Contract
IL CONTRATTO DI LAVORO
IL LAVORATORE E IL DATORE DI LAVORO
INDICE
→ Concorso e conflitto tra fonti
→ Il conflitto tra legge e contratto collettivo
→ L’inderogabilità della legge nel lavoro pubblico
→ L’inderogabilità del contratto collettivo da parte del contrattoindividuale
→ La collaborazione coordinata e continuativa
→ Il lavoro occasionale
→ Il lavoro agile
→ La certificazione dei contratti di lavoro
→ Contratti di prossimità
IL LAVORATORE E IL DATORE DI LAVORO
→ La subordinazione
→ La nozione di lavoro subordinato
→ Il contratto di lavoro autonomo
→ La collaborazione coordinata e continuativa
→ Il lavoro occasionale
→ La certificazione dei contratti di lavoro
IL CONTRATTO DI LAVORO
CONCORSO E CONFLITTO TRA FONTI
La legge e il contratto collettivo sono le principali fonti del diritto del lavoro.
Le due fonti sono destinate a convivere: se la legge è garantita dall’essere espressione della sovranità
popolare incarnata nel Parlamento, la contrattazione collettiva è protetta dall’art. 39.
L’intervento della legge deve essere proporzionato, cioè limitato a quel che si rende necessario per proteggere l’interesse generale, senza trascendere in un’espropriazione permanente dell’autonomia collettiva.
Le due fonti neppure possono fare a meno l’una dell’altra, dal punto di intrecciare una fitta trama di rapporti, che danno frequentemente luogo a un concorso.
Il concorso può essere spontaneo, oppure promosso e mediato dall’esistenza di norme legali di rinvio.
Concorso non equivale, dunque, a conflitto.
Si dà un concorso non conflittuale ogniqualvolta che le due fonti non pretendono di regolare un medesimo istituto o elemento di esso, o perché ciascuna non invade il campo altrui.
Si ha invece conflitto quando le due fonti si sovrappongono dettando discipline diverse sul medesimo oggetto oppure la previsione del contratto collettivo esce dalle cornici della legge è necessario reperire un principio, o criterio, che consenta di sciogliere il concorso/conflitto, selezionando, fra le due disposizioni applicabili al caso di specie, quella dominante.
Col Decreto Xxxxxxxx si ha una decisa rivalutazione della legge come espressione diretta dell’interesse pubblico tutelato dalla Costituzione all’art. 97.
IL CONFLITTO TRA LEGGE E CONTRATTO COLLETTIVO
Il criterio classicamente utilizzato dal diritto del lavoro è quello dell’inderogabilità in peggio della norma di legge, ove attributiva di diritti al lavoratore subordinato, da parte del contratto collettivo.
Tale inderogabilità non è proclamata da alcuna norma generale, ma soltanto da singole disposizioni, come l’art. 12 l. 604/1966, sui licenziamenti individuali, o dall’art. 40 l. 300/1970, le quali affermano che sono fatte salve le disposizioni dei contratti collettivi, che contengono condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.
L’inderogabilità è una conseguenza del carattere imperativo della norma di legge lavoristica, risultando essere quella in peius una cifra distintiva del diritto del lavoro classico, anche sul piano dei rapporti fra legge e contratto collettivo ciò sul presupposto che i beni protetti dalle norme imperative di legge debbono essere goduti immancabilmente dal lavoratore.
La comparazione tra i due trattamenti – contrattuale e legale – deve essere fatta istituto per istituto, e non mediante una incerta valutazione complessiva.
Es. un contratto collettivo non può, in vista di un allettante incremento retributivo, eliminare le ferie annuali, o non acconsentire a misure di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
La clausola collettiva in contrasto con una norma imperativa di legge è colpita da sanzione di nullità.
Tale nullità non si estende all’intero contratto collettivo, bensì si focalizza – con nullità parziale – sulla clausola contrattuale in contrasto con la legge, e comporta la sostituzione di diritto della clausola con la norma legale con la quale è entrata in contrasto.
