MARCO PALMIERI
XXXXX XXXXXXXX
LA PARTECIPAZIONE ESTERNA ALLE SOCIETÀ DI CAPITALI
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Quaderni di
GIURISPRUDENZA COMMERCIALE
Sezione non inclusa
INTRODUZIONE
Prendendo spunto dalla sua accezione più rilevante, ovvero quella contenuta nell’art. 2247 c.c. (1), la società può essere definita quale il risultato dell’esecuzione del contratto con il quale i soci decidono i confe- rimenti da effettuare al fine di dotare un autonomo centro di imputazione giuridica dei mezzi necessari per conseguire, e successivamente suddivi- dere, gli utili sperati dall’esercizio in comune di un’attività economica (2). Riletta oggigiorno la norma offre il fianco a numerose precisazioni che nascono dall’esigenza di descrivere le radicali innovazioni che ha subito il negozio societario nel corso degli anni. La possibile perdita di ogni inte- resse egoistico (3) a favore dell’adozione di differenti scopi sociali (4),
(1) Per un esame della norma e della modifica operata dall’art. 1, d.lgs. 3 marzo 1993,
n. 88, alla rubrica, che non rinvia più al termine « nozione », ma al più generico « contratto di società », anche al fine di comporre un migliore raccordo con la disciplina delle cooperative e delle mutue assicuratrici ex artt. 2511 ss. e 2546 ss. c.c., nonché delle società consortili ex art. 2615-ter cc. (disposizione introdotta già dall’art. 4, l. 10 maggio 1976, n. 377), v. X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, Cenni introduttivi sul contratto di società, in Società di persone e consorzi, in Trattato di diritto commerciale, III, Padova, CEDAM, 2004, 9.
(2) Sulla centralità di quest’ultimo elemento v., anche in un’ottica comparatistica, X. XXXXXXXX, La riforma delle società di capitali, Padova, CEDAM, 2003, 214 ss. Sottolinea la centralità dell’aspetto del finanziamento — sotto forma di conferimento dei soci ex art. 2247
c.c. — per l’impresa societaria X. XXXXX XX., Brevi osservazioni in tema di impresa e società, in Le operazioni di finanziamento alle imprese, a cura di Xxxxxx, Torino, Giappichelli, 2010, 7 s., e in precedenza, in termini di investimento, ID., Investimento e conferimento, Milano, Xxxxxxx, 2001, 31 ss.; sul punto v. anche C. FOIS, L’autonomia statutaria e i suoi limiti, in Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, a cura di Xxxx, Padova, CEDAM, 2004, 137.
(3) Cfr. in tal senso X. XXXXXXX, La professionalità dell’imprenditore, Padova, CEDAM, 1948, 76 ss., e per un’accesa critica X. XXXXXXXX, Studi di diritto delle società, Milano, Xxxxxxx, 1958, 3 ss., che vedeva la società dotata di un proprio interesse al lucro. In quest’ultimo senso anche X. XXXXXXXXX, Lezioni di diritto commerciale. Introduzione, Milano, Xxxxxxx, 1954, 155. Per l’evoluzione a favore dell’assenza dello scopo egoistico v. l’analisi contenuta in AA. VV., Casi e materiali di diritto commerciale, Società per azioni, I, Milano, Xxxxxxx, 1974, 8 ss., ove si riconosce che il profitto è un elemento naturale, ma non necessario.
(4) Il riferimento, oltre al fenomeno delle c.d. società pubbliche, è al modello dell’im- presa sociale, che può assumere qualsiasi forma societaria ai sensi dell’art. 1, comma 1, d.lgs.
24 marzo 2006, n. 155. Per un esame delle prime e della relativa (caotica) evoluzione normativa v., ex multis, M. S. XXXXXXXX, Le imprese pubbliche in Italia, in Riv. soc., 1958, 227 ss.; X. XXXXXXX, La privatizzazione delle imprese pubbliche, Milano, Xxxxxxx, 1996, 11 ss.; X. XXXXXXX, Le società « pubbliche » nel codice civile, in Società, 2005, 427 ss.; A. ZIROLDI, Le società a partecipazione pubblica tra privatizzazione formale, privatizzazione sostanziale e resistenze al mercato, in Studi in tema di società a partecipazione pubblica, a cura di
2 LA PARTECIPAZIONE ESTERNA ALLE SOCIETÀ DI CAPITALI
l’accettazione della volontà costitutiva del singolo quale “socio di se stesso” (5), la progressiva e crescente importanza del finanziamento esterno
o anche dell’approvvigionamento di beni e servizi (6), ampliata dalla possibilità di costituire s.r.l. sostanzialmente prive di capitale sociale (7),
Cammelli e Xxxxxx, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2008, 17 ss.; C. IBBA, Le società a partecipazione pubblica: tipologia e discipline, in Le società “pubbliche”, a cura di Xxxx, Malaguti e Xxxxxxx, Torino, Giappichelli, 2011, 1 ss.; ID., Tramonto delle partecipazioni pubbliche?, in AA. VV., Studi in ricordo di Xxxx Xxxxxx Xxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 2011, 353 ss. Per un esame dell’impresa sociale cfr. le analisi contenute in Giur. comm., 2006, VI, di X. XXXXXXXXX, Può esistere un’impresa sociale?, 833 ss., X. XXXXXXXX XXXXXXXX, Impresa sociale e responsabilità limitata, 849 ss., e R. COSTI, L’impresa sociale: prime annotazioni esegetiche, 860 ss.; più recentemente X. XXXXXXX, L’impresa sociale, in Riv. dir. comm., 2009, I, 49 ss.
(5) Sull’evoluzione della disciplina della società unipersonale v., ex multis, Cfr. X. XXXXXXXX, Società di socio unico, in Dig. disc. priv., sez. comm., XIV, Torino, UTET, 1999, 213; X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, Le società di persone, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Xxxxxxx, III, Padova, CEDAM, 2004, 36; A. XXXXX, Le nuove frontiere della unipersonalità societaria: Xxxxxxx non divorerà più i suoi figli?, in Liber Amicorum G. F. Campobasso, a cura di Abbadessa e Portale, Torino, UTET, 2006, I, 338 ss.; G. OPPO, Le grandi opzioni della riforma e la società per azioni, in Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, a cura di Xxxx, Padova, CEDAM, 2004, 9 ss.; X. XXXXXXX, La società unipersonale: una parabola normativa, Milano, Xxxxxxx, 2012, 3 ss.; I. CAPELLI, La società con un solo socio, Padova, CEDAM, 2012, 26 ss. e 45 ss.
(6) Si pensi all’aumentare dei modelli di titoli di finanziamento tipici previsti per la società quali quelli descritti dagli artt. 2346, comma 6, 2349, comma 2, 2411, comma 3, 2447-ter, comma 1, lett. e, 2483, 2526, comma 1, c.c. Sul punto v., ex multis, X. XXXXXXXXX, Struttura finanziaria e governo nelle società di capitali, Bologna, Il Mulino, 2001, 57 ss.; X. XXXXXXX, La struttura finanziaria delle società di capitali nella prospettiva della riforma, in Riv. dir. comm., 2002, I, 136 ss.; P. GROSSO, Le categorie di azioni e gli strumenti finanziari non azionari, in La riforma delle società, a cura di Xxxxxxxxx, Torino, Giappichelli, 2003, 130 ss.;
X. XXXXXXXXX, Le operazioni sul capitale nella società a responsabilità limitata, in La nuova disciplina della società responsabilità limitata, a cura di Xxxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 2003, 276 ss.; X. XXXX, Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, Milano, Xxxxxxx, 2006, 1 ss.;
X. XXXXXXXX, Investimenti e finanziamenti nelle società di capitali, Torino, Giappichelli, 2008, 10 ss.; M. ONZA, L’apporto di opera e servizi nelle società di capitali, Padova, CEDAM, 2008, 5 ss. Più in generale, sulla difficoltà a ricondurre all’unitaria definizione dell’art. 2247 c.c. i modelli delle società di persone e di capitali v. X. XXXXXXXX, La riforma delle società di capitali, op. cit., 52.; G. OPPO, Le grandi opzioni della riforma e la società per azioni, op. cit., 26, che parla di « struttura imprenditoriale aperta »; più recentemente sul punto X. XXXXX, Voice dei non soci, soci senza voice e concezione contrattuale della società per azioni, in Riv. dir. civ., 2015, II, 480 ss.
(7) Il riferimento è al modello delle s.r.l. « semplificate » di cui all’art. 2463-bis c.c. introdotto dall’art. 3, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, inizialmente a favore dei soli soci persone fisiche di età inferiore ai trentacinque anni, poi esteso a tutte le persone fisiche senza limiti anagrafici dall’art. 44, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, che ha affiancato il modello della s.r.l. « a capitale ridotto », per poi rimuoverlo con il d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013, n. 99. Per un esame delle diverse discipline, nonché della normativa in tema di start-up innovative introdotte con
d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, cfr. X. XXXXXXXXX, Srl ordinaria, Srl semplificata e start-up innovative costituite sotto forma di Srl: quali vantaggi da una destrutturazione del diritto societario?, in Banca, impr., soc., 2013, III, 390 ss.; X. XXXXX, Le start up innovative in forma di società a responsabilità limitata. Profili privatistici, in Società, banche e crisi di impresa, Liber Amicorum Xxxxxx Xxxxxxxxx, a cura di Campobasso, Xxxxxxxx, Di Xxxxxxx, Xxxxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Torino, UTET, 2014, II, 1705 ss.; X. XXXXX JR., Le società a responsabilità limitata semplificata e la società a capitale ridotto, in op. ult. cit., 1727 ss.; X. XXXXXXXX, Le società a responsabilità a capitale ridotto e semplificata, in op. ult. cit., II, 1841 ss.; X. X. XXXXXX, Le s.r.l. con capitale ridotto
INTRODUZIONE
sono solo alcuni dei principali elementi che rendono la definizione codici- stica sempre più parziale e incompleta (8).
