con il solo consenso per la deduzione delle provvigioni è al momento della conclusione che si deve fare riferimento, cfr. Cass., 12 giugno 2015, n. 12274, in Fisco, 2015, 29, p. 2871.
103 Cfr. XXXXXX X.X., op. cit., p. 84 e XXXXXXX G., op. cit., p. 92: “anche la vendita obbligatoria, in latri termini, ha natura di contratto consensuale e non di contratto reale, perché gli atti o i fatti ulteriori non appartengono alla fase formativa del contratto, ma alla sua fase esecutiva e sono privi di diretta efficacia causale sul risultato traslativo, risultato che deve riportarsi esclusivamente alla forza intrinseca del contratto di compravendita”.
Altra dottrina, invece, ritiene che la locuzione “effetto immediato” ex art. 1476, n.2 c.c. abbia un significato “uguale e contrario” rispetto a quello ex art. 1376 c.c.. Infatti, occorre comunque un fatto o un atto successivo, prima del verificarsi del quale vi è una fase meramente obbligatoria.
l’immediato trasferimento del diritto risulta essere un effetto “inidoneo, per non dire controindicato” rispetto agli interessi perseguiti104.
È d’uopo premettere che l’atipicità può riguardare due aspetti fondamentali: il momento perfezionativo della fattispecie o – semplicemente - il momento della produzione degli effetti reali.
a) La prima ipotesi riguarda il problema del riconoscimento all’autonomia negoziale del potere dare rilevanza - ai fini del perfezionamento della fattispecie - a ulteriori elementi. In questo modo l’effetto reale (nonché la conclusione del negozio) sarebbe posticipato ad un momento successivo, ad esempio la traditio. Se così fosse accanto alle ipotesi di contratti consensuali, le parti potrebbero stipulare fattispecie contrattuali a contenuto economico corrispondente in cui la consegna venga collocata non nella fase esecutiva del rapporto, ma in quella formativa del contratto (i cd corrispondenti contratti reali atipici)105.
La datio rei viene ritenuta necessaria dal legislatore perché in alcuni casi serve a supportare una causa debole, per rendere vincolante una promessa in relazione a un rapporto che altrimenti sarebbe di pura cortesia (come nel caso del comodato). Altre volte, invece, è l’unico strumento idoneo per dare pubblicità ad un determinato rapporto (come nel caso del pegno). Inoltre in un ordinamento fondato
104 Ad esempio nel campo delle vendite immobiliari vi è il problema dell’interferenza della disciplina urbanistica. Si parla, infatti, di rischio urbanistico (del rischio di una sopravvenuta modificazione dello strumento che altera completamente i termini dell’accordo). Il differimento previsto dall’art. 1472 talvolta non è da solo sufficiente per permettere il controllo delle variabili collegati all’operazione. Pertanto spesso le parti sono interessate a spostare aventi nel tempo il momento del passaggio della proprietà al momento in cui tali eventualità possano considerarsi superate, cfr. CAMARDI C., Principio consensualistico, produzione e differimento dell’effetto reale. I diversi modelli, in Contr. e impr., 1998, I, p. 572 ss.
105 Per approfondimenti si rimanda al capitolo terzo.
106 Cfr. Cass., 28 maggio 1998, n. 5264, in Giust. civ., 1998, I, p. 2159 ss., con nota di MAXXXXX X., Pegno rotativo: la dottrina ispira la Cassazione. Prime osservazioni; Cass., 26 gennaio 1996, n. 611, in Riv. Dir. Comm., 1997, II, 457 nota di XXXXXXXXX: “Mentre è possibile, nelle ipotesi di previsione legale di un contratto reale, che le parti elaborino in luogo di esso un corrispondente contratto consensuale atipico, è invece da escludere che, essendo dalla legge previsto, per un certo assetto negoziale, il meccanismo regolatore della consensualità, vera e propria "via maestra" nella produzione degli effetti giuridici, le parti possano ad esso derogare, creando un modello reale atipico”.
In dottrina, sul punto riflessioni di CAXXXXX X., La rescissione del contratto, Artt. 1447-1452, in Comm. Xxxxxxxxxxx- Busnelli, Milano 2000, pp. 54-55. Secondo alcuni autori non ci sarebbero ostacoli all’ammissibilità dell’ipotesi inversa, ossia della creazione di un contratto consensuale parallelo a quello reale, con la precisazione però che il primo non potrà essere un semplice duplicato del secondo che rappresenta la figura tipica, cfr. FAVA P., Il contratto, Milano, Xxxxxxx, 2012, p. 1067. Si pensi ad esempio al contratto consensuale di mutuo di scopo, la cui consensualità, affermata dalla nota Caxx., 10 giugno 1981, n. 3752, in Foro. it., 1982, I, p. 1687, con nota di NIXXXXX, è ormai pacifica.
sul principio del consenso traslativo, la consegna imposta quale elemento essenziale per il perfezionamento del contratto costituirebbe una forma di limitazione dell’autonomia privata.
La dottrina è, invece, divisa. Secondo alcuni autori in un sistema come il nostro, in cui basta il mero consenso per creare il vincolo contrattuale, sarebbe una contraddizione ammettere la trasformazione di un contratto consensuale in uno reale. L’autonomia privata è libera di inserire elementi di realità in un contratto, mantenendo però inalterato lo schema ex art. 1321 c.c.107: ad esempio prevendendo il differimento degli effetti reali alla consegna o al pagamento del prezzo108. Esiste comunque un orientamento possibilista in tal senso, le cui argomentazioni sono riportate all’interno del capitolo terzo.
b) Passando alla seconda ipotesi di atipicità, appare astrattamente possibile - in linea generale - modulare la produzione degli effetti reali.
107 Cfr. XXXXXXXX X., op. cit., p. 326.
108 In giurisprudenza si veda Cass., 8 agosto 1990, n. 8051, in Mass. Giur. It., 1990: “per quanto la condizione costituisca di regola un elemento accidentale del negozio giuridico, come tale distinto dagli elementi essenziali astrattamente previsti per ciascun contratto tipico dalle rispettive norme, tuttavia, in forza del principio generale della autonomia contrattuale previsto dall’art. 1322 c. c. - dal quale deriva il potere delle parti di determinare liberamente, entro i limiti imposti dalla legge, il contenuto del contratto anche in ordine alla rilevanza attribuita all’uno piuttosto che all’altro degli elementi costitutivi della fattispecie astrattamente disciplinata - i contraenti possono prevedere validamente come evento condizionante (in senso sospensivo o risolutivo dell’efficacia) il concreto adempimento (o inadempimento) di una delle obbligazioni principali del contratto”; Cass., 24 febbraio 1983, n. 1432, in Mass. Giur. It., 1983 precisa che “nessuna incompatibilità di principio può ritenersi sussistente fra condizione ed esecuzione di una prestazione essenziale, quale è il pagamento del prezzo rispetto al contratto di compravendita, talché è bene ammissibile la deducibilità di quest’ultima come evento condizionante e non è qualificabile come condizione meramente potestativa bensì come condizione potestativa semplice”.
109 Ad esempio la data della stipulazione del rogito (considerato una riproduzione meramente formale del contratto originario nella quale le dichiarazioni delle parti assumono valore storico - rappresentativo e non manifestazione di una nuova volontà di trasferire), cfr. Cass., 20 aprile1994, n. 3741, in Giust. civ. mass., 1994, p.533: l’affermazione che le parti concordarono di differire l’effetto traslativo alla data di stipula del rogito notarile non è in contrasto con la natura di vendita ad effetti obbligatori perché l’effetto traslativo è stato collegato alla data del rogito e non alla stipula dello stesso, con la conseguenza che una volta decorso il tempo stabilito, l’effetto in questione si è automaticamente realizzato (ma anche laddove l’effetto fosse stato differito alla stipula del rogito con detto atto le parti non avrebbero espresso la volontà di trasferire l’immobile, ma la volontà di riprodurre il negozio anteriormente stipulato espressione, esso si, della volontà di trasferire).
110 Sull’ostilità della dottrina si veda CHIANALE A., op. cit., p. 35. BIXXXX xileva che la sequenza titulus – modus non trova riscontro nella nostra legislazione in materia di vendita. Anzi il legislatore si è premurato di eliminare le formule ambigue del vecchio codice (“contratto per cui uno si obbliga a dare una cosa”, ex art. 1447), in La vendita e la permuta, cit., p. 84.
Favorevoli al riconoscimento invece: SACCO R., Prxxxxxxx xonsensualistico ed effetti del mandato, in Xxxx.xx, 1966, I, p. 1394; CHIANALE A., op. cit., p. 48 ss. Vedi anche GAZZONI F., Babbo natale e l’obbligo di dare, in Riv. not, 1991, p. 1417 ss, il quale rileva come spesso la Cassazione abbia utilizzato schemi tradizionali (di solito il contratto preliminare) pur di non ammettere che in concreto si trattava di un pagamento traslativo (es. padre che assolve il suo dovere di mantenimento donando un pezzo di terreno a una figlia). Un tale atteggiamento è “frutto di numerosi dogmi e pregiudizi ottocenteschi
Quest’ultima è un’obbligazione sostanzialmente diversa da quella di dare ex art. 1476, n.1, c.c. (di consegna del bene), che è meramente esecutiva di un effetto reale già realizzatosi. Differisce, altresì, da quella ex art. 1476 n.2 c.c. (far acquistare la proprietà della cosa o il diritto se l’acquisto non è effetto immediato del contratto111) perché il fine dell’attività ivi prevista non è quello di far acquistare la proprietà (con un ulteriore negozio), ma di porre la cosa in condizioni di essere acquistata dal compratore (ad esempio attraverso l’individuazione o la selezione) 112.
Il negozio di dare traslativo attraverso il quale si trasferisce la proprietà in adempimento di un obbligo preesistente (solvendi causa) viene comunemente definito pagamento traslativo e non è estraneo al nostro ordinamento.
Gli ostacoli che sono stati frapposti in ordine alla sua ammissibilità sono sostanzialmente due: l’art. 1376 (il principio consensualistico) e l’art. 1325, n. 2 cc che vieta gli spostamenti traslativi astratti. L’art. 1376, tuttavia, non codifica un dogma assoluto114. Sono rinvenibili all’interno del codice, infatti, numerose eccezioni allo stesso: i negozi di costituzione dei diritti reali di garanzia, le ipotesi di vendita obbligatoria, la donazione di modico valore.
che la S.C. non riesce a superare”. La giurisprudenza, infatti, dovrebbe “avere il coraggio di affermare a chiare lettere che nel nostro ordinamento ben può trovare autonomo spazio l’obbligo di dare, al quale segue il pagamento traslativo”. L’obbligo di dare può essere assunto a titolo gratuito (ed allora lo schema sarà quello ex art. 1333 c.c.). Se prevede una controprestazione, invece, si sarà davanti a un contratto che potrà essere qualificato anche come atipico e il trasferimento della proprietà avverrà con un pagamento traslativo.
111 Rileva attenta dottrina che – proprio per evitare di creare dubbi – si è usata la locuzione “far acquistare” e non “trasmettere”, cfr. RUBINO D., op. cit., p. 310.
112In quest’ultimo caso la parte sarebbe obbligata ad un facere negoziale che consiste nella manifestazione di un consenso con funzione traslativa. Un esempio, con le dovute precisazioni, è rappresentato dal contratto preliminare. Il contratto definitivo, infatti, secondo parte della dottrina, ha una causa sua interna e una esterna (solvendi). Tuttavia differisce dal modus adquirendi puro perché il negozio definitivo è esso stesso “titolato”, contraddistinto cioè da una funzione sua propria che è idonea a giustificare di per sé il trasferimento. Il fenomeno della scissione tra titulus e modus non è, comunque, estraneo al nostro ordinamento. L’obbligo di dare è previsto dallo stesso legislatore all’interno del codice in diverse ipotesi e può avere fonte legale (ex art. 746 c.c. in materia di collazione di beni immobili), oppure derivare da una sentenza (ex art. 2058 c.c.c, quando il danneggiante viene condannato a trasferire un bene dello stesso genere e qualità della cosa distrutta), da testamento (ex art. 651 c.c.), da contratto (ad esempio quello di mandato senza rappresentanza con obbligo di ritrasferimento, ex art. 1706, comma 2, c.c. o quello di società per quanto concerne i conferimenti ex art. 2253 e 2254 c.c.) o anche da regole morali o sociali laddove si ammetta che si possa adempiere l’obbligazione naturale attraverso un negozio traslativo.
113 Cfr. GAZZARA G., op. cit., p. 128. Nella vendita necessariamente obbligatoria rientrano tutte le ipotesi in cui l’effetto reale non si può produrre immediatamente per la natura stessa del rapporto (come in caso di vendita di beni futuri). Mentre nella seconda categoria si inquadrano tutte le ipotesi in cui la natura del rapporto, oggettivamente considerata, avrebbe reso possibile l’immediato trasferimento del bene se le parti non avessero modificato il contenuto precettivo del negozio. 114 Suddetta norma codifica un principio già affermato e desumibile dall’art. 1321 c.c. (il contratto nasce con l’accordo) e che non rappresenta né quello più antico né quello più sicuro per la regolamentazione del traffico giuridico, visto che non dirime i conflitti tra più soggetti derivanti dalla contemporanea esistenza di più titoli attributivi. Neanche la consegna della cosa nei contratti reali può considerarsi un principio di ordine pubblico, visto che attenta dottrina ha elaborato la distinzione tra contratti in cui la realità è una essentialia negotii (quelli gratuiti) e quelli in cui è una naturalia negotii (quelli onerosi), cfr: XXXXXXXX X., op. cit., p. 314 ss.; CAXXXXX X., op. cit., p. 599 (nel rispetto del principio causalistico e senza oltraggio a quello del consenso traslativo, le parti possono programmare un trasferimento di proprietà nell’ambito di una sequenza procedimentale che separi consenso e trasferimento); SACCO R., Il contratto, Milano, UTET, 2016, p.
Più complesso è invece il percorso dottrinale volto a superare il secondo scoglio: la necessaria causalità di tutti gli spostamenti di ricchezza.
L’ordinamento si preoccupa che ogni forma di manifestazione di autonomia negoziale abbia una causa: un soggetto non può depauperarsi senza che questo impoverimento corrisponda ad una logica di mercato, di scambio, salvo diversa disposizione legislativa115. Ed è per questi motivi che gli unici modi attraversi i quali un soggetto poteva disporre e spogliarsi dei propri beni erano la vendita – nelle forme espressamente previste dalla legge – e la donazione.
Il principale problema, quindi, rispetto al riconoscimento dell’obbligazione di dare in senso tecnico (e quindi alla scissione tra titulus e modus da parte dei privati al di fuori delle specifiche previsioni legislative) era data dall’impossibilità di rinvenire uno strumento giuridico diverso dalla vendita per realizzare l’effetto traslativo. Non era ammesso il negozio gratuito atipico.
Con il superamento della teoria della causa in astratto e la valorizzazione di quegli interessi che le parti hanno oggettivamente dedotto nel contratto, si è riusciti a dotare di giustificazione causale anche tali negozi. La nozione di gratuità, infatti, va distinta da quella di liberalità. Il negozio gratuito è sorretto da un interesse patrimoniale che può giustificare lo spostamento.
Pertanto non vi è più nessuna difficoltà - dal punto di vista causale - ad ammettere la previsione di un’obbligazione di dare traslativo, la quale può essere adempiuta attraverso un negozio gratuito atipico solvendi causa con giustificazione esterna116.
Anche a voler ammettere la possibilità di creare una versione atipica della vendita in linea con il modello romanistico, è bene comunque rilevare che la scissione in questi due negozi ha ulteriori importanti ripercussioni.
Innanzitutto ci si chiede come si atteggi in questi casi il requisito della expressio causae. L’atto di trasferimento ha una causa esterna e la dottrina è orientata nel senso di ritenere fondamentale la menzione della giustificazione causale in caso di beni immobili118.
929 (il consensualismo appare più come una tendenza, che come un dogma). L’art. 1376 è una norma dispositiva e interpretativa della volontà delle parti. Si pensi, altresì, al fatto che in alcune regioni italiane vige il sistema tavolare.
115 Laddove non c’è lo scambio si ha una causa donativa o il gioco d’azzardo ed entrambi i fenomeni sono espressamente previsti e disciplinati dal legislatore ed ammessi solo entro certi limiti.
116 Se invece ci si sofferma solo sulla causa in astratto, non essendoci alcun corrispettivo, manca qualsiasi forma di razionalità economica.
117Cfr. LUMINOSO A., La vendita, cit., p. 312.
118 Il fatto che la causa sia esterna esclude che in questi casi si abbia astrattezza del negozio. Il principio di causalità rileva in maniera differente a seconda che il negozio abbia effetti reali od obbligatori. Nel secondo caso la causa si presume esistente anche se non dichiarata, salvo prova contraria (ex art. 1988 c.c.). Se il negozio è, invece, traslativo è richiesto il massimo rigore (forma scritta e expressio causae), cfr. GAZZONI F., Manuale di diritto privato, cit, p. 831.
Inoltre sorgono problemi nel caso in cui la causa esterna manchi (perché ad esempio il titulus è invalido). La tesi prevalente, in quest’ultimo caso, ritiene che il pagamento traslativo sia nullo per mancanza di causa. Altra dottrina, influenzata dagli ordinamenti in cui la scissione tra titulus e modus è la regola, ritiene invece che il pagamento non sia nullo ma semplicemente indebito119
A seconda della tesi cui si aderisce in merito alla ricostruzione del fenomeno della contrattazione su oggetto futuro120 mutano sensibilmente diversi aspetti quali:
a) il momento perfezionativo del negozio;
b) gli obblighi in capo alle parti;
c) la sorte del contratto qualora il bene non venga ad esistenza;
d) la natura giuridica della responsabilità;
e) la trascrivibilità.
Sulla base delle considerazioni svolte nel precedente paragrafo è possibile tracciare una breve sintesi in relazione a ciascuna di esse.
a) Come desumibile dalla qualificazione stessa che viene data al negozio, prima della venuta ad esistenza del bene non può dirsi perfezionata la fattispecie tipica su oggetto futuro per la mancanza di uno degli elementi essenziali ex art. 1325 c.c.: l’oggetto.
b) Medio tempore non si producono gli effetti definitivi del contratto (ad esempio quelli reali se si tratta di una vendita), che sorgono solo allorquando quest’ultimo è completo di tutti i suoi elementi costitutivi. Tuttavia esistono degli effetti definiti “preliminari”: il vincolo di irrevocabilità e una obbligazione relativa alla venuta ad esistenza del bene. Su entrambe le parti grava l’obbligo di non
119 In tal modo la mancanza di causa esterna non è opponibile erga omnes e in ogni tempo, salvo pubblicità sanante, usucapione o possesso vale titolo, ma è esperibile esclusivamente l’azione personale di ripetizione dell’indebito, cfr. GAXXXXX X., op. cit., p. 834. Bisogna però precisare che la nullità della prestazione isolata senza causa esterna (dato che non vi possono essere negozi senza giustificazione causale) vale quando quest’ultima non ha essa stessa una sua giustificazione. Se il negozio accanto alla causa esterna ne ha anche una sua interna propria (si pensi ad esempio al contratto definitivo) l’eventuale invalidità del titulus (il contratto preliminare) rileva sotto il profilo dei vizi della volontà (come errore di diritto in quanto la parte riteneva di essere tenuta a stipularlo).
120 Escludendo quelle oramai superate appartenenti alla prima macrocategoria.
impedire la futura nascita del diritto e talvolta - ma solo nei confronti del venditore e se pattuito121 - anche quello a contenuto positivo di agire per favorirne la nascita se il suo contributo è necessario a tal fine.
c) Nel caso in cui il bene non venga ad esistenza non si ha nullità strictu sensu, così come prevista dall’art. 1472 c.c., perché non si è ancora perfezionato. Il contratto rimane definitivamente incompleto.
Inoltre essendo l’obbligazione di far nascere la cosa semplicemente di natura preliminare (e non definitiva), non si crea alcun sinallagma con quella di pagamento del prezzo. Di conseguenza non può esserci spazio per la domanda di risoluzione né per inadempimento, né per eccessiva onerosità sopravvenuta.
d) La mancata venuta ad esistenza del bene comporta che il negozio rimanga definitivamente incompleto. Qualora quest’ultima non sia imputabile a nessuna delle due parti ci sono responsabilità. Tutt’al più, se una parte ha già pagato il prezzo, avrà diritto alla restituzione.
Nei casi in cui, invece, si riscontri la colpa (ad esempio il compratore non abbia fatto quanto doveva per far nascere il bene), l’altra potrà ottenere il risarcimento del danno, limitato però al solo interesse negativo. L’articolo di riferimento è il 1338 c.c. e si risponde non per la conclusione di un contratto nullo già al momento della sua stipulazione, ma per averne impedito il completamento.
a) Il negozio avente ad oggetto beni futuri è un contratto perfetto già al momento dell’incontro delle manifestazioni di volontà delle parti, ancor prima della venuta ad esistenza del bene.
121 La necessità della pattuizione, che può essere espressa o tacita, rappresenta una ulteriore differenza rispetto alla vendita obbligatoria, cfr. RUBINO D., op. cit., p. 183.
122 Se si tratta di vendita: si trasferisce la proprietà; sorge l’obbligo di consegna e di pagare il prezzo nonché la garanzia per i vizi.
123 Non si verificano gli effetti riferiti alla situazione finale finché dura la pendenza della condizione, salvo alcune eccezioni derivanti dall’applicazione dei principi ricavabili dalle disposizioni dettate dall’art. 1358 c.c.. Dalla lettura delle norme è possibile individuare il contenuto delle aspettative delle parti del contratto condizionato, ossia delle situazioni soggettive che nascono dal contratto condizionato. Sorgono diritti ed obblighi preliminari che possono dar luogo a
La condizione sospende la produzione degli effetti del contratto, siano essi reali o obbligatori. Questa fase di “pendenza” è regolata da una particolare disciplina (ex art. 1356 e ss c.c.)124.
Letteralmente, l’odierno art. 1358 c.c., sembrerebbe far sorgere un obbligo non in capo ad entrambe le parti, ma solo nei confronti di colui che risulta essere il titolare del diritto, al fine di tutelare l’aspettativa giuridicamente rilevante dell’altro soggetto ad ottenere quanto dovuto. Tuttavia l’immanenza del principio di buona fede che permea l’intera disciplina contrattuale porta a ritenere che un generale obbligo di correttezza incomba anche sull’altra parte. É vero, infatti, che il periodo di pendenza della condizione precede quello di esecuzione, ma non può essere nettamente distinto dal secondo125. Si tratta di una fase strumentale durante la quale non possono essere posti in essere comportamenti tali da compromettere e pregiudicare l’esecuzione del contratto.
Il contenuto dell’obbligo di correttezza si sostanzia nel dovere di preservare l’oggetto del diritto su cui ricade l’aspettativa dell’altra parte e quello di non ostacolare l’avveramento della condizione. Le parti possono specificarlo con previsioni puntuali all’interno del regolamento contrattuale.
Qualora nulla sia stato stabilito, quest’ultimo potrà essere ricostruito tenendo conto delle specifiche circostanze di fatto. In linea di principio la parte deve preservare integre le ragioni dell’altra e cooperare lealmente al fine di massimizzare i vantaggi e ridurre gli oneri e i rischi in capo a quest’ultima126. Ne consegue che i comportamenti doverosi possono avere anche contenuto positivo.
risoluzione per inadempimento alla specifica obbligazione - prevista dal citato art. 1358 c.c. - di ciascun contraente di comportarsi in pendenza della condizione "secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte", cioè di osservare i doveri di lealtà e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. in modo da non influire sul verificarsi dell’evento condizionante pendente, cfr. Cass. 18 marzo 2002, n. 3942, in in Contratti, 2003, 5, p. 443 nota di TRXXXXXX.
124 Durante il detto periodo di pendenza le parti si trovano in una posizione di aspettativa che è fonte di effetti preliminari. In particolare “in pendenza della condizione sospensiva, il contratto a prestazioni corrispettive produce i suoi normali effetti e vincola i contraenti al puntuale ed esatto adempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte: la condizione, infatti, rende incerto il negozio, ma è già fermo ed irrevocabile il vincolo negoziale. Nessun effetto riferito alla situazione finale può però verificarsi finché dura la pendenza salvo alcune eccezioni derivanti dall’applicazione dei principi ricavabili dalle disposizioni dettate dall’art. 1358 c.c.: da dette disposizioni è possibile individuare il contenuto delle aspettative delle parti del contratto condizionato, ossia delle situazioni soggettive che nascono dal contratto condizionato. Tale contratto fa sorgere diritti ed obblighi preliminari che possono dar luogo a risoluzione per inadempimento alla specifica obbligazione - prevista dal citato art. 1358 c.c. - di ciascun contraente di comportarsi in pendenza della condizione "secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte", cioè di osservare i doveri di lealtà e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., in modo da non influire sul verificarsi dell’evento condizionante pendente”, cfr. Cfr. Cass., 19 giugno 2014, n. 14006, in Contratti, 2015, 3, 270 nota di VECCHIO.
125 La dottrina sostiene che l’art. 1358 c.c. sia una norma che pone un obbligo specifico all’interno di un ambito che comunque è già ritenuto coperto dal più generale obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c. Anche se gli effetti del contratto sono sospesi, infatti, sembra appropriato parlare di “fase di esecuzione del contratto” perché fra le parti esiste pur sempre un regolamento contrattuale, cfr. ROXXX X., op. cit., p. 592.
126 Cfr. sempre ROPPO V., op. cit., p. 593. Ciò vale anche in caso di condizioni miste, ossia di quelle dipendenti in tutto o in parte dal comportamento o dalla volontà di uno dei contraenti. Le Sezioni Unite hanno, infatti, ribadito che il principio di buona fede costituisce criterio di valutazione e limite anche del comportamento discrezionale del contraente dalla cui volontà dipende (in parte) l’avveramento della condizione. Tale comportamento “non può essere considerato privo di ogni carattere di doverosità, sia perché - se così fosse - si risolverebbe in una forma di mero arbitrio, contrario al dettato dell’art. 1355, sia perché aderendo a tale indirizzo si verrebbe ad introdurre nel precetto dell’art. 1358, una restrizione che questo non prevede, limitandolo all’elemento casuale della condizione mista, cioè ad un elemento sul quale la condotta della parte ha ridotte possibilità di incidenza, mentre la posizione giuridica dell’altro contraente resterebbe in concreto priva di ogni tutela. Invece è proprio l’elemento potestativo quello in relazione al quale il dovere di comportarsi
Il merito della teoria del negozio condizionato è - oltre a quello di aver ricostruito il fenomeno della contrattazione su oggetto futuro come fattispecie regolata da un negozio unico che si perfeziona al momento dell’incontro della volontà delle parti - quello di offrire alla parte numerosi strumenti di tutela.
Questi ultimi, in caso di inadempimento, sono diversi. Oltre a quelli generali previsti in caso di inosservanza dell’obbligo di buona fede (la risoluzione128 e il risarcimento)129, vi sono quelli specifici per neutralizzare i comportamenti imputabili all’altra parte. Infatti, qualora il diritto oggetto del negozio sia pregiudicato da atti materiali, è possibile compiere atti conservativi. Se, invece, sono posti in essere atti giuridici (di natura, ad esempio, dispositiva), soccorre in favore del soggetto leso la retroattività reale della condizione.
Infine, qualora vi sia un comportamento scorretto volto ad interferire con il naturale processo di avveramento, la parte può utilizzare il rimedio della la fictio iuris ex art. 1359 c.c..
secondo buona fede ha più ragion d’essere, perché è con riguardo a quell’elemento che la discrezionalità contrattualmente attribuita alla parte deve essere esercitata nel quadro del principio cardine di correttezza”, cfr. Cass., Sez. Unite, 19 settembre 2005, n. 18450, in Corriere Giur., 2006, 2, 212 nota di MOTTOLA.
127 L’art. 1358 c.c. delimita il contenuto generale dell’obbligo di buona fede in quanto il comportamento richiesto è limitato al dovere di conservare integre le ragioni dell’altra parte. Quest’ultima, dunque, non può essere costretta a tenere un comportamento positivo, perché in caso di negozio condizionato entrambe le parti si assumono il rischio in ordine all’avveramento dell’evento dedotto. La parte che ha la disponibilità del bene può essere, comunque, chiamata ad attivarsi per preservare quest’ultimo, nei limiti però dell’apprezzabile sacrificio. Di conseguenza il parametro da utilizzare in caso di inadempimento non può essere quello della diligenza del buon padre di famiglia ex art. 1176 c.c., cfr. BIXXXX X.X., Il contratto, Milano, Xxxxxxx, 1984, p. 526.
128 La risoluzione può essere chiesta anche con riferimento alla violazione di obblighi a contenuto generico, come quello di buona fede e correttezza (propri della fase condizionale). L’inadempimento non comprende esclusivamente la non esatta esecuzione (totale o parziale) della prestazione, ma anche la mancanza del comportamento necessario alla realizzazione del contratto, cfr. PERLINGIERI P., I negozi sui beni futuri, cit., p. 223.
129 Secondo Cass. 18 marzo 2002, n. 3942, cit.: il contratto pur inefficace per il mancato avveramento della condizione può essere risolto in danno della parte colpevole di aver violato il dovere di comportarsi in buona fede. È di conseguenza ammissibile la risoluzione - di un contratto divenuto inefficace per il mancato avveramento della condizione - per inadempimento dell’obbligo di comportarsi, in pendenza della condizione, secondo buona fede nonché di astenersi da quanto possa pregiudicare gli interessi dell’altro contraente e di compiere quanto sia del caso necessario affinché l’evento condizionante si verifichi (in tali senso ex multis: sent. 22 marzo 2001 n. 4110; sent. 2 giugno 1992 n. 6676; sent. 10
marzo 1992 n. 2875).