L’INDEROGABILITÀ DELLA LEGGE NEL LAVORO PUBBLICO
Il lungo percorso che portò alla c.d privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico affermando un ruolo importante al Sindacale, fu interrotto con il Decreto Brunetta che ha recuperato appieno il carattere imperativo delle disposizioni legislative sul lavoro pubblico e ha restituito alla legge una posizione di primato sulla contrattazione collettiva.
[art. 2 eventuali disposizioni di legge […] che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi, e per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente prevista dalla legge
Dopo il d.lgs. 150/2009, la regola era quella dell’inderogabilità, tanto in meglio quanto in peius, della legge.
Delle disposizioni collettive in contrasto con le norme imperative di legge sul lavoro pubblico è altresì sancita, in modo espresso, la nullità, con applicazione del binomio nullità parziale-subentro automatico delle norme di legge violate.
Sono quelli anni che vedono le Organizzazioni Sindacali non demordere organizzando numerosi scioperi e varie iniziative contro i vetusti decreti Brunetta, tale pervicacia portò, alla fine, a risultati positivi con l’emanazione dei decreti Madia (a seguito di un accordo con CGIL CISL e UIL) che ripristinavano in gran parte le disposizioni precedenti in particolare per quanto attiene le materie oggetto di libera contrattazione fra le parti.
L’INDEROGABILITÀ DEL CONTRATTO COLLETTIVO DA PARTE DEL CONTRATTO INDIVIDUALE
I patti individuali di qualunque nome e tipo, che siano rivolti a regolare un rapporto di lavoro sono da considerare nulli, qualora comportino rimozione di diritti previsti dal contratto collettivo.
Sono invece validi patti individuali aventi un contenuto migliorativo.
La regola dell’inderogabilità è pienamente vigente anche nei casi di lavoro pubblico, ma con l’importante differenza che essa opera, per il vincolo dell’interesse pubblico anche in meglio, con previsione della nullità parziale e della sostituzione automatica della clausola difforme.
Non è possibile attribuire per contratto individuale trattamenti economici aggiuntivi a quelli del contratto collettivo.
IL CONTRATTO DI LAVORO AUTONOMO
Contratto per cui «una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente».
La differenza con la subordinazione è che l’obbligo è assunto dal prestatore senza vincolo di subordinazione, nel senso che ha a oggetto il compimento di opera/servizio, e non una messa a disposizione di energie, in vista di un’eterodirezione o di una eterorganizzazione.
LA COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA
Oltre ai lavoratori subordinati, i collaboratori operanti nell’ambito di rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale, e altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato collaboratore coordinato e continuativo (xx.xx.xx.), connotato da:
• Il carattere coordinato
• Il carattere continuativo – come nel lavoro subordinato – della collaborazione;
• Il fatto che la prestazione di lavoro sia eseguita mediante l’opera prevalentemente personale del collaboratore.
Dal 1996 un’assicurazione pensionistica obbligatoria presso la Gestione separata INPS estesa anche ad altre figure di collaboratori autonomi (pagamento obbligatorio del 31,72% quale contributo pensionistico). Tale contributo è posto per 2/3 a carico del committente per 1/3 a carico del collaboratore. Tale differenziale è sempre più riassorbito e lo sarà definitivamente nel 2018;
La crescita maggiore dei xx.xx.xx. si è avuta nelle P.A., specie per arginare i blocchi pressoché totali delle assunzioni in ruolo.
IL LAVORO OCCASIONALE
Il d.lgs. 276/2003 ha creato la figura del lavoro accessorio, noto come lavoro tramite voucher, né subordinata né accessoria. In ragione della rilevata crescita quantitativa del ricorso al lavoro accessorio, la CGIL ha promosso un referendum per abrogare la disciplina. Il Governo, nell’imminenza del referendum, ha proceduto all’abrogazione.
Il vuoto che ne è derivato è stato successivamente colmato con art. 54-bis l. 96/2017, che ha introdotto l’istituto del lavoro occasionale, a sua volta articolato nelle due versioni del contratto di prestazione occasionale e del Libretto Famiglia.