Se i primi due punti evidenziati sono frutto di scelte legislative, l’ultimo dato attiene, invece, a una caratteristica che trae origine dalla
naturale evoluzione dell’economia. Le attività produttive e, a fortiori, quelle che rivestono carattere di impresa, anche se condotte individual- mente, si sviluppano e crescono prevalentemente grazie agli apporti lavo- rativi e finanziari di terzi (9). Tanto fra le s.p.a. che accedono al mercato dei
(semplificate e non semplificate), in op. ult. cit., II, 1869 ss. La sostanziale perdita del valore “organizzativo” del capitale sociale indurrà, ovviamente, a una maggiore attenzione alla tutela del patrimonio effettivo su base negoziale: sul punto, ex multis, X. XXXXXXXXX, Disciplina del capitale, organizzazione del patrimonio, « corretto » finanziamento della società e tutela dei creditori, in Società, banche e crisi di impresa, Liber Amicorum Xxxxxx Xxxxxxxxx, a cura di Campobasso, Xxxxxxxx, Di Xxxxxxx, Xxxxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Torino, UTET, 2014, I, 495 ss.
(8) La necessità di introdurre l’istituto del capitale sociale era sorta nel corso del XIX secolo, come ricordava già L. MOSSA, Società per azioni, in Trattato del nuovo diritto commerciale, IV, Padova, CEDAM, 1957, 231, nt. 1. Per un approfondimento v. G. B. PORTALE, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Riv. soc., 1991, 9 ss. In merito al dibattito italiano circa l’utilità del ruolo del capitale sociale nella difesa dei creditori,
v. X. XXXXXXXX, X. X. XXXXX, Raccolta del capitale di rischio e tutela dei creditori: una critica radicale alle regole europee sul capitale sociale, in Riv. soc., 2002, I, 78 ss.; X. XXXXXXX, A che serve il capitale (piccole glosse a X. Xxxxxxxx-X.X. Xxxxx, Creditors versus Capital Formation: The Case against the European Legal Capital Rules), in Giur. comm., 2002, V, 585 ss.; X. XXXXXXXX, Capitale sociale, informazione contabile e sistema del netto: una risposta a Xxxxxxxxx Xxxxxxx, in Giur. comm., 2005, V, 607 ss.; X. XXXXXXX, Le funzioni distributive del capitale, in Giur. comm., 2006, III, 489 ss.; E. GINEVRA, Oltre il capitale sociale? Spunti per la ripresa del dibattito sulla riforma della struttura finanziaria delle società di capitali, in La struttura finanziaria e i bilanci delle società di capitali, Studi in onore di Xxxxxxxx X. Colombo, Torino, UTET, 2011, 9 ss. Per una critica dell’istituto un punto di vista della dottrina britannica v. X. X. XXXXXX, Xxxxx and Xxxxxx’ principles of modern company law, Londra, Sweet&Maxwell, 2008, 2623 ss., nonché a favore dell’abbandono dell’istituto del capitale sociale, visto quale effetto di una « path dependence », X. XXXXXX, The rules of capital rules under pressure of the securities markets, in Capital markets and company law, a cura di Hopt e Wymeersch, Oxford, OUP, 2003, 105 s. Più recentemente, anche analizzando il dibattito estero, conseguente alle note pronunce “Centros”, “Überseering” e “Inspire Art” (delle quali per un’analisi v., ex multis, F. M. MUCCIARELLI, Società di capitali, trasferimento all’estero della sede sociale e arbitraggi normativi, Milano, Xxxxxxx, 2010, passim), v. X. XXXXXXXXX, Srl ordinaria, Srl semplificata e start-up innovative costituite sotto forma di Srl: quali vantaggi da una destrutturazione del diritto societario?, op. cit., 391 ss. In questa direzione occorre richiamare anche la riduzione del capitale sociale minimo delle s.p.a. a E
50.000 attuata dal d.l. 24 giugno 2014, n. 91, conv. con mod. da l. 11 agosto 2014, n. 116 (comunque superiore alla soglia fissata dal legislatore comunitario a mezzo della direttiva 2012/30/UE del 25 ottobre 2012, che prevede un capitale minimo di E 25.000).
(9) « The typical business unit of the 19th century was owned by individuals or small groups; was managed by them or their appointees; and was, in the main, limited in size by the personal wealth of the individuals in control. These units have been supplanted in ever greater measure by great aggregations in which tens and even hundreds of thousands of workers and property worth hundreds of millions of dollars, belonging to tens or even hundreds of thousands of individuals, are combined through the corporate mechanism into a single producing organization under unified control and management »: così rilevavano, nella loro celebre analisi, X. X. XXXXX, G. C. MEANS, The Modern Corporation and Private Property, New York, Transaction Publishers, 1932, 2 s., in merito alle « quasi-public corporations » norda- mericane. Sottolinea l’importanza del finanziamento nelle s.p.a., tale da incidere sullo stesso
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capitali di rischio, quanto fra le realtà aziendali di medio-piccola dimen- sione che affollano il nostro Paese (10), è, difatti, raro trovare società in cui i conferimenti di beni e le prestazioni di servizi effettuati dai soci riescano a supplire da soli le necessità operative dell’impresa, anche solo nella c.d. fase di start-up (11).
Accanto al contratto di società si affacciano così altri contratti in cui dei “non soci” mettono a disposizione quanto si renda necessario per lo svolgimento della attività economica (12), prendendo parte indirettamente ai rischi e ai guadagni (13), oppure, qualora decidano di condividere più intensamente l’andamento dell’impresa (o quantomeno l’esercizio di uno o più affari perseguiti dalla stessa) (14), esponendo ex contractu il
concetto dell’interesse sociale X. XXXXXXXXXX, Finanziamento della società per azioni e interesse della società, in Riv. soc., 2006, 679 ss. e 686 ss. La modifica degli interessi e assetti aziendali giustifica anche l’indebolimento dell’organo assembleare perseguito dal disegno di riforma del diritto societario contenuto nel d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. In tal senso v. E. XXXXXXX, L’ingerenza nella gestione delle società di capitali: fra “atti” e “attività”, Milano, Xxxxxxx, 2012, 1 ss. e 239 ss., che evidenzia anche la centralità dell’organo amministrativo ai sensi dell’art. 2380-bis c.c. Per un’analisi delle differenti fonti tipiche di approvvigionamento finanziario in base all’attività svolta dall’impresa v. T. DI XXXXXXXX, Flussi di risorse e finanziamento dell’impresa, Milano, Xxxxxxx, 2010, 57 ss.
(10) Cfr. sui motivi di una simile diffusione di tale modello produttivo X. XXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXXXX, X. X. PACCES, S. TRENTO, Proprietà e controllo delle imprese in Italia, Il Bologna, Mulino, 2005, 17 ss.
(11) Anche a fronte del beneficio che deriva dalla deducibilità degli interessi debitori, che rendono vantaggioso un finanziamento a credito dell’impresa. Sul punto v. il celebre ripensamento di X. X. XXXXXX, X. XXXXXXXXXX, Income taxes and the cost of capital: a correction, in Amer. Econ. Rev., 1963, III, 433 ss., al loro precedente lavoro X. XXXXXXXXXX, M.
H. XXXXXX, The cost of capital, corporation finance and the theory of investment, in Amer. Econ. Rev., 1958, III, 261 ss. Per un’analisi sul punto v., ex multis, A. XXXXXXXXX, Finanza Aziendale, Milano, Apogeo, 2006, 335 s.
(12) Cfr. in tal senso già X. XXXXXXXXX, Il « sistema » italiano di finanziamento delle imprese, in AA. VV., Il finanziamento delle imprese, Milano, Xxxxxxx, 1977, 36 s., che evidenziava come il finanziamento bancario e il t.f.r. dei lavoratori fossero i due principali canali di finanziamento delle imprese.
su un campione di 1.829 imprese da L. STANCA, Imprese italiane e ricorso al mercato del debito: i corporate bond, in Ilmercatodeicorporatebondin Italia, a cura di Pinardi, Milano, Egea, 2003, 124 ss.; sul punto cfr. anche X. XXXX, X. XXXXXXXXXXX, PMI, rapporticonifinanziatoriecomplessità di impresa, in Banca, impr., soc., 2006, II, 293 ss.; X. XXXXXXXXXX, Banca e impresa in Italia: caratteri evolutivi del relationship lending e sostegno dello sviluppo, in Banca, impr., soc., 2007, I, 50 s. In toni apparentemente dubitativi v. X. XXXXXXXXXX, Business covenants e governo della società finanziata, Milano, Xxxxxxx, 2013, 49 s.