130 Si ricade in questa ipotesi solo laddove sia certo che l’evento dedotto in condizione non potrà mai verificarsi.
Non può considerarsi invalido poichè nel nostro ordinamento la nullità è un vizio dell’atto e quindi presuppone un confronto con il quadro normativo vigente al momento della conclusione del negozio131. Si discute in dottrina in ordine all’ammissibilità della figura della nullità sopravvenuta. Ne sono stati individuate due tipologie: quella ex art. 1472 c.c. (definita anche nullità sospesa132) e quella che si ha allorquando sopraggiunga una nuova valutazione legislativa che va ad incidere su negozi ad effetti differiti o sospesi o di durata.
In entrambi i casi la soluzione preferibile è quella che nega la possibilità di dichiarare tamquam non esset un contratto ab origine valido per la sopravvenienza di un evento successivo133. Le cd ipotesi di nullità sopravvenuta incidono, infatti, non tanto sull’atto, ma sul rapporto (sugli effetti). Di conseguenza non hanno la natura di vera e propria nullità134.
Inoltre se la condizione non si è verificata e la parte non ha violato l’obbligo ex art. 1358 c.c. di comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte non può domandarsi la risoluzione del contratto. Secondo la giurisprudenza, infatti, si può parlare di inadempimento contrattuale solo quando il contratto è efficace (il mancato avveramento della condizione impedisce la verifica circa l’inadempimento)135.
Tuttavia va segnalato che in un caso in cui la Cassazione si è schierata in favore della ricostruzione della vendita di cosa futura quale negozio sottoposto a condicio iuris, i giudici hanno tratto delle
131 Salvo che sopravvenga una norma cd retroattiva, ossia quella che si riferisce a fatti, atti o eventi verificatisi anteriormente alla sua entrata in vigore per riconnettervi effetti o conseguenze giuridiche (possibilità eccezionale, ma non esclusa in ambito civile). Tuttavia questo caso investe la problematica non tanto della nullità sopravvenuta, quanto dell’efficacia della legge nel tempo, cfr. XXXXX X., op. cit., p.704.
132 Si parla di nullità sospesa o pendente con riferimento a quei contratti che possono risultare nulli dopo la conclusione a seconda che si verifichi o meno un determinato evento successivo (è per questo che la nullità è detta sospesa), come ad esempio la vendita di beni futuri o anche il contratto il cui oggetto deve essere determinato dal mero arbitrio del terzo e né lui né le parti provvedano (art. 1349, comma 2). Tuttavia l’autore dà atto della tendenza della dottrina di collocare queste fattispecie sul diverso terreno dell’efficacia o del contratto a formazione progressiva, cfr. sempre ROPPO V., op. cit., p. 703
133 Il dibattito si è acceso soprattutto in relazione a due importanti fattispecie interessate da riforme legislative rilevanti: la fideiussione omnibus e l’usura. L’impostazione preferibile è quella che affronta il problema partendo dall’analisi dell’aspetto disciplinato dalla norma. Se quest’ultima concerne l’atto, allora non potrà applicarsi ai negozi già conclusi (salvo ovviamente che sia retroattiva). Se invece ha riguardo al rapporto e questo sia ancora in corso, la nuova legge prevale rispetto al regolamento contrattuale, incidendo però sul piano degli effetti. Secondo autorevole dottrina si potrebbe parlare di nullità sopravvenuta solo se si potesse ritenere che un negozio sia fino a un certo punto valido e poi invalido (e inefficace da allora in poi). Invece nel nostro ordinamento il negozio e la validità sono fenomeni istantanei, cfr. PERLINGIERI P., op.cit., p. 175. Contra MIRABELLI G., Dei singoli contratti, cit., p. 26.
134 Parte della dottrina ritiene che debbano essere assimilate alle cause di risoluzione del contratto, cfr. XXXXX X., op. cit.,
p. 704. Tuttavia si dà atto che la Cassazione nell’ambito di una controversia concernente la sopravvenienza della legge 17 febbraio 1992, n. 154 in materia di fideiussione ha affermato che quest’ultima non tocca la validità e l’efficacia della fideiussione fino al momento della sua entrata in vigore, ma determina, per il periodo successivo, la nullità sopravvenuta della convenzione con essa in contrasto, cfr. Cass., 9 febbraio 2007, n. 2871, in Obbl. e Contr., 2008, 4, p. 317, con commento di CUCCOVILLO M., Nullità sopravvenuta della fideiussione omnibus, apertura di credito ed efficacia delle rimesse in conto corrente. In tema di usura invece è stato ritenuto che “quando anche non si volesse aderire alla configurabilità della nullità parziale sopravvenuta come sembra preferibile), tuttavia non si potrebbe comunque continuare a dare effetto alla pattuizione di interessi superiori alla soglia usuraria”, cfr. Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, in Banca, borsa e tit. credito, 2000, II, nota di DOLMETTA
135 Xxx. Xxxx., 00 xxxxxx 0000, x. 00000, in Contratti, 2015, 3, 270 nota di VECCHIO.
d) La responsabilità in caso di inadempimento è di natura contrattuale e l’eventuale risarcimento del danno avrà come parametro l’interesse positivo all’esecuzione del contratto137. Secondo la giurisprudenza, infatti, il contratto sottoposto a condizione sospensiva è perfettamente concluso anche se non ancora efficace ed è fonte di “obbligazioni preliminari o prodromiche il cui adempimento può dar luogo ad una responsabilità contrattuale”138.
a) Anche in questo caso, il negozio è già perfetto a partire dal momento dell’incontro delle manifestazioni di volontà delle parti, ancor prima della venuta ad esistenza del bene. La complessità della fattispecie rileva esclusivamente in relazione ad ambiti “marginali, estrinseci allo schema tipico negoziale”139.
b) Medio tempore nascono dei precisi obblighi in capo alle parti.
Una volta concluso il contratto si instaura un rapporto giuridico contrattuale preliminare140.
Il primo effetto obbligatorio è l’irrevocabilità del consenso ai sensi dell’art. 1372, comma 1, c.c..
136 Nel caso concreto era stata stipulata una vendita di cosa futura tra una azienda collettiva di produttori agricoli e un titolare di un agrumeto (e all’uopo, era stata versata una caparra confirmatoria da parte dell’azienda dei produttori al venditore dei frutti pendenti nel fondo coltivato da quest’ultimo) cui seguiva una gelata che determinava l’impossibilità della prestazione oggetto della vendita, cfr. Cass., 30 giugno 2011, n. 14461, in Contratti, 2012, 4, 270 nota di XXXXXXXXXX. Quest’ultimo critica tale sentenza perché la stessa autorevole dottrina che ha elaborato la teorica della vendita di cosa futura quale negozio sottoposto a condicio juris ha escluso che possa parlarsi di nullità in senso tecnico, dovendosi optare per un fenomeno di caducazione o di risoluzione di diritto del negozio. In aggiunta la Cassazione si contraddice perché rileva la mancata prova da parte del venditore in fase di merito della non imputabilità della impossibilità della prestazione. Ma “delle due l’una: o al venditore non può essere addebitato ex art. 1218 c.c. alcun giudizio di colpevolezza e il contratto viene caducato per "nullità" ex art. 1472 c.c., secondo comma, (cioè, tecnicamente risolto di diritto per incolpevole impossibilità sopravvenuta); ovvero, il venditore è risultato inadempiente e la risoluzione è governata dalle relative regole in materia di scioglimento del contratto per inadempimento”.
137 Se invece fosse stato invalido, le parti avrebbero potuto chiedere il risarcimento della lesione del mero interesse negativo a non essere coinvolti nella stipulazione di un contratto invalido.
138 Cfr. Cass. 18 marzo 2002, n. 3942, cit.
139 Si esprime in tale senso GAZZARA G., op. cit., p. 113.
La Cassazione ha recentemente affermato che la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza ritengono si tratti di un negozio ab inizio perfetto, ricorrendo in esso tutti gli elementi essenziali del contratto, ma ad effetti obbligatori (poichè il momento traslativo sussisterà solo allorchè la cosa sia venuta ad esistenza), cfr. Cass., Sez. Unite, 12 maggio 2008, n.11656, in Riv. not., 2009, II, p.1477, con nota di XXXXXXXX
140 Giuridico perché regolato dalla legge; contrattuale perché effetto di un contratto completo; preliminare perché tende a realizzare un rapporto definitivo e finale, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 182. Inoltre la dottrina rileva che quando l’effetto reale si produce immediatamente attraverso il semplice consenso il contratto si realizza senza che si costituisca un rapporto obbligatorio, altrimenti il risultato programmato (il passaggio di proprietà) rileva in termini di obbligazione, cfr. XXXXXX X.X., La vendita e la permuta, cit., p. 92.
L’attuale inesistenza della cosa, inoltre, non impedisce la produzione di tutti quegli effetti indipendenti rispetto a quello reale, come ad esempio quello di pagamento del prezzo.
Se si tratta di una vendita, invece, il codice offre una fonte normativa più specifica cui fare riferimento: l’obbligo ex art. 1476, n.2, c.c. ossia quello di “far acquistare”.
Ciò significa che il venditore deve astenersi dal compiere qualsiasi atto che possa determinare il non trasferimento143, l’estinzione del diritto o una diminuzione del valore dello stesso. Ma non solo: per evitare di frustrare la legittima aspettativa giuridica del compratore può essere costretto a comportamenti positivi (ad es. interrompere l’usucapione di un terzo, compiere atti conservativi).
Gli effetti che si producono prima che il bene venga ad esistenza sono, dunque, sostanzialmente simili a quelli esaminati in caso di pendenza della condizione. In questo caso si giustificano in maggior misura perché non solo vi è un contratto già perfetto, ma altresì già parzialmente efficace.
È stata più volte rimarcata in dottrina la differenza sostanziale che intercorre tra il negozio condizionato e la vendita obbligatoria. Solo nel primo caso sorgono immediatamente effetti obbligatori (come quello ex 1476, n.2, c.c. o anche quello di pagamento del prezzo), mentre la condizione sospende sia gli effetti reali che quelli obbligatori144. Potrà quindi trovare spazio la disciplina sull’inadempimento.
Secondo l’art. 1498 c.c. in mancanza di pattuizione e salvi gli usi diversi, il pagamento deve avvenire al momento della consegna. Ciò significa che lo stesso può essere dalle parti anticipato ad una fase precedente alla venuta ad esistenza del bene145.
141 Sarebbe, infatti, arbitrario ritenere che tale disciplina si applichi alle sole condizioni volontarie, cfr. PERLINGIERI P.,
op. cit., p. 183.
142 Sul punto cfr. RUBINO X., op. cit., p. 312 ss.
143 Il venditore ha ancora il potere di disposizione, infatti nessun effetto reale si produce prima della venuta ed esistenza del bene. Ci sono esclusivamente vincoli di natura obbligatoria.
144 In dottrina: XXXXXXX G., Dei singoli contratti, vol I, Milano Giuffrè, 1988, p. 97; BIANCA C.M., op. cit., p. 83. La vendita è un contratto sinallagmatico: una parte deve procurare il trasferimento e l’altra ha l’obbligo di pagare il prezzo. Contra RUBINO D., op. cit., p. 186.
145 Si veda: PERLINGIERI P., op. cit., p. 214. L’autore ritiene che l’opinione secondo la quale nella compravendita di cosa futura commutativa l’obbligazione di pagare il prezzo dipende dalla venuta ad esistenza della cosa appare del tutto priva di fondamento, deducendo dalla necessaria sinallagmaticità e reciprocità delle prestazioni la loro necessaria contestualità.
Né in caso di vendita obbligatoria né di negozio condizionato simili comportamenti possono essere ricondotti a un generale obbligo di custodia perché la cosa, non essendosi ancora verificato l’effetto traslativo, appartiene al venditore (e non è configurabile un obbligo di custodia di cosa propria).
La diligenza richiesta è quella del buon padre di famiglia.
Una volta venuto ad esistenza il bene, l’obbligo di conservare immutato lo stato della cosa ricade all’interno del contenuto dell’obbligo di consegna.
c) Xxxxxxx venga raggiunta la certezza in ordine alla non venuta ad esistenza del bene e l’impossibilità non sia imputabile, il contratto si risolve in automatico (in dottrina si discute se ex art. 1463 o ex art. 1472 c.c.). Nel caso in cui, invece, si riscontri un inadempimento imputabile, l’altra parte avrà diritto alla tutela risarcitoria dell’interesse contrattuale positivo146.
d) La responsabilità è di natura contrattuale. Se la parte impedisce la venuta ad esistenza della cosa (tramite comportamenti attivi o omissivi) è responsabile ex contractu e si applicano i normali principi in materia di inadempimento (sin dall’inizio è possibile rinvenire il sinallagma contrattuale del contratto di compravendita: procurare il trasferimento e obbligo di pagare il xxxxxx000). Il differimento degli effetti non incide in nessun modo sulla natura della responsabilità148.
La stipulazione del contratto avente ad oggetto beni futuri va ora considerata in ordine alla sua rilevanza nei confronti dei terzi.
Un negozio giuridico può - in via diretta o indiretta - produrre effetti anche in capo a soggetti giuridici estranei rispetto allo stesso. Esistono dei casi in cui il principio di relatività (che rende il contratto inopponibile), talvolta viene “neutralizzato da un contro principio di forza superiore”149.
146 Cfr. XXXXXXX G., op. cit., p. 175. LUMINOSO X., La vendita, cit., p. 206; XXXXXX X.X., op. cit., 1972, p. 343.
147 Sul punto: XXXXXX X.X., op. cit., p. 345.
148 X. XXXXXXXXXXX P., op. cit., p. 186 e LUMINOSO A., op. cit, p. 202.
149 Secondo attenta dottrina il principio di relatività degli effetti del contratto ex art. 1372, comma 2, c.c. si riferisce agli effetti giuridici e non a quelli empirici. Inoltre non impedisce che l’accordo possa ledere la posizione (anche protetta) di terzi (si pensi ad esempio ad una vendita, che diminuisce la garanzia patrimoniale dei creditori) o conformarla in vario modo (es la cessione del contratto o l’alienazione della nuda proprietà nei confronti dei titolari di diritti reali minori), cfr. XXXXX V., op. cit., p. 530 ss.
150 Quest’ultima va tenuta distinta dalla più generale e problematica efficacia del contratto verso i terzi perché è sempre e solo diretta. L’opponibilità riguarda proprio i conflitti che possono nascere tra parti e terzi a seguito della conclusione del contratto.
Il principio che regola le vicende inerenti l’alienazione dei diritti è quello del consenso traslativo. Di conseguenza è da rinvenirsi in tale scelta legislativa la ragione della possibilità di eventuali conflitti tra più aventi causa. Anche in relazione alla vendita di un bene futuro, infatti, è ben possibile che il venditore alieni a più soggetti lo stesso diritto o bene.
Pertanto, esclusa l’applicabilità del principio prior in tempore, potior in iure (per gli evidenti intralci al traffico giuridico), il legislatore ha optato per: a) la previsione della garanzia per l’evizione; b) la soluzione dei conflitti tra più acquirenti di uno stesso dente causa dando priorità al criterio di giustizia sostanziale dell’affidamento, collegato a situazioni di apparenza (il possesso) o pubblicità (trascrizione)151.
Ai fini di una più scorrevole trattazione è opportuno separare il regime di circolazione dei beni mobili rispetto a quello dei beni immobili e premettere che il trattamento giuridico tra gli acquisti a non domino e quelli effettuati da parte di chi era proprietario ma non lo è più a causa di una doppia alienazione è diverso in caso di beni immobili.
Il problema si complica laddove sia abbia a che fare con un negozio avente ad oggetto un bene futuro. È chiaro che nessuna questione sorge fino a quando il bene non sia venuto ad esistenza.
La dottrina che si è occupata della questione, si è concentrata sulla fase successiva alla stessa.
a) Beni mobili
Con riferimento a questi ultimi i problemi aumentano, poichè non esiste alcuna forma di pubblicità
ex ante, al momento della stipulazione del negozio.
Il principio del consenso traslativo vale solo tra le parti. Ai fini dell’opponibilità ai terzi, il compratore
- che vuole prevalere rispetto agli altri soggetti che vantano titoli di acquisto in relazione allo stesso bene – deve ottenere per primo il possesso.
La questione va affrontata facendo una distinzione tra i negozi in cui è previsto che il momento traslativo coincida con quello della venuta ad esistenza del bene, da quelli in cui le parti optino per un differimento dello stesso.
Nel primo caso, se l’alienante dispone della cosa dopo la venuta ad esistenza (e prima della consegna) troverà applicazione, secondo autorevole dottrina, l’art. 1153 c.c.. I terzi – in presenza di tutti i presupposti - acquisteranno a non domino.
In caso di doppia alienazione mobiliare (prima della venuta ad esistenza), invece, si applicherà l’art. 1155: la regola è sostanzialmente quella del possesso vale titolo (diventa proprietario chi per primo
151 Cfr. XXXXXXX F., op. cit., p. 289.
consegue il possesso), ma in questo caso la dottrina è divisa in ordine alla natura dell’acquisto (se a titolo originario o derivativo).
Nel secondo caso, invece, l’alienante (nell’intervallo di tempo tra la venuta ad esistenza della cosa e l’effetto traslativo) è ancora il proprietario. Pertanto gli eventuali terzi acquisteranno a domino152.
b) Beni immobili
La questione in ordine all’opponibilità dei beni immobili, invece, è legata all’adempimento dell’onere della trascrizione.
Il negozio sotto condizione, invece, può essere validamente trascritto154. L’esistenza della condizione va menzionata nella nota ex art. 2659, comma 2, c.c.155.
La tesi preferibile risulta essere, comunque, quella del negozio obbligatorio. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono trascrivibile la vendita avente ad oggetto beni immobili futuri perché i contratti ad effetti reali differiti - visto che hanno pur sempre ad oggetto il trasferimento della proprietà - devono ritenersi compresi all’interno dell’ipotesi ex art. 2643, n.1, c.c.156.
152 Cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 260.
153 La tesi della nullità della trascrizione è stata sostenuta da RUBINO D., op. cit., p. 186 e GORLA G., La compravendita e la permuta, cit., p. 248.
Cfr. anche TORRENTE A., Aspetti particolari della pubblicità nel diritto della navigazione, in Scritti in onore di Xxxxxxxx A., I, p. 316: l’autore rileva che, mentre la trascrizione e l’iscrizione di regola di riferiscono a beni esistenti, la pubblicità relativa alle navi e agli aeromobili può avere ad oggetto una cosa futura (ossia una nave o un aeromobile non ancora venuti ad esistenza). In questi casi si ha un tipico negozio su cosa futura e la pubblicità si adegua a tale tipologia di negozio (fenomeno non sconosciuto in ambito civile, come nel caso dei contratti soggetti a condizione sospensiva). Pertanto nell’ambito del diritto della navigazione si riscontra questa efficacia anticipata della pubblicità.
154 Il legislatore ha così risolto la vexata quaestio sorta nella vigenza del codice abrogato.
155 In dottrina è discusso su quali siano le conseguenze della non menzione nella nota della condizione. La legge, infatti, nulla prevede in proposito. Secondo alcuni ne discende l’inopponibilità ai terzi (sub acquirenti) degli eventuali acquisti cfr. XXXXXX U., XXXXXXXX X., Della tutela dei diritti. Trascrizione - Prove, in Commentario del Codice Civile, VI, Torino, 1971, 204. Dalla Relazione al Re (n.1090) emerge che sul punto si era aperto un lungo dibattito, all’interno del quale erano emerse le seguenti opinioni: a) la sanzione dell’inopponibilità ai terzi del termine o della condizione era apparsa eccessiva a chi riteneva che i terzi erano in grado di prendere conoscenza di detti elementi accidentali consultando il titolo; b) era eccessiva anche l’opinione di chi considerava nulla la trascrizione vista l’incertezza sul rapporto giuridico, in quanto una tale conseguenza (ex art. 2665 c.c) era da lasciare al libero apprezzamento del caso concreto da parte del giudice. Considerato che la nullità comunque non può essere introdotta in via interpretativa nel silenzio della legge, altra parte della dottrina ha ritenuto che il subacquirente ha il solo diritto a pretendere il risarcimento del danno, cfr. FERRI G.B., D’ORAZI- FLAVONI M, Della trascrizione immobiliare, 2 ed., in Commenario Scialoja, Branca, Bologna-Roma, 1964, p. 317.
156 Secondo la giurisprudenza la compravendita dell’immobile futuro (e quindi la domanda relativa al suo accertamento) è soggetta a trascrizione, perché, pur non determinando il trasferimento della proprietà del bene al compratore per effetto
La non necessità dell’immediatezza dell’effetto traslativo ai fini della trascrizione si desume, infatti, dall’art. 2659, comma 2, c.c. il quale prevede espressamente che “se l’acquisto, la rinuncia o la modificazione del diritto sono sottoposti a termine o a condizione, se ne deve far menzione nella nota di trascrizione”. Nonostante le differenze strutturali con il negozio condizionato, quest’ultimo e la vendita obbligatoria hanno il comune il differimento dell’effetto reale157.
Ammessa la trascrivibilità del negozio, in caso di doppia alienazione prevale, ex art. 2644 c.c. chi per primo avrà trascritto l’acquisto158. Perché ciò sia possibile si deve sostenere, tuttavia, che l’eventuale secondo acquirente (che però abbia trascritto per primo) acquisti a domino, altrimenti si dovrebbe applicare la più rigorosa disciplina dell’usucapione abbreviata.
La vendita a terzi con un atto trascritto rispetto ad un bene già oggetto di alienazione comporta la violazione dell’obbligo contrattuale nei confronti del precedente acquirente. Quest’ultimo avrà diritto, quindi, al risarcimento del danno ex art. 1218 c.c..
Rispetto al terzo successivo acquirente, rimasto estraneo al primo rapporto contrattuale, può configurarsi esclusivamente una responsabilità di tipo extracontrattuale se vi sia stata una dolosa preordinazione in tal senso o comunque la consapevolezza della precedente vendita non trascritta e dunque una compartecipazione all’inadempimento dell’alienante.
In nessun caso, comunque, la trascrizione di una vendita di cosa futura - sia pure legittimamente operata prima che questa sia venuta ad esistenza - può incidere sul momento di acquisto della proprietà (e far sì ad esempio che retroagisca alla data di essa, in contrasto col preciso disposto dell’art. 1472 c.c.).
del solo consenso delle parti, non costituisce un negozio a formazione progressiva, ma configura un’ipotesi di vendita obbligatoria, idonea a produrre l’effetto traslativo della proprietà al momento in cui l’immobile venga a esistenza e rientra, quindi, nell’ampia dizione dell’art. 2643, n.1 c.c., cioè tra i contratti che trasferiscono la proprietà degli immobili, cfr. Cass., 7 luglio 1986, n. 4497, in Nuova Giur. Civ., 1987, I, 366 nota di GUARNERI.
157 Così come per i negozi condizionati, dunque la trascrizione avverrà in due tempi: la trascrizione del contratto di vendita con la nota e la successiva cancellazione della menzione per l’avveramento del fatto ulteriore risultante dalla dichiarazione (anche unilaterale) del compratore. Al massimo si potranno avere problemi in ordine alla compilazione della nota (anche se l’individuazione del bene futuro non è mai impossibile), ma comunque la non esattezza o incompletezza di questa non danno luogo all’invalidità della trascrizione, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 264. Con riferimento alla trascrizione di un negozio di vendita di un immobile futuro la Cassazone ha affermato che ai fini della validità della trascrizione, è sufficiente a norma dell’art. 2655 c.c., che le indicazioni riportate nella nota consentano di individuare con certezza, secondo l’apprezzamento riservato al giudice del merito, gli elementi essenziali del titolo, e, in particolare, i soggetti e l’oggetto cui essa si riferisce (nella specie: in base al su-riportato principio, la suprema corte ha ritenuto che l’indicazione nella nota di trascrizione dei quattro confini dell’appartamento oggetto della compravendita fosse sufficiente al fine della identificazione di esso), cfr. Cass., 7 luglio 1986, n. 4497, in Mass. Giur. It., 1986.
158 Tale soluzione è stata prospettata in dottrina da XXXXXXX G., op. cit., p. 177 e in giurisprudenza da Cass., 10 marzo 1997, n. 2126, in Urbanistica e Appalti, 1998, 1, p.38, con nota di CISTULLI F.
159 La teoria della condizione risolutiva legale è sostenuta da GAZZONI F., op. cit., p. 309.
All’interno del codice sono rinvenibili diverse norme che prevedono figure negoziali aventi ad oggetto beni futuri.
Si può costituire una servitù ex art. 1029 c.c. sia per assicurare ad un fondo un vantaggio futuro160, che a favore di un edificio da costruire o di un suolo da acquistare (ma in questo caso la costituzione non ha effetto se non dal giorno in cui l’edificio è costruito o il fondo è acquistato)161.
L’ipoteca e la fideiussione possono avere ad oggetto beni futuri (artt. 1938162 e 2823163c.c.).
160 In questo tipo di servitù esistono tutti gli elementi necessari ai fini costitutivi, vale a dire sia il fondo servente che quello dominante. Solo il vantaggio non è attuale.
161 In questa fattispecie, prevista nel secondo comma dell’art. 1029 c.c., al momento della stipulazione del negozio costitutivo manca uno dei presupposti della servitù: l’edificio da costruire o il fondo da acquistare. Secondo la Cassazione la differenza fra le due fattispecie previste nei commi 1 e 2 dell’art. 1029 x.x., xxx xx xxxxxx: “xxx xxxxx xxxx (xxxxxxx per un vantaggio futuro del fondo dominante) esistono tutti gli elementi necessari per la costituzione della servitù, e cioè sia il fondo servente che quello dominante e la sola particolarità della fattispecie va ravvisata nel fatto che l’utilità per il fondo dominante non è attuale, ma verrà ad essere in futuro; nella seconda ipotesi (servitù a favore o a carico di un edificio da costruire o di un fondo da acquistare) all’atto del negozio costitutivo manca uno dei presupposti della servitù, l’edificio da costruirsi in seguito, a cui favore opererà la servitù. Da tanto consegue che nella prima ipotesi la servitù viene ad esistenza immediatamente; nella seconda si ha la costituzione di un rapporto obbligatorio, suscettibile di trasformarsi in un rapporto di natura reale soltanto nel momento in cui l’edificio viene costruito. Per stabilire in quale fattispecie si versi, occorre fare riferimento al criterio dell’attualità o meno dell’"utilitas" in cui si concreta il contenuto della servitù; qualora si controverta sull’identificazione del fondo dominante in servitù convenzionale - se cioè esso sia costituito dal terreno ovvero dall’edificio costruendo - occorre interpretare la comune volontà delle parti, come risultante dal contratto a suo tempo concluso per individuare a vantaggio di quale immobile venne costituito il diritto reale, tenendo presente che l’ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 1029 c.c. ha carattere eccezionale e presuppone la sicura individuazione del fondo dominante nell’edificio erigendo”, cfr. Cass., 7 aprile 2000, n. 4346, in Diritto e Giustizia, 2000, 16.
Secondo la dottrina, invece, la convenzione di cui si parla dà luogo ad un negozio ad efficacia sospesa (condicio iuris) da cui scaturiscono: a) i c.d. effetti preliminari: una situazione preparatoria della futura servitù (il concedente non può pregiudicare il futuro acquisto della servitù e deve astenersi da quei comportamenti che impediscano la nascita della stessa); b) l’efficacia reale del contratto analoga a quella del negozio costitutivo di servitù sotto condizione; c) la possibilità della trascrizione della convenzione; d) l’imprescrittibilità della servitù, così come per i diritti il cui acquisto sia sottoposto a condizione, cfr. BRANCA, Servitù prediali, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 1027-1099, Xxxxxxx- Xxxx, 0000, p. 314 e ss..
162 La norma in materia di fideiussione è stata modificata dall’art. 10, L. 17.2.1992, n. 154 . In questa prima parte è sufficiente precisare che per obbligazione futura si intende ogni obbligazione, attualmente non sorta, che verrà ad esistenza. Sono incluse non soltanto le obbligazioni dipendenti da un rapporto in formazione, ma anche quelle in cui il processo di formazione dell’obbligazione si avrà soltanto in futuro (un’obligatio sperata, ma anche una spes obligationis). L’obbligazione condizionale può essere oggetto di fideiussione sia se la condizione è sospensiva che risolutiva, cfr. FRAGALI M, Fideiussione, in Enc. Dir., XVII, Milano, 1968, p. 358.