Per poter essere acquisite come occasionali, le prestazioni debbono essere contenute entro i seguenti limiti massimi di compenso, rapportati a un anno civile:
• 5000 euro per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità dei prestatori
• 5000 euro per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori [il 75% dell’importo
per giovani, pensionati, lavoratori disoccupati o sospesi];
• 2500 euro per le prestazioni rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore;
Vi è un limite di durata massima delle prestazioni occasionali, nella misura di 280h nell’arco dell’anno civile. Non possono essere acquisite prestazioni per i soggetti con cui l’utilizzatore abbia in corso o abbia cessato da meno di 6 mesi un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa.
Le prestazioni, così contingentate, possono essere ricorse da:
• Le persone fisiche, non nell’esercizio dell’attività professionale o d’impresa, mediante il Libretto Famiglia, impiegabile per il pagamento di prestazioni occasionali, consistenti in piccoli lavori domestici o di giardinaggio; assistenza domiciliale a persone, insegnamento privato supplementare;
• Gli altri utilizzatori, mediante il contratto di prestazione occasionale, definito come contratto mediante il quale un utilizzatore acquisisce, con modalità semplificate, prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di medesima entità, ma eccettuate alcune categorie.
Per l’accesso alle prestazioni occasionali in discorso sia gli utilizzatori che i prestatori sono tenuti a registrarsi
all’interno di un’apposita piattaforma informatica gestita dall’INPS.
Ritornano i voucher con una nuova formula nei settori alberghiero e per gli enti locali.
Questi potranno essere utilizzati come mezzo di retribuzione per il lavoro di under 25, disoccupati, e anche pensionati o di chi già benefici di forme pubbliche di sostegno al reddito.
IL LAVORO AGILE
Il lavoro agile consiste non in uno speciale rapporto di lavoro, ma in una particolare modalità della prestazione, contrassegnata dalle seguenti caratteristiche:
• Esecuzione della prestazione lavorativa in parte all’interno e in parte all’esterno, entro i soli limiti di
durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale;
• Possibilità di utilizzo di strumenti tecnologici;
• Assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro esterno. Si tratta di un lavoro effettuato in qualsiasi luogo.
L’adozione della modalità del lavoro agile richiede un accordo fra le parti.
L’accordo deve disciplinare le modalità di esercizio del lavoro, le misure a tutela della privacy, il trattamento del latore, fermi restando gli obblighi alla sicurezza dello stesso.
L’accordo può essere a termine o a tempo indeterminato. In questo ultimo caso, ciascuna delle parti può recedere da esso con un preavviso di 30 giorni.
LA CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI DI LAVORO
La procedura di certificazione è volontaria per cui richiede l’assenso di entrambe le parti.
Le parti possono richiedere congiuntamente, dinanzi alle commissioni istituite, la certificazione di qualunque contratto in cui sia dedotta, direttamente o meno, una prestazione di lavoro e di contratti di lavoro autonomo puro e di collaborazione coordinata e continuativa, nonché dei regolamenti interni delle società cooperative di produzione e lavoro, disciplinanti la tipologia dei rapporti coi soci lavoratori.
Gli organi abilitati alla certificazione sono gli enti bilaterali, l’ispettorato del lavoro e le Province, le Università private e pubbliche, Ministero del lavoro-Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro; Consigli provinciali dei consulenti del lavoro.
L’istanza di avvio della procedura, sottoscritta da entrambe le parti è rivolta a ottenere un atto di certificazione, ossia un atto amministrativo col quale l’organo adito certifica la qualificazione del contratto è corretta, e quello sottoposto a esame è un contratto di collaborazione (esempio). Il procedimento deve concludersi entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza-
L’atto di certificazione, motivato, attesta la verità giuridica della qualificazione, anche verso terzi, sino a quando non venga accolto un ricorso giurisprudenziale.
Gli effetti dell’accertamento si producono dal momento di inizio del contratto.
L’impugnazione giudiziale avverso una certificazione può prendere due strade:
1. Ricorso al giudice amministrativo
2. Ricorso al giudice ordinario del lavoro per sostenere l’erroneità giuridica della qualificazione; o che il rapporto si è svolto in modo difforme dal programma negoziale concordato; o che il consenso di una delle parti era affetto da vizi (errore, violenza morale, dolo).