(14) Il riferimento è ai patrimoni e finanziamenti destinati allo svolgimento di un singolo affare ex artt. 2447-bis e 2447-decies c.c. introdotti dal legislatore del 2003 quale ulteriore strumento per il finanziamento delle s.p.a. Per un’analisi, ex multis, C. BRESCIA MORRA, Finanziamento e partecipazione all’impresa, op. cit., 96 ss.; X. XXXXXXXXX, La funzione di garanzia dei patrimoni destinati, Milano, Xxxxxxx, 2010, 251 ss.; T. DI XXXXXXXX, Flussi di risorse e finanziamento dell’impresa, op. cit., 413 ss. e 453 ss.
(13) Le dimensioni limitate delle aziende danno adito al fenomeno del c.d. bancocen- trismo, ovvero alla dipendenza delle imprese dal credito bancario. Il fenomeno è noto da tempo: cfr., ex multis, le considerazioni svolte in X. XXXXXXXXX, Il « sistema » italiano di finanziamento delle imprese, op. cit., 40 ss., che analizza anche le cause della « bancarizzazione » dell’economia nazionale. Per un’analisi più recente C. BRESCIA MORRA, Finanziamento e partecipazione al- l’impresa, Xxxxxx, XXX, 0000, 31 ss. Per averne un riscontro v. la significativa analisi condotta
Termine estratto capitolo
Capitolo I
LA PARTECIPAZIONE IN SENSO ECONOMICO
SOMMARIO: 1. Il duplice significato di partecipazione in ambito giuridico. — 2. Una prima ricognizione in merito al concetto di partecipazione economica: il binomio partecipazione-credito alla luce del rischio di insolvenza della società. — 3. I partecipi economici privi di un credito: il caso delle esternalità; i concetti di partem capere in astratto e in concreto. — 4. Le partecipazioni economiche di tipo indiretto. — 5. Por- tatori di un interesse economico e partecipi economici: la necessità di una distinzione.
— 6. L’interesse quale prerequisito del concetto di partecipazione. — 7. Segue: l’auto- nomia del concetto di interesse rispetto a quello di partecipazione. — 8. La partecipa- zione economica in senso negativo: la ricerca di un’efficienza ideale negli interventi correttivi intrapresi dal legislatore. — 9. Segue: l’equivalenza del respingimento delle pretese di partem capere in senso astratto e concreto dal punto di vista del partecipe economico. — 10. Il concetto di partecipazione economica: sua estensione e delimita- zione. — 11. La partecipazione economica dei soci: a) la corresponsione dei dividendi.
— 12. Segue: b) il pagamento del residuo attivo di liquidazione. — 13. Un breve riepilogo.
1. Il duplice significato di partecipazione in ambito giuridico.
Il tentativo di introdurre nel dibattito del diritto societario riformato un’espressione che appartiene più ad altri ambiti della scienza giuridica (1) può sembrare uno sforzo pretenzioso, e forse, in parte, così è (2). Tuttavia, l’esigenza di individuare un concetto che riesca a descrivere alcune delle nuove direttrici tracciate dal legislatore e, ancor prima, dal mercato, sembra giustificare la decisione presa. L’obbiettivo, come anticipato, è quello di verificare se si possa suggerire un nuovo punto prospettico dal quale guardare al complesso fenomeno dell’amministrazione della società,
(1) Il riferimento è svolto, ovviamente, alla figura dell’extraneus nei reati associativi ex
art. 117 c.p.
(2) La relatività del concetto di partecipazione sociale, in quanto concetto giuridico legato all’evoluzione dell’ordinamento, è evidenziata da X. XXXXXXX, Partecipazione sociale e attività di impresa, op. cit., 1 ss. La difficoltà di vedere incorporata la partecipazione azionaria in un titolo di un credito era evidenziata, in precedenza, anche da F. D’XXXXXXXXXX, « Fatti- specie » e « disciplina » del titolo azionario, in Riv. dir. civ., 1971, I, 501 ss., e ora in Scritti di Xxxxxxxx d’Xxxxxxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 1997, I, 168 ss. e nt. 6, ove si pone in evidenza l’impossibilità di ricondurre ad unità le molteplici situazioni soggettive vissute dall’azionista, anche per la variabilità degli elementi che la compongono, destinati a mutare « a seconda del momento e del punto di vista ».
22 LA PARTECIPAZIONE ESTERNA ALLE SOCIETÀ DI CAPITALI
in particolare in direzione di quelle compagini alle quali l’ordinamento offre la finzione di essere considerate dei soggetti giuridici distinti dai soci che le compongono. Rispetto ad esse, infatti, la “partecipazione esterna”, ovvero la partecipazione alla gestione della società da parte di terzi privi di diritti amministrativi, appare un fenomeno sempre più presente e impor- tante i cui contorni, anche se intriganti, rimangono, però, ancora decisa- mente sfumati (3).
Oltre che dettato da scelte linguistiche confermate dallo stesso legi- slatore nella riforma del 2003 (si pensi agli strumenti finanziari partecipa- tivi ex art. 2346, comma 6, c.c., (4) o all’analoga definizione di partecipa- zione resa dall’art. 1, comma 6-bis, t.u.f., dall’art. 1, comma 2, lett. x-xxxxxx, t.u.b., e dall’art. 1 comma 1, lett. nn, cod. ass.) e nei successivi interventi normativi (il riferimento va ai titoli di partnership (5) introdotti nella definizione di valori mobiliari ex art. 1, comma 1-bis, lett. a, t.u.f., a seguito del recepimento della MiFID, o anche alle disposizioni contenute nei commi 19 ss. dell’art. 32, d.l. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in l. 7 agosto
2012, n. 134, e successivamente modificato dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in l. 17 dicembre 2012, n. 221, che rimodellano la disciplina alle
cambiali finanziarie e delle obbligazioni emettibili dalle società “chiuse”) (6), il ricorso al concetto di partecipazione nella costruzione della
(3) In merito ai significati attribuiti alla partecipazione sociale definita facendo « ri- corso a locuzioni quali “status”, posizione “organizzativa” o “contrattuale”, “universitatis juris” », v., anche per riferimenti dottrinari, X. XXXXXXX, Partecipazione sociale e attività di impresa, op. cit., 10 ss.
(4) Che hanno superato la tradizionale lettura negativa circa l’ammissibilità di titoli emessi in massa oltre alle obbligazioni e le azioni: v. su punto X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari nella società per azioni, Milano, Xxxxxxx, 1957, 99 s.
(5) Con questa espressione si intendono racchiudere i numerosi titoli partecipativi (i
c.d. voting bond previsti dai Corporation Act nordamericani e dall’ordinamento britannico, i titre participatif francesi e le part bénéficiaire belghe, i Genußrechte tedeschi, ecc.): sul punto v., anche per i riferimenti bibliografici, X. XXXX, Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, op. cit., 36 ss. V. anche P. GROSSO, Le categorie di azioni e gli strumenti finanziari non azionari, op. cit., 132 s.; X. XXXXXXXX, L’esperienza delle parts bénéficiaires belghe e gli strumenti finanziari partecipativi di cui all’art. 2346 c.c., in BBTC, 2004, I, 221 ss.; X. XXXXXXXX, Quartum non datur: appunti in tema di “strumenti finanziari partecipativi” in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Italia, op. cit., 166 ss.
(6) Per una lettura critica dell’impatto che la prassi internazionale e la concorrenza dei mercati svolge sull’uniformazione degli ordinamenti v., ex multis, X. XXXXX, Concorrenza, mercati finanziari e diritto societario, in Riv. soc., 1999, 1317 ss.; X. X. XXXXXXX, Strumenti finanziari, corporate governance e diritto internazionale privato tra disciplina dei mercati finanziari e ordinamenti nazionali, in Riv. soc., III, 2000, 457 ss.; M. MEGLIANI, Il quadro evolutivo dei mercati finanziari europei nella prospettiva internazionale, in Dir. un. eur., IV, 2001, 726 ss.; X. XXXXXXXX, La riforma delle società di capitali, op. cit., 12 ss.; G. DI LORETO, Diritto societario, mercati finanziari e concorrenza fra ordinamenti. Analisi comparatistica di un’equazione complessa, in Riv. dir. imp., I, 2003, 81 ss.; R. XXXXX, X. XXXXXXXX, Il mercato mobiliare, in Trattato di diritto commerciale, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, CEDAM, 2004, 7 ss. Per un’ulteriore critica alla luce dei crac finanziari occorsi nei primi anni del decennio scorso, cfr. M. ONADO, I risparmiatori e la Cirio: ovvero, pelati alla meta, in Mercato, concorrenza e regole, III, 2003, 527 ss.; X. XXXXXXX, Scandali finanziari e regole di mercato (appunti a margine dei casi Cirio e Parmalat), in Quest. gius., IV, 2004, 569 s.; X. XXXXXXXXX,
LA PARTECIPAZIONE IN SENSO ECONOMICO
nuova categoria proposta (7) appare congeniale, soprattutto, a descrivere il ruolo ambivalente (8) che possono assumere i terzi che entrano in rapporto con l’impresa collettiva, sulla falsariga di chi prende parte alla società “dall’interno”, ovvero, tipicamente, i soci (9).