163 Tale disposizione prevede che non possa essere iscritta validamente ipoteca su beni futuri, fino a quando il bene non sia venuto ad esistenza (al contrario del codice del 1865 che prevedeva un netto divieto in tal senso all’art. 1977). Tale norma si giustifica in ragione della vigenza del principio di specialità dell’ipoteca di cui all’art. 2809, comma 1, c.c.. L’accezione di bene futuro è la stessa riportata nel secondo paragrafo. Anche con riferimento a tale forma di garanzia reale si sono contrapposti due orientamenti in ordine alla natura giuridica e agli effetti medio tempore prodotti dal negozio stipulato: la tesi del negozio in corso di formazione e quella del negozio completo (e della validità dell’iscrizione prima della venuta ad esistenza dell’oggetto dell’ipoteca, con conseguente limitazione del disposto dell’articolo in esame ad ipotesi del tutto particolari, cfr. PERLINGIERI P., Interpretazione abrogante dell’art. 2823?, in Riv.Giur.Edilizia, 1968, II,
p. 21). Come conseguenza della stipulazione del negozio sorge immediatamente l’obbligazione in capo al concedente di attivarsi affinché la condizione si realizzi (cfr. RAVAZZONI A, Le ipoteche, in Tratt. Xxxxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 2006, p. 314) o quantomeno l’obbligo di non frustrare l’aspettativa del creditore, cfr. FRAGALI M., Ipoteca (dir. priv.), in Enc. Dir., XXII, Milano, 1972, p. 785. Esistono comunque dei casi, in cui, secondo la dottrina, è possibile l’iscrizione dell’ipoteca prima della venuta ad esistenza del bene. In particolare: l’art. 2811 c.c. - che ricomprende nella garanzia ipotecaria i miglioramenti, le accessioni della cosa ipotecata, i quali non sarebbe altro che un’estensione di ipoteca a cose future -
Tuttavia dalla lettura di suddette norme si ricavano esclusivamente dati che riguardano la fase genetica dell’accordo: i citati negozi sono considerati completi di tutti gli elementi essenziali ex lege sin dal momento della loro stipulazione. Di conseguenza sono idonei a produrre tutti gli effetti non incompatibili con l’inesistenza della cosa164. Dagli articoli 771 c.c. e 458 c.c. emergono, invece, due ipotesi di impossibilità giuridica del bene futuro, non estendibili in via analogica.
Con riferimento al rapporto, invece, il legislatore, non ha dettato una disciplina generale. Pertanto si è aperto un lungo dibattito dottrinale volto a ricercare gli istituti compatibili e applicabili nel caso in cui le parti non abbiamo deciso di prevedere una disciplina provvisoria caratterizzata da obbligazioni di carattere conservativo e cautelare.
a) rimedi in caso in cui il bene non venga ad esistenza
Il paradigma normativo dal quale generalmente si è partiti per la ricostruzione del fenomeno, come più volte rilevato, è il contratto di vendita. L’unica norma che descrivere le conseguenze in caso di mancata venuta ad esistenza del bene è l’art. 1472, comma 2, c.c. il quale - con una formula ambigua
- prevede la nullità del negozio.
La dottrina si è interrogata a lungo sulla portata della previsione di tale invalidità.
Secondo alcuni autori deve essere intesa come “espressione traslata di una diversa vicenda” ed in particolare va assimilata alla situazione del non avveramento della condizione165.
L’espressione “è nullo” è allora da interpretarsi come “diviene inutile”166. Solo da un punto di vista empirico – e non giuridico – potrebbe equipararsi la nullità all’inefficacia. Ma la sterilità di una fattispecie non causa la sua invalidità 167. La nozione di nullità ex art. 1472 c.c., infatti, peccherebbe sia per difetto - dato che non prevede l’ipotesi di mancata venuta ad esistenza per inadempimento imputabile - che per eccesso - perché pone nel nulla gli effetti che medio tempore si sono prodotti tra le parti in relazione ad un negozio con effetti solo parzialmente sospesi.
e gli artt. 566 e 1025 c. nav. - che prevedono la possibilità di iscrivere ipoteca su navi o aeromobili fin dal momento dell’annotazione in apposito registro dell’inizio della loro costruzione. In caso di edificio da costruire alcuni autori ritengono che l’iscrizione dell’ipoteca sia possibile non appena questo abbia un minimo di consistenza tale da consentire la descrizione con sufficiente precisione ai fini dell’iscrizione (che si estenderà poi automaticamente), cfr. RUBINO D., L’ipoteca immobiliare e mobiliare, in Tratt. Cicu, Messineo, Milano, 1956, p.110
164 Sono incompatibili gli effetti reali o la consegna della cosa. Nulla esclude che possano comunque atteggiarsi in modo diverso (o se ne potranno verificare addirittura nuovi e sempre di natura obbligatorie) al fine di realizzare il peculiare assetto di interessi voluto dalle parti, cfr. SCOGNAMIGLIO X., Dei contratti in generale. Art. 1321 – 1352, cit., 1970, p. 373.
165 Deve darsi atto però che si fonda però su una diversa ragione. In questo caso viene a mancare definitivamente un elemento indispensabile per la produzione degli effetti tipici del contratto e di conseguenza viene meno la stessa ragione per la permanenza degli effetti già verificatisi, cfr. SCOGNAMIGLIO X., op cit., p. 375.
166 In tal senso anche XXXXX E. Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 242 e XXXXXXX G., op. cit., p. 178. Secondo quest’ultimo autore la non nullità si ricaverebbe dallo stesso secondo comma dell’art 1472 c.c. che prevede la validità del contratto se concepito come aleatorio anche se il bene non venga ad esistenza.
167 Si veda PERLINGIERI P., op. cit., p. 173 ss.
Escluso il vizio genetico, rimane dunque da chiedersi quali siano i rimedi esperibili dalle parti in caso di mancata venuta ad esistenza del bene.
Secondo un primo orientamento - se quest’ultima circostanza risulta irrealizzabile - il contratto si risolve per sopravvenuta impossibilità della prestazione. Il giudice dovrà, pertanto, verificare se sia derivante da causa imputabile all’altra parte (art 1218 c.c.) o meno.
In giurisprudenza si è precisato che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore paralizza qualsiasi domanda di adempimento e determina (se definitiva) la risoluzione del contratto, ai sensi degli art. 1463 e 1256, comma 1, c.c.., con la conseguente applicazione delle norme generali sulla risoluzione (ed in particolare di quella sulla retroattività).
La domanda di risoluzione per inadempimento - che tende ad una pronuncia costitutiva e si fonda sul comportamento doloso o colpevole di una parte - ha presupposti e natura diversi dalla domanda di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, che invece mira ad una pronuncia di accertamento in conseguenza di fatti estranei alla sfera di imputabilità dei contraenti. per tali motivi si ritiene violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ove - avendo le parti domandato la risoluzione del contratto per contrapposti inadempimenti - il giudice dichiari la risoluzione del contratto ex art 1463 c.c. per sopravvenuta impossibilità della prestazione contrattuale170.
Secondo autorevole dottrina in caso di certezza in merito alla non venuta ed esistenza del bene opera la risoluzione di diritto, ma non ex art. 1463 c.c., bensì direttamente ex art. 1472 c.c.. La prima differisce, infatti, dalla seconda perché può avere luogo anche in caso di impossibilità parziale e impossibilità totale solo provvisoria qualora la parte non abbia più un apprezzabile interesse all’adempimento171.
168 Secondo la dottrina è la legge stessa a richiedere la venuta ad esistenza del bene, cfr. XXXXXXXXX XXXX L, XXXXXXXX F.D., BRECCIA U., XXXXXX G., Diritto civile. 1.2: Fatti e atti giuridici, cit., p. 692; BIANCA C.M., La vendita e la permuta, cit., p.343.
169 Sul punto GAZZONI F., op. cit., p. 1034.
170 Cfr. Xxxx., 28 gennaio 1995, n. 1037, in Mass. Giur. It., 1995.
171 L’impossibilità sopravvenuta può essere anzitutto parziale. Tuttavia anche laddove fosse totale non sarebbe comunque assimilabile alla risoluzione di diritto per la non venuta ad esistenza del bene, perché l’impossibilità può essere non definitiva, ma temporanea e non equivalere, quindi, all’inesistenza della cosa, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 229.
In caso contrario (ossia incertezza sulla imputabilità della mancata venuta ad esistenza della res, totale o parziale), soccorrono in favore della parte tutti i normali rimedi di impugnazione, giudiziali e stragiudiziali. Il contratto è ancora in piedi e c’è l’interesse allo scioglimento del vincolo sinallagmatico.
In particolare, laddove la mancata venuta ad esistenza del bene dipenda da un fatto imputabile, l’altro contraente potrà chiedere la risoluzione ex art. 1453 cc173 e il risarcimento del danno (corrispondente all’interesse positivo).
Inoltre, trattandosi di un contratto perfetto, sono utilizzabili tutti gli altri strumenti contro l’inadempimento compatibili con la sua natura e funzione.
In caso di mancata o inesatta esecuzione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte, la parte può esperire sia i rimedi di natura conservativa, che caducatoria.
I primi sono diretti a ottenere la conservazione del vincolo e volti a superare la sopravvenienza che vizia il meccanismo casuale.
Suddetto rimedio in forma specifica è in astratto compatibile con il negozio su oggetto futuro. Infatti da quest’ultimo nasce l’obbligo di non frustrare la legittima aspettativa giuridica dell’altra parte che può avere anche contenuto positivo (interrompere l’usucapione di un terzo, compiere atti conservativi o produrre/costruire direttamente il bene).
Va tenuto conto innanzitutto della natura giuridica dell’obbligazione nel caso concreto. Ad esempio: se si tratta di prestazioni di fare infungibile (un quadro di un famoso pittore) o di non fare (astenersi dal compiere qualsiasi atto che possa determinare il trasferimento, l’estinzione del diritto o una diminuzione del valore dello stesso), insieme alla condanna dovrà essere chiesta l’applicazione delle
172 Sempre PERLINGIERI P., op. cit., p. 219.
173 Tale azione è esperibile sia quando il venditore non si adoperi tempestivamente ed adeguatamente per la venuta ad esistenza, sia quando - ad esempio - il compratore non versi gli acconti di prezzo dovuti, cfr. SCOGNAMIGLIO X., op. cit., p. 376.
174 L’inadempimento del debitore assume rilevanza, per l’ordinamento positivo, indipendentemente dalla sua potenziale carica dannosa. Quest’ultimo, quindi, inteso come atto lesivo dell’interesse creditorio, rileva di per sé stesso, anche quando non cagioni al creditore un danno, ossia una perdita patrimoniale o una lesione di un interesse non patrimoniale (e rileva nei termini della impossibilità sopravvenuta), cfr. XXXXXX X.X., Dell’inadempimento delle obbligazioni, in SCIALOJA A./BRANCA G. (a cura di), Commentario del codice civile, Bologna, Zanichelli, 1967, p. 153.
misure coercitive ex art. 614bis c.p.c. (ossia il pagamento di una determinata somma di denaro per ogni successiva violazione o ritardo nell’adempimento della prestazione principale).
Inoltre il sistema dei rimedi può variare a seconda della fattispecie contrattuale di riferimento (si pensi a quella peculiare del contratto di vendita). Pertanto la compatibilità in astratto dell’azione di esatto adempimento va verificata in concreto in relazione al singolo negozio.
Lo stesso discorso vale per l’azione di risarcimento in forma specifica. Quest’ultima diverge da quella di esatto adempimento sia sul piano contenutistico che su quello dei presupposti. Il risarcimento in forma specifica è volto ad eliminare il danno causato dall’inadempimento del debitore. La domanda mira a costringere quest’ultimo ad eseguire una prestazione sostitutiva e diversa rispetto a quella originariamente dovuta e idonea a rimuovere materialmente il danno cagionato. Proprio per questo motivo (prestazione diversa da quella dovuta) è discussa la sua applicabilità in ambito contrattuale al di là delle ipotesi tipiche e richiede il doppio vaglio ex art. 2058 (non deve essere impossibile o eccessivamente onerosa).
b) gli altri rimedi
Nella fase che precede la certezza circa la mancata venuta ad esistenza del bene, è possibile che le parti necessitino di ulteriori tutele, ad esempio nel caso in cui la prestazione di una delle due parti divenga eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenienti straordinari e imprevedibili.
L’impegno delle parti in ordine ad un oggetto futuro, infatti, può dilatarsi anche per lungo tempo. Di conseguenza le condizioni originarie della pattuizione possono mutare sensibilmente o venire meno. In qualsiasi operazione contrattuale è insito un profilo di incertezza in ordine al valore economico delle prestazioni originarie. Ciò vale sia per i contratti di natura commutativa, che per quelli aleatori (destinati ad una esecuzione continuata, periodica o differita). È opportuno, infatti, tenere distinta l’alea in senso economico (legata alla sopravvenienza di eventi futuri non prevedibili e non imputabili che possono alterare il valore economico della prestazione) da quella in senso tecnico-giuridico (che concerne esclusivamente i contratti di natura aleatoria).
La dottrina e la giurisprudenza ritengono generalmente ammissibile l’esperimento del rimedio della risoluzione ex 1467 c.c.175 per porre rimedio a sopravvenuti squilibri patrimoniali eccessivi e
175 Cfr. SCOGNAMIGLIO X., op. cit., p. 376 e PERLINGIERI P., op. cit., p. 230. La risoluzione ex art. 1467 c.c. è ammessa per il contratto ad esecuzione continuata/periodica o differita. Il negozio ad oggetto futuro rientra nella seconda ipotesi. Secondo PERLINGIERI, inoltre, l’eccessiva onerosità ex parte venditoris non potrà più essere chiesta dopo il trasferimento della proprietà. Per attivare il rimedio occorre sempre e comunque che la prestazione della parte che l’invoca sia non esaurita al tempo della sopravvenienza. Quanto alla controprestazione bisogna distinguere: nel caso di onerosità diretta (la prestazione diventa più costosa o preziosa), la controprestazione può anche essere esaurita al tempo della sopravvenienza (ciò che importa è il mancato esaurimento della prestazione direttamente colpita dall’onerosità); invece nel caso di onerosità indiretta (si svilisce la controprestazione), anche la controprestazione dev’essere, in quel momento, ancora in itinere, cfr. anche ROPPO V., Il contratto, cit,, p. 949.
imprevisti in caso di negozio avente ad oggetto un bene futuro. La natura dello stesso è infatti commutativa e non aleatoria176. Va verificata sempre e comunque la straordinarietà della causa che ha comportato l’alterazione del rapporto o dei suoi effetti.
Non sembrano esserci ostacoli neanche per l’ammissibilità dell’azione per la rescissione del contratto177. Autorevole dottrina ha riportato l’esempio di un contratto di compravendita di un bosco al taglio del quale manchino dieci anni e ricorrano tutti i presupposti dell’art. 1448 c.c. (squilibrio della prestazione valutabile al tempo del contratto, stato di bisogno e approfittamento per trarne un vantaggio, perduranza della lesione al tempo della domanda). Se si negasse l’esperibilità dell’azione di cui trattasi la parte lesa dovrebbe attendere dieci anni e subire l’evidente aggravio dell’onere probatorio178.
Il legislatore vieta la contrattazione su oggetto non ancora venuto ad esistenza in quelle specifiche ipotesi in cui la volontà delle parti non può proiettarsi verso il futuro. Ad esempio: la donazione di cosa futura ex art. 771 c.c. e il divieto di patti successori relativi ad una eredità futura ex art. 458 c.c.. Con riferimento alla prima ipotesi, la teoria che individua la ratio dell’ostilità legislativa
In giurisprudenza: il rimedio della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, che è escluso nell’ipotesi di compravendita avente effetto traslativo immediato, ancorché sia stato pattuito il differimento della consegna della cosa venduta, è invece “applicabile allorché la vendita abbia, anziché effetti reali immediati, solo efficacia obbligatoria, con effetto traslativo differito ad un momento successivo alla conclusione del contratto, dipendendo il trasferimento del diritto, oltre che dal consenso, dal verificarsi di un fatto ulteriore, quale, per la vendita di cose indicate solo nel genere, la specificazione o, per la vendita di cosa altrui, l’acquisto della proprietà da parte del venditore” (cfr. Cass. Civ., 23 maggio 1988, n. 3575, in Mass. Giur. It., 1988), sempre che fra il momento della conclusione e quello dell’esecuzione si siano verificati avvenimenti straordinari o imprevedibili tali da rendere l’adempimento della prestazione, in tutto o in parte, ancora dovuta, eccessivamente oneroso per uno dei contraenti, cfr. Cass. civ. Sez. II, 18- 02-1999, n. 1371, in Mass. Giur. It., 1999.
176 X. Xxxx., 00 febbraio 2013, n. 5050, in Imm. e propr., 2013, 5, p. 327: al fine di qualificare il contratto come aleatorio, è necessario verificare se, al momento della conclusione del contratto, vi sia - per volontà delle parti o per legge – una situazione di obiettiva incertezza circa i vantaggi o lo svantaggio economico che potrà derivare dal regolamento negoziale. Oppure anche quando, per la struttura del contratto posto in essere, è a carico di una delle parti il rischio di un evento causale che potrà incidere sul contenuto del suo diritto o della sua prestazione. L’alea opera sin dall’inizio come elemento essenziale del sinallagma.
177 Durante la vigenza del codice del 1865 si era negata l’ammissibilità dell’esperimento dell’azione di rescissione di un contratto di compravendita di beni futuri per due motivi. Innanzitutto perché prima della venuta ad esistenza del bene non vi è alcun contratto di compravendita (teorie dualiste). Inoltre era impossibile stabilire a priori la sproporzione tra il valore della cosa e il prezzo, visto che la prima è accertabile solo nel momento in cui nasce. Tuttavia entrambe le obiezioni sono state facilmente superate. Non è più sostenibile la tesi che scinde il negozio in due distinti contratti: sin dall’inizio vi è una compravendita di beni futuri. Il valore della cosa, infine, generalmente è valutabile sin dal momento della conclusione del contratto. Se non lo è non è possibile neppure stabilire il corrispettivo, pertanto non è configurabile una lesione o un depauperamento, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 240. Favorevole alla sua ammissibilità anche SCOGNAMIGLIO R., op. cit., p. 376.
178 Cfr. sempre PERLINGIERI P., op. cit., p.243.
all’ammissibilità della stessa nell’intento di porre un freno agli atti di prodigalità del donante la ratio
di suddetta norma è ad oggi quella dominante sia in dottrina che in giurisprudenza179.
Occorre dare atto che si sono susseguite diverse tesi. Storicamente, sotto la vigenza del codice del 1865, veniva spiegata attraverso il ricorso ad un principio francese “donner et reteneir ne vaut”180. La donazione di beni futuri non era considerata spoglio attuale e irrevocabile (dato che dipendeva sempre dal donante il procurarsi l’acquisto di questi ultimi) e quindi si poneva in contrasto con suddetta inderogabile regola181.
Altri autori, invece, hanno operato una differenziazione tra donazione di singoli beni futuri o donazione di un complesso di questi ultimi. In particolare, la donazione di una indeterminata universalità o un complesso di beni futuri sarebbe nulla perché contrastante con il divieto dei patti successori ex art. 458 c.c. (e quindi assimilabile alla attribuzione mortis causa). Il singolo bene futuro, invece, potrebbe essere donato, ma solo con effetti obbligatori: con produzione del conseguente effetto reale nel momento in cui viene ad esistenza la cosa in caso di bene futuro (e automaticamente, non appena il donante abbia acquistato la proprietà in caso di beni altrui)182. In tal modo, tuttavia la donazione dispositiva di beni altrui si tramuterebbe sempre in obbligatoria, sicché non solo il divieto ex 771 c.c. non avrebbe più ragion d’essere, ma si eclisserebbe totalmente il ruolo della volontà del donante.
In realtà vi è un collegamento tra il divieto di patti successori e il divieto di donazione di beni futuri ex 771 c.c.. La seconda parte del primo comma dell’art. 458 c.c., infatti, vieta i patti di tipo dispositivo e rinunciativo: in entrambi i casi l’oggetto del negozio non è rappresentato da un proprio diritto (come nel patto istitutivo), bensì da un diritto soggettivamente futuro (che il soggetto non ha, ma potrebbe ricevere dalla successione non ancora aperta). Quindi ci si è chiesti che tipo di rapporto intercorra tra le due norme.
Il divieto di patti successori ha un ambito di applicazione più vasto in quanto vieta non soltanto i patti dispositivi e rinunciativi stipulati con spirito di liberalità (che sarebbero comunque vietati ex art. 771 c.c.), ma altresì quelli in cui si ravvisi una causa onerosa (o anche gratuita). La ratio del divieto in
179 Si citano a titolo di esempio opere e pronunce indicate nelle note precedenti: cfr. TORRENTE A., La donazione, II ed. agg. in CARNEVALI U.- MORA A. (a cura di), in Trattato di diritto civile e commerciale (già diretto da CICU A., MESSINEO F., MENGONI L., continuato da XXXXXXXXXXX P.), Xxxxxxx, Milano, 2006, p. 407.
In giurisprudenza, invece, Xxxx. 5 maggio 2009, n. 10356. Secondo la giurisprudenza l’esigenza, che ne è alla base, è quella di porre un freno agli atti di prodigalità e di limitare l’impoverimento ai beni esistenti nel patrimonio del donante. 180 Si collega, in altre parole, il divieto all’irrevocabilità del consenso. Tuttavia la possibilità di non adempiere è un rischio che nasce anche in caso di donazione obbligatoria. Pertanto non può ritenersi un elemento decisivo. In realtà le parti, nel momento in cui stipulano la donazione, anche nel caso in cui la si consideri un contratto a consenso c.d. anticipato, sono già vincolate e hanno il dovere di non impedire la futura nascita del diritto.
181 In dottrina: XXXXXXXX A, op. cit., 491; XXXXXXX G., Successioni e donazioni, II, Xxxxxxx, Milano, 2015, p. 1530; XXXXXXXX X. (a cura di), Xxxxx xxxxxxxxx, in XXXXXXXXX X. (diretto da), Comm. del cod. civ., UTET, Torino, 2014, p. 110; XXXXXXXX F., Le donazioni, Giappichelli, Torino, 2010, p. 230.
182 Cfr. XXXXXX X., Le donazioni, in VASSALLI F. (diretto da), Tratt. dir. civ., Torino, 1961, p. 339 e ss.
questo caso è diversa e più ampia: evitare la speculazione sulla morte altrui. Interesse ritenuto non solo non meritevole di tutela dal nostro ordinamento, ma addirittura non tollerato per ragioni di ordine morale.
Nel nostro ordinamento il divieto dei patti successori è strettamente collegato alla regola secondo la quale la delazione può avere come fonti solo la legge e il testamento (unico negozio mortis causa ammesso) ex art. 457 c.c.183.
Rispetto ai patti successori di tipo istitutivo (con cui un soggetto trasferisce la titolarità di tutti o di una parte dei beni che lascerà alla propria morte ad un altro soggetto o si impegna a disporre per testamento in un certo modo) si ritiene che il fondamento della nullità sia rinvenibile nella tutela della libertà di testare, la quale verrebbe pregiudicata dall’atto con cui si dispone dei propri beni irrevocabilmente, con effetto a partire dal momento della morte.
Il divieto dei patti dispositivi (ossia quei patti con i quali taluno dispone dei diritti che gli possano derivare da una futura eredità) invece si ricollega a quello ex art. 771 c.c.. Sono entrambi negozi inter vivos (successori sta ad indicare che hanno ad oggetto diritti mortis causa) che non minacciano la libertà di disporre del testatore. Quest’ultimo, infatti, non partecipa al negozio. La nullità in questo caso è comminata sia a tutela dei “giovani prodighi inesperti che, malconsigliati da persone di pochi scrupoli, sarebbero portati a dilapidare in anticipo le sostanze che avrebbero dovuto ereditare dai loro parenti” e sia per impedire convenzioni immorali come il votum corvinum o il votum captandae mortis (perché un simile patto porterebbe alla nascita dell’intimo desiderio del decesso del soggetto della cui successione si tratta).
183 X. XXXXXXXX, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 8a ed., Torino, 2016, p. 22.
184 Sul punto XXXXXXXXX C., Il divieto dei patti successori, in XXXXXXXX (a cura di), Successioni e donazioni, I, Padova, 1994, p. 26 e IEVA M., Art. 458, in XXXXXXXXX X. (diretto da), Commentario del codice civile, Milano, UTET, 2009, p. 28. 185 In relazione ai patti rinunciativi si veda FERRI L., Successioni in generale, 3a ed., in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 000-000, Xxxxxxx-Xxxx, 1980, p. 83 ss.
CONTRATTI AD EFFETTI REALI E OGGETTO FUTURO
Sommario: 1. Premessa - 2. La vendita avente ad oggetto beni futuri - 2.1. Differenza con figure affini - 2.1.1. Vendita ad oggetto futuro e contratto preliminare - 2.1.2. Vendita e appalto - 2.2. Disciplina - 2.2.1. Le obbligazioni che sorgono in capo alle parti - 2.2.2. Passaggio del rischio - 2.2.3. Rimedi - 2.3. Trascrizione - 2.4. Singole figure di vendita - 2.4.1. Vendita di beni da costruire -
2.4.1.1. Trascrizione - 2.4.1.2. Il d.lgs. 20 giugno 2005, n.122 - 2.4.2. Vendita di azioni di società futura - 2.4.3. Vendita di frutti e alberi - 3. La permuta - 3.1. Differenza con figure affini - 3.2. Disciplina - 3.2.1. L’applicabilità del d.lgs. 122/2005 - 3.3. Rimedi - 3.4. Permuta di cosa presente con cosa futura a favore di terzi e art. 771 cc.
Il principio che ammette in termini generali la deducibilità di oggetti futuri all’interno del regolamento contrattuale va coordinato con la specifica struttura e la funzione dei singoli negozi, sia tipici che atipici.
È dunque necessaria una verifica più approfondita in relazione alla compatibilità della previsione di un bene futuro rispetto alla giustificazione causale, agli elementi essenziali e alla modalità di perfezionamento di questi ultimi.
In questo capitolo si affronteranno le problematiche in ordine alle principali figure di contratti di alienazione diretti a realizzare uno scambio di beni.
Si avrà riguardo esclusivamente ai contratti commutativi e non aleatori. Di conseguenza, esulano dall’analisi che segue tutti quei negozi in relazione ai quali è incerto non solo il quantum della prestazione, ma anche l’an della stessa. Queste ultimi, infatti, presentano degli aspetti del tutto peculiari, estranei al discorso sino ad ora intrapreso.
La vendita ad oggetto futuro, nonostante il bene non esiste ancora in natura, non può considerarsi per ciò solo una emptio spei186. Il contratto è aleatorio qualora, già al momento della sua conclusione, l’alea sia, per legge o per volontà delle parti, elemento essenziale del sinallagma. Una così importante conseguenza giuridica non può derivare dall’apposizione di una mera condizione sospensiva o dalla deduzione di un oggetto futuro, il quale incide sull’efficacia e non sulla natura del negozio187.
186 Per una più approfondita analisi sulla differenza tra emptio spei e emptio rei speratae si rimanda al § 2.1. del capitolo I.
187Cfr Cass. civ., 28 febbraio 2013, n. 5050, in Imm. e propr., 2013, 5, p. 327: “al fine di qualificare il contratto come aleatorio, è necessario verificare se, al momento della conclusione del contratto, vi sia - per volontà delle parti o per
Precisato ciò, uno degli aspetti preliminari più importanti da esaminare è sicuramente il momento del passaggio della proprietà del bene.
In linea generale si può affermare che se si tratta di cose specifiche (o anche generiche, ma individuate al momento della conclusione del contratto) la proprietà passa nel momento in cui la cosa viene ad esistenza, senza la necessità di ulteriori atti o comportamenti. L’acquisto da parte dell’acquirente non è a titolo originario: la proprietà del bene viene acquistata dall’alienante (spesso a non domino, ma anche a titolo derivativo) e poi si trasferisce in virtù del consenso manifestato. Questo passaggio non è contraddistinto da alcun intervallo cronologico, ma va comunque tenuta presente la distinzione logica tra i due momenti188.
In realtà tale ultima ricostruzione non è del tutto pacifica in dottrina189. In tempi recenti – alla luce delle conseguenze che un simile meccanismo ha nell’ambito delle procedure concorsuali – sono state prospettate soluzioni differenti, le quali propendono per la nascita del diritto direttamente in capo al compratore190.
Se si tratta, invece, di cosa generica è opportuno operare una distinzione. Se al momento della conclusione del contratto non esiste ancora nessun esemplare in rerum natura può qualificarsi come vendita di cosa futura (il che può capitare solo in relazione al genus limitatum). Nel momento in cui, invece, vi siano già uno o più beni, la vendita diventa di genere. In questo caso nella fase successiva alla stipulazione ha senso parlare di alienazione di cosa futura esclusivamente se la specificazione avviene prima della venuta ad esistenza del bene (e solo a partire da quel momento in poi)191.
L’effetto traslativo opera ex nunc: l’eventuale clausola di retrodatazione della proprietà al momento di conclusione del contratto è da considerarsi nulla192.
legge - una situazione di obiettiva incertezza circa i vantaggi o lo svantaggio economico che potrà derivare dal regolamento negoziale ovvero che, per la struttura del contratto posto in essere dalle parti, è a carico di una delle parti il rischio di un evento casuale che potrà incidere sul contenuto del suo diritto o della sua prestazione: in sostanza l’alea opera sin dall’inizio come elemento essenziale del sinallagma”.
188 RUBINO D., La compravendita, in Tratt. Dir. civ, a cura di Xxxx – Messineo, vol. XXIII, Milano, Xxxxxxx editore, 1962,
p. 187; Xxxxxxxx X., La compravendita, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2011, p. 69; BIANCA C.M., La vendita e la permuta, in VASSALLI F. (a cura di), Trattato di diritto civile, vol. VII, Torino, UTET, 1972, p. 376.
189 In dottrina si veda PERLINGIERI P., I negozi sui beni futuri, Napoli, Xxxxxx, 1962, p. 198.
190 Si rimanda per approfondimenti al § 2.3.1 del capitolo V.
191 Sempre PERLINGIERI P., in op cit. p. 19 fa l’esempio della vendita di 100 quintali di mele dal meleto X (che ne conta 1000 quintali). Se è possibile l’individuazione delle mele ancora sugli alberi, cioè ancor prima della loro separazione, si avrà una vendita di cosa generica fino alla specificazione e vendita di cosa futura da quel momento in poi.