L’art. 30 l. 183/2010 «nella qualificazione del contratto di lavoro» il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazioni «salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione». A cioè si aggiunge la facoltà di impugnare la certificazione perché affetta da errore.
Il vero effetto preclusivo si manifesta nei confronti di terzi, come gli enti previdenziali (INPS, INAIL) e ispettivi (Isp. Lavoro), che non possono adottare provvedimenti amministrativi che presuppongano una qualificazione del contratto diversa da quella certificata.
Chiunque presenti ricorso giurisprudenziale contro la certificazione deve previamente rivolgersi alla
commissione che ha adottato l’atto certificato, per svolgervi un tentativo obbligatorio di conciliazione.
Nell’ordinamento affiora anche un impiego diverso, quale strumento di assistenza all’autonomia individuale
a fini derogatori anche in peggio della disciplina legale.
CONTRATTI DI PROSSIMITA’
Nel 2011, è stata introdotta una disposizione legislativa molto discussa, e particolarmente osteggiata dalla Cgil, in base alla quale le imprese, entro certi limiti, possono derogare, con riferimento alla gestione dei rapporti di lavoro, alle leggi e alle disposizioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscrivendo degli appositi accordi collettivi con il sindacato detti contratti di prossimità.
La legge prevede che i contratti di prossimità possono derogare alle leggi e alle disposizioni del Ccnl con riferimento alle seguenti materie:
• installazione degli impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie;
• mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale;
• contratti a termine, contratti a tempo parziale, regime della solidarietà negli appalti, casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
• disciplina dell’orario di lavoro;
• modalità di assunzione;
• disciplina del rapporto di lavoro;
• trasformazione, conversione dei contratti di lavoro;
• conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro fatta eccezione per i casi di licenziamento discriminatorio e licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
È di tutta evidenza che la portata delle materie su cui contratti di prossimità possono intervenire è molto ampia e consente, teoricamente, alle imprese di apportare delle deroghe significative alla gestione dei rapporti di lavoro ottenendo importanti vantaggi e risparmi sui costi che è necessario sostenere rispettando le disposizioni normative.
Sul fronte dei lavoratori le deroghe peggiorative alla disciplina ordinaria prevista dalla legge e dai Ccnl possono tradursi in una netta riduzione dei diritti e delle tutele dei dipendenti.
Art. 8 l.148/2011 Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 – contratti aziendali o territoriali – operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 e alle relative regolamentazioni contenute nei CCNL potere derogatorio ai contratti aziendali stipulati secondo le procedure maggioritarie di cui al TU Rappresentanza.
D.lgs. 81/2015, riscrivendo la disciplina dei contratti di lavoro non standard, prevedendo per numerosi aspetti la possibilità di deroghe da parte della contrattazione collettiva salva diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti
collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria equiparazione tra il livello nazionale e livello aziendale ai fini dell’attribuzione di poteri derogatori, parallela equiparazione tra il contratto aziendale stipulato dall’associazione sindacale e quello stipulato dalla RSA o dalla RSU.
IL LAVORATORE E IL DATORE DI LAVORO
La subordinazione rappresenta la fattispecie di accesso alla normativa protettiva nella quale il diritto del lavoro consiste, secondo un programma che è stato confermato anche dalla privatizzazione del lavoro pubblico (lavoro subordinato pubblico).
La norma faro è sempre quella dell’art. 2094 Codice Civile, la quale ha fornito una base aggregante e unitaria. Il merito di aver superato la locazione di opere e di opera, ha enunciato una nozione più adeguata alla realtà, nuova e dirompente, del lavoro di massa nell’industria.
L’invenzione della figura del lavoratore subordinato serviva ai lavoratori, potendo ragionevolmente favorire, come di fatto ha favorito, lo sviluppo della legislazione protettiva che ha poi assunto il nome di diritto del lavoro.
La subordinazione serviva anche agli imprenditori, per evitare che essi ricorressero a continue contrattazioni con lavoratori autonomi.
Con il d.lgs. 81/2014, art. 2, piuttosto che dettare misure per la zona grigia – il lavoro autonomo – comunque definita, il legislatore ha tentato di ricondurre le forme spurie di collaborazione lavorativa parasubordinata all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, in qualche modo ampliando i criteri di identificazione dello stesso lavoratore subordinato.