Per partecipi esterni delle società di capitali possono infatti essere
X.X.X., X. PORTOLANO, Latte, lacrime (da coccodrillo) e sangue (dei risparmiatori), op. cit., 199 s.; X. XXXXXX, Problemi aperti in tema di struttura finanziaria della s.p.a., op. cit., 7. Tali tesi si oppongono alla ormai “classica” lettura positiva circa la concorrenza dei mercati offerta da X. XXXXXX, The Genius of American Corporate Law, Washington, AEI Press, 1993, 48 ss. e 91 ss., la quale si deve notare, oltre a rilevare la preminenza nell’economia nordamericana del ricorso al corporate law del Delaware, indicava come esempio di successo dell’autodisci- plina degli agenti economici il mercato degli Eurobond. L’apertura al mercato finanziario, dettata dal restringimento del tradizionale canale di finanziamento bancario, è alla base dell’intervento operato dal c.d. Decreto Sviluppo 2012, per una cui analisi si rinvia, ex multis, a X. XXXXXXXX, Gli strumenti di finanziamento delle imprese nelle recenti misure per lo sviluppo economico, con particolare riferimento alla s.r.l., in Società, banche e crisi di impresa, Liber Amicorum Xxxxxx Xxxxxxxxx, a cura di Campobasso, Xxxxxxxx, Di Xxxxxxx, Xxxxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Torino, UTET, 2014, I, 663 ss.
(7) Una conferma alla lettura proposta sembra trovarsi anche nell’etimologia della
parola partecipe, da cui derivano lo stesso verbo partecipare e i lemmi ad esso connessi. Part ceps è, infatti, il costrutto della parola pars e della radice del perfetto del verbo càpere: ovvero, nella traduzione più aderente, colui che ha preso parte o colui che ha preso una parte, se si oggettivizza il significato della prima parola. Sul punto v. anche G. C. M. RIVOLTA, La partecipazione sociale, op. cit., 2, nt. 3. Si noti che in latino l’azione del partecipare può essere tradotta da due verbi particolarmente evocativi nello studio del diritto societario: intersum,
-es, interfui, interesse, e comm n co, -as, - vi, tum, -are. Se il primo ben rappresenta l’idea originaria dell’essere in mezzo, ovvero il far parte assieme ad altri (in termini simili v. X. XXXXXXXX, Il conflitto di interessi degli amministratori di società per azioni, Milano, Xxxxxxx, 2000, 146), il secondo ha come prima traduzione il significato di rendere comune, di condividere. La trasposizione nella vulgata ha fatto perdere ai termini l’uso primigenio, finendo per attribuirvi dei significati differenti che, nella logica della corporate governance, possono apparire contrapposti (si pensi al conflitto di interesse dell’amministratore e all’ob- bligo di comunicazione dettato dall’art. 2391, comma 1, c.c. e, in tono minore, al parallelo conflitto di interesse del socio ex art. 2373 c.c.).
(8) Al concetto di « doppia anima » in riferimento al « connotato della partecipatività » fa riferimento X. XXXX, Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, op. cit., 32 e — alla luce dell’analisi degli ordinamenti esteri — 47 s. In termini analoghi X. XXXXX, Gli strumenti finanziari partecipativi, in Le operazioni di finanziamento alle imprese, a cura di Xxxxxx, Torino, Giappichelli, 2010, 381 s. Non sembra declinare il concetto di partecipazione degli strumenti ex art. 2346, comma 6, c.c., in senso amministrativo o economico C. FOIS, L’autonomia statutaria e i suoi limiti, op. cit., 140 s. In merito alla partecipazione, intesa sia in senso amministrativo, sia in senso patrimoniale, quale singola azione v. già X. XXXXXXXX, Xxxxx « inscindibilità » della partecipazione azionaria, op. cit., 112.
(9) In tal senso già A. XXXXXXXX, Diritto delle società, Xxxxxx, Napoli, 1963, 245. Individua una correlazione fra la partecipazione economica e i poteri dei soci « secondo un
rapporto simmetrico, variabile alla sua ampiezza », X. XXXXXXXXX, Attività e comunione nelle strutture societarie, op. cit., 278 ss. Si domanda se si assista a uno sdoppiamento della figura di socio di società per azioni A. XXXXXXXX, Le azioni a voto limitato nella riforma, in Profili patrimoniali e finanziari della riforma, a cura di Montagnani, Milano, Xxxxxxx, 2004, 5. Cfr. sul punto A. PACIELLO, La struttura finanziaria delle società per azioni e tipologia dei titoli rappresentativi del finanziamento, in Riv. dir. comm., I, 2002, 162 ss.; X. XXXXX, Gli strumenti finanziari nelle società per azioni e la raccolta del risparmio tra il pubblico, in Riv. dir. comm., 2005, I, 433 ss.; X. XXXX, Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, op. cit., 32 ss.; A. XXXXXXXXXXXX, La partecipazione non azionaria nelle s.p.a., Milano, Xxxxxxx, 2012, 93 ss.
24 LA PARTECIPAZIONE ESTERNA ALLE SOCIETÀ DI CAPITALI
considerati, in prima approssimazione, tanto i soggetti che ambiscono a condividere i vantaggi dell’impresa collettiva o che sono chiamati a condi- viderne i rischi assieme agli azionisti, ai quotisti e agli ulteriori componenti degli organi sociali, quanto tutti coloro che, al pari di questi ultimi, puntano ad assumere un ruolo di indirizzo, o anche di controllo (10).
Questi aspetti, che nel prosieguo verranno indicati come partecipa- zione economica e partecipazione amministrativa, sono — come è facile comprendere — strettamente interconnessi. Al pari dei soci, anche i terzi partecipi economici della società puntano, difatti, a guidare le scelte gestionali assunte dalla persona giuridica al fine di aumentare, o anche solo di difendere, la proprie aspettative di guadagno.
D’altro canto, l’ampiezza del concetto a cui si è fatto ricorso costitui- sce, evidentemente, anche un forte limite. Potendo assumere una notevole serie di sfumature (11), i due significati del lemma partecipazione risultano essere adottati in numerose occasioni, finendo per esprimere una lunga teoria di soggetti accomunati dal solo fatto di essere entrati in relazione con una qualsiasi organizzazione sociale, appartenente tanto all’ambito del diritto pubblico (12), quanto a quello del diritto privato (13).
Anche volendo limitare l’indagine a quest’ultimo settore della legisla- zione vigente, una facile conferma dell’estrema duttilità del termine inda- gato si può ottenere già dal solo esame della legislazione codicistica, che,
(10) A favore della ricostruzione della partecipazione in termini di rapporto organico con la società v. X. XXXXXXXX, Studi di diritto delle società, op. cit., 42.
(11) Una conseguenza delle modifiche apportate dalla riforma è il venire meno della caratteristica (formale) della partecipazione azionaria del potere di concorrere alla formazione dell’iter decisionale della società, individuata prima della riforma da X. XXXXX. JR., Finanzia- mento dell’impresa e partecipazione sociale, in Riv. dir. comm., 2002, I, 119 ss. Sul punto cfr.
X. XXXXXXXXX, Autonomia negoziale e vincoli di sistema nella emissione di strumenti finan- ziari da parte delle società per azioni e delle cooperative per azioni, in BBTC, 2003, I, 521;
al rischio di impresa.
(12) La più ampia idea del prendere parte ad una formazione sociale di rilevanza pubblica trova espressione già nell’art. 3, comma 2, Cost., ove si prevede l’impegno della Repubblica a garantire l’accesso dei cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese; allo stesso tempo l’art. 75 Cost. adotta il significato amministrativo del verbo partecipare, quale possibile esercizio da parte del singolo di un dato diritto collettivo, riferendosi in tale ambito al diritto al voto referendario.
(13) Sottolinea l’ampiezza di significato dell’espressione strumenti finanziari quale
« pluralità di modelli di partecipazione all’attività sociale » X. XXXX, Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, op. cit., 5. In termini analoghi C. BRESCIA MORRA, Finanziamento e partecipazione all’impresa, op. cit., 104 ss., sulla base dell’analisi dei finanziamenti destinati a uno specifico affare, affermando l’esistenza di « una tendenza evolutiva dell’ordinamento di scindere l’endiadi: partecipazione al rischio e rapporto associativo ».
X. XXXXX. JR., Fattispecie societaria e strumenti finanziari, op. cit., 811 ss.; X. XXXXXXXX, La riforma delle società di capitali, op. cit., 58 ss.; nonché R. COSTI, Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi, in Il nuovo diritto delle società Liber Amicorum G. F. Campobasso, a cura di Abbadessa e Portale, Torino, UTET, 2007, I, 729 ss., che non riconosce nei diritti amministrativi un criterio distintivo fra le azioni e gli strumenti finanziari partecipativi, sulla base della considerazione che il concetto di partecipazione debba essere inteso solo in senso patrimoniale, quale sottoposizione o meno della restituzione del capitale
Termine estratto capitolo
Capitolo II
LA PARTECIPAZIONE IN SENSO AMMINISTRATIVO E LA SUA ACCEZIONE “ESTERNA”
SOMMARIO: 1. La coesistenza di pretese e interessi economici sul patrimonio sociale: le fondamenta del nexus of conflicts. — 2. Il nexus of conflicts e la responsabilità patrimoniale della persona giuridica: l’adozione di strategie difensive da parte dei partecipi economici. — 3. Il nexus of conflicts e i suoi riflessi sull’amministrazione della società di capitali. — 4. Il procedimento decisionale quale strumento di composizione del nexus of conflicts e di perseguimento dell’interesse sociale. — 5. La critica alla teoria dello shareholder value alla luce dell’ampiezza del nexus of conflicts. — 6. La critica alla visione dell’interesse sociale quale perseguimento dello stakeholder value (e della tesi dell’Unternehmen an sich). — 7. L’interesse sociale quale interesse economico collettivo e indiretto dei partecipi economici della società. — 8. L’influenza dei terzi sulla gestione della società: una prima ricognizione delle forme del potere economico degli estranei alla persona giuridica. — 9. La definizione di partecipazione in senso amministrativo alla luce della sua accezione “esterna”. — 10. I differenti gradi di partecipazione in senso amministrativo: un esame della posizione dei partecipi amministrativi “interni”. —
11. Segue: l’iter decisionale e l’influenza dominante che possono esercitare i partecipi amministrativi “interni”; la definizione di controllo societario. — 12. Segue: i limiti del potere dei soci di maggioranza alla luce del concetto di partecipazione amministrativa.