192 Sul punto: XXXXX X., La vendita, Vol. III/1, Torino, Zanichelli, 2016, p. 103.
2. La vendita avente ad oggetto beni futuri
La verifica in merito alla compatibilità tra lo stesso e l’oggetto futuro è già risolta ex ante dal legislatore all’art. 1472 c.c., il quale disciplina espressamente la vendita di un bene attualmente inesistente come autonomo centro di diritti di godimento194.
La peculiarità di questo negozio risiede nel fatto che, al momento della conclusione dello stesso, risulta privo del termine di riferimento dell’assetto di interessi (il bene ancora non esiste in rerum natura o come autonoma individualità giuridica). Ciò determina evidentemente una soluzione di continuità tra il momento perfezionativo del negozio e la corrispondente situazione effettuale. Tuttavia questo non altera in nessun modo le caratteristiche tipiche della vendita: l’immediatezza degli effetti non è un carattere connaturato alla stessa, il quale rimane comunque un contratto ad effetti reali195.
Se l’altra parte ignora la non esistenza del bene si verifica una situazione analoga alla ignoranza dell’altruità del bene ex art. 1479 c.c.. Pertanto la parte che non ne era a conoscenza potrà chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno199.
La vendita di cosa futura va tenuta distinta rispetto alla vendita di cosa perita o immaginaria. Per spiegarne le ragioni è necessaria una breve ricostruzione del quadro generale.
Il momento in cui matura la certezza in ordine all’impossibilità della venuta ad esistenza può maturare sia prima che dopo la stipulazione del negozio.
193 È il più importante fra tutti gli schemi contrattuali (tipici e atipici) per la rilevanza della sua funzione economica e per la ricchezza e la varietà di atteggiamenti, di sottospecie, di clausole, di sottotipi che presenta, cfr. LUMINOSO A., La vendita, in CICU A. – MESSINEO F – MENGONI L., Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 2014, p. 65:.
194 Si veda BIANCA C.M., op. cit., p. 330.
195 Cfr. GAZZARA G., Vendita obbligatoria, Milano, Xxxxxxx, 1957, p. 46 e LUMINOSO A., op. cit., p. 67.
196 Per approfondimenti: RUBINO D., op. cit., p. 158.
197 Sulla esatta definizione di oggetto futuro si rimanda al primo capitolo § 2..
198 Come si vedrà, l’aspetto soggettivo è ciò che distingue la vendita di cosa futura rispetto alla vendita di cosa inesistente.
199 V. LUMINOSO A., op. cit., p. 199.
In fase di conclusione del contratto la venuta ad esistenza del bene deve essere un accadimento possibile. In caso contrario il negozio è nullo per impossibilità dell’oggetto ex art. 1346 c.c.200. La parte che ha colpevolmente taciuto il fatto che la cosa fosse già perita risponderà a titolo di responsabilità precontrattuale. Lo stesso discorso vale per la vendita di cosa immaginaria.
Qualora, invece, la vendita abbia ad oggetto una cosa parzialmente perita e l’acquirente non avrebbe concluso il contratto se lo avesse saputo, potrà essere chiesta la riduzione del prezzo o addirittura la risoluzione del contratto. Laddove non vi sia colpa, invece, si applicheranno le disposizioni in materia di impossibilità parziale ex art. 1464 c.c..
La nascita o l’acquisto dell’autonomia giuridica può, invece, risultare possibile nel momento in cui vi è l’incontro delle manifestazioni di volontà tra le parti e poi divenire sicuramente impraticabile o irrealizzabile in un momento successivo per diverse ragioni. In questo caso il rimedio esperibile non può essere quello della nullità per impossibilità dell’oggetto, bensì quello della risoluzione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c. (o direttamente ex art. 1472 c.c.201) laddove non sia imputabile al debitore.
Il momento di acquisto della proprietà in caso di vendita è espressamente previsto all’art. 1472: ex nunc non appena la cosa viene ad esistenza.
Il legislatore specifica, inoltre, che se oggetto della vendita sono gli alberi o i frutti di un fondo, l’effetto reale si produce quando questi ultimi sono tagliati e separati.
Le parti possono, tuttavia, disporre dell’effetto reale, posticipandolo o anticipandolo rispetto al momento di ultimazione dell’opera203 o prevedere un “acquisto progressivo” a mano a mano che il bene viene costruito204.
200 Sulla nullità per impossibilità dell’oggetto cfr.. LUMINOSO X., op. cit., p. 199 e XXXXXX D., op. cit., p. 220, il quale precisa che l’ipotesi del perimento della cosa prima della conclusione del contratto possa verificarsi per la vendita di cose di specie o appartenenti a un genus limitatum.
201 Secondo autorevole dottrina, in caso di certezza in merito alla non venuta ed esistenza del bene, opererebbe la risoluzione di diritto, ma non ex art. 1463 c.c., bensì direttamente ex art. 1472 c.c.. La prima differirebbe, infatti, dalla seconda perché può avere luogo anche in caso di impossibilità parziale e impossibilità totale solo provvisoria qualora la parte non abbia più un apprezzabile interesse all’adempimento, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 229.
202 Cfr. XXXXXX X.X., op. cit., p. 340 (secondo il quale l’acquisto del compratore è subordinato, oltre alla venuta ad esistenza del bene, anche a tutti quei requisiti che sono necessari affinché operi l’effetto traslativo, come la legittimazione del venditore) e LUMINOSO A., op. cit., p. 202.
203 In giurisprudenza: Xxxx. 7 settembre 1978, n. 4047, in Riv. not., 1979, I, p. 224 e Cass., 28 luglio 1972, n. 2594 in Foro it., 1973, I, p. 764: nel contratto di vendita di cosa futura l’acquisto della proprietà di verifica nel momento in cui la cosa viene ad esistenza, salvo che le parti, con espressa pattuizione, abbiano differito ad un momento successivo il passaggio della proprietà.
204 Di questo avviso: LUMINOSO A., op. cit., p. 209 e XXXXX R., op. cit., p. 101.
2.1.Differenza con figure affini
2.1.1. Vendita ad oggetto futuro e contratto preliminare
Le parti articolano frequentemente in più momenti la vicenda traslativa.
Lo strumento più utilizzato a tal fine è sicuramente il contratto preliminare. Attraverso quest’ultimo negozio – soprattutto allorquando siano previsti i c.d. effetti anticipati (pagamento del prezzo e consegna) – le parti hanno la possibilità di controllare e gestire tutte le sopravvenienze che possono verificarsi prima della fase finale di trasferimento del bene. Infatti, i contraenti hanno la facoltà di subordinare l’effetto reale non solo alla venuta ad esistenza del bene, ma anche ad un controllo sulla corretta esecuzione delle prestazioni dedotte e rilevanti per le parti.
Nella prassi, summenzionato negozio viene spesso atecnicamente definito “preliminare di vendita di cosa futura”. In realtà il preliminare può qualificarsi tale solo laddove anche il definitivo abbia ad oggetto un bene futuro.
La differenza rispetto alla vendita di bene futuro è di tipo strutturale. Nella sequenza preliminare- definitivo vi sono due differenti negozi (uno ad effetti obbligatori e l’altro ad effetti reali) e la proprietà passa con la stipulazione del secondo, senza che ciò significhi una riproposizione della scissione tra titulus e modus adquirendi (il contratto definitivo ha non solo una causa solvendi, ma una sua propria autonomia causale). Nella vendita di bene futuro, invece, vi è un solo negozio che funge sia da titulus che da modus adquirendi205.
La differenza tra vendita di un bene futuro – soprattutto nel caso in cui per l’esistenza del bene occorra l’attività strumentale positiva dell’alienante – e appalto (d’opera) non è agevole. Va chiarito anzitutto che il lavoro sulla materia prima in previsione della realizzazione di un bene futuro non è incompatibile con la struttura e la funzione della vendita ex art. 1472 c.c.. Se si opinasse diversamente, infatti, sarebbe qualificabile come tale esclusivamente la vendita di frutti e di alberi futuri.
Sia in dottrina che in giurisprudenza sono stati elaborati diversi criteri. Il primo - di natura quantitativa
– suggerisce di focalizzare l’attenzione degli interpreti sul tipo di obbligazione dedotta: qualora sia quantitativamente prevalente (anche soprattutto dal punto di vista economico) l’obbligazione di facere il contratto concluso è un appalto. In caso contrario – ove sia preponderante quella di dare – si ha a che fare con una vendita di bene futuro206.
205 Infatti nella vendita di cosa futura - così come in quella di beni altrui e di genere - l’alienante non è obbligato a compiere l’atto traslativo perché lo ha già compiuto, cfr. DALMARTELLO A., I contratti delle imprese commerciali, Padova, CEDAM, 1962, p. 364.
206 In dottrina è stato qualificato anche come “criterio dell’accessorietà”: è vendita laddove il carattere principale ed essenziale del contratto sia il trasferimento ed invece sia accessoria l’opera dell’uomo (e viceversa in caso di appalto), cfr. CAPOZZI G., Dei singoli contratti, vol I, Milano Xxxxxxx, 1988, p. 107.
Tuttavia questi parametri possono essere sicuramente degli utili elementi discretivi, ma non gli unici, poiché la distinzione va operata innanzitutto sul piano strutturale e funzionale.
La ratio della vendita è da rinvenirsi nello scambio di cosa contro prezzo, mentre l’appalto è volto a realizzare un interesse economico più complesso. L’appaltatore si attiva al fine di creare un nuovo bene (che non rappresenta il solo termine dello scambio). Si può parlare di vendita, quindi, laddove il processo di produzione sia iniziato (o sarebbe iniziato) indipendentemente dall’ordine del venditore (cd. criterio della normale produzione)208. Lo stesso principio vale anche con riferimento alla distinzione con il contratto d’opera.
In ambito civile si è data ampia prevalenza all’aspetto soggettivo. Per volontà delle parti la Cassazione intende non l’intenzione soggettiva (il contratto che volevano concludere)210, ma il dato dell’intento empirico che hanno dimostrato di voler conseguire: se il trasferimento del bene risulta essere la finalità prevalente del negozio ed il lavoro è solo il mezzo per produrla (è un’attività meramente
207 In realtà se le parti avevano intenzione di concludere un contratto di vendita, ma in realtà il contratto risulta essere obiettivamente un appalto si applicherà quest’ultima disciplina, cfr. XXXXXX X., op. cit., p. 209 e PERLINGIERI P., op. cit., p. 36.
208 Si ha vendita nel caso in cui la parte sia libera di costruire o meno il bene, cfr. SALIS L., La compravendita di cosa futura, Padova, CEDAM, 1935, p. 251 ss; PERLINGIERI P., op. cit., p. 41; XXXXXXX G., op. cit., p. 107; XXXXXX D., op. cit., p. 210.
209 È il criterio seguito dal D.P.R. n. 633 del 1972, cfr. Cass., 20 aprile 2006, n. 9320 in relazione ad una fattispecie in tema di determinazione dell’aliquota IVA, in Mass. Giur. It., 2006 e in I Contratti, 2007, 1, 21 nota di XXXXXXXXX: ai fini della differenziazione tra i contratti di appalto e di vendita (di cosa futura), costituisce criterio fondamentale quello della prevalenza o meno del lavoro sulla fornitura della materia, mentre il riferimento alla comune intenzione delle parti rappresenta criterio suppletivo.
210 Il privato non è padrone delle conseguenze giuridiche dei negozi che compie, le quali si producono vi legis e non vi voluntatis. La cosiddetta libertà contrattuale dei privati comincia e termina con la creazione dell’elemento di fatto del negozio e cioè con la manifestazione di un determinato intento empirico, cfr. Cass., SS.UU., 12 maggio 2008, n.11656, in Riv. not., 2009, II, p.1477, con nota di XXXXXXXX.
Per volontà delle parti si intende, quindi, il modo in cui hanno considerato l’opera, se cioè in sé stessa o in quanto prodotto necessario di un’attività e quindi se la volontà delle parti aveva ad oggetto un dare o un facere, cfr. Cass., 9 novembre 2005, n. 21773, in Mass. Giur. It., 2005; Xxxxxxxxx, 2006, 6, 602; Giur. Bollettino legisl. tecnica, 2006, 1, 206, in Giur.
Bollettino legisl. tecnica, 2006, 2, 294¸ Cass., 20 ottobre 1997, n. 10256, in Mass. Giur. It., 1997 e Cass., 2 agosto 2002,
n. 1160, in Mass. Giur. It., 2002; Arch. Civ., 2003, p. 660; Xxxx. Bollettino legisl. tecnica, 2003, p. 99.
strumentale), si ha vendita di cosa futura211; se, invece, il peso dell’attività realizzatrice della cosa è tale da risultare l’intenzion ultima della parte non può che trattarsi di un appalto212.
Qualora la parte chieda delle modifiche all’originario progetto si deve tenere conto del peso dell’obbligazione di facere che ne consegue. Il fatto che l’originario regolamento preveda un risultato diverso, non porta automaticamente al mutamento dello schema negoziale. Può trattarsi, infatti, di una vendita in cui la determinazione oggettiva non è lasciata esclusivamente al venditore, ma alle esigenze dell’acquirente, senza che l’obbligazione di facere degli adattamenti lo trasformi in un appalto o in un contratto misto. Se, invece, l’attività di modifica assume una incidenza autonoma nel regolamento contrattuale, allora si innesta un contratto di appalto nell’originaria vendita213.
La tematica relativa alla distinzione tra i due contratti assume un rilievo decisivo in ambito amministrativo214. Laddove, infatti, la p.a. sia l’alienante, la vendita risulta qualificabile come un contratto attivo, pertanto sarà applicabile una disciplina diversa rispetto a quella degli appalti pubblici (che rappresentano i tipici contratti di natura passiva) di derivazione europea.
211 Il contratto con cui un imprenditore si obbliga a fornire ad un altro soggetto manufatti che rientrano nella propria normale attività produttiva - apportando ad essi le modifiche di forma, misura e qualità richieste specificamente dalla controparte - costituisce vendita di cosa futura se dette modifiche non snaturano le caratteristiche essenziali del prodotto, ma consistano in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarlo alle specifiche esigenze dell’acquirente, mentre è da qualificarsi contratto di appalto allorché le modifiche siano tali da dar luogo ad un prodotto diverso, nella sua essenza, da quello realizzato normalmente dal fornitore e richiedente altresì un cambiamento dei mezzi di produzione predisposti per la lavorazione di serie, cfr. Cass., 29 aprile 1993, n. 5074, in Mass. Giur. It, 1993.
212 “È da qualificarsi contratto di appalto e non vendita di cosa futura il contratto con cui un imprenditore si obbliga a fornire ad un altro soggetto manufatti che rientrano nella propria normale attività produttiva apportando ad essi modifiche consistenti non in semplici accorgimenti tecnici marginali e secondari diretti ad adattare il prodotto alle specifiche esigenze dell’acquirente, ma tali da dar luogo ad un prodotto diverso, nella sua essenza, da quello realizzato normalmente dal fornitore e richiedente altresì un cambiamento dei mezzi di produzione predisposti per la lavorazione in serie, vale a dire un’attività di progettazione e assemblamento dei pezzi, compiuta dal personale della impresa con attrezzature idonee allo scopo, nell’ambito di un’organizzazione imprenditoriale, con rilevante incidenza del costo del lavoro e assunzione da parte del fornitore medesimo della piena responsabilità del progetto e dell’esecuzione delle opere a lui affidate”, cfr. Cass. 8 settembre 1994, n. 7697, in Giur. It., 1995, I,1, 1244 nota di CAVALIERE; Mass. Giur. It., 1994; Contratti, 1995, 1, 48,; Nuova Giur. Civ., 1995, I, 999 nota di XXXXXXXXXXXX.
La differenza non è di poco conto in quanto non trovano applicazione, in caso di vendita di cosa futura, le norme in relazione alla facoltà di recesso unilaterale del committente ex art. 1671, al perimento o deterioramento della cosa ex art. 1673 ed alla revisione del prezzo ex art. 1664 c.c., cfr. XXXXXXX X., op. cit., p. 106.
213 In dottrina: XXXXXXXXX G., Vendita di “cosa futura” e aspetti di teoria del contratto, Milano, Xxxxxxx, 1974, p. 118. 214 Il Consiglio di Stato ha recentemente ribadito che la distinzione tra appalto (artt. 1655 ss. c.c.) e vendita (art. 1470 ss. c.c.) (e vendita di cosa futura) si basa su due elementi: da un lato, la volontà dei contraenti e, dall’altro, il rapporto fra il valore della materia (prestazione di dare) ed il valore della prestazione d’opera (prestazione di fare), da considerare non in senso oggettivo (quale valore economico della materia o dell’opera), bensì avuto riguardo alla comune intenzione dei contraenti. Pertanto “si è in presenza di un contratto d’appalto o d’opera se l’oggetto effettivo e prevalente dell’obbligazione assunta dal produttore-venditore è la realizzazione d’un opus unicum od anche d’un opus derivato dalla serie, ma oggetto di sostanziali adattamenti o modifiche a richiesta del destinatario, laddove la fornitura della materia è un semplice elemento concorrente nel complesso della realizzazione dell’opera e di tutte le attività a tal fine intese. Al contrario, si è in presenza d’un contratto di compravendita, se le attività necessarie a produrre il bene costituiscono solo l’ordinario ciclo produttivo del bene, che può anche concludersi con l’assemblaggio delle sue componenti presso il destinatario, ma è la sola consegna del bene stesso, l’effettiva obbligazione del produttore- venditore, insomma, nella compravendita, oggetto dell’obbligazione è un dare, nel contratto d’appalto o d’opera, oggetto dell’obbligazione è un facere”, cfr. C.d.S, 7 luglio 2014, n. 3421, Massima redazionale, 2014.
Se, invece, l’amministrazione è la parte acquirente, la conclusione di un negozio ex art. 1472 c.c. risulta essere sostanzialmente un’attività che si pone in contrapposizione rispetto al sistema ordinario per l’acquisizione di opere di pertinenza pubblica, ossia quello delineato dal codice degli appalti pubblici. Secondo la giurisprudenza, infatti, l’esperibilità della vendita di cosa futura da parte della pubblica amministrazione, pur essendo ammissibile in astratto, in concreto è condizionata dalla ricorrenza di situazioni eccezionalissime. É possibile esclusivamente nei ristrettissimi limiti in cui l’opera da acquisire costituisca, secondo un ampiamente motivato e documentato apprezzamento dell’amministrazione, un bene infungibile, con riguardo alle sue caratteristiche strutturali e topografiche, o un unicum non acquisibile in altri modi o a prezzi, condizioni e tempi inaccettabili per il più solerte perseguimento dell’interesse pubblico215.
2.2.1. Le obbligazioni che sorgono in capo alle parti
Una volta concluso il contratto si instaura un rapporto giuridico contrattuale “preliminare”216. Il contratto è irrevocabile e l’attuale inesistenza della cosa non impedisce la produzione di tutti quegli effetti obbligatori indipendenti rispetto a quello reale.
Sul venditore incombe l’obbligo ex art. 1476 n.2, c.c. ossia quello di “far acquistare”. Ciò significa che lo stesso deve astenersi dal compiere qualsiasi atto che possa determinare il non trasferimento217, l’estinzione del diritto o una diminuzione del suo valore218. Il contenuto dell’obbligazione di cui trattasi, può essere anche di tipo positivo: ad es. quando la parte alienante è tenuta a interrompere l’usucapione di un terzo o a compiere atti conservativi. Inoltre il diritto deve essere fatto acquistare
215 In giurisprudenza si legga ex multis Cass., Sez. Unite, 12 maggio 2008, n.11656, in Riv. not., 2009, II, p.1477, con nota di XXXXXXXX: ne consegue la necessità che l’amministrazione valuti preventivamente la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie di realizzazione delle opere pubbliche e, ove ne verifichi la non praticabilità in relazione a specialissime, motivate e documentate esigenze di celerità, funzionalità ed economicità, potrà scegliere di acquisire l’immobile secondo il meccanismo della compravendita.
216 “Giuridico” perché regolato dalla legge, “contrattuale” perché effetto di un contratto completo e “preliminare” perché tende a realizzare un rapporto definitivo e finale, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 182.
Inoltre la dottrina rileva che quando l’effetto reale si produce immediatamente attraverso il semplice consenso il contratto si realizza senza che si costituisca un rapporto obbligatorio, altrimenti il risultato programmato (il passaggio di proprietà) rileva in termini di rapporto obbligatorio, cfr. XXXXXX X.X., op. cit., p. 92.
217 Il venditore ha ancora il potere di disposizione. Nessun effetto reale si produce prima della venuta ed esistenza del bene. Ci sono esclusivamente vincoli di natura obbligatoria.
218 Gli effetti che si producono prima che il bene venga ad esistenza sono, dunque, sostanzialmente simili a quelli esaminati in caso di pendenza della condizione. In questo caso si giustificano in maggior misura perché non solo vi è un contratto già perfetto, ma altresì efficace. È stata più volte rimarcata in dottrina la differenza sostanziale che intercorre tra il negozio condizionato e la vendita obbligatoria. Solo nel primo caso sorgono immediatamente effetti obbligatori (come quello ex 1476, n.2, c.c. o anche quello di pagamento del prezzo), mentre la condizione sospende sia gli effetti reali che quelli obbligatori, cfr. XXXXXXX X., op. cit., p. 97 e BIANCA C.M., op. cit., p. 83.
Né in caso di vendita obbligatoria né di negozio condizionato simili comportamenti possono essere ricondotti a un generale obbligo di custodia poiché la cosa, non essendosi ancora verificato l’effetto traslativo, appartiene al venditore (e non è configurabile un obbligo di custodia di cosa propria).
La diligenza richiesta è quella del buon padre di famiglia.
Una volta venuto ad esistenza il bene, l’obbligo di conservare immutato lo stato del bene ricade all’interno del contenuto dell’obbligo di consegna.
In base all’art. 1476 c.c. sorge, altresì, l’obbligo di garantire il compratore dall’evizione e dai vizi. Quest’ultimo è sicuramente uno degli aspetti più problematici, che verranno trattati meglio nel § 2.2.3(c).
In capo al compratore sorge l’obbligo di pagare il prezzo221. Secondo l’art. 1498 c.c. in mancanza di pattuizione e salvi gli usi diversi, il pagamento deve avvenire al momento della consegna. Le parti possono comunque decidere di anticipare tale adempimento ad un momento precedente alla venuta ad esistenza del bene222.
Egli è anche creditore rispetto all’obbligazione ex art. 1476, n.2, c.c., nonché titolare di una aspettativa di acquisto rispetto all’effetto acquisitivo automatico derivante dalla conclusione del contratto223.
219 In merito a tale obbligo si veda RUBINO D., op. cit., p. 312 ss.
220 Secondo l’opinione di XXXXXX X.X., op. cit., p. 627, la garanzia è una posizione che consegue all’impegno contrattuale e non una prestazione alla quale il venditore è tenuto.
221 Contra RUBINO D., op. cit., p. 186. Gli autori che aderiscono alla tesi del negozio incompleto, per le ragioni già esposte nel primo capitolo, ritengono che l’obbligo di pagare il prezzo sorga esclusivamente dopo che il bene viene ad esistenza (quando il negozio diventa completo). Nonostante ciò non si esclude che una delle parti possa aver pagato un semplice anticipo, questo va restituito.
222 L’opinione secondo la quale nella compravendita di cosa futura commutativa l’obbligazione di pagare il prezzo dipenda dalla venuta ad esistenza della cosa appare del tutto priva di fondamento. Dalla necessaria sinallagmaticità on si può dedurre la reciprocità delle prestazioni la loro necessaria contestualità, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 214.
223 V. LUMINOSO A., op. cit., p. 203.
224 Definizione elaborata da XXXXXX X.X., op. cit., p. 77.
Nei contratti traslativi l’esecuzione del contratto è articolata in due distinti momenti: quello del passaggio della proprietà e quello della consegna del bene. Nel nostro ordinamento vige il principio res perit domino, pertanto a partire dal momento in cui si verifica l’effetto traslativo (e a prescindere dall’avvenuta consegna) il rischio del perimento della cosa per una causa non imputabile grava in capo all’acquirente, il quale non sarà liberato dall’obbligo di pagare il prezzo225.
In caso di vendita avente ad oggetto un bene futuro226, il rischio nei termini sopra delineati non può configurarsi (almeno fino a quando la cosa non viene ad esistenza) 227. Il primo comma dell’art. 1465 c.c., infatti, si riferisce esclusivamente alla vendita di beni già individuati e specificati al momento della conclusione del contratto228.
Si deve tenere, inoltre, concettualmente distinta la responsabilità per la mancata venuta ad esistenza
- che nasce ed è a carico del debitore (l’alienante) sin dal momento della conclusione del contratto - da quella ex art. 1465 c.c., la quale può configurarsi logicamente solo allorquando sia stata adempiuta l’obbligazione ex art. 1476, n.2, c.c. e si sia realizzato l’effetto reale (un bene non può perire se ancora non esiste)230.
Secondo autorevole dottrina, l’applicazione dell’idea che sta alla base del principio res perit domino nell’ambito della vendita obbligatoria porterebbe alla conclusione che il rischio gravi sul venditore. Da una più attenta analisi si ricava, però, che quest’ultimo è anche debitore rispetto ad un’obbligazione fondamentale, quella di far acquistare il bene. Ragionando da questo diverso angolo di visuale si arriva alla stessa conclusione, ma sulla base dell’applicazione dell’art. 1463 c.c. e del principio: casum sentit debitor. Le conseguenze economiche del fatto estraneo dal quale dipende l’impossibilità della prestazione ricadono sul debitore che deve eseguire la prestazione, cioè
225 Il principio è codificato all’interno dell’art. 1465 c.c..
226 Le soluzioni di seguito prospettate partono tutte dal presupposto che la natura della vendita di bene futuro sia quella di negozio obbligatorio (o ad effetti reali differiti). Laddove, infatti, si aderisse alla tesi del negozio incompleto non si porrebbe un problema di passaggio del rischio, dato che se il bene non viene ad esistenza il contratto è da considerarsi definitivamente incompleto e prima di tale momento non sorge alcuna obbligazione in capo alle parti. Invece, i sostenitori della tesi del negozio soggetto a condizione sospensiva applicano direttamente il comma 4 dell’art. 1465 c.c., cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 200.
227 Si veda DELFINI F., Dell’impossibilità sopravvenuta, in Comm. Xxxxxxxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 2003, p. 119.
228 Cfr. RUBINO D., op. cit., p. 454, il quale ricostruisce le origini e le varie soluzioni in ordine al passaggio del rischio in caso di vendita obbligatoria. Nel diritto romano fu accolto il principio res perit emptori, il rischio quindi era sopportato dal compratore dal momento della conclusione del contratto a prescindere dal passaggio della proprietà con la consegna. Nel diritto tedesco, invece, si è dato importanza al momento del trasferimento della proprietà, pertanto il rischio passa solo con l’atto traslativo.
229 Nulla esclude, infatti, che la consapevolezza in ordine al perimento del bene o alla sua impossibile venuta ad esistenza si raggiunga prima del verificarsi dell’evento: ad esempio se la cosa madre subisce un deterioramento o sprofonda il suolo in cui deve essere costruito il fabbricato, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 206.
000 X. XXXXX X., op. cit., p. 221.
L’attenzione del legislatore e della dottrina in caso di difetti funzionali della causa che alterino il sinallagma contrattuale del contratto di vendita - come in caso di inadempimento – si è incentrato in larga misura sull’inesatta attuazione dell’effetto traslativo e dunque sugli istituti della garanzia.
In caso di alienazione di un bene futuro, tuttavia, si deve fare i conti con un ulteriore evento che può fare in modo che lo scambio delle prestazioni non possa più attuarsi, ossia la mancata venuta ad esistenza del bene.
Di seguito, verranno analizzati i principali rimedi e le peculiarità che vengono ad assumere laddove applicati ad un negozio avente ad oggetto un bene futuro.
a) Mancata venuta ad esistenza del bene
L’eventualità della mancata venuta ad esistenza del bene in caso di vendita è espressamente contemplata e disciplinata dal legislatore all’interno dell’art. 1472 c.c. (che prevede la nullità del negozio).
Come si è già argomentato nel primo capitolo, suddetta norma va interpretata nel senso che il negozio deve considerarsi inutile232. Non può ammettersi che un contratto inizialmente valido possa successivamente essere dichiarato nullo per una invalidità cd sopravvenuta. Si parla più in generale di inefficacia233.
Nel caso in cui venga accertato in sede giudiziale che il bene non verrà ad esistenza, l’obbligazione ex art. 1476, n. 2, c.c. diventa impossibile e risulta dirimente l’imputabilità o meno di quest’ultima ai fini dell’individuazione delle azioni esperibili.
Nel primo caso troverà spazio la disciplina generale relativa all’inadempimento, ossia l’art. 1453 c.c. e l’eventuale obbligo di risarcimento dell’interesse positivo.
231 Il fatto che nel comma 2 dell’art. 1465 c.c. sia previsto che in caso di vendita a termine (quindi con effetti reali differiti) si applichi comunque il primo comma, non deve automaticamente far pensare che in tutti i casi di vendita obbligatoria valga la regola generale. Anzi dovrebbe ricavarsi il contrario: se il legislatore ha sentito il bisogno di specificarlo significa che si tratta di un caso particolare, cfr. XXXXXX X., op. cit., p. 456.
232 In tal senso anche XXXXX X. Teoria generale del negozio giuridico, in VASSALLI F. (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, Torino, UTET, 1952, p. 242 e XXXXXXX G., Vendita obbligatoria, Milano, Xxxxxxx, 1957, p. 178. Secondo quest’ultimo autore la non nullità si ricaverebbe dallo stesso secondo comma dell’art 1472 c.c., il quale prevede la validità del contratto se concepito come aleatorio anche qualora il bene non venga ad esistenza.