LA NOZIONE DI LAVORO SUBORDINATO
Art. 2064 cod. civ. il lavoratore/prestatore di lavoro subordinato è colui che «si obbliga mediante
retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze
e sotto la direzione dell’imprenditore».
La disposizione fa direttamente riferimento al lavoratore.
Il lavoratore subordinato «si obbliga […] a collaborare nell’impresa»: collaborare significa lavorare con altri, ma, nel caso, la collaborazione non è con l’imprenditore, bensì, impersonalmente, con l’impresa prestando un’attività nell’impresa, il lavoratore subordinato collabora in vista della realizzazione degli scopi della medesima.
«Prestando il proprio lavoro manuale o intellettuale» ove il dato significativo non è che l’oggetto dell’obbligazione sia costituito dall’attività di lavoro, bensì che esso possa essere di natura manuale o intellettuale.
In tale nozione è condensata l’unitarietà del lavoro operaio, impiegatizio e dirigenziale.
«Alle dipendenze […] (dell’imprenditore)» tale locuzione è poco più che tautologica.
La dipendenza può essere considerata espressiva del fatto che il lavoratore subordinato si obbliga a prestare un’attività rivolta al perseguimento di un interesse altrui, e non assume, di conseguenza alcun rischio di impresa.
«Sotto la direzione (dell’imprenditore)» tale è stato ritenuto l’elemento caratterizzante della disciplina. Il lavoratore si intende subordinato quando si obbliga a prestare un’attività lavorativa eterodiretta.
Essenza della subordinazione è che il lavoratore subordinato si obblighi non a svolgere una certa opera o un certo servizio, ma semplicemente a mettere a disposizione le proprie energie lavorative, cioè a prestare un lavoro astratto composto da una dose indefinita di opere, che diviene concreto nel momento in cui l’imprenditore, esercitando il potere direttivo, gli prescrive cosa, come, dove e quando farlo.
IL CONTRATTO DI LAVORO AUTONOMO
Contratto per cui «una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente».
La differenza con la subordinazione è che l’obbligo è assunto dal prestatore senza vincolo di subordinazione, nel senso che ha a oggetto il compimento di opera/servizio, e non una messa a disposizione di energie, in vista di un’eterodirezione o di una eterorganizzazione.
LA COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA
Oltre ai lavoratori subordinati, i collaboratori operanti nell’ambito di rapporti di agenzia, di rappresentanza
commerciale, e altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato collaboratore coordinato e continuativo (xx.xx.xx.), connotato da:
• Il carattere coordinato
• Il carattere continuativo – come nel lavoro subordinato – della collaborazione;
• Il fatto che la prestazione di lavoro sia eseguita mediante l’opera prevalentemente personale del collaboratore.
Dal 1996 un’assicurazione pensionistica obbligatoria presso la Gestione separata INPS estesa anche ad altre figure di collaboratori autonomi (pagamento obbligatorio del 31,72% quale contributo pensionistico). Tale contributo è posto per 2/3 a carico del committente per 1/3 a carico del collaboratore. Tale differenziale è sempre più riassorbito e lo sarà definitivamente nel 2018;
La crescita maggiore dei xx.xx.xx. si è avuta nelle P.A., specie per arginare i blocchi pressoché totali delle assunzioni in ruolo.
IL LAVORO OCCASIONALE
Il d.lgs. 276/2003 ha creato la figura del lavoro accessorio, noto come lavoro tramite voucher, né subordinata
né accessoria. In ragione della rilevata crescita quantitativa del ricorso al lavoro accessorio, la CGIL ha promosso un referendum per abrogare la disciplina. Il Governo, nell’imminenza del referendum, ha proceduto all’abrogazione.
Il vuoto che ne è derivato è stato successivamente colmato con art. 54-bis l. 96/2017, che ha introdotto l’istituto del lavoro occasionale, a sua volta articolato nelle due versioni del contratto di prestazione occasionale e del Libretto Famiglia.