— 13. Un breve riepilogo.
1. La coesistenza di pretese e interessi economici sul patrimonio sociale: le fondamenta del nexus of conflicts.
Per agevolare la definizione del concetto di partecipazione economica (ovvero per porre in luce la dinamica elementare dei passaggi necessari a ottenere il diritto a conseguire l’adempimento di un’obbligazione da una società di capitali o, più in generale, da parte di un qualsiasi debitore), l’analisi finora condotta ha scontato la scelta di privilegiare l’uso di concetti “metagiuridici”, quali quelli di prestazione economica e di pretesa. Come conseguenza di questa semplificazione, necessaria per comprendere i per- corsi decisionali degli organi della persona giuridica e le eventuali inge- renze operate dai terzi, si è deciso, quindi — come anticipato — di trascurare di individuare la natura, contrattuale o extracontrattuale, delle obbligazioni richieste alla società.
L’esigenza di spiegare la portata dell’espressione nexus of conflicts —
jeux des mots derivato dalla rappresentazione del fenomeno societario
96 LA PARTECIPAZIONE ESTERNA ALLE SOCIETÀ DI CAPITALI
quale un nexus of contracts — richiede di mantenere ferma questa sem- plificazione, nonché di prendere in considerazione l’intera moltitudine delle pretese economiche che costantemente si producono nei confronti del patrimonio della persona giuridica, allo scopo di cogliere, all’inizio del terzo capitolo, il motivo dell’omessa distinzione delle fonti delle diverse aspettative (1).
Partendo da questa più ampia prospettiva e in prima approssimazione, si può affermare, pertanto, riproponendo quanto enunciato riguardo ai singoli rapporti economici dapprima esaminati, che accanto a dei terzi che nutrono nei confronti della società un mero interesse verso talune presta- zioni — i c.d. stakeholder — esistono normalmente numerosi altri soggetti animati dalla convinzione (fondata, o meno, su un riconoscimento formale del relativo diritto di credito reso dalla debitrice) di potere ottenere l’adempimento di ulteriori obbligazioni (2).
Per facilitare la comprensione dell’esistenza di queste dinamiche si può ricorrere all’immagine di tre cerchi concentrici, al cui interno possono essere iscritte le pretese che i creditori vantano nei confronti del patrimonio di una data società di capitali (partem capere concreto), quelle che i partecipi economici aspiranti creditori nutrono per il riconoscimento di nuovi diritti di credito (partem capere astratto), nonché, infine, le posizioni di coloro che hanno unicamente un interesse all’esecuzione di ulteriori prestazioni da parte della società. All’interno di questo schema le prime possono essere raggruppate nel sottoinsieme minore (C) (3); le seconde possono essere inserite nella fascia centrale (P); le ultime vanno ad occu- pare il restante spazio disegnato dalla circonferenza maggiore (I).
L’adozione di un simile schema si rivela utile per sottolineare come i concetti di interesse, di partecipazione e di credito nei confronti di una stessa società di capitali si relazionino fra loro in rapporto di genere a specie, a sottospecie. La posizione del creditore, infatti, serba in sé le
(1) Questa impostazione è in parte condivisa dagli Aa. che, partendo dal dato norma- tivo, suggeriscono l’idea che la disciplina della s.p.a. non sia rivolta alla tutela dei soci, ma alla difesa degli interessi dei vari finanziatori. Sul punto cfr. X. XXXXXXXXXX, Finanziamento della società per azioni e interesse della società, op. cit., 679 ss.; C. BRESCIA MORRA, Finanziamento e partecipazione all’impresa, op. cit., 14. La tesi appare criticabile da un punto di vista economico, dato che non considera che la produzione di ricchezza, che è lo scopo intrinseco della società, non necessita solo del finanziamento, ma anche del fattore lavoro, inteso, quantomeno, come capacità organizzativa iniziale dell’attività di impresa.
(2) Si pensi, ad esempio, alle differenti cause (sociale, di mutuo, di associazione in partecipazione, ecc.) che sottostanno ai differenti strumenti di finanziamento dell’impresa, che rendono difficile una ricostruzione unitaria degli stessi e che sembra giustificare una ricostruzione che sostanzialmente prescinda dalla causa sottostante l’operazione di finanzia- mento: sul punto v. C. BRESCIA MORRA, Finanziamento e partecipazione all’impresa, op. cit., passim.
(3) Quest’area potrebbe essere segmentata in ulteriori cerchi concentrici, che potreb- bero rappresentare, partendo dal centro, le posizioni occupate dai creditori privilegiati, dai chirografari, dai creditori subordinati, dai creditori partecipanti, sino a giungere ai soci quali residual claimant per il diritto all’eventuale attivo di liquidazione.
LA PARTECIPAZIONE IN SENSO AMMINISTRATIVO
caratteristiche sia del c.d. stakeholder, sia del partecipe economico aspi- rante creditore, dato che il primo, fino a quando non consegue l’adempi- mento o subisce l’inadempimento dell’obbligazione (4), mantiene — come visto — la convinzione di potere forzare la debitrice all’esecuzione della prestazione verso cui nutre interesse, almeno sino a quando la stessa sia possibile ed economicamente conveniente.
Questa tassonomia consente, inoltre, di rappresentare:
a) come nei confronti di un’unica persona giuridica convergano normalmente molteplici posizioni di interesse, di semplice pretesa e di credito verso talune prestazioni,
b) che le stesse possono fare contemporaneamente capo a identici soggetti (si pensi alla figura del socio finanziatore) (5), nonché, infine,
c) che le medesime possono modificarsi nel tempo (6).
(4) Come si ricorderà, l’ipotesi di un adempimento forzoso non può essere intesa rappresentare un’ipotesi di esecuzione della medesima prestazione, bensì l’esecuzione di una prestazione ulteriore, non identificabile con la prima, anche qualora la sentenza di condanna sia emessa in forma specifica: il creditore si attende, infatti, l’adempimento dell’obbligazione promessa e un suo inadempimento rimediato in toto in sede giudiziale a mezzo di un’attua- zione coattiva, in forma specifica o generica, non può essere ritenuto, né da un punto di vista giuridico, né da un punto di vista sostanziale, equivalente ad un adempimento spontaneo della prestazione, dando luogo a una nuova prestazione differente dalla prima.
(5) Graficamente tali posizioni potrebbero essere contraddistinte assegnando a ciascun punto collocato nei tre insiemi una uguale lettera e una progressiva numerazione al fine di distinguere le singole posizioni assunte rispetto al soggetto prestatore (esempio a1, a2, a3, ..., b1, b2, ..., c1, ecc.).
(6) Degli interessi verso talune prestazioni da parte della società potranno divenire delle partecipazioni e quest’ultime, a loro volta, potranno trasformarsi in diritti di credito, oppure retrocedere allo stadio di mero interesse, qualora la persona giuridica decida di respingere la pretesa economica. A quest’ultimo risultato si giungerà anche nell’ipotesi in cui la debitrice non esegua la prestazione promessa, dato che l’inadempimento non farà venire meno l’interesse del potenziale creditore alla prestazione, fintanto che la stessa sia possibile; da ciò può conseguire che se quest’ultimo considera di essere nuovamente capace di indurre il debitore a riconoscergli il diritto alla prestazione (tramite, ad esempio, un accordo transattivo, una sentenza di condanna, ecc.), egli assumerà il ruolo di partecipe innescando nuovamente i passaggi sopra descritti.
98 LA PARTECIPAZIONE ESTERNA ALLE SOCIETÀ DI CAPITALI
Un facile riscontro a quanto affermato si può ottenere richiamando la figura dell’amministratore “indipendente” (7) nominato nelle società che adottano il sistema monistico ai sensi del combinato degli artt. 2399, comma 1, e 2409-septiesdecies, comma 2, c.c., oppure eletto dai possessori degli strumenti finanziari partecipativi ai sensi dell’art. 2351, comma 4,
c.c. (8), o all’interno delle società quotate ai sensi degli artt. 147-quater, comma 4, e 148, comma 3, t.u.f. In tutti questi casi il manager riveste contemporaneamente il ruolo di creditore della retribuzione per la parte di incarico già svolta (pretesa concreta di partem capere), di partecipe eco- nomico per il pagamento del lavoro che presterà in futuro, se egli non verrà nel frattempo revocato in presenza di una giusta causa (pretesa astratta di
s.p.a., in op. ult. cit., 753 s.