233 Si parla di inefficacia in XXXXXXXXX XXXX L, XXXXXXXX F.D., BRECCIA U., XXXXXX G., Diritto civile. 1.2: Fatti e atti giuridici, Torino, UTET, 1986, p. 692.
Nel secondo caso, si avrà la risoluzione automatica del contratto234. L’articolo di riferimento è il 1463 c.c.. Autorevole dottrina ritiene, invece, applicabile, direttamente ex art. 1472 c.c.235. La prima differirebbe, infatti, dalla seconda perché può avere luogo anche in caso di impossibilità parziale e provvisoria (totale).
b) Parziale venuta ad esistenza
Si ha inadempimento anche laddove la prestazione eseguita sia diversa da punto di vista quantitativo rispetto a quella prevista nel regolamento contrattuale.
Siffatta circostanza ha delle precise conseguenza giuridiche (sia che lo stesso sia imputabile o meno al debitore).
234 Parte della dottrina sottolinea che in questo caso -proprio perché automatica - non si abbia una vera e propria risoluzione. Tuttavia la si qualifica in tal senso perché la disciplina e gli effetti che ne conseguono sono i medesimi avuto riguardo il venire meno del sinallagma, cfr. GAZZONI F., Manuale di diritto privato, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2013, p. 1034.
235 Più in particolare, la risoluzione ex art. 1472 c.c. differisce da quella per impossibilità sopravvenuta, perché quest’ultima può avere luogo anche in caso di impossibilità parziale e impossibilità totale solo provvisoria se la parte non ha più un apprezzabile interesse all’adempimento. Anche laddove fosse totale non equivarrebbe comunque alla risoluzione di diritto per la non venuta ad esistenza del bene perché l’impossibilità può essere non definitiva, ma temporanea e non equivalere, quindi, all’inesistenza della cosa, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 229.
In giurisprudenza è stato inoltre affermato che la domanda di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, tesa a una pronuncia di accertamento e si fonda su un fatto estraneo alla sfera di imputabilità dei contraenti, ha presupposti e natura diversi dalla domanda di risoluzione per inadempimento, la quale mira, invece, ad una pronuncia costitutiva e si fonda sul comportamento doloso o colpevole di una parte e può essere invocata da entrambe le parti. Infatti si ritiene violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ove - avendo le parti domandato la risoluzione del contratto per contrapposti inadempimenti - il giudice dichiari la risoluzione del contratto ex art. 1463 c.c. per sopravvenuta impossibilità della prestazione contrattuale, cfr. Xxxx., 28 gennaio 1995, n. 1037, in Mass. Giur. It., 1995.
236 Per approfondimenti si vedano LUMINOSO A., op. cit., p. 206 e BIANCA C.M., op. cit., p. 344. Se il prezzo è stato convenuto globalmente spetta al compratore sia la riduzione che il risarcimento; laddove, invece, sia stato convenuto a misura si determina secondo la quantità effettivamente prodotta, ma spetta al compratore il risarcimento del danno per il mancato guadagno.
237 La norma che regola, dal punto di vista generale, l’inadempimento quantitativamente inesatto è l’art. 1258 cc, il quale prevede che in caso di impossibilità parziale il debitore possa adempiere eseguendo la prestazione per la parte che rimane possibile. Tuttavia tale norma subisce un temperamento nel caso in cui il contratto sia a prestazioni corrispettive. L’art. 1464 c.c., infatti, consente al creditore di poter recedere dal contratto laddove non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento contrattuale.
c) Bene viziato
L’inesattezza dell’adempimento, in questo caso, investe l’aspetto qualitativo. Non si rinviene nel codice una disciplina generale sul punto e sui diritti che nascono in capo al creditore al fine di tutelare al meglio il suo interesse alla prestazione. Si tratta di un problema di una certa rilevanza sia pratica che dogmatica.
La dottrina si è interrogata a lungo in ordine alla sussistenza della facoltà in capo alla parte di poter chiedere un nuovo adempimento o l’eliminazione del vizio (materiale o giuridico).
Il legislatore (pur non avendo previsto delle norme generali) si è occupato dell’adempimento qualitativamente inesatto in relazione a specifiche ipotesi contrattuali, come la compravendita. Dalla lettura delle norme ad essa dedicata emerge che la disciplina codicistica è sbilanciata a favore del venditore238. La ratio di tale scelta si rinviene nell’esigenza di tutelare e preservare la stabilità delle operazioni di scambio.
Di conseguenza è opportuno chiedersi se tale normativa sia applicabile, altresì, alla vendita di cosa futura.
La pretesa alla eliminazione materiale di questi ultimi (riparazione) o delle inesattezze giuridiche (regolarizzazione) viene tradizionalmente ricondotta sotto l’alveo della più generale azione di esatto adempimento. Quest’ultima, in caso di vendita, si configura in modo del tutto peculiare.
238 Riflessione approfondita da RENDE F., La garanzia per i vizi nella vendita di diritto comune. Parte prima: presupposti e limiti, in I contratti, 2016, 6, p. 592.
239 Cfr. XXXXXXXXXX X., voce Inadempimento (dir. priv.), in Enc. dir., XX, 1970, Milano, Xxxxxxx, p. 867.
240 In giurisprudenza, sul punto, cfr. Cass. civ., 14 ottobre 1959, n. 2838, in Mass. Giur. It., 1959: L’alienazione di una massa di cose future (nella specie, tutte le olive pendenti in un fondo, prossime a maturazione) sia che essa avvenga mediante vendita, sia che avvenga mediante permuta, resta sempre efficace, qualunque sia la quantità della massa venuta ad esistenza. A norma dell’art. 1472 c.c. (applicabile anche alla permuta in virtù dell’art. 1555 c.c.) diventa inefficace solo se la massa non nasce affatto, neppure in scarsa quantità. Nei casi in cui il corrispettivo dell’alienazione predetta sia stato determinato a corpo e non a misura - (il che avviene, per la vendita, quando il prezzo sia stato determinato globalmente e, per la permuta, quando l’individuazione della cosa permutata, in cambio della massa di cose future, non sia stata in alcun modo collegata alla determinazione della quantità di questa) se la massa viene comunque ad esistenza, l’acquirente di essa non può chiedere alcuna riduzione del corrispettivo convenuto, né, tanto meno, sostenere l’inefficacia del contratto per il solo fatto che la quantità della massa sia risultata inferiore a quella da lui prevista e prevedibile al tempo della conclusione del contratto medesimo. Ne consegue, inoltre, che la garanzia per i vizi redibitori è dovuta soltanto per la massa dei frutti separati, mentre invece non è dovuta per i frutti periti prima della separazione e, quindi, giuridicamente mai venuta ad esistere come autonomi oggetti di diritto.
Se il bene alienato risulta viziato, si verifica una alterazione del sinallagma contrattuale241: è l’effetto traslativo a risultare indubbiamente imperfetto. La particolarità è data dalla circostanza che quest’ultimo scaturisce direttamente dall’accordo in virtù del principio consensualistico e non da un inadempimento tout court del debitore, pertanto la sua disciplina non può essere semplicisticamente equiparata a quella generale sull’inadempimento dell’obbligazione.
Il legislatore ha, infatti, predisposto un complesso ed esaustivo apparato rimediale: le azioni edilizie. L’art. 1492 c.c. prevede che il compratore possa domandare a sua scelta la risoluzione del contratto (rimedio di natura caducatoria) ovvero la riduzione del prezzo242. Inoltre vi è l’onere di denunciare l’esistenza dei vizi nei termini di cui all’art. 1495 c.c. (otto giorni dalla scoperta).
Per tali motivi si discute se il compratore possa esercitare altresì il rimedio generale ex art. 1453 c.c., ossia l’azione di esatto adempimento per ottenere la condanna del venditore alla riparazione della cosa o alla sua sostituzione. Rimedio che, come quelli edilizi, prescinde dalla colpa del debitore244. Prima di approfondire la compatibilità dello stesso con la natura futura del bene dedotto nel contratto è necessario ripercorrere brevemente il percorso giurisprudenziale e dottrinale sul punto con riferimento alla vendita ordinaria.
In giurisprudenza è prevalso l’orientamento negativo. Non può essere chiesta l’eliminazione dei vizi (che in questo caso rappresenterebbe una species di azione di esatto adempimento) poiché altrimenti l’azione si risolverebbe in una forma di esecuzione in forma specifica di una obbligazione di facere che esula dal contenuto del vincolo negoziale.
La Cassazione ha più volte ribadito che l’acquirente non possa avvalersi dell’azione di esatto adempimento (e della correlativa eccezione di inesatto adempimento) in aggiunta all’actio redibitoria e a quella quanti minoris (neanche laddove sia riscontrata la colpa del venditore). Quanto sopra troverebbe conferma non solo nell’art. 1492 cc., ma altresì nella considerazione che “consistendo l’obbligazione fondamentale del venditore in un dare, costui, una volta adempiutovi con la consegna
241 È indifferente il dato che esista o meno in rerum natura al momento della conclusione del contratto.
242 Quest’ultimo è un rimedio peculiare perché non può considerarsi strictu sensu conservativo visto che l’equilibrio originario del contratto muta sensibilmente.
243 È l’opinione di XXXXXXXX A., op. cit., p. 362.
244 Si tratta di un rimedio espressamente previsto, invero, soltanto a proposito della vendita di cose mobili (art. 1512 c.c.). In termini generali, invece, il fondamento normativo dell’azione di esatto adempimento è stato individuato nell’art.1453 c.c.. Attraverso l’azione ivi prevista il creditore mira ad ottenere il soddisfacimento del proprio interesse. Tuttavia la norma non parla di esatto adempimento, ma di semplice adempimento, cfr. XXXXX A., Xxxx’ammissibilità dell’azione di esatto adempimento in presenza di vizi del bene venduto o promesso in vendita, in Contr. e impr., I, 1998, p. 123.
della cosa, non può essere costretto ad un facere per eliminare gli eventuali vizi esistenti ma può soggiacere soltanto alla risoluzione del contratto o, alternativamente, alla riduzione del prezzo, salvo, ovviamente, che non sia diversamente pattuito”245.
Alcuni autori si sono discostati dalla formulazione letterale dell’art. 1476 cc e hanno affermato che la garanzia per i vizi non sia oggetto di una specifica obbligazione247. Dalla lettura della norma risulterebbe in capo al venditore “l’obbligazione di garantire” che non può essere ammessa per due motivi. Il primo è che l’oggetto di una obbligazione può essere solo un comportamento del debitore idoneo a procurargli il bene e non l’esistenza o l’inesistenza di determinati aspetti di una realtà già prodottasi (per questo non ha senso parlare di imputabilità e non rileva la colpa)248. Inoltre, anche laddove il venditore sia in grado di sostituire il bene o di eliminare i vizi tali attività non sono comunque previste all’interno della sua obbligazione, che si sostanzia fondamentalmente in un dare249.
Secondo un altro orientamento, invece, l’azione redibitoria sarebbe comunque riconducibile nell’ambito della responsabilità contrattuale (quale violazione dell’obbligo di far acquistare la proprietà) e andrebbe operata una distinzione tra situazione di colpa o meno del venditore250. Nel secondo caso il compratore potrebbe esperire esclusivamente i rimedi di tipo edilizio. Laddove sussista la colpa, invece, non vi sarebbero ragioni ostative per l’applicazione della disciplina generale ex 1453 c.c.251.
245 Cfr. Cass. 24 novembre 1994, n. 9991, in F. it., 1995, 1, c. 3263 con nota di XXXXXXX X.
246 L’ammissibilità dell’azione è stata esclusa fondamentalmente poichè i rimedi previsti in caso di vizi hanno natura speciale (oltre al fatto che non può essere addossata al debitore un’obbligazione di facere non prevista dal regolamento contrattuale). Né potrebbe ammettersi sotto forma di risarcimento in forma specifica perché manca il nesso causale (oltre che psicologico) tra il comportamento del venditore e i vizi, cfr. XXXXX A., op. cit., p. 125.
247 Si vedano RUBINO D., op. cit., p. 631 e LUMINOSO A., op. cit., p. 367.
248 L’“obbligazione di garantire” troverebbe origine nella” figura balzana, messa in circolazione dal Xxxxxxx col nome di " obligation de faire avoir la chose utilment", cfr. LUMINOSO X., op. cit., p. 368.
249 Un simile contenuto non può rinvenirsi nemmeno dall’obbligazione di consegna del bene, poiché l’art. 1477 c.c. prevede espressamente che il venditore debba consegnare il bene nello stato in cui si trovava al momento della vendita. 250In tal senso sia RUBINO D., op. cit., p. 630 che BIANCA C.M., op.cit., p. 892. In particolare quest’ultimo si occupa dell’ammissibilità della pretesa del compratore ad ottenere la riparazione o la sostituzione del bene. Con riferimento alla prima sottolinea che la preoccupazione che il danneggiante sia costretto a sopportare un sacrificio economico sproporzionato rispetto al valore del bene sia superabile richiamando l’applicazione della norma sul risarcimento del danno in forma specifica (la riparazione esula dal contenuto della prestazione contrattuale assumendo il carattere risarcitorio). La pretesa alla sostituzione della cosa, invece, non trova riscontro in termini generali nel nostro ordinamento: se il venditore ha adempiuto con un prodotto difettoso il compratore, chiedendone la sostituzione, non fa altro che pretendere un secondo adempimento. L’azione di adempimento può ammettersi se e in quanto il venditore non abbia ancora adempiuto e proprio per questo motivo non costituisce un’alternativa rispetto alle azioni contro i vizi (che presuppongono il già avvenuto adempimento).
251 Se l’azione di esatto adempimento non fosse esperibile si assisterebbe ad un indebolimento della posizione del compratore (quando invece la garanzia prevista in materia di vendita è prevista al fine di rafforzarla laddove non vi sia la
Isolata e autorevole dottrina, infine, ne ha sostenuto sempre e comunque la piena ammissibilità252. Sembra preferibile la ricostruzione del fenomeno come ipotesi speciale di responsabilità contrattuale derivante (non dall’inesatto adempimento di una obbligazione, bensì) dall’oggettiva inattuazione dell’effetto traslativo (è una violazione del contratto). È stato giustamente affermato che “il concetto di inadempimento non può essere irrigidito nei termini di una correlazione essenziale con il concetto di inadempimento di una specifica obbligazione contrattuale”253.
Quanto detto vale con riferimento alla vendita di una cosa specifica di proprietà del venditore.
Nel caso, invece, di vendita di cosa generica o futura la responsabilità del venditore è collegata all’inadempimento di una specifica obbligazione, quella di far acquistare la cosa ex art. 1476, n. 2,
c.c. con i caratteri e le qualità pattuiti.
La lesione dell’interesse del compratore è la stessa, ossia l’inattuazione o imperfetta attuazione dell’effetto traslativo254. Tuttavia risulta meno controversa la possibilità di esperire l’azione di esatto adempimento. Infatti, sorge un’obbligazione di facere in capo al venditore ed è stata prospettata in dottrina l’idea che quest’ultimo si sostanzi nel compimento di una seri di atti preordinati non solo al verificarsi dell’effetto reale, ma anche idonei a far sì che il bene trasferito risponda a uno standard qualitativo “minimo”255. Si tratta della stessa soluzione prevista in caso di contratto preliminare256. Anche con riferimento a questo contratto è stato rilevato che dalla promessa di vendere sorga, in realtà, a carico del promittente un’obbligazione ad ampio spettro che include qualunque prestazione,
colpa), cfr. RUBINO X., op. cit., p. 825. Secondo l’Autore l’unico ostacolo all’ammissibilità della stessa è rappresentato dalla tradizione storica, visto che il diritto romano non prevedeva tale azione. Non sono dirimenti, infatti, né l’art. 1494
c.c. (dove si precisa che in caso di colpa è dovuto anche il risarcimento del danno) né l’art. 1512, comma 2, c.c. (che, in deroga si principi generali, accorda le azioni per ottenere la riparazione e la sostituzione anche in caso di mancanza di colpa).
252 Cfr. XXXXXXXXXX M., op. cit., p. 865: non può dubitarsi dell’esistenza di diritto del creditore ad un (nuovo) esatto adempimento o alla eliminazione, ove possibile, dei difetti della prestazione già effettuata. Ciò è desumibile da alcune norme del codice: l’art. 1480, comma 2, l’art. 1512, comma 2, e l’art. 1668 e l’art. 1192 c.c (in cui l’impugnazione concessa al debitore in buona fede si accompagna alla pretesa di un nuovo esatto adempimento). Inoltre, l’aspettativa del creditore a tale esatto adempimento deve necessariamente prescindere dalla colpa del debitore (e ciò si desume dalla disciplina dei rimedi tradizionali in caso di vendita – in cui solo il risarcimento è ancorato alla colpa – e dagli artt. 1512 e 1668 c.c.).
253 X. XXXXXXXX X., op. cit., p. 378.
254 Anche se dipende da un fatto successivo alla conclusione del contratto e dal comportamento del venditore, per ragioni di coerenza sistematica la risoluzione del contratto e il pagamento del prezzo dovrebbero mantenere carattere oggettivo, cfr. sempre LUMINOSO A., op. cit., p. 389.
255 In questo senso GRECO P./COTTINO X., Xxxxx vendita, in SCIALOJA A./BRANCA G., Commentario del codice civile, Bologna, Zanichelli, 1962, p. 67 e XXXXXXXXX X., Garanzia per vizi ed impegno del venditore alla riparazione del bene: note critiche a margine di Xxxx. Sez. Un. N. 13294/2005, in Riv. dir. civ., 2006, II, p. 479.
256 Anche in caso di vizi del bene oggetto di un contratto preliminare si sono comunque succedute nel tempo diverse teorie. Secondo un primo orientamento l’unico rimedio esperibile sarebbe quello della risoluzione per inadempimento, in quanto l’azione di riduzione del prezzo (o quello di eliminazione dei vizi, per chi lo ritenga ammissibile) costituirebbe un rimedio previsto esclusivamente in materia di compravendita, cfr. Cass. 20 marzo 1999, n. 2613, in Giust. civ. Mass. 1999, p. 626. Un’altra corrente di pensiero, peraltro risalente nel tempo, invece, ha sostenuto che il promissario acquirente avrebbe il diritto di domandare l’esatto adempimento dell’obbligazione di consegna della cosa oggetto del preliminare, chiedendo la condanna del promittente venditore all’eliminazione dei vizi della cosa: nell’obbligazione di stipulare il contratto definitivo, deve ritenersi inclusa tutta l’attività necessaria ad assicurare la realizzazione dell’attribuzione patrimoniale traslativa, cfr. Cass. 28 novembre 1976, n. 4478, in Foro it., 1977, I, p. 669.
d) Ulteriori rimedi
In caso di vendita la dottrina è divisa in ordine all’ammissibilità della garanzia per evizione. Secondo la tesi restrittiva tale rimedio sarebbe precluso al compratore, sia perché il compratore può esercitare la relativa azione solo se effettivamente sia stato privato (totalmente o parzialmente) del bene e sia perché è possibile che prima della venuta ad esistenza tale pericolo venga evitato259.
Autorevole dottrina, invece, ritiene che alla parte di un negozio di cosa futura, prima della venuta ad esistenza della cosa, non possa essere negato uno strumento di tutela riconosciuto anche nella fase delle trattative260 e al promittente compratore261.
257 In dottrina cfr. LUMINOSO A., I contratti tipici ed atipici, in Tratt. dir. priv. diretto da Xxxxxx – Xxxxx, 1995, p. 26.
In giurisprudenza si erano formati sostanzialmente due indirizzi in relazione alla possibilità per la controparte di utilizzare tutti i rimedi concessi dalle norme generali in tema di adempimento nel caso in cui il bene risultasse difforme o viziato (la questione è stata affrontata in relazione alla stipulazione di un contratto preliminare, sia puro che ad effetti anticipati). Secondo un primo orientamento era possibile, in caso di preliminare ad effetti anticipati, richiedere alternativamente alla risoluzione del negozio per inadempimento del promittente, la condanna di questo ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa. Ciò soprattutto in considerazione della pluralità delle obbligazioni assunte dal promittente (obbligo di fare connesso allo stato della cosa e consegna anticipata del bene) e della insussistenza di ragioni ostative alla tutela ordinaria mediante l’esercizio dell’azione di esatto adempimento (cfr. Xxxx. sent. n. 4478/76; n. 3560/77; n. 2268/80). Più precisamente, secondo Cass., 23 aprile 1980, n. 2679 (in Xxxx Xx., 0000, X, 000, xx Xxxx. Xx., 1981, I,1, 914) di fronte all’inesatto adempimento del promittente nell’approntare la cosa oggetto del contratto secondo precise modalità e rifiniture, riconosceva al promissario: a) la possibilità di esercitare non solo l’azione di esatto adempimento con la condanna del promittente alla eliminazione dei vizi e difformità presentati dal bene, ma anche quella di riequilibrio delle prestazioni con riduzione del prezzo; b) la possibilità inoltre di esperire dette azioni coevemente a quella di esecuzione specifica del preliminare (nello stesso senso decidevano le sentenze n. 6671/81 e 4442/82). l’orientamento contrario, invece, affermava la portata limitata della sentenza costitutiva ex art. 2932 cc, (Cass. n.3412/80; n.3722/81; n. 6730/82). Tale contrasto ha portato ad una pronuncia delle Sezioni unite, (cfr. Cass. civ., Sez. Unite., 27 febbraio 1985, n. 1720, in Giur. It., 1987, I,1, p. 173) le quali hanno aderito all’indirizzo di più ampia tutela del promissario che prende le mosse da Cass., 26 novembre 1976, n. 4478, Massima redazionale, 2004.
258 Nella parte generale del codice le uniche due norme all’interno delle quali si fa riferimento a tale profilo sono l’art. 1778 (“se l’obbligazione ha ad oggetto cose generiche il debitore deve prestare cosa di qualità non inferiore alla media”) e l’art. 1258, comma 2, (il debitore può prestare anche una cosa deteriorata, salvo l’applicazione dell’art. 1464 in caso di contratti a prestazioni corrispettive), cfr. XXXXXXXXXX X., voce Inadempimento (dir. priv.), cit., p. 863.
259 Tesi sostenuta da XXXXXXX G., op. cit., p. 94 e XXXXX L., op. cit., p. 191. XXXXXXX G., op. cit., p. 174 afferma che nonostante il contratto di vendita sia perfetto e vincolante, oltre all’effetto reale non sorgono neanche gli altri effetti obbligatori che concernono la cosa (l’obbligo di consegna, l’obbligo di garanzia pe i vizi e quello per evizione).
260 Non bisogna confondere i vizi del diritto (la mancanza delle qualità pattuite) con quelli della cosa, accertabili solo quando è nata, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 248.
261 Per altro verso il promissario acquirente di un immobile gravato da pesi o vincoli, cui sia stato promesso il pieno, libero e pacifico acquisto del dominio sul bene, ben può avvalersi del disposto dell’art. 1481 c.c., art. 1482 c.c., comma 1, e art. 1489 c.c., comma 2, c.c. applicabili per analogia al preliminare di vendita, cfr. Cass., 14 ottobre 2014, n. 21681, in Immobili e proprietà, 2014, 12, p. 734.
Come già anticipato nel primo capitolo, la dottrina ritiene che il negozio ad oggetto futuro sia trascrivibile immediatamente, ancor prima che il bene venga ad esistenza. Ciò è desumibile da numerose previsioni legislative quali: l’art. 1524 c.c., il quale prevede la trascrivibilità della vendita con riserva di proprietà (che è un’ipotesi di differimento degli effetti reali); l’art. 2659, comma 2, c.c. sulla trascrivibilità del negozio condizionato o a termine (altra ipotesi di passaggio della porprietà in un momento successivo); l’art. 2659, comma1, n.4 e l’art. 2826 c.c. in relazione ai negozi aventi ad oggetto gli edifici da costruire (quindi futuri); nonché l’art. 2645 bis c.c. sulla trascrizione dei contratti preliminari. In particolare con riferimento a quest’ultimo, se l’adempimento pubblicitario è possibile con riguardo ad un contratto da cui sorge l’obbligo di addivenire ad un successivo negozio traslativo, a maggior ragione – per ragioni di ordine sistematico – deve esserlo un negozio idoneo di per sé a fungere da titulus e modus adquirendi.
In caso di vendita di beni futuri c’è, inoltre, il rischio di ipotesi di conflitto tra titoli derivanti da vicende dagli aspetti peculiari. In particolare, sono sorte delle questioni in relazione alla vendita dei frutti e dei beni da costruire.
Con riferimento ai primi sono prospettabili due diverse ipotesi.
La prima si verifica quando il proprietario del fondo venda quest’ultimo a un terzo dopo aver concluso un negozio di alienazione dei frutti con un altro soggetto. In base principi generali in materi di proprietà, l’acquirente del fondo diventa automaticamente anche il dominus dei frutti futuri263. Il conflitto risulta, quindi, tra un acquisto mobiliare e uno immobiliare.
Secondo un primo orientamento troverebbe applicazione il criterio dell’art. 2704 c.c., ossia della data della scrittura privata. Entrambe le vendite risultano essere validi titoli di acquisto del diritto (a prescindere dal fatto che la prima sia obbligatoria e, invece, l’altra produca un effetto traslativo
262 Di tale avviso XXXXXXX G., op. cit., p. 177. Cass., 10 marzo 1997, n. 2126, in Urbanistica e Appalti, 1998, 1, p.38, con nota di CISTULLI F.
Perché ciò sia possibile si deve sostenere, tuttavia, che l’eventuale secondo acquirente che abbia trascritto per primo acquisti a domino, altrimenti si dovrebbe applicare la più rigorosa disciplina dell’usucapione abbreviata. La dottrina ritiene pertanto che la trascrizione curata da quest’ultimo operi come condizione risolutiva legale rispetto al primo acquisto e che pertanto risolva retroattivamente gli effetti reali prodotti dal primo atto traslativo non trascritto, cfr. GAZZONI F., Manuale di diritto privato, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2013, p. 309.
263 La prima vendita ha carattere meramente obbligatorio, mentre la seconda costituisce il titolo reale di acquisto dei frutti, cfr. XXXXXX X.X., op. cit., p. 340. Secondo Xxxxxx all’acquirente del fondo sono inopponibili i contratti di mobilizzazione di cui trattasi dato che chi ha stipulati il contratto relativo ai frutti non è in grado di acquistare subito la proprietà del bene, cfr. RUBINO X., op. cit., p. 201.
immediato del fondo264). Secondo altra dottrina, invece, il conflitto andrebbe risolto a favore dell’acquirente del terreno, in ragione del fatto che si tratta di un acquisto a titolo originario265.
Se il proprietario aliena a più soggetti i frutti del fondo, invece, c’è un conflitto tra due acquisti della stessa natura (mobiliare) e trova applicazione non il principio dell’anteriorità dell’atto, ma quello ex art. 1155 c.c.: prevale l’acquirente che per primo ha acquistato in buona fede il possesso.
In caso di vendita di un edificio da costruire e successiva alienazione del terreno si veda più avanti il paragrafo ad essi dedicato (§2.4.1.1.).
2.4.Singole figure di vendita
2.4.1. Vendita di beni da costruire
È considerata vendita di cosa futura non solo quella che abbia ad oggetto un bene ancora da costruire, ma anche quella di un bene di cui sia iniziata la realizzazione.
Secondo la giurisprudenza, in linea generale, per individuare la data di venuta ad esistenza di un immobile ai fini e per gli effetti dell’art. 1472 c.c., occorre aver riguardo al momento in cui si perfeziona il relativo processo produttivo nelle sue componenti essenziali e non a quello della realizzazione del solo scheletro in cemento armato266. Si può ritenere irrilevante, invece, la mancanza di alcune rifiniture o di qualche accessorio non indispensabile per la sua utilizzazione267.
264 In merito si vedano: LUMINOSO A., La vendita, cit., p. 205 e BIANCA C.M., op. cit., p. 341. Il momento di acquisto della proprietà dei frutti, inoltre, coincide in entrambe le ipotesi con quello della separazione.
265 Sempre RUBINO D., op. cit., p. 201; XXXXX R., op. cit., p. 102.
266 L’esigenza di tutelare il compratore contro il rischio del perimento dell’opera che si trovi ancora nella sfera di controllo dell’alienante induce a ritenere che l’opera debba ritenersi esistente solo al momento del suo completamento (Cass. 18.5.2001 n. 6851; Cass. n. 8118/1991; Cass. n. 3854/1989) e cfr. Cass. Sez..Unite., 12 maggio 2008, n.11656, in Riv. not., 2009, II, p.1477, con nota di XXXXXXXX. Se invece il bene da costruire è oggetto di un contratto preliminare, l’art. 2645 bis cc stabilisce (in difformità rispetto agli approdi giurisprudenziali) che ai fini degli effetti della trascrizione si intende esistente l’edificio nel quale sia stato eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità, e sia stata completata la copertura.
267 Cfr. Cass. civ., 17 febbraio 1983, n. 1219, in Mass. Giur. It., 1983; Cass., 5 settembre 1989, n. 3854, in Giur. It., 1990, I,1, 596 nota di D’XXXXXXXX, in Mass. Giur. It., 1989.