Per poter essere acquisite come occasionali, le prestazioni debbono essere contenute entro i seguenti limiti massimi di compenso, rapportati a un anno civile:
• 5000 euro per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità dei prestatori
• 5000 euro per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori [il 75% dell’importo
per giovani, pensionati, lavoratori disoccupati o sospesi];
• 2500 euro per le prestazioni rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore;
Vi è un limite di durata massima delle prestazioni occasionali, nella misura di 280h nell’arco dell’anno civile. Non possono essere acquisite prestazioni per i soggetti con cui l’utilizzatore abbia in corso o abbia cessato da meno di 6 mesi un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa.
Le prestazioni, così contingentate, possono essere ricorse da:
• Le persone fisiche, non nell’esercizio dell’attività professionale o d’impresa, mediante il Libretto Famiglia, impiegabile per il pagamento di prestazioni occasionali, consistenti in piccoli lavori domestici o di giardinaggio; assistenza domiciliale a persone, insegnamento privato supplementare;
• Gli altri utilizzatori, mediante il contratto di prestazione occasionale, definito come contratto mediante il quale un utilizzatore acquisisce, con modalità semplificate, prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di medesima entità, ma eccettuate alcune categorie.
Per l’accesso alle prestazioni occasionali in discorso sia gli utilizzatori che i prestatori sono tenuti a registrarsi all’interno di un’apposita piattaforma informatica gestita dall’INPS.
Ritornano i voucher con una nuova formula nei settori alberghiero e per gli enti locali.
Questi potranno essere utilizzati come mezzo di retribuzione per il lavoro di under 25, disoccupati, e anche pensionati o di chi già benefici di forme pubbliche di sostegno al reddito.
LA CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI DI LAVORO
La procedura di certificazione è volontaria per cui richiede l’assenso di entrambe le parti.
Le parti possono richiedere congiuntamente, dinanzi alle commissioni istituite, la certificazione di qualunque contratto in cui sia dedotta, direttamente o meno, una prestazione di lavoro e di contratti di lavoro autonomo puro e di collaborazione coordinata e continuativa, nonché dei regolamenti interni delle società cooperative di produzione e lavoro, disciplinanti la tipologia dei rapporti coi soci lavoratori.
Gli organi abilitati alla certificazione sono gli enti bilaterali, l’ispettorato del lavoro e le Province, le Università private e pubbliche, Ministero del lavoro-Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro; Consigli provinciali dei consulenti del lavoro.
L’istanza di avvio della procedura, sottoscritta da entrambe le parti è rivolta a ottenere un atto di certificazione, ossia un atto amministrativo col quale l’organo adito certifica la qualificazione del contratto è corretta, e quello sottoposto a esame è un contratto di collaborazione (esempio). Il procedimento deve concludersi entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza-
L’atto di certificazione, motivato, attesta la verità giuridica della qualificazione, anche verso terzi, sino a quando non venga accolto un ricorso giurisprudenziale.
Gli effetti dell’accertamento si producono dal momento di inizio del contratto.
L’impugnazione giudiziale avverso una certificazione può prendere due strade:
3. Ricorso al giudice amministrativo
4. Ricorso al giudice ordinario del lavoro per sostenere l’erroneità giuridica della qualificazione; o che il rapporto si è svolto in modo difforme dal programma negoziale concordato; o che il consenso di una delle parti era affetto da vizi (errore, violenza morale, dolo).
L’art. 30 l. 183/2010 «nella qualificazione del contratto di lavoro» il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazioni «salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione».
A cioè si aggiunge la facoltà di impugnare la certificazione perché affetta da errore.
Il vero effetto preclusivo si manifesta nei confronti di terzi, come gli enti previdenziali (INPS, INAIL) e ispettivi (Isp. Lavoro), che non possono adottare provvedimenti amministrativi che presuppongano una qualificazione del contratto diversa da quella certificata.
Chiunque presenti ricorso giurisprudenziale contro la certificazione deve previamente rivolgersi alla
commissione che ha adottato l’atto certificato, per svolgervi un tentativo obbligatorio di conciliazione.
Nell’ordinamento affiora anche un impiego diverso, quale strumento di assistenza all’autonomia individuale
a fini derogatori anche in peggio della disciplina legale.