(8) Sulla differente lettura dell’indipendenza degli amministratori nominati ai sensi dell’art. 2351, comma 5, c.c. in particolare rispetto alla base sociale x. X. XXXXXX XXXXXXXXXXXX, Xxxxxx ed altri strumenti finanziari partecipativi, in Riv. soc., 2003, II, 1298 ss.; X. XXXXXXX, Strumenti finanziari “partecipativi” e diritti amministrativi nella società per azioni, in Riv. dir. comm., 2005, I, 400 s.; X. XXXX, Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, op. cit., 111.; X. XXXXX, Gli strumenti finanziari partecipativi, op. cit., 399; A. XXXXXXXXXXXX, La partecipazione non azionaria nelle s.p.a., op. cit., 269 ss. Suggerisce che l’amministratore indipendente, qualora sia adottato il sistema monistico, debba essere inteso necessariamente quale un componente del comitato di controllo sulla gestione X. XXXXXXXXX, L’amministrazione e i controlli nella società per azioni, in La riforma delle società, a cura di Xxxxxxxxx, Torino, Giappichelli, 2003, 61. Su una sostanziale identità dell’indipendenza richiesta a sindaci, amministratori e revisori contabili, v. G. TANTINI, L’indipendenza dei sindaci, op. cit., 42 ss.
(7) Considerato, in tono apparentemente critico, quale uno degli « slogan nel dibattito sulla riforma del diritto della società » da X. XXXXXXXX, La riforma delle società di capitali, op. cit., 8. Sul punto v. G. TANTINI, L’indipendenza dei sindaci, Padova, CEDAM, 2010, 22 ss. e 38 ss., il quale, nel tentativo di ravvisare un significato “in positivo” del termine indipendenza (ossia non desumibile, per sottrazione, dalle previsioni negative contenute nell’art. 2399 c.c.), suggerisce di considerare l’ultima parte dell’art. 2399, comma 3, lett. c, come norma generale e di chiusura, lasciando alla giurisprudenza il compito di valutare se esistono « rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza ». In tale direzione sembra muo- versi anche il legislatore comunitario, quale, al § 13.1 della Raccomandazione 2005/162/CE del 15 febbraio 2005 sul ruolo degli amministratori senza incarichi esecutivi o dei membri del consiglio di sorveglianza delle società quotate e sui comitati del consiglio d’amministrazione o di sorveglianza, suggerisce di considerare come indipendente l’amministratore libero da relazioni professionali, familiari o di altro genere con la società, il suo azionista di controllo o con i dirigenti di entrambi, che creino un conflitto di interessi tale da poter influenzare il suo giudizio. Pur lasciando ai singoli ordinamenti la scelta se predeterminare il contenuto specifico delle situazioni di dipendenza, data l’ampiezza della formulazione impiegata dalla Commis- sione Europea sembra, inevitabilmente chiedere ai legislatori nazionali di prevedere una norma di chiusura, che esalti il ruolo della giurisprudenza. Sulla difficoltà di definire il concetto di indipendenza v. X. XXXXX-XXXXX, Indipendente... da chi?; da cosa?, in Riv. soc., 2008, 207 ss.; D. REGOLI, Gli amministratori indipendenti tra fonti private e fonti pubbliche statali, in Riv. soc., 2008, 393; ID., Gli amministratori indipendenti, in Il nuovo diritto delle società Liber Amicorum G. F. Campobasso, a cura di Abbadessa e Portale, Torino, UTET, 2007, II, 407 s. Sul tema del loro compenso v. E. RIMINI, La remunerazione degli ammini- stratori indipendenti: prime osservazioni e qualche suggerimento operativo, in AA. VV., Studi in ricordo di Xxxx Xxxxxx Xxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 2011, 508 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Il principio di ragionevolezza nella remunerazione degli amministratori, in Il nuovo diritto delle società Liber Amicorum G. F. Campobasso, a cura di Abbadessa e Portale, Torino, UTET, 2007, II, 361 ss. Critica la presupposta indipendenza degli amministratori nominati ai sensi dell’art. 2351, comma 5, c.c., X. XXXX, Investitori non azionisti e diritti amministrativi nella « nuova »
Termine estratto capitolo
Capitolo III
IL PARTECIPE “ESTERNO” E GLI INDICI DELL’ATTUAZIONE DEL SUO CONTROLLO SULLA SOCIETÀ
SOMMARIO: 1. Il parallelo fra la partecipazione amministrativa “esterna” e quella “interna”. —
2. Segue: la partecipazione “esterna” in rapporto con l’interesse sociale: il controllo della società da parte dei terzi e i limiti della definizione resa dall’art. 2359, comma 1, n. 3,
c.c. — 3. L’inquadramento degli indici dell’attuazione del controllo da parte del partecipe “esterno”: l’importanza delle soluzioni al nexus of conflicts. — 4. L’attuazione di un controllo da parte del “creditore forte”. — 5. L’attuazione di un controllo da parte del “debitore forte”. — 6. Un possibile riscontro circa l’utilità degli indici del controllo del partecipe “esterno”: una breve rilettura critica dell’art. 67 l. fall. in chiave risarci- toria. — 7. I rimedi ai danni prodotti dall’attuazione del controllo “esterno” e il rapporto con l’attività di direzione e coordinamento ex artt. 2497 c.c. ss.: a) esame dei limiti applicativi. — 8. Segue: b) la rilevanza di un rapporto fra i partecipi amministrativi interni e l’extraneus e l’ipotesi della nascita di una società occulta. — 9. Cenni ad ulteriori possibili ambiti di applicazione degli indici del controllo del partecipe “esterno”: dall’abuso del diritto al controllo non contrattuale.
1. Il parallelo fra la partecipazione amministrativa “esterna” e quella “interna”.
Le classificazioni introdotte in merito al concetto di partecipazione amministrativa (ossia l’interesse a prendere parte all’iter decisionale e i successivi stadi della partecipazione formale e di quella sostanziale) pos- sono essere agevolmente comprese alla luce dei diritti gestionali ricono- sciuti ai componenti degli organi sociali, oppure a favore dei terzi (1). Al contrario, l’adozione di una simile tassonomia appare meno immediata
(1) L’attribuzione a questi ultimi di poteri amministrativi è un fenomeno la cui portata è stata ampliata, come visto, dal tentativo condotto dal legislatore di “internalizzare” in una normale dialettica infrasocietaria le influenze gestionali che, in assenza di specifiche regole procedurali, potevano essere dapprima esercitate da taluni partecipi economici “forti”. Le norme che si sono così approntate, complici anche una loro non frequente adozione e la conseguente limitata prassi applicativa sviluppatasi, coprono solo alcuni dei possibili casi di partecipazioni esterne alla sfera gestionale. Sul punto cfr. X. X. XXXXXXXXXX, The economic institutions of capitalism, op. cit., 302 ss. Sul problema di un’eccessiva apertura del diritto di voto agli investitori non soci, in quanto soggetti non residual claimant, v. ID., Corporate governance, in Yale L. J., 1984, 1210 ss. Sul punto v. anche X. XXXXXXXXXXX, X. XXXXXXX, Voting in corporate law, op. cit., 403 ss.
182
LA PARTECIPAZIONE ESTERNA ALLE SOCIETÀ DI CAPITALI
quando non si rinvenga alcuna previsione legale, statutaria o contrattuale, a cui collegare dei diritti di partecipazione all’iter amministrativo e non vi sia nemmeno l’assunzione di fatto del ruolo di amministratori da parte dei soggetti privi di poteri gestori, ma, più semplicemente, si assista all’eser- cizio da parte di questi ultimi di un’influenza (anche non apparente) sui titolari formali dei diritti amministrativi: ovvero, in altri termini, quando si
scorga il realizzarsi di ciò che si è definito quale una partecipazione amministrativa “esterna” alla società.
Benché i confini di questo fenomeno appaiano più sfumati rispetto a quanto analizzato per la partecipazione dei soci e degli altri soggetti dotati formalmente — o anche solo materialmente, ancorché in via manifesta — di un potere amministrativo, tuttavia, anche in questo ambito, sembra possa trovare piena conferma la tripartizione introdotta all’inizio del precedente capitolo. Anche fra gli stakeholder o i partecipi economici, diretti o indiretti, della società privi di diritti gestionali possono essere individuati, difatti, dei soggetti:
1) interessati unicamente all’esito della procedura decisionale (2);
2) fra di essi alcuni intenzionati a prendere parte al percorso ammini- strativo, a fronte della convinzione di essere in grado — seppure in assenza del riconoscimento di uno specifico diritto — di indirizzare la gestione della società agendo sulla volontà dei partecipi amministrativi interni (parteci- pazione “esterna” formale);
3) infine, alcuni fra questi capaci di ottenere effettivamente un simile risultato, benché esposti al rischio di vedere respinte le proprie istanze sulla base di determinazioni avverse assunte da altri partecipi titolari dei poteri gestionali (partecipazione “esterna” sostanziale).