268 Ai fini della qualificazione in termini di contratto di vendita di cosa futura della vendita di immobile da costruire su fondo di proprietà del cedente, il quale si assume la realizzazione dell’opera a proprio rischio e con la propria organizzazione, non costituiscono ostacolo, in favore della diversa qualificazione di contratto misto di vendita (del suolo) ed appalto (dell’opera da costruire), i seguenti elementi del contenuto contrattuale: a) la previsione del pagamento di un acconto sul prezzo finale (contrariamente, invece, alla previsione di acconti in corso d’opera in relazione a stati di avanzamento dei lavori, propri dell’appalto e, come tali, giustificabili in virtù di una parziale esecuzione dell’oggetto del
L’art. 1, lett. d) del d.lgs. 122/2005 individua un criterio diverso ai fini della determinazione del momento in cui si verifica l’effetto reale. Il legislatore lo fa coincidere con il raggiungimento di uno stadio della costruzione che consenta il rilascio del certificato di agibilità. Tale ricostruzione dovrebbe, però, valere solo in relazione alle specifiche finalità per le quali è stata dettata la norma.
Ad oggi la dottrina è concorde nel ritenere che il contratto di vendita di un edificio da costruire sia già trascrivibile al momento della conclusione dello stesso. Depone a favore di questa conclusione il dettato normativo. L’art. 2659, n. 4, c.c. richiama, infatti, l’art. 2826 c.c. il quale prevede che per i fabbricati in corso di costruzione debbano essere indicati i dati di identificazione catastale del terreno su cui insistono.
Sono sorti alcuni problemi in relazione al caso in cui dopo la vendita dell’edificio da costruire, ma prima della venuta ad esistenza del bene, venga alienato il terreno.
Nel caso di un simile conflitto tra più titoli, secondo un primo orientamento chi ha comprato l’edificio (non essendo ancora passata la proprietà) non potrebbe opporre il suo titolo all’acquirente del terreno270. L’orientamento opposto sostiene, invece, che l’acquisto del primo ben potrebbe prevalere sulla base del fatto che con il contratto di vendita del bene da costruire si acquista altresì sotto condizione sospensiva l’area sulla quale sorgerà (che opera retroattivamente)271. In tal caso occorre verificare in concreto se le parti abbiano incluso anche la vendita del terreno nell’originario negozio relativo al bene da costruire. In caso positivo, la proprietà del suolo passa immediatamente (si tratta infatti di una res esistente in natura), mentre l’edificio da costruire viene acquisito per accessione. Se
contratto, mentre nella vendita di cosa futura l’adempimento dell’alienante si realizza esclusivamente con il completamento del bene); b) la previsione di un termine di ultimazione dei lavori, giacché il contratto di vendita di cosa futura prevede pur sempre come attività accessoria quella della realizzazione dell’opera da parte dell’alienante; c) la previsione dell’obbligo dell’alienante di realizzare l’opera "a perfetta regola d’arte", in quanto anche nella vendita di cosa futura devono essere preventivamente individuate le caratteristiche tecniche dell’opera medesima, cfr. Cass. SS. UU., 12 maggio 2008, n.11656, in Riv. not., 2009, II, p.1477, con nota di XXXXXXXX.
269 Si veda Cass., 10 marzo 1997, n. 2126, in Urbanistica e Appalti, 1998, 1, p.38, con nota di CISTULLI F. In nessun caso la trascrizione di una vendita di cosa futura, sia pure legittimamente operata prima che questa sia venuta ad esistenza (v. sent. 10 luglio 1986, n. 4497), può far sì che retroagisca alla data di essa il trasferimento della proprietà del bene in contrasto col preciso disposto dell’art. 1472 c.c..
Né vale il rilievo secondo cui, in tal modo, la pur riconosciuta immediata trascrivibilità della vendita di cosa futura perderebbe di significato, poiché essa, invece, conformemente al disposto dell’art. 2644 c.c., serve a risolvere l’eventuale conflitto con altri acquirenti dello stesso bene che non abbiano trascritto il proprio acquisto o lo abbiano fatto posteriormente.
270 È l’opinione di XXXXXX D, op. cit., p. 175 e 190.
271 Tesi sostenuta da XXXXXXXXX X., La pubblicità immobiliare del contratto preliminare, in Riv. dir. civ, 1997, I, p. 548,
contra XXXX X., Xxxxxx questioni in tema di trascrizione del contratto preliminare, in Riv. dir. civ., 1997, II, p. 386
Qualora, invece, si stato alienato lo stesso bene immobile futuro da costruire a più acquirenti, prevale colui il quale ha trascritto per primo.
2.4.1.2. Il d.lgs. 20 giugno 2005, n.122
Quest’ultimo, infatti, si trova in una posizione di debolezza contrattuale in ragione del fatto che nonostante il bene non sia ancora venuto ad esistenza, è comunque tenuto al pagamento del prezzo276. Si è cercato, dunque, di introdurre una disciplina protettiva, caratterizzata da un significativo intervento di eterointegrazione del contratto.
La dottrina è concorde nel ritenere che la legge de quo si applichi anche ai contratti di vendita di beni futuri. Il decreto legislativo, infatti, ha una portata transtipica277: si applica cioè ai modelli contrattuali tipici o atipici (purché onerosi) il cui risultato economico risulti essere il differimento del effetto reale. Il criterio scelto dal legislatore è di tipo funzionale278.
272 Si veda LUMINOSO A., op. cit., p. 205.
273 Cfr. XXXXXX X., op. cit., p. 175 e XXXXX R., op. cit., p. 102.
274 Sul pignoramento si veda BIANCA C.M., op. cit., p. 342.
275 È considerato acquirente ai sensi di legge la persona fisica che sia promissaria acquirente o che acquisti un immobile da costruire, ovvero che abbia stipulato ogni altro contratto, compreso quello di leasing, che abbia o possa avere per effetto l’acquisto o comunque il trasferimento non immediato, a sé o ad un proprio parente in primo grado, della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire (ovvero colui il quale, ancorché non socio di una cooperativa edilizia, abbia assunto obbligazioni con la cooperativa medesima per ottenere l’assegnazione in proprietà o l’acquisto della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire per iniziativa della stessa).
276 Nel normale contratto di vendita il compratore, a fronte del pagamento del prezzo, beneficia dell’immediato effetto traslativo.
277 Si esprime in questi termini XXXXXXXXXX R., L’irrinunciabilità delle tutele dell’acquirente di immobili da costruire, la garanzia fideiussoria e la polizza assicurativa, in NLCC, 1, 2015, p.71.
278 X. XXXXXXXX G., Gli acquisti di immobili da costruire, Milano, IPSOA, 2005, p. 70. Il legislatore ha espressamente previsto che si applichi ai contratti aventi ad oggetto il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale
Dal punto di vista delle tutele è stato previsto che, nel momento in cui viene stipulato il contratto, il costruttore279 - sia che debba realizzare lui stesso personalmente l’opera che se decida di appaltarla a terzi - è obbligato, a pena di nullità del contratto, a procurare il rilascio ed a consegnare all’acquirente una fideiussione280. Si tratta di una nullità protettiva che può essere fatta valere unicamente dall’acquirente ed è derogabile in melius281. La fideiussione può essere escussa nel momento in cui si verifica la situazione di crisi del costruttore282. L’importo di quest’ultima corrisponde alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che ha riscosso (o deve ancora riscuotere) dall’acquirente prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento283. Ciò che ha avuto di mira il legislatore con tale previsione è stato non tanto quello di garantire l’esatto adempimento (la costruzione e l’ultimazione del bene), ma la restituzione delle somme versate in caso di crisi dell’alienante. Un rimedio, quindi, legato all’estinzione del vincolo contrattuale284.
di godimento di immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire o altra denuncia o provvedimento abilitativo.
La ratio che ispira la novella legislativa è quella di tutelare l’acquirente “debole” che non sia ancora diventato proprietario (e solo durante tale fase). Per questo motivo è dubbia l’applicazione della legge del 2005 al contratto che ad esempio trasferisce al costruttore la quota indivisa di un’area fabbricabile e contemporanea precostituzione di un condominio sull’edificio da costruire oppure l’alienazione da parte del costruttore di un immobile “grezzo”, con obbligo del primo di ristrutturarlo a sue spese o ancora le vendite miste ad appalto, cfr. LUMINOSO A., Xxxxxxx, preliminare di vendita e altri contratti traslativi, in VASSALLI F., XXXXX F.P., XXXXXXXXX X., (diretto da), Gli effetti del fallimento, III, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2014, p. 259.
279 L’imprenditore o la cooperativa edilizia che promettano in vendita o che vendano un immobile da costruire, ovvero che abbiano stipulato ogni altro contratto, compreso quello di leasing, che abbia o possa avere per effetto la cessione o il trasferimento non immediato in favore di un acquirente della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire. Parte della dottrina dubita sull’efficacia della scelta del rimedio della nullità, perché i suoi effetti gioverebbero esclusivamente al costruttore, cfr. D’AMICO X., La vendita immobiliare (un ventennio di interventi normativi), in i Contratti, 1, 2017, p. 94.
280 Art. 2, decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122.
281 È una nullità peculiare (e testuale) perché viene ricollegata alla violazione di una regola di comportamento, in deroga al tradizionale principio di non interferenza delle regole di comportamento con quelle di validità del negozio, cui la citata sentenza n. 19024/05 si ispira, appare incrinato da molteplici recenti interventi del legislatore, che assegnano rilievo al comportamento contrattuale delle parti anche ai fini della validità del contratto, cfr. Cass. Civ., Sez..Unite., 19 dicembre 2007, n. 26725, in Giur. It., 2008, 2, p. 347 nota di COTTINO; Xxxxxxxxx, 2008, 3, p. 221 nota di SANGIOVANNI; Dir.
Fall., 2008, 1, 1 nota di XXXXXXX; Resp. civ., 2008, 6, p. 525 nota di TOSCHI VESPASIANI.
Sulla derogabilità in melius, ad esempio attraverso un contratto autonomo di garanzia, si veda XXXXXXXXXX R., L’irrinunciabilità delle tutele dell’acquirente di immobili da costruire, la garanzia fideiussoria e la polizza assicurativa, in NLCC, 1, 2015, p. 86.
282 Si ha crisi del costruttore ai sensi del decreto legislativo di cui trattasi in caso di: trascrizione del pignoramento relativo all’immobile oggetto del contratto; pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa; presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo; pubblicazione della sentenza che dichiara lo stato di insolvenza o, se anteriore, del decreto che dispone la liquidazione coatta amministrativa o l’amministrazione straordinaria.
283 Fideiussione che deve essere rilasciata da una banca, da un’impresa esercente le assicurazioni o da intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni
284 Cfr. XXXXXXXXXX X., op. cit., p. 84: l’interesse che in tal modo riceve esplicita tutela è quello negativo, ancorché in misura ridotta; la fideiussione, infatti, deve coprire le somme pagate e ogni altro corrispettivo versato, compresi gli interessi, con l’esclusione però di ogni ulteriore spesa sostenuta dall’acquirente per l’acquisto (ad esempio le spese sostenute per il rogito notarile). Chiaramente escluso risulta invece l’interesse positivo, teso al conseguimento dell’immobile promesso.
Anche la modalità di pagamento del prezzo è stata sottratta alla libera determinazione delle parti: sono state indicate delle forme in grado di assicurare la tracciabilità dei pagamenti (es. bonifico bancario)287
Sono imposti, inoltre, dei precisi obblighi contenutistici, i cd. requisiti di forma-contenuto, al fine di assicurare la predeterminazione, la completezza e la trasparenza di tali negozi289. Questi ultimi sono
285 Si fa riferimento a XXXXXXXX G., op. cit., p. 67: Xxxxxx ancora se il contratto viene sottoposto alla condizione sospensiva dell’accertamento – ad opera di un tecnico a tal fine idoneo - dell’agibilità del fabbricato ultimato (da operarsi preferibilmente nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, al fine di consentire la formazione di un titolo che, oltre ad essere munito di data certa, abbia i requisiti necessari ai fini della pubblicità immobiliare e della voltura catastale del fabbricato ultimato a favore dell’acquirente).
286 Art. 4, d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122.
287 Art. 6 lett. f) d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122: bonifici bancari o versamenti diretti su conti correnti bancari o postali indicati dalla parte venditrice ed alla stessa intestati o da altre forme che siano comunque in grado di assicurare la prova certa dell’avvenuto pagamento
288 Sanzione inserita espressamente con il d.l 28 marzo 2014, n. 47.
289 Il contratto deve, infatti, contenere: a) le indicazioni previste agli articoli 2659, primo comma, n. 1) e 2826 c.c.; b) la descrizione dell’immobile e di tutte le sue pertinenze di uso esclusivo oggetto del contratto; c) gli estremi di eventuali atti d’obbligo e convenzioni urbanistiche stipulati per l’ottenimento dei titoli abilitativi alla costruzione e l’elencazione dei vincoli previsti; d) le caratteristiche tecniche della costruzione, con particolare riferimento alla struttura portante, alle fondazioni, alle tamponature, ai solai, alla copertura, agli infissi ed agli impianti; e) i termini massimi di esecuzione della costruzione, anche eventualmente correlati alle varie fasi di lavorazione; f) l’indicazione del prezzo complessivo da corrispondersi in danaro o il valore di ogni altro eventuale corrispettivo, i termini e le modalità per il suo pagamento, la specificazione dell’importo di eventuali somme a titolo di caparra; le modalità di corresponsione del prezzo devono essere rappresentate da bonifici bancari o versamenti diretti su conti correnti bancari o postali indicati dalla parte venditrice ed alla stessa intestati o da altre forme che siano comunque in grado di assicurare la prova certa dell’avvenuto pagamento;
g) gli estremi della fideiussione di cui all’articolo 2; h) l’eventuale esistenza di ipoteche o trascrizioni pregiudizievoli di qualsiasi tipo sull’immobile con la specificazione del relativo ammontare, del soggetto a cui favore risultano e del titolo dal quale derivano, nonché la pattuizione espressa degli obblighi del costruttore ad esse connessi e, in particolare, se tali obblighi debbano essere adempiuti prima o dopo la stipula del contratto definitivo di vendita; i) gli estremi del permesso
tipici delle discipline protettive predisposte negli ultimi anni dal legislatore (es. in materia consumieristica).
In termini più generali, prima dell’intervento del legislatore in questa specifica ipotesi (o quando si tratti di un immobile da costruire e manchino i presupposti del decreto legislativo), si è discusso in dottrina sulla possibilità di applicazione, nonostante si tratti di una vendita, della garanzia ex art. 1669
c.c. prevista in materia di appalto laddove l’edificio alienato costruito dal venditore si rovini del tutto o in parte (o vi sia il pericolo di rovina).Quest’ultima disciplina, infatti, contiene dei termini di prescrizione molto più lunghi (non un anno dalla consegna ex art. 1495 c.c., ma dieci anni dal compimento dell’opera).
La soluzione a un tale quesito dipende anzitutto dalla natura giuridica che viene attribuita alla responsabilità dell’appaltatore.
Qualora la si inquadri sotto l’alveo di quella contrattuale, la soluzione positiva in relazione alla sua applicabilità è stata prospettata in dottrina nel caso in cui il contratto di vendita del futuro immobile sia stato stipulato prima ancora dell’inizio della costruzione291. Le norme dettate per un tipo contrattuale possono essere applicate anche ad un contratto di tipo diverso quando in quest’ultimo venga innestata la prestazione caratteristica del primo tipo. L’obiezione che la vendita ha già una sua disciplina viene superata dalla considerazione che ciò è sicuramente vero in relazione alla vendita ad effetti reali immediati. In caso di vendita obbligatoria, invece, si aggiunge anche l’obbligazione di
di costruire o della sua richiesta se non ancora rilasciato, nonché di ogni altro titolo, denuncia o provvedimento abilitativo alla costruzione; l) l’eventuale indicazione dell’esistenza di imprese appaltatrici, con la specificazione dei relativi dati identificativi. Agli stessi contratti devono essere allegati: a) il capitolato contenente le caratteristiche dei materiali da utilizzarsi, individuati anche solo per tipologie, caratteristiche e valori omogenei, nonché l’elenco delle rifiniture e degli accessori convenuti fra le parti; b) gli elaborati del progetto in base al quale è stato richiesto o rilasciato il permesso di costruire o l’ultima variazione al progetto originario, limitatamente alla rappresentazione grafica degli immobili oggetto del contratto, delle relative pertinenze esclusive e delle parti condominiali.
290 Art. 9, d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122. Da esercitarsi entro dieci giorni dalla comunicazione da parte dell’autorità che procede alla vendita dell’immobile con l’indicazione della definitiva determinazione del prezzo sempre entro entro dieci giorni dall’adozione del relativo provvedimento, con indicazione di tutte le condizioni alle quali la vendita dovrà essere conclusa. Qualora l’acquirente abbia acquistato l’immobile, per effetto dell’esercizio del diritto di prelazione, ad un prezzo inferiore alle somme riscosse in sede di escussione della fideiussione, la differenza deve essere restituita al fideiussore. È escluso, in ogni caso, il diritto di riscatto nei confronti dell’aggiudicatario.
291 Così RUBINO D., op. cit., p. 212: se, invece, il bene era già stato costruito la situazione effettuale è simile al contratto di vendita di cosa futura (perché comunque l’edificio era stato costruito per conto altrui), ma giuridicamente assume rilievo il fatto che il costruttore non assume l’obbligazione di costruire il bene.
costruire la cosa292. Quindi una simile garanzia sussisterebbe anche in relazione alla vendita di quegli immobili che non rientrano nel campo di applicazione della legge del 2005293.
2.4.2. Vendita di azioni di società futura
Prima della riforma del 2003, l’art. 2331 c.c., al terzo comma295, prevedeva che la vendita di azioni in un momento antecedente l’iscrizione della società nel registro delle imprese fosse nulla. La ratio del divieto era rinvenibile nell’intento di impedire manovre speculative nel mercato296 (o, secondo altri, nella giuridica inesistenza della società anteriormente all’iscrizione).
Dottrina e giurisprudenza erano, comunque, divise in ordine alla qualificazione giuridica dell’operazione negoziale. Secondo la Cassazione, in questi casi non si era davanti ad una vendita di bene futuro, poichè l’oggetto del contratto era rappresentato non da un singolo e specifico bene, bensì da un complesso di situazioni giuridiche attive e passive, compresa la titolarità dei diritti e degli obblighi connessi con la qualità di socio. Era qualificabile, quindi, come cessione del contratto non attuabile prima della iscrizione della società per due motivi: non esiste alcun contratto da cedere, il
292Secondo la giurisprudenza quando l’attività costruttiva, che il cedente assume a proprio rischio con la propria organizzazione, viene considerata come oggetto della prestazione di fare si verserà in ipotesi di contratto misto (di vendita e di appalto), la cui disciplina giuridica va individuata, in base alla teoria dell’assorbimento, che privilegia la disciplina dell’elemento in concreto prevalente, in quella risultante dalle norme del contratto atipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (cosiddetta teoria dell’assorbimento o della prevalenza), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l’ampiezza del vincolo contrattuale, elementi ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente, cfr. Cass. Sez.Unite., 12 maggio 2008, n.11656, in Riv. not., 2009, II, p.1477, con nota di XXXXXXXX.
293 Per approfondimenti si veda XXXXXXXX G., op. cit., p. 66: l’art. 4 del d.lgs. 122/2005 (che prevede l’obbligo di consegna di una polizza assicurativa decennale da parte del costruttore) vista la sua generica formulazione può essere applicato analogicamente anche al contratto di appalto e a quello traslativo ad effetti reali immediati.
294 In dottrina CAPOZZI G., op. cit., p. 106.
In giurisprudenza secondo l’orientamento prevalente la previsione dell’art. 1669 c.c. rappresenta un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con carattere di specialità rispetto al 2043, cfr. Cass., Sez.Unite., 3 febbraio 2014, n. 2284, in CED Cassazione, 2014. Si tratterebbe, infatti di una norma sancita per finalità di interesse generale (e inderogabile), come quelle della stabilità, sicurezza e funzionalità degli edifici, e della incolumità personale dei cittadini, cfr. Cass., 31 gennaio 2008, n. 2313, in Massima redazionale, 2008.
295 Norma mutuata dall’art. 137 del codice del commercio del 1865: ogni vendita o cessione di azioni fatte dai sottoscrittori prima della legale costituzione della società è nulla e di niun effetto e la nullità ha luogo ancorché la vendita sia fatta con la clausola “ora per quando la società sarà costituita” od altra equivalente. Giustificata anch’essa dalla necessità di impedire manovre speculative su titoli di società non ancora legalmente costituita e dalla constatazione che il cessionario non era in nessun modo in grado di verificare la reale situazione patrimoniale della nuova impresa.
296 La dottrina l’aveva qualificata come norma di ordine pubblico economico attraverso la quale il legislatore intendeva evitare che sui mercati mobiliari affluissero titoli di consistenza non verificata, cfr. Cass. del 27 settembre 1999, n. 10669, in Riv. Notar., 1999 nota di SARTORE pag. 236.
negozio ex 1460 c.c. presuppone il consenso del contraente ceduto, ossia della società non ancora nata297.
Secondo la dottrina, invece, si trattava di un’ipotesi tipica di eccezione di vendita di bene futuro298. Oggi, tuttavia, tale dibattito ha perso la sua centralità in quanto l’art. 2331 c.c. non include più la vendita tra le condotte vietate. Nella Relazione al d.lgs. n. 6/2003 si legge infatti che “il divieto dell’ultimo comma dell’art. 2331 riguarda soltanto l’emissione delle azioni, non il loro trasferimento. È apparso, infatti, coerente con la natura contrattuale dell’atto costitutivo di società non limitare la possibilità di un trasferimento della posizione di parte del contratto, ma soltanto, per l’esigenza di assicurare la necessaria tutela del pubblico dei risparmiatori, che la sua negoziazione non utilizzi strumenti cartolari, bensì soltanto quello di diritto comune della cessione del contratto”299.
2.4.3. Vendita di frutti e alberi
La vendita di frutti e alberi è giuridicamente inquadrabile come vendita di bene mobile futuro o anche quale negozio di mobilizzazione di cose immobili300, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di forma e circolazione.
Il momento di acquisto della proprietà è espressamente indicato dall’art. 1472 c.c. nella raccolta dei primi e nel taglio dei secondi.
È opportuno fare una precisazione: la separazione e il taglio sono di per sé sufficienti per il passaggio della proprietà se sono stati venduti tutti i frutti o tutti gli alberi di quel fondo. Se, invece, è stata alienata solo una determinata quantità servirà il successivo atto di individuazione del bene.
297 Cfr. Cass., 22 settembre 1999, n. 10263 in Mass. Giur. It., 1999; Società, 1999, 12, p.1456 nota di PLATANIA; Vita
Notar., 1999, p.1488 e 2000, p.1106; Dir. e prat. soc., 2000, f.7, p. 56 nota di MORESCHINI; Notariato, 2000, 6, p. 544 nota di XXXXXX.
298 Per tali motivi è stata criticata la sent. della Cass. del 27 settembre 1999, n. 10669 secondo la quale non vi era alcun motivo per il quale la nullità prevista dalla citata norma possa estendersi ad un contratto ad effetto obbligatorio, col quale le parti assumono impegno di trasferire un diritto non ancora esistente (nella sentenza 16 giugno 1990, n. 6080, si era implicitamente riconosciuto l’ammissibilità di un contratto ad efficacia obbligatoria avente ad oggetto un trasferimento di partecipazioni di società non ancora costituita, considerando ricadente sotto l’art. 2331, terzo comma, c.c. soltanto il caso in cui le parti abbiano inteso concludere un trasferimento attuale delle azioni, e non assumere l’impegno ad un futuro trasferimento. La dottrina sosteneva che se l’art. 2331 c.c. rappresentava un’eccezione alla norma generale ex art. 1348 cc allora sostenere l’ammissibilità di un contratto preliminare di vendita di azioni future significa dare la possibilità ai privati di aggirare il divieto di ordine pubblico, svuotandolo di contenuti, cfr. Cass. del 27 settembre 1999, n. 10669, in Riv. Notar., 1999 nota di SARTORE, p. 238.
299 Cfr. p. 67 della Relazione, in cui si sottolinea anche che la soluzione riconduce all’origine storica ed alla fondamentale ratio alla base dell’art. 2331: l’esigenza di impedire che, fin quando la società non è stata definitivamente costituita, si formi un effettivo mercato diffuso, e ciò prima ancora che la situazione della società e la sua regolarità siano stati definitivamente e pubblicamente accertati.
300 In merito si veda MESSINEO F., Mobilizzazione di cosa immobile e di concetto di cosa futura, in Riv. dir. comm., 1921, II, p. 71 ss.
Tali atti sono generalmente compiuti dallo stesso venditore, ma gli usi o le parti possono stabilire diversamente. Nel caso in cui quest’ultimo non provveda in tal senso, il compratore potrà chiedere l’esecuzione in forma specifica della raccolta a spese del venditore.
La permuta di bene presente contro bene futuro è quel contratto consensuale ad effetti reali (immediati o differiti a seconda del bene di riferimento) avente ad oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose o altri diritti. Il sinallagma contrattuale, dunque, si realizza tra due prestazioni di dare.
In questo caso si ha un effetto traslativo immediato con riguardo alla cosa presente e la contestuale nascita dell’obbligazione, per il ricevente, di tenere il comportamento necessario affinché la res futura sia a sua volta trasferita in proprietà alla controparte, per effetto della sua venuta ad esistenza303.
301 Secondo XXXXXX X.X., op. cit., p. 353 il prelievo degli stessi contro la volontà dell’alienante è qualificabile come spoglio del possessore, ma va debitamente provata in quanto si presume che il venditore tolleri l’ingresso del compratore nel suo fondo al fine di poter prendere possesso dei beni acquistati. XXXXXX X., op. cit., p. 199 afferma che di regola, dopo la separazione, i frutti vanno consegnati nel fondo stesso (di conseguenza tutte le spese di trasporto sono a carico del compratore).
302 Cfr. Cass., 15 luglio 1998, n. 6920, in Dir. e giur. Agr. Amb., 1999, p. 226.
In dottrina: GALLO P., Vendita di cose future, Dei singoli contratti, in (a cura di) XXXXXXXXX X., Commentario del codice civile, Milano, UTET, 2011, p. 153.
303 Sul punto Cfr. Cass., 20 ottobre 1997, n. 10256, in Mass. Giur. It., 1997 e Cass., 9 novembre 2005, n. 21773 in
Contratti, 2006, 6, p. 602
3.2. Differenza con figure affini
Il contratto di permuta è volta allo scambio tra due determinati beni, alla reciproca sostituzione degli stessi nel patrimonio dei contraenti. La vendita, invece, è diretta all’alienazione di un bene dietro il pagamento di un corrispettivo.
Anche in caso di permuta si ripropongono alcune problematiche già affrontate, come la distinzione tra contratti di alienazione e contratti d’opera.
L’esigenza di una esatta individuazione della natura del contratto è particolarmente sentita nella permuta di cosa presente con cosa futura, dato che la proprietà della prima passa immediatamente.
Nella prassi, il risultato economico che le parti intendono ottenere tramite la stipulazione del contratto di permuta è raggiungibile attraverso il collegamento negoziale tra diversi contratti:
- la vendita del terreno collegata ad un contratto preliminare di vendita dell’edificio da costruire;
- la vendita del suolo con riserva di superficie sulle porzioni di area nelle quali andrà ad essere costruita l’unità immobiliare del cedente più il contratto di appalto;
- il trasferimento di una quota indivisa del suolo (con “riserva della proprietà” della rimanente quota dello stesso, proporzionale in millesimi al valore che avranno le costruende unità immobiliari rispetto all’intero edificio da realizzare), più la divisione dell’edificio da costruire (divisione di cosa futura) in modo da attribuire al cedente le concordate unità immobiliari e le relative quote condominiali. Ed ancora l’approvazione del regolamento di condominio più il
304 Più volte la Cassazione (sent. 17 marzo 1967, n. 606; sent., 12 ottobre 1970, n. 1944; sent., 17 maggio 1979, n. 2823;
sent., 23 ottobre 1980, n. 5695; sent., 12 giugno 1987, n. 5147; sent., 21 novembre 1997, n. 11643; sent., 22 novembre 2001, n. 14779; sent., 22 dicembre 2005, n. 28479) ha riconosciuto che integra gli estremi della permuta di cosa presente con una cosa futura il contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di un’area fabbricabile in cambio di parti dell’edificio da costruire sulla stessa superficie a cura e con i mezzi del cessionario, e ciò tutte le volte in cui sia proprio il risultato traslativo, consistente nell’attribuzione di una determinata opera, ad essere assunto come oggetto del contratto e come termine di scambio, mentre l’obbligo di erigere il fabbricato sia destinato a collocarsi su di un piano accessorio e strumentale, configurandosi, appunto, l’obbligo del permutante costruttore non come prestazione del risultato di un’opera, ma come trasferimento della proprietà di cose future, cfr. Cass. civ., 25 ottobre 2013, n. 24172, in Foro It., 2014, 1, 1, p. 94 e Cass., 11 marzo 1993, n. 2952, in Giur. It., 1994, I,1, p. 256.
305 Per approfondimenti cfr. XXXXXX X.X., op. cit., p. 1021.
contratto di appalto per un corrispettivo, di norma, equivalente al valore della quota di immobile trasferita.
Nessuna delle tre ipotesi rientra nel campo di analisi del presente lavoro. Non la prima perché è caratterizzata da una vendita con effetti reali immediati e da un contratto preliminare, che come più volte affermato è un’ipotesi di scissione tra titulus e modus adquirendi. Neanche le ultime due perché in entrambi i casi la proprietà del bene futuro (l’edificio da costruire) viene acquistata dal cedente a titolo originario tramite l’accessione.