Un esempio utile a illustrare la predetta suddivisione può rinvenirsi nello sciopero esercitato a oltranza dai lavoratori di una società, allo scopo di ottenere un miglioramento delle condizioni economiche minime previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro. Adottando la distinzione proposta e ipotizzando che i dipendenti agiscano quali degli homines oeconomici, risulta facile rilevare, infatti, che:
a) tutti gli stipendiati avranno interesse a percepire gli incrementi salariali;
b) verosimilmente, tuttavia, solo taluni fra essi saranno disposti a
(2) Ovviamente anche in questo caso vi possono essere dei terzi non interessati a incidere sulle scelte gestionali: si pensi al creditore che vede il proprio credito garantito da un’ipoteca di primo grado su un immobile di valore abbondantemente superiore al proprio credito, il quale potrebbe non avere interesse a forzare la debitrice all’adempimento ritenendo più conveniente la prestazione alternativa offerta dall’eventuale assegnazione del bene in sede di liquidazione o fallimento; oppure al caso del cliente di una società che, sulla base della sola comunicazione del listino dei prodotti della stessa, è partecipe economico in quanto pretende di acquistare gli stessi, ma che non è affatto interessato a ingerirsi nella amministrazione, dato che la società si è dimostrata disposta a vendere le merci a un determinato prezzo.
IL PARTECIPE “ESTERNO”
subire i costi connessi alla astensione dal lavoro (il mancato versamento dello stipendio, il rischio di licenziamento ancorché illegittimo, ecc.), in quanto convinti di essere in grado di forzare il management della società ad accogliere la richiesta dell’aumento salariale (partecipazione “esterna” formale) (3);
c) fra questi potranno dirsi avere realmente indirizzato l’agire della società unicamente coloro che, perseverando nell’astensione e formando una “massa critica” in grado di bloccare l’attività economica condotta dalla persona giuridica, riusciranno a forzare gli amministratori ad accogliere le loro richieste (partecipazione “esterna” sostanziale), sulla base della raffi- gurazione che questi ultimi si daranno del nocumento che subirebbero dalla prosecuzione dello sciopero (ad esempio, il rischio del fallimento della società o di una loro una revoca da parte dei soci a fronte del danno sofferto dall’azienda) (4).
Come anticipato, anche una simile ingerenza dei lavoratori alla sfera gestionale della società corre il rischio di non poter influenzare il processo decisionale, al pari della partecipazione amministrativa “interna” (5).
In primis, occorre considerare, infatti, il pericolo che l’astensione dal lavoro sia portata avanti da un numero insufficiente di lavoratori e che, quindi, la protesta non sia in grado di impoverire il patrimonio sociale sino al punto di porre a repentaglio l’accoglimento delle pretese avanzate sul patrimonio sociale dai partecipi economici titolari dei poteri gestionali: questo timore è assimilabile a quello sofferto dai partecipi amministrativi “interni” in senso formale, che non hanno il potere di guidare autonoma- mente i singoli passaggi dell’iter amministrativo (6).
In secundis, occorre valutare che anche i lavoratori scontano il rischio che l’eventuale assunzione della decisione dell’organo amministrativo, indotta per mezzo dello sciopero, nonché il conseguente partem capere a loro favore possano essere impediti da altri soggetti in grado di modificare la conclusione del processo gestionale, in modo del tutto analogo a quanto
(3) Cfr. sul punto X. XXXXXXXX, The ownership of enterprise, op. cit., 97 ss., che proprio sulla difformità degli interessi dei lavoratori costruisce la critica alle « employee- owned firms ».
(4) I partecipi economici diretti della società e indiretti dei lavoratori potrebbero, difatti, ritenere di subire una perdita dall’astensione dei dipendenti e potrebbero essere indotti così a attuare un percorso decisionale, con la revoca degli amministratori e la nomina di nuovi manager, tesa al conseguimento della prestazione dei lavoratori, anche al costo di accogliere la pretesa di partem capere avanzata da questi ultimi sul patrimonio sociale. Tale esempio sembra possa efficacemente rappresentare la complessità del fenomeno che si è definito come nexus of conflicts.
(5) Sottolinea l’importanza a tal proposito dei lavoratori specializzati e, in particolare, la centralità dei dirigenti contrapposti all’organo amministrativo X. X. XXXXXXXXXX, The economic institutions of capitalism, op. cit., 302 s. e 318 ss.
(6) Come si ricorderà, subisce una simile situazione, ad esempio, il socio che, pur votando, non gode della maggioranza sufficiente ad assumere le delibere assembleari ai sensi degli artt. 2368 e 2369 c.c., oppure le decisioni ex art. 2479 c.c.
184
LA PARTECIPAZIONE ESTERNA ALLE SOCIETÀ DI CAPITALI
sofferto dai partecipi “interni” in senso sostanziale (7). Si immagini, ad esempio, che i soci deliberino di mettere in liquidazione la società a fronte dell’accoglimento da parte del management delle richieste dei lavoratori, ponendo così fine alla possibilità che le pretese economiche di questi ultimi trovino accoglimento in concreto (come si vedrà meglio nel prossimo paragrafo, ciò impedirà agli scioperanti di esercitare un’influenza domi- nante sulla società, caratterizzata dalla contrarietà all’interesse sociale della prestazione chiesta) (8).
La natura complessa dell’incertezza che il partecipe esterno sconta circa la possibilità di vedere realizzato quanto sperato, può essere colta ulteriormente considerando il caso di una banca, concedente un’apertura di credito a favore di una società di capitali “chiusa”, la quale comunichi all’affidata la decisione di effettuare un rialzo del tasso d’interesse, confi- dando nell’accettazione della modifica contrattuale da parte degli ammini- stratori della debitrice a causa dell’esposizione in cui versa quest’ultima, nonché della conseguente difficoltà di trovare delle fonti finanziarie alter- native in tempi brevi in caso di esercizio del diritto di recesso dal rapporto contrattuale ex art. 118, comma 2, t.u.b.
Adottando la classificazione proposta, la speculazione dell’istituto di
credito circa il comportamento del management della finanziata può essere considerata una partecipazione formale “esterna” tesa al controllo della società: oltre a subire il dubbio circa la possibile decisione degli ammini- stratori della finanziata (che potrebbero opporsi all’esercizio dello jus variandi sostenendo, ad esempio, un possibile esercizio abusivo del di- ritto) (9), la banca sconta anche l’ulteriore dubbio che la base sociale, rendendosi disponibile a mettere a disposizione quanto necessario per saldare i prestiti (tramite, ad esempio, un finanziamento dei soci a ciò dedicato, oppure un aumento di capitale o, quantomeno, un versamento
(7) Tale incertezza è subita, ad esempio, dal socio che può vedersi privato del diritto a conseguire la propria frazione di capitale sociale in caso di una riduzione reale a fronte della possibile opposizione dei terzi creditori ai sensi degli artt. 2445, comma 3, c.c. e 2482, comma 2, c.c.
(8) Magari, come purtroppo spesso avviene nella realtà, al fine di ricostituire all’estero l’azienda cessata, sfruttando i vantaggi di un minore costo del lavoro della manodopera locale.
(9) Ove ciò non avvenisse gli amministratori acconsentirebbero alla modifica contrat- tuale per non subire il rischio di un fallimento conseguente all’insolvenza della società che si genererebbe nel caso della restituzione delle somme dovute; si noti che gli amministratori potrebbero anche recedere intenzionalmente dal contratto, qualora ritenessero di non dovere scontare alcun rischio dall’esercizio di azioni di responsabilità ex art. 2476, comma 6, c.c. per l’eventuale insolvenza in cui dovesse andare incontro la persona giuridica.
“in conto capitale”), “imponga” ai manager il recesso dall’apertura di credito nel termine di due mesi concesso dal legislatore a mezzo della minaccia di una loro sostituzione, oppure, più radicalmente, possa decidere
Termine estratto capitolo
CONCLUSIONI
Lungi dal voler costituire una nuova Weltanschauung del diritto societario (come — temo — il lettore possa essere talora stato indotto a sospettare) la tesi presentata mira solamente a essere, se possibile, uno spunto iniziale per l’approfondimento dell’attribuibilità del concetto della partecipazione, in senso economico e amministrativo, ai terzi che si pos- sono relazionare con la persona giuridica, soggetti che, finora, al contrario, appaiono sostanzialmente ignorati tanto dal legislatore, quanto dalla giu- risprudenza.
Per conseguire un simile risultato, si è reso chiaro, tuttavia, sin dalla elaborazione iniziale della ricerca (1), che l’obbiettivo non era raggiungibile se non individuando, quale necessario punto di partenza, il contenuto delle stesse declinazioni del concetto di partecipazione, oltre che del loro natu- rale presupposto comune, ovvero l’interesse del partecipe.
Muovendo, quindi, dalla premessa che compito del giurista — comune a quello dell’economista — consista nel favorire o, quantomeno, nel salvaguardare il raggiungimento delle transazioni che conducano al mi- gliore risultato possibile per il maggiore numero di soggetti, in ottempe- ranza al veduto principio di Xxxxxx-Xxxxx, si è elaborato, anzitutto, un modello di homo oeconomicus più confacente all’esperienza giuridica. In particolare, guardando alle valutazioni rese dalla behavioural law and economics in merito all’oggettiva irrazionalità dell’essere umano, si è immaginato che l’agente economico ideale sia rappresentato da un egoista razionale, incapace, tuttavia, di conoscere ex ante i risultati delle intera- zioni in cui è coinvolto: un soggetto mosso, ovvero, solo dalla speculazione di ottenere il massimo beneficio personale e non dalla materiale certezza del conseguimento, alla quale, comunque, lo stesso si affida piena- mente (2).