Con riferimento, invece, alla divisione di cosa futura si precisa brevemente che la giurisprudenza ha da tempo ammesso pacificamente la sua ammissibilità nel nostro ordinamento306. La dottrina è ancora divisa in ordine alla qualificazione giuridica della xxxxxx000. Secondo un primo orientamento avrebbe natura meramente dichiarativa308, di conseguenza sarebbe un negozio che esula dall’analisi sui negozi traslativi aventi ad oggetto beni futuri. Autorevole dottrina propende, invece, per quella costitutiva, poiché prima della divisione non può considerarsi esistente la situazione giuridica determinata dalla stessa309.
Parte della dottrina ha escluso che, invece, le parti possano utilizzare lo schema della vendita con riserva di proprietà ex art. 1523 c.c. cc per poter acquistare un immobile da costruire: l’acquirente
306 La divisione di cosa futura è ammissibile quale contratto definitivo, attributivo di diritti con efficacia reale, i cui effetti si verificano al momento in cui la cosa viene ad esistere, e ciò perché la figura del negozio avente per oggetto cosa futura è recepita nel nostro ordinamento con carattere di generalità, ai sensi dell’art. 1348 c.c., salvo i particolari divieti della legge, cfr. Cass., 10 maggio 1978, n. 2263 in Mass. Giur. It., 1978.
307 Sulla divisione di cosa futura, cfr. CARIOTA FERRARA L., Divisione di cosa futura? (costruzione su suolo comune e divisione anticipata dello stabile), in Riv. giur. edilizia, 1958, I, p. 676; TRIOLA R., Reciproca costituzione di diritti di superficie o divisione di cosa futura nel c.d. condominio precostituito?, in Giust. civ., 1972, I, p. 1449; PENNAROLA C, Acquisto pro indiviso di un’area per costruzione di edificio condominiale: divisione di cosa futura o concessioni ad aedificandum?, in Riv. giur. edilizia, 1986, I, p. 461.
308 Natura giuridica sostenuta da GAZZONI F., Manuale di diritto privato, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2013, p. 527, secondo il quale una vicenda traslativa è ipotizzabile solo se il bene venga diviso in quote non corrispondenti a quelle ideali. Nel senso dell’efficacia meramente dichiarativa della divisione (ereditaria) anche Cass., 12 ottobre 2011, n. 21013, in CED Cassazione, 2011.
In dottrina si è affermato che sebbene dalla lettura del codice possa sembrare che esistano due tipologie di negozi di divisione (quella ereditarie e quella disciplinata all’interno del libro III), in realtà il concetto di divisione – inteso come insieme delle operazioni giuridiche che hanno come scopo quello di sciogliere una comunione attraverso l’attribuzione a ciascuno dei valori corrispondenti alla sua quota - è unico (e comprende anche quella giudiziale), cfr. XXXXXXX X., Successioni e donazioni, II, Xxxxxxx, Milano, 2015, p. 1287.
309 La legge fa retroagire gli effetti della divisione, ma non perché la stessa abbia efficacia dichiarativa. Si tratta più semplicemente di mera efficacia retroattiva del negozio, che opera anche nei confronti dei terzi, cfr. XXXXXXX X., op. cit., p. 1315:.
310 Sempre XXXXXXX X., op. cit., p. 1316.
diverrebbe proprietario solo dopo il pagamento dell’ultima rata, collegata al momento di ultimazione dei lavori e tutti i rischi incomberebbero in capo all’altra parte sin da subito (il costruttore). La soluzione negativa sarebbe giustificata dalla considerazione che il compratore acquista immediatamente un diritto di godimento sul bene e pertanto il requisito della consegna dello stesso rappresenterebbe un requisito tipologico essenziale311. Qualora la stessa avesse come oggetto un bene futuro sarebbe da riqualificare come contratto soggetto alla condizione di adempimento.
In forza del richiamo contenuto nell’art. 1555 c.c., alla permuta si applicano, in quanto compatibili, le norme stabilite per la vendita312. Tra queste rientra sicuramente l’art. 1472 c.c., ossia la statuizione in merito al momento in cui si verifica il passaggio della proprietà. Si ritiene pacificamente che anche la permuta possa essere un negozio ad effetti reali differiti313.
311 Sul punto XXXXXXXX X., op. cit., p. 80. In dottrina, in realtà, la natura giuridica del contratto di vendita con riserva di proprietà è molto discussa. Secondo alcuni autori si tratterebbe di un contratto soggetto alla condizione sospensiva di pagamento del prezzo (Cass., 8 aprile 1999, n. 3415 in Notariato, 2001, 5, p. 473 nota di ZECCHINO: la compravendita immobiliare sottoposta alla condizione sospensiva del pagamento del prezzo si inquadra nella figura della compravendita con riserva di proprietà, nella quale il trasferimento di tale diritto si realizza ex nunc con il pagamento dell’ultima rata del prezzo. La condizione in esame è una condizione di adempimento). Tuttavia tale tesi è stata criticata perché si scontra on solo con la irretroattività del passaggio della proprietà, ma anche con quella parte della dottrina e della giurisprudenza contrarie all’ammissibilità della condizione di adempimento. inoltre il compratore non acquista solo una aspettativa giuridica, ma il diritto di godimento del bene. Non si tratta neanche di una condizione risolutiva in quanto manca l’automaticità degli effetti (è il venditore che deve chiedere la risoluzione).
Autorevole dottrina, invece, ha sostenuto che il riservato dominio è un particolare diritto avente un tipico contenuto di garanzia: un diritto reale tipico di garanzia (cfr. XXXXXX X.X., op. cit., p. 531). A tale ricostruzione è stato obiettato che in realtà permane in capo al venditore il diritto di proprietà (seppur limitato dal vincolo di destinazione) e il fatto che si tratta di un diritto di garanzia che permette al venditore di soddisfarsi direttamente sulla cosa, cfr. LUMINOSO A., La vendita, cit., p. 696. Non né una vendita obbligatoria perché non sussiste un’obbligazione ex art. 1476, n.2, c.c. ma solo quella di pagamento del prezzo.
312 In dottrina BIANCA C.M., op. cit., p. 1025: come ad esempio quelle che non prescindono dal riferimento al prezzo o quelle che si riferiscono al prezzo senza, tuttavia, presupporre essenzialmente un corrispettivo in denaro.
313 La permuta, al pari della vendita, non ha necessariamente effetti reali, ma può avere un’efficacia meramente obbligatoria. Tale seconda ipotesi si verifica quando l’effetto traslativo non è immediato e conseguente al semplice consenso delle parti legittimamente manifestato, ma è differito e fatto dipendere da ulteriori eventi, come l’acquisto della cosa da parte di un permutante appunto o la venuta ad esistenza della cosa medesima. Si configura, pertanto, un contratto di permuta nel caso di uno scambio di una cosa certa e determinata con un’altra, di cui siano specificamente indicate le caratteristiche e il valore, e che il permutante si obbliga a procurarsi o a consegnare all’altro contraente, così individuando e specificando la cosa medesima, e determinando nel contempo il trasferimento a favore della controparte, cfr. Cass., 15 aprile 1991, n. 4000, in Mass. Giur. It., 1991.
L’acquisto del bene futuro si verifica quando il bene viene ad esistenza - o meglio quando sia completato nelle sue componenti essenziali 314 - senza necessità di altre dichiarazioni di volontà315. Secondo una risalente sentenza della Cassazione il permutante dell’area fabbricabile potrebbe – se ha adempiuto le obbligazioni da lui assunte – trasferire l’appartamento dell’edificio da costruire senza il consenso del costruttore, versandosi in questo caso in una ipotesi non di cessione del contratto, ma di cessione di crediti316.
3.3.2. L’applicabilità del d.lgs 122/2005
Alla permuta di cosa presente con cosa futura si applica il d.lgs 122/2005 laddove il bene futuro sia rappresentato da un immobile da costruire. Depongono in tale senso sia il fatto che la permuta in oggetto è inquadrabile tra i negozi ad effetti reali differiti, sia la circostanza che l’art. 2, comma 1, – con riferimento al quantum della fideiussione – parla di somme corrisposte e “al valore di ogni altro corrispettivo”. Il valore cui si fa riferimento è sicuramente quello conforme a quello di mercato del bene. Laddove, tuttavia, le parti ne dichiarassero uno diverso e inferiore, la dottrina si è chiesta quale potrebbe essere la sanzione a fronte di una fideiussione per tale importo. La risposta potrebbe ricavarsi dallo stesso art. 2 che prevede la nullità a tutela dell’acquirente. Tuttavia, vista la radicalità degli effetti che ne conseguirebbero, sarebbe opportuna una valutazione del terreno ad opera di un tecnico imparziale, opportunamente asseverata con giuramento (da allegare al contratto)317.
314 Nella vicenda oggetto della sentenza erano stati completati due appartamenti oggetto di scambio, ma con una metratura in parte diversa da quella prevista (70 mq invece che 60). Ad avviso dei ricorrenti, il venire ad esistenza di un bene diverso da quello promesso portava e non ritenere integrato l’evento acquisitivo ex art. 1472 c.c., in quanto il bene era (quantitativamente) difforme. Secondo la Cassazione, ai fini del trasferimento di proprietà, l’evento della venuta ad esistenza del bene va individuato nel perfezionamento del processo edificatorio nelle sue componenti essenziali: non si richiede che sia perfetto in ogni suo aspetto, ma è sufficiente che sia realizzato nelle sue strutture fondamentali, essendo irrilevante che manchi di alcune rifiniture o di qualche accessorio. Di conseguenza - essendo stati realizzati entrambi gli appartamenti nelle loro strutture essenziali e nella loro destinazione funzionale (tanto che era possibile richiedere il certificato di agibilità) - la loro superficie maggiore non incideva sul momento di passaggio di proprietà, ma sulla determinazione del prezzo (il supplemento di prezzo, previsto dall’art. 1538 c.c., in tema di vendita a corpo, è applicabile, a norma dell’art. 1555 c.c., anche al contratto di permuta, dal momento che devono ritenersi compatibili, con quest’ultimo contratto, tutte quelle norme in materia di vendita che, pur facendo riferimento al prezzo, non si riferiscono al suo carattere pecuniario, ma considerano il prezzo come corrispettivo della prestazione e quindi si fondano genericamente sulla funzione di scambio del contratto), cfr. Cass., 25 ottobre 2013, n. 24172, in Foro It., 2014, 1, 1, p. 94.
315Secondo Cass. 30 novembre 2011, n. 25603, in CED Cassazione, 2011 e Cass., 20 luglio 1991, n. 8118, in Xxxx Xx., 0000, X, x. 000: il contratto con il quale il proprietario di un’area fabbricabile trasferisce questa ad un costruttore in cambio di parti dell’edificio che l’acquirente si impegna a realizzare sull’area medesima, deve qualificarsi come permuta di cosa presente con cosa futura e produce l’effetto del trasferimento immediato della proprietà dell’area e della costituzione dell’obbligazione dell’acquirente di tenere il comportamento necessario affinché la cosa da consegnare venga ad esistenza. Evento che va individuato nel momento in cui si perfeziona il processo produttivo della cosa nelle sue componenti essenziali, essendo irrilevante che manchi di alcune rifiniture o di qualche accessorio non indispensabile per la sua realizzazione, e che è sufficiente da solo a determinare l’acquisto della proprietà al permutante dell’area, senza necessità di altre dichiarazioni di volontà (nella specie, è stato ritenuto che, trattandosi di bene immobile, la costruzione deve intendersi ultimata quando siano state eseguite le opere xxxxxxx e non al momento in cui siano state eseguite le opere di rifinitura).
316 Si fa riferimento a Xxxx. 17 marzo 1967, n. 606, in Mass. Giur. It., 1967, p. 224.
317 Cfr. XXXXXXXX X., op. cit., p. 70.
In realtà, la posizione del permutante è ancora più delicata rispetto a quella dell’acquirente in caso di vendita, perché il primo mira a recuperare la proprietà del bene alienato, non tanto il suo valore monetario. La fideiussione, quindi, rappresenta sicuramente una garanzia importante, tuttavia non idonea di per sé a far ottenere al contraente “debole” quanto da lui anelato.
Nel caso in cui il bene non venga ad esistenza non si riscontra alcun ostacolo di ordine sistematico all’applicabilità alla permuta del rimedio ex art. 1472 c.c., così come interpretato dalla dottrina, ossia nel senso della inutilità del contratto.
Anche in questo caso l’obbligazione ex art. 1476, n. 2, c.c. diventa impossibile e risulta dirimente l’imputabilità o meno al debitore ai fini dell’individuazione delle azioni esperibili.
Nel primo caso troverà spazio la disciplina generale relativa all’inadempimento, ossia l’art. 1453 c.c. e l’eventuale obbligo di risarcimento dell’interesse positivo. Nel secondo caso si avrà la risoluzione automatica del contratto.
La peculiarità della permuta risiede nel fatto che il “corrispettivo” è rappresentato da un’alienazione. Pertanto l’altra parte sarà obbligata a ritrasferire il bene il cui acquisto è diventato sine titulo. Lo strumento attraverso il quale è possibile ciò è sicuramente il negozio ex art. 1333 c.c..
È ammissibile tuttavia l’alternativa della corresponsione del valore del bene così come in caso di evizione ex art. 1553 c.c.? Se si aderisce all’orientamento dottrinale che giustifica la dell’evizione
318 Sul prunto sempre XXXXXXXX G., op. cit., p. 67: meglio ancora se il contratto viene sottoposto alla condizione sospensiva dell’accertamento – ad opera di un tecnico a tal fine idoneo - dell’agibilità del fabbricato ultimato (da operarsi preferibilmente nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, al fine di consentire la formazione di un titolo che, oltre ad essere munito di data certa, abbia i requisiti necessari ai fini della pubblicità immobiliare e della voltura catastale del fabbricato ultimato a favore dell’acquirente).
con l’esigenza di tutelare la parte dall’inadempimento dovuto al mancato acquisto del bene319, la risposta non può che essere positiva.
Si rimanda a quanto già affermato in caso di vendita con riferimento alla venuta ad esistenza solo in parte del bene e nel caso in cui il bene risulti viziato.
3.5. Permuta di cosa presente con cosa futura a favore di terzi e art. 771 c.c. Recentemente è stato sottoposto all’esame della dottrina il caso del contratto di permuta di cosa presente con cosa futura a favore di terzi320.
Laddove l’attribuzione a favore del terzo ex art. 1411 c.c. sia mossa da uno spirito di liberalità si ricade nell’ambito delle c.d. donazioni indirette disciplinate all’art. 809 cc322.
Il legislatore ha previsto che le liberalità, anche se risultanti da atti diversi dallo schema della donazione, sono soggette alle norme relative alla revocazione per causa di ingratitudine (art. 801 c.c.), e sopravvenienza figli (art. 803 c.c.), nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari (art. 533 e ss c.c.). Tra questi non è stato espressamente incluso l’art. 771 c.c.
Autorevole dottrina ritiene tuttavia che, laddove attraverso il negozio si produca comunque una liberalità, allo schema negoziale prescelto si applicano le cd. norme materiali della donazione, ossia un “quelle dettate per la donazione per espressa disposizione di legge o per la ratio propria delle
319 Si fa riferimento a BIANCA C.M., op. cit., p. 1033.
320 Cfr. Studio notarile n. 239-2012/C CNN e REALI A., Permuta di “cosa presente con cosa futura” a favore di xxxxx e divieto della donazione di cose future, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 0, x. 000.
321 Dottrina e giurisprudenza dominanti ritengono ormai ammesso il contratto traslativo in favore del terzo: “non sussistendo nel contratto a favore di terzo limiti in ordine alla qualità ed al contenuto della prestazione da rendersi al terzo, la quale può consistere in un dare, in un facere o in un non facere presente o futuro ed anche nella costituzione di un diritto reale, purché tale costituzione corrisponda ad un interesse anche non patrimoniale dello stipulante”, cfr. Cass. civ. Sez. II, 13-02-1993, n. 1842, in Mass. Giur. It., 1993. Cfr. anche GAZZONI F., op. cit., p. 960. Era stato obiettato in dottrina che dato che il contratto ex art. 1411 c.c. non tollera l’imposizione nei confronti del terzo di oneri o obblighi, il trasferimento del diritto di proprietà non sarebbe possibile viste tutte le incombenze cui deve fare fronte il dominus (ad esempio quelle di natura fiscale, o gli obblighi di manutenzione) si veda BIANCA C.M., Il contratto, Milano, Xxxxxxx, 2000, p. 567
322 In caso di contratto a favore di terzo (o come in questo caso di permuta a favore di terzo) ci sono due spostamenti patrimoniali ed entrambi devono avere una propria giustificazione causale. C’è il rapporto tra promittente e stipulante (il cd rapporto di provvista) e quello tra stipulante e terzo (rapporto di valuta). Quello che interessa ai nostri fini è quest’ultimo. L’interesse del primo può essere quello di estinguere, magari, una precedente obbligazione, oppure lo spirito di liberalità. In questo caso è qualificabile come donazione indiretta, cfr. XXXXXXX X., op. cit., p. 962; XXXXXXX G., op. cit., p. 1653 ss.; BIONDI B., Le donazioni, in VASSALLI F. (diretto da), Tratt. dir. civ., Torino, 1961, p. 899 ss.
disposizioni stesse”323. Di conseguenza se la ratio dell’art. 771 c.c., come visto nel precedente capitolo, è quella di porre un freno alla prodigalità (o secondo recente dottrina, una tutela della liberalità informata324) potrebbe essere considerata una norma materiale e quindi la permuta di cosa presente con cosa futura a favore del terzo sarebbe nulla.
In realtà il problema va analizzato sotto un altro punto di vista. Prima di passare al vaglio le riflessioni in ordine alla nullità ex art. 771 c.c. bisogna capire se l’attribuzione a favore del terzo abbia in qualche modo inciso sulla natura del contratto di cui trattasi.
La permuta di cosa presente con cosa futura è un negozio con effetti reali sia immediati (passa immediatamente la proprietà del bene presente) che differiti (in relazione al bene futuro). Tuttavia la stipulazione a favore del terzo fa sì che quest’ultimo acquisti immediatamente un diritto contro il promittente, per effetto della sola stipulazione. Egli dunque, secondo una differente ricostruzione, acquisterebbe immediatamente uno jus ad habendam rem che non può essere assimilato ad un bene o diritto futuro ex art. 771 c.c.326.
323 Si veda TORRENTE A., La donazione, II ed. agg. in CARNEVALI U.- MORA A. (a cura di), in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2006, p. 78.
324 Si ifa riferimento a REALI A., Permuta di “cosa presente con cosa futura” a favore di xxxxx e divieto della donazione di cose future, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 0, x. 000 il quale ritiene che il fenomeno della prodigalità abbia assunto una forma diversa ed è più facile da controllare, sia a livello sociale che familiare. Pertanto la norma servirebbe a tutelare i soggetti che, sforniti di parametri di riferimento e di valutazione, non si rendono effettivamente conto del valore dei beni di cui si stanno spogliando.
325 “La nullità (e la conseguente inidoneità ex art. 1159 cod. civ.) di tale donazione ex art. 771 cod. cod. civ. potrebbe essere affermata solo ove l’interpretazione (letterale e logica) di tale ultima norma consentisse di considerare come beni futuri i beni non ancora del donante, ma esistenti "in rerum natura" ed appartenenti ad altri, ma non per via di interpretazione analogica, in considerazione della natura eccezionale della norma in questione”, cfr. Cass., 5 febbraio 2001, n. 1596, in Riv. Notar., 2001 nota di GAZZONI; Corriere Giur., 2001, 6, p. 756 nota di XXXXXXXXX; Giur. It., 2001, p. 1595 nota di D’AURIA; Nuova Giur. Civ., 2001, 1, p. 679 nota di XXXXXXX; Nuove Leggi Civili, 2001, p. 943
nota di SANTARSIERE; Notariato, 2001, 5, p. 454 nota di XXXXXXXX; Giust. Civ., 2002, 1, p. 471; Riv. Notar., 2002, 404 nota di XXXXXXX.
326 Opinione sostenuta daREALI A., Permuta di “cosa presente con cosa futura” a favore di xxxxx e divieto della donazione di cose future, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 0, x. 000.
REALITA’ E FUTURITA’
Sommario: 1. Premessa - 2. Natura giuridica - 3. Contratti reali e oggetto futuro - 3.1. Forme consensuali di contratti reali - 3.1.1. Consegna come substantialia negotii - 3.1.2. Consegna come naturalia negotii - 3.1.3. Natura giuridica dell’accordo precedente la consegna - 3.2. Pegno e futurità
- 3.2.1. Pegno su bene futuro - 3.2.1.1. Natura giuridica - 3.2.1.2. Il ruolo della consegna - 3.2.1.3. Il diritto di prelazione - 3.2.2. Il pegno mobiliare non possessorio ex d.l. 3 maggio 2016, n.59 - 3.2.2.1. Natura giuridica - 3.2.2.2. Modalità di escussione - 3.2.3. Pegno su crediti futuri - 3.3. Forme reali di contratti consensuali.
I contratti reali sono quei negozi i quali si perfezionano con la consegna della cosa. L’elemento consegna - che normalmente attiene alla fase esecutiva - è richiesta, dunque, quoad constitutionem327. Da questa prima sommaria definizione emergono - sin da subito - i problemi che possono riscontrarsi con riferimento a questa particolare categoria negoziale rispetto non solo alla futurità dell’oggetto, ma anche ad altri principi che governano il diritto dei contratti.
Innanzitutto la non sufficienza del mero accordo appare stridere con il principio del solus consensu obligat328, ricavabile dalla disciplina generale del contratto, in particolare dagli artt. 1325, 1326 e 1376 c.c.. In ragione di ciò parte della dottrina ha qualificato i contratti reali come “anomalie giuridiche”329.
327 La fase genetica degli stessi è articolata in due momenti fondamentali: l’accordo delle parti e la traditio. Si vedano ex multis in dottrina: MESSINEO F., Il contratto in genere, in CICU F.-MESSINEO F. (diretto da), Xxxxx. dir. civ e comm., Milano, Xxxxxxx, 1969, p. 394; OSTI G., voce Contratto, in Nov. Dig. it., IV, Torino, 1959, p. 483; XXXXXXX F., Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, CEDAM, 1999. P. 273.
Nel contratto reale la consegna non é solvendi causa, ma contrahendi causa, cfr. FORCHIELLI P., I contratti reali, Milano, Xxxxxxx, 1952, p. 105 e ciò lo si deduce dalla diversa formula con cui viene introdotto l’atto di consegna nella formulazione letterale dei principali contratti appartenenti a tale categoria (il comodato, il deposito, il mutuo, il riporto, il sequestro convenzionale ecc...). Al contrario del contratto di vendita, la parte non si obbliga a dare o fare qualcosa.
In giurisprudenza: “ci sono alcuni contratti speciali, per i quali il consenso, pur sempre necessario, non basta, nel senso che il contratto è perfetto soltanto con la consegna della cosa, con la tradizione alla controparte dell’oggetto del contratto (ad esempio: comodato (art. 1803 c.c.), mutuo (art. 1813 c.c.), deposito (1766 c.c.), pegno (2784 c.c.), riporto (1548 c.c.), trasporto (art. 1678 c.c.), etc). Prima della consegna non c’è contratto, ma c’è uno degli elementi della fattispecie complessa (consenso + traditio) di cui è formato il contratto reale. Pertanto la consegna non è effetto obbligatorio del contratto, ma un elemento costitutivo dello stesso”, cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 21 giugno 2005, n. 13294 in Mass. Giur. It., 2005; Corriere Giur., 2005, 12, p. 1688 nota di TRAVAGLINO; in CED Cassazione, 2005; Xxxxxxxxx, 2006, 6, p. 565 nota di CAPILLI; Corriere del Merito, 2013, 5, p. 509.
328 Cfr. CENNI D., La formazione del contratto tra realità e consensualità, Padova, CEDAM, 1998, p. 3.
329 Si esprime in questi termini SACCO R. in Il contratto, Milano, UTET, 2016, p.888: “la disapplicazione della regola dell’autonomia appare uno scandalo”. La categoria dei contratti reali si spiegava bene nel diritto romano in cui il contratto vincolanti attraverso il mero accordo tra le parti erano tassativamente previsti.
Il fatto che il semplice accordo non sia sufficiente a creare il vincolo giuridico, inoltre, ha delle pesanti ripercussioni in ordine alla possibilità di dedurre (all’intero degli stessi) beni che non sono ancora venuti ad esistenza.
Se la consegna è un elemento che si inserisce nella fase genetica del contratto sembra logicamente impossibile il binomio futurità e realità330. Tuttavia tale prima immediata considerazione deve essere oggetto di una più approfondita analisi poiché, in realtà, sia la dottrina che il legislatore hanno assunto un atteggiamento di apertura alla combinazione di questi due elementi all’apparenza inconciliabili. Nei capitoli precedenti si è analizzato il modo in cui la previsione di un oggetto futuro all’interno del regolamento incida (non tanto sulla struttura, ma) sugli effetti del contratto. Questi ultimi, infatti, subiscono degli adattamenti al fine di realizzare il peculiare assetto di interessi voluto dalle parti: quelli reali sono sospesi e ne sorgono di nuovi di natura obbligatoria.
Ma l’autonomia contrattuale può incidere anche sulla fase perfezionativa per renderla più confacente alle specifiche esigenze del caso? Uno dei banchi di prova più complessi è sicuramente il contratto reale. È ancora aperto e privo di una soluzione univoca il dibattito sulla ammissibilità nel nostro ordinamento di versioni consensuali di fattispecie tipiche reali (o addirittura di versioni reali di contratti consensuali).
Per giustificarne l’ammissibilità e fare in modo che tali figure negoziali (come il nuovo pegno non possessorio su beni futuri) non siano considerati dei monstra di creazione legislativa di incerta collocazione dogmatica, è necessario sviluppare un ragionamento per gradi, partendo dall’analisi della struttura giuridica dei contratti reali e il ruolo della consegna all’interno degli stessi.
Quest’ultima, infatti, può rivestire diverse funzioni a seconda della fattispecie negoziale di riferimento. In particolare:
a) consentire l’immediata attuazione di un effetto che - non rientrando tra quelli ex art. 1376 c.c. - non può aversi attraverso il solo consenso (es. nel comodato, nel mutuo o nel riporto);
b) rendere immediatamente operante per il destinatario e sicura per i terzi una situazione creatasi attraverso una prima manifestazione di consenso (es. nel pegno, nella donazione di modico valore, nel contratto estimatorio);
c) soddisfare l’interesse del tradens (nel deposito) 331.
330 Il problema della realità investe prima di tutto la fase genetica del contratto, la sua formazione. Pertanto va tenuto distinto da quello relativo alle deroghe al principio consensualistico, che invece concerne la produzione degli effetti di un contratto che può considerarsi già concluso.
331 Secondo XXXXXX U., I contratti reali, Milano, Xxxxxxx, 1975, p. 81 ss.: la consegna non provoca necessariamente un’obbligazione di restituzione. Quindi non é corretta l’identificazione dei contratti reali con i contratti restitutori. Ciò vale nel caso di comodato, deposito o sequestro convenzionale. Nel pegno, invece, colui che lo ha costituito non può esigerne la restituzione se non ha rimborsato anche le spese relative al pegno (art. 2794 c.c.). In caso di mutuo non si deve restituire quanto ricevuto, ma in realtà trasferire beni della stessa specie e qualità (art. 1814 c.c.). La restituzione nell’ipotesi di contratto estimatorio, infine, è solo una facultas solutionis (la parte si obbliga al pagare il prezzo delle cose consegnate o a restituirle nel termine stabilito, art. 1556).
Una previa riflessione sulla natura giuridica del contratto reale è fondamentale poiché le soluzioni prospettate saranno la base da cui partire per la costruzione della corrispondente fattispecie ad oggetto futuro.
Va premesso che è discussa in dottrina l’esistenza di un fondamento giuridico della realità all’interno della parte generale del codice.
Alcuni autori hanno ritenuto che possa rinvenirsi nell’ art. 1327 c.c.: anche in caso di esecuzione prima della consegna, infatti, la fattispecie contrattuale si perfeziona solo in conseguenza di un comportamento materiale atto a realizzare l’assetto di interessi dedotto nel negozio332. Tuttavia la ratio della previsione di tale particolare forma di conclusione dell’accordo non è assimilabile a quella che ispira quella dei contratti reali333. In questo caso c’è un oblato che ancora non ha ricevuto notizia dell’accettazione dell’altra parte e comunque inizia l’adempimento, ingerendosi nella sfera giuridica del proponente. Il fine del legislatore è quindi quello di obbligare il primo a portare a termine quanti iniziato e garantire al proponente la possibilità di usufruire di tutte le tutele previste in materia contrattuale. Non è quindi assimilabile alla funzione che riveste l’atto di consegna in caso di contratti reali.
Secondo altra dottrina la consegna nel pegno servirebbe quale elemento di pubblicità; nel mutuo e nel riporto permette di trasferire immediatamente la proprietà di certi beni fungibili senza bisogno di aspettare l’individuazione, nel deposito tutela il tradens facendo sorgere subito gli obblighi di custodia, cfr. XXXXX X., Il contratto, Milano, Xxxxxxx, 2011, p. 131. Inoltre quest’ultimo fa una differenziazione: nel contratto di donazione surroga la forma scritta; in quelli gratuiti integra la causa e in quelli ad effetti reali fonda la produzione dell’effetto reale
332 Particolarmente accurata è la ricostruzione di CENNI D., op. cit., p. 27.
333 Sono state prospettate diverse ricostruzioni in ordine alla struttura dell’art. 1327 c.c.. Secondo una parte della dottrina, la conclusione mediante esecuzione risulta essere un comportamento concludente, pertanto rimane inalterato lo schema proposta e accettazione cfr. sul punto MEMMO D., Il consenso contrattuale: le nuove tecniche di contrattazione, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl., diretto da XXXXXXX X., Padova, CEDAM, 2007, p.95. Altra dottrina, invece, parla di comportamento legalmente tipizzato: manca l’accordo (perché non c’è una manifestazione di volontà in tal senso), ma comunque c’è la bilateralità. Infine vi è chi - a dispetto del nomen iuris - l’ha qualificata come fattispecie unilaterale, cfr. XXXXXXX F., cit., p. 864.