Questa costruzione ha condotto a considerare come equivalente la
(1) V. il precedente lavoro, Prolegomeni allo studio del concetto di partecipazione esterna nelle società di capitali, Bologna, Xxxxxx Editrice, 2012, che già contiene buona parte dell’analisi economica del concetto di partecipazione.
(2) A una conclusione molto simile sembra giungere anche X. XXXXXXX, The conquest of happiness, Londra, Xxxxx & Unwyn Limited, 1930, 19: « every external interest inspires some activity which, so long as the interest remains alive, is a complete preventive of ennui ».
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LA PARTECIPAZIONE ESTERNA ALLE SOCIETÀ DI CAPITALI
perdita percepita dal partecipe economico tanto nel caso egli non ottenga quanto sperato, quanto nel caso egli, pur avendo maturato un accoglimento formale della propria richiesta da parte del suo debitore, non veda tradotta la pretesa in concreto a causa dell’inadempimento di quest’ultimo (una forma di equivalenza analoga, si è poi potuto vedere, si rinviene anche rispetto alla partecipazione in senso amministrativo, allorché il prendere parte all’iter amministrativo, tramite l’esercizio dei diritti amministrativi, non conduce a ottenere il risultato sperato).
La corrispondenza dei disvalori percepiti ha così permesso di distin- guere il concetto di interesse da quello di partecipazione, dato che il primo si caratterizza per l’assenza della volontà e della certezza speculativa di conseguire il risultato ambito, elementi che, al contrario, caratterizzano i due differenti stadi della partecipazione intesa in senso sia economico sia amministrativo: ovvero, ciò che si è definito, da un lato, quale partem capere astratto e concreto, dall’altro, quale partecipazione amministrativa formale e sostanziale.
La differenza rilevata — che ben si coglie nel noto fenomeno dell’a- patia razionale dell’investitore, ove il costo dell’eventuale partecipazione amministrativa degrada a mero interesse la stessa partecipazione, intesa anche in senso economico — ha consentito, quindi, di riformulare il concetto di interesse sociale.
Immaginando, infatti, che la persona giuridica altro non sia che un agente economico destinato a subire, per sua stessa natura (ossia ex art. 2249 c.c.), i prelievi operati alla propria ricchezza da parte di determinati soggetti titolati (i soci) e la cui esistenza è legata alla sussistenza di un patrimonio (nel caso delle società di capitali, per l’appunto, pari al capitale sociale, ancorché ormai nel caso delle s.r.l. puramente simbolico), si può giungere a considerare che l’interesse della medesima risieda nel contra- stare l’inevitabile impoverimento delle proprie ricchezze tramite la loro costante integrazione o, quantomeno, conservazione, a mezzo di ogni transazione economica la società intenda (oppure sia costretta a porre in essere, fino al momento della sua liquidazione.
Questa interpretazione di interesse sociale pare costituire una valida risposta al fenomeno che si è definito quale nexus of conflicts. Inquadrando l’interesse sociale come la somma degli interessi indiretti dei partecipi economici della società, contrapposti, di volta in volta, a quello della controparte della persona giuridica nel compimento della singola opera- zione economica (3), si sono potute superare le criticità presenti nelle teorie dello shareholder value e dell’Unternehmen an sich. Tali concezioni pur scaturendo, rispettivamente, dalle visioni contrattualista e istituzionalistica
(3) Si potrebbe parlare di una concezione dell’interesse sociale necessariamente “a geometria variabile”.
CONCLUSIONI
del fenomeno societario, risultano, infatti, accomunate dal limite di privi- legiare a priori un solo insieme di interessi gravitanti sul patrimonio della persona giuridica e ciò comporta, necessariamente, uno squilibrio nel giudizio dell’interprete chiamato a giudicare la validità dell’operazione realizzata dalla società.
Scegliendo, al contrario, di porre l’interesse della persona giuridica al centro dell’attenzione dell’interprete (e, quindi, indirettamente, quello di coloro che nutrono un interesse economico partecipativo verso il patrimo- nio della stessa, a prescindere dalla fonte della loro pretesa), si può giungere anche a definire la figura del partecipe esterno ad essa. Tale soggetto, benché privo di un potere amministrativo (esercitato formal- mente o anche solo di fatto), riesce, infatti, a piegare il processo decisionale a proprio favore grazie al timore sofferto dai partecipi economici titolari dei poteri amministrativi di vedere messa a rischio la propria pretesa sul patrimonio sociale a causa della possibilità che il terzo, vista respinta la propria aspettativa di partem capere, possa dare vita a un impoverimento della ricchezza societaria.
Quest’ultima considerazione ha condotto, dapprima, ad esaminare la possibilità che l’attuazione concreta della partecipazione amministrativa esterna venga compromessa a causa dell’intervento contrario di altri par- tecipi amministrativi nel percorso decisionale; sulla base di tale indagine si sono potuti formulare, poi, degli indici logici che permettono di verificare l’eventuale attuazione del controllo in senso formale o sostanziale sulla società da parte del terzo partecipe amministrativo “esterno” alla stessa.
La valutazione della natura della collaborazione fra l’extraneus e i partecipi amministrativi “interni” che acconsentono al compimento di atti contrari all’interesse sociale a favore dell’interesse del primo e, indiretta- mente, del loro, ha condotto, poi, a esaminare l’ipotesi della formazione, di fatto, di una holding fra gli stessi soggetti. L’individuazione di una simile società permetterebbe di ricondurre l’attività svolta dai partecipi ammini- strativi componenti gli organi sociali e dall’extraneus nella cornice della direzione e coordinamento ai sensi degli artt. 2497, comma 1, c.c., quale una possibile declinazione delle controllanti che, esercitando un’attività di direzione e coordinamento di società in violazione dei principi di corretta gestione, arrecano, nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, un pre- giudizio alla redditività e al valore della partecipazione sociale, oppure all’integrità del patrimonio della società.
A conclusione del percorso di indagine occorre, però, notare che i concetti elaborati per addivenire a questo risultato sembrano offrire ulte- riori spunti per il loro impiego, potendo essere utilizzati sia per dare un contenuto concreto a norme caratterizzate da previsioni generiche e non ancora sufficientemente tipizzate, sia per vagliare l’efficacia di altre la cui applicazione è discussa.
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LA PARTECIPAZIONE ESTERNA ALLE SOCIETÀ DI CAPITALI
In questa direzione, oltre a richiamare gli spunti applicativi già emersi nel corso della trattazione (il concetto di indipendenza degli amministratori e dei sindaci; il c.d. intraday trader quale socio formale, ma non partecipe, della società; i confini di applicazione della revocatoria fallimentare, ecc.), si può rilevare come la riformulazione dell’interesse sociale quale coinvol- gimento indiretto dei partecipi economici della persona giuridica alla conservazione o all’incremento del proprio patrimonio, permette, in par- ticolare, di fornire una chiave di lettura per esaminare molti altri istituti i cui termini applicativi appaiono ancora sostanzialmente incerti.
Grazie ad esso, ad esempio, si può escludere un abuso della maggio- ranza nel voto favorevole all’aumento reale del capitale sociale in assenza
di una concreta necessità di incrementare il patrimonio della persona giuridica, indipendentemente dalla possibilità che la minoranza possa non esercitare il diritto di opzione in concreto e veda, quindi, la propria partecipazione amministrativa ridotta. Anche in assenza di debiti rilevanti, l’assunzione di una delibera di aumento del capitale e la conseguente maggiore solidità patrimoniale risultano, infatti, rispecchiare l’interesse della società, in quanto quest’ultima rappresenta un patrimonio natural- mente destinato a essere depauperato ai sensi dell’art. 2247 c.c. (4); d’altro canto si deve, però, considerare che costituisca un abuso di maggioranza l’aumento di capitale, previsto scindibile, se deciso nella consapevolezza che le azioni inoptate dai soci di minoranza non verranno sottoscritte neppure dagli altri soci o da terzi, dato che una simile operazione, pur comportando un aumento del patrimonio della società, non lo massimizza, come è richiesto dalla concezione dell’interesse sociale esposta (5).
Un’ulteriore ipotesi applicativa del concetto di interesse sociale così
ridefinito appare rinvenirsi nella necessità di dare contenuto all’espressione
(4) Cfr. sul punto A. XXXXXXX, Il principio di correttezza nell’ordinamento della società per azioni, op. cit., 274 ss., che, analizzando il caso di un conferimento in natura per rafforzare il patrimonio sociale, non ravvisa un conflitto di interessi sulla base del fatto che il danno non investe l’intero gruppo sociale (come avviene, al contrario, nel conflitto di interessi, dove la maggioranza compensa il danno sofferto con un vantaggio extrasociale).
(5) Notava già X. XXXXX-XXXXX, Sul problema degli aumenti di capitale deliberati in danno della minoranza, in Riv. dir. comm., 1964, II, 93 ss., e ora in Scritti di diritto commerciale, Padova, Piccin, 2014, 56, che una simile delibera non appariva di per sé contra legem, ma diveniva illecita nel momento in cui la causa, i motivi o l’oggetto erano giudicati tali: accedendo alla tesi esposta si può recuperare l’idea più radicale che il vizio della delibera risieda proprio nell’assenza di una valida causa.
« fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate » racchiusa nell’art. 2409, comma 1, c.c., ove il concetto di danno rilevante ai fini della norma va inteso non solo come un illegittimo depauperamento, eventualmente
Termine estratto capitolo
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