334 La conseguenza principale di tale ricostruzione è rinvenibile nella circostanza che è possibile l’applicazione analogica delle stesse. Il fatto che il legislatore prescriva in linea generale un determinato principio o regola, non vuol dire che necessariamente le singole ipotesi negoziali non possano discostarsene o rappresentino per forza delle eccezioni, cfr. DE NOVA G., Sul rapporto tra disciplina generale dei contratti e dei singoli contratti, in Contr. impr., 1988, p. 327 ss.
La natura giuridica va, quindi, ricostruita attraverso il confronto tra le figure tipiche in cui la consegna è contrahendi causa, ossia: quella mutuate dalla tradizione romanistica del comodato (art. 1803 c.c.), del mutuo (art. 1813 x.x.), xxx xxxxxxxx (xxx. 0000 x 0000 x.x.) x xxx xxxxx (xxx. 2786 c.c.), nonché quelle emerse dopo della donazione di modico valore (art. 783 x.x.), xxx xxxxxxx (xxx. 0000 x.x.), xxx xxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxx (xxx. 1798 e 1800 c.c.), del contratto estimatorio (art. 1566 c.c.) e del trasporto ferroviario di cose (art. 38 l. 13 maggio 1940, n. 674)335.
Sono state elaborate nel tempo diverse teorie in relazione alla struttura degli stessi336, le quali divergono l’un l’altra a seconda del ruolo che viene assegnato alla consegna all’interno dell’operazione negoziale:
a) Fattispecie a formazione progressiva:
La dottrina si è da lungo tempo interessata in ordine alla classificazione e al ruolo di alcuni elementi rispetto alla formazione del rapporto giuridico, tra i quali la consegna. In particolare, la distinzione
335 Xxxxx realità di alcuni negozi non vi è comunque concordia tra gli autori. In dottrina: MESSINEO F., op. cit., p. 395.
336 Si deve dare atto che in realtà è stata avanzata l’ipotesi della inesistenza di tale categoria. Autorevole dottrina ha sostenuto che la consegna rilevi nella fase esecutiva del negozio (e sarebbe dimostrato dagli artt. 1812 e 1821 c.c. i quali
– nel prevedere la responsabilità per i vizi della cosa – presuppongono l’esistenza di un’obbligazione di consegna di un bene qualitativamente idoneo allo scopo), cfr. DI MAJO A., L’esecuzione del contratto, Milano, Xxxxxxx, 1997, p. 350. Altri autori, invece, hanno qualificato la responsabilità per i vizi a carico del comodante e del mutuante come precontrattuale, cfr. anche CENNI D., op. cit., p. 32.
In realtà la Relazione di accompagnamento al codice ha dato atto che nel nostro ordinamento la categoria dei contratti reali esiste ed è giustificata da una consapevole ponderazione degli interessi coinvolti. L’azione di cui agli artt. 1812 e 1821 c.c. deriva sicuramente dalla consegna, ma non presuppone necessariamente che la stessa sia anche oggetto di obbligazione. Può anche derivare da un comportamento coincidente con la stessa conclusione del contratto, così come nel caso delle garanzie per i vizi ex artt. 1490 e 1578, cfr. XXXXXXXXXXX F., I contratti reali, in SACCO R. (diretto da), Tratt. dir. civ., Torino, UTET, 1999, p. 20.
Vi è stata anche una tendenza dottrinale incline a qualificare la consegna come fatto fonte dell’obbligazione restitutoria allo stesso modo in cui lo è il pagamento di un indebito (quindi è una fonte, ma non contrattuale). Ad esempio a base del mutuo vi sarebbe un pagamento di indebito voluto (così come in caso di comodato o deposito), cfr. BERLIRI L. V., Xxxxxxx sui contratti reali, in Riv. it. sc. giur, 1932, p. 169. D’altronde la giurisprudenza ammette la compatibilità tra l’indebito e l’attribuzione volontaria: la proponibilità dell’azione di ripetizione d’indebito oggettivo non è esclusa nè dall’avere il solvens effettuato il pagamento non già nell’erronea consapevolezza dell’esistenza dell’obbligazione, ma, al contrario, nella convinzione di non essere debitore (e quindi senza l’animus solvendi) nè quando tale convinzione sia stata enunciata in una espressa riserva formulata in sede di pagamento effettuato al solo scopo di evitare l’applicazione di eventuali sanzioni (giacché l’errore scusabile del solvens è richiesto dalla legge come condizione della ripetibilità esclusivamente con riguardo all’indebito soggettivo ex persona debitoris). Solo in quest’ultima ipotesi ricorre l’esigenza di tutelare l’affidamento dell’accipiens, il quale riceve ciò che gli spetta sia pure da persona diversa dal vero debitore. Nel primo caso (cui va assimilato l’indebito soggettivo ex persona creditoris) non vi è alcun affidamento da tutelare, in quanto l’accipiens non ha alcun diritto di conseguire, né dal solvens né da altri, la prestazione ricevuta, cfr. Cass., 11 marzo 1987,
n. 2525, in Mass. Giur. It., 1987. Il contratto, in questo caso, svolgerebbe al massimo un ruolo di regolazione, ma subalterno rispetto alla consegna che è la fonte dell’obbligazione restitutoria. Tuttavia tale ricostruzione, tendente a “decontrattualizzare” il contratto reale, è influenzata dal diritto romano: le Institutiones di Gaio ricollegavano l’obbligazione del contratto di mutuo alla stessa datio rerum, a sua volta ricompresa tra quelle re contractae come quella derivante dal pagamento indebito. Gaio stesso, però, distingueva il mutuo (un contratto) dalla solutio indebiti, cfr. XXXXXXXXXXX F., op. cit., p. 9.
che rileva ai fini della presente indagine, è quella tra elementi necessari per la nascita del negozio e quelli incidenti su di un rapporto già sorto e che ne sospendono alcuni effetti.
Secondo autorevoli autori nei contratti reali la traditio sarebbe un elemento che incide sul momento perfezionativo. Pertanto, fino a quando il bene non viene consegnato, il negozio è improduttivo di qualsiasi effetto337.
Secondo un altro orientamento, invece, il rapporto fondamentale sorgerebbe già a partire dal momento dell’accordo. Si tratta, infatti, di una fattispecie a formazione progressiva da cui nascono alcuni effetti cd “preliminari”, tra i quali l’obbligo di consegnare il bene. Con la traditio, poi, si produrrebbero tutti gli altri: in primis (eventualmente) quello reale, l’estinzione dell’obbligo di consegna e la nascita di quello di restituzione338.
È evidente allora la contraddizione in termini in cui cade questa teoria: se la consegna è un atto giuridico che va ad incidere su un rapporto fondamentale già conclusosi la responsabilità che sorge in caso di inadempimento è quella ex art. 1218 cc.
b) Contratto (sospensivamente) condizionato:
Secondo tale ricostruzione il negozio sarebbe perfetto sin dal momento dell’incontro della volontà delle due parti, tuttavia gli effetti rimarrebbero sospesi fino alla consegna del bene340. La traditio, in questo caso, non sarebbe né un elemento necessario ai fini del perfezionamento del negozio, né oggetto di obbligazione.
Sono state sollevate, tuttavia, diverse obiezioni. Innanzitutto la consegna difetta del carattere dell’estrinsecità: non si tratta di un evento esterno ed estraneo rispetto agli interessi perseguiti e soddisfatti dal programma negoziale341. Inoltre generalmente la consegna è animata dalla spontaneità
337Si veda: MESSINEO F., op. cit., p. 394.
338 Cfr. RUBINO D., La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, Xxxxxxx, 1939, p. 52.
339 In dottrina, XXXXXX L., La responsabilità patrimoniale, Torino, UTET, 1952, p. 228.
340 Cfr. XXXXXXXXX X., Dei contratti in generale, IV, 2, Torino, UTET, 1987, p. 43. Secondo altra dottrina bisogna distinguere. Vi sono alcuni contratti reali la cui struttura può dirsi unitaria (mutuo, deposito, comodato…) e dunque la consegna è uno degli elementi necessari per il perfezionamento della fattispecie. Nel pegno e nel riporto, invece, il contratto sarebbe di per sé sufficiente a giustificare la rilevanza giuridica, tuttavia il legislatore – per esigenze non logiche, ma di ordine pubblico – ha imposto un ulteriore evento (che si pone come condicio iuris), cfr. XXXXXXX X., I contratti di borsa, Torino, UTET, 1960, p. 317.
341 L’evento dedotto in condizione - a rigor di logica - dovrebbe essere diverso (e spesso incompatibile) con quello interno per il cui soddisfacimento la parte utilizza quel particolare negozio.
c) Contratto in cui la consegna è qualificabile come concausa di efficacia:
Si è rilevato in chiave critica che tale ultima tesi muove dal presupposto di dover necessariamente adattare la categoria dei contratti reali al principio della sufficienza dell’accordo. Accordo e consegna, infatti, non sono posti sullo stesso piano. Non si tratta di un negozio condizionato, poiché l’evento consegna non è futuro e incerto. Tuttavia c’è una forte somiglianza con tale categoria. Dato però che la consegna rimane un atto spontaneo, il contratto rimane sospeso alla pura volontà di una parte (senza essere soggetto alla nullità ex art. 1355 c.c.)344.
d) Accordo e consegna come elementi costitutivi del contratto reale:
342 Si consulti sul punto: CENNI D., op. cit., p. 42
343 La differenza rispetto a quelli condizionati sta nel fatto che “nei contratti reali è lo stesso contenuto, cioè lo stesso regolamento contrattuale, a presupporre una situazione giuridica che, in concreto, può non esistere”, cfr. DI GRAVIO V., Teoria del contratto reale e promessa di mutuo, Torino, Xxxxxxx, 1989, p. 87.
344 L’aspetto vincolante si riduce alla mera irrevocabilità unilaterale del negozio, cfr. XXXXXXXXXXX F., op. cit., p. 39.
345 Cfr. CENNI D., op. cit., p.49: non è sufficiente l’affermazione che è il contratto normativo alla base che conferisce negozialità anche al rapporto che sorge con la consegna. Solo se si considera quest’ultima come elemento costitutivo del contratto si può affermare detta negozialità del rapporto.
346 Si possono citare ex multis: SCOGNAMIGLIO R., Dei contratti in generale. Art. 1321 – 1352, in SCIALOJA A./BRANCA
G. (a cura di), Commentario del codice civile, Bologna, Zanichelli, 1970, p. 106; FRAGALI M., Xxx comodato, Del mutuo, in SCIALOJA A. -BRANCA G., Comm. cod. civ., Bologna, Zanichelli, 1953, p. 245; XXXXXXXX F., op. cit., p. 394; XXXXXX U., op. cit., p. 15; XXXXXXX X., I contratti di borsa, Torino, UTET, 1960, p. 317; XXXXXXX F., cit., p. 666; XXXXXXXX GUASTALLA E., Il contratto e il fatto illecito, Milano, Xxxxxxx, 2016, p. 88.
È stato chiarito che il fatto che la consegna sia inquadrata come elemento attraverso il quale si perfeziona il contratto e non come obbligazione non esclude la qualificazione dell’operazione negoziale come contratto a prestazioni corrispettive laddove si riscontri una prestazione sinallagmatica rispetto alla prima. Di conseguenza sarà ad essi applicabile la disciplina sulla risoluzione, cfr. XXXXXX M.C., Il contratto in generale, Milano, Xxxxxxx, 2015, p. 49
Una volta chiarito che l’atto di consegna va spostato nella fase genetica e non in quella esecutiva rimane da chiedersi quale sia l’esatto inquadramento dogmatico della traditio347: quale sia il rapporto con gli altri elementi costitutivi. Si tratta di un elemento riconducibile a uno di quelli espressamente previsti dall’art. 1325 c.c. o un quid pluris che va creare una fattispecie la cui modalità di perfezionamento risulta complessa (requisiti essenziali del contratto + consegna)?
La risposta a tale interrogativo risulta fondamentale ai fini del dibattito in ordine al ruolo dell’autonomia negoziale nella creazione di varianti atipiche e sugli effetti che possono prodursi a seguito del mero accordo prima che intervenga la consegna.
Il primo punto da chiarire è la qualificazione della consegna come elemento esterno o interno all’accordo stesso.
I requisiti “interni” in senso lato sono: l’accordo delle parti, l’oggetto, la causa e la forma (e sicuramente la consegna non può identificarsi con i primi due).
Rispetto alla causa, parte della dottrina ha sostenuto che la traditio sia un elemento che possa integrarla e sorreggerla allorquando la stessa sia considerata “debole” (come nei contratti gratuiti348). Tuttavia tale teoria vale solo per una particolare tipologia negoziale e lascia scoperti numerosi contratti (il mutuo, il pegno, il riporto).
Più complesso ed articolato è invece il dibattito in merito all’inclusione della consegna tra le modalità attraverso le quali può manifestarsi la volontà negoziale (e quindi con riferimento alla forma).
La consegna - tanto quanto la forma scritta - sarebbe il veicolo attraverso il quale le parti mostrano all’esterno la volontà di impegnarsi: la speciale forma dei contratti reali349. In questo modo la struttura
347 Il legislatore non ha definito la consegna all’interno del codice, né ne ha indicato le caratteristiche fondamentali. Talvolta ha semplicemente previsto modalità specifiche ed esterne come il modo, il tempo e il luogo, ma che in realtà attengono più che altro all’adempimento. Ciò che la dottrina ha da sempre affermato è che la stessa implichi un comportamento cosciente e volontario del tradens idoneo a fagli perdere la disponibilità del bene. Vi sono, tuttavia, tesi discordanti in ordine alla necessità o meno - ai fini della realizzazione della stessa – del comportamento dell’accipiens. Secondo alcuni basterebbe il comportamento del tradens, secondo altri serve l’effettivo conseguimento del bene, ma si potrebbe prescindere dalla circostanza che tale risultato sia stato raggiunto con o senza la collaborazione del secondo. Altri ancora, invece, ritiene serva l’impossessamento da parte del creditore. Comunque sia, la consegna ha struttura bilaterale e ciò emerge dalla disciplina della mora del creditore (non basta solo l’offerta formale, ma serve anche il deposito). Secondo XXXXXXXXXX, dato che si ricorre all’offerta formale+deposito in caso di mancata accettazione da parte dell’accipiens, significa che per il perfezionamento della consegna serve la cooperazione da parte di entrambe le parti. Anche il comportamento di ricezione dell’accipiens deve essere cosciente e volontario (ha una struttura soggettivamente complessa). Xxxxxx affermato vale ltresì nel caso in cui la consegna faccia parte degli elementi che concorrono al perfezionamento della fattispecie. Per quanto riguarda, invece, l’elemento oggettivo (il potere di fatto sulla cosa) se la relazione con la cosa ha natura possessoria, rimarrebbero fuori tutti i casi in cui l’accipiens ha un diritto meramente personale. Mentre se ha natura detentiva, non sarebbero comprese le ipotesi di traditio brevi manu e di costitutio possessorio. Pertanto il dato comune ad ogni tipo di consegna è indifferentemente e alternativamente rappresentato dal realizzarsi della detenzione oppure del possesso, diretto o mediato, cfr. FORCHIELLI P., op. cit., pp. 41 e ss.
348 La consegna rassicurerebbe le parti in ordine alla serietà dell’impegno preso (come nel caso del comodato), cfr. XXXXX X., op. cit., p. 130.
349 Cfr. FORCHIELLI P., op. cit., p. 95 ss: l’autore analizza anzitutto i casi di contratto reale cd “tacito” in cui la traditio rappresenta il veicolo esclusivo della volontà contrattuale (come il caso in cui si consegni la bicicletta al depositario). In questi casi ha una duplice funzione: la realizzazione del potere di fatto (diretta e tipica) e la manifestazione implicita della volontà contrattuale (indiretta e occasionale). A tali conclusioni si può arrivare altresì anche qualora venisse stipulato un
del negozio si concilierebbe, altresì, con la regola della consensualità. Tuttavia è stato rilevato come la ratio del requisito della forma scritta sia in realtà quello di richiamare l’attenzione dello stipulante sulle conseguenze dell’impegno che si assume. La consegna, invece, come si vedrà a breve, non svolge tale funzione Pertanto summenzionata equiparazione non può considerarsi dogmaticamente corretta. Sicuramente quest’ultima in qualche modo incide sulla manifestazione esteriore del contratto, ma non può definirsi un requisito di forma così come inteso dal legislatore350. Anche la sanzione è diversa: se manca la forma scritta ad substantiam il contratto è nullo, se manca la traditio è semplicemente non concluso351.
Di conseguenza non rimarrebbe che qualificarla come elemento esterno, come un quid pluris staccato ed autonomo rispetto all’accordo delle parti.
In realtà non può considerarsi del tutto convincente neppure tale considerazione. La consegna è, infatti, un atto di volontà a struttura bilaterale352 e del tutto spontaneo. Le parti, senza che esista alcun vincolo in tal senso, dispongono della propria sfera giuridica attraverso quel comportamento, consapevoli degli effetti giuridici che ad esso conseguono. Se non ci fosse la volontà a sorreggere la consegna si tratterebbe di un atto neutro e indebito (il bene andrebbe restituito al tradens)353. Una simile lettura porta alla constatazione che quindi la traditio sia in qualche modo impregnata dal consenso delle parti. Non può essere un mero elemento esterno.
È un atto di rinnovazione (se avviene in un momento successivo) del consenso racchiuso nell’accordo. Ha una natura duplice: atto di manifestazione dell’intento negoziale e allo stesso tempo parziale
contratto reale esplicito, ossia allorquando oltre la consegna vi sia una espressa manifestazione di volontà. Sembrerebbe a primo impatto che le due situazioni non siano assimilabili. In realtà così non è perché in questo caso la consegna è il comportamento in grado di esprimere la volontà impegnativa (la sua forma essenziale). Essa, infatti, normalmente è un atto incolore. Nell’ipotesi di contratto reale esplicito, invece, l’accordo serve quale elemento integrativo e interpretativo del contenuto negoziale (a meno che non sia già di per sé inequivocabilmente rivestito di un carattere impegnativo). Pertanto ove le manifestazioni di volontà siano funzionalmente e strutturalmente connesse al comportamento consegna devono ritenersi parte integrante della forma del contratto.
350 In dottrina: DI GRAVIO V., op. cit., p. 9. (nota 36) e XXXXX D., op. cit., p. 61.
351 La consegna non ha la funzione solitamente attribuita alla forma di elemento per la validità del negozio (come un qualcosa che conferisce certezza, univocità, serietà e mezzo per indurre le parti ad una maggiore riflessione circa le conseguenze sociali dell’atto stesso) e non è l’unico indice di serietà e univocità del volere nei contratti reali, ma un semplice elemento caratterizzante il tipo legale, cfr. XXXXXXXXXXX F., op. cit., p. 56.
352 Parte della dottrina ritiene che la traditio sia un atto bilaterale sia quando la stessa è collocata nella fase genetica del rapporto, sia quando faccia parte di quella esecutiva. In quest’ultimo caso si pensi alla disciplina della mora credendi: non basta l’offerta da parte del debitore della propria prestazione, ma serve anche il deposito affinché possa considerarsi liberato. Nella fase genetica, invece, la consegna è il mezzo attraverso il quale viene traslato il godimento della cosa. Serve la collaborazione dell’accipiens a tale fine (ed è la sua buona fede che rileva ai fini della valutazione degli stati soggettivi), cfr. CENNI D., op. cit., p. 68.
353 La consegna sia nei casi in cui è oggetto di obbligazione (perché non è la stessa ad assumere rilevanza diretta e autonoma, ma l’adempimento), sia nel caso in cui serva a perfezionare la fattispecie (è quella unitaria, insieme al consenso, ad essere rilevante) è un fenomeno neutro. Si tratta di un atto che postula la volontà e coscienza del comportamento (non un mero fatto), ma giuridicamente irrilevante se isolatamente considerata (l’ordinamento non le ricollega di per sé alcun effetto), cfr. FORCHIELLI P., op. cit., p. 82.
attuazione dello stesso354. Accordo e consegna “non sono due unità logiche da collocarsi l’una accanto all’altra, ma due facce dello stesso prisma”355. Quindi più che di “contratto + consegna” si deve parlare di “consenso mediante consegna”.
Trattandosi di un elemento che fa parte del momento perfezionativo del contratto (della sua struttura) non sono ad essa applicabili, neanche per via analogica, tutte quelle norme del codice che si riferiscono alla stessa in fase di esecuzione del contratto: ad esempio l’art. 1181 (non si può ammettere la sufficienza di una consegna parziale o ripartita, salvo diversa volontà delle parti); né l’art. 1182, comma 2, in relazione al luogo dove debba essere fatta; o ottenere completamento della consegna ex art. 2930 c.c..
3. Contratti reali e oggetto futuro
A questo punto non rimane che esaminare la compatibilità tra realità e futurità e la struttura che il negozio va ad assumere in tale eventualità.
Se il bene che si vuole dedurre in contratto non è ancora venuto ad esistenza, ma le parti vogliono comunque dare una rilevanza giuridica all’accordo è di tutta evidenza che il negozio non possa che avere natura consensuale (a meno che non si individuino dei comportamenti diversi dalla consegna e idonei a integrare il requisito della realità).
Le questioni fondamentali alle quali occorre dare una risposta sono sostanzialmente due: possono le parti stipulare una variante consensuale o atipica di un contratto reale oppure un contratto preliminare di un contratto reale?
Il discorso in merito all’ampiezza del margine di autonomia lasciato alle parti non può che partire dal previo inquadramento del rapporto che intercorre tra consensualità e realità e dalla natura (imperativa o meno) delle norme che prevedono tale alternativo meccanismo di perfezionamento del negozio.
354 La realizzazione in caso di contratti reali è solo parziale. Non può pertanto essere assimilata alla categoria dei negozi di attuazione, attraverso i quali il soggetto realizza interamente la sua volontà senza relazionarsi con gli altri (si appropria della prestazione).
355 Cfr. FORCHIELLI P., op. cit., p. 106.
356 Anche laddove sia raggiunto un accordo perfetto, la fase è assimilata a quella delle trattative pertanto si profila eventualmente solo una responsabilità ex art. 1337 c.c., cfr. CENNI D., op. cit., p. 90.
357 Non regola-eccezione, ma generale-speciale. Secondo autorevole dottrina i contratti reali si contrappongono tradizionalmente a quelli consensuali come categoria a sé stante, cfr. SCOGNAMIGLIO X., op. cit., p. 104.
Nel primo caso, infatti, non sarebbe possibile l’applicazione analogica delle le norme che disciplinano gli stessi in caso di lacune e si restringerebbe l’ambito lasciato all’autonomia privata.
Per questo la struttura dei contratti reali è stata qualificata come una sorta di micro-sistema, la cui particolarità è rappresentata dal meccanismo alternativo di formazione del contratto358, così come lo è anche l’art. 1327 c.c.. In questo modo le parti possono scegliere quale utilizzare a seconda degli interessi che intendono regolare.
3.1.Forme consensuali di contratti reali
Quando si parla di forme consensuali di contratti reali e dello spazio lasciato all’autonomia contrattuale è opportuno innanzitutto chiarire la differenza che intercorre tra contratto atipico e la semplice variante consensuale del contratto reale.
Si ha un contratto atipico laddove le parti si avvalgano del potere di autonomia negoziale riconosciuto loro dall’ordinamento per creare una nuova tipologia contrattuale, la quale dovrà però passare il vaglio di meritevolezza ex art. 1322 c.c. e la cui disciplina può variare rispetto a quella tipica.
La variante consensuale, invece, è una semplice deroga che non altera la funzione, la disciplina e la ratio di quella tipica. Ne modifica semplicemente un aspetto, così come previsto dal primo comma dell’art. 1322 c.c. (sempre se derogabile). In questo caso non serve nessun controllo da parte del giudice e la disciplina applicabile sarà quella ordinaria.
Nella prima ipotesi la valutazione in ordine alla meritevolezza va fatta dal giudice caso per caso, mentre la seconda può essere fatta una tantum359.
La non previsione della consegna nella fase di conclusione del negozio fa ricadere il contratto all’interno del primo o del secondo comma dell’art. 1322 c.c.360? Occorre tenere presente che la prassi negoziale e la legislazione conoscono sia casi in cui l’atipicità o la variante è caratterizzata dal mero spostamento dell’elemento della consegna dalla fase genetica a quella esecutiva, sia ipotesi in cui la trasformazione in contratto consensuale consegue alla totale eliminazione dell’elemento consegna dal regolamento contrattuale (si pensi alle nuove ipotesi di pegno non possessorio)361.
358 Cfr. CENNI D., op. cit., p. 105.
359 Si veda: CENNI D., op. cit., p. 255.
360 L’alternativa non è facile perché “non ci sono criteri univoci che permettano di stabilire quando le libere determinazioni delle parti restano nell’orbita di un contratto tipico e quando diventano tali da rappresentare un punto di fuga tangenziale che sposta in concreto il contratto tra quelli atipici”, cfr. XXXXXXXXXXX F., op. cit., p. 25.
361 Questa seconda ipotesi, secondo i sostenitori del binomio consegna-sostantialii, darebbe vita ad un contratto consensuale atipico i cui effetti non potrebbero che essere diversi (e minori) da quelli del corrispondente contratto reale, cfr. XXXXXX U., op. cit., p. 35. Anche aderendo alla teoria che qualifica la consegna come semplice elemento naturale si può comunque arrivare a immaginare varianti consensuali della consegna (visto che la determinazione del contenuto è lasciata alla libera determinazione delle parti ex art. 1322, comma 1, c.c.).
Si pone, quindi, per l’interprete un problema di “plasticità della natura contrattuale”. A tal fine autorevole dottrina ha efficacemente distinto tra i substantia (la cui modifica riconduce al comma 2 dell’art. 1322 c.c.), i natura (1322, comma 1, c.c.) e gli accidentalia negotii: il contratto “appare con chiarezza una realtà con una ossatura imprescindibile e immodificabile a pena di annientarsi (la substantia), un rivestimento di carne attorno a queste ossa che ne costituisce l’aspetto normale e la regola ma che è suscettibile di modificazioni (la natura), un cumulo di circostanze estrinseche che quella realtà incontra nella sua vicenda ma che sono destinate ad incidere solo marginalmente e superficialmente lasciando intatta l’ontologia del contratto (gli accidentalia)”362. Substantia e natura costituiscono realtà endo-strutturali del negozio e la distinzione tra i due “suona più estenuata e rarefatta, che può sembrar tutta cervellotica”363, ma è estremamente importante per capire quando vada effettuato il vaglio di meritevolezza da parte del giudice.
La questione può essere correttamente qualificata, dunque, in questi termini: bisogna ricostruire l’essenza della previsione della realità all’interno delle fattispecie contrattuali e capire se la stessa sia da qualificarsi come substantialia364 o come naturalia negotii.
Quando un determinato elemento va a comporre il tipo negoziale, qualsiasi sua deroga corrisponde ad una alterazione sostanziale del tipo che non si può raggiungere se non eventualmente attraverso un contratto atipico365. Se non lo è, invece, il discorso cambia e l’attenzione si sposta al carattere derogatorio o meno delle stesse.
362 Cfr. GROSSI P., Sulla “natura” del contratto, in Quaderni fiorentini, 1986, 15, p. 604.
363 Sempre GROSSI P., op. cit., p. 607: “con la tripartizione si è al cuore di una teoria generale del contratto, poiché con essa si tenta una costruzione della struttura intima del contratto, del contratto come sintesi e modello di ogni specifica fattispecie contrattuale: il nucleo più riposto, i substantialia; uno strato meno profondo ma sempre ben compenetrato nella struttura, i naturalia; una epidermide estrinseca e fuggevole, gli accidentalia. Con l’ulteriore orientamento consolidato che, mentre i primi non sono suscettibili di modificazione da parte della volontà dei contraenti a pena della nullità dell’atto o del transito da uno ad altro tipo contrattuale, i secondi possono – a certe condizioni ed entro certi limiti
– essere consensualmente modificati”.
364 Una parte della dottrina ritiene che nei contratti che si perfezionano con la consegna è logicamente inconcepibile che la traditio possa avere ad oggetto un bene che non è ancora venuto ad esistenza, cfr. XXXXXXXXX XXXX L, XXXXXXXX F.D., BRECCIA U., XXXXXX G., Diritto civile. 1.2: Fatti e atti giuridici, Torino, UTET, 1986,.
365 Per approfondimenti sul punto si veda DE NOVA G., Il tipo contrattuale, Padova, CEDAM, 1974. Lo stesso rileva - in ordine alla realità - che sicuramente è criticabile l’idea di chi inquadra la stessa come dato qualificante di modo che le figure parallele consensuali non siano riconducibile alle ipotesi tipizzate. In realtà qualificarli come atipici non esclude l’applicazione della disciplina codicistica, dato che non ci sono norme che disciplinano la fase prima della traditio e dopo quest’ultima il contratto diventa reale (dello stesso avviso SACCO X. Xxxxx e consegna nella conclusione del mutuo, in Banca, borsa e titoli di credito, 1971, p. 544). Non si esclude la qualificazione della realità come elemento essenziale, ma deve essere fatta un’analisi caso per caso in relazione alla funzione che la stessa ha con riferimento al singolo negozio: essa sarebbe tale solo nei contratti reali gratuiti (p.